Immunità – La legge attuativa dell’art. 68 Cost.

La L. 140/2003[1] ha legislativamente definito la questione concernente la disciplina di attuazione dell’articolo 68 della Costituzione, concernente l’immunità parlamentare, questione che, sorta già all’indomani della riforma dell’art. 68 recata dalla L.Cost. 3/1993[2], aveva attraversato le successive tre legislature.

L’articolo 68 della Costituzione e la riforma del 1993

L’articolo 68 della Costituzione, nel testo approvato dall’Assemblea costituente ed entrato in vigore il 1° gennaio 1948, stabiliva che i membri del Parlamento:

§         non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (primo comma);

§         non possono essere sottoposti a processo penale senza autorizzazione della Camera di appartenenza (secondo comma);

§         in assenza di analoga autorizzazione, non possono essere arrestati o altrimenti privati della libertà personale (anche in esecuzione di una sentenza), né sottoposti a perquisizione personale o domiciliare, salvo il caso di flagranza di un delitto per il quale sia obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura (secondo e terzo comma).

La L.Cost. 3/1993 ha modificato la disciplina dell’immunità parlamentare riformulando l’art. 68. Il nuovo testo, tuttora vigente:

§         conferma insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati dai parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni, adottando peraltro una formulazione più ampia (“non possono essere chiamati a rispondere”), rispetto alla precedente (“non possono essere perseguiti”);

§         sopprime la richiesta di una previa autorizzazione della Camera di appartenenza al fine di sottoporre i parlamentari a procedimento penale; l’autorizzazione resta dunque limitata alle ipotesi di perquisizione personale o domiciliare, di arresto o di altra misura privativa della libertà personale; sono altresì soggetti ad autorizzazione le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni e il sequestro di corrispondenza;

§         esclude la necessità di richiedere l’autorizzazione qualora si tratti di dare esecuzione ad una sentenza irrevocabile di condanna, oltre che nel caso (già previsto) in cui il parlamentare sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.

L’attività legislativa tra il 1993 e il 2001

Sin dall’entrata in vigore della riforma del 1993 si era ritenuto opportuno regolare con una normativa organica gli aspetti sostanziali e procedurali connessi all’applicazione del nuovo art. 68 Cost., con particolare riguardo alla materia dell’insindacabilità ed ai rapporti fra procedimenti giudiziari e procedure parlamentari.

 

A tal fine intervenne, in una prima fase, una “catena” di decreti-legge (tutti decaduti per mancata conversione nei termini costituzionali) avviata con il D.L. 455/1993[3] e proseguita con 18 successive reiterazioni.

Nel corso della XIII legislatura, il disegno di legge di conversione dell’ultimo decreto-legge di tale “catena”, (D.L. 555/1996[4]), venne approvato dalla Camera in prima lettura (A.S. 1842) ma non dal Senato, comportando così il definitivo venir meno, con efficacia ex tunc, della relativa disciplina. Ciò non ha peraltro vanificato la piena efficacia dell’art. 68 Cost., posto che tale disposizione contiene una disciplina immediatamente applicabile, e dal momento che i relativi profili procedimentali sono stati risolti sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale (a partire dalla sent. 1150/1998; sul punto, v. la scheda Immunità – Corte costituzionale e insindacabilità) e della prassi parlamentare.

Nel prosieguo della XIII legislatura la Camera approvava, in prima lettura, il testo unificato di due proposte di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 2939-2985-A), diretto anch’esso a dare attuazione all’art. 68 Cost. e largamente ispirato al testo del D.L. 555/1996. La Commissione affari costituzionali del Senato, a cui il testo era stato trasmesso, non ne avviava l’esame.

La legge n. 140 del 2003

La L. 140/2003, frutto dell’esame della proposta di legge A.C. 185, di iniziativa dell’on. Boato, assunta quale testo base, e di altre cinque proposte di legge presentate da esponenti sia di maggioranza, sia di opposizione, ripropone (con varie modifiche) l’impianto del testo approvato dalla Camera nella precedente legislatura, allo scopo di dettare una normativa organica destinata a regolare gli aspetti sostanziali e procedurali connessi all’applicazione dei princìpi sanciti dal nuovo art. 68 Cost..

 

Nel dare sinteticamente conto di tale disciplina si rinvia, con riguardo all’articolo 1 della legge – recante disposizioni relative alla sospensione dei processi penali che vedano coinvolte le più alte cariche dello Stato – all’apposita scheda Immunità – Le alte cariche dello Stato.

 

L’articolo 2 della L. 140/2003 riformula il secondo periodo del co. 3 dell’art. 343 del codice di procedura penale, dal quale vengono espunti i riferimenti a particolari organi costituzionali, sostituendoli con una formulazione di carattere generale rinviante a tutti i casi in cui l’autorizzazione a procedere ovvero l’autorizzazione al compimento di determinati atti siano prescritte da disposizioni contenute nella Costituzione o in leggi costituzionali. In tali casi si prevede che trovino applicazione le particolari disposizioni contenute in tali fonti di rango costituzionale nonché, in quanto compatibili con queste, nelle norme del c.p.p. (artt. 344, 345 e 346) in materia di autorizzazione a procedere.

 

L’articolo 3 è finalizzato a dettare “disposizioni attuative” della norma recata dal primo comma dell’art. 68 Cost., nel testo risultante dalla modifica intervenuta nel 1993, ai sensi del quale i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (su tale articolo è intervenuta la Corte costituzionale con la sent. 120/2004: su di essa, v. la scheda Immunità – Corte costituzionale e insindacabilità).

Il comma 1 individua una serie di atti (progetti di legge, emendamenti, atti di indirizzo o sindacato ispettivo, interventi in Assemblea e in altri organi delle Camere, espressioni di voto comunque formulate, ogni altro atto parlamentare, ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento) cui deve ritenersi applicabile “in ogni caso” la garanzia dell’insindacabilità di cui al primo comma dell’art. 68 Cost..

Il comma 2 stabilisce che, a seguito del rilievo o dell’eccezione di applicabilità dell’insindacabilità, il giudice, apprezzate le circostanze del caso, dispone, anche d’ufficio, l’immediata separazione del procedimento da quelli eventualmente riuniti.

Il comma 3 definisce i provvedimenti che il giudice è chiamato ad assumere, nel caso in cui ritenga applicabile l’art. 68, co. 1°, Cost.. In particolare:

§         nell’ambito del procedimento penale:

-       nella fase del processo, il giudice provvede, in ogni fase e grado, con sentenza resa ai sensi dell’art. 129 c.p.p.;

-       nella fase delle indagini preliminari, il giudice pronuncia decreto di archiviazione ex art. 409 c.p.p.. A tal fine, il pubblico ministero trasmette, entro dieci giorni dall’eccezione o dal rilievo, gli atti del giudice, perché provveda (comma 6).

§         nell’ambito del processo civile, le parti sono invitate a precisare immediatamente le conclusioni, con termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ridotti, rispetto a quanto stabilito dall’art. 190 c.p.c., rispettivamente a 15 e 5 giorni; il giudice pronuncia sentenza con i provvedimenti necessari alla definizione del giudizio;

§         in ogni altro procedimento giurisdizionale, il giudice procede analogamente.

I commi 4 e 5 contemplano l’ipotesi in cui il giudice ritenga non fondata l’eccezione di applicabilità dell’art. 68, primo comma, Cost. sollevata da una delle parti. In tale caso il giudice provvede (senza ritardo, nel procedimento penale; in udienza o entro cinque giorni, nel processo civile) con ordinanza non impugnabile e direttamente trasmette copia degli atti al ramo del Parlamento a cui il parlamentare appartiene o apparteneva al momento del fatto. Dopo tale trasmissione, il procedimento è sospeso fino alla deliberazione della Camera, e comunque non oltre il termine di 90 giorni dalla ricezione degli atti da parte della Camera interessata, salva la possibilità di una proroga non superiore a 30 giorni, disposta dalla Camera medesima. La sospensione non impedisce, comunque, il compimento degli atti non ripetibili (nell’ambito del procedimento penale) e di quelli urgenti (negli altri procedimenti).

Il comma 7 introduce un “doppio binario”, in virtù del quale la questione dell’applicabilità dell’art. 68, comma primo, Cost., può essere posta direttamente alla Camera di appartenenza da parte dell’interessato, senza necessità di sollevare previamente la relativa eccezione innanzi all’autorità giudiziaria. In tal caso la Camera può domandare al giudice la sospensione del procedimento, ai sensi del co. 5.

Il comma 8 precisa l’efficacia della deliberazione parlamentare sull’insindacabilità: nel caso in cui essa sia favorevole all’applicazione dell’art. 68, primo comma, l’autorità giudiziaria non può che conformarsi ad essa (salvo che non ritenga di sollevare conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale): il giudice, quindi, adotta senza ritardo i provvedimenti indicati al co. 3 e il pubblico ministero formula la richiesta di archiviazione.

Le disposizioni illustrate sono applicabili, in quanto compatibili, anche nell’ambito dei procedimenti disciplinari (comma 9) La sospensione del procedimento disciplinare fino alla deliberazione della Camera, ove disposta, comporta la sospensione dei termini di decadenza e di prescrizione, e di ogni altro termine dal cui decorso possa derivare pregiudizio ad una parte.

 

L’articolo 4 è teso a dare attuazione ai co. 2° e 3° dell’art. 68 Cost., disciplinando l’esecuzione degli atti privativi o restrittivi della libertà personale (perquisizioni personali, ispezioni, intercettazioni, misure cautelari etc., ivi compresa l’acquisizione di tabulati di comunicazioni) nei confronti di parlamentari. Legittimata a richiedere direttamente l’autorizzazione alla Camera a cui il soggetto appartiene è l’autorità che ha emesso il provvedimento da eseguire: nelle more della deliberazione parlamentare, l’esecuzione del provvedimento è sospesa (commi 1 e 2). In conformità al dettato dell’art. 68, co. 2°, Cost., l’autorizzazione non è richiesta qualora il parlamentare sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, ovvero quando la misura sia adottata in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna (comma 3). Nel caso di scioglimento della Camera nelle more tra la presentazione della richiesta di autorizzazione e la deliberazione parlamentare, la richiesta perde efficacia dall’inizio della successiva legislatura e può essere rinnovata e presentata alla Camera competente all’inizio della legislatura stessa (comma 4).

 

L’articolo 5 esplicita il contenuto degli atti con i quali il giudice o la diversa “autorità competente” (nel procedimento disciplinare) respingono l’eccezione di applicabilità dell’art. 68, co. 1°, Cost. e trasmettono gli atti alla Camera competente o richiedono l’autorizzazione al compimento di uno degli atti di cui all’art. 4. Si prevede che, nell’ambito dei suddetti atti, si provveda ad enunciare il fatto per il quale è in corso il procedimento, a indicare le norme di legge che si ritengono violate, a fornire gli elementi sui quali si fonda il provvedimento.

 

L’articolo 6 disciplina l’utilizzabilità in sede processuale (e, in conseguenza, la divulgabilità) delle “intercettazioni indirette”, ossia delle intercettazioni disposte nel corso di procedimenti riguardanti terzi e alle quali membri del Parlamento abbiano preso parte, le quali esulano, pertanto, dall’ambito di applicazione dell’art. 4 sopra illustrato.

Si prevede, così, che il giudice per le indagini preliminari – anche su istanza di una delle parti o del parlamentare interessato – nei casi in cui ritenga che le intercettazioni indirette del parlamentare siano in tutto o in parte irrilevanti ai fini della definizione dello stesso, ne decide, a tutela della riservatezza, la distruzione integrale o parziale ai sensi dell’art. 269, co. 2 e 3, c.p.p.. La decisione è presa in camera di consiglio, sentite le parti (comma 1).

Qualora il giudice per le indagini preliminari, su istanza di parte, ritenga invece rilevanti ai fini processuali le intercettazioni o i tabulati di cui al co. 1, egli può decidere con ordinanza la loro utilizzazione e richiedere, nei dieci giorni successivi, l’autorizzazione alla Camera competente, da individuare nella Camera alla quale il parlamentare appartiene o apparteneva al tempo dell’intercettazione (comma 2).

La richiesta di autorizzazione all’utilizzazione in sede processuale delle intercettazioni effettuate deve essere trasmessa direttamente alla Camera competente: la richiesta deve contenere l’enunciazione del fatto per il quale è in corso il procedimento e l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate e deve essere corredata dei verbali delle intercettazioni, delle relative registrazioni e degli altri elementi sui quali la richiesta è fondata (comma 3). In caso di scioglimento delle Camere la richiesta perde efficacia a decorrere dall’inizio della successiva legislatura e può essere rinnovata all’inizio della legislatura stessa (comma 4).

Nel caso in cui la Camera competente neghi l’autorizzazione, la documentazione delle intercettazioni è distrutta immediatamente, e comunque non oltre dieci giorni dalla comunicazione del diniego della richiesta (comma 5).

Tutte le comunicazioni e i dati acquisiti in difformità da quanto previsto dallo stesso articolo devono essere dichiarate inutilizzabili dal giudice in ogni stato e grado del procedimento (comma 6). L’articolo 7 detta peraltro una disciplina di carattere transitorio, stabilendo che le disposizioni relative all’utilizzabilità processuale delle intercettazioni indirette devono essere osservate nell’ambito dei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge, solo se le intercettazioni non siano già state utilizzate in giudizio.

 

L’articolo 8 dispone la sanatoria di tutti gli effetti giuridici prodottisi sulla base dei decreti-legge emanati, dal 1993 al 1996, al fine di dare attuazione al riformato art. 68 Cost., e successivamente decaduti (v. supra), e l’articolo 9 reca la clausola relativa all’entrata in vigore della legge (il giorno successivo a quello della pubblicazione in Gazzetta ufficiale, avvenuta il 21 giugno 2003).



[1]     Legge 20 giugno 2003, n. 140, Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato.

[2]     Legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, Modifica dell’articolo 68 della Costituzione.

[3]     D.L. 15 novembre 1993, n. 455, Disposizioni urgenti per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione.

[4]     D.L. 23 ottobre 1996, n. 555, Disposizioni urgenti per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione.