Particolari categorie di rifiuti

Negli ultimi anni l’Unione europea ha integrato in modo corposo i principi generali e i requisiti fissati dalla cd. legislazione orizzontale sui rifiuti[1] attraverso in particolare l’emanazione di norme legislative più dettagliate in alcuni settori specifici, tra cui quello della gestione di flussi particolari di rifiuti, in considerazione della crescita del loro volume e della relativa complessità di gestione.

Nell’emanazione delle norme citate, una delle priorità individuate dall’Unione europea è stata quella della responsabilizzazione del produttore, in ossequio al principio “chi inquina paga”[2].

 

Come si legge nella comunicazione Verso una strategia tematica di prevenzione e riciclo dei rifiuti[3] presentata dalla Commissione europea nel maggio 2003, il principio della responsabilità del produttore rappresenta un’importante fonte di finanziamento per controbilanciare il minor vantaggio economico del riciclo rispetto al recupero di energia e allo smaltimento in discarica. Secondo la Commissione “imponendo ai produttori di sostenere il costo del riciclo dei prodotti al termine del ciclo di vita, si fa leva sul loro ruolo specifico nella catena produttori-consumatori-gestori dei rifiuti per finanziare il riciclo e incorporarne i costi di gestione nel prezzo del prodotto. In questo modo si mira anche ad incentivare i produttori a ridurre il costo del riutilizzo e del riciclo dei loro prodotti, ad esempio scegliendo soluzioni progettuali o materiali pensati per il riciclo”.

 

Importanti esempi in cui viene espressamente prevista la responsabilità del produttore sono la direttiva sui veicoli fuori uso e la direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.

Altre importanti direttive emanate dall’Unione per il controllo di flussi particolari di rifiuti sono quella relativa ai rifiuti prodotti dalle navi e la nuova direttiva imballaggi.

Veicoli fuori uso

Il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209 ha dato attuazione (seppur tardiva[4]) alla direttiva comunitaria 2000/53/CE introducendo nell’ordinamento nazionale una nuova disciplina in materia di gestione di rifiuti costituiti da veicoli fuori uso, dai loro componenti e materiali e dai pezzi di ricambio.

 

Si ricorda, in proposito, che in realtà già l’art. 46 del decreto Ronchi aveva introdotto alcune disposizioni sulla gestione di questa particolare categoria di rifiuti, che conservano ancora rilevanza per particolari fattispecie (art. 15, comma 10, del d.lgs. n. 209/2003). Tuttavia la normativa contenuta nel decreto Ronchi[5] non è mai stata integrata dalle necessarie norme tecniche attuative.

Si ricorda,altresì, che le disposizioni del citato art. 46 sono state trasposte nell’art. 231 (intitolato Veicoli fuori uso non disciplinati dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209) del d.lgs. n. 152/2006, la cui Parte quarta riscrive la normativa quadro sui rifiuti dettata dal decreto Ronchi (v. scheda Il riordino del diritto ambientale - Novità in materia di rifiuti e bonifiche).

 

In seguito all’emanazione del d.lgs. n. 209/2003, la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione (n. 2003/2204) per il recepimento non corretto delle disposizioni contenute nella direttiva 2000/53/CE. Con l’art. 1, comma 5, della legge 17 agosto 2005, n. 168 di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, al fine di recepire i rilievi formulati nel parere motivato complementare inviato dalla Commissione europea allo Stato italiano nell’ambito della procedura d’infrazione, il Governo è stato delegato ad adottare disposizioni integrative e correttive del decreto n. 209. Tali disposizioni sono state quindi adottate con il decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 149.

Il disposto normativo del decreto n. 209/2003, così come modificato dal decreto n. 149/2006, individua, disciplinandole organicamente, le fasi della raccolta, del trattamento, del reimpiego e recupero dei veicoli fuori uso e dei suoi componenti e materiali.

Raccolta

Il d.lgs. n. 209/2003 conferma il ruolo centrale dei centri di raccolta (già previsti dal decreto Ronchi[6]) nei quali devono essere consegnati dal detentore (oppure dal concessionario o gestore della succursale della casa costruttrice o dell’automercato, nel caso in cui il detentore intenda cedere il veicolo per acquistarne un altro) i veicoli destinati alla demolizione (art. 5), diventando così il fulcro dell’intero sistema di recupero e smaltimento dei veicoli fuori uso.

Lo stesso decreto ha previsto che siano gli stessi produttori di veicoli a organizzare una rete di centri di raccolta dei veicoli “fuori uso” opportunamente distribuiti sul territorio nazionale.

L’art. 5, comma 7, prevede inoltre il rilascio al detentore, da parte del titolare del centro di raccolta (che si assume così tutte le responsabilità, civili, penali e amministrative, legate alla gestione del veicolo a fine vita), di apposito certificato di rottamazione conforme ai requisiti di cui all'allegato IV, completato dalla descrizione dello stato del veicolo consegnato, nonché dall'impegno a provvedere alla cancellazione dal PRA e al trattamento del veicolo.

Il d.lgs. n. 209/2003 precisa, altresì, i casi in cui un veicolo è classificato “fuori uso” e, quindi, deve essere trattato come rifiuto ai sensi della legislazione vigente in materia (art. 3, commi 2 e 3).

Trattamento

Come rilevato in dottrina, “se fino a qualche anno fa il trattamento dei veicoli finalizzato alla demolizione era un processo semplice e veloce, ora gli impianti dovranno prevedere specifici e complessi cicli di lavoro al fine di garantire un’adeguata protezione dell’ambiente anche in fase di chiusura e cessazione dell’attività”[7]. Ciò in base all’articolo 6, comma 3, del decreto.

Specifiche disposizioni sono poi finalizzate, nell’ambito del trattamento, a garantire una rimozione selettiva dei componenti ambientalmente critici prima dell’operazione di frantumazione, in modo da ottenere un residuo (il cd. fluff) non contaminato da sostanze pericolose e, quindi, al fine di creare le condizioni per lo sviluppo di forme di trattamento alternativo al suo attuale smaltimento in discarica (art. 8, comma 1, lettera a), numero 5), e lettera b).

Riciclaggio e recupero

La finalità, mutuata dalla direttiva, di prevenire la produzione di rifiuti, viene perseguita mediante la fissazione di precisi ed elevati obiettivi percentuali di riciclaggio e recupero[8] da raggiungere in due successive scadenze temporali: al 1° gennaio 2006 e al 1° gennaio 2015.

Nella stessa direzione vanno le norme volte alla limitazione dell’uso di sostanze pericolose nella costruzione dei veicoli (l’art. 9 prevede infatti il divieto, dal 1° luglio 2003, di produrre o immettere sul mercato materiali e componenti di veicoli contenenti piombo, mercurio, cadmio o cromo esavalente), nonché ad incentivare una progettazione dei veicoli che ne agevoli la demolizione (art. 10).

Controlli e sanzioni

Ulteriori disposizioni sono dettate per aumentare i controlli della pubblica amministrazione (in particolare l’art. 6, comma 5, subordina l'ammissione delle attività di recupero dei rifiuti derivanti da veicoli fuori uso alle procedure semplificate, ad una preventiva ispezione da parte della provincia competente per territorio) e per incentivare il ricorso a sistemi di gestione ambientale (art. 6, comma 8, e art. 15, comma 6).

L’intera disciplina introdotta è poi supportata da disposizioni di carattere sanzionatorio (art. 13) indirizzate a tutti i soggetti coinvolti dal decreto e più severe rispetto a quelle previste in precedenza[9].

Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche

La crescita esponenziale dei consumi di apparecchiature elettriche ed elettroniche e la sempre più rapida obsolescenza di questo genere di prodotti, ha indotto la Commissione a sottoporli ad una disciplina specifica, in ragione della necessità di limitare soprattutto la dispersione nell’ambiente delle sostanze pericolose (mercurio, piombo, cadmio, ecc..) che questi beni contengono, posto che questa tipologia di rifiuti viene oggi avviata principalmente all’incenerimento o in discarica.

L’Unione europea ha quindi emanato ben due direttive (il cui termine di recepimento scadeva il 13 agosto 2004): la direttiva 2002/95/CE sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (nota come direttiva ROHS[10]) e la direttiva 2002/96/CE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE[11]).

Le direttive 2002/95/CE (ROHS) e 2002/96/CE (RAEE)

La direttiva 2002/95/CE introduce, al fine della tutela della salute umana e dell’ambiente, limitazioni all’utilizzo di sostanze pericolose (piombo, mercurio, cadmio, cromo esavalente ed alcuni ritardanti di fiamma) nella produzione di apparecchiature elettriche ed elettroniche (salvo alcune esenzioni per particolari tipi di applicazioni previste nell'allegato).

Tale intervento normativo si può mettere in correlazione con la direttiva 2002/96/CE. L’ambito di applicazione infatti coincide: la direttiva 2002/95/CE si applica a quelle apparecchiature, elettriche ed elettroniche, che rientrano nelle categorie da 1 a 7 e 10 dell’allegato 1 A della direttiva RAEE.

 

Si ricorda, in proposito, che nell’allegato 1 A della direttiva sono elencate le seguenti apparecchiature elettriche ed elettroniche:

1. Grandi elettrodomestici

2. Piccoli elettrodomestici

3. Apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni

4. Apparecchiature di consumo

5. Apparecchiature di illuminazione

6. Strumenti elettrici ed elettronici (esclusi gli utensili industriali fissi di grandi dimensioni)

7. Giocattoli e apparecchiature per lo sport e per il tempo libero

8. Dispositivi medicali (ad eccezione di tutti i prodotti impiantati e infettati)

9. Strumenti di monitoraggio e di controllo

10. Distributori automatici.

 

Con la direttiva 2002/96/CE viene previsto che gli Stati membri evitino il più possibile di eliminare i rifiuti elettrici ed elettronici insieme con i rifiuti urbani non differenziati e istituiscano, invece, una raccolta differenziata.

Nella stessa direttiva, inoltre, trova larga applicazione il principio della responsabilità estesa del produttore, in quanto gli oneri per il reimpiego, il riciclaggio e il recupero dell'elettronica di consumo gravano sugli operatori economici, mentre ai consumatori sarà richiesto di contribuire alla buona riuscita delle raccolte selettive.

La direttiva fissa, inoltre, impegnativi obiettivi di raccolta, riciclaggio e recupero delle apparecchiature elettriche ed elettroniche che gli Stati membri sono tenuti a raggiungere entro determinate scadenze.

Il decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151

Al recepimento delle direttive citate, l’Italia ha provveduto con l’emanazione del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, recante Attuazione delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE[12], relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti[13], sulla base della delega recata dalla legge 31 ottobre 2003, n. 306, legge comunitaria 2003 (ove esse compaiono nell’Allegato B).

Tale decreto, in linea con quanto già disciplinato per i veicoli a fine vita, ha dettato specifiche disposizioni finalizzate a ridurre l’impatto ambientale generato sia dalla presenza di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) sia dalla gestione non sempre corretta dei rifiuti da esse generate[14].

L’obiettivo prioritario perseguito dal decreto (art. 1) è quello di migliorare, sotto il profilo ambientale, l'intervento dei soggetti che partecipano al ciclo di vita delle AEE, quali produttori, distributori, consumatori e, in particolare, gli operatori direttamente coinvolti nel trattamento dei rifiuti da esse derivanti (RAEE).

Il decreto provvede quindi a dettare una serie di misure finalizzate a prevenire la produzione di RAEE nonché a promuoverne il reimpiego, il riciclaggio e le altre forme di recupero, in modo da ridurne la quantità da avviare allo smaltimento[15].

Prevenzione e raccolta (artt. 5-7)

Ai sensi dell’art. 5, a partire dal 1° luglio 2006 è vietato immettere sul mercato AEE nuove rientranti nel campo di applicazione individuato dall'allegato 1° (che riproduce fedelmente quello della direttiva), nonché sorgenti luminose ad incandescenza, contenenti piombo, mercurio, cadmio, cromo esavalente, bifenili polibromurati (PBB) od etere di difenile polibromurato (PBDE).

Viene inoltre introdotto (art. 6), un obiettivo di raccolta separata dei RAEE provenienti dai nuclei domestici pari ad almeno 4 kg in media per abitante all'anno, da raggiungere entro il 31 dicembre 2008.

Per consentire il raggiungimento di tale ambizioso obiettivo di raccolta separata[16], che rappresenta la condizione preliminare per garantire il trattamento specifico e il riciclaggio dei RAEE, l’art. 6 prevede, a decorrere dal 13 agosto 2006[17], che:

§         il ritiro dei rifiuti provenienti da professionisti sia a carico dei produttori delle apparecchiature (o dei terzi che agiscono a nome loro);

§         il ritiro dei rifiuti provenienti dai nuclei domestici avvenga invece, di norma, a cura dei distributori, che dovranno ritirarli gratuitamente all'atto dell'acquisto, da parte del consumatore, di un nuovo ed analogo prodotto;

§         i comuni assicurino la funzionalità, l'accessibilità e l'adeguatezza dei sistemi di raccolta differenziata dei RAEE provenienti dai nuclei domestici istituiti ai sensi delle disposizioni vigenti in materia di raccolta separata dei rifiuti urbani, in modo da permettere ai detentori finali ed ai distributori di conferire gratuitamente al centro di raccolta i rifiuti prodotti nel loro territorio.

Trattamento, recupero e sistema di finanziamento (artt. 8-12)

Per i RAEE derivanti da apparecchiature immesse sul mercato dopo il 13 agosto 2005, il finanziamento dell’intero ciclo di gestione a partire dal trasporto dai centri di raccolta è a carico dei produttori (sia che si tratti di rifiuti provenienti da nuclei domestici che professionali) che, entro il 13 agosto 2006, individualmente o scegliendo un regime collettivo, dovranno istituire sistemi di trattamento e recupero dei RAEE utilizzando le migliori tecniche di trattamento, di recupero e di riciclaggio disponibili.

Invece, per la gestione dei cd. rifiuti storici, ossia di quelli prodotti prima del 13 agosto 2005, il decreto distingue a seconda dell'utenza finale:

§         gli oneri finanziari per la gestione dei rifiuti provenienti dalle utenze domestiche graveranno interamente sui produttori, in proporzione della rispettiva quota di mercato per tipo di apparecchiatura;

§         quelli relativi ai rifiuti prodotti da utilizzo professionale, sono a carico del produttore nel caso di fornitura di una nuova apparecchiatura elettrica ed elettronica in sostituzione di un prodotto di tipo equivalente ed adibito alle stesse funzioni della nuova apparecchiatura fornita oppure a carico del detentore negli altri casi.

 

Al fine di garantire il finanziamento della gestione dei RAEE immessi sul mercato dopo il 13 agosto 2005 il produttore è tenuto a costituire, nel momento in cui un'AEE è immessa sul mercato, un’adeguata garanzia finanziaria.

 

L’articolo 11 precisa che tale garanzia dovrà essere rilasciata secondo quanto previsto dall'art. 1 della legge 10 giugno 1982, n. 348, o secondo modalità equivalenti, che non comportino nuovi o maggiori oneri ovvero minori entrate per la finanza pubblica, definite con apposito decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive e dell'economia e delle finanze[18].

 

Per quanto riguarda il recupero dei RAEE, l’art. 9 impone ai produttori di AEE, con riferimento ai RAEE avviati al trattamento, di garantire il raggiungimento di specifici obiettivi di recupero e riciclaggio, entro il 31 dicembre 2006.

Informazione, controllo e monitoraggio (artt. 13-17)

Il d.lgs. n. 151/2005 prevede precisi obblighi (posti in capo ai produttori di AEE) di informazione verso l’utenza, nonché una serie di strumenti per il controllo e il monitoraggio dell’intero sistema di gestione, primo tra tutti l’istituzione – presso il Ministero dell’ambiente - di un Registro nazionale dei soggetti obbligati al trattamento dei RAEE al fine di controllare la gestione dei RAEE e di definire le quote di mercato dei produttori.

La predisposizione e l’aggiornamento del citato registro vengono affidati ad un apposito Comitato di vigilanza e di controllo sulla gestione dei RAEE alla cui istituzione viene previsto che si provveda con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.

Rifiuti navi

Con l’emanazione del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182, recante Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico, l’Italia si è dotata di una disciplina specifica per la gestione dei rifiuti prodotti dalle navi, integrativa della normativa di carattere generale sui rifiuti, ora recata dal d.lgs. n. 152/2006.

La direttiva 2000/59/CE

La direttiva 2000/59/CE ha la finalità di tutelare l’ambiente marino, riducendo gli scarichi in mare dei rifiuti e dei residui del carico da parte delle navi.

 

La direttiva si pone, di fatto, i medesimi obiettivi della Convenzione MARPOL 73/1978[19], di cui tutti gli Stati membri sono firmatari. Tuttavia, al contrario di quest’ultima – che regola principalmente gli scarichi in mare -, la direttiva 2000/59/CE si impernia sulle operazioni effettuate dalle navi mentre si trovano nei porti dell’UE e tratta in modo particolareggiato le responsabilità

 

Gli obiettivi della direttiva vengono perseguiti attraverso l’aumento della disponibilità e dell’utilizzo di impianti di raccolta nei porti, nonché l’introduzione di un regime coercitivo, valevole per tutte le navi in transito nei porti dei Paesi membri.

La direttiva impone agli Stati membri di mettere a disposizione sistemi portuali di raccolta adeguati. Vengono dettate, inoltre, disposizioni relative alla predisposizione di piani di raccolta e gestione dei rifiuti per ciascun porto, alle modalità di notifica alle autorità competenti da parte del comandante della nave e alle modalità di conferimento dei rifiuti prodotti dalla nave.

In applicazione del principio generale “chi inquina paga”, è previsto infine un regime tariffario applicabile alle navi, al fine di recuperare i costi degli impianti portuali di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti da esse prodotti.

Il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182

Con qualche mese di ritardo (il termine ultimo per il recepimento da parte degli Stati membri era, infatti, il 28 dicembre 2002) l’Italia si è allineata alla disciplina recata dalla direttiva 2005/59/CE, elaborando le regole per la raccolta dei rifiuti provenienti dalle navi che utilizzano porti situati nel territorio nazionale.

Obiettivi

Il d.lgs. n. 182/2003 ha l'obiettivo di “ridurre gli scarichi in mare, in particolare quelli illeciti, dei rifiuti e dei residui del carico prodotti dalle navi che utilizzano porti situati nel territorio dello Stato, nonché di migliorare la disponibilità e l'utilizzo degli impianti portuali di raccolta per i suddetti rifiuti e residui” (art. 1).

Campo di applicazione

In analogia con la direttiva, le norme recate dal d.lgs. n. 128/2003 si applicano alle navi (e ai porti dello Stato ove queste fanno scalo), “compresi i pescherecci e le imbarcazioni da diporto, a prescindere dalla loro bandiera, che fanno scalo o che operano in un porto dello Stato, ad esclusione delle navi militari da guerra ed ausiliarie o di altre navi possedute o gestite dallo Stato, se impiegate solo per servizi statali a fini non commerciali” (art. 3).

Per le tipologie escluse, tuttavia, in particolare per le navi da guerra e per quelle delle forze di polizia, viene demandato ai Ministeri competenti di adottare in tempi relativamente brevi un’apposita disciplina.

Definizioni

Ai sensi dell’art. 2 del decreto, “sono considerati rifiuti ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni”:

§         i rifiuti prodotti dalla nave: i rifiuti, comprese le acque reflue e i residui diversi dai residui del carico, ivi comprese le acque di sentina, prodotti a bordo di una nave e che rientrano nell'ambito di applicazione degli allegati I, IV e V della Marpol 73/78, nonché i rifiuti associati al carico di cui alle linee guida definite a livello comunitario per l'attuazione dell'allegato V della Marpol 73/78;

§         i residui del carico: i resti di qualsiasi materiale che costituisce il carico contenuto a bordo della nave nella stiva o in cisterne e che permane al termine delle operazioni di scarico o di pulizia, ivi comprese le acque di lavaggio (slop) e le acque di zavorra, qualora venute a contatto con il carico o suoi residui; tali resti comprendono eccedenze di carico-scarico e fuoriuscite.

 

L’assoggettamento alla disciplina dei rifiuti delle tipologie considerate è stato tuttavia differito dall’art. 10-bis del D.L. n. 355/2003 “fino all'entrata in vigore della specifica normativa semplificata ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e comunque non oltre il 31 dicembre 2005”.

 

Si ricorda, in proposito, che tale normativa è stata emanata con il D.M. 17 novembre 2005, n. 269 recante Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, relativo all'individuazione dei rifiuti pericolosi provenienti dalle navi, che è possibile ammettere alle procedure semplificate[20].

Sul punto è intervenuta anche la circolare del Ministero dell’ambiente 9 marzo 2004, n. 1825[21], volta a chiarire i vari problemi sorti nell’applicazione del decreto, anche alla luce delle modifiche recate dal citato art. 10-bis.

Obblighi

Uno degli elementi portanti della disciplina recata dal decreto per il raggiungimento dei relativi è senz’altro rappresentato dall’introduzione dell’obbligo (previsto dall’art. 5), per le Autorità portuali, di provvedere all’elaborazione (entro il 6 agosto 2004[22]) di un Piano di raccolta e di gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico.

 

Si ricorda, inoltre, che l’art. 5 prevede che entro sessanta giorni dall'avvenuta comunicazione del piano, la regione valuta ed approva lo stesso piano, integrandolo, per gli aspetti relativi alla gestione, con il piano regionale di gestione dei rifiuti previsto dall’art. 22 del decreto Ronchi (ora trasfuso nell’art. 199 del d.lgs. n. 152/2006) e ne controlla lo stato di attuazione.

 

In capo al comandante della nave che debba provvedere alla gestione di rifiuti e/o residui presso un porto italiano sono posti due importanti obblighi:

§         obbligo di notifica all’autorità portuale competente di tutte le informazioni relative alle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti, da effettuarsi (nel caso il porto di destinazione sia noto) almeno 24 ore prima dell'arrivo nel porto di scalo[23] (art. 6);

§         obbligo di conferimento di tutti i rifiuti prodotti dalla nave e dei residui del carico all'impianto portuale di raccolta (artt. 7 e 10).

Tale disposizione è principalmente volta a limitare la presenza di navi con carichi potenzialmente inquinanti in mare aperto (riducendone quindi il rischio di dispersione in mare) nonché a razionalizzare la gestione a terra dei rifiuti evitando che alcuni porti vengano oberati, più di altri, di quantità notevoli di scarti accumulati.

Strumenti

Per consentire l’attuazione del citato piano e l’ottemperanza degli obblighi imposti ai comandanti delle navi, ogni porto deve dotarsi, con oneri a carico del gestore del servizio, di adeguati impianti e servizi portuali di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico, autorizzati ai sensi degli artt. 27 e 28 del decreto Ronchi (ora trasfusi nell’art. 208 recante autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti).

 

L’adeguatezza deve essere valutata “in relazione alla classificazione dello stesso porto, laddove adottata, ovvero in relazione al traffico registrato nell'ultimo triennio” (art. 4).

 

Conformemente alla direttiva, l’art. 8 prevede che alla copertura degli oneri “relativi all'impianto portuale di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi, ivi compresi quelli di investimento e quelli relativi al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti stessi”, si provvede mediante una tariffa a carico delle navi che approdano nel porto.

Nell’allegato IV al decreto sono inoltre fissati i criteri per la determinazione della tariffa.

Sanzioni

In linea con le disposizioni comunitarie, il d.lgs. n. 182/2003 prevede un meccanismo coercitivo e sanzionatorio  (artt. 11 e 13) nei confronti dei soggetti coinvolti nella procedura di conferimento.

A tale scopo l’Autorità marittima esegue ispezioni periodiche atte a verificare il rispetto degli obblighi imposti dal decreto e, qualora ne venga accertata la violazione, provvede affinché sia impedito alla nave interessata di lasciare il porto fino a completa ottemperanza degli obblighi suddetti.

A tali misure coercitive si aggiunge la possibilità per l’Autorità portuale di applicare specifiche sanzioni.

Imballaggi

La direttiva 2004/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 febbraio 2004 reca alcune modifiche alla direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (cd. direttiva packaging), soprattutto attraverso l’introduzione di una più precisa definizione di “imballaggio” e l’innalzamento degli obiettivi minimi di recupero e di riciclaggio degli imballaggi, da raggiungere entro il 31 dicembre 2008 (art. 1, punto 3).

Per quanto riguarda tale ultimo profilo, la nuova direttiva prevede:

§         per il recupero, un elevamento della soglia minima dal 50 al 60% in peso (in modo tale da ridurne ulteriormente l’impatto sull’ambiente) e l’eliminazione della soglia massima del 65%, prevista dalla precedente formulazione della direttiva 94/62/CE;

§         per il riciclaggio, l’innalzamento delle percentuali complessive di imballaggi da riciclare (dal minimo del 25% al 55%) e dall’altro la determinazione di soglie minime diverse a seconda dei singoli materiali (vetro, carta e cartone, metalli, plastica, legno) in sostituzione dell’obiettivo minimo del 15% comune ad ogni materiale.

 

Un’ulteriore e rilevante novità prevista dalla direttiva in esame consiste nel consentire agli Stati membri di continuare a conteggiare l'incenerimento dei rifiuti con recupero energetico all'interno dell'obiettivo globale di recupero.

Il recepimento di tali modifiche nell’ordinamento nazionale, previsto entro il 18 agosto 2005 (secondo quanto disposto dall’art. 2 della direttiva) è stato realizzato dal Governo nell’ambito del riordino normativo delegato con l’approvazione della legge n. 308/2004 ed attuato con l’emanazione del d.lgs. n. 152/2006 (v. scheda Il riordino del diritto ambientale - Novità in materia di rifiuti e bonifiche).

 

Si ricorda, altresì, che la direttiva 2004/12/CE figurava nell’allegato B della legge comunitaria 2004 (legge 18 aprile 2005, n. 62).



[1] Formata dalla direttiva quadro sui rifiuti (75/442/CEE), dalla direttiva sui rifiuti pericolosi (91/689/CEE), nonché dal regolamento sulle spedizioni di rifiuti (Regolamento n. 259/1993).

[2] Cfr. articolo 174 del trattato CE.

[3] COM (2003) 301 def. Tale documento può essere consultato all’indirizzo internet:

http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/it/com/2003/com2003_0301it01.pdf.

[4] La direttiva 2000/53/CE avrebbe dovuto essere attuata entro il 21 aprile 2002, circostanza che ha determinato l’avvio di una procedura di infrazione comunitaria (n. 2002/0168) nei confronti del nostro Paese.

[5] A cui si sono affiancate le norme del DM 22 ottobre 1999, n. 460 Regolamento recante disciplina dei casi e delle procedure di conferimento ai centri di raccolta dei veicoli a motore o rimorchi rinvenuti da organi pubblici o non reclamati dai proprietari e di quelli acquisiti ai sensi degli articoli 927-929 e 923 del codice civile. Sul medesimo argomento è successivamente intervenuto anche l’art. 50 della legge n. 448/2001 (finanziaria 2002), poi abrogato dal comma 13 dell'art. 38 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269.

[6] Si ricorda, in proposito, che i primi due commi dell’art. 46 del d.lgs. n. 22/1997 (ora art. 231 del d.lgs. n. 152/2006) prevedono, infatti, che il proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio “che intenda procedere alla demolizione dello stesso deve consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione” e che lo stesso proprietario “può altresì consegnarlo ai concessionari o alle succursali delle case costruttrici per la consegna successiva ai centri di cui al comma 1 qualora intenda cedere il predetto veicolo o rimorchio per acquistarne un altro”.

[7] A. Merlin, Con il d.lgs. 24 giugno 2003, n. 209, veicoli fuori uso smaltiti correttamente, in “Ambiente e sicurezza” n. 19/2003.

[8] Le percentuali fissate sono tutte superiori all’80% del peso medio per veicolo e per anno.

[9] Sul punto si veda C. Diani, La gestione dei veicoli fuori uso alla luce del d.lgs. n. 209/2003, in “Ambiente, consulenza e pratica per l’impresa”, n. 11/2003.

[10] Restriction of Hazardous Substances in Electrical and Electronic Equipment.

[11] Waste Electrical and Electronic Equipment.

[12] La direttiva 2003/108/CE ha modificato l'articolo 9 (recante Finanziamento relativo ai RAEE provenienti da utenti diversi dai nuclei domestici) della direttiva 2002/96/CE.

[13] Pubblicato nella G.U. n. 175 del 29 luglio 2005 – S.O. n. 135.

[14] Per un approfondimento sulle norme recate dal decreto e sulle criticità da risolvere si veda R. Laraia, Con il decreto legislativo n. 151/2005 al via il sistema di gestione dei RAEE, in “Ambiente e sicurezza” – n. speciale 3/2005.

[15] L’art. 4 prevede inoltre, sempre per le medesime finalità, che il Ministero dell’ambiente, di concerto con il Ministero delle attività produttive, adotti misure dirette a favorire ed incentivare, da parte dei produttori di AEE, l'impiego di modalità di progettazione e di fabbricazione che agevolino lo smontaggio, il recupero e, in particolare, il reimpiego ed il riciclaggio dei RAEE e dei loro componenti e materiali.

[16] Secondo i dati riportati nell’Appendice A3 del Rapporto rifiuti 2004 redatto dall’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (disponibile all’indirizzo internet http://www.apat.gov.it/site/it-IT/APAT/Pubblicazioni/Rapporto_rifiuti/Documento/rapporto_rifiuti_2004.html), il quantitativo complessivamente raccolto di RAEE nel 2003, a livello nazionale, è stato “pari a 66.700 tonnellate, corrispondenti ad un valore pro capite di 1,2 kg/abitante per anno”.

[17] Tale scadenza (prevista dall’art. 20, comma 5, del decreto), che proroga di un anno quella prevista dalla direttiva deriva da ritardo con cui è stata recepita la direttiva.

[18] Un elenco dei decreti di attuazione previsti dal d.lgs. n. 151/2005 è disponibile nel sito internet del Consorzio Ecoqual’It all’indirizzo:

http://www.ecoq.it/updown/normative/Regolamenti_attuazione.pdf.

Il Consorzio Ecoqual’It per l’information tehnology è uno dei consorzi recentemente nati nel nostro Paese al fine di prepararsi al corretto recepimento dei nuovi obblighi imposti dalla direttiva 2002/96/CE. Tale consorzio ha siglato un accordo di programma per il recupero delle cartucce toner a fine vita con la spedizione postale gratuita per il cliente con l'Ente Poste, il Ministero dell'ambiente e l'Osservatorio nazionale dei rifiuti ed ha lanciato il progetto Eco-Dealer per la gestione dei prodotti hi-tech a fine vita.

Oltre ad Ecoqual’It, si ricordano i due consorzi sorti nel 2004 in seno all'Anie (la Federazione dei produttori di elettronica ed elettrotecnica): Ecolight, che riunisce i produttori e gli importatori di apparecchi per l'illuminazione ed Ecodom, formato dalle aziende del settore grandi e piccoli elettrodomestici, climatizzatori portatili e scaldacqua. Un terzo consorzio, Eco-Dealer, è stato fondato da un gruppo di aziende dell'Information technology e dovrebbe riunire i rivenditori che si impegnano a raccogliere gli apparecchi usati. Per il recupero e lo smaltimento delle sorgenti luminose (lampadine) si è invece costituito il consorzio Ecolamp.

[19] http://www.imo.org/Conventions/contents.asp?doc_id=678&topic_id=258.

[20] Pubblicato nella G.U. 29 dicembre 2005, n. 302.

[21] Pubblicata nella G.U. 15 marzo 2004, n. 62.

[22] Vale a dire un anno dall’entrata in vigore del decreto.

[23] Diversamente, la notifica va effettuata non appena il porto di scalo è noto, qualora conosciuto a meno di 24 ore dall'arrivo oppure prima della partenza dal porto di scalo precedente, se la durata del viaggio è inferiore a 24 ore.