L’attività legislativa della XIV legislatura in materia di
finanza regionale e locale è stata profondamente condizionata dalla entrata in
vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, di modifica del Titolo V della Costituzione, approvata al termine
della legislatura precedente.
La legge ha infatti apportato significative innovazioni
all’assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali,
ponendo le basi per un ulteriore sviluppo in senso federale del sistema fiscale
italiano.
Il termine "federalismo
fiscale" non designa un sistema specifico di finanziamento degli enti
territoriali ma indica, negli ordinamenti articolati su più livelli di governo,
un assetto dei rapporti finanziari tra Stato ed enti locali, improntato a due
principi essenziali:
§ l’autonomia finanziaria di entrata e di
spesa e la disponibilità di risorse autonome per gli enti territoriali,
mediante l’applicazione di tributi e di entrate propri. Sotto tale profilo, il
federalismo fiscale postula il definitivo superamento del sistema della
"finanza derivata", in base al quale gran parte dei tributi viene
riscossa dallo Stato, che provvede poi a ridistribuirne il gettito agli enti
locali;
§ la
fissazione di principi e strumenti di
coordinamento della finanza e del sistema tributario dello Stato e degli
enti territoriali[1].
La nuova formulazione dell’articolo 119 della
Costituzione riconosce ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e
alle Regioni l’autonomia finanziaria di
entrata e di spesa e la disponibilità di risorse autonome (primo comma). I
medesimi enti stabiliscono e applicano
tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario, e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi
erariali riferibile al loro territorio (secondo comma).
La disposizione deve essere letta in combinato con l’articolo 117, terzo comma, il quale
ricomprende tra le materie di legislazione concorrente, il “coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario”.
Dal combinato disposto degli articoli 117 e 119 della
Costituzione emerge, in primo luogo, la potestà
per ogni regione di istituire tributi nel rispetto dei principi della
Costituzione, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali, nonché dei principi fondamentali di coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario fissati dalla legislazione
statale.
Anche ai comuni, alle province e alle città metropolitane è
riconosciuta autonomia di entrata e la facoltà di stabilire ed applicare
tributi propri. Tuttavia, sebbene l'articolo 119 ponga formalmente sullo stesso
piano Regioni ed enti locali ai fini dell'autonomia tributaria, la riserva di
legge di cui all’articolo 23 della Costituzione – che sancisce che nessuna
potestà patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge – preclude a
questi enti l’esercizio di una potestà impositiva diretta analoga a quella
delle regioni.
Il nuovo sistema costituzionale relativo all’autonomia di entrata degli enti territoriali resta al momento inattuato: secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, l’emanazione di discipline autonome da parte degli enti territoriali relative all’istituzione di nuovi tributi richiede il preventivo intervento del legislatore statale per la determinazione dei relativi principi fondamentali (v. scheda Art. 119 Costituzione: Giurisprudenza costituzionale).
L’articolo 119 prevede inoltre l’istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante, il quale opera senza vincoli di destinazione (terzo comma).
In base al quarto comma, attraverso le predette risorse (entrate proprie, compartecipazione
al gettito dei tributi erariali, trasferimenti dal fondo perequativo) gli enti
territoriali devono provvedere al finanziamento
integrale delle funzioni pubbliche loro attribuite. Lo Stato può destinare risorse aggiuntive o effettuare interventi
speciali solo in favore di determinati Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la
solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per
favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a
scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni.
Per ciò che attiene al trasferimento di risorse dal bilancio dello Stato agli enti territoriali, il nuovo sistema del titolo V è stato ritenuto dalla Corte costituzionale immediatamente applicabile. Ne deriva che trasferimenti finanziari dello Stato in favore degli enti territoriali, o anche di soggetti privati, vincolati nella destinazione sono ammessi solo nelle materie di competenza esclusiva statale.
Possono configurarsi interventi di carattere speciale solo se aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale delle funzioni e riferibili alle finalità di perequazione e garanzia enunciate dall’articolo 119 della Costituzione e solo se indirizzati a determinati enti territoriali o categorie di enti territoriali. In questo caso, se i finanziamenti riguardano ambiti di competenza, anche concorrente, delle Regioni, queste devono essere chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di ripartizione dei fondi all’interno del proprio territorio (v. scheda Art. 119 Costituzione: Giurisprudenza costituzionale).
L’articolo 119 riconosce che i Comuni, le Province, le Città metropolitane hanno un proprio patrimonio, secondo i principi generali stabiliti con legge statale (sesto comma, primo periodo).
Esso ammette infine (sesto comma, secondo e terzo periodo) il ricorso all’indebitamento da parte degli enti territoriali solo per finanziare spese di investimento, escludendo ogni garanzia dello Stato sui prestiti contratti (v. capitolo L’indebitamento degli enti territoriali).
Si ricorda infine che l’articolo 119 della Costituzione non è oggetto di modifiche da parte della legge costituzionale di modifica della parte II della Costituzione, approvata dal Parlamento il 16 novembre 2005, che sarà prossimamente sottoposta a referendum popolare approvativo (v. capitolo Riforma dell’ordinamento della Repubblica).
Per approfondimenti sul tema, si rinvia al capitolo Verso il federalismo fiscale.
[1]
Le ragioni addotte a sostegno del
superamento della finanza derivata e della costruzione di un sistema di
federalismo fiscale sono molteplici.
In primo
luogo, si sostiene che l’ampliamento della capacità finanziaria di regioni,
province e comuni e la corrispondente sottrazione alla discrezionalità del
potere centrale dell’utilizzo di quote consistenti del gettito tributario sia
un efficace strumento per migliorare la gestione delle risorse pubbliche e la
qualità dei servizi erogati. Lo spostamento della potestà impositiva dallo
Stato agli enti territoriali assicurerebbe, infatti, mediante una più diretta
rappresentanza delle preferenze e degli interessi locali nella determinazione
delle scelte politiche, una maggiore responsabilizzazione degli organi di
governo locali, sia in ordine alla gestione della spesa che con riferimento al
reperimento delle risorse necessarie al suo finanziamento, e un più proficuo
utilizzo delle risorse disponibili per il finanziamento dei servizi da erogare.
Si ritiene, inoltre, che questo processo virtuoso potrebbe determinare, nel
medio termine, una riduzione della pressione fiscale complessiva.
In secondo luogo, si osserva che il federalismo fiscale, proprio per la tendenziale corrispondenza tra finanziatori e beneficiari dei servizi, sarebbe in grado di attenuare gli effetti restrittivi derivanti dalle politiche di riduzione della spesa pubblica. La diversa distribuzione dei poteri di entrata e di spesa risponderebbe, quindi, all'obiettivo di individuare un diverso equilibrio tra intervento pubblico, spazio riservato al mercato e prospettive di crescita del cosiddetto “terzo settore”.