Immigrazione – Permesso di soggiorno

L’ingresso nel territorio dello Stato

L’ingresso nel territorio italiano – che deve avvenire esclusivamente attraverso i valichi di frontiera, salvi i casi di forza maggiore – è consentito ai cittadini dei Paesi non appartenenti all’Unione europea in possesso di:

§      passaporto valido (o documento equipollente);

§      visto d’ingresso (salvi i casi di esclusione).

 

La legge 189 è intervenuta rendendo più stringenti le disposizioni relative al diniego del visto: ha ampliato i casi in cui il visto non deve essere concesso, riducendo nel contempo le fattispecie che prevedono l’obbligo di motivazione del diniego e semplificando le modalità di comunicazione all’interessato del diniego (vedi il testo a fronte tra il D.Lgs. 286/1998 e le modifiche apportate dalla L. 189/2002).

 

Il Ministero degli affari esteri definisce le diverse tipologie dei visti d’ingresso e le modalità di concessione[1].

Non sempre è necessario il visto d’ingresso: spetta al Ministero degli affari esteri redigere l’elenco dei Paesi i cui cittadini sono soggetti ad obbligo di visto, anche in attuazione di specifici accordi internazionali (art. 4, comma 6, T.U.)[2].

Nella competenza del Ministero degli esteri rientra anche la procedura di concessione dei visti: le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane localizzate nello Stato di origine o di residenza sono competenti alla ricezione delle richieste, al rilascio o al diniego del visto d’ingresso.

 

Il rilascio del visto di ingresso è subordinato alla presenza di una serie di condizioni: lo straniero deve avere prove idonee a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata di soggiorno. L’entità di tali mezzi sono determinati dal Ministro dell’interno (art. 4, comma 3, T.U.)[3].

La documentazione attestante il possesso di tali requisiti può essere richiesta nuovamente al momento dell’ingresso in Italia, anche se in possesso del visto.

Per quanto riguarda l’immigrazione per lavoro, l’ingresso degli stranieri è limitato e determinato secondo quote annuali; pertanto, le autorità diplomatiche rilasciano i visti di ingresso entro tali quote (art. 3, comma 4, T.U.) e secondo le modalità definite dal testo unico (artt. 21 e seguenti).

 

Inoltre, il testo unico individua alcune condizioni ostative al rilascio del visto: oltre coloro che non sono in possesso dei requisiti di cui sopra (mezzi di sussistenza e documenti che confermano lo scopo del soggiorno), non sono ammessi gli stranieri che sono considerati una minaccia per l’ordine pubblico sia da parte dell’Italia, sia di uno degli Paesi dell’area Schenghen (art. 4, comma 3, T.U.).

Non possono altresì fare ingresso in Italia (art. 4, comma 6, T.U.):

§      gli stranieri espulsi (a meno che non abbiano ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il perizio di divieto di ingresso, di norma di dieci anni;

§      gli stranieri da espellere;

§      gli stranieri segnalati da altri Paesi, ai fini della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico.

 

La legge 189 ha ampliato il novero delle cause di interdizione all’ingresso nel territorio dello Stato, comprendendovi la condanna - anche a seguito di patteggiamento - ad una serie di gravi reati (art. 4, comma, 3, come modificato dalla legge189). Si tratta, innanzitutto, dei reati particolarmente gravi per i quali la legge prevede l’arresto obbligatorio in flagranza (ai sensi dell’art. 380, commi 1 e 2 del codice di procedura penale). Inoltre, sono considerati una serie di reati, riconducibili direttamente o indirettamente al fenomeno migratorio: sono quelli inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento delle migrazioni clandestine, lo sfruttamento della prostituzione e lo sfruttamento dei minori.

 

La non concessione del visto di ingresso è adottata con un provvedimento di diniego che deve essere comunicato all’interessato secondo modalità che sono state modificate dalla legge 189.

Innanzitutto, mentre in origine il testo unico prevedeva che tutti i provvedimenti di diniego fossero accompagnati dalla motivazione, la legge 189 ha eliminato tale obbligo, conservandolo per alcune fattispecie espressamente definite. Sostanzialmente l’obbligo permane in relazione alle cause più frequenti di richiesta di visto di ingresso: lavoro, studio e ricongiungimento familiare.

Viene reso, inoltre, più spedito il procedimento di comunicazione perché è previsto che nell’impossibilità di tradurre il provvedimento di diniego in una lingua comprensibile all’interessato, esso possa essere comunicato in inglese, francese, spagnolo o arabo (ar. 4, comma 2, del T.U. come modificato dalla legge 189). Possibilità prima non contemplata dal testo unico che prevedeva unicamente la traduzione in una lingua comprensibile allo straniero.

Da rilevare anche la soppressione dell’obbligo di comunicare all’interessato, insieme al provvedimento di diniego, le modalità di impugnazione.

A tal riguardo, il testo unico non dà indicazioni sul procedimento di tutela giurisdizionale avverso il provvedimento di diniego. La questione è stata risolta dalla giurisprudenza in base al rapporto tra il regime del permesso di soggiorno e quello del visto di ingresso: sono impugnabile davanti al giudice amministrativo il diniego di concessione del visto d’ingresso, in quanto, essendo il visto d’ingresso subordinato, al pari del permesso di soggiorno, alla valutazione della sussistenza di requisiti soggettivi o di condizioni internazionali, la pubblica amministrazione dispiega, nella sua emanazione, una specifica ed ampia discrezionalità, il che esclude la configurabilità, in capo allo straniero, di una posizione di diritto soggettivo al relativo ottenimento[4].

Il soggiorno dello straniero

I documenti che legittimano la permanenza dello straniero nel territorio italiano sono il permesso di soggiorno rilasciato per un periodo variabile a seconda dei motivi del soggiorno (art. 5, T.U.) e la carta di soggiorno a tempo indeterminato per gli stranieri stabilizzati (art. 9, T.U.).

 

Una volta fatto ingresso nel territorio nazionale, ogni straniero deve fare richiesta del permesso di soggiorno entro otto giorni al questore della provincia in cui si trova ed esso è rilasciato per le attività previste dal visto di ingresso (art. 5, comma 2).

Da rilevare che la richiesta del permesso di soggiorno è obbligatoria per tutti gli stranieri per i quali è necessario il visto di ingresso (anche se sono previste modalità semplificate per brevi soggiorni e per motivi particolari, quali turismo, cura ecc.).

La legge 189 ha apportato modifiche di rilievo alla disciplina del permesso di soggiorno, principalmente volte a collegare in modo stretto il permesso di soggiorno per motivi di lavoro alla stipula del relativo contratto di lavoro tra il datore di lavoro e il lavoratore immigrato.

 

Una prima modifica operata dalla legge 189 riguarda tutti gli immigrati, e non solamente quelli per motivi di lavoro: gli stranieri che fanno richiesta del permesso di soggiorno (o ne richiedono il rinnovo) sono sottoposti alla rilevazione dei dati fotodattiloscopici (art. 5, comma 2-bis e 4-bis).

L’ambito di applicazione di tale obbligo è stato successivamente ridimensionato dal D.L. 195/2002[5]. In particolare, l’art. 2, comma 5, esclude dall’obbligo dei rilievi, sia al momento del rilascio del permesso di soggiorno sia al momento del suo rinnovo (ai sensi, rispettivamente dei commi 2-bis e 4-bis dell’articolo 5 del testo unico) gli stranieri che abbiano richiesto il permesso di soggiorno:

§         di durata non superiore a tre mesi, per visite, affari e turismo (art. 5, co. 3, lett. a), del testo unico);

§         di durata non superiore a tre mesi, negli altri casi in cui sia previsto il rilascio del permesso di soggiorno per motivi diversi da quelli di lavoro o di studio (art. 5, co. 3, lett. e), del testo unico);

§         per cure mediche.

Inoltre, l’art. 2, comma 3, del decreto legge 195 prevede che i lavoratori regolarizzati ai sensi dell’articolo 1 siano sottoposti ai rilievi fotodattiloscopici non al momento della richiesta del permesso di soggiorno, ma entro un anno dalla data di rilascio del permesso di soggiorno rilasciato a seguito di emersione, e comunque in sede di rinnovo dello stesso.

 

Da segnalare, infine, l’art. 2, comma 7, del decreto legge 195 che estende anche ai cittadini italiani la sottoposizione ai rilievi dattiloscopici, da effettuare all’atto della consegna della carta d’identità elettronica. Nel caso dei cittadini italiani la norma prevede la sottoposizione ai soli rilievi dattiloscopici (impronte digitali), con esclusione quindi del rilievo fotografico.

 

Come ricorda la relazione governativa al disegno di legge di conversione, la disposizione riflette l’impegno assunto dal Governo in accoglimento di ordini del giorno[6] presentati nel corso dell’esame del disegno di legge di riforma del testo unico sull’immigrazione (A.C. 2454, la futura legge 189), volti a far sì che l’introduzione di nuovi strumenti di identificazione dell’identità personale non fosse riservata ai soli cittadini extracomunitari.

 

Un secondo ordine di modifiche riguarda le procedure relative al rilascio del permesso di soggiorno: viene complessivamente rimodulato il regime della durata del permesso di soggiorno, variabile a seconda del motivo del soggiorno (art. 5, comma 3-bis e seguenti T.U.). In particolare, viene distinta la durata massima del permesso per lavoro a tempo determinato, fissata in un anno, da quello per lavoro a tempo indeterminato, autonomo e ricongiungimento, due anni. Il testo unico prevedeva una durata massima generalizzata di due anni.

Rimodulati anche i tempi massimi per far richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno: mentre in origine il rinnovo doveva essere richiesto 30 giorni prima della scadenza, ora il termine è di 60 giorni per lavoro a tempo determinato, 90 giorni per lavoro a tempo indeterminato e 30 per le altre fattispecie.

Il rinnovo del permesso di soggiorno è di competenza del questore, che deve verificare la sussistenza delle condizioni previste per il rilascio.

 

Da segnalare che il decreto legge 272/2006[7], nell’ambito di una ampia riforma del testo unico sulla droga, allart. 4-ter sostituisce l’art. 75 del DPR 309 del 1990, inserendo al comma 8 la previsione per cui lo straniero che incorre in condotte integranti illeciti amministrativi (ossia acquista o detiene sostanze stupefacenti al di sotto dei limiti quantitativi per i quali scatta la sanzione penale) è segnalato dalla polizia al questore per le valutazioni di competenza in sede di rinnovo di permesso.

 

L’innovazione più rilevante in materia di permesso di soggiorno risiede nel fatto che il suo rilascio è subordinato alla stipula del contratto di soggiorno per lavoro (art. 5, comma 3-bis, T.U.). Il contratto, istituito e disciplinato dall’art. 5-bis del T.U. introdotto dalla legge 189, è stipulato tra il datore di lavoro, anche straniero purché regolarmente soggiornante in Italia, e il lavoratore. Esso deve contenere, pena la nullità:

§      la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore;

§      l’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.

 

Il decreto legge 144/2005[8] ha introdotto (art. 2) un particolare tipo di permesso di soggiorno a fini investigativi, in favore degli stranieri che prestino la loro collaborazione all’autorità giudiziaria o agli organi di polizia in relazione a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico.

Inoltre l’art. 11 ha sostituito l’art. 5, comma 8, del testo unico, che disciplina i modelli – aventi caratteristiche anticontraffazione – del permesso di soggiorno e della carta di soggiorno, al fine di assicurare valenza identificativa al permesso e alla carta di soggiorno elettronici (v. scheda Antiterrorismo – Il decreto-legge n. 144 del 2005).

La carta di soggiorno

La carta di soggiorno (art. 9, T.U.) risponde all’esigenza di dare la possibilità agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia da lungo tempo di passare da una condizione di temporaneità ad una di maggiore stabilità. Infatti, diversamente dal permesso di soggiorno, che ha durata temporanea, la carta di soggiorno è rilasciata a tempo indeterminato, riconoscendo allo straniero una sorta di diritto permanente di soggiorno.

Tale documento può essere richiesto al questore (per sé, per il coniuge e per i figli minori conviventi) dagli stranieri in possesso dei seguenti requisiti:

§      essere regolarmente soggiornanti in Italia da almeno sei anni[9];

§      essere titolari di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero illimitato di rinnovi;

§      dimostrare di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei propri familiari.

Le condizioni ostative al rilascio della carta, e quelle relative alla sua revoca sono specificamente individuate dal testo unico e ineriscono rispettivamente all’imputazione e alla condanna per uno dei reati per i quali è previsto l’obbligo o la facoltà (solo per i reati non colposi) di arresto in flagranza.

La carta di soggiorno consente al titolare: l’ingresso e il reingresso nel territorio italiano in esenzione delle norme sul visto; lo svolgimento di ogni attività lecita (con eccezione di quelle che la legge  espressamente vieta allo straniero o riserva al cittadino italiano); l’accesso ai servizi ed alle prestazioni erogati dalla P.A. (salvo che sia diversamente disposto); la partecipazione alla vita pubblica locale, esercitando anche l’elettorato nei casi previsti dall’ordinamento e in armonia con le previsioni della Convenzione di Strasburgo del 5 febbraio 1992. Inoltre, a favore di titolari della carta di soggiorno vengono circoscritte, rispetto a quelle generali previste all’art. 11 del testo unico, le ipotesi in cui si può procedere all’espulsione amministrativa.

La disciplina del lavoro

Come si è accennato sopra, la legge 189 ha innovato profondamente la disciplina del lavoro degli stranieri, collegando l’ingresso per lavoro alla sussistenza di un contratto di lavoro.

La legge 189 ha inoltre innovato la regolamentazione di dettaglio relativa al rapporto di lavoro del cittadino straniero, contenuta negli articoli 21 e seguenti del testo unico.

Innanzitutto, una importante innovazione dal punto di vista organizzativo è intervenuta con l’istituzione dello sportello unico per l’immigrazione in ciascuna provincia.

Lo sportello è collocato presso la prefettura – ufficio territoriale del Governo, ed è configurato quale organismo responsabile dell’interno procedimento relativo all’instaurazione del rapporto di lavoro, assommando le attività in materia svolte dalle prefetture, dalle direzioni provinciali dalle lavoro e dalle questure, in modo da semplificare le procedure.

Il compito principale degli sportelli unici è di ricevere la richiesta di nulla osta al lavoro (che sostituisce la richiesta di autorizzazione al lavoro presentata presso gli uffici del lavoro) da parte del datore di lavoro e di rilasciarlo previo esame e, soprattutto, dopo verifica dell’indisponibilità per quel posto di lavoro di un lavoratore italiano o comunitario. Il nulla osta è poi consegnato al datore di lavoro o, su sua richiesta, inviato direttamente all’autorità diplomatica del Paese del lavoratore ai fini del rilascio del visto di ingresso.

Successivamente sempre presso lo sportello deve essere firmato il citato contratto di soggiorno per lavoro (art. 5, comma 3-bis, T.U.) che costituisce titolo per il rilascio del permesso di soggiorno.

Allo sportello unico, inoltre, devono essere comunicate tutte le variazioni intervenute del rapporto di lavoro.

 

Gli sportelli unici, tuttavia, sono divenuti operativi solamente nel 2005 dopo un complesso procedimento attuattivo.

Infatti, la legge 189 (art. 34) ha previsto l’emanazione di un regolamento volto in linea generale a dare attuazione alla legge e, in particolare, a definire le modalità di funzionamento dello sportello unico.

Il regolamento è stato adottato alla fine del 2004 con il decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, n. 334, che ha modificato il precedente regolamento di attuazione del testo unico, il D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394.

Ai sensi del regolamento attuativo (art. 30), lo sportello unico deve essere costituito con decreto del prefetto e deve essere composto da almeno tre membri: un rappresentante della prefettura – ufficio territoriale del Governo, uno della Direzione provinciale del lavoro e uno della Polizia di Stato. Lo stesso decreto prefettizio di costituzione dello sportello ne designa il responsabile secondo le direttive adottate congiuntamente dal Ministro dell’interno e dal Ministro del lavoro. Tali direttive sono state emanate il 13 maggio 2005 e a partire da questa data i prefetti hanno potuto emanare i decreti relativi e si sono potuti costituire materialmente gli sportelli unici.

In occasione delle procedure relative alle domande di lavoro connesse con il decreto flussi per il 2006 (presentate nel marzo 2006) sono stati utilizzati per la prima volta gli sportelli unici secondo la nuova procedura fissata dalla legge 189.

 

Un’altra importante modifica apportata dalla legge 189 riguarda l’abrogazione della prestazione di garanzia per l’accesso di lavoro, il cosiddetto contratto di “sponsorizzazione”.

Si tratta di un particolare istituto, introdotto dal testo unico (art. 23), alternativo a quello della richiesta per lavoro. Infatti, esso è volto a far ottenere l’ingresso di cittadini stranieri ai fini di ricerca di lavoro.

Per la realizzazione di questo tipo di contratto era necessario che un cittadino italiano, o straniero regolarmente soggiornante, oppure un ente locale o un’associazione prestassero una serie di garanzie (patrimoniali, alloggiative, ecc.) per poter far domanda nominativa alla questura per consentire ad un straniero l’inserimento nel mercato del lavoro attraverso l’iscrizione alle liste di collocamento. L’iscrizione al collocamento dava accesso al permesso di soggiorno per un anno ai fini di inserimento nel mercato di lavoro.

Anche il numero dei contratti di sponsorizzazione era fissato annualmente nel decreto flussi.

L’abrogazione dell’istituto operata dalla legge 189 deriva dalla linea generale seguita dal provvedimento: ossia di giustificare l’ingresso e la permanenza sul territorio nazionale dello straniero per soggiorni duraturi solo in relazione all’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa sicura e lecita.

In sostituzione dei contratti di sponsorizzazione la legge 189 (nuovo art. 23) ha istituito dei titoli di prelazione nel collocamento dei lavoratori stranieri derivanti dall’aver frequentato corsi di istruzione e di formazione professionale organizzati nei paesi di origine da enti abilitati. Nei decreti annuali dei flussi sono stabilite quote privilegiati per gli stranieri che hanno frequentato tali corsi (art. 34, comma 5, del regolamento di attuazione DPR 394/1999, come modificato dal DPR 334/2004).

Anche in questo caso l’attuazione della disposizione è subordinata all’emanazione di ulteriori provvedimenti: in primo luogo il regolamento di attuazione emanato nel 2004.

Inoltre, lo stesso art. 34 del regolamento prevede che le modalità di predisposizione e di svolgimento dei programmi di formazione e di istruzione da effettuarsi nel Paese di origine siano fissati con decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

Nel 2005 il ministero del lavoro aveva avviato dei progetti pilota in Tunisia, Sri Lanka e Moldavia, mentre erano in corso di definizione due decreti, uno per fissare le modalità di svolgimento dei programmi sopra citati, e un altro volto ad estendere il ricorso ai tirocini formativi per i cittadini extracomunitari[10].



[1]     Ministero degli affari esteri, Decreto 12 luglio 2000, Definizione delle tipologie dei visti d’ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento.

[2]     L’esigenza di una progressiva armonizzazione delle diverse politiche nazionali dei visti ha condotto in sede europea all’adozione del Regolamento n. 539 del 15 marzo 2001, che determina la lista degli Stati i cui cittadini sono soggetti all’obbligo del visto. Esso sostituisce il precedente Regolamento (CE) n. 574/99.

[3]     Ministero dell’Interno, Direttiva 1° marzo 2000, Definizione dei mezzi di sussistenza per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato.

[4]     Cassazione civile, Sez. Unite, sen. 25 marzo 2005, n. 6426.

[5]     Decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195, Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari (convertito, L. 9 ottobre 2002, n. 222). Si tratta del provvedimento che allargava la possibilità di regolarizzazione – prevista dalla legge 189 esclusivamente per i lavoratori domestici – anche agli altri tipi di impiego.

[6]     Si tratta degli ordini del giorno 9/2454/16 (on. D’Alia ed altri), 9/2454/34 (on. La Russa) e 9/2454/36 (on. Rutelli ed altri), accolti dal Governo nella seduta dell’Assemblea della Camera del 3 giugno 2002.

[7]     Decreto legge 30 dicembre 2005, n. 272 (conv. legge 21 febbraio 2006, n. 49), Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi.

[8]     Decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, convertito dalla Legge 31 luglio 2005, n. 155.

[9]     Originariamente il testo unico prevedeva un periodo di soggiorno di cinque anni, l’aumento di un anno è stato operato dalla legge 189.

[10]    DPR 13 maggio 2005, Approvazione del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, per il triennio 2004-2006.