Il condono edilizio

Condono edilizio fra disciplina statale e norme regionali

L’articolo 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, ha disposto una nuova sanatoria degli abusi edilizi (sotto il profilo della sanzione sia penale che amministrativa) operando in gran parte sul ricalco dei due precedenti del 1985 e del 1994[1].

 

La disciplina di carattere generale di sanatoria degli abusi edilizi è contenuta, in particolare, ai commi 25-49 quater dell’articolo 32, mentre una prima parte dello stesso articolo (commi 14-23) reca misure (di portata più circoscritta) per il condono di opere eseguite su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale, per la vendita delle aree appartenenti al patrimonio disponibile dello Stato e per la rideterminazione dei canoni per la concessione d’uso delle aree demaniali.

 

Le norme statali originarie richiamavano le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge n. 47 del 1985 (“primo” condono edilizio) e dall’articolo 39 della legge n. 724 del 1994 (“secondo” condono). Le opere ammesse al condono - comunque realizzate entro e non oltre  il 31 marzo 2003 – erano, ai sensi del comma 24:

§      ampliamento del manufatto originario non superiore al 30% o – alternativamente – ai 750 mc;

§      nuova costruzione, ma limitatamente agli edifici residenziali, anche in questo caso nel limite dei 750 mc per singola richiesta e a condizione che la nuova costruzione non superasse complessivamente i 3.000 metri cubi.

Nei commi successivi venivano disciplinate le tipologie di opere suscettibili di sanatoria (comma 26), le esclusioni (comma 27) e gli aspetti procedurali e di coordinamento normativo (commi da 32 a 45).

Le disposizioni dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 sono state successivamente modificate ed integrate, ma relativamente ad aspetti secondari, dalla legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003)[2].

 

Il nuovo condono edilizio è stato impugnato dinanzi alla Corte costituzionale da alcune Regioni: Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Friuli V. G., Marche, Lazio.

I ricorsi dinanzi al giudice costituzionale prospettavano una serie di motivi di illegittimità, che possono essere sostanzialmente ricondotti, da un lato alla violazione del principio di tassatività e certezza delle norme penali sancito dall’art. 25 della Costituzione, e dall’altro alla violazione del riparto costituzionale di funzioni legislative e amministrative fra Stato e Regioni (artt. 117 e 118 Cost.)[3].

Intanto, la maggior parte delle Regioni e Province autonome, in risposta al condono edilizio, emanava normative finalizzate talvolta ad integrare le norme statali (come previsto dallo stesso articolo 32), ma talvolta finalizzate a limitare o addirittura ad annullare, nel proprio territorio, gli effetti (amministrativi) della sanatoria[4].

Alcuni di questi atti legislativi (leggi regionali Toscana, Friuli V.G., Marche ed Emilia-Romagna) sono stati impugnati dinanzi alla Corte costituzionale dal Presidente del Consiglio per violazione degli articoli 5 e 127 della Costituzione.

 

Si ricorda che il termine per la presentazione delle domande di sanatoria era stato fissato, dal decreto legge n. 269 (art. 32, comma 32), al 31 marzo 2004[5], ma nell’imminenza di tale scadenza era ormai opinione generale che la Corte costituzionale si sarebbe pronunciata non prima della fine di maggio. Pertanto, il Governo, al fine di evitare che la situazione di incertezza condizionasse l’effettiva applicazione delle norme introdotte, esponendo fra l’altro i presentatori delle domande ai rischi dell’autodenuncia, ha emanato il decreto-legge 31 marzo 2004, n. 82, convertito dalla legge 28 maggio 2004, n. 141, che ha prorogato fino al 31 luglio 2004 il termine per la presentazione delle domande.

 

Con la sentenza n. 196 e la sentenza n. 198 (entrambe in data 24-28 giugno 2004), la Corte costituzionale si è pronunciata, rispettivamente, sui ricorsi regionali contro l’art. 32 del decreto legge n. 269 e sui ricorsi statali contro le leggi regionali (v. scheda Il condono edilizio – Giurisprudenza costituzionale).

In particolare, con la sentenza n. 196, la Corte ha:

§      dichiarato l’illegittimità costituzionale di numerose disposizioni che disciplinavano i dettagli del condono (fra i quali la definizione e le tipologie degli abusi sanabili, nonché dei limiti volumetrici);

§      attribuito alle disposizioni statali relative ai suddetti aspetti il valore di limite massimo in quanto alle Regioni non è stata riconosciuta la facoltà di prevedere un condono più “estensivo” di quello delineato dal decreto legge n. 269;

§      riconosciuto che alcune delle disposizioni statali (fra le quali quelle che prevedevano comunque un condono degli abusi edilizi) rivestivano invece carattere di norme di principio ed erano pertanto legittime, essendo la normativa ascrivibile alla materia del governo del territorio;

§      disposto che una nuova legge statale dovesse assegnare un congruo termine alle regioni per disciplinare in autonomia gli aspetti di dettaglio;

§      previsto che – una volta scaduto il termine assegnato dalla legge statale – si applicassero le norme statali di dettaglio nei territori di quelle regioni che non avessero legiferato. In altri termini, dopo la scadenza del termine, nelle regioni che non avessero legiferato, le norme statali si sarebbero “riespanse” al rango di fonte propria sia della normativa di principio, sia di quella di dettaglio, e quello che (nel primo caso) andava considerato come mero “limite massimo”, tornava ad essere disciplina effettiva del condono.

 

Al fine di adeguare la normativa sul condono edilizio alle sentenze n. 196 e 198, il Governo ha emanato il decreto legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191.

In particolare, l’art. 5 del decreto legge (come convertito), ha disposto che le leggi regionali dovessero essere emanate entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso (quindi entro l’11 novembre 2004).

Conseguentemente sono stati prorogati i termini per la presentazione delle domande di sanatoria e quelli per i pagamenti successivi delle rate dell’oblazione e degli oneri concessori.

Inoltre, l’art. 5 del decreto legge n. 168 ha introdotto norme relative alla complessa casistica venutasi a creare a causa del succedersi di differenti discipline. In particolare, al fine di salvaguardare il principio dell'affidamento, l’art. 5 ha disposto che le domande già presentate fra la data di entrata in vigore del decreto legge n. 269 e la data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte costituzionale n. 196 (7 luglio 2004) restassero valide a tutti gli effetti, salva diversa statuizione delle leggi regionali (gli effetti penali sono invece stati fatti comunque salvi).

 

Una volta scaduto il termine dell’11 novembre 2004, la situazione si è presentata in termini alquanto chiari per i territori delle regioni che hanno legiferato entro il termine. Altrettanto chiaramente, nei territori delle regioni che non hanno legiferato, la normativa applicabile è risultata (per “riespansione”) quella recata dal decreto legge n. 269. La situazione invece ha presentato profili di forte problematicità nella regione Campania, che ha legiferato oltre il termine dell’11 novembre (legge 18 novembre 2004, n. 10). Contro la legge campana lo Stato ha promosso un ricorso dinanzi alla Corte costituzionale e – fino alla relativa sentenza – la normativa applicabile in quei territori è risultata di difficile individuazione.

Sul ricorso statale contro la legge della regione Campania è intervenuta la sentenza n. 49 del 2006 con cui la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune (le più rilevanti) delle disposizioni della legge della Regione Campania n. 10 del 2004, in quanto intervenute in violazione del termine perentorio previsto dall’art. 5, comma 1, del decreto legge n. 168 del 2004. La mancata emanazione della legge regionale entro il termine previsto è stata valutata dalla Corte come violazione del principio di leale collaborazione.

Modifiche recate da norme successive al decreto legge n. 269 del 2003

Alcune modifiche relative ai termini di presentazione delle domande sono state introdotte a seguito della promozione dei ricorsi dinanzi alla Corte, con la finalità di evitare – come si è già riportato sopra - situazione di incertezza applicativa, suscettibili di esporre, fra l’altro, i presentatori delle domande ai rischi dell’autodenuncia. Tali modifiche sono state recate dal decreto-legge 31 marzo 2004, n. 82, convertito dalla legge 28 maggio 2004, n. 141, ed hanno riguardato il comma 32 dello stesso art. 32 del decreto legge n. 269, prorogando al 31 luglio 2004 il termine per la presentazione delle domande.

Le stesse disposizioni dell’art. 32, comma 32, sono state successivamente modificate dall’art. 5 del decreto legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, conseguentemente alla pubblicazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 196 e 198 (24-28 giugno 2004). La scadenza per la presentazione della domanda è stata indicata non con un termine puntuale, ma con un arco temporale, compreso fra l’11 novembre 2004 (termine concesso alle regioni per legiferare con proprie norme integrative) e il 10 dicembre 2004. Lo stesso decreto legge n. 168 ha modificato anche il comma 37 e agli allegati, relativamente al termine per il pagamento degli oneri di concessione e per la presentazione della documentazione allegata alla domanda di sanatoria.

Si ricorda anche che il comma 2 bis dell’art. 5 del decreto legge n. 168, ha introdotto disposizioni relative alle domande di sanatoria presentate prima della data di pubblicazione nella G.U. della sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2004. Le disposizioni - finalizzate alla salvaguardia il principio dell'affidamento - convalidano, a tutti gli effetti, tali domande, salva comunque diversa statuizione delle leggi regionali. Per quanto riguarda gli effetti penali, invece, la loro conferma viene disposta comunque, a prescindere dalle statuizioni regionali, in virtù della competenza esclusiva statale in tale ambito (riconosciuta anche dalla sentenza n. 196).

Successivamente, è intervenuto anche l’art. 10 del decreto legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, che ha nuovamente prorogato i termini di cui al comma 37 e agli allegati (termini per il pagamento degli oneri di concessione e per la presentazione della documentazione allegata alla domanda di sanatoria).

Infine, con l’art. 11 del decreto legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51, è stato modificato il termine (prorogato fino al 30 aprile 2006) per l’integrazione documentale, di cui all’allegato 1, ultimo periodo, del decreto legge n. 269 del 2003.

Applicazione delle norme statali

In data 3 marzo 2006 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 2699 del 7 dicembre 2005, a firma del Vice Ministro Martinat, con la quale sono state recate – nei limiti della competenza statale - una serie di disposizioni applicative e di chiarimento delle norme recate dall’art. 32 del decreto legge n. 269, preceduta anche da una ricostruzione delle vicende normative che si sono riassunte nel presente capitolo.



[1] Legge 28 febbraio 1985, n. 47 e legge 23 dicembre 1994, n. 724.

[2] In particolare, l’art. 2, comma 70, della legge n. 350 del 2003 ha soppresso alcune norme onerose, finalizzate al finanziamento di programmi per il risanamento e la riqualificazione delle aree maggiormente interessate dal fenomeno dell’abusivismo edilizio; il comma 125 dell’articolo 4, al fine di evitare il rischio di dubbi interpretativi, ha esplicitato l’esclusione dal condono edilizio di tutte le opere realizzate nei porti, nelle aree appartenenti al demanio marittimo, lacuale e fluviale e nei terreni gravati da usi civici (esclusione che comunque era probabilmente già ricavabile dal comma 14 dell’articolo 32); il comma 50 dell’articolo 3 esclude dal calcolo del disavanzo finanziario degli enti territoriali le spese per l’attività istruttoria dei comuni, connessa con il rilascio delle concessioni in sanatoria; infine, il comma 53 dell’articolo 2 modifica una disposizione del decreto legge n. 269 che aveva triplicato i canoni per le concessioni d’uso di aree demaniali.

[3] Si ricorda che alcune regioni, nei rispettivi ricorsi, hanno proposto anche istanza di sospensione dell’atto impugnato, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 87 del 1953 (come novellato dall’articolo 9 della legge n. 131 del 2003). Tali istanze sono state successivamente ritirate e quindi la Corte si è potuta pronunciare direttamente sul merito.

[4] In particolare: Basilicata, Emilia Romagna, Friuli V.G., Marche, Toscana, Valle d’Aosta, Puglia, Sardegna, Umbria, Campania, Calabria, Liguria, Provincia di Trento, Provincia di Bolzano, Sicilia e Veneto.

[5] Il termine – di valore sostanziale - entro il quale l’abuso deve essere stato compiuto per poter ricadere nell’ambito di applicazione della sanatoria è invece quello del 31 marzo 2003. Si ricorda che quest’ultimo termine, determinato dal testo originario del decreto legge n. 269, non è successivamente variato, in quanto le successive vicende, di seguito descritte, hanno riguardato i soli termini procedurali di presentazione delle domande e di pagamento dell'oblazione.