Con riferimento alla questione delle pari opportunità tra
donne e uomini, nella XIV legislatura, oltre alla modifica dell’articolo 51
della Costituzione (v. scheda Pari opportunità – La modifica dell’art. 51 Cost.),
sono stati realizzati, o proposti, vari interventi normativi di rango
legislativo aventi a oggetto la promozione del principio di parità nei suoi più
diversi risvolti.
Con riguardo, in primo luogo, al tema della promozione dell’accesso delle donne alle
cariche elettive, affrontato con l’obiettivo di incrementare il tasso di
partecipazione femminile alla vita politica e istituzionale del Paese, una
prima attuazione del nuovo disposto dell’art. 51 della Costituzione nella
legislazione ordinaria si rinviene nella L. 90/2004[1],
modificativa della legge per l’elezione di membri del Parlamento europeo. L’art.
3 della legge, con esclusivo riferimento alle elezioni europee e
limitatamente alle prime due elezioni del Parlamento europeo successive all’entrata
in vigore della legge, introduce il principio dell’inammissibilità delle
liste elettorali nelle quali non siano presenti candidati di entrambi i sessi e
stabilisce che nelle liste presentate, nessuno dei due sessi possa
essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati presenti
nella lista.
Per i movimenti o partiti politici che non abbiano
rispettato questa disposizione si prevede una riduzione del contributo alle
spese elettorali corrisposto dallo Stato: l’importo del rimborso previsto
dalla L. 157/1999[2]
è ridotto, fino a un massimo della metà, in misura direttamente proporzionale
al numero dei candidati in più rispetto a quello massimo consentito.
La somma eventualmente derivante dalla riduzione di cui
sopra è invece erogata, quale “premio”, ai partiti o gruppi politici
organizzati che abbiano avuta proclamata eletta una quota superiore a un terzo
di candidati di entrambi i sessi. Tale somma è ripartita proporzionalmente ai
voti ottenuti da ciascun partito o gruppo politico.
Disposizioni analoghe a quelle vigenti per l’elezione del
Parlamento europeo sono state previste anche
per le elezioni politiche e amministrative dal disegno di legge del Governo
recante “Disposizioni in materia di pari opportunità tra uomini e donne nell’accesso
alle cariche elettive” (c.d. “quote rosa”), approvato l’8 febbraio 2006 dal Senato in prima lettura (A.S. 3660).
Il provvedimento è stato trasmesso il giorno stesso alla Camera dei deputati
(C. 6330), tuttavia, lo scioglimento
anticipato delle Camere, avvenuto l’11 febbraio, non ha consentito di avviarne l’esame.
Il progetto si compone di tre articoli applicabili, il
primo, alle elezioni politiche, il secondo e il terzo, alle elezioni
amministrative.
L’articolo 1 prevede che nelle liste di candidati
presentate per la prima e la seconda elezione della Camera e del Senato
successive all’entrata in vigore del disegno di legge, nessun sesso possa
essere rappresentato in misura superiore alla metà dei candidati presenti nella lista. La medesima proporzione
deve essere rispettata anche qualora la presentazione delle candidature debba
aver luogo per gruppi di candidati.
L’articolo dispone anche per il caso in cui le liste debbano
essere composte da un elenco di candidati presentati secondo un determinato
ordine (c.d. “liste bloccate”). In questo caso:
§
per la prima elezione della Camera e del Senato
successive all’entrata in vigore della legge, ogni sesso non può altresì essere
rappresentato in una successione superiore a tre;
§
per la seconda elezione, ogni sesso non può
altresì essere rappresentato in una successione superiore a due.
Per i partiti o i movimenti che abbiano presentato liste o
gruppi di candidati senza rispettare la suddetta proporzione o l’ordine di
successione sopra illustrati, è prevista una riduzione del rimborso per le
spese elettorali per ogni candidato in più rispetto al consentito, che va dal
10 al 50 per cento in misura proporzionale al numero totale dei candidati del
complesso delle liste o dei gruppi di candidati. Così è disposto per le prime elezioni politiche successive all’entrata
in vigore della legge.
Per le elezioni politiche ancora successive, è direttamente sancita la inammissibilità delle liste o dei gruppi di candidati non rispettose delle proporzioni e
successioni stabilite. L’unica deroga consentita è nel caso in cui il mancato
rispetto sia dovuto al decesso di un candidato. Se invece la proporzione o la
successione non siano rispettate per la ricusazione o la cancellazione di una
candidatura, o in caso di rinuncia alla medesima, la riduzione del contributo
alle spese elettorali precedentemente prevista viene raddoppiata.
La proposta stabilisce inoltre che il Presidente del
Consiglio entro tre mesi dalle elezioni riferisca
alle Camere sull’esito applicativo delle previsioni del disegno di legge,
proponendo anche le misure ritenute necessarie per migliorare la promozione
delle pari opportunità nell’accesso non solo alle cariche parlamentari, ma
anche alle nomine alle più alte cariche istituzionali (CSM, Corte
costituzionale, varie Autorità) e in tutte le cariche di responsabilità nelle
quali il sesso femminile è ancora scarsamente presente.
Gli articoli 2 e 3 intervengono sulle disposizioni del Testo unico enti locali[3] che disciplinano il sistema elettorale per le consultazioni amministrative.
In relazione all’elezione del sindaco e del consiglio comunale nei comuni sino a
15.000 abitanti (art. 71 T.U.), il progetto prevede che in ogni lista di
candidati alla carica di consigliere comunale non si ammette un numero di
candidati dello stesso sesso superiore ai due
terzi dei consiglieri da eleggere. I candidati in eccesso non vengono
ammessi, a partire dal fondo dell’ordine di lista.
Analogamente viene disposto per l’elezione a consigliere
comunale nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti (art. 73 T.U.).
Per l’elezione del consiglio provinciale (art. 75 T.U.) il disegno di legge introduce la previsione
secondo cui in ogni gruppo di candidati collegati nessuno dei due sessi può
essere rappresentato in misura superiore ai due terzi del totale dei candidati.
In caso di inosservanza la sanzione è comminata dal prefetto che irroga,
proporzionalmente a ogni violazione, una pena pecuniaria di 10mila euro per
ogni violazione fino a un massimo di 100 mila euro.
Sulla base della norma di delega da ultimo[4] contenuta nell’art. 6 della L. 246/2005 (legge di semplificazione 2006)[5] che ha demandato al Governo il compito di procedere al riassetto normativo delle disposizioni vigenti in materia di pari opportunità, il Governo ha adottato uno schema di decreto legislativo recante il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, volto a raccogliere e semplificare tutta la normativa statale sull’uguaglianza dei sessi vigente nei vari settori della vita politica, sociale ed economica. Secondo quanto precisato dalla norma di delega, l’azione di riassetto normativo è stata estesa anche alla legislazione relativa al contrasto di ogni forma di discriminazione basata, oltre che sul sesso, anche sulla razza o l’origine etnica.
Il testo è stato trasmesso alle competenti commissioni parlamentari ai fini dell’espressione del parere che, tuttavia, non è stato reso[6]. Si segnala, a ogni modo, che il termine per l’esercizio della delega è fissato ad un anno dalla entrata in vigore della legge, ossia il 16 dicembre 2006.
Lo schema di Codice è suddiviso in quattro Libri, aventi rispettivamente ad oggetto:
§ disposizioni per la promozione delle pari opportunità tra uomo e donna (Libro I, artt. 1-23);
§ pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti etico-sociali (Libro II, artt. 24 e 25);
§ pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti economici (Libro III, artt. 26-57);
§ pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti civili e politici (Libro IV, artt. 58-59).
Ciascun Libro si articola a sua volta in Titoli e Capi, per un totale di 59 articoli.
L’articolo 1
individua l’oggetto del
provvedimento in esame.
L’articolo 2
conferma la competenza del Presidente
del Consiglio dei ministri in tema di promozione e coordinamento delle
azioni di Governo concernenti la pari opportunità.
Gli articoli da 3 a 8
disciplinano la Commissione per le pari
opportunità tra uomo e donna, istituita presso il Dipartimento per le pari
opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Gli articoli da 9 a 12
recano la disciplina relativa alla composizione, al funzionamento e ai compiti
del Comitato nazionale per l’attuazione
dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra
lavoratori e lavoratrici.
Gli articoli da 13 a 21
recano la disciplina delle consigliere e
dei consiglieri di parità: le
modalità e i requisiti per la nomina, la durata del mandato, i compiti e le
funzioni, la sede, la disciplina dei permessi retribuiti e l’eventuale
indennità, il Fondo per l’attività delle consigliere e dei consiglieri di
parità, la Rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità, la
relazione ministeriale al Parlamento relativa all’applicazione della
legislazione sulle pari opportunità nel settore del lavoro.
Gli articoli 22 e 23
disciplinano, rispettivamente, la composizione e l’attività del Comitato per l’imprenditoria femminile
istituito, con compiti di indirizzo e di programmazione generale, presso il
Ministero delle attività produttive.
L’articolo 24, in
tema di pari opportunità nei rapporti
familiari, opera un rinvio alle norme del codice civile in materia (artt.
143 e ss.); l’articolo 25 fa rinvio alla
L. 154/2001[7], che
ha inserito nel codice civile un nuovo Titolo IX bis concernente gli Ordini di
protezione contro gli abusi familiari.
Gli articoli da 26 a 36 disciplinano le pari opportunità nel lavoro, con particolare riferimento ai divieti di discriminazione sia diretta sia indiretta nell’accesso, nel trattamento retributivo, nella carriera, nelle prestazioni previdenziali, nell’accesso negli impieghi pubblici e nel reclutamento nelle forze armate. Si prevede inoltre il divieto di licenziamento per causa di matrimonio, disponendo, tra l’altro, la nullità delle previsioni contrattuali che prevedano la risoluzione del rapporto di lavoro come conseguenza del matrimonio.
Gli articoli da 37 a 42 dettano disposizioni in tema di tutela giudiziaria, riproducendo essenzialmente il contenuto di alcune disposizioni della L. 125/1991[8], e della L. 903/1977[9]. Vengono pertanto disciplinati i temi della legittimazione processuale, delle particolari procedure giurisdizionali ed amministrative destinate ala tutela delle situazioni contemplate, nonché le sanzioni applicabili.
Gli articoli da 43 a 52 disciplinano le azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, ovvero le misure aventi lo scopo di rimuovere le diseguaglianze che impediscono la realizzazione della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in ambito lavorativo. In particolare vengono disciplinate le finalità, la promozione e il finanziamento delle azioni positive. Disposizioni particolari sono rivolte alle azioni positive nel pubblico impiego e nel settore radiotelevisivo. Vengono inoltre richiamate misure previste dalla vigente legislazione a sostegno della flessibilità di orario e a tutela della maternità e paternità.
Gli articoli da 53 a 57 recano disposizioni volte a promuovere l’uguaglianza e le pari opportunità tra uomini e donne nell’ambito dell’attività economica, con particolare riguardo alle azioni a favore dell’imprenditoria femminile, riproducendo disposizioni presenti nella legge sull’imprenditoria femminile (L. 215/1992[10]).
L’articolo 58 reca misure di incentivazione alla presenza di candidature femminili nelle liste per l’elezione del Parlamento europeo.
L’articolo 59 elenca le disposizioni legislative abrogate a decorrere dall’entrata in vigore del provvedimento in esame.
Con riferimento al diverso e collegato profilo della promozione delle pari opportunità sul luogo di lavoro, ambito nel quale, nel corso degli anni, il legislatore ha provveduto a creare una serie di strumenti per contrastare le discriminazioni e promuovere l’occupazione femminile, nella XIV legislatura, con specifico riguardo al lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, si segnala l’approvazione della L. 145/2002[11], di riordino della dirigenza statale, che ha esteso espressamente anche alla dirigenza le forme di tutela della parità dei sessi nella pubblica amministrazione previste nel testo unico sul pubblico impiego[12].
Il citato Testo unico prevede (art. 7, co. 1) che tutte le
amministrazioni pubbliche debbano garantire la parità di trattamento e le pari
opportunità tra gli uomini e le donne per l’accesso al lavoro e per il
trattamento sul lavoro.
A tal fine le pubbliche amministrazioni (art. 57):
§
riservano alle donne, salva motivata impossibilità,
almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso;
§
adottano regolamenti per assicurare pari
opportunità fra uomini e donne sul lavoro, conformemente alle direttive
impartite dalla Presidenza del Consiglio;
§
garantiscono la partecipazione delle proprie
dipendenti ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale, adottando
modalità organizzative atte a favorirne la partecipazione, consentendo la
conciliazione fra vita professionale e vita familiare;
§
possono finanziare programmi di azioni positive
e l’attività dei Comitati pari opportunità nell’ambito delle disponibilità di
bilancio.
Nel dettaglio, l’articolo 3, comma 1, della L. 145/2002, alle lettere e) ed f), novella il testo unico sul pubblico impiego per stabilire che i criteri di conferimento degli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale e di direzione degli uffici di livello dirigenziale - conferiti, rispettivamente, ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 19 del T.U. – tengano conto delle condizioni di pari opportunità disposte dal citato art. 7 del T.U.
Con riguardo, infine, ai profili organizzativi, nella
XIV legislatura è stato emanato il D.Lgs. 226/2003[13] che ha operato una
riforma complessiva della Commissione per le pari opportunità tra uomo e
donna, operante presso il
Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio.
Il decreto è stato
adottato in virtù della norma di delega recata dall’art. 13 della L. 137/2002[14],
che ha autorizzato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi
per riordinare le disposizioni in tema di parità e pari opportunità tra uomo e
donna, sulla
base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
§
razionalizzare gli organismi titolari di
competenze generali in materia di parità e di pari opportunità tra uomo e donna
che operano a livello nazionale e le relative funzioni, anche mediante
accorpamento e riduzione del numero dei componenti;
§ ricondurre alla Presidenza del Consiglio dei Ministri la funzione di coordinamento delle attività svolte da tutti gli organismi titolari di competenze generali in materia di parità e di pari opportunità tra uomo e donna che operano a livello nazionale.
Con tali premesse, il decreto legislativo in commento è intervenuto sulla struttura e le competenze della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna.
Tale Commissione, operante fin dal 1984, in forza di un decreto del Presidente del Consiglio, è stata istituita dall’art. 21, co. 2, della L. 400/1988[15] e successivamente disciplinata con la L. 164/1990[16] quale organo consultivo e di proposta del Presidente del Consiglio dei ministri con il compito di elaborare e promuovere iniziative per assicurare l’uguaglianza tra i sessi.
Il D.Lgs. 226 ha provveduto in primo luogo a cambiare la denominazione della Commissione (in origine era Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità fra uomo e donna) e a trasformarla in organo consultivo e di proposta del ministro per le pari opportunità, presso il relativo Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri
Quanto alle competenze, la Commissione fornisce al ministro, che la presiede, consulenza e supporto tecnico-scientifico nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche di pari opportunità fra uomo e donna.
In particolare la Commissione:
§
formula proposte al Ministro per l’elaborazione
delle modifiche normative necessarie a rimuovere qualsiasi forma di
discriminazione, sia diretta che indiretta, nei confronti delle donne ed a
conformare l’ordinamento giuridico al principio di pari opportunità, fornendo
elementi informativi, documentali, tecnici e statistici, utili ai fini della
predisposizione degli atti normativi;
§
cura la raccolta, l’analisi e l’elaborazione di
dati allo scopo di verificare lo stato di attuazione delle politiche di pari
opportunità nei vari settori della vita politica, economica e sociale e di
segnalare le iniziative opportune;
§
redige un rapporto annuale per il Ministro sullo
stato di attuazione delle politiche di pari opportunità;
§
fornisce consulenza tecnica e scientifica in
relazione a specifiche problematiche su richiesta del Ministro o del
Dipartimento per le pari opportunità;
§
svolge attività di studio e di ricerca in
materia di pari opportunità fra uomo e donna.
Le competenze della Commissione non riguardano la materia della parità fra i sessi nell’accesso al lavoro e sul lavoro.
La Commissione è nominata con decreto del ministro e dura in
carica due anni. Essa è composta da venticinque
componenti, di cui:
§
undici prescelti nell’ambito delle associazioni
e dei movimenti delle donne maggiormente rappresentativi sul piano nazionale;
§
quattro prescelti nell’ambito delle
organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano
nazionale;
§
quattro prescelti nell’ambito delle
organizzazioni imprenditoriali e della cooperazione femminile maggiormente
rappresentative sul piano nazionale;
§
tre prescelti fra le donne che si siano
particolarmente distinte, per riconoscimenti e titoli, in attività
scientifiche, letterarie e sociali;
§
tre rappresentanti regionali di pari opportunità
designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano.
Il D.Lgs. 226 individua inoltre la composizione dell’Ufficio di presidenza
della Commissione e prevede la possibilità che essa si avvalga, nelle proprie
attività, della collaborazione di esperti e consulenti.
Le disposizioni transitorie attribuiscono al ministro il compito di determinare, con apposito regolamento, quali tra le attribuzioni, competenze e rapporti giuridici, previsti dalla vigente normativa in capo alla precedente Commissione nazionale per la parità, sono trasferiti alla nuova Commissione[17].
[1] Legge 8 aprile 2004, n. 90, Norme in materia di elezione dei membri del Parlamento europeo e altre disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi nell’anno 2004.
[2] Legge 3 giugno 1999, n. 157, Nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici.
[3] D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
[4] Si ricorda, infatti, che in materia era già intervenuto l’art. 13 della Legge 6 luglio 2002, n, 137, Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici, che aveva conferito al Governo una delega per il riassetto, tra l’altro, delle disposizioni in tema di parità e pari opportunità tra uomo e donna. Scaduto inutilmente il termine per l’esercizio della delega, la successiva legge 27 luglio 2004, n. 186, di conversione del decreto legge 28 maggio 2004, n. 136, recante Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione. Disposizioni per la rideterminazione di deleghe legislative e altre disposizioni connesse, ha riproposto la stessa delega richiamando anche gli stessi principi e criteri direttivi. Ancora una volta, tuttavia, la delega non è stata esercitata.
[5] Legge 28 novembre 2005, n. 246, Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005.
[6] Lo schema di decreto legislativo in esame, trasmesso alla Presidenza della Camera il 31 gennaio 2006 (atto n. 602), è stato esaminato dalla Commissione Affari costituzionali nelle sedute del 7, 8 e 15 febbraio 2006. La Commissione tuttavia, ha accertato l’insussistenza delle condizioni per poter procedere a deliberazioni definitive sul provvedimento poiché esso risultava non ancora corredato del prescritto parere del Consiglio di Stato, reso il successivo 27 febbraio, durante il periodo di scioglimento delle Camere.
[7] Legge 4 aprile 2001, n. 154, Misure contro la violenza nelle relazioni
familiari.
[8] Legge 10 aprile 1991, n. 125, Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro.
[9] Legge 9 dicembre 1977, n. 903, Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro.
[10] Legge 25 febbraio 1992, n. 215, Azioni positive per l’imprenditoria
femminile.
[11] Legge 15 luglio 2002, n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato.
[12] Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (art. 7, co. 1 e art. 57).
[13] Decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, Trasformazione della Commissione nazionale per la parità in Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 13 della legge 6 luglio 2002, n. 137.
[14] Legge 6 luglio 2002 n. 137, Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici.
[15] L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il comma 2 del
citato art. 21 è abrogato dal decreto legislativo in commento.
[16] L. 22 giugno 1990, n. 264, Norme sulla composizione ed i compiti della
Commissione di cui al comma 2 dell’articolo 21 della L. 23 agosto 1988, n. 400.
La legge è stata interamente abrogata dal decreto legislativo in commento.
[17] In attuazione di tale disposto, il ministro per le pari opportunità ha adottato il D.M. 19 maggio 2004, n. 275, Regolamento recante norme per l’organizzazione ed il funzionamento della Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna ai sensi dell’articolo 6, comma 2, del D.Lgs. 31 luglio 2003, n. 226.