Il riordino del diritto ambientale – Novità in materia di rifiuti e bonifiche

Con l’emanazione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il Governo, sulla base della delega ricevuta con la legge n. 308/2004, ha provveduto a riscrivere interamente il decreto Ronchi (che costituiva una sorta di legge quadro del settore), nonché all’accorpamento di altre numerose disposizioni in materia che ora si trovano raccolte in un unico testo, all’interno della Parte quarta del citato decreto.

Di seguito si dà conto delle innovazioni maggiormente rilevanti introdotte dal decreto n. 152/2006 in relazione alle principali tematiche di cui si compone la materia dei rifiuti e delle bonifiche dei siti inquinati. Nel dare conto delle novità recate dal decreto n. 152 si riportano le eventuali iniziative legislative intraprese in precedenza nel corso della XIV legislatura, riportate in appositi box con sfondo grigio.

Definizioni e limiti al campo di applicazione

Con l’art. 183 del decreto il Governo ha provveduto ad una rimodulazione delle definizioni normative esistenti al fine del superamento del contenzioso e dei problemi applicativi (v. scheda La nozione di rifiuto).

In altre parti dello stesso decreto il Governo ha provveduto a raccogliere disposizioni vigenti volte a consentire specifiche esclusioni dal regime normativo dei rifiuti.

In particolare si ricordano le disposizioni sul combustibile da rifiuti (CDR) di qualità elevata e quelle sui rottami ferrosi riprese dai commi 25-31 della legge delega, o ancora la disciplina sulle terre e rocce da scavo, ora riprodotta dall’art. 186 del d.lgs. n. 152/2006.

 

Terre e rocce da scavo

L’art. 1, commi 17-19, della legge n. 443/2001 (cd. legge obiettivo) ha introdotto una norma di interpretazione autentica del comma 3, lettera b), dell'articolo 7 e del comma 1, lettera f-bis) dell'articolo 8 del decreto Ronchi, al fine di sottrarre le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, dal campo di applicazione del medesimo decreto, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione.

Tale norma ha suscitato, tuttavia, dubbi e perplessità[1], motivo per cui è stata modificata dal successivo art. 23 della legge 31 ottobre 2003, n. 306 (comunitaria 2003), che ha precisato ed integrato le condizioni e le procedure amministrative da rispettare per poter utilizzare le terre e rocce da scavo al di fuori del regime dei rifiuti.

Infine l’art. 23-octies del DL 24 dicembre 2003 n. 355 (cd. milleproroghe) ha differito al 31 dicembre 2004 l’applicazione del citato art. 23 della legge n. 306/2003, per i lavori in corso alla data del 30 novembre 2003.

La disciplina ora inserita nell’art. 186 del d.lgs. n. 152/2006 traspone sostanzialmente le norme appena citate in materia di terre e rocce di scavo, introdotte nel corso della XIV Legislatura[2], e demanda ad un successivo decreto del Ministero dell’ambiente l’adozione di nuovi limiti massimi di concentrazione degli inquinanti[3].

Combustibile derivato dai rifiuti (CDR)

Nel corso della XIV legislatura sia il Governo che il Parlamento, nell’ottica di incentivare il recupero di energia dai rifiuti, quale opzione preferibile – in accordo con la gerarchia comunitaria di gestione dei rifiuti[4] – allo smaltimento in discarica, hanno emanato diverse disposizioni volte ad integrare la definizione della natura del CDR.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 6, comma 1, lettera p), definisce il CDR come “il combustibile ricavato dai rifiuti urbani mediante trattamento finalizzato all'eliminazione delle sostanze pericolose per la combustione ed a garantire un adeguato potere calorico, e che possieda caratteristiche specificate con apposite norme tecniche”[5].

Il primo intervento in materia è stato introdotto dall'art. 7, comma 11, del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 452 che ha novellato il decreto Ronchi, provvedendo all’inserimento del CDR nel novero dei rifiuti speciali recato dall’art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 22/1997[6].

Sul piano pratico, il principale effetto ricollegabile a questa nuova classificazione del CDR ha riguardato essenzialmente una maggiore libertà di circolazione sul territorio nazionale.

Un’ulteriore incentivo all’utilizzo del CDR è successivamente venuto dall’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 387/2003 (v. capitolo Energie rinnovabili) che ha ammesso a beneficiare del regime riservato alle fonti energetiche rinnovabili i rifiuti, ivi compresi i combustibili derivati dai rifiuti, sia “a norma” che “di qualità” (cioè conforme alle norme tecniche UNI 9903-1).

Con l’art. 1, comma 29, lettera b), della legge n. 308/2004 (cd. delega ambientale), infine, si è ulteriormente agevolato l’utilizzo del CDR “di qualità” che è stato escluso, a certe condizioni, dalla normativa sui rifiuti.

La lettera b) del citato comma 29 ha infatti aggiunto la lettera f-quinquies) all’art. 8 del decreto Ronchi, che elenca le esclusioni dal campo di applicazione del decreto stesso. In particolare l’esclusione riguarda il “combustibile ottenuto dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi, come descritto dalle norme tecniche UNI 9903-1 (RDF[7] di qualità elevata), utilizzato in co-combustione […] in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel DPCM 8 marzo 2002”.

Lo stratificarsi delle norme citate ha dato adito a numerosi dubbi circa l’interpretazione della definizione di CDR (recata dall’art. 6 del decreto Ronchi) nel mutato contesto normativo. Tali dubbi sono stati recentemente fugati dalla sentenza della Cassazione penale, sez. III, 2 maggio 2005, n. 16351[8], secondo cui non può affermarsi che il CDR sia solo quello ottenuto dai rifiuti urbani, “come è dimostrato anche dalla evoluzione successiva della normativa nazionale (legge 179/2002 che ha inserito il CDR quale combustibile senza il riferimento esclusivo ai rifiuti urbani e il DPR 15-7-2003 n. 254 art. 9 che consente la utilizzazione dei rifiuti sanitari[9] (rifiuti speciali) per produrre combustione ed energia)”. Del resto “anche in sede comunitaria è pacifica la stessa evoluzione, come risulta dalla Decisione 2001/118/CE, che ha aggiornato il Catalogo Europeo dei Rifiuti[10], inserendo espressamente quello dei "rifiuti combustibili" non riferito ai soli rifiuti urbani (Codice 19-12-10)”.

La disciplina introdotta dalla legge delega è stata trasposta nell’art. 229, ove viene operato un coordinamento con le norme agevolative previste in materia dal d.lgs. n. 387/2003 per l’incentivazione delle fonti rinnovabili di energia (v. capitolo Energie rinnovabili).

Rottami ferrosi e non ferrosi

I commi 25-29 dell’art. 1 della legge n. 308/2004 hanno introdotto alcune disposizioni volte ad agevolare l’utilizzo dei rottami ferrosi e non ferrosi, prevedendone – tra l’altro – l’esclusione dal regime normativo sui rifiuti.

Si ricorda, in proposito, che la movimentazione di tali materiali determinò, in seguito ad una serie di sequestri, l’intervento normativo del Governo che introdusse un’interpretazione autentica (con l’art. 14 del D.L. n. 138/2002) della nozione di rifiuto foriera di un intenso dibattito normativo-giurisprudenziale (v. scheda La nozione di rifiuto).

In particolare i commi citati hanno, tra l’altro:

§         previsto l’introduzione, all’art. 6, comma 1, del “decreto Ronchi”, della lettera q-bis) che provvede all’individuazione delle caratteristiche e delle tipologie di rottami che, derivanti da operazioni di recupero o come scarti di lavorazione oppure originati da cicli produttivi o di consumo, sono definibili come materie prime secondarie per attività siderurgiche e metallurgiche (comma 29, lettera a);

§         stabilito le modalità affinché tali rottami siano sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti (comma 26);

§         stabilito (al comma 27), per i rottami ferrosi e non ferrosi provenienti dall’estero, che essi siano riconosciuti a tutti gli effetti come materie prime secondarie derivanti da operazioni di recupero se dichiarati come tali da fornitori o produttori di Paesi esteri iscritti nell’apposita sezione speciale (istituita dal comma 28) dell'Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti.

Tali disposizioni sono state riprese nel d.lgs. n. 152/2006, in particolare dall’art. 183, comma 1, lettera u), che reca la definizione di “materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche la cui utilizzazione è certa e non eventuale[11]”.

Altre esclusioni

Altre esclusioni dal regime normativo dei rifiuti dettato dal decreto Ronchi sono state introdotte, nel corso della XIV legislatura, dai seguenti provvedimenti:

§         l’art. 1 del D.L. n. 22 del 2002 recante Disposizioni urgenti per l'individuazione della disciplina relativa all'utilizzazione del coke da petrolio (pet-coke) negli impianti di combustione[12], che ha escluso dal novero dei rifiuti il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo

§         l’art. 23 della legge n. 179 del 2002 (cd. collegato ambientale) che ha disposto l'esclusione, dall'ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, dei residui e delle eccedenze derivanti dalle preparazioni nelle cucine di qualsiasi tipo di cibi destinati alle strutture di ricovero di animali di affezione;

§         l’art. 1, comma 31, della legge n. 308/2004 che ha autorizzato il Ministro dell'ambiente ad apportare le modifiche e integrazioni al D.M. 5 febbraio 1998, finalizzate a consentire il riutilizzo della lolla di riso, affinché non sia considerata come rifiuto derivante dalla produzione dell'industria agro-alimentare.

Le prime due esclusioni citate sono ora rinvenibili nell’art. 185, comma 1, rispettivamente alle lettere i) ed f) del d.lgs. n. 152/2006.

Accordi di programma

La disciplina degli accordi di programma (nonché dei contratti di programma e dei protocolli d’intesa) contenuta nel d.lgs. n. 152/2006 risulta più articolata e dettagliata rispetto a quella del decreto Ronchi, evidenziando l’intenzione del Governo di favorire l’utilizzo di questo strumento consensuale di gestione dei rifiuti da parte delle amministrazioni competenti.

Per promuovere concretamente il ricorso agli accordi di programma, viene riconosciuta per la prima volta la necessità di individuare (e di ciò vengono investiti i Ministeri dell’ambiente e delle attività produttive) risorse finanziare da destinare alla loro conclusione ed attuazione.

Accanto alle disposizioni generali recate dall’art. 206, si segnalano per il loro carattere di specialità gli accordi di programma disciplinati dall’art. 181, commi 4-11, finalizzati a favorire il recupero dei rifiuti in tutte le sue forme, nonché l’utilizzo di materie prime secondarie, combustibili e prodotti ottenuti dal riciclaggio dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata. Tali accordi:

§         attuano le disposizioni normative previste dalla Parte IV del decreto legislativo (ossia quelle in materia di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati), nel rispetto dei principi e dei criteri previsti dalle norme comunitarie e nazionali;

§         stabiliscono semplificazioni in materia di adempimenti amministrativi, nel rispetto delle norme comunitarie e nazionali;

§         possono ricorrere a strumenti economici;

§         sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale e aperti all’adesione di altri soggetti interessati.

Servizio di gestione dei rifiuti

Gli articoli 201-203 del d.lgs. n. 152/2006 introducono importanti novità in materia di affidamento del servizio di gestione dei rifiuti.

Analogamente a quanto previsto dal decreto Ronchi, anche il decreto n. 152 prevede che la gestione dei rifiuti venga organizzata - di regola - all’interno di un “ambito territoriale ottimale” (ATO), che si identifica nel decreto Ronchi con la provincia ed è invece determinato dalla legge regionale in base al decreto n. 152.

Il primo elemento di novità riguarda invece la costituzione – sulla base di alcune esperienze già realizzate dalla legislazione regionale[13] - di un’autorità d’ambito all’interno dell’ATO e la conseguente gestione integrata del servizio all’interno dell’ambito territoriale ottimale[14].

Si tratta dei cd. STUA (soggetti titolari unici dell’autorità d’ambito), soggetti dotati di personalità giuridica di diritto pubblico (art. 201, comma 2) che dovranno essere costituiti dalle regioni entro sei mesi dall’entrata in vigore della parte quarta del decreto (art. 201, comma 1). Gli STUA saranno dotati di autonomia statutaria, regolamentare, finanziaria e organizzativa.

Gli STUA dovranno provvedere all’affidamento mediante gara del servizio di gestione integrata dei rifiuti (art. 202). Tale disposizione rappresenta un elemento di forte discontinuità con le norme previgenti, in quanto introduce una disciplina derogatoria rispetto a quella generale prevista dall’art. 113 del testo unico enti locali (TUEL), recato dal d.lgs. n. 267 del 2000, che non impone la gara quale unica modalità di affidamento.

Per quanto riguarda poi i rapporti fra STUA e soggetto affidatario, questi vengono regolati attraverso un contratto di servizio (il cui schema è disposto dall’art. 203).

Infine, l’art. 204 reca disposizioni transitorie relative alle gestioni esistenti.

Raccolta differenziata

L’articolo 205 interviene in materia di raccolta differenziata: l’intento generale delle innovazioni normative sembra essere quello di ampliare la nozione di raccolta differenziata (al fine di favorire il recupero energetico) e di introdurre meccanismi incentivanti in tal senso (art. 205, comma 3). Infatti, si osserva che le seguenti disposizioni devono essere lette insieme alla nuova definizione di raccolta differenziata, recata dall’art. 183, comma 1, lettera f), dove appare chiaro l’intento di ricomprendere nel concetto di raccolta differenziata anche la cd. raccolta “multimateriale”, con differenziazione effettuata non alla raccolta, ma al momento della lavorazione.

L’art. 205, comma 1, ridefinisce gli obiettivi percentuali minimi relativi alla raccolta differenziata che devono essere raggiunti negli ATO alle scadenze temporali fissate, che vengono aumentati – per gli anni a venire – rispetto a quelli previsti dal decreto Ronchi.

L’art. 205 prevede, infatti, il raggiungimento dei seguenti obiettivi minimi:

§         35% entro il 31 dicembre 2006;

§         45% entro il 31 dicembre 2008;

§         65% entro il 31 dicembre 2012.

Si ricorda, in proposito, che nel decreto n. 22/1997 l’obiettivo più ambizioso era pari al 35%, da raggiungersi a partire dal sesto anno successivo alla data di entrata in vigore del decreto (quindi dal 2003).

 

L’art. 205 prevede inoltre che al raggiungimento dei citati obiettivi contribuisca anche la frazione organica umida[15] separata fisicamente dopo la raccolta e finalizzata al recupero complessivo tra materia ed energia.

In caso di mancato conseguimento degli obiettivi minimi a livello di ATO, il comma 3 dell’art. 205 prevede l’applicazione di una addizionale del 20% al tributo di conferimento dei rifiuti in discarica[16] a carico dell’Autorità d’ambito, che la ripartisce tra i Comuni del proprio territorio sulla base delle quote di raccolta differenziata raggiunte nei singoli Comuni.

Il comma 6 prevede poi che le regioni, tramite apposita legge regionale, e previa intesa con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, possano indicare maggiori obiettivi di riciclo e recupero.

Autorità di vigilanza

L’articolo 207 prevede che le funzioni già esercitate dall’Osservatorio nazionale dei rifiuti siano esercitate dall’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, istituita dall’art. 159.

L’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ha il compito di assicurare l’osservanza, da parte di tutti i soggetti pubblici e privati, dei principi e delle disposizioni dettate dal decreto n. 152/2006 in materia di risorse idriche e di rifiuti ed è il risultato dell’accorpamento[17]:

§         del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche istituito dall’art. 21 della legge n. 36/1994 (che diventa la Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche)

§         dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti istituito dall’art. 26 d.lgs. n. 22/1997 (che diventa la Sezione per la vigilanza sui rifiuti).

 

Nonostante il lungo elenco di compiti riportato dall’art. 160, tra cui figura anche quello di assicurare “l’osservanza dei principi e delle regole della concorrenza” (lettera a) del comma 1), il sistema di norme recato dall’art. 159 e seguenti sembra prefigurare un’autorità di controllo e vigilanza, e non un’autorità di regolamentazione e coordinamento o di tutela della concorrenza e del mercato[18].

Con riferimento poi all’impianto organizzativo previsto dagli articoli 159-161 si fa notare che esso ripropone in ambito nazionale quanto già previsto a livello regionale dagli artt. 20-22 della legge della Regione Emilia-Romagna n. 25/1999 come modificata dalla legge regionale n. 1/2003.

Autorizzazioni e iscrizioni

L’innovazione principale dal punto di vista autorizzativo sembra essere quella recata dall’articolo 208 in merito alla procedura prevista per l’ottenimento dell’autorizzazione alla realizzazione e la gestione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.

In primo luogo, si osserva che il comma 12 dell’art. 208 prevede l’estensione a 10 anni (rispetto ai 5 anni previsti dall’art. 28, comma 3 del decreto legislativo n. 22/1997) della validità dell’autorizzazione.

Una seconda innovazione consiste nel fatto che due procedure vengono accorpate: non vi è più una procedura per l’autorizzazione degli impianti e una distinta per l’esercizio degli stessi, ma un’unica procedura che si conclude – fermi restando i termini previsti per la conclusione della VIA - entro 150 giorni dall’avvio della procedura con il rilascio di un’autorizzazione unica per la realizzazione e la gestione.

Un’altra novità riguarda la previsione, in linea con quanto previsto dal decreto legislativo n. 59 del 2005 in materia di autorizzazione integrata ambientale (AIA), di una procedura – che ricalca quella normale - per le modifiche sostanziali dell’impianto che incidono sull’autorizzazione.

Si segnala, inoltre, l’articolo 209, che prevede una procedura speciale per il rinnovo delle autorizzazioni di imprese in possesso di specifiche certificazioni ambientali (EMAS, Ecolabel, UNI EN ISO 14001), in linea con una tendenza normativa oramai consolidata[19], e gli artt. 210-211 che disciplinano casi particolari di autorizzazioni.

Imballaggi

Vengono introdotte una serie di novità relativamente alla disciplina degli imballaggi, la maggior parte delle quali ha la finalità di adeguare la disciplina italiana in materia alla direttiva 2004/12/CE, che ha apportato modifiche alla precedente direttiva 94/62.

La prima novità è contenuta nell’articolo 217, il quale specifica al comma 2 che “gli operatori  delle rispettive filiere degli imballaggi nel loro complesso garantiscono, secondo i principi della responsabilità condivisa che l’impatto ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sia ridotto al minimo possibile per tutto il ciclo di vita.”

L’art. 218 introduce nuove definizioni, tra le quali quella di “accordo volontario”, che è presente nelle direttive europee, quale “accordo formalmente concluso tra le pubbliche amministrazioni competenti e i settori economici interessati, aperto a tutti i soggetti interessati, che disciplina i mezzi, gli strumenti e le azioni per raggiungere gli obiettivi di cui all’articolo 220”.

L’art. 220, al fine dell’adeguamento alla nuova normativa comunitaria, provvede alla rideterminazione - attraverso il richiamo all’Allegato E - degli obiettivi di recupero e di riciclaggio da conseguire entro il 31 dicembre 2008.

La tabella seguente mette a confronto gli obiettivi fissati dalla nuova direttiva 2004/12/CE (e adottati dal d.lgs. n. 152/2006) con quelli precedentemente indicati dalla direttiva 94/62/CE (e recepiti con il decreto Ronchi[20]) e con i risultati raggiunti nel corso del 2004 nel nostro Paese:

 

Obiettivi

D.lgs. 22/97

D.lgs. 152/06

Risultati 2004[21]

Obiettivo globale di recupero

min. 50%

max. 65%

min. 60%

62,6%

Obiettivo globale di riciclo

min. 25%

max. 45%

min. 55%

max. 80%

53,7%

Obiettivi minimi di riciclo per materiale:

acciaio

carta

vetro

legno

alluminio

plastica

15%

50%

60%

60%

15%

50%

22,5%

54,5%

62,4%

56,2%

59,7%

45,5%

24,8%

 

La tabella evidenzia come il sistema di gestione italiano, affidato al Consorzio nazionale imballaggi (vedi infra), non sia lontano dai nuovi obiettivi. Lo stesso consorzio dichiara[22] che, alla luce dei dati di consuntivo del 2004 comunicati dai singoli Consorzi, “tale risultato appare raggiungibile dall’attuale struttura consortile”.

Si segnala, inoltre, la disposizione recata dal comma 3 dell’art. 220, secondo cui le pubbliche amministrazioni e i gestori incoraggiano, per motivi ambientali o in considerazione del rapporto costi-benefici, il recupero energetico ove esso sia preferibile al riciclaggio, purché non si determini uno scostamento rilevante rispetto agli obiettivi nazionali di recupero e di riciclaggio.

Consorzi

Le novità principali introdotte dal decreto legislativo n. 152/2006 relativamente alla disciplina dei consorzi riguardano:

§         la transizione da un regime di obbligatorietà ad un regime di volontarietà per l’adesione ai consorzi, nel rispetto del criterio dettato dalla legge delega (art. 1, comma 9, lettera a). In particolare vengono estese a tutti i consorzi le disposizioni previste per i Consorzi di filiera degli imballaggi che prevedono, quale alternativa all’adesione ad uno dei consorzi, l’organizzazione autonoma della gestione - o ancora, nel caso del POLIECO o del CONAI, la previsione di un sistema di restituzione - previo riconoscimento del sistema alternativo adottato da parte dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 1, comma 9, lettera a), della legge n. 308/2004 ha previsto, quale criterio di delega specifico in materia di rifiuti, proprio “l'eventuale transizione dal regime di obbligatorietà al regime di volontarietà per l'adesione a tutti i consorzi costituiti ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22”.

§         la possibilità di istituire più di un consorzio, ogni qualvolta il decreto Ronchi ne prevede solamente uno, ad eccezione del CONAI, che rimane unico. Nel settore degli imballaggi tuttavia la pluralità di soggetti riguarda i “sottostanti” consorzi di filiera.

 

Le modifiche principali previste dal presente decreto sembrano dunque orientate ad introdurre per tutti i consorzi un regime concorrenziale lasciando agli operatori la facoltà di costituire più consorzi per il recupero dello stesso tipo di rifiuto o di non aderirvi affatto, mettendo in atto un’organizzazione autonoma.

Nella relazione illustrativa presentata alle Camere per il parere il Governo has sottolineato che le norme dettate corrispondono alla “necessità di garantire la concorrenzialità ed economicità nella gestione del sistema”.

Si ricorda, in proposito, che tale esigenza è stata riconosciuta anche dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato che ha deliberato, in data 22 marzo 2005, di procedere ad un'indagine conoscitiva di natura generale nel settore dei rifiuti da imballaggio, comprensivo dei segmenti relativi a ciascuno dei consorzi di filiera[23].

 

Si rammenta, inoltre, che per quanto riguarda il CONAI, una delle novità principali risiede nell’introduzione (recata dall’art. 224, comma 3, lettera h) e comma 8), di una disciplina chiara e dettagliata relativa al contributo ambientale CONAI.

Inoltre il decreto, oltre a confermare la facoltà per il CONAI di stipulare un accordo di programma quadro su base nazionale con l’ANCI[24] (a cui vengono affiancate, dall’art. 224, comma 5, l’Unione delle Province Italiane o le Autorità d’ambito), amplia le possibilità di stipulare accordi volontari.

 

Nel corso della XIV legislatura sono stati emanati diversi provvedimenti volti a risolvere alcune problematiche gestionali dei consorzi per il recupero e il riciclaggio dei rifiuti nonché a disciplinare il trattamento (anche fiscale) degli stessi rifiuti gestiti dai consorzi.

Imballaggi

L’art. 23 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (cd. collegato ambientale) ha apportato diverse modifiche alla disciplina recata dal decreto “Ronchi” con riferimento ai consorzi. Si segnalano, in particolare, l’esonero per tutti i consorzi obbligatori:

§         dalla tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti (disposizione confermata dall’art. 190, comma 8, del d.lgs. n. 152/2006);

§         dall’obbligo di iscrizione all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti istituito ai sensi dell'art. 10 del decreto-legge 31 agosto 1987, n. 361[25] (disposizione confermata dall’art. 212, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006).

Batterie al piombo esauste e rifiuti piombosi

L’art. 15 della legge 1° marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001) ha modificato l'art. 9-quinquies, comma 6, del decreto-legge n. 397/1988 (istitutivo del COBAT[26]) per conformarsi alle osservazioni sollevate nella Raccomandazione della Commissione europea del 21 maggio 2001, che invitava lo Stato italiano a superare le restrizioni all’esportazione di batterie al piombo esauste verso altri Stati membri dell’Unione.

Si ricorda, relativamente alla disciplina delle batterie esauste, l’emanazione del DM attività produttive 3 luglio 2003, n. 194 Regolamento concernente l'attuazione della direttiva 98/101/CE della Commissione del 22 dicembre 1998, che adegua al progresso tecnico la direttiva del Consiglio 91/157/CEE relativa alle pile ed agli accumulatori contenenti sostanze pericolose.

Beni in polietilene

Nel corso della XIV legislatura il Governo è intervenuto in più occasioni per differire i termini per l’adesione al POLIECO[27] e per l’applicazione delle relative sanzioni (dapprima con l’art. 1, comma 2, del D.L. 16 luglio 2001, n. 286, poi con l’art. 10 del D.L. n. 355/2003) di fronte alle problematiche operative riscontrate nell’avvio del sistema consortile.

Oli usati

L’art. 7 del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 452[28] ha introdotto (con decorrenza 1° ottobre 2002) un contributo di riciclaggio e di risanamento ambientale a carico dei soggetti che immettono in consumo oli lubrificanti, in sostituzione dell’imposta di consumo sugli oli lubrificanti (soppressa dall’art. 6 del medesimo decreto).

Il medesimo articolo ha demandato ad un regolamento ministeriale la definizione dei requisiti per la ripartizione ed erogazione da parte del COOU[29] delle somme in favore dei soggetti che svolgono l'attività di rigenerazione in ragione della qualità e quantità dei prodotti ottenuti.

Tariffa rifiuti

L’art. 238 del d.lgs. n. 152/2006 prevede l’istituzione di una nuova tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, quale corrispettivo per il servizio di raccolta, recupero e smaltimento[30] degli stessi, che andrà a sostituire, non appena saranno emanati tutti i relativi provvedimenti attuativi[31], la tariffa che attualmente può essere adottata in via sperimentale dai Comuni, in luogo della TARSU, ai sensi dell’art. 49 del decreto Ronchi.

Per quanto riguarda il presupposto applicativo, viene confermato – rispetto a quanto previsto dalla cd. tariffa Ronchi – che esso risiede nel possesso o detenzione di locali nei quali si producono rifiuti urbani, così come viene confermata la composizione della tariffa in una quota fissa, determinata in funzione ai costi sostenuti per gli investimenti, ed una quota variabile, rapportata invece alla quantità dei rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione.

I criteri generali da applicare per la determinazione della tariffa saranno determinati con apposito regolamento ministeriale, sulla base del quale la tariffa dovrà essere determinata, entro tre mesi dall’emanazione di quest’ultimo, dalle Autorità d’ambito (e non più dai Comuni, come invece previsto per l’attuale tariffa) e dovrà essere applicata e riscossa dai soggetti affidatari del servizio di gestione.

Un’interessante novità rispetto, infine, è costituita dal fatto che l’importo dovuto sarà determinato anche in base a specifici parametri che dovranno tenere conto, tra l’altro, di “indici reddituali, articolati per fasce di utenza e territoriali” (comma 2).

 

Nel corso della XIV legislatura, nell’ambito delle sessioni di bilancio, è stato ripetutamente differito il passaggio dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) alla tariffa istituita dall’art. 49 del decreto legislativo n. 22/1997 (cd. decreto Ronchi).

L’ultima proroga[32] del termine di durata della fase di transizione è stata operata dall’art. 1, comma 134, della legge n. 266/2005 (finanziaria 2006), che ha aumentato da sei a sette anni (scadenti, quindi, al 1° gennaio 2007[33]) la durata massima della fase di transizione entro la quale i comuni che abbiano raggiunto nell'anno 1999 un grado di copertura dei costi superiore all'85 per cento [articolo 11, comma 1, lettera a), del D.P.R. n. 158 del 1999], sia quelli che abbiano raggiunto un grado di copertura dei costi tra il 55 e l'85 per cento [articolo 11, comma 1, lettera b), del medesimo decreto] sono tenuti a raggiungere la piena copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa.

Con il comma 340 dell’art. 1 della legge n. 311/2004 (finanziaria 2005) è stata modificata, invece, la disciplina vigente[34] relativa all’individuazione della superficie di riferimento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) al fine di contrastare frequenti fenomeni di evasione[35].

In particolare il comma citato ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2005, per le unità immobiliari di proprietà privata a destinazione ordinaria censite nel catasto edilizio urbano, che la superficie di riferimento indicata nella denunzia presentata dai soggetti che occupano o detengono locali e aree soggette alla tassa non può essere inferiore all'80 per cento della superficie catastale determinata secondo i criteri stabiliti dal DPR 23 marzo 1998, n. 138.

Green public procurement

Il termine Green Public Procurement (GPP) designa una politica di acquisti verdi da parte della Pubblica amministrazione, che prevede quindi anche criteri ambientali e sociali nella scelta di prodotti o servizi.

Nel corso della XIV legislatura il Parlamento ha approvato diverse disposizioni finalizzate ad imporre alla P.A. quantitativi minimi di acquisti di materiale riciclato. In particolare si ricorda l’art. 52, comma 56, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (finanziaria 2002), come modificato dall'art. 23 della legge 31 luglio 2002, n. 179, che hanno novellato il decreto Ronchi introducendo l’obbligo, per gli uffici e gli enti pubblici, e le società a prevalente capitale pubblico, anche di gestione dei servizi, di coprire il fabbisogno annuale dei manufatti e beni indicati in apposito decreto ministeriale, con una quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato non inferiore al 30% del fabbisogno medesimo.

Disposizioni analoghe sono state introdotte dall’art. 52, comma 14, della medesima legge n. 448/2001 (obbligo per le P.A., nell’acquisto di pneumatici di ricambio, di ricorrere a quelli ricostruiti nella misura del 20% del totale) e dall’art. 1, comma 16, della legge n. 443/2001 (obbligo per gli uffici pubblici di coprire il fabbisogno di manufatti in plastica acquistando manufatti in plastica riciclata per almeno il 40% del fabbisogno stesso).

La necessità di adottare una strategia di green public procurement è stata evidenziata anche in sede europea nella comunicazione della Commissione europea del 27 maggio 2003 Verso una strategia tematica di prevenzione e riciclo dei rifiuti[36]. La stessa Commissione ha successivamente emanato una sorta di manuale sul GPP[37] recante le linee guida applicative per la P.A. Si ricorda, inoltre, che le nuove direttive sugli appalti pubblici (2004/17/CE e 2004/18/CE – v. scheda Le direttive appalti 2004/17/CE e 2004/18/CE) per il coordinamento delle procedure di acquisto e aggiudicazione prevedono specifici riferimenti e requisiti per l’adozione di criteri ambientali nella selezione e nell’aggiudicazione.

 

Al fine di consentire l’avvio effettivo di un sistema di acquisti verdi, in attuazione dell’art. 52, comma 56, della legge n. 448/2001, il Ministero dell’ambiente ha provveduto ad emanare il DM 8 maggio 2003, n. 203, che a sua volta ha richiesto – per la sua operatività - l’emanazione di numerose circolari esplicative per le differenti tipologie di beni e manufatti[38].

 

Il decreto legislativo n. 152 ridisegna il quadro normativo in materia di GPP nell'ambito degli articoli dedicati alle competenze dello Stato e delle Regioni, nonché al recupero dei rifiuti.

L'art. 195, comma 1, lettere i) ed s), include tale materia tra quelle di competenza statale, ma non indica alcuna percentuale minima di impiego di prodotti riciclati.

Il successivo art. 196, comma 1, lettera p), relativo alle competenze delle Regioni, riporta invece la percentuale del 30% di prodotti derivanti da processi di recupero originariamente prevista dal DM n. 203/2003.

Secondo alcuni ciò potrebbe essere interpretato nel senso che la normativa sia applicabile solo ad appalti e forniture di competenza degli enti locali mentre per le altre stazioni appaltanti non vi sono particolari prescrizioni, salvo futuri provvedimenti legislativi.

Al fine di incentivare l'utilizzo di prodotti riciclati è previsto, inoltre, che le regioni inseriscano nei bandi di gara o di selezione apposite clausole di preferenza, mentre l'art. 181, comma 4, reca una previsione generica secondo cui le pubbliche amministrazioni promuovono e stipulano accordi e contratti di programma con i soggetti economici interessati o con le associazioni di categoria al fine di favorire l’utilizzo di prodotti ottenuti dal recupero dei rifiuti.

 

Bonifica dei siti inquinati

Gli articoli 239-253 contengono numerose disposizioni che innovano la procedura relativa alla bonifica dei siti inquinati.

Una prima rilevante modifica riguarda il fatto che vengono previste due differenti soglie di contaminazione, concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) e concentrazioni soglia di rischio (CSR), al superamento delle quali sono collegate specifiche azioni da intraprendere da parte del responsabile dell’inquinamento.

Secondo l’art. 242, che delinea le nuove procedure operative ed amministrative, il soggetto che cagiona un rischio di superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) deve adottare misure di prevenzione. L’obbligo di adozione di un vero e proprio piano di bonifica scatta solo nel caso in cui le autorità competenti verifichino il superamento dei valori di concentrazioni soglia di rischio dopo lo svolgimento di una procedura di analisi del rischio[39].

La disciplina previgente prevedeva, invece, nel momento in cui si verificava il superamento - anche accidentale - di determinati limiti (indicati nel D.M. n. 471 del 1999 che reca, all’Allegato 1, un elenco di concentrazioni limite accettabili per il suolo, il sottosuolo e le acque sotterranee) o nel caso vi fosse il pericolo attuale e concreto di superamento di tali limiti[40], che il responsabile approntasse un progetto per la bonifica, sottoposto all’approvazione del comune.

Si nota, altresì, che nella nuova procedura non viene fatto più riferimento al fatto che il cagionamento del rischio può essere anche accidentale. Inoltre, non vengono comprese le province nell’elenco dei soggetti a cui deve pervenire la comunicazione.

Vengono inoltre definite (commi 9-10 dell’art. 242) procedure apposite per gli interventi nei siti con attività in esercizio per cui è possibile effettuare una messa insicurezza operativa in attesa dell'intervento di bonifica che sarà effettuato al momento della cessazione dell'attività.

Procedure semplificate vengono poi previste dall’articolo 249 (che rinvia all’allegato IV) per le aree da bonificare di ridotte dimensioni.

Un’altra novità risiede nella previsione della redazione di un regolamento apposito per le aree agricole (articolo 241).

Un’importante novità riguarda poi le acque di falda emunte dalle falde sotterranee che - nell’ambito degli interventi di bonifica - possono essere scaricate direttamente, o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, in acque superficiali (art. 243).

L’articolo 246 prevede la possibilità, da parte dei soggetti responsabili (o di quelli comunque interessati), di stipulare con le amministrazioni competenti, accordi di programma per definire le modalità e i tempi di esecuzione degli interventi di bonifica.

 

Un’ultima novità riguarda la disciplina degli oneri reali e dei privilegi speciali.

Innanzitutto, nella nuova disciplina (articolo 253) non è più previsto che le spese sostenute per gli interventi di bonifica siano assistite da privilegio generale mobiliare. Inoltre, gli interventi di messa in sicurezza costituiscono onere reale solo nel caso in cui gli interventi siano effettuati d’ufficio.

Viene introdotta inoltre una norma, in base alla quale “il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati, nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell'inquinamento o del pericolo di inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato dell’autorità competente che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l'impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità.”

Infine, è previsto che in ogni caso, il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l'osservanza delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati dall’autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi. Nel caso in cui il proprietario non responsabile dell’inquinamento abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute e per l’eventuale maggior danno subito.

 



[1] Anche a livello europeo, tanto da portare la Commissione europea ad avviare una specifica procedura di infrazione C(2002)2002.

[2] Per un approfondimento dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia si veda S. Maglia e M.V. Balossi, Terre e rocce da scavo: rifiuto o non rifiuto? Il punto alla luce del nuovo “T.U. ambientale”, in “Ambiente e sviluppo” n. 2/2006.

[3] Fino all’emanazione di tale DM si continueranno ad applicare i valori limite previsti dall'Allegato 1, tabella 1, colonna B, del DM 471/999.

[4] Recepita, nel nostro ordinamento, dall’art. 4 del decreto legislativo n. 22/1997.

[5] Le caratteristiche specifiche del CDR sono state dettate dal D.M. 5 febbraio 1998 recante Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.

[6] Si rammenta che nel corso della conversione in legge (avvenuta ad opera della legge 27 febbraio 2002, n. 16) l’inclusione del CDR tra i rifiuti speciali venne condizionata al fatto che il combustibile “non rivesta le caratteristiche qualitative individuate da norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale”. Tuttavia, poiché tale specificazione risultava piuttosto ambigua e contrastante con la definizione recata dall’art. 6 del Ronchi, essa è stata eliminata dall’art. 23 comma 1 lettera a), della legge n. 179/2002 (cd. collegato ambientale).

[7] Refuse Derived Fuel.

[8] http://www.ambientediritto.it/sentenze/2005/Cassazione/Cassazione 2005 n.16351.htm.

[9] Emanato in attuazione dell'art. 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179.

[10] Si ricorda, in proposito, l’emanazione della direttiva 9 aprile 2002 del Ministero dell'ambiente recante Indicazioni per la corretta e piena applicazione del regolamento comunitario n. 2557/2001 sulle spedizioni di rifiuti ed in relazione al nuovo elenco dei rifiuti, pubblicata nella G.U. n. 108 del 10 maggio 2002 – S.O. n. 102.

[11] Si noti, in proposito, che rispetto a quanto previsto dalla legge n. 308/2004 la lettera u) in esame aggiunge la specificazione “la cui utilizzazione è certa e non eventuale”, che recepisce quanto affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza interpretativa 11 novembre 2004 C 457/02, secondo cui un residuo di produzione non è da considerare rifiuto nel caso in cui venga utilizzato in maniera certa e non eventuale nell’ambito di uno stesso processo produttivo e senza trasformazioni preliminari.

[12] Convertito dalla legge n. 82 del 2002.

[13] L’esempio più significativo è probabilmente offerto dalla regione Veneto (legge n. 3 del 2000, come modificata dalla legge n. 22 del 2004), dove alla gestione dei rifiuti urbani e assimilati i comuni provvedono attraverso l’Autorità d’ambito. La consultazione fra gli enti locali avviene attraverso la “Conferenza d’ambito”. Si veda, inoltre, anche l’esperienza della Liguria (legge n. 18 del 1999, modificata dalla legge n. 8 del 2002).

[14] Si ricorda che il decreto Ronchi (art. 23, commi 1-3) prevedeva che, di regola, gli ATO per la gestione dei rifiuti urbani fossero le Province che, in essi, dovevano assicurare una gestione unitaria dei rifiuti urbani e predisporre piani di gestione dei rifiuti, sentiti i Comuni, in applicazione degli indirizzi e delle prescrizioni del decreto medesimo. Veniva inoltre disposto che, per esigenze tecniche o di efficienza nella gestione dei rifiuti urbani, le Province potessero autorizzare gestioni anche a livello subprovinciale e che i comuni di ciascun ATO organizzassero la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità. Tuttavia tali norme non hanno trovato applicazione su tutto il territorio nazionale, in quanto non tutte le regioni hanno organizzato il servizio sulla base di ambiti territoriali ottimali.

[15] Definizione introdotta nell’ordinamento dall’art. 183, comma 1, lettera o), del decreto n. 152.

[16] Istituito dall’articolo 3, comma 24, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, al fine di favorire la minore produzione di rifiuti e il recupero dagli stessi di materia prima e di energia.

[17] Più precisamente l’art. 159, comma 1, prevede che il Comitato assuma la denominazione di Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, in cui confluisce anche l’Osservatorio nazionale sui rifiuti. L’art. 207, comma 2, dispone quindi che l’Autorità, “oltre alle attribuzioni individuate dal presente articolo, subentra in tutte le altre competenze già assegnate dall’articolo 26 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 all’Osservatorio nazionale sui rifiuti, il quale continua ad operare sino all’entrata in vigore del regolamento” che, ai sensi del comma 4 dell’articolo 159 del presente decreto, dovrà disciplinare l’organizzazione e il funzionamento, anche contabile, dell’Autorità stessa. Per tale regolamento, ai sensi del citato comma 4, è prevista l’adozione con delibera del Consiglio dell’Autorità e l’emanazione con DPCM ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge n. 400/1988.

[18] Secondo le osservazioni sollevate da Federambiente nel corso dell’audizione presso le Commissioni riunite di Camera e Senato preliminari alla formulazione del parere sullo schema di decreto, poi emanato come d.lgs. n. 152/2006, “la tutela della concorrenza appare tuttavia compito eccessivo e di competenza propria dell’Autorità per la concorrenza ed il mercato. Se si trattasse di concorrenza ex art. 113 del T.U.E.L. le modalità formali di espletamento della gara dovrebbero essere definite in ciascuna sede regionale, come deliberato dalla sentenza della Corte costituzionale 272/2004”.

[19] Si vedano in proposito le norme agevolative per le imprese eco-certificate recate dal d.lgs. n. 59/2005 in materia di AIA (v. scheda L’autorizzazione integrata ambientale).

[20]    Si vedano l’art. 37 e l’allegato E del decreto.

[21]    Fonte: CONAI, Programma generale di prevenzione e gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, 2005 (disponibile all’indirizzo www.conai.org/hpmdoc.asp?IdDoc=622).

[22] Programma generale di prevenzione e gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio – CONAI, 2005, pagina 12.

[23] www.agcm.it/agcm_ita/DSAP/DSAP_IC.NSF/0/f893f8bc57ffb0d2c1256fe1003bce01?OpenDocument

[24] Si ricorda che l’accordo di programma quadro tra ANCI e CONAI stipulato in data 8 luglio 1999 per la raccolta ed il recupero dei rifiuti di imballaggio, in attuazione delle previsioni dell’art. 41, comma 3, del decreto Ronchi, è stato recentemente sostituito da un nuovo accordo, siglato in data 14 dicembre 2004, valido fino al 2008 e comprensivo di appositi allegati tecnici per filiera di materiale, sottoscritti dai relativi consorzi (acciaio, alluminio, carta, legno e plastica, con esclusione del vetro), che su tale base organizzano le proprie attività. Secondo il Programma generale di prevenzione e gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio per l’anno 2003 (pagina 5) del CONAI “Le convenzioni stipulate con i Comuni, nel quadro dell’accordo ANCI-CONAI, coprono ormai oltre i due terzi della popolazione nazionale ed hanno prodotto una crescita del 116% dei rifiuti recuperati, provenienti dalla raccolta pubblica”.

[25] Convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 441.

[26] Consorzio obbligatorio batterie al piombo esauste e rifiuti piombosi (http://www.cobat.it).

[27] Consorzio per il riciclaggio dei rifiuti di beni in polietilene (http://www.polieco.it).

[28] Convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2002, n. 16. Tale articolo è stato successivamente modificato dall’art. 18 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (recante Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326) che ha provveduto a risolvere i problemi emersi dalla formulazione originaria (si veda, in proposito, N. Biancani Oli usati: dalla rigenerazione alla produzione di combustibili a specifica, in “Ambiente, consulenza e pratica per l’impresa” n. 4/2003.

[29] Consorzio obbligatorio degli oli usati (http://www.coou.it).

[30] La nuova tariffa include anche i costi per lo smaltimento in discarica (indicati nell’art. 13 del d.lgs. n. 36/2003).

[31] Il comma 11 dell’art. 238 prevede, infatti, che sino a quando non sarà emanato il regolamento che individuerà i criteri generali per la determinazione della nuova tariffa, e comunque fino al compimento di tutti gli adempimenti necessari per l’applicazione della stessa, restano ferme le discipline regolamentari attualmente vigenti in materia.

[32] Precedentemente erano intervenuti l’art. 31, comma 21, della legge finanziaria per il 2003 (legge 27 dicembre 2002, n. 289), indi l’art. 4, comma 116, della legge finanziaria per il 2004 (legge 24 dicembre 2003, n. 350), e infine l’art. 1, comma 523, della legge finanziaria per il 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311).

[33] Secondo quanto precisato dal Ministero delle finanze con la circolare 17 febbraio 2000 n. 25, le decorrenze per la transizione dalla TARSU alla tariffa erano originariamente:

a)   1° gennaio 2003 per i comuni con un grado di copertura dei costi superiore all'85% nel 1999;

b)   1° gennaio 2005 per i comuni con copertura dei costi tra il 55% e l'85% nel 1999;

c)   1° gennaio 2008 per i comuni con copertura dei costi sotto al 55% nel 1999, nonché per tutti i comuni fino a 5.000 abitanti, a prescindere dalla copertura dei costi raggiunta nel 1999.

[34] Contenuta nel capo III del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507.

[35] Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa del ddl (AC 5310), le attività di accertamento svolte da alcune amministrazioni locali hanno consentito di ricuperare un rilevante scostamento (fino al 30%) fra gli effettivi dati di superficie delle unità immobiliari e quelli denunziati dagli occupanti per la determinazione della tassa.

[36] COM (2003) 301 def. Tale documento può essere consultato all’indirizzo internet http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/it/com/2003/com2003_0301it01.pdf.

[37] http://europa.eu.int/comm/environment/gpp/pdf/handbook_it.pdf.

[38] L’elenco delle circolari emanate, ed il relativo tesato, può essere consultato all’indirizzo internet http://acquistiverdi.it/contenuti/leggi_e_bandi/leggi/110.

[39] Si ricorda che norme che connettono gli interventi di bonifica ad una preventiva analisi di rischio sono – da anni - ampiamente diffuse in numerosi paesi europei. Si ricorda, inoltre, che anche la direttiva 99/31/CE relativa alle discariche di rifiuti (recepita nell’ordinamento nazionale con il d.lgs. n. 36 del 2003) contempla l’adozione dell’analisi di rischio in relazione alla valutazione dell’efficacia delle soluzioni progettuali e gestionali previste per le nuove discariche ed alla verifica della conformità delle vecchie discariche ai criteri prescritti ed alle prestazioni ambientali da raggiungere.

[40] Si ricorda, in collegamento con quanto detto, che le nuove disposizioni recate dall’art. 257 escludono che possa essere punito chi causa il rischio di superamento dei limiti: viene punito solo chi cagiona il superamento effettivo degli stessi.