Grazia e amnistia – La concessione della grazia

Ai sensi dell’articolo 174 del codice penale, la grazia ha l’effetto di condonare, in tutto o in parte, la sanzione penale inflitta, o di commutarla in un’altra specie di pena stabilita dalla legge. La grazia non estingue le pene accessorie, salvo che il decreto disponga diversamente, e lascia immutati gli altri effetti penali della condanna.

La grazia può intervenire esclusivamente su una pena che sia stata comminata con sentenza divenuta irrevocabile. Nella prassi, essa è generalmente sottoposta a condizione (non riportare condanne penali entro un certo periodo di tempo successivo all’esecuzione della grazia; risarcire il danno; pagare una certa somma alla Cassa delle ammende etc.), pur se la dottrina ha espresso perplessità sulla costituzionalità della grazia condizionata.

 

L’articolo 87 della Costituzione annovera, al comma undicesimo, fra le attribuzioni del Presidente della Repubblica il potere di “concedere grazia e commutare le pene”.

Il decreto presidenziale di grazia (conforme la dottrina pressoché unanime e la prassi) deve essere controfirmato dal ministro della giustizia, secondo quanto dispone in via generale il primo comma dell’art. 89 Cost. (“Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità”).

Il significato da attribuire, nella fattispecie, alla controfirma ministeriale è peraltro questione che ha impegnato la dottrina per lungo tempo. Tale questione è strettamente correlata a quella concernente l’individuazione dell’effettiva competenza per l’atto in questione, se cioè la grazia:

§         costituisca un atto solo formalmente presidenziale, ma nella sostanza rimesso all’iniziativa e alla decisione dell’esecutivo, sotto la responsabilità politica di questo (come ad es. l’emanazione dei decreti-legge, dei decreti legislativi o dei regolamenti)[1];

§         o, al contrario, rientri fra gli atti che la dottrina definisce sostanzialmente (oltre che formalmente) presidenziali (quali ad es. la nomina di cinque senatori a vita)[2];

§         o ancora, secondo una tripartizione accolta da vari autori, rientri nel “terzo genere” degli atti governativo-presidenziali (ad es., la nomina del Presidente del Consiglio), ovvero “a partecipazione eguale”, nei quali assume rilievo determinante il concorso della volontà dei due soggetti istituzionali. Da alcuni autori questa tesi è intesa nell’empirica e flessibile accezione che ricollega il prevalere della volontà dell’uno o dell’altro organo al concreto, reciproco atteggiarsi dei rapporti politico-istituzionali[3].

Dalla soluzione data alla sopra cennata questione dipende lo scioglimento di altri nodi interpretativi sorti in dottrina e, a volte, presentatisi in concreto: se, ad esempio, il Capo dello Stato possa concedere la grazia di propria iniziativa, in assenza cioè di proposta ministeriale o (all’opposto) se i termini in cui la proposta ministeriale è formulata vincolino in qualche modo la decisione presidenziale.

 

Nella prassi, affermatasi già in vigenza dello Statuto albertino e conservatasi fino alla vigilia della recente vicenda che ha visto l’insorgere di un conflitto di attribuzione tra Presidente della Repubblica e ministro della giustizia, risolto dalla Corte con l’affermazione che non spetta al ministro della giustizia impedire la prosecuzione di un procedimento per la concessione della grazia (v. capitolo Iniziative in materia di grazia e amnistia), l’istituto in esame è apparso fortemente procedimentalizzato e nei fatti ampiamente rimesso ai poteri istruttori e di iniziativa del Ministero della giustizia.

Non si registrano casi di decreti di grazia emanati in assenza di proposta ministeriale – pur se in alcuni casi è avvenuto che la proposta fosse sollecitata dal Capo dello Stato – e, d’altro canto, il Presidente della Repubblica non si è mai sentito vincolato dalla proposta medesima, che ha talvolta respinto e spesso modificato nel contenuto.

La procedura per la presentazione e l’esame delle domande di grazia, già contenuta nell’art. 595 del previgente codice, fa oggi capo all’art. 681 c.p.p., ai sensi del quale:

§      la domanda di grazia può essere sottoscritta, oltre che dal condannato, da un suo prossimo congiunto, dal convivente, dal tutore o curatore ovvero da un avvocato;

§      essa è diretta al Presidente della Repubblica, ma è presentata al ministro della giustizia;

§      se il condannato è libero, la domanda può anche essere presentata al procuratore generale presso la corte di appello competente; se il condannato è in stato di detenzione, può essere presentata al magistrato di sorveglianza e perviene al ministro, per l’ulteriore istruttoria da svolgere in quella sede, insieme con i dati raccolti da quest’ultimo e il suo parere motivato, e con le osservazioni del procuratore generale;

§      il presidente del consiglio di disciplina dell’istituto dove la pena è in esecuzione può sottoscrivere una proposta di grazia, che segue il medesimo iter delle domande;

§      la grazia può comunque essere concessa anche in assenza di domanda o proposta;

§      il relativo decreto è trasmesso al pubblico ministero presso il giudice dell’esecuzione, che lo fa eseguire;

§      nel caso di grazia sottoposta a condizioni, l’esecuzione della pena è sospesa sino alla scadenza del termine stabilito per l’adempimento di esse da parte del condannato: in caso positivo, la pena si estingue; altrimenti, il beneficio viene revocato.

In sede ministeriale, la procedura istruttoria delle domande di grazia è oggi svolta dalla Direzione generale della giustizia penale presso il Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia, ai sensi dell’art. 4, co. 2, lett. b), del regolamento di organizzazione del Ministero (D.P.R. 55/2001[4]).

Di norma, solo le domande di grazia che abbiano positivamente superato tale procedura hanno formato oggetto di proposta del ministro al Capo dello Stato; per le altre si è proceduto all’archiviazione.

 

Dal 1951 ai primi anni ‘90 il numero dei graziati è stato complessivamente molto elevato (circa 46.000); negli ultimi due decenni esso è andato progressivamente riducendosi, presumibilmente anche a causa dell’introduzione nell’ordinamento di nuovi benefìci penitenziari e di misure alternative alla detenzione.



[1]     P. Barile, I poteri del Presidente della Repubblica, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 1958, pag. 351 e seg.

[2]     Cfr. ad es. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, CEDAM, II volume, 1976 (nona ed.), pag. 781.

[3]     “La grazia è atto del Presidente della Repubblica emesso con la collaborazione del Ministro, senza che ci si possa domandare a quale volontà sia da attribuirsi il peso prevalente, perché, qualora uno dei due soggetti non concordi con l’atto sull’opportunità dell’emanazione dell’atto o del suo contenuto, la mancanza, rispettivamente, della firma o della controfirma non ne consentirà il perfezionamento. Quale sia poi l’incidenza dell’opera del Ministro o del Presidente della Repubblica in tale collaborazione è questione cui la risposta è a priori impossibile, dipendendo da situazioni di fatto non rilevanti per il diritto almeno fino a quando non si consolidino norme di tipo convenzionale […] o consuetudinario” (G. Zagrebelsky, Grazia (Diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto, vol. XIX, Milano, Giuffrè, 1970, pag. 764).

[4]     D.P.R. 6 marzo 2001, n. 55, Regolamento di organizzazione del Ministero della giustizia.