Federalismo fiscale - L’Alta Commissione di studio

La legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289 del 2002) ha introdotto una serie di disposizioni espressamente “in funzione dell'attuazione del titolo V della parte seconda della Costituzione e in attesa della legge quadro sul federalismo fiscale”.

 

In particolare , l’articolo 3, comma 1, lettera b), ha disposto l’istituzione di una Alta Commissione di studio con il compito specifico di indicare al Governo i principi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione (v. capitolo Art. 119 Cost.: il federalismo fiscale).

I lavori dell’Alta Commissione di studio devono trovare il loro fondamento negli indirizzi formulati in un accordo che Stato, regioni ed enti locali devono raggiungere in sede di Conferenza Unificata, sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale.

Per consentire l'applicazione del principio della compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio di comuni, province, città metropolitane e regioni, previsto dall'articolo 119 della Costituzione, l’Alta Commissione è tenuta anche a proporre i parametri da utilizzare per la regionalizzazione del reddito delle imprese che hanno la sede legale e tutta o parte dell’attività produttiva in regioni diverse, e ciò per consentire l’applicazione del principio, previsto dall’articolo 119 della Costituzione, della compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibili, peraltro, non soltanto al territorio di regioni, ma anche di comuni, province e città metropolitane[1].

L’Alta Commissione di studio è stata istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 aprile 2003 (G.U. n. 143 del 23/6/2003), emanato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali, con il Ministro dell'interno e con il Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione. sono chiamati a partecipare anche i rappresentanti delle regioni e degli enti locali, designati della Conferenza Stato-regioni e autonomie locali.

 

Nella norma istitutiva era previsto che l’Alta Commissione presentasse una relazione al Governo entro il 31 marzo 2003. Entro il mese successivo, il Governo avrebbe dovuto presentare al Parlamento una relazione nella quale dar conto degli interventi, anche di carattere legislativo, necessari per dare attuazione all’articolo 119 della Costituzione.

Il termine per la presentazione della relazione al Governo sui principi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario è stato di anno in anno prorogato, da ultimo, al 30 settembre 2006 ai sensi dell’articolo 4-bis decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273 (legge n. 51/2006).

Nel caso in cui la scadenza del 30 settembre 2006 per la presentazione della relazione al Governo non sia rispettata, la Commissione è sciolta ed il Governo è tenuto a riferire al Parlamento, entro il 31 ottobre 2006, sui motivi per i quali non ha ritenuto di proporre l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

La relazione del 30 settembre 2005

La Commissione non ha potuto portare a termine il proprio lavoro in quanto non risulta ancora raggiunto l’Accordo in sede di Conferenza unificata tra Stato, regioni ed enti locali sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale, contenente gli indirizzi in base ai quali l’Alta Commissione di studio avrebbe dovuto predisporre la propria relazione al Governo.

Alla scadenza del 30 settembre 2005, comunque, la Commissione ha presentato un documento conclusivo (Relazione sull’attività dell’Alta Commissione) che costituisce una sintesi dell’intera attività svolta in ordine alla determinazione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale.

Tale relazione è stata elaborata sulla base dei criteri su cui avevano convenuto regioni ed enti locali in un documento del 18 giugno 2003, nel quale si avanzavano proposte in merito ai contenuti che avrebbe dovuto assumere l’accordo da raggiungere in sede di Conferenza unificata.

 

Nella relazione, la Commissione delinea i principi che essa trae dall’articolo 119 della Costituzione e dagli altri articoli connessi, ritenendo comunque che l’introduzione del nuovo federalismo fiscale – anche perché radicalmente diverso da quello configurato dal decreto legislativo n. 56/2000 – potrà avvenire solo gradualmente, «in tempi diversi e per parti (non in un unico momento e tutto insieme), e ciò nel rispetto di puntuali disposti volti a regolare una fase transitoria, non contemplata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, ma tuttavia imprescindibile»[2]. Su questo l’Alta Commissione è sulla stessa linea della Corte costituzionale, la quale ha indicato l’esigenza di «una disciplina transitoria che consenta l’ordinato passaggio dall’attuale sistema, caratterizzato dalla permanenza di una finanza regionale e locale ancora in non piccola parte ‘derivata’, cioè dipendente dal bilancio statale e da una disciplina statale unitaria di tutti i tributi, con limitate possibilità riconosciute a Regioni ed enti locali di effettuare autonome scelte, ad un nuovo sistema» (sent. n. 37/2004).

 

L’Alta Commissione propone una propria e completa lettura del sistema di finanza pubblica che – a suo avviso – dovrà derivare dalla attuazione del nuovo testo costituzionale e dalle indicazioni della Corte. Si tratta di un complesso di diciannove principi direttivi, taluni articolati al loro interno, che il legislatore statale dovrebbe porre a base della propria legge di coordinamento del sistema tributario e della finanza pubblica[3].

Queste indicazioni si traducono infine in una proposta-modello che, ad avviso dell’Alta Commissione e, in particolare, del suo Comitato tecnico scientifico, può costituire la base di una proposta intorno alla quale convogliare quell’accordo Stato, regioni, autonomie locali che è sinora mancato.

Uno schema indicativo di quella proposta può essere così riassunto:

1.      la parte maggiore delle entrate di regioni, province e comuni deve esser costituita da compartecipazioni ai grandi tributi erariali; questa compartecipazione deve però essere disciplinata in modo da rendere evidente il percettore di quella quota di tributi e, dunque, la sua responsabilità in proposito;

2.      le compartecipazioni devono poi essere affiancate da «tributi propri, capaci di fornire un gettito significativo e rispetto ai quali gli enti territoriali godano di ampi poteri di manovra, almeno delle aliquote»;

3.      ai comuni, come tributi propri, dovrebbe essere assegnata la quota prevalente dei prelievi sugli immobili e le utenze; i tributi che colpiscono le unità abitative e produttive, tributi sui rifiuti solidi, imposte sui trasferimenti, Irpef sulle unità immobiliari; in compartecipazione con lo Stato e le province, dovrebbero disporre di parte dei prelievi sull’automobile, quali le accise sulla benzina e sul gasolio per autotrazione, il bollo-auto o tassa automobilistica, trasformata quest’ultima in un prelievo per lo stazionamento sul suolo pubblico; ancora a questi potrebbe spettare una sovraimposta o, eventualmente, addizionale sull’IRE (IRPEF) e una quota di compartecipazione, diretta, quest’ultima, a sostenere i servizi sociali erogati;

4.      alle province, andrebbero come tributi propri quote minori dei prelievi su immobili e utenze; la quota prevalente dei prelievi sull’automobile, in compartecipazione con i comuni e lo Stato;

5.      alle regioni, i prelievi su alcolici, tabacchi e giochi e una sovraimposta o, eventualmente, una addizionale sull’Ire (IRPEF, come tributi propri e, principalmente, dovrebbe essere riservato uno spazio significativo per la definizione ed introduzione di tributi propri regionali, sia autonomi (su beni e cespiti riservati), sia derivati;

6.      allo Stato, infine, dovrebbe essere trasferita l’IRAP come tributo proprio, conservato l’intero gettito dell’Ires e una grande quota dell’IRE (IRPEF);

7.      alle risorse tributarie proprie e derivate dovrebbero poi affiancarsi i trasferimenti di natura perequativa, assumendo però la capacità fiscale come parametro della perequazione e abbandonando per questa il riferimento alla spesa storica. Il Comitato tecnico scientifico propone in proposito un modello di perequazione fiscale articolato su più livelli, in grado di incentivare sia lo sforzo fiscale degli enti, sia l’efficienza della loro azione amministrativa. Il trasferimento perequativo dovrebbe spettare a ciascuna regione (e a ciascun ente locale) in misura sufficiente ad integrare la copertura delle spese derivanti dalle funzioni ordinarie dell’ente. Un trasferimento, quindi, libero da vincoli di destinazione, determinato in misura inversa alla capacità tributaria (e, forse, allo sforzo fiscale) dell’ente, e in ragione del fabbisogno che l’ente non riesce a coprire con la somma delle risorse proprie (il gettito di tributi propri, compartecipazione e altre entrate). In questo contesto la perequazione sarebbe pertanto una funzione dello Stato, anche se – in via astratta – i medesimi criteri di dimensione e natura della perequazione potrebbero adattarsi anche ad un (apparente) sistema ‘orizzontale’ quale è quello disegnato dal decreto legislativo n, 56/2000.

 



[1]     Per quanto riguarda la regione Sicilia, è previsto specificamente che l'Alta Commissione indichi le modalità mediante le quali i soggetti passivi dell’IRPEF e dell’IRPEG che esercitano imprese industriali e commerciali con sede legale fuori dal territorio della Regione siciliana, ma che in essa dispongano di stabilimenti o impianti, assolvano la relativa obbligazione tributaria nei confronti della Regione stessa.

[2]     Cfr. Relazione sull’attività dell’Alta Commissione, pag. 18.

[3]     Per dare indicativamente il quadro di quei principi, può essere significativo, in primo approccio, riprodurne qui gli enunciati. Quei principi sono rivolti a garantire: a) una definizione dell’assetto delle competenze ... capace di garantire l’equilibrio economico e finanziario del Paese e la sostenibilità della finanza pubblica; b) la correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate ... in modo da ... garantire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa; c) il principio di responsabilità (implicito in quello di correlazione del punto precedente); d) la trasparenza e l’efficienza delle decisioni di entrata e di spesa; e) il concorso di tutte le amministrazioni pubbliche alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica posti dal patto di stabilità e crescita; f) l’uniformità dei sistemi contabili che consenta l’affidabilità elle informazioni sugli andamenti di finanza pubblica; g) limitare alle sole spese di investimento l’indebitamento di regioni e autonomie locali; h) limitare i trasferimenti a destinazione vincolata; i) limitare i trattamenti fiscali agevolativi; la sufficienza delle risorse finanziarie attribuite a regioni ed enti locali; k) l’obbligo per le regioni di garantire, nella loro legislazione, autonomia ed equilibrio finanziario degli enti locali; l) la razionalità e coerenza del sistema tributario e dei singoli tributi fra loro; m) la continenza e la responsabilità nell’imposizione di tributi propri; n) l’omogeneità dei tributi regionali e locali; p) l’impegno a rispettare il principio di sussidiarietà fiscale; q) il divieto di doppia imposizione sulla medesima fattispecie imponibile; r) la lealtà istituzionale fra tutti i livelli di governo; s) i principi di territorialità neutralità dell’imposizione e divieto di esportazione (rilocazione) delle imposte.