Servizi pubblici locali – Le norme del Testo unico enti locali

La disciplina generale dei servizi pubblici locali, risultante dalle innovazioni introdotte nel corso della XIV legislatura (v. capitolo Disciplina dei servizi pubblici locali), è contenuta principalmente nel testo unico delle disposizioni in materia di enti locali adottato con il decreto legislativo 267/2000[1].

La normativa prevede un diverso regime tra la gestione dei servizi di rilevanza economica (art. 113) e di quelli privi di rilevanza economica (art. 113-bis).

Tuttavia, occorre precisare fin d’ora che le disposizioni dell’art. 113-bis del testo unico (introdotto dall’art. 35 della L. 448/2001[2], legge finanziaria per il 2002) sono state giudicate illegittime dalla Corte costituzionale (sentenza n. 272/2004; vedi oltre). Pertanto, solamente i servizi pubblici di rilevanza economica risultano disciplinati a livello statale.

Ambito di applicazione

L’articolo 113 disciplina la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

Quanto alla definizione di servizi di rilevanza economica essa si può desumere indirettamente dall’art. 2082 del codice civile che definisce l’imprenditore come colui che esercita “un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.

L’introduzione di tale definizione si deve all’art. 14 del D.L. 269/2003[3], che ha sostituito la precedente distinzione tra servizi di rilevanza industriale e servizi privi di rilevanza industriale.

La novella accoglie uno dei rilievi alla base della procedura d’infrazione attivata da parte della Commissione europea (v. capitolo Disciplina dei servizi pubblici locali).

 

La Commissione aveva infatti eccepito che la qualificazione di alcune categorie di servizi pubblici come “servizi privi di rilevanza industriale” non avrebbe potuto comunque avere l’effetto di sottrarre l’affidamento di tali servizi alle regole comunitarie in materia di appalti e di concessioni. In tal senso, la separazione fra una disciplina dei servizi pubblici di rilevanza economica (art. 113 del TU) e una disciplina dei servizi pubblici “privi di rilevanza economica” (art. 113-bis del TU) appare più coerente con i principi del diritto comunitario, che comprende nell’ambito delle proprie norme tutte le attività economiche di prestazione di beni e servizi (art. 50 del Trattato), sottoponendole – in quanto tali – al rispetto delle norme e dei principi del Trattato.

 

Il comma 1 dell’art. 113 definisce l’ambito di applicazione delle disposizioni successive, specificando che esse:

§      si applicano ai servizi pubblici locali di rilevanza industriale;

§      concernono la tutela della concorrenza;

§      sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore afferenti ai servizi pubblici locali;

§      lasciano ferme le disposizioni prevista per i singoli settori;

§      lasciano ferme le disposizioni necessarie all’attuazione di specifiche normative comunitarie in materia;

§      non si applicano ai settori dell’energia elettrica e del gas (disciplinati, rispettivamente, dal D.Lgs. 79/1999[4] e dal D.Lgs. 164/2000[5]).

Successivamente, anche il settore del trasporto pubblico locale è stato escluso espressamente dal regime generale dei servizi pubblici locali (art. 1, comma 48, della L. 308/2004[6], che aggiunge un comma 1-bis all’art. 113 del testo unico; lo stesso art. 1, co. 48, ha sottratto al regime generale anche gli impianti di trasporti a fune nelle località turistiche montane).

Pertanto, le maggiori attività di erogazione di servizi pubblici locali (elettricità, gas e trasporto pubblico locale) sono esclusi dall’ambito di applicazione delle norme del testo unico.

 

In proposito, si pone anche il problema del rapporto tra norme statali e legislazione regionale. Infatti, nel nuovo art. 117 della Costituzione la disciplina dei servizi pubblici locali non è compresa né tra le competenze esclusive dello Stato, né fra quelle concorrenti, e pertanto parrebbe da considerarsi di competenza piena (residuale) delle regioni.

La Corte costituzionale, con la (sentenza n. 272/2004) ha contribuito a chiarire in modo significativo sia il rapporto tra normativa generale e normativa di settore, sia quello tra competenza legislativa statale e competenza legislativa regionale.

Secondo la Corte la disciplina dei servizi pubblici locali “può essere agevolmente ricondotta nell’ambito della materia tutela della concorrenza, riservata dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato”. La stessa Corte, secondo un indirizzo giurisprudenziale costante, dà, inoltre, una interpretazione ampia del principio della tutela della concorrenza, concernente oltre alla tutela vera e propria anche l’adozione di misure di promozione della concorrenza stessa. Tutela e promozione sono dunque gli ambiti di manovra legittimi per il legislatore statale, che non possono essere derogati né dalle regioni, né dalle norme settoriali.

Centrale, sotto questo profilo, è la dichiarazione, contenuta nell’art. 14 di modifica del comma 1 dell’art. 113 del testo unico, secondo cui le disposizioni sulle modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica “concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore”. Tale disposizione per la Corte: “si può dunque sostanzialmente considerare una norma-principio della materia, alla cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni in esame nonché il rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioè che il titolo di legittimazione dell’intervento statale in oggetto è fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e che la disciplina stessa contiene un quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale”.

La proprietà e la gestione delle reti

La proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni, destinati all’esercizio dei servizi pubblici di rilevanza economica deve comunque rimanere pubblica (art. 113, co. 2).

Agli enti locali è rimessa la scelta tra il possesso diretto delle reti ovvero il loro conferimento a società di capitali delle quali, in ogni caso, debbono detenere la maggioranza.

Infatti, in alternativa al controllo diretto, il comma 13 dell’articolo 113 prevede che gli enti locali possono conferire la proprietà delle reti degli impianti e delle altre dotazioni a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile. Queste società a loro volta pongono le reti a disposizione di gestori del servizio a fronte del pagamento di un canone. La quantificazione del canone è demandata alla Autorità nazionale di settore, ove costituita, come per esempio nel settore dell’elettricità e del gas, ovvero, in assenza all’ente locale.

Per l’individuazione dei casi in cui l’attività di gestione delle reti e degli impianti può essere separata dall’attività di erogazione dei servizi l’art. 113 fa rinvio alle discipline di settore (comma 3). Si afferma, inoltre, il principio per cui deve comunque essere garantito l’accesso alla rete a tutti gli operatori legittimati all’erogazione dei relativi servizi. In sostanza, il testo non stabilisce alcuna preferenza in ordine al contestuale svolgimento, da parte di un medesimo soggetto, dell’attività di gestione delle reti e dello svolgimento del servizio.

Nel caso di separazione fra attività di gestione delle infrastrutture e attività di erogazione dei servizi (comma 4), l’ente locale può affidare la gestione delle reti e delle infrastrutture secondo due modalità:

§         affidamento diretto a società di capitali interamente pubbliche secondo la procedura in house (vedi oltre);

§         gara pubblica.

Va peraltro segnalata un’ulteriore disposizione in materia di gestione delle reti; si tratta, in particolare, della previsione di cui all’ultimo periodo del comma 13 dell’art. 113, in base al quale gli enti locali possono decidere di assegnare la gestione stessa alle società cui i medesimi enti hanno la facoltà di conferire le reti e gli impianti. Si ricorda che la maggioranza del capitale di tale facoltà deve in ogni caso essere detenuta dagli stessi enti locali.

 

La legge finanziaria 2004 (art. 4, co. 234, lett. a) ha integrato la disciplina sopra esposta.

Il testo del nuovo comma 5-ter dispone sull’esecuzione dei lavori connessi alla gestione della rete secondo tre diverse modalità a seconda che la gestione della rete (separata o integrata con la gestione dei servizi) sia stata o meno affidata con gara ad evidenza pubblica, o che la gara abbia avuto ad oggetto esclusivamente la gestione del servizio relativo alla rete.

§         Qualora la gestione della rete sia stata affidata senza gara, i gestori provvedono all’esecuzione dei relativi lavori:

-       con appalti o concessioni con procedure di evidenza pubblica,

-       ovvero in economia nei limiti di cui all’art. 24 della legge 11 febbraio 1994 n. 109[7] e all’art. 143 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554[8].

§         Qualora la gestione della rete sia stata affidata con gara, il gestore può realizzare direttamente i relativi lavori a due condizioni:

-       che sia qualificato ai sensi della normativa vigente e

-       che la gara abbia compreso – oltre al servizio relativo alla rete – anche l’esecuzione dei lavori connessi.

§         Qualora, invece, la gara abbia compreso solo il servizio relativo alla rete, il gestore deve appaltare i lavori a terzi con le procedure ad evidenza pubblica;

L’erogazione dei servizi

Il comma 5 dell’articolo 113 reca le disposizioni volte a liberalizzare il mercato dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale.

In particolare, viene definito il tipo di concorrenza che si può applicare al settore. In particolare, piuttosto che imporre l’introduzione di forme di concorrenza nel mercato (ossia la contemporanea presenza nel mercato di una molteplicità di soggetti fornitori dei medesimi servizi, con la possibilità da parte degli utenti di scegliere indifferentemente a quale di essi ricorrere), viene prospettata la necessità di assicurare la concorrenza per il mercato, attraverso il conferimento della titolarità del servizio, che viene esercitato in regime di monopolio, ma attraverso l’espletamento di gare di evidenza pubblica, alle quali tutti gli operatori (pubblici e privati) partecipano su un piano di parità.

L’art. 35 della legge 448 individuava una sola modalità di esercizio dell’attività di erogazione dei servizi pubblici locali: affidamento a società di capitali mediante procedure di evidenzia pubblica.

L’art. 14 del decreto legge 269 ha ampliato le forme di affidamento prevedendo due ulteriori possibilità:

§         affidamento a società a capitale misto pubblico-privato;

§         affidamento in house a società a capitale interamente pubblico alle condizioni viste sopra per la gestione delle infrastrutture

 

Per quanto riguarda la scelta della società di capitali, la norma si inserisce in un processo normativo che ha progressivamente individuato strumenti operativi per favorire, nella gestione dei servizi pubblici locali, la forma societaria. Con la L. 142/1990 (art. 22) per la prima volta si individua la società per azioni, sia pure a prevalente proprietà pubblica (le cosiddette società miste), tra le forme di gestione dei servizi pubblici locali accanto a forme tipiche del diritto pubblico (concessione, azienda speciale, istituzione ecc.). Nel decennio successivo l’ordinamento si muove in due direzioni. Da un lato si amplia e si fa più articolato il ricorso a istituti di diritto privato: introduzione tra le forme di gestione della società per azioni non a maggioranza pubblica (art 12, L. 498/92) e della società a responsabilità limitata (art. 17, comma 58, L. 127/97); dall’altro, si moltiplicano gli incentivi ad utilizzare tali istituti: tra questi si ricordano l’esenzione tributarie per i trasferimenti di beni effettuati dagli enti locali a favore delle società miste (D.L. 6/1991, conv. L. 80/1991), la definizione di una disciplina dettagliata per la costituzione delle società miste a prevalente capitale privato (D.P.R. 533/1996), la semplificazione delle procedure di trasformazione delle aziende speciali in società per azioni (art. 17, co. 48 e 51-58, L. 127/1997).

L’art. 35 della legge 448 porta a compimento tale percorso con l’individuazione della società di capitali come unica forma di gestione dei servizi pubblici locali e con il conseguente obbligo delle aziende speciali di trasformarsi in società di capitali[9] (vedi oltre: comma 8).

 

Il riferimento alle procedure ad evidenza pubblica, ai fini dell’individuazione del soggetto idoneo, rende applicabili alla ipotesi in esame le norme di cui alla direttiva CEE n. 50 del 1992, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di servizi, recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 157/1995, ora confluito nel D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.

 

Di particolare rilievo, l’innovazione introdotta dall’art. 14 del D.L. 269, che prevede la possibilità di affidare l’erogazione dei servizi a società a capitale pubblico sul quale l’ente pubblico proprietario vi eserciti un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente pubblico che la controllo (c.d. affidamento in house). Tale tipologia di affidamento è espressamente esclusa dall’ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006, art. 15).

 

Per quanto riguarda questa particolare modalità di esercizio dei servizi pubblici locale è opportuno richiamare la circolare del Dipartimento politiche comunitarie 1° marzo 2002, n. 3944 Procedure di affidamento delle concessioni di servizi e di lavori (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 102 del 3 maggio 2002) dove viene chiarito che “la normativa europea in tema di appalti pubblici, in particolare di servizi, non trova applicazione (e pertanto l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito anche senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle norme comunitarie) solo quando manchi un vero e proprio rapporto giuridico tra l’ente pubblico e il soggetto gestore, come nel caso, secondo la terminologia della Corte di giustizia, di delegazione interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale, in house (cfr. Corte di giustizia, sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal). In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta, l’applicazione delle direttive comunitarie può essere esclusa nel caso in cui l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa persona (giuridica) realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie per controllo analogo s’intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alla procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie innanzi citate. Al contrario, ove non ricorra un siffatto controllo gestionale ed economico dell’ente pubblico sul soggetto gestore ma l’affidamento riguardi un servizio in cambio della gestione dello stesso come corrispettivo (e dunque configuri, secondo l’interpretazione della commissione, una concessione di servizi) l’aggiudicazione del servizio deve in ogni caso avvenire nel rispetto dei principi comunitari di trasparenza e di parità di trattamento che impongono la necessità di seguire procedure di evidenza pubblica”.

 

Le normative di settore possono introdurre regole che assicurino la concorrenzialità nella gestione dei servizi, al fine di superare assetti monopolistici, prevedendo criteri di gradualità nella scelta della modalità di conferimento del servizio. (comma 5-bis dell’art. 113 TU, introdotto dalla legge 350/2003. legge finanziaria 2004 (art. 4, comma 234, lett. a)).

Viene fatto salvo il rispetto delle disposizioni di cui al comma 5 che rinvia alle discipline di settore e prevede una triplice possibilità di conferimento della titolarità del servizio (società di capitali individuate con evidenza pubblica; società a capitale misto pubblico privato alle condizioni previste; affidamento c.d. “in house”).

Il comma 6 dell’art. 113 individua alcuni casi di esclusione dalla partecipazione alle gare.

Si tratta, in particolare:

§         delle società che gestiscono, anche all’estero e a qualunque titolo servizi pubblici locali in affidamento diretto o a seguito di una procedura non a evidenza pubblica o a seguito dei relativi rinnovi;

§         delle società di gestione delle reti, qualora le discipline di settore stabiliscano la separazione tra l’attività di gestione delle reti e quella di erogazione del servizio (si veda sopra: commi 3 e 4).

Tali divieti sono estesi anche alle società controllate e collegate.

 

Per quanto concerne la nozione di controllo delle imprese, Il codice civile reca una definizione riferita alle società per azioni (art. 2359 c.c.). Sono società controllate:

§         le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (si tratta del c.d. controllo di diritto);

§         le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;

§         le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Nei primi due casi si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; ma non i voti spettanti per conto di terzi.

Si definiscono collegate, invece, le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. Si presume l’influenza quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa.

Tale disciplina è stata integrata dalla legge istitutiva dell’Autorità anti-trust che ha ampliato ed approfondito il concetto di controllo ai fini dei compiti istituzionali dell’Autorità, volti a tutelare il diritto di iniziativa economica (L. 287/1990, art. 7). Per questi fini si ha controllo, oltre che nei casi contemplati dall’articolo 2359 c.c., in presenza di diritti o contratti che conferiscono la possibilità di esercitare un’influenza determinante sulle attività di un’impresa, anche attraverso: diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su parti del patrimonio di un’impresa, diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono un’influenza determinante sulla composizione, sulle deliberazioni o sulle decisioni degli organi di un’impresa. Il controllo si estende anche alle persone o imprese che, pur non essendo titolari di tali diritti o contratti, abbiano il potere di esercitare i diritti che ne derivano.

 

La legge individua alcuni criteri e modalità per lo svolgimento delle gare di affidamento (art. 113, comma 7). In particolare:

§         le gare devono essere indette nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza, definiti dalla competente Autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti locali;

§         le gare sono aggiudicate sulla base del migliore livello di qualità e sicurezza e delle condizioni economiche e di prestazione del servizio, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale.

Il secondo criterio individuato dall’art. 113 è stato giudicato illegittimo dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 272/2004: “L’estremo dettaglio nell’indicazione di questi criteri, […] va al di là della pur doverosa tutela degli aspetti concorrenziali inerenti alla gara […]. È evidente quindi che la norma in esame, prescrivendo che deve considerarsi integrativa delle discipline settoriali di fonte regionale la disposizione estremamente dettagliata ed autoapplicativa di cui al citato art. 113, comma 7, pone in essere una illegittima compressione dell’autonomia regionale, poiché risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza l’intervento legislativo statale”.

 

La possibilità di gestire più servizi pubblici integrati da parte di una sola impresa (c.d. multiutility) è contemplata dal comma 8 dell’art. 113, che ammette esplicitamente la possibilità di affidare più servizi con unica gara se ciò risulti economicamente più vantaggioso. Sono esclusi i servizi di trasporto. La durata dell’affidamento è unica per tutti i servizi e non può essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore.

Il comma 9 dell’art. 113 disciplina gli effetti della scadenza del periodo di affidamento e gli esiti delle gare di affidamento. In tali casi le reti, gli impianti e le altre dotazioni, di proprietà degli enti locali sono affidate al nuovo gestore. Si prevede, inoltre, che al nuovo gestore vengano trasferite le infrastrutture realizzate dal gestore uscente in attuazione dei piani di investimento e che venga riconosciuto un indennizzo pari al valore dei beni non ancora ammortizzati, il cui ammontare è indicato nel bando di gara.

Il comma 10 dell’art. 113 afferma il principio della parità di trattamento, in primo luogo sotto il profilo tributario, dei gestori di pubblici servizi. Si stabilisce, infatti, il divieto di introdurre regimi differenziati, anche con riferimento all’eventuale concessione di contributi o agevolazioni per lo svolgimento del servizio. La disposizione ha carattere generale, riferendosi a concessioni “da chiunque dovute”. Si può peraltro osservare che proprio il richiamo ad un obbligo di corrispondere contribuzioni o agevolazioni sembra riferirsi a rapporti ovvero a disposizioni preesistenti. In forza di tali disposizioni, non sarebbero ammissibili discriminazioni derivanti dalla diversa forma giuridica adottata dal soggetto erogatore del servizio.

Il comma 11 dell’art. 113 stabilisce che i rapporti tra società di erogazione del servizio e di gestione delle reti e degli impianti, da un lato, e gli enti locali, dall’altro, sono regolati da contratti di servizio allegati ai capitolati di gara. Detti contratti devono prevedere sia i livelli dei servizi da garantire, sia adeguati strumenti di controllo del rispetto di tali livelli.

 

Il contratto di servizio costituisce uno strumento innovativo per la regolazione dell’esercizio dei servizi di interesse pubblico che segna, in sostanza, il passaggio dal regime concessorio a quello negoziale.

Esso è stato inizialmente introdotto nel settore del trasporto pubblico locale con il Regolamento 1191/69/CEE così come modificato dal 1893/91/CEE.

In seguito, l’utilizzo di tale strumento è stato esteso anche agli altri settori dei servizi pubblici locali con il D.L. n. 26 del 1995 (L. n. 95 del 1995) che all’articolo 5 (ora articolo 114, comma 8, del testo unico degli enti locali) prevede la stipulazione di un contratto di servizio per disciplinare i rapporti tra ente locale ed azienda speciale.

Caratteristiche essenziali del contratto di servizio sono le seguenti:

§         previsione di una disciplina degli obblighi propri dei soggetti erogatori del servizio;

§         previsione di un corrispettivo per gli obblighi di servizio.

Il D.Lgs. 422/97 di disciplina del trasporto pubblico locale ha dato una compiuta definizione dei contenuti dei contratti di servizio che devono prevedere:

§         il periodo di validità;

§         le caratteristiche dei servizi offerti;

§         gli standard qualitativi minimi del servizio;

§         la struttura tariffaria;

§         gli oneri di servizio e le modalità di adeguamento della struttura tariffaria;

§         le modalità di revisione ed adeguamento del contratto stesso.

 

Il comma 12 dell’art. 113 disciplina la cessione da parte dell’ente locale delle partecipazioni nella società di capitali alla quale sia stata affidata l’erogazione dei servizi pubblici, disponendo che tale cessione non ha effetti in merito alla durata delle concessioni e degli affidamenti. La cessione non comporterebbe, quindi, alcuna soluzione di continuità relativamente ai rapporti in essere.

Si segnala inoltre che il comma 10 dell’articolo 35 della legge 448/2001, subordina la facoltà di cedere le partecipazioni nelle società erogatrici di servizi allo scorporo (disciplinato dal comma 9 dello stesso art. 35) delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni per l’esercizio dei servizi pubblici locali.

Le disposizioni in esame, che intervengono in ordine alle conseguenze della dismissione della partecipazione di controllo da parte dell’ente locale, sono dettate dall’esigenza di favorire la privatizzazione delle imprese pubbliche, senza che questo comporti un immediato obbligo di procedere ad un nuovo affidamento.

 

Come si è visto sopra (comma 3) l’articolo 113 affida alle discipline di settore il compito di stabilire la separazione o meno tra gestione delle reti ed erogazione del servizio che utilizza le medesime reti. Il comma 14 dell’art. 113 stabilisce che qualora le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali per la gestione di servizi di rilevanza industriale siano di proprietà di soggetti diversi rispetto agli enti locali, questi soggetti possono gestire i servizi solo a condizione che vengano rispettati gli standard qualitativi, quantitativi ambientali e di sicurezza stabiliti, ai sensi del comma 7 dell’art. 113, da parte dell’Autorità di settore o dagli enti locali e che siano praticate tariffe non superiori alla media regionale.

Altre disposizione in materia di servizi pubblici locali

L’art. 35 della legge 448 contiene altre disposizioni in materia di servizi pubblici locali non inserite nel testo unico.

Il comma 6 stabilisce che nel caso in cui le specifiche discipline di settore prevedono la gestione sovracomunale del servizio, i soggetti affidatari del servizio stipulano apposite convenzioni con i comuni di dimensione demografica inferiore a 5.000 abitanti anche al fine di assicurare il rispetto di standard adeguati di erogazione del servizio. In caso di inosservanza di tali standard da parte degli gestori operanti nel territorio del comuni di minore dimensione, i soggetti competenti all’affidamento del servizio nell’ambito sovracomunale provvedono alla revoca dell’affidamento in corso sull’intero ambito.

Il comma 7 prevede che al termine dell’affidamento, le imprese concessionarie reintegrano gli enti locali del possesso delle reti, degli impianti e delle infrastrutture utilizzate per la gestione dei servizi.

Il comma 8 prevede la trasformazione, entro il 30 giugno 2003, delle aziende speciali e dei consorzi che gestiscono servizi di rilevanza industriale in società di capitali. Si ricorda infatti che l’art. 113, comma 5, prevede che l’erogazione di tali servizi avvenga con conferimento a società di capitali.

Per quanto riguarda le modalità di trasformazione, si rinvia alle disposizioni contenute nell’articolo 115 del testo unico. Si tratta di norme di semplificazione delle procedure di trasformazione, introdotte dalla legge 15 maggio 1997, n. 127 (art. 17, commi 48 e 51-58), poi confluite nel testo unico.

 

Ai sensi dell’articolo 115 del testo unico (come modificato dal medesimo art. 35 dlela legge 448) le province e i comuni possono trasformare le aziende speciali e i consorzi in società di capitali con “atto unilaterale”, con l’unico obbligo da parte degli enti locali medesimi di non rimanere azionisti unici per più di due anni dalla trasformazione, e di aprire le società alla partecipazione di altri soggetti, anche privati. Tali società possono essere costituite anche ai fini della loro privatizzazione ai sensi del D.L. 332/94. Inoltre, viene lasciata aperta anche la possibilità della trasformazione parziale dell’azienda speciale mediante la sua scissione e il conferimento di un ramo aziendale ad una nuova società.

 

In attuazione del principio di separazione tra proprietà delle reti (pubblica) e gestione del servizio (in concorrenza), il comma 9, prevede che gli enti locali debbano provvedere a scorporare dalle società di cui detengano la maggioranza del capitale che, alla stessa data, gestiscano servizi pubblici locali e siano titolari delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, le medesime infrastrutture e dotazioni e il loro contestuale conferimento ad una nuova società di capitali, di cui gli enti locali detengano la maggioranza, a cui è affidata esclusivamente la proprietà delle reti e impianti.

La norma appare orientata alla creazione dei presupposti della privatizzazione del settore, anche in considerazione che il successivo comma 10 subordina, come già ricordato, la facoltà da parte degli enti locali di cedere le partecipazioni nelle società erogatrici di servizi solo successivamente alle operazioni di scorporo delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni per l’esercizio dei servizi pubblici locali.

Ai sensi del comma 11, in deroga alle disposizioni recate all’articolo 113, comma 2, del testo unico sugli enti locali, come sostituito dal comma 1, è consentita la cessione, totale o parziale, della partecipazione detenuta dagli enti locali nelle società erogatrici di servizi che siano proprietarie anche delle reti e degli impianti, senza l’obbligo del preventivo scorporo, nel caso in cui le medesime società siano già quotate in borsa ovvero quando si tratti di società la cui quotazione sia stata già deliberata dagli enti locali alla data del 1° gennaio 2002, fermo restando che il relativo procedimento deve concludersi entro il 31 dicembre 2003.

In tal caso si prevede la costituzione di un diritto di uso perpetuo e inalienabile a favore degli enti locali, ai sensi dell’articolo 1021 del codice civile, sulle reti, sugli impianti e sulle altre dotazioni patrimoniali ai fini della loro assegnazione al nuovo gestore delle reti a seguito della gara di affidamento successiva alla scadenza dell’affidamento.

In altre parole, le società di cui sopra mantengono la proprietà delle reti, l’affidamento per l’erogazione del servizio e, se la normativa di settore lo consente anche la gestione delle reti (vedi comma 3 del nuovo articolo 113). Una volta che l’affidamento della gestione delle reti o – nel caso di non separazione tra gestione delle reti e erogazione del servizio – dell’erogazione del servizio è scaduto, l’ente locale provvede all’affidamento della gestione delle reti, unitamente o meno alla gestione del servizio, attraverso gara pubblica. L’esito della gara può portare all’individuazione di un soggetto diverso dalle società di cui sopra, le quali sono tenute a cedere la gestione delle reti in virtù del diritto di uso sopra richiamato.

Il proprietario, nel caso si verifichi l’ipotesi di cui sopra di affidamento della gestione delle reti ad un soggetto diverso, rimane titolare del diritto della percezione di un canone.

La gestione dei servizi privi di rilevanza industriale

Per i servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale, non sussistendo particolari esigenze di tutela della concorrenza, la legge non ha previsto stringenti disposizioni volte all’apertura al mercato.

L’art. 113-bis del testo unico, aggiunto dall’art. 35 della legge 448, si limita a stabilire due possibili forme di gestione dei servizi non rilevanti:

§      l’affidamento diretto (tramite istituzioni, aziende speciali, o società di gestione in house) e

§      la gestione in economia.

 

Come anticipato all’inizio, le disposizioni dell’art. 113-bis sono state giudicate illegittime dalla Corte costituzionale nella più volte citata sentenza n. 272/2004 proprio in considerazione della non rilevanza ai fini economici dei servizi pubblici oggetto della norma. Essendo prive di rilevanza economica, a tali attività non sono applicabili criteri concorrenziali. Dal momento che la Corte giustifica l’intervento del legislatore statale nel settore dei servizi pubblici locali esclusivamente per gli aspetti di tutela della concorrenza, mentre la disciplina dei servizi di rilevanza industriale sono di competenza statale, quelli che sono privi di tale rilevanza rientrano nelle competenze delle autonomie territoriali.



[1]     D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

[2]     Legge 28 dicembre 2001, n. 448, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002).

[3]     D.L. 30 settembre 2003, n. 269, Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici (conv. con mod. in L. 24 novembre 2003, n. 326).

[4]     D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica.

[5]     D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164, Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144.

[6]     L. 15 dicembre 2004, n. 308, Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione.

[7]     La legge 11 febbraio 1994, n. 109, Legge quadro in materia di lavori pubblici, è confluita nel nuovo Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163). Le disposizioni dell’art. 24 co. 6, relative ai lavori in economia, sono ora comprese nell’art. 125 del Codice.

[8]     Il regolamento di cui al D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 è il Regolamento di attuazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109. Anche le disposizioni dell’art. 143 del D.P.R. 554 sono confluite nell’art. 125 del Codice.

[9]     Si ricorda che le società di capitali, disciplinate dagli artt. 2325 ss. del codice civile, sono:

§          le società per azioni;

§          le società a responsabilità limitata;

§          le società in accomandita per azioni.