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Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1287)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alessandri. Ne ha facoltà.
ANGELO ALESSANDRI. Presidente, colleghi e rappresentanti del Governo, diciamo che parliamo più per i colleghi assenti che per quelli presenti, anche perché sarebbe poco piacevole parlare soltanto ai colleghi presenti, e non ho la pretesa di pensare che domani mattina qualcuno andrà a leggere il mio intervento, per cui cercherò di parlare in modo simbolico a tutta la maggioranza.
Il decreto-legge di cui stiamo parlando di fatto rappresenta una questione politica; è giusto pertanto affrontarla ad ampio raggio.
Avevo preparato alcune battute in dialetto reggiano, vista la presenza del vicepresidente Castagnetti, ma dato il cambio di Presidenza sarà per la prossima volta! Visto che Reggio Emilia, di solito, viene rappresentata soltanto da Prodi, credo sia giusto rappresentarla anche da parte di un parlamentare non di sinistra.
Credo sia importante cominciare innanzitutto a capire di cosa stiamo parlando. Più che di uno «spacchettamento», credo sarebbe più giusto parlare di un «pacchettamento», perché da noi, quando ti rifilano una fregatura, si suole dire «ti hanno fatto un pacco». A mio avviso, quello che ci hanno fatto è proprio un «pacco»! Ho provato ad immaginare quando, chiusi all'interno di uno stanzone, quelli dell'Unione, che più che un'unionePag. 120politica sembra un'Unione sovietica, hanno cercato di distribuire poltrone, pane e pesci per tutti. È un po' come inserire all'interno di un'urna una serie di bussolotti e cominciare ad estrarli uno per volta. È capitato, però, che la stessa pallina la volevano in tre, così a quel punto si è cercato di dividerla in tre parti, oppure Prodi, novello Silvan, con un bel «sim sala bim», le ha moltiplicate per riuscire ad accontentare tutti.
In maniera meno prosaica si è applicato, alla vecchia maniera, il classico manuale Cencelli, riuscendo a far impallidire il record storico detenuto da Andreotti. Siamo oggi addirittura a 105 poltrone di Governo, fra ministri e sottosegretari. Molti in Italia hanno perso il conto e sono convinti che siano ancora 102, ma sono stati nominati altri tre sottosegretari. Hanno un bel raccontarci che 105 poltrone, record assoluto, sia una cosa giusta, dovuta, funzionale e a costi invariati.
Tutte queste poltrone vogliono dire, come minimo, 210 segretari, 210 uomini di scorta, 105 auto blu, 105 uffici, 105 dotazioni; in sostanza, vuol dire moltiplicare all'inverosimile la spesa. Qualcuno s'è preso la briga di fare anche i conti di quanto costerà alla comunità la decisione di far dimettere alcuni membri di Governo per mantenere la risicata maggioranza che avete al Senato: si tratta di 6 o 7 milioni di euro.
È stato bello fare i fenomeni, lo avete fatto per cinque anni andando in piazza. Avevate dalla vostra le associazioni di categoria, i sindacati e, in ultimo, avete avuto anche i magistrati.
Dico questo perché un dubbio serio che abbiate vinto davvero le elezioni ce l'ho. Dopodiché siete lì, governate se riuscite, noi faremo opposizione e cercheremo di impedirvelo, per quanto possibile. Però, ricordiamo una cosa: la corte d'appello non ha voluto fare una verifica seria su 20 regioni. In Emilia-Romagna - guarda caso, l'Emilia-Romagna; non è un caso - siamo riusciti a rompere le scatole, trovando, guarda caso, un magistrato che ha voluto fare un po' di verifiche (l'unica regione d'Italia!). Ci hanno definito sui giornali locali i «giapponesi» che continuavano a combattere sull'isola deserta una guerra pur non sapendo di averla già persa.
Però, abbiamo preso quattro sezioni a caso di Bologna e le abbiamo esaminate, approfondendo quel dubbio che era sempre nella nostra testa. Ammesso che ciò che avviene all'interno di una sezione elettorale sia regolare, i dati che arrivano al Viminale corrispondono ai dati sulla base dei quali poi vengono proclamati i vincitori? Magicamente, non è così. Guarda caso, in una sezione, Forza Italia aveva 500 voti, a Roma ne risultavano 500, mentre la Margherita da 100 ne aveva 120. In un'altra sezione, la Lega Nord aveva 120 voti ma a Roma ne risultavano 100, mentre l'UDEUR era passata da 100 a 120. Siamo andati avanti. I «giapponesi» hanno continuato a fare la verifica. Abbiamo verificato 220 sezioni in Emilia-Romagna.
Si tratta di eventi poco pubblicizzati, soprattutto dai giornali a voi vicini. Abbiamo recuperato 1600 voti su 220 sezioni, certificati dai magistrati della corte d'appello dell'Emilia-Romagna. Se contate che in Emilia-Romagna le sezioni sono 4600 circa, moltiplicate i 1600 voti per 20, abbiamo circa 30 mila voti, ma se considerate che la maggior parte di questi voti sono doppi, perché dal centrosinistra vanno riportati al centrodestra, capite che nella sola Emilia-Romagna il dubbio è che ci siano stati rubati dai 40 ai 60 mila voti.
Personalmente, io, che il giorno stesso delle elezioni, quando Berlusconi disse che ci avevano rubato i voti, dissi in televisione che la gente non ci avrebbe mai creduto, per cui sarebbe stato il caso di lasciar perdere, dopo aver fatto il «giapponese» per sei giorni, onestamente il dubbio ce l'ho, e tale resterà finchè non verrà effettuato un controllo accurato.
Al sesto giorno, dopo aver controllato 220 sezioni, la corte d'appello di Bologna ha mandato via il magistrato che ci stava aiutando, adducendo un ipotetico turn over da effettuare: era il lunedì di Pasquetta, me lo ricordo bene, hanno portato un altro compagno in corte d'appello,Pag. 121hanno chiuso gli scatoloni e li hanno mandati alla Corte di Cassazione. Ci hanno fatto alzare il coperchio e annusare l'odore strano del pentolone, per poi chiudercelo in faccia! Finché non avrò modo di controllare quei numeri, quelle sezioni e la loro regolarità, per quanto mi riguarda Romano Prodi non è Presidente del Consiglio ma lo è al massimo sub iudice, e la stessa cosa vale per questa maggioranza.
Ripeto, forse gli aiuti ci sono stati, qualcosa è stato forzato; governate, se ci riuscite, noi faremo opposizione. Certo, avete cominciato male. Sono tre settimane che state provando a governare questo paese, siete già riusciti a scontentare almeno quattro categorie e avete tradito (e questa è la cosa importante) ciò che avete promesso ai vostri elettori, soprattutto quelli in buona fede - ne conosco tanti - che hanno creduto che voi foste davvero dei fenomeni, che il Governo di centrodestra fosse il male assoluto e che con un colpo di bacchetta magica voi avreste potuto risolvere i problemi del paese.
Allora, andiamo a leggere il vostro programma. Di fronte alle incongruenze, per cui bisogna mettere d'accordo Luxuria con Mastella, Caruso con Rutelli, Bertinotti con D'Alema - cose che sembravano impossibili, da fantascienza -, avete sempre sostenuto di «avere la bibbia». Avete detto che quella bibbia era il vostro programma, che l'avreste seguita passo passo, perché eravate delle persone serie, e che seguendola avreste fatto miracoli e avreste cambiato il paese.
Nel vostro programma avevate scritto che alle donne, stile Zapatero, avreste attribuito un grande ruolo: sei ministeri senza portafoglio, non avete dato loro nemmeno la carta di credito per fare i ministri!
Avevate scritto che avreste ridotto le poltrone, che non eravate come Berlusconi, che avreste guardato agli interessi del risparmio della gente; ne avete create 105 ed è una cosa - io lo capisco - che fa vergognare, credo, anche voi, poiché ogni volta che ve la ricordiamo avete una sorta di sussulto (una morale ce l'avete sicuramente), e fa vergognare soprattutto chi vi ha dato il voto.
Avevate detto che Prodi, avendo fatto le primarie, non sarebbe stato ostaggio della politica, la vecchia politica, i partiti; e invece il manuale Cencelli ci ha fatto vedere che avete accontentato tutti, ma proprio tutti: l'unico a cui non avete dato una poltrona, seppur candidato con voi, è stato forse il partito dei pensionati, ma perché non ha ottenuto neanche un parlamentare. Vedo, però, che al Senato, usando i senatori a vita, siete riusciti a formare anche il partito dei pensionati e a costituire un gruppo anche nell'altro ramo del Parlamento. È la prima volta che i senatori a vita vengono quasi costretti a venire a votare una questione di fiducia; a me, onestamente, ha fatto anche tenerezza la Montalcini: ma perché fare queste operazioni? Perché forzare la mano?
Allora, permettetemi, visto che siamo in pochi e che nessuno domani leggerà questo intervento, di fare un paradosso. A me piacciono i corsi e i ricorsi storici. Mi viene in mente quando Mussolini, pensando che una Camera democratica fosse sbagliata, pensò bene ad un certo punto di formarne una tutta sua, occupando il potere all'origine, vietando ogni sorta di confronto secondo le regole, e anzi cercando di superarle.
Voi siete arrivati e avete preso tutte le poltrone possibili e immaginabili, adottate decreti-legge e leggi delega per ridurre il più possibile la discussione parlamentare: mi chiedo dove si voglia arrivare e se non ci dobbiamo aspettare davvero una sorta di Unione sovietica nel 2006! E qualche dubbio mi è venuto ascoltando un'ora fa il rappresentante di Rifondazione comunista, che ci ha spiegato che il welfare deve essere basato su un'impronta non lavorativa ma universalistica. A quel punto mi sono spaventato e credo sia giusto chiarire alcune cose, visto che costui parla a nome di un partito della maggioranza. La nostra è una Repubblica fondata sul lavoro, vi è gente che lavora, tutti devono pagare le tasse, essere equi e partecipare per poter dare una mano anche a chi non puòPag. 122lavorare, a chi è meno abbiente, a chi ha bisogno. Questo vuol dire welfare, una sorta di patto, di federalismo; lo dico al ministro Chiti, perché su tale parola si sta facendo una gran confusione e sarebbe ora finalmente di cominciare a chiarirla: un foedus, un patto fra i cittadini, lo Stato è questo!
Non voglio, dunque, sentire che il patto fra i cittadini viene stravolto nel momento in cui è ancora tutto da discutere. Voi fate le cose senza venirle a discutere, ed è questo ciò che mi preoccupa di più! È il senso dello «spacchettamento» o del «pacchettamento». Mi spaventa perché voi avete addirittura evitato di venire a discutere di leggi, stravolgendole nella redistribuzione delle deleghe.
Oggi, in Commissione agricoltura, ho avuto modo di dirlo al presidente della Commissione Lion. La legge n. 410 del 1999, quella sui consorzi, è stata completamente stravolta, semplicemente con le attribuzioni assegnate a quello che dovrà diventare il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Vi è l'inserimento della parola «alimentari», che tra l'altro è anche sbagliata, trattandosi di una incredibile forzatura. Se adotto politiche alimentari, devo partire dallo stato di fatto della politica alimentare di oggi. Nella politica alimentare che rientra nella competenza del Ministero in questione, onestamente, non trovo i punti fondamentali: ricerca, sicurezza alimentare, etichettatura, tracciabilità, tutti settori in cui non si può investire perché non vi è una delega specifica.
Gli viene però addirittura concesso di fare, in quanto Ministero dell'agricoltura, una sorta di screening sul fabbisogno alimentare: non siamo in tempo di guerra, non abbiamo più queste esigenze; forse sarebbe anche ora di rivedere le formulazioni delle deleghe, altrimenti rischiamo di fare «spacchettamenti» con fumose denominazioni che non portano assolutamente a nulla, ma che servono soltanto a farci perdere del tempo.
Non vorrei trovarmi come il famoso asino di Buridano, che, avendo di fianco una ciotola d'acqua e una di cibo, non sapendo se bere o mangiare, morì di fame e di sete.
Vorrei capire cosa dobbiamo fare; vorrei, in particolare, che le leggi non fossero eluse e che i progetti di legge fossero esaminati in Parlamento. Lo so che questo vi comporterebbe rischiare tutti i santi giorni di andare sotto al Senato, ma se voi in quel ramo del Parlamento avete soltanto due voti di maggioranza, ciò non può e non dev'essere una colpa nostra, ma sarà e deve essere una responsabilità tutta vostra. E tale responsabilità voi ve la dovete accollare; dovete cioè essere responsabili. Se no, allora sì, che mi torna in mente quello che definiva questa sede sorda e buia! A quel punto, infatti, significherebbe eludere le regole democratiche del confronto. Ma voi Democratici di sinistra, visto che ce l'avete anche nel nome il prefisso che dovrebbe anticiparci il fatto che non rifuggite dal confronto, non fate leggi delega, non cercate di eludere il dibattito parlamentare, poi siete i primi a non essere più dei fenomeni ma a svegliarvi come semplici burattini che non sono diventati mai uomini. E questa non è una favola. È, purtroppo, ciò che sta accadendo giorno dopo giorno.
Questo è un Governo nel quale vi è stato bisogno, dopo pochissimi giorni, di chiudere tutti in convento perché altrimenti parlavate troppo e, ogni volta che un ministro parlava, si verificava una crisi nazionale e internazionale, come avvenuto, ad esempio, con la cosiddetta «stanza del buco». Poi abbiamo anche letto sugli organi di stampa dei litigi della Melandri, che rivendicava la delega sulla famiglia, con il ministro della solidarietà sociale, Ferrero (che non è, purtroppo, un cioccolatino), che a sua volta rivendicava alcune competenze; questa situazione, alla fine, ha indotto ad intervenire anche la Bindi che, a sua volta, rivendicava la delega in materia di famiglia.
Alla fine, con questo «spacchettamento» avete combinato quello che avevate già combinato con la riforma del Titolo V della Costituzione. Oggi abbiamo una riforma del Titolo V che, per colpa vostra,Pag. 123ci dobbiamo «beccare» per i prossimi cinquant'anni! Un pasticcio disumano che voi avete creato e rispetto al quale non finirete mai di chiedere scusa al paese per averlo creato; una riforma che ci mette nella condizione di ritenere che qualsiasi regione può pensare legittimamente che ogni competenza sia sua. E la stessa cosa può pensarla anche lo Stato sia in ordine alle materie concorrenti, sia, poiché non è quasi specificato nulla, sulle materie esclusive. Conseguentemente, io, regione, posso prendermi l'esclusiva sull'energia, sui lavori pubblici, sulla scuola e sull'istruzione, insomma posso prendermi tutto; ed anche lo Stato può prendersi tutto. Dov'è allora il federalismo? Non esiste; non esiste nessun patto tra gli enti locali e lo Stato centrale.
Ricordo le parole che mi disse chi presiedeva la Camera fino a mezz'ora fa, l'onorevole Castagnetti, il quale sostenne che il vero problema era che, se avesse vinto il sì, la maggioranza attuale sarebbe implosa. Voi avete fatto votare «no» alla gente raccontando anche un sacco di menzogne. Ho sentito persone anziane dirmi convinte che andavano a votare «no» perché il sindacalista gli aveva detto che, altrimenti, noi gli avremmo portato via la pensione o che non avrebbero avuto più diritto alla sanità o che i figli non sarebbero andati più a scuola. Capite che per fare terrorismo non ci vuole D'Elia, ma è sufficiente il becco o il pelo sullo stomaco di una classe politica in difficoltà.
Ritengo, quindi, che sia anche giusto che in questa sede ci diciamo, almeno fra di noi, che voi avete fatto votare «no» solo per tenere in piedi con lo scotch questa maggioranza ma che, sotto sotto, ad una parte riformista dei Democratici di sinistra - io credo che una parte piccolissima di riformisti dei DS esista ancora - non dispiaceva completamente la devolution. Ma tale parte non poteva... volevano ma non potevano perché dovevano seguire la mummificazione delle riforme promosse da Oscar Luigi Scalfaro. Su questo nome non mi dilungo molto, perché basta scandire bene Oscar Luigi Scalfaro per capire quanto di egiziano e di mummificato ci sia all'interno di questa assonanza. Dico ciò anche perché io ho dei precedenti con Scalfaro e sono stato quasi inquisito per averlo attaccato un bel giorno a Reggio Emilia: una medaglietta che porto volentieri sul petto!
Voi avete seguito quella gente lì, il partito dei pensionati dei senatori a vita, mentre il paese, e voi lo sapete bene, aspetta, vuole e pretende le riforme, il cambiamento e vuole che arrivino delle risposte concrete.
Non so se la devolution fosse la migliore delle riforme, forse no. In certi punti era sicuramente migliorabile ma, se fosse passata, noi avremmo dato - questa era la cosa importante - una grande iniezione di fiducia alla nostra gente, dicendo: signori, non perdete la fiducia perché questo paese può cambiare addirittura dall'interno. Certo, ci vuole la faccia tosta di Prodi per dire che, se fosse per lui, avrebbe eliminato 400 parlamentari! Ma quando mai dei matti come siamo stati noi del Governo precedente fanno votare ad un Parlamento una norma che elimina se stesso! L'abbiamo fatto, sembrava fantascienza ma, in questo caso, era scienza ed abbiamo fatto il passaggio opposto a quello che fate voi. Credo che adesso voi abbiate il pallino in mano, abbiate la grande responsabilità di aver perso un treno; da quella stazione nella quale avevamo portato il treno, questo non passerà più e non passerà sicuramente con voi. Provate a parlare di federalismo ai centralisti-stalinisti che compongono la vostra maggioranza e vedrete cosa succede!
Voi siete deboli, miseri, state navigando a vista giorno dopo giorno. Per adesso, avete fatto la prima operazione, avete «spacchettato» o, ripeto, visto che ci avete fatto un «pacco», avete «pacchettato» e ce lo avete rifilato tanto per gestire le poltrone. Se Prodi mi dà tanto, sotto al fondoschiena di tanti amici, un po' di sottogoverno ed altre poltrone le rifilerete! Tuttavia, non credo che quella sia la soluzione del paese, non lo è e non lo può essere. La soluzione di questo paese può essere dare una risposta, per esempio, aPag. 124quella parte che ha votato «sì» e a quella parte che ha votato «sì» anche nelle regioni dove ha perso: non scordiamoci che, se hanno votato «sì», vuol dire che anche loro volevano il cambiamento. Inoltre, c'è tutta la parte del «ni», che alla fine ha votato «no», ma che voleva comunque quel cambiamento. Avete iniziato, nella distribuzione dei ministeri, scordandovi la Lombardia e il Veneto e direi che avete cominciato molto, ma molto male. A quella zona del paese che produce una parte incredibile del PIL dell'intera Italia, che è anche numericamente molto importante, quando verrà a chiedervi - non come hanno fatto i tassisti, un altro problema che vi siete creati, o altre associazioni di categoria - dove andiamo, saremo pronti a rispondere che andiamo in Europa a rivendicare ciò che siamo e ciò che vogliamo?
Io questo me lo chiedo, anche perché ho avuto la sfortuna di leggere talvolta dei giornali inglesi - in Italia, guarda caso, la Repubblica e Il Corriere della sera non l'hanno mai riportato - e gli epiteti che venivano indirizzati all'allora Presidente della Commissione europea Prodi erano qualcosa di vergognoso per quello che gli rinfacciavano e per quello che lui non faceva. Allora, credo che in Europa ci siamo entrati per colpa di Prodi e di Ciampi senza avere i numeri in regola. Certo, ci hanno fatto entrare, ma ve lo ricordate il DPEF di maggio, quando Prodi e Ciampi dicevano che l'Italia non aveva i numeri per entrare in Europa, mentre ad ottobre, magicamente - è la quarta volta che uso la parola «magicamente», evidentemente è il modo di lavorare di Prodi, con la magia -, li aveva? Me lo ricordo bene, poi, come Padania, l'abbiamo anche «rispolverato» parecchie volte. Allora, come fa un paese, a maggio, a non avere i numeri a posto e ad averli magicamente a ottobre? Lo si fa semplicemente con i soliti giochi contabili: anticipo le entrate, posticipo le uscite. È facile, poi però i numeri non sono una materia sintetica, ma una materia abbastanza esatta: ciò che posticipi oggi, comunque, devi pagarlo domani; ciò che anticipi oggi, ce l'hai comunque in negativo appena qualcuno tira una somma. A questo punto, siamo entrati con le mani e i piedi legati: nessuno ha preparato il terreno, le associazioni di categoria andavano coinvolte, andava fatto un patto. Quando i buoi sono scappati dalla stalla, non puoi pensare di andare a recuperarli. È raddoppiato il costo della vita, rimanendo ferme ed invariate le pensioni e gli stipendi. Non possiamo dire che in tutto questo Prodi e Ciampi non abbiano colpe. Si poteva preparare il terreno, si poteva entrare in un'altra materia, si potevano fare degli accordi, entrare in Europa da forti o, piuttosto, aspettare ad entrare: questo si poteva e si doveva fare.
Entrarci da deboli vuol dire avere il comparto agricolo, che è il primo che viene massacrato, tutto quotato. E se anche dimostri, come abbiamo dimostrato (perché abbiamo i numeri alla mano), al Ministero della sanità che le vacche che abbiamo in Italia non possono produrre il latte che ci fa sforare, poi però - guarda caso - ci sono le grandi multinazionali che acquistano il latte all'estero, hanno in mano le quote, fatturano e, a questo punto, il paese «sfora». Sforando il paese, giù le multe a tutti! Badate, colleghi, che non può funzionare un sistema simile.
Adesso abbiamo un problema che riguarda diversi settori: le barbabietole, i fiori, i pomodori, lo zucchero, che ormai forse ci è già scappato di mano. Un paese che abbandona la sua terra e che non tutela in via principale chi la coltiva. Penso all'agricoltura in montagna: c'era una vecchia legge, ma questa non è stata mai applicata. Bisognerebbe finanziare un agricoltore, pagarlo, perché costui lavora il territorio, pulisce i fossi, evita le frane. Guardate, colleghi, che investire sulla propria terra è una cosa fondamentale, ancor prima che investire nella finanza e ancor prima di andare in Cina, come fa Prodi, che dice ai nostri imprenditori di chiudere le fabbriche e di lasciare a spasso tre mila persone a Treviso e di andare ad aprire le fabbriche in Cina!
Non si fa così! Noi dobbiamo difendere ciò che abbiamo costruito. Cosa consegniamo ai nostri figli e ai nostri nipotiPag. 125domani? L'espressione magica di investire sulla ricerca e sullo sviluppo? Bello, certo che va fatto, ma quanto ci mettiamo per investire su ricerca e sviluppo? Venti anni? Fra vent'anni non ci sarà più una fabbrica! A chi li faremo fare, dunque, questa ricerca e questo sviluppo?
Allora, questi matti della Lega, guarda caso, cominciarono a dire che mentre investivamo su ricerca, sviluppo e innovazione, potevamo cominciare ad introdurre anche dei dazi - perché non può entrare merce a casa nostra che non rispetti le regole! -, tutelando in tal modo le nostre aziende. Ci fu detto: siete matti, anacronistici, fuori dal mondo, non si può fare! Ebbene, siamo talmente matti che un piccolo partitino del nord è riuscito a far fare i primi dazi europei al commissario europeo Mandelson!
Sottosegretario Chiti, una bella abitudine sarebbe quella di cominciare ad ascoltare un po' più spesso la Lega e magari ascoltare un po' meno spesso le logiche di Botteghe oscure o dell'Unione! Ascoltatele, perché è nel vostro mestiere, però ascoltate anche questo grillo parlante, spesso fastidioso e spesso anche antipolitico e crudo nel dire le cose, anche voi sapendo bene che se le cose a volte non le dici in maniera cruda non rimbombano, non rimbalzano, non arrivano alle orecchie. E allora serve anche dirle in maniera forte. Dovreste ascoltare più spesso questo grillo parlante, anche perché non è che noi della Lega siamo più furbi e più intelligenti degli altri, ma abbiamo una grande particolarità: ci piace stare non sul pulpito ma sotto il pulpito, stare in mezzo alla gente ed ascoltarla giorno dopo giorno.
Se allora il comparto tessile di Carpi, di Prato, di Vicenza, di Foggia, di Bari e di Barletta è distrutto dalla Cina, io devo dire che c'è un problema. Non possiamo dire che la Cina rappresenta un'opportunità, quando invece ci sta massacrando! Dobbiamo pensare alla gente che lavora, che si alza la mattina alle cinque, che vuole investire, che vuole ancora credere, perché molti lavorano ancora a perdere, ma vogliono credere che è possibile con la fiducia ricostruire questo paese e consegnarlo alle generazioni future sano, onesto, bello e forte, fatto di radicamento alla terra, quella terra di cui parlavo prima, così come ce lo hanno consegnato i nostri padri e i nostri nonni.
Credo che questo sia l'unico vero motivo per cui valga la pena di fare politica. Tutto il resto è alchimia all'interno dei partiti e nelle coalizioni, che magari ci sono oggi ma non domani e per cui sono tutte cose che valgono poco. Quello che serve è il contatto con la gente. I ministri dovrebbero fare come fanno alcuni parlamentari in Svizzera: uscire da quei banchi, dai ministeri, dalle convention o dai conventi di Prodi per andare, magari con una sedia, a un mercato tutte le mattine ad ascoltare le vecchiette, quelle che vi hanno dato il voto in buona fede, o anche per andare ad ascoltare i tassisti, perché magari hanno delle ragioni anche loro, o andare ad ascoltare i lavoratori edili e i lavoratori agricoli. E magari ascoltare meno Montezemolo o la grande finanza!
Lo dico perché chi vi dà il voto in buona fede crede che voi siate il partito dei lavoratori; ricordate, peraltro, che una fetta importante dei lavoratori al nord vota anche la Lega. Lavorare vuol dire aver ben chiaro cosa vogliamo fare e dove vogliamo arrivare, e che devono esserci regole che valgono per tutti.
Il lavoro vuol dire operare all'interno di una società, produrre aiutando i più deboli e creare la società stessa: si tratta di un circolo. Certo è che quando ascolto Amato...
PRESIDENTE. Onorevole Alessandri...
ANGELO ALESSANDRI. ... dire che, dopo cinque anni, bisognerebbe concedere il voto a chi arriva a casa nostra, adducendo una particolare motivazione, rimango un po' allibito. Me lo hanno detto alla radio l'altro giorno: dopo cinque anni...
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole!
ANGELO ALESSANDRI. Sto per concludere, signor Presidente.Pag. 126
Come dicevo, dopo cinque anni il ministro vuole concedere il diritto di voto perché sostiene che, a volte, dopo cinque anni gli extracomunitari parlano l'italiano meglio di qualche nostro concittadino. Al che, per radio ho fatto una battuta: non vorrei, ho detto, che come metro avessero preso Di Pietro, perché non ho capito bene come abbia fatto Amato a rendere un'affermazione di questo genere!
Cerchiamo di essere seri! Se esiste un patto tra lo Stato ed il cittadino, questo è la cittadinanza, e non dobbiamo svenderla o regalarla a nessuno. Ricordo che i nostri nonni ed i nostri padri - e finisco il mio intervento, signor Presidente - sono stati immigrati. Io ho numerosi parenti in Germania e in Argentina, e vorrei evidenziare che sono andati in quei paesi per diventare tedeschi ed argentini. Essi hanno rispettato le loro regole, non hanno chiesto niente ed oggi sono orgogliosi di essere parte di quelle società.
Chi viene a casa nostra, allora, deve sapere che abbiamo delle regole, scritte e non scritte. Chi entra deve sapere che le deve rispettare: guai...
PRESIDENTE. Onorevole, la informo che il tempo a sua disposizione è ampiamente scaduto!
ANGELO ALESSANDRI. ... a chi entra nel nostro paese per imporre le proprie!
Lo «spacchettamento» dei ministeri rimane un «pacco», ma credo che dobbiate risponderne più a chi, in buona fede, vi ha votato che non a noi che stiamo facendo opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Forza Italia)!
PRESIDENTE. Onorevole Alessandri, ho evitato di interromperla durante il suo intervento; tuttavia, rispetto ad alcune espressioni che lei ha adoperato nei confronti di senatori della Repubblica, sono costretta a richiamarla all'utilizzo di un linguaggio maggiormente rispettoso degli esponenti dell'altra Camera.
È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.
JOLE SANTELLI. Signor Presidente, capisco che, dopo aver ascoltato così tanti interventi dei deputati dell'opposizione - i quali, specialmente quando praticano l'ostruzionismo, sono costretti a fare anche un po' di demagogia -, stando «dall'altra» parte si possa pensare che, nonostante essi parlino tanto, forse sia stato comunque fatto qualcosa di buono.
Per fugare qualsiasi dubbio possa avere il Governo a tale riguardo (la maggioranza, ovviamente, questa sera è assente), vorrei cominciare il mio intervento leggendo una splendida dichiarazione, che risulta agli atti: «(...) Avevamo promesso semplificazione e, invece, c'è una gran confusione: moltiplicazione delle poltrone da spartire per accontentare tutti. Troppi ministri, troppi: dovevano essere dodici e sono più del doppio, con una valanga di sottosegretari (...)». Firmato, e restituito al Governo: Francesco Rutelli, leader della Margherita e Vicepresidente del Consiglio.
Onestamente, dopo frasi siglate da colui che, comunque, ha la responsabilità di essere il vicario del Presidente del Consiglio, qualsiasi parola potrà essere aggiunta dall'opposizione, ma difficilmente riuscirà a mantenere lo stesso livello di ascolto. Eppure, la stranissima vicenda del decreto-legge in esame connota in maniera peculiare la nascita tormentata di questo Governo; forse, ciò è frutto anche di una campagna elettorale e, soprattutto, di elezioni abbastanza contestate.
Il Governo in carica parte già con un dubbio enorme: esso, infatti, nasce con un decreto-legge adottato esattamente lo stesso giorno in cui giuravano i suoi ministri. Vorrei rilevare che una serie di ministri, riuniti in sede di Consiglio dei ministri, ha varato il provvedimento in esame, ma non si capisce bene di quali ministri si tratti, poiché ancora non avevano neanche ottenuto la fiducia da parte del Parlamento. Quindi, forse, dovremmo chiedere al presidente Berlusconi se ha fatto anche questo favore all'attuale maggioranza ed ha riunito d'emergenza il suo Governo in scadenza per emanare il decreto in un momento antistante.Pag. 127
Lasciamo stare le polemiche - che potrebbero essere, in questa fase, abbastanza ironiche ma altrettanto istituzionalmente delicate - su una lista di ministri che, titolari di dicasteri, avevano firmato davanti al Presidente della Repubblica su ministeri che non esistevano ai sensi della legge italiana. Sono dati che sicuramente non hanno aiutato il percorso in Parlamento di questo decreto-legge. Ma a non averlo aiutato ulteriormente è stato sicuramente l'iter accelerato che il Governo ha voluto imprimere all'esame del provvedimento: nessun dibattito al Senato; poche ore di discussione qui alla Camera, dove stiamo intervenendo in un'aula deserta su un provvedimento che riorganizza completamente il sistema del Governo. Siccome spesso si dimentica, quando si è maggioranza, ciò che si è asserito quando si era opposizione e viceversa, vorrei ricordare il personaggio politico che forse è il grande fantasma di questo decreto-legge, l'ex senatore e ministro per la funzione pubblica Franco Bassanini. Ebbene, durante la discussione svoltasi al Senato nel 2001 sul decreto-legge del Governo Berlusconi che istituiva due nuovi ministeri - i dicasteri per le comunicazioni e della salute -, Bassanini ebbe a dire: la nostra critica - gravissima perché il Governo Berlusconi aveva l'ardire, appunto, di inserire i dicasteri per le comunicazioni e la salute - è aggravata dal fatto che la maggioranza si è sottratta ad ogni reale confronto in Parlamento sul merito del provvedimento. In quel caso, cinque anni fa, in Senato furono effettuate 373 votazioni; in questo caso, una votazione in aula al Senato, una votazione in aula alla Camera. Penso che dinanzi alla legge dei numeri forse le parole di commento non servano.
Ma, a dimostrare ancor più l'incoerenza di quella che era un'opposizione strumentale, vorrei ricordare a quest'aula, ai colleghi ed al Governo - gentilmente rappresentato anche dal ministro, oltre che dal sottosegretario: a quest'ora, è giusto riconoscere tali meriti - ebbene, vorrei ricordare che in quel caso si ebbe a dire che il Governo Berlusconi chiedeva l'istituzione del Ministero della salute in violazione del Titolo V della Costituzione. Quindi, secondo l'allora opposizione, non poteva esistere nella struttura di governo italiana un ministero che si occupasse di salute. Ricordo anche - sia pure senza rievocare i toni meno delicati che si usarono in occasione delle critiche di allora - quanto si disse sull'istituzione del Ministero per le comunicazioni, che ovviamente era frutto esclusivamente del conflitto di interesse; ma come poteva essere altrimenti? Tuttavia, una volta giunti voi al Governo, per un minimo di coerenza quei ministeri dovevano essere soppressi; ma, se non sbaglio, invece, due esponenti dell'attuale maggioranza siedono allegramente sulle poltrone che si volevano sopprimere.
Ma voglio fare qualche considerazione al di là di tali dati più generali e al di là, ovviamente, dell'opposizione politica generale ad un sistema. Ho sentito prima l'onorevole Cioffi dire che, in fondo, in questo provvedimento è prevista una riduzione di scorte e di personale di segreteria; in questo provvedimento, è prevista una moltiplicazione di poltrone: quindi, si poteva tranquillamente evitare la riduzione delle scorte e delle segreterie riducendo anche il numero delle poltrone. Quale è stato dunque il motivo politico? Perché dobbiamo riscrivere il sistema organizzativo del Governo? In maniera molto tranquilla e molto politica, ce lo spiega al Senato la senatrice Gagliardi, di Rifondazione comunista.
Si riscrive lo schema del Governo perché occorre rispettare il «pluralismo ideologico della coalizione». Io ho un po' di difficoltà rispetto al «politicamente corretto» spesso usato a sinistra. Se lo avessimo fatto noi, si sarebbe chiamato «occupazione selvaggia del potere», «ripartizione», o non so in quale altro modo. Facendolo il centrosinistra, si chiama «rispetto del pluralismo ideologico della coalizione».
Con uno splendido intervento e con una motivazione che riesce a ribaltare la realtà, oggi il presidente Violante ci ha spiegato in Commissione che, in fondo, sePag. 128il «povero» - nel senso della tenerezza che suscita - attuale Presidente del Consiglio Prodi ha dovuto emanare questo efferato decreto, di chi è la colpa? La colpa è del presidente Berlusconi! È chiaro, perché avendo voluto l'allora maggioranza e l'allora Governo una legge elettorale proporzionale, inevitabilmente, oggi, l'attuale maggioranza e l'attuale Presidente del Consiglio si trovano a dover dare retta a tutte quelle forze politiche che chiedono spazio e un pizzico di potere! Pluralismo, pluralismo democratico, sempre...
Quando, però, in questo pluralismo democratico si toccano dei gangli vitali della nostra democrazia, bisogna stare attenti. La legge Bassanini, ci piacesse oppure no, nasceva da un dibattito di oltre quattro anni nelle aule parlamentari e da istanze politiche condivise da maggioranza e opposizione, perché - lo ricordiamo - Bassanini ha varato la legge, ma l'ha fatta applicare al Governo successivo, che l'ha recepita in toto. Ognuna di quelle scelte, infatti, aveva una radice e una motivazione politica.
Oggi non ci è stato spiegato e non ci verrà spiegato, per il modo in cui viene dibattuto questo decreto, in questa sede, il motivo per cui vengono effettuate delle scelte.
Per esempio, una delle scelte che troviamo oggettivamente più incomprensibile, e di cui veramente vorremmo - e speriamo - ci venisse data una spiegazione politica diversa dalla semplice copertura delle poltrone, è quella che sancisce la scomparsa del cosiddetto Ministero del welfare. Era una conquista, da parte del Governo italiano, avere un unico ministero che si occupasse, in termini generali, del lavoro, della politica previdenziale e della solidarietà.
L'onorevole Franco Russo, poc'anzi, nel dibattito, ci ha spiegato che, in realtà, questo tipo di argomentazione è antica e non tiene conto di una visione più solidale, democratica, allargata e moderna del concetto di solidarietà. Noi, probabilmente, avremo questa visione antica, ma la medesima visione ce l'ha l'Europa intera, perché da poco abbiamo siglato gli accordi di Lisbona, che ci obbligano a mantenere uniti il campo del lavoro con quello della solidarietà sociale. La solidarietà sociale costituirà uno dei problemi maggiori, in termini di competenze, con il quale si dovrà confrontare questo Governo e - temo - anche il ministro per i rapporti con il Parlamento Chiti. Si tratta, infatti, di un ministero che si sovrappone totalmente a strutture già esistenti.
Allora, siccome ci dovrà essere un responsabile della politica di settore, ci chiediamo quale sia. Abbiamo letto e ci avete spiegato che, per esempio, il tema dell'immigrazione spetta in toto al ministro Ferrero. Tuttavia, prima, in Commissione, abbiamo ascoltato il ministro dell'interno giustamente rivendicare le proprie competenze. Come verrà gestito il tema dell'immigrazione e con chi? A chi spetteranno le competenze politiche relative al dipartimento immigrazione del Ministero dell'interno?
È stato spostato, inoltre, tutto il tema delle droghe dalla Presidenza del Consiglio ad un ministero di diversa costituzione. Quale era la motivazione che ha portato alla costituzione del dipartimento sulle droghe presso la Presidenza del Consiglio? Quella di immaginare una politica sulla droga che fosse multidisciplinare, che riuscisse a concertare l'azione di più dicasteri, per evitare che le politiche antidroga comportassero solo una dissipazione di risorse pubbliche con esborsi a società, impegnate o meno, che con ciò vivevano, e per fare in modo che fossero davvero efficaci. Scomparsa tale struttura, tutto si trasferisce alla solidarietà sociale. L'unica cosa che rimane alla Presidenza del Consiglio sono i funzionari e i dipendenti, che non vengono destinati altrove su richiesta, ma che sono trasferiti vagamente ad altre sedi: non abbiamo capito dove, né abbiamo capito chi sarà ascoltato da parte del Governo, se è prevista una concertazione con i sindacati o se il Governo di centrosinistra, emblematicamente di stampo sociale, ha inventato anche la deportazione dei lavoratori: questo sarà un altro aspetto da analizzare.Pag. 129
Un ulteriore delicato aspetto politico di questa vicenda riguarda quanto accaduto con riferimento al Ministero dell'economia e delle finanze. Vi era un modello che Bassanini definiva il cosiddetto modello Ciampi: mi riferisco a un superministro che, raccogliendo in sé le politiche di Tesoro, Finanze e Partecipazioni statali, riuscisse veramente a tenere le redini della politica economica del Governo. In questo caso, non solo è stato sdoppiato (e vedremo come) il Ministero dell'economia e delle finanze, ma di fatto questo decreto-legge costituisce una triarchia fra Presidenza del Consiglio, Ministero dell'economia e delle finanze e Ministero dello sviluppo economico. Sfido chiunque a capire realmente la ripartizione di deleghe all'interno di questo sistema. Immaginate solo che dobbiamo impiegare tre commi per spostare il CIPE alla Presidenza del Consiglio, il che non ha alcuna utilità, visto che notoriamente il presidente del CIPE non può che essere il Presidente del Consiglio. Quindi, abbiamo spostato queste competenze semplicemente perché il vicepresidente del CIPE, anziché essere un sottosegretario o un viceministro per l'economia, sarà un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Inoltre, abbiamo costituito un Ministero dello sviluppo economico, che dovrebbe essere il grande volano dell'economia di questo paese, cui abbiamo sottratto le competenze in materia di commercio estero e turismo, che rappresentano il 40 per cento del PIL. Tale ministero, però, si occuperà di politiche sociali di solidarietà (non meglio definite), di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze. Quanto a quest'ultimo, scopriamo che, in realtà, dietro al mantenimento dell'unitarietà del ministero stesso, si nascondono in realtà tre dicasteri: vi è un reale ministro delle finanze, il ministro Visco, vi è un viceministro-ministro delegato al credito, il viceministro Pinza, e poi, non vorrei essere particolarmente indelicata, vi è un ministro dell'economia e delle finanze che, sostanzialmente, svolge le competenze di ambasciatore del Governo in materia di economia a Bruxelles. Non ha altre competenze che questa!
Vi sono cose che vanno ricordate: non è mai accaduto nella storia di questo paese che ad una festa delle Forze dell'ordine - in questo caso, si trattava della Guardia di finanza - alla presenza del Capo dello Stato non abbia parlato il ministro, seppur presente, bensì un viceministro. Non è mai accaduto che una Forza dell'ordine sia chiamata a rendere gli onori militari non solo al ministro, ma anche al viceministro. Quando si parla di apparati dello Stato, l'accortezza e l'attenzione non sono mai troppe.
Lo stesso accade con riferimento al Ministero dell'interno. Non è mai accaduto - e ciò è drammatico - che si sia creato un Ministero dell'interno bicefalo, con un ministro generale dell'interno e un piccolo ministro preposto alla sicurezza. Ciò è drammatico, ma non per il Governo, sottosegretario D'Andrea, bensì per il paese. È drammatico perché rispetto ad alcuni temi maggioranza, Governo e opposizione non possono che trovare un terreno comune: quello della salvezza delle istituzioni, tentando in qualsiasi modo di preservare gli organi istituzionali dalle semplici guerre politiche, che in questo caso passano in sottordine.
Proseguo il mio intervento, perché non è finita...
L'unica cosa che questo Governo ha accorpato, non so perché, è il Ministero dell'innovazione tecnologica, che è scomparso dalla compagine del Governo Prodi ed è stato accorpato alla funzione pubblica. Si potrebbe pensare: bene, finalmente hanno accorpato qualcosa. No, hanno semplicemente fatto fare un salto indietro di trent'anni alla storia di questo paese. Dovevamo recuperare un gap in termini di innovazione tecnologica: coniugare nuovamente innovazione tecnologica a funzione pubblica significa non riconoscere che esiste un problema di innovazione come volano di sviluppo per il paese, ma credere che il problema innovazione sia legato semplicemente alla pubblica amministrazione.Pag. 130In pratica, tutto il contrario di quello che si è operato - e lo abbiamo fatto tutti insieme, maggioranza ed opposizione - nella scorsa legislatura per portare il paese su basi più solide per la sua crescita.
Un'ulteriore modifica apportata dal decreto-legge in esame è che il Ministero dell'istruzione torna a dividersi dal Ministero della ricerca e dell'università. Anche in questo caso vi è un dato politico di fondo: si era ritenuto in termini politici che non si dovesse mai interrompere una continuità di indirizzo su tre funzioni che dovevano costituire la linea comune della formazione professionale del nostro paese.
Vi è una questione su cui ringrazio, per l'illuminazione gentilmente datami in Commissione, il relatore, onorevole Boato. Non avevo capito perché al Senato, fra i pochi emendamenti approvati, salvo il maxiemendamento, il cosiddetto Ministero dell'istruzione è tornato ad essere il Ministero della pubblica istruzione. Mi è stato spiegato che si dice pubblica istruzione perché, in fondo, tutta l'istruzione che interessa il Governo necessariamente ha un risvolto pubblicistico. Forse è vero, ma se ciò è vero perché bisogna inserire la parola «pubblica»? È scontato che tutta l'istruzione - poiché nessuno pensava ai precettori in casa, un residuo di altri tempi - interessa lo Stato. Ha senso o è una sottolineatura esclusivamente demagogica, che accontenta una parte un po' estrema dell'attuale maggioranza, il rivendicare quella definizione di «pubblica» come una sorta di cambiamento di rotta? Non so, poi, verso che cosa, sicuramente verso il sistema scolastico integrato del nostro paese.
Avviandomi alla conclusione, vi sono problemi altrettanto seri, che non sono politici, di cui abbiamo parlato in Commissione, e veramente chiedo al Governo di farsene carico. Uno dei problemi più seri che il decreto-legge in esame non affronta è quello relativo al personale. Non si tiene in dovuto conto cosa significhi riorganizzare le strutture di personale all'interno dei ministeri. Visto che parliamo da persone che sulla propria pelle hanno vissuto un anno e mezzo di riorganizzazione, nel 2001, prima di avere strutture finalmente efficienti, stiamo molto attenti perché non ci possiamo consentire di avere un sistema amministrativo che non funziona per tanto tempo. Non credo che le norme imposte, alla fine, saranno di soluzione. Non penso che evitare di scrivere che deve esserci il livello perequativo all'interno dei trattamenti di indennità dello Stato possa servire a risolvere alcuni problemi. Non credo - lo ribadisco - che parlare di attribuzione saltando tutto il discorso del confronto con le categorie sia di aiuto.
Un ulteriore problema che ho posto in Commissione è perché ci sono esclusivamente due ministeri, Commercio estero e Solidarietà sociale, per cui al comma 8-bis ricompaiono, come per miracolo, le vecchie direzioni generali. Tutti i ministeri, secondo l'organizzazione Bassanini, sono organizzati in dipartimenti, compresi quelli senza portafoglio: stranamente ritornano le direzioni generali. Credo che ciò sia una svista, in quanto reintrodurre le direzioni generali senza che siano dirette dal capo dipartimento, significa non disporre di una base amministrativa sulla quale lavorare. In questo modo non vi sono regole, perché il legame di impostazione politica è con il capo dipartimento, ed in sua mancanza sarà difficile realizzare quel miracolo del recupero della vecchia legislazione abrogata da sei anni. Tutto ci possiamo aspettare, ma questo speriamo di no!
In conclusione, nel presente decreto-legge è contenuto un problema serissimo relativo all'attribuzione di deleghe che riguardano enti locali e regioni. Infatti, all'interno del testo in esame, che sembra scritto da chi poco ha letto il Titolo V, sono previste competenze con le quali lo Stato ha poco a che fare.
Parlare nuovamente di mobilità urbana in capo al Ministero dei trasporti è abbastanza peculiare; quindi, vi sarà sicuramente un problema di concorrenza verticale. A tale proposito, vorrei fornire un'idea per un ulteriore ampliamento del Governo: forse oltre al ministro per iPag. 131rapporti con il Parlamento, potrebbe essere istituito il ministro per i rapporti all'interno del Governo! Infatti, oltre ad un problema di concorrenza verticale questo disegno di legge crea notevoli problemi di concorrenza orizzontale (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Alia. Ne ha facoltà.
GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, cercherò di non ripetere, per quanto possibile, quanto abbiamo cercato di spiegare oggi in sede di esame delle questioni pregiudiziali presentate dai gruppi di opposizione.
Tuttavia, credo che - probabilmente anche l'ora tarda può aiutare a svolgere una riflessione più pacata, al di fuori della contrapposizione politica - vi siano due questioni politiche di fondo sulle quali il Governo - utilizzo un termine sportivo - ha «toppato».
La prima è la questione delle regole. Nel corso della discussione sulle linee generali ho sentito un ritornello, che era quello che, nella passata legislatura, la maggioranza ripeteva con riferimento alla legislatura precedente e ai Governi di centrosinistra che hanno amministrato questo paese dal 1996 al 2001. Questo sistema di alzare l'asticella della flessibilità delle regole condivise di carattere istituzionale credo non faccia bene. È sbagliato ancorarsi ad un precedente che oggettivamente costituisce un errore. Ritengo infatti che l'infallibilità sia propria solo del nostro Sommo Pontifice, per il resto siamo tutti esseri umani che, anche quando governano, commettono errori.
Allora, l'idea che, nel tempo, si sia ampliata la sfera di intervento della decretazione d'urgenza - come correttamente ha evidenziato il relatore, citando la casistica con la consueta puntualità - non è sicuramente positiva. Il fatto che anche nella passata legislatura - sbagliando, a mio avviso, sotto il profilo delle regole istituzionali, del procedimento legislativo e della corretta interpretazione dell'articolo 77 della Costituzione - si sia operata una forzatura, prorogando i termini e introducendo di fatto un meccanismo che riapriva la delega conferita al Governo, oggi giustificherebbe una successiva e più grave forzatura delle regole sotto il profilo istituzionale, vale a dire quella di introdurre per decreto deleghe di carattere generico.
Se questo è il meccanismo, dobbiamo renderci conto che bisogna mettere la parola «fine» a questa spirale, perché se è vero che nel maggioritario vi è l'esigenza di governare e, quindi, il Governo si pone il problema di quali strumenti utilizzare e di come far presto per raggiungere gli obiettivi - giusti o sbagliati, non entro nel merito - che si è prefisso, è altrettanto vero che l'idea che ciò possa comportare una sorta di flessibilità delle regole poste a presidio del ruolo del Parlamento e del suo rapporto con il Governo è sbagliata. La prima questione politica che si pone è che voi siete assolutamente vulnerabili, provenendo da un'esperienza di opposizione in cui è stato più volte invocato il rispetto delle regole. Quante volte, infatti, abbiamo sentito in quest'aula invocare il rispetto della Costituzione, quante volte sono state presentate su ogni provvedimento questioni pregiudiziali di costituzionalità, ed altro? Oggi voi siete in difetto sul piano politico perché, anziché porvi - e porci - il problema di definire un assetto concordato (devo darne atto al presidente Violante: è stato lo sforzo che il medesimo, in qualche modo, ha compiuto sia in Commissione sia in Assemblea), avete ritenuto che si possa andare avanti per forzature, di legislatura in legislatura. Credo che ciò sia un sistema che, di fatto, ha già snaturato la funzione ed il ruolo del Parlamento.
La seconda questione politica che si pone è che questo provvedimento è sbagliato nel merito, e lo è non solo perché possiamo avere - ed abbiamo certamente - opinioni diverse su come organizzare la funzione di governo nel paese, ma perché detto provvedimento è lo strumento sbagliato attraverso cui, peraltro, non raggiungerete gli obiettivi per i quali avetePag. 132adottato il provvedimento stesso. Cercherò, se mi resta qualche attimo di lucidità, di spiegare meglio il perché. Onorevoli colleghi, credo - e lo dico con assoluta serenità - che dobbiamo studiare strumenti che, ancorché rientranti nell'ambito e nei limiti dell'articolo 97 della Costituzione - che non solo impone, per l'organizzazione degli uffici, il rispetto del principio del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, ma stabilisce una riserva di legge specifica sull'organizzazione ed il funzionamento dell'amministrazione dello Stato -, mettano il Governo eletto dai cittadini nelle condizioni di poter organizzare la propria struttura burocratica in base non al principio dello spoil system, ma a quello dell'efficacia e dell'efficienza, ossia del rapporto stretto tra l'attività di indirizzo politico e la sua traduzione concreta in atti e fatti di natura amministrativa reale, e ciò fa parte anche della discussione sulle regole. Infatti, è giusto e legittimo che un Governo non si debba sottoporre, ad ogni legislatura, a questa sorta di «invenzione procedurale» per capire come riuscire a risolvere le questioni «nobili» della politica. Oltre ciò, vi è un punto di fondo: onorevoli colleghi, rimpiangere la legge - o le leggi - Bassanini, per noi, è certamente una circostanza politicamente un po' pesante; tuttavia la legge Bassanini aveva una sua logica ed una sua coerenza: la riduzione a dodici del numero dei ministeri, con la possibilità di ministri senza portafoglio, per avere una forma di gabinetto un po' «all'inglese», ossia con una struttura governativa concentrata sul piano politico e su quello della caratura istituzionale su dodici ministeri, che peraltro avevano una propria coerenza. Pure la possibilità per i cosiddetti ministri senza portafoglio di realizzare dipartimenti aveva una sua logica. In tale logica anche l'introduzione, che poi è stata fatta, dei viceministri aveva una sua intima coerenza. Infatti, è assolutamente evidente, come ricordava la collega Santelli, che quando si è creato il Ministero dell'economia, che ha accorpato dicasteri quali il Bilancio, le Finanze, le Partecipazioni statali ed altro, vi fosse la necessità di una struttura di collaborazione del vertice politico, che deve avere anche la possibilità e la legittimazione sul piano giuridico ed amministrativo per porre in essere una serie di atti. Ma accresciutosi il numero dei ministeri - oggi si giunge all'istituzione di ben diciotto dicasteri - la logica della moltiplicazione o della conferma dell'istituzione dei viceministri non si giustifica più.
Non ha alcuna logica: più frantumiamo e polverizziamo le competenze, più ampliamo il numero dei ministri, meno si giustifica, teoricamente, l'esigenza di viceministri e sottosegretari! L'avete riconosciuto anche voi quando, al Senato, avete introdotto nel testo del decreto-legge la norma a tenore della quale, nonostante le deleghe ai viceministri siano, com'è previsto dalla legge, deliberate dal Consiglio dei ministri, il singolo ministro, in ragione della maggiore o minore importanza della delega attribuita al viceministro, può organizzargli o potenziargli la struttura, che, di fatto e di diritto, diventa una struttura ministeriale a tutti gli effetti, creando, in tal modo, anche l'effetto perverso dell'esistenza di viceministri di serie A e di serie B.
Tralascio di considerare - perché la considerazione è stata già fatta - il precedente che è stato introdotto per quanto riguarda il Ministero dell'interno. Qualcuno ci dovrà spiegare se la normativa sull'autorità nazionale di sicurezza pubblica resti nazionale, se vi siano due vertici o uno solo. Non voglio addentrarmi in queste problematiche, ma certamente è anomalo che sia stata istituita la figura di viceministro dell'interno (neanche noi, che pure passiamo per violentatori della Costituzione, delle leggi e dell'ordinamento, siamo stati capaci di farlo).
In questo contesto, anche l'impostazione, corretta, di creare il Ministero per lo sviluppo economico e la coesione sociale sconta una serie di limiti. Personalmente, non comprendo la ragione per la quale abbiamo spostato - o, meglio, avete spostato - il CIPE dal Ministero dell'economiaPag. 133e delle finanze alla Presidenza del Consiglio. Si tratta dello strumento fondamentale attraverso cui si fa la programmazione, si stabiliscono le priorità degli interventi strutturali e si organizzano le risorse. Ci troviamo di fronte a tre centri che politicamente dirigono l'attività: il Presidente del Consiglio - ed è giusto che sia così -, il ministro per lo sviluppo economico (già ministro per le attività produttive) ed il ministro dell'economia e delle finanze. Sinceramente, non capisco!
C'è anche qualche dato simpatico. L'integrazione operata dal Senato, in forza della quale il Ministero dell'ambiente diventa Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mi fa porre un serio interrogativo: del cielo e dell'acqua il Ministero dell'ambiente non si occupa? La battuta serve in qualche modo a sdrammatizzare la circostanza. Anche riguardo all'operazione di drafting che ha interessato il Ministero del commercio internazionale, già Ministero del commercio con l'estero, è simpatica la circostanza che non si sia ritenuto di utilizzare la vecchia denominazione.
Quello che considero grave è lo «spacchettamento» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che sinceramente non capisco. Non è che non lo capisca dal punto di vista nostro, delle opposizioni: non lo capisco dal vostro! Oggi, in Commissione, ho fatto un esempio concreto, opinabile ma concreto: la vicenda del ponte sullo stretto. Le prime dichiarazioni del ministro delle infrastrutture e di quello dei trasporti sono state in contrasto tra loro (il ministro Bianchi ha affermato di essere contrario, mentre il ministro Di Pietro, dopo avere affermato di non essere contrario, ha specificato: forse non si tratta di una priorità, ma non siamo contrari per principio).
Tuttavia, nel momento in cui tutta la politica relativa al settore delle infrastrutture e dei trasporti del vostro schieramento si fonda sul presupposto che le cosiddette grandi opere, con qualche eccezione, sono - come dire? - un peso per questa comunità (c'è un problema di impatto ambientale, di concertazione, di confronto, e così via) nel momento in cui si dice che bisogna scegliere politiche alternative per il sistema dei trasporti (le grandi autostrade del mare, il potenziamento delle ferrovie, e così via); proprio nel momento in cui c'è la necessità, vieppiù rispetto al vostro programma di Governo non al nostro, di avere un'unica autorità governativa che regoli, che programmi gli interventi in materia, si «spacchettano» i due ministeri e le loro competenze e si dice, con grande candore, che c'è comunque il concerto reciproco!
Sugli atti che compie il ministro dei trasporti c'è il concerto del ministro delle infrastrutture e sugli atti che compie il ministro delle infrastrutture c'è il concerto del ministro dei trasporti. Se per una qualche ragione il ministro Bianchi ed il ministro Di Pietro non dovessero dialogare per una settimana, negandosi reciprocamente il concerto sugli atti di rispettiva competenza, si bloccherebbe l'attività in questa materia.
Non riesco ancora a comprendere il senso delle competenze affidate al Ministero per la solidarietà sociale, in quanto tale dicastero assorbe e mantiene le competenze del Ministero del lavoro - che suona meglio del Ministero del welfare, perché siamo in Italia -, si occupa dei flussi migratori e della determinazione delle quote di ingresso per i comunitari e per gli extracomunitari. Viene inoltre introdotta una strana competenza relativa al coordinamento delle politiche per la integrazione degli stranieri immigrati. Il coordinamento per le politiche degli stranieri immigrati è sempre stato di competenza del Ministero dell'interno, perché ciò comporta la regolamentazione dell'immigrazione legale e clandestina, il diniego o il conferimento della cittadinanza e tutta una serie di atti e di competenze che sono proprie di un dipartimento inserito nel Ministero dell'interno: il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione.
Credo che si sia trattato più di un atto di facciata per coinvolgere il ministro della solidarietà sociale in materia di immigrazione, perché il ministro Amato, durante l'audizione in Commissione, a fronte dellaPag. 134nostra richiesta di chiarimenti sulla circostanza che vi potesse essere uno «spacchettamento» delle competenze operative di indirizzo politico del ministro dell'interno e sull'eventuale sottrazione dell'attività di programmazione politica in materia di immigrazione per attribuirla al Ministero della solidarietà sociale, ha affermato che da parte del Governo non vi era un'intenzione del genere. Delle due l'una: siccome il ministro Amato è una persona amabilissima ed autorevolissima, dobbiamo ritenere che sia meno autorevole il testo di questo decreto-legge.
Forse sarebbe stato più opportuno sul piano politico che si costituisse un nuovo Ministero per le politiche di immigrazione e di integrazione, che accorpasse le competenze del Ministero dell'interno che, attraverso le procedure dello sportello unico per l'immigrazione, va sempre più nella logica di sottrarre al controllo della polizia fatti di ordinaria amministrazione che dovrebbero essere oggetto di un confronto e di un'interlocuzione con l'amministrazione civile dello Stato. Ciò avrebbe consentito di evitare da subito un conflitto di opinione e di competenze che, nell'ambito dell'amministrazione dell'interno e dell'amministrazione del già Ministero del welfare avvenivano in passato sulla gestione complessiva della materia dell'immigrazione e, quindi, anche sulla programmazione dei flussi; avrebbe consentito altresì di avere una struttura adeguata e sufficiente su questo tema oggettivamente delicato, che toccherà la prospettiva di questo paese e dell'Europa nei prossimi decenni.
Se avessi potuto fare uno «spacchettamento» al vostro posto, probabilmente avrei istituito un ministero di questa natura. Sinceramente non riesco a comprendere perché si istituisce un dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che si interessa delle politiche giovanili, ma non sa di cosa si deve occupare, visto che tali materie, come dice il testo del decreto, sono trasferite al Ministero della solidarietà sociale, con le inerenti risorse finanziarie e all' Osservatorio per il disagio giovanile, legato alle tossicodipendenze, di cui al comma 556 dell'articolo 1 della legge n. 266 del 2005. L'unica materia che si occupava di giovani, ancorché in questa forma patologica, viene trasferita al Ministero della solidarietà sociale e contemporaneamente viene istituito un dipartimento e un ministro senza portafoglio, cui viene attribuito l'incarico, per occuparsi delle politiche giovanili, di cui non vi è traccia (e non si comprende di cosa si parli nel decreto).
A questo si aggiunge - non mi dilungo, perché ne ha già parlato diffusamente il collega Carlo Giovanardi - la distruzione integrale del dipartimento delle politiche antidroga, incardinato presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e il trasferimento delle competenze sul servizio civile nazionale al Ministero per la solidarietà sociale.
Qui obiettivamente sembra il tipico caso in cui, attraverso un decreto-legge, col bilancino - non tanto da manuale Cencelli, perché come lei sa, sottosegretario D'Andrea, visto che veniamo da quella antica tradizione, il manuale Cencelli è una cosa molto più seria e molto più scientifica sotto il profilo politico - ci sia in progress la necessità di accontentare questo o quel ministro su piccoli pezzi di delega, senza tener conto però di una visione e di un disegno generale di ampio respiro, anche perché non di ampio respiro si tratta, parlando del vostro Governo.
Non voglio infierire, perché anche qui lo «spacchettamento» dell'istruzione dall'università e dalla ricerca ci sembra obiettivamente un controsenso, sotto ogni profilo: sotto il profilo della ricerca, sotto il profilo dei rapporti tra scuola, università e lavoro e comunque, da qualunque parte la guardiamo, questa scelta non sembra avere una sua logica, se non quella di bilanciare posizioni interne.
Ancora più logica è la circostanza che si mantenga per alcune strutture ministeriali l'organizzazione dei dipartimenti, mentre per altre l'organizzazione viene fatta sotto forma di direzioni generali. Comprenderete che la logica dei dipartimenti, che può piacere o no e che era stataPag. 135introdotta dalla riforma Bassanini alla fine degli anni Novanta, aveva una sua funzione, aveva cioè l'idea di rendere più efficiente il tipo di lavoro all'interno della struttura amministrativa e quindi che la possibilità di organizzarsi sotto forma di dipartimenti desse maggiore efficienza e managerialità nella attività di governo di un settore.
Un'altra domanda che ci siamo posti è la seguente: cosa c'entra, ad esempio, la vigilanza sui consorzi agrari, sottratta alla competenza del Ministero delle politiche agricole e forestali e attribuita al Ministro dello sviluppo economico, quando anche qui comunque si mantiene l'istituto del concerto? La vigilanza passa al Ministero dello sviluppo economico, però, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, il Ministro dello sviluppo economico deve comunque operare di concerto con il Ministro per le politiche agricole e forestali. Anche qui mi sembra una cosa che si legge solo in una logica che certamente non ha nulla a che vedere con il fine di organizzare in termini più efficienti l'amministrazione dello Stato.
Vorrei fare anche qualche altro esempio, già portato in precedenza, ma ritengo sia utile ripeterlo. Leggendo e rileggendo il provvedimento all'esame non si comprende perché vi sia un tale accentramento di competenze e di funzioni presso la Presidenza del Consiglio.
Sono assolutamente convinto della logica in forza della quale dal 1988 in poi, e quindi anche con la disciplina delle funzioni del Presidente del Consiglio, e successivamente con la normativa introdotta dalla legge Bassanini, l'idea di rendere agile la struttura della Presidenza del Consiglio, perché forte sul piano politico e quindi forte della necessità di svolgere quell'opera di coordinamento, di impulso e di marcatura su tutti gli aspetti riguardanti l'attività di Governo per il rispetto dell'attività medesima, viene vulnerata dal fatto che vengono riportate una serie di funzioni e di competenze di struttura presso la Presidenza del Consiglio, che rendono solo ed esclusivamente più ingrato il compito della Presidenza del Consiglio stessa, dei suoi funzionari, dei suoi dirigenti, che non hanno alcuna logica e che non servono neppure - secondo me - a svolgere la funzione del Presidente del Consiglio.
La questione che mi risulta «simpatica» in questo contesto è quella riguardante il turismo. Ho letto e riletto il comma 19-bis dell'articolo 1 del decreto-legge in oggetto, in cui si afferma che «le funzioni di competenza statale assegnate al Ministero delle attività produttive dagli articoli 27 e 28 del decreto legislativo n. 300 del 1999, e successive modificazioni, in materia di turismo sono attribuite al Presidente del Consiglio dei ministri», il quale è diventato un concerto continuo: «Il Ministro dello sviluppo economico concerta con il Presidente del Consiglio dei ministri l'individuazione e l'utilizzazione anche residuale delle risorse finanziarie...». Le funzioni di competenza statale vengono spacchettate dal già Ministero delle attività produttive, oggi Ministero dello sviluppo economico, e attribuite al Presidente del Consiglio.
Il comma 19-quater dell'articolo 1 del decreto-legge recita: «Al Ministero per i beni e le attività culturali sono trasferite le dotazioni finanziarie, strumentali e di personale della direzione generale del turismo già del Ministero delle attività produttive, che viene conseguentemente soppressa. In attesa dell'emanazione del regolamento previsto dal comma 23, l'esercizio delle funzioni è assicurato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, d'intesa - "d'intesa" che è una cosa più semplice da attuarsi - con il Ministro per i beni e le attività culturali e il Ministro dell'economia e delle finanze.» Se non ho compreso male, la struttura amministrativa del turismo, che era in capo all'ormai ex Ministero per le attività produttive, va al Ministero per i beni culturali. Le funzioni statali, in materia di turismo, vengono assegnate alla competenza del Presidente del Consiglio, il quale delega poi il ministro per i beni e le attività culturali.
Come dicevo quindi in Commissione, l'onorevole Rutelli è il primo esempio di ministro con «semiportafoglio», perché haPag. 136il portafoglio del Ministero per i beni e le attività culturali e poi la delega per il turismo. Mi sembra una cosa anomala che non si spiega, salvo che, in un eventuale rimpasto di Governo, tutto questo non renda, e forse questa è l'unica logica; cioè, la carta di riserva consiste nell'affidare le deleghe presso la Presidenza del Consiglio; poi, non si sa mai, dovessimo fare un giro, a quel punto non occorrerà adottare un nuovo decreto-legge da sottoporre al voto di fiducia al Senato e presentare un maxiemendamento.
Tanto è vero che vi è una norma, e questa costruita con grande intelligenza, nel decreto-legge, che afferma che, qualora una legge approvata da questo Parlamento attribuisca una competenza ad un ministro senza portafoglio, questa deve intendersi attribuita al Presidente del Consiglio, che a sua volta delegherà.
Vi è, cioè, l'ipoteca sul futuro dell'attività normativa di queste Camere. Si sostiene, infatti, che qualunque competenza si attribuisca, ad esempio alla Melandri o alla Turco, o con riferimento all'eventuale disequilibrio che nell'ambito della maggioranza si dovesse realizzare in questo Parlamento, sia nel corso della finanziaria o in qualsiasi altro provvedimento, la camera di compensazione dei problemi politici del centrosinistra sarà sempre la Presidenza del Consiglio dei ministri. Devo fare i complimenti, pur non condividendola, a chi ha pensato, scritto e fatto approvare questa disposizione.
Da ultimo, consentitemi una considerazione sul ministero «senza occhi per piangere», ovvero senza portafoglio, vale a dire il Ministero della famiglia. Per evitare che si capisse che si trattava di una foglia di fico, dato che non vi era l'esigenza di creare il Ministero per la famiglia, ma solo quella di realizzare politiche per la famiglia, le quali sono trasversali e toccano l'attività di tutta l'amministrazione delle politiche economiche di un paese, nel testo pre-fiducia al Senato al Presidente del Consiglio dei ministri venivano attribuite le funzioni di indirizzo e di coordinamento in materia di politiche per la famiglia. Ciò avveniva come se vi fosse la necessità di precisare questo compito e come se esso non fosse stato mai attribuito, nell'ambito dei poteri costituzionali, al Presidente del Consiglio dei ministri. In tutto ciò, la cosa che trovo simpatica è che, in sede di conversione, proprio per evitare che la ministra Bindi potesse giustamente protestare, si è introdotto una corposo pamphlet di cose ovvie e si è previsto che la ministro Turco si occuperà delle funzioni di competenza statale attribuite al Ministero del lavoro e delle politiche sociali dall'articolo 46, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 399. Dopodiché, si è enunciata una serie di principi che riguardano il sostegno alla maternità e alla paternità, la conciliazione dei tempi di lavoro; cioè tutta una serie di cose, una sorta di libro dei sogni bellissimo che sta a giustificare l'esistenza di questo Ministero.
In conclusione, colleghi, pensateci, fate una riflessione politica sulla questione delle regole, che si applicano sia quando vincete voi sia quando vinciamo noi. Inoltre, quando si fa una forzatura di questo tipo, occorre raggiungere l'obiettivo per il quale si è partiti. Forse, la conclusione a cui arriverete pure voi è quella nostra, e cioè che questo provvedimento è inutile, inopportuno e dannoso (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Allasia. Ne ha facoltà.
STEFANO ALLASIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo la mia solidarietà alla comunità ebraica, in particolare a quella romana ma non solo, per gli eventi dell'altra notte. La mia solidarietà va anche a tutti i cittadini che non hanno subito atti di intolleranza razzistica, bensì di bieco teppismo urbano, i quali si sono trovati l'auto bruciata gratuitamente, e ai commercianti danneggiati da questi atti.
Entrando nello specifico della conversione in legge del decreto-legge del 18 maggio 2006, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio deiPag. 137ministri e dei ministeri, l'assetto sul quale interviene il provvedimento in esame è quello definito dai decreti legislativi nn. 300 e 303 del 1999, adottati sulla base della delega contenuta nella legge n. 59 del 1997, la cosiddetta Bassanini 1. In estrema sintesi, può dirsi che l'obiettivo perseguito con i citati decreti legislativi era quello di razionalizzare le strutture del Governo, evitando duplicazioni al fine di pervenire ad una struttura snella che nel disegno originario si articolava in 12 ministeri.
La legge n. 81 del 2001, modificando la fondamentale legge n. 400 del 1988 sull'ordinamento della Presidenza del Consiglio, creò la figura dei viceministri, consentendo l'attribuzione di tale qualifica e di speciali deleghe ad un numero massimo di dieci sottosegretari. Durante la passata legislatura, il Governo Berlusconi adottò il decreto-legge n. 217 del 2001, con il quale si ricostituirono due ministeri, quello delle comunicazioni e quello della salute, portando così il numero complessivo dei ministeri con portafoglio a 14.
Occorre ricordare, infine, che la legge 6 luglio 2002, n. 137, ha conferito numerose deleghe al Governo in materia di organizzazione del Governo, che sono sfociate in decreti legislativi che hanno modificato la struttura di diversi ministeri, tra i quali quello dell'ambiente e della tutela del territorio, quello delle attività produttive e quello delle infrastrutture e dei trasporti.
L'aspetto più rilevante del provvedimento in esame è costituito dalla redistribuzione delle competenze ai ministeri, che determinano innanzitutto un significativo incremento della compagine ministeriale, che viene accresciuta con la creazione del Ministero dello sviluppo economico, al quale sono attribuite competenze spettanti precedentemente al Ministero delle attività produttive e al Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione del Ministero dell'economia e delle finanze, nonché con la costituzione del Ministero della solidarietà sociale, destinatario di competenze prima attribuite prevalentemente al Ministero del lavoro.
Dallo scorporo di competenze rispettivamente spettanti al Ministero delle attività produttive, a quello delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca vengono creati il Ministero del commercio internazionale, il Ministero dei trasporti e il Ministero dell'università e della ricerca. In totale, si registra perciò un aumento di quattro ministeri con portafoglio: il Ministero dello sviluppo economico sostituisce quello delle attività produttive, rispetto al Governo Berlusconi.
Nella redistribuzione di competenze, si segnala in particolare l'assegnazione di funzioni assai rilevanti al Ministero della solidarietà sociale, con la rottura dell'unità di attribuzioni spettanti al Ministero del lavoro in materia di immigrazione e di politiche del lavoro. Infatti, al neo costituito ministero vengono attribuite le competenze in materia di programmazione dei flussi di entrata dei lavoratori esterni non comunitari, l'intera area funzionale delle politiche sociali e dell'occupazione ed infine la vigilanza amministrativa e tecnico-finanziaria sugli enti di previdenza. Si aggiungono inoltre competenze attualmente spettanti alla Presidenza del Consiglio in materia di politiche antidroga e di servizio civile nazionale.
Il quadro delle competenze afferenti all'area di precedente competenza del Ministero del lavoro è ulteriormente complicato, con rischio di duplicazioni per effetto dell'attribuzione alla Presidenza del Consiglio delle competenze in materia di politiche giovanili e di politiche per la famiglia, che sono state rispettivamente delegate ai ministeri senza portafoglio di Melandri e Bindi.
Il riordino della Presidenza del Consiglio si è tradotto nell'attribuzione alla stessa delle seguenti competenze, in aggiunta alle due già citate: le competenze in materia di sport, già attribuite al Ministero dei beni e delle attività culturali, le funzioni di vigilanza sull'albo dei segretari comunali e provinciali e l'iniziativa legislativa in materia di allocazione di funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione. Alla Presidenza del Consiglio èPag. 138infine trasferita la segreteria del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica), precedentemente operante presso il Ministero dell'economia e delle finanze.
Il quadro delle competenze va infine completato sottolineando che le attribuzioni in materia di turismo, già spettanti al Ministero delle attività produttive, sono trasferite al Ministero dei beni e delle attività culturali, mentre la competenza sui generi alimentari è assegnata in via esclusiva al Ministero delle politiche agricole e forestali, che assume così la denominazione di Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Le funzioni in materia di politiche per gli italiani nel mondo, precedentemente assegnate al Ministero degli italiani nel mondo, sono trasferite al Ministero degli affari esteri.
Le prime valutazioni critiche possono essere espresse con riferimento alla costituzionalità del decreto in esame, sotto più aspetti: in primo luogo, la violazione dell'articolo 77 della Costituzione. Tale articolo pone a presupposto dell'adozione di decreti-legge casi straordinari di necessità e d'urgenza. Non può ritenersi che la creazione di nuovi ministeri e la redistribuzione delle competenze tra quelli esistenti rappresenti una circostanza idonea al ricorso alla decretazione d'urgenza. Tale violazione è tanto più grave se si considera che il decreto-legge in esame è stato adottato da un Governo non ancora investito della fiducia delle Camere.
Non può invocarsi, a tale proposito, il precedente costituito dal decreto-legge n. 217 del 2001, che aveva contenuti più circoscritti e venne adottato in circostanze diverse. Si aggiunge che il Governo ha preannunciato la presentazione di un ampio emendamento correttivo, che determinerà ulteriore confusione e limiterà la possibilità di intervento parlamentare da parte delle opposizioni.
In secondo luogo, vi è stata la violazione dell'articolo 81 della Costituzione, secondo cui ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte. Nel decreto-legge in esame, infatti, si afferma che la creazione di nuovi ministeri e la redistribuzione delle competenze tra quelli esistenti deve avvenire senza nuovi oneri per il bilancio dello Stato; tuttavia, appare poco verosimile che la creazione di nuovi apparati amministrativi possa realizzarsi senza determinare spese aggiuntive.
In terzo luogo, si è verificata la violazione dell'articolo 97 della Costituzione. La frammentazione delle competenze dei ministeri recata dal decreto-legge in esame, infatti, va contro il principio dell'unitarietà delle strutture ministeriali, sulla base dell'omogeneità delle funzioni, sancita dal decreto legislativo n. 300 del 1999. Ciò appare in contrasto, inoltre, con il valore, costituzionalmente garantito, del buon andamento della pubblica amministrazione (si fa riferimento sempre all'articolo 97 della Costituzione). È particolarmente censurabile, sotto questo punto di vista, lo «spacchettamento» del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché la sottrazione al Ministero dell'interno di talune competenze in materia di enti locali.
Per quanto attiene al contenuto del decreto-legge in esame, in aggiunta alle specifiche osservazioni già sviluppate nei confronti del provvedimento, si possono segnalare i seguenti, ulteriori spunti critici.
In primo luogo, il provvedimento in oggetto determina una moltiplicazione dei ministeri, in contrasto con le linee disegnate dal citato decreto legislativo n. 300 del 1999, che aveva comportato una razionalizzazione dell'organizzazione del Governo, con una significativa riduzione dei ministeri. Il decreto-legge, inoltre, appare principalmente giustificato dall'esigenza di trovare posti all'interno dell'esecutivo per soddisfare le diverse competenze della coalizione governativa e, quindi, per rispettare gli equilibri interni alla maggioranza.
In secondo luogo, particolarmente incomprensibile appare, come già evidenziato, lo «spacchettamento» del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che viene sdoppiato nel Ministero del lavoro e della previdenza sociale e nel Ministero della solidarietà sociale. Si rileva, in particolare,Pag. 139che, contraddittoriamente, tale ultimo ministero sembrerebbe assorbire anche competenze in materia previdenziale, compreso il controllo e la vigilanza sugli enti di previdenza e di assistenza obbligatoria.
Altrettanto grave è l'attribuzione al Ministero della solidarietà sociale delle competenze in materia di flussi di entrata dei lavoratori extracomunitari, le quali, più razionalmente, avrebbero dovuto rimanere in capo al Ministero del lavoro, titolare delle politiche del lavoro e dell'occupazione, stante il legame esistente proprio tra immigrazione e mercato del lavoro.
In terzo luogo, si osserva che la disciplina introdotta dal provvedimento in esame solleva perplessità anche sotto il profilo dell'inversione di tendenza avviata con le cosiddette riforme Bassanini, determinando una ricentralizzazione di funzioni amministrative che le citate riforme avevano trasferito alle regioni ed agli enti locali. Per di più, l'incremento del numero dei ministeri si pone in evidente contrasto con il programma della coalizione di Governo, che in parte sottolinea il proposito di ridurre gli apparati amministrativi ed i connessi costi della politica.
Le proposte emendative presentate dal gruppo della Lega Nord Padania mirano a ripristinare l'assetto dei ministeri previgente rispetto al decreto-legge in oggetto. In tal modo, vengono ricostruite, in particolare, la competenza del Ministero del lavoro sulle politiche sociali, della famiglia e dell'immigrazione, nonché l'assetto originario del Ministero delle attività produttive, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Concludendo, signor Presidente, posso solo gridare a gran voce un «complimenti!» nei confronti di questo Governo, il quale è assente questa sera, come del resto la stessa maggioranza. Un ministro su quattordici mi sembra un numero molto esiguo: la matematica non è un'opinione, perciò questa sera il Governo è praticamente inesistente!
Rivolgo, quindi, i miei complimenti all'esecutivo per questo decreto-legge e ringrazio (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Biancofiore. Ne ha facoltà.
MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente, uno studioso teutonico - sarà forse una deformazione di provenienza dalla mia terra -, Friedrich Meineke, sosteneva che senza ragione di mercatura non esiste ragione politica. Personalmente, sono scettica al riguardo; ma, guardando a quanto fatto dalla coalizione di Governo con il decreto-legge in discussione, mi convinco oltremodo sia della valenza delle posizioni politiche ed etiche del mio partito e del mio schieramento sia, soprattutto, del fatto che questo Governo sta in piedi solo per ragione di mercatura. Espressione, questa, che oggi potremmo tradurre in termini più moderni come lottizzazione politica, portata, in questo caso, con tale decreto-legge, alla massima espressione.
A tale riguardo, il Governo di centrosinistra arriva addirittura a sconfessare se stesso, o, meglio, le proprie leggi - parlo ovviamente della cosiddetta Bassanini - pur di procrastinare l'agonia di un esecutivo schiacciato con tutta evidenza dalla propria inconsistenza elettorale, dalla diversità della propria coalizione e, pertanto, di fatto morto prima ancora di nascere. Un Governo che avrebbe dovuto inaugurare, stando alle sue parole, il regno delle virtù e che invece moltiplica le poltrone ministeriali come mai nella storia della Repubblica. Anziché limitare la spesa pubblica come annunciato, l'aumenta.
Ma queste sono soltanto le premesse più lampanti del decreto-legge in discussione; per entrare nel merito, questo decreto va molto oltre la modificazione dell'assetto dei ministeri, moltiplicandone il numero in modo poco razionale rispetto all'attuale assetto costituzionale ed alle misure di finanza pubblica. Il provvedimento non coglie, infatti, l'occasione per operare un riordino, in linea con quantoPag. 140previsto già dal Titolo V della Costituzione, della riforma dei ministeri, modificando le funzioni del centro e trasferendo le funzioni inerenti alle competenze delle regioni. Pertanto, non contraddice soltanto la riforma Bassanini - l'unica che noi tutti ricordiamo come riforma del centrosinistra e che è incompatibile con la voracità di una coalizione che vive solo se soddisfa la bulimia dei suoi partiti -, ma contraddice anche la riforma costituzionale del 2001, e con tutta evidenza.
A ciò dobbiamo aggiungere che detta proliferazione dei ministeri non può certo avvenire a costo zero - come hanno dichiarato molto bene e molto meglio di me i colleghi precedentemente intervenuti -, avendo di fatto l'effetto di produrre una crescita delle strutture strumentali. Basti pensare agli uffici del personale ed agli uffici di ragioneria, nonché alla corsa al rialzo dei fondi di amministrazione dei dipendenti ministeriali a causa delle diseguaglianze che si creeranno con le nuove aggregazioni ministeriali. Processo che certamente non è in linea nemmeno con la direttiva del Ministero dell'economia e delle finanze - guidato da Padoa Schioppa - del 6 giugno 2006, che invita le amministrazioni ad applicare in modo rigoroso la legge finanziaria per il 2006, che prevede tagli ai fondi ed agli organici.
Il risparmio, inoltre, di 10 milioni di euro prospettato dal Governo è pertanto, come tante altre misure che promette questo Governo, una pura invenzione, visto che la sola sostituzione dei parlamentari impegnati nell'esecutivo, sempre ovviamente per procrastinare la vita di questo Governo nato in qualche maniera monco, costerà circa 8 milioni e che l'esodo biblico dei dipendenti pubblici da un ministero all'altro - ben 10 mila persone, che non sanno bene dove devono lavorare e come devono essere allocate - provocherà un ulteriore aggravio per le casse pubbliche dello Stato. Migrazione sulla quale hanno espresso profonda preoccupazione anche i sindacati e, signori del Governo, si sa che tradizionalmente i sindacati sono vicini alle vostre posizioni, mentre non lo sono mai stati rispetto a quelle del Governo Berlusconi, che invece ha molto bene operato, varando riforme organiche.
L'USAE (Unione dei sindacati autonomi europei), per esempio, si è aggiunta a coloro, tanti, che come noi temono - ma noi, più che temere, ne abbiamo la certezza - che lo «spacchettamento» dei ministeri comporterà tagli alla spesa pubblica a danno dei lavoratori. Praticamente, quando il Presidente del Consiglio parla di austerità e di grandi tagli alla spesa pubblica, aumentano di contro, i ministeri con i conseguenti aggravi economici, allora, i vostri sindacati dicono: pensiamo che i tagli di Romano Prodi forse riguarderanno proprio i lavoratori.
Sono intervenuti anche i sindacati della funzione pubblica, a partire dal segretario generale, che è targato addirittura CGIL, il quale si è spinto ad ammettere che il decreto-legge - come ha detto precedentemente molto meglio di me la collega Santelli rileggendo le dichiarazioni del Vicepresidente Rutelli - risponde più a logiche di equilibrio politico nella composizione governativa che ad una riflessione su una migliore organizzazione funzionale, e che vi sarà un'inevitabile lievitazione dei costi. Basti pensare alla costituzione degli uffici di diretta collaborazione dei ministri - bisogna ricordare che sono ben 27 i nuovi dicasteri, con tutto il personale di diretta collaborazione - e alla ridefinizione dei trattamenti accessori del personale, trasferito da un ministero all'altro.
Dunque, anche quei sindacati, tradizionalmente vicini alla sinistra, condannano un provvedimento e un metodo, ossia la famosa delega sulla quale è inutile soffermarsi ulteriormente, che sono a dir poco stati scandalosi. Come tutti sappiamo, domattina sarà posta anche la questione di fiducia sul decreto-legge, che grida vendetta davanti a Dio.
Dunque, abbiamo di fronte un decreto che, a nostro parere, è scritto malissimo e rischia di compromettere gravemente il buon andamento della pubblica amministrazione, con innegabili riflessi negativi sia sugli utenti che sui lavoratori.Pag. 141
Tra i punti critici che si evidenziano nella suddivisione dei ministeri, a mio parere, ve ne sono alcuni che cagionano più perplessità di altri. Alcuni sono stati già elencati dai colleghi che mi hanno preceduto. Penso, però, ad una particolarità che nessuno ha messo in evidenza, ovvero all'apparentemente leggero cambiamento o, meglio, modifica del nome, per una sola virgola, del Ministero dell'agricoltura che - senza quella virgola, che siete stati maestri nel togliere - vede richiamate a sé le competenze in tema di alimentazione. Vorremmo dunque capire se ciò significa cedere competenze relative alla salute, spettanti, come tutti ben sappiamo, al ministro Turco, in tema di controlli sulla qualità di ciò che arriva sulle nostre tavole, con un rischio, che tutti possiamo ben immaginare, per i cittadini, per la loro salute e per quella di tutti noi.
Altro sgomento suscita la scomposizione delle funzioni del Ministero dello sviluppo economico e il trasferimento alla Presidenza del Consiglio dei ministri della segreteria del CIPE, come ha detto la collega Santelli, la cui presidenza, ovviamente, già spetta alla Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché l'istituzione di un Ministero del commercio internazionale e la sottrazione della delega sul turismo al Ministero delle attività produttive, che costituisce il 40 per cento del PIL. In tal modo, si sono svuotati ministeri che avevano una competenza ben delineata e, francamente, anche politicamente, lo dovrete spiegare all'interno della vostra coalizione, perché non si comprende come determinati ministri, se non per pura logica e volontà di occupazione di posizioni di potere e di poltrone ministeriali, accettino di governare, di fatto, senza deleghe.
Di contro, è estremamente grave l'attribuzione esclusiva al ministro della solidarietà sociale, che è un ministro espressione del partito della Rifondazione comunista - e lo sottolineo per ciò che dirò dopo -, delle politiche di contrasto alla droga e della vigilanza sui flussi d'entrata dei lavoratori stranieri non comunitari. Tali materie, coinvolgendo l'attività di vari dicasteri, come sarebbe ovvio, richiederebbero un efficace coordinamento da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Quindi, da una parte, si portano in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri deleghe che non le spettavano, e, dall'altra, queste si allocano ad altri dipartimenti, creando una confusione che è presente in tutto il decreto. Come abbiamo detto, ciò aumenterà il conflitto interistituzionale, ma deve essere una caratteristica tipica della vostra coalizione, perché si è visto cosa avete fatto con il Titolo V della Costituzione, che non ha mai conosciuto un tale conflitto interistituzionale. Adesso lo state facendo con i decreti legislativi, dei quali non c'era alcuna necessità ed urgenza.
Queste deleghe - come dicevo - richiederebbero un efficace coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, ma molta perplessità mi cagiona anche - mi si passi la battuta - l'affidamento del contrasto alla droga ad un partito, attraverso il ministro per la solidarietà sociale, che sulla droga ha spesso atteggiamenti definibili, quanto meno, singolari. Invece, si sa quali erano state le premesse che avevano portato a costituire un dipartimento antidroga presso la Presidenza del Consiglio dei ministri da parte del Governo Berlusconi.
L'inesistenza di ragioni obiettive per adottare un decreto-legge e, dunque, dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza appare in tutta la sua evidenza a proposito dell'attribuzione dell'incarico di ministro senza portafoglio per le politiche giovanili e le attività sportive, le cui competenze sono limitate alla vigilanza sul CONI e sul credito sportivo. Per queste deleghe, come tutti sanno, sarebbe bastato un sottosegretario, ma probabilmente costui - in questo caso, costei - non avrebbe avuto la sufficiente autorevolezza per mandare baci dal pullman degli azzurri, quasi i mondiali fossero stati vinti dal ministro per le politiche giovanili e le attività sportive (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia). È stata una grande intuizione del Presidente Prodi per seguirePag. 142alla lettera un manuale Cencelli impostogli dai suoi azionisti di maggioranza, ossia dalla proliferazione dei vari partiti che formano la vostra coalizione (Commenti del deputato Gardini).
Infine, vorrei richiamare un tema poco evocato: appare strano che, nonostante l'integrazione (qui, per la prima volta, siete riusciti a realizzare un accorpamento, anche se avete unificato solo due ministeri) sotto un'unica delega del dipartimento della funzione pubblica e del dipartimento dell'innovazione tecnologica, non si sia pensato a forme di avvalimento elettronico delle strutture e a forme di gestione associata dei servizi strumentali. Le tecnologie e le norme non dialogano, nonostante gli annunci; e devo dire che voi di annunci potreste tappezzare tutta l'Italia! Fa parte della vostra metodologia politica, del vostro modo di essere, fare annunci e poi smentirli passo dopo passo. Lo vediamo quotidianamente: non solo smentite i vostri stessi programmi di Governo, ma smentite addirittura l'azione dei vostri Governi passati. Credo che ciò sia, a dir poco, clamoroso.
Eppure, tornando all'innovazione tecnologica, il codice dell'amministrazione digitale disposto dal Governo Berlusconi, tanto per cambiare, ossia dal decreto legislativo n. 82 del 2005, consente l'avvio di processi di reingegnerizzazione degli apparati e delle procedure, al fine di adeguarli ad una nuova infrastrutturazione informatica, cosa della quale non avete tenuto minimamente conto.
Concludendo, credo che questi primi atti del Governo dimostrino con chiarezza che questo esecutivo, che mette insieme una maggioranza che va da Mastella a Diliberto, non rappresenta una vera alternativa. Quasi rivolgerei gli auguri a questa maggioranza, perché oggettivamente non si capisce come anche in futuro riuscirete a tenerla insieme, per nostra fortuna e per fortuna del paese, che non aspetta altro che un ricambio al più presto. Questo Governo attraverso questi primi atti non soltanto tradisce le norme costituzionali, ma ciò che più dispiace a chi fa politica credendo nella gente è che abusa della credibilità popolare nelle proprie azioni.
Un Governo siffatto, a mio parere, non ha titolo per chiedere sacrifici al paese e nemmeno la forza per ottenerli [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bodega. Ne ha facoltà.
LORENZO BODEGA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, senza volere entrare nel dettaglio del provvedimento in discussione, che modifica l'organizzazione del Governo aumentando il numero dei ministeri, con una conseguente redistribuzione di competenze e deleghe, credo sia forte l'imbarazzo nel centrosinistra davanti ad una conversione in legge di un decreto-legge che riguarda una materia rispetto alla quale la sensibilità dei cittadini è altissima. Peccato che su questi argomenti di inevitabile impatto la comunicazione sia sempre circoscritta ai toni e al clima propagandistico delle campagne elettorali.
Per anni, il centrosinistra ci ha impartito lezioni sulla necessità che il Parlamento fosse il luogo delle decisioni, consapevoli della loro debolezza e sprezzanti del ruolo dei parlamentari. Io, alla mia prima legislatura, mi ero illuso che si potesse dibattere, entrare nel merito degli argomenti, anche imparare, perché no. Invece, constato che siamo davanti ad una concezione burocratica della politica che è tutto alzare o abbassare le mani, schiacciare pulsanti, manifestare meccanicamente la propria volontà. Poi, sento che occorre aprire il dialogo sulle riforme costituzionali e mi sento di affermare che, se non ci si esercita alla dialettica, ma alla dialettica concreta, ed al confronto, non è possibile, poi, coinvolgere il Parlamento nella sua interezza su leggi di vasta portata. Con che spirito si partecipa ai lavori dell'Assemblea se poi si procede in modo notarile? Tra le liberalizzazioni di questi giorni si dovrebbe pensare anche a liberalizzare i lavori parlamentari.Pag. 143
Avanti di questo passo, si arriverà ad accentuare la disaffezione verso le istituzioni, ed è perfettamente inutile che nel dibattito referendario sulla Costituzione la sinistra si sia spesa per demonizzare l'impostazione del premierato forte parlando di equilibri e, persino, di rischi democratici. Non stiamo, forse, assistendo ad una sorta di dittatura del premier, che non si limita ad imporre tempi e ritmi all'azione di Governo, ma proietta sul Parlamento, mortificandolo, un carattere quasi dispotico che non è possibile tollerare e che dimostra come di ben altro abbiano bisogno le istituzioni e lo stesso paese?
Il «no» referendario alla riforma costituzionale è venuto anche per mancanza di informazione su aspetti che il cittadino comune avrebbe colto e saputo tradurre, probabilmente, in un'altra espressione di voto. Se ci fosse stato un quesito referendario del tipo «volete ridurre del 30 per cento il numero dei ministri, viceministri e sottosegretari?», sono sicuro che il voto di un lombardo e di un veneto sarebbero stati uguali a quelli di un siciliano, di un calabrese o di un laziale, per completare il giro d'Italia.
Siamo davanti ad una struttura governativa con 103-105 esponenti dell'esecutivo, record storico stabilito proprio quando il centrosinistra ha speso ricette ed etica a buon mercato per dire che bisognava moralizzare la vita pubblica a partire dalle auto blu. Certo, è difficile tagliare le gomme al parco macchine se poi, dai ministri in giù, si è dato vita ad un corteo infinito di cariche che a loro volta moltiplicano le sottocariche e gli incarichi.
L'osservazione, a mio avviso, più pertinente deriva dalla considerazione che questa mappa del potere non è frutto di un'analisi e di un censimento dettagliati dalle esigenze di distribuire deleghe e competenze in modo molto specifico e settoriale, ma piuttosto corrisponde alla necessità di accontentare tutte le bandiere e le bandierine del variopinto carosello dell'Unione. L'obiezione, quindi, è di fondo e non può essere certo liquidata con una risposta generica ed arrogante, quando peraltro si sa bene che un'eccessiva parcellizzazione delle competenze genera conflitti, come è già avvenuto per le competenze in campo economico legate al sud.
È difficile pensare ed immaginare che vi sia una volontà esplicita di intervenire sul bicameralismo perfetto, anche attraverso la riduzione dei parlamentari, se poi si procede contestualmente al varo di una nave carica di graduati.
Inoltre, una distribuzione così fitta di potere produce a sua immagine e somiglianza una rete collaterale e discendente di posti e di incarichi correlati ai singoli ministeri e a competenze specifiche che richiedono il supporto di personale specializzato e non, che è fonte di ulteriore spesa; alla faccia dei proclami sul suo contenimento!
In conclusione, è fin troppo ovvio che si procede nella direzione sbagliata e che il Governo questo primato se lo poteva proprio risparmiare; infatti, sarebbe stato un segnale per il paese ridurre invece che aumentare, anche in coerenza con la prospettiva di uno Stato più leggero e più snello. Così davvero non ci siamo (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevole relatore, credo che, a questo punto, mi corra l'obbligo di rivolgere un ringraziamento ai pochi colleghi ancora presenti e cercherò in qualche modo di ricambiare la loro cortesia provando ad esprimere il mio pensiero nel più breve tempo possibile.
Il cosiddetto «spacchettamento» dei ministeri proposto agli esordi di questa legislatura appare emblematico, a mio giudizio, delle doppiezze e delle incoerenze di una coalizione fortemente divisa sui contenuti dell'attività legislativa e di governo e pervasa da reciproche diffidenze.
L'antiberlusconismo e il potere tengono unita questa alleanza di governo, questo più ancora che la cultura, le idee e unPag. 144progetto comune di società. L'esigenza di un'ampia condivisione del potere ha reso necessaria una nuova frammentazione ministeriale, che ha vanificato gli effetti di razionalizzazione, risparmio e semplificazione della scelta, ben diversa, adottata dalla precedente maggioranza agli inizi della scorsa legislatura, di unificare alcuni ministeri rispetto allo schema tradizionale, modernizzando e snellendo la macchina amministrativa.
Ricordo, in particolare, nel 2001, l'unificazione tra l'allora Ministero dell'economia - che già era scaturito dall'unificazione tra Bilancio e Tesoro - e quello delle finanze, tra i trasporti e i Lavori pubblici, tra l'Industria e il Commercio estero e tra il Lavoro e la Solidarietà sociale. Già precedentemente erano state unificate l'università e la pubblica istruzione, che erano state separate secondo la tradizione consolidata precedentemente al 1992.
Con il provvedimento in esame, questo sforzo innovatore posto in essere dal Governo di centrodestra è stato archiviato e si è registrata una regressione. Infatti, vi sono nuovamente il Ministero dei trasporti e il Ministero dei lavori pubblici, il lavoro e la previdenza sociale da una parte e la solidarietà sociale dall'altra l'università e la pubblica istruzione, lo sport scorporato dalla cultura, il commercio estero scorporato dalle attività produttive.
Tutto ciò è stato determinato dall'esigenza di accontentare tutte le aspirazioni e le richieste di distribuire con il bilancino le varie posizioni, per assicurare integrità alla coalizione; è il frutto di rissosità, potere di interdizione dei piccoli partiti, scarsa fedeltà alle promesse, spesso formulate in modo demagogico e moralistico prima delle elezioni, che a mio giudizio sottendono, invece, una certa spregiudicatezza nella gestione del potere esecutivo, una volta conquistato.
Il decreto-legge in esame eleva il numero dei ministeri da 14 a 18, conferisce numerosissimi incarichi ministeriali, nomina diversi viceministri e sottosegretari, fino ad arrivare al risultato di 102 incarichi. Alcuni colleghi ed alcuni osservatori hanno rilevato che si tratta di un record nella nostra, pur complessa e variegata, storia parlamentare. È il naturale corollario di una coalizione rissosa, che può essere messa a tacere solo elargendo posti e prebende. Due esponenti della stessa maggioranza, anzi oggi esponenti del Governo, i ministri Parisi e Melandri, assicurarono - a suo tempo - che mai e poi mai il Governo Prodi sarebbe stato nominato tenendo conto del famoso manuale Cencelli. Scrisse, poi, nel giugno scorso, Scalfari, altro «nume tutelare» di questa maggioranza e del centrosinistra italiano, e non da oggi: «(...) il Governo Prodi sta dando, almeno per ora, un'immagine di sé scomposta, sciancata, mediocre. Analoghe sensazioni suscita la maggioranza parlamentare che dovrebbe sostenerlo (...)» e, di seguito, formulando altri giudizi non particolarmente lusinghieri ed altri auspici negativi che intendeva, naturalmente, scongiurare.
A pagina 27 del programma dell'Ulivo, leggiamo che la concezione che il centrodestra avrebbe avuto della pubblica amministrazione avrebbe soltanto aumentato i costi e le spese dell'amministrazione, operando una politica di appropriazione, un aumento delle nomine politiche ed una eliminazione delle regole. Cosa dovremmo dire, allora, se considerassimo il comportamento dell'attuale maggioranza? Dov'è la coerenza con tali posizioni critiche di allora - a mio giudizio, esasperate - e con i programmi che prefiguravano un rinnovamento rispetto ai pretesi vizi della coalizione avversaria?
Ritengo che abbiate intrapreso la strada opposta a quella predicata e ciò credo sia l'ennesima contraddizione che oggi si evidenzia.
Credo che su tutto ciò l'elettorato, a suo tempo, saprà giudicare [Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e della Lega Nord Padania].
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Aprea. Ne ha facoltà.
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VALENTINA APREA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, le scelte che questo Governo ha compiuto, già soltanto con questi primi atti, parlano di poca serietà, se non di irresponsabilità nei confronti delle istituzioni, ma anche e soprattutto della spesa pubblica, quella spesa che il Presidente Prodi ha dichiarato, nel suo discorso di insediamento, di voler risanare.
Voglio ora puntare l'indice sullo «spacchettamento», brutto termine, ma ci avete abituato ad usare questa espressione. Addirittura, abbiamo costruito un dibattito parlamentare su questo «spacchettamento» dei ministeri. Mi concentrerò sullo «spacchettamento» del MIUR, che non esisterà più; mi riferisco al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Credo che il Governo Prodi non abbia considerato abbastanza che l'accorpamento dell'istruzione, università e ricerca - al pari di molti altri che sono stati, di fatto, arbitrariamente «cancellati» da questo Governo - fu voluto da Bassanini, ministro nel primo Governo Prodi, per rendere più efficace ed efficiente, ma anche meno costosa, l'incidenza dei dicasteri sul bilancio dello Stato. Dunque, il decreto legislativo n. 300 del 1999 aveva un onesto obiettivo: avviare un processo di semplificazione, di modernizzazione e di decentramento della pubblica amministrazione, snellendo le burocrazie ed ottimizzando le sinergie dei macrosettori.
È evidente che quegli obiettivi non rientrano più nel programma dei Governi di centrosinistra e che, anzi, a distanza di pochi anni, lo stesso centrosinistra di governo rinnega quelle scelte, riducendo Bassanini e le sue leggi ad un puro incidente nella storia delle istituzioni repubblicane. Ma non vi è soltanto poca serietà in questa scelta. Vi sono, soprattutto, tanta irresponsabilità e scarsa lungimiranza.
Inoltre, vorrei ricordare all'attuale esecutivo che, nella scorsa legislatura, quando il Governo Berlusconi propose lo sdoppiamento di un ministero, la sinistra insorse contro la lesione delle prerogative del Parlamento. Essa riteneva che il provvedimento dovesse essere oggetto di una discussione nelle aule parlamentari e dovesse essere condiviso dal Parlamento. Insomma, non poteva trattarsi di una scelta unilaterale del Governo, proprio perché interessava l'ordinamento amministrativo dello Stato. Oggi, invece, tutto ciò è evidentemente legittimo soltanto perché a proporlo è la sinistra, è un Governo di centrosinistra!
Ma lo sa, il Presidente Prodi, lo sanno gli onorevoli ministri - in questo caso, Fioroni e Mussi, rispettivamente, ministri dell'istruzione e dell'università e della ricerca - che il processo di accorpamento previsto dal decreto legislativo n. 300 del 1999 ha richiesto ben due anni e mezzo? Lo sanno che l'emanazione del regolamento istitutivo del sopprimendo MIUR si è rivelata lunga e laboriosa, con diversi interventi della Corte dei conti finalizzati ad adeguare alle effettive esigenze dell'azione amministrativa la norma a regime del decreto legislativo n. 300 del 1999?
Peraltro, all'attuazione del regolamento istitutivo del MIUR è seguita l'approvazione di numerosi altri decreti, che hanno consentito l'effettiva funzionalità del nuovo ministero, ma che hanno richiesto un ulteriore anno di provvisorietà nell'organizzazione della struttura. Infatti, fino a luglio del 2004, al MIUR erano stati nominati soltanto i capi dei dipartimenti e i direttori generali (cosa che rischiate di fare anche voi). Nella sostanza, però, mancavano gli uffici che dovevano operare; e poiché sarebbe stato impensabile interrompere l'attività del ministero, si è tentato di affrontare i diversi problemi, compresi quelli logistici, con la buona volontà e con la collaborazione di tutti.
L'operazione di accorpamento si è protratta fino al febbraio del 2005. Da allora ad oggi, si è provveduto ad unificare i fascicoli personali, gli stati matricolari dei dipendenti, le procedure relative alle strutture informatiche, sia sotto il profilo della rilevazione delle presenze sia sotto quello degli accessi.
Riguardo al bilancio, le questioni sono state ancora più complesse. Infatti, benché l'unificazione del bilancio fosse stata prePag. 146disposta dal Ministero dell'economia e delle finanze a partire dal 2005 - solo dal 2005 -, il medesimo ministero, per la contabilità, ha consentito la gestione unificata sul proprio web solo dal 5 maggio 2006.
Insomma, quello in corso è il primo anno in cui si può affermare che l'unificazione delle due ex amministrazioni è pienamente operante.
Quindi, appena arrivati all'unificazione, si riporta l'orologio indietro di dieci anni! Nel momento in cui si procede ad una nuova separazione, appare evidente che, a prescindere dall'atto legislativo che stabilisce tale evento, dovranno essere predisposti numerosissimi atti amministrativi - dall'organizzazione degli uffici dell'amministrazione centrale agli uffici scolastici regionali - che paralizzeranno l'azione amministrativa per parecchi anni.
Dovranno essere adottati, quindi, vari decreti per definire le competenze del ministero e l'individuazione degli uffici dipartimentali e tutto un lungo elenco di decreti ministeriali, fino ad arrivare ai diciotto decreti con i quali viene definita l'organizzazione degli uffici scolastici regionali del ministero. Ancora, a tali provvedimenti organizzativi dovranno fare seguito, con date diverse a seconda della norma di riferimento, tutta una serie d'adempimenti di rilevanza strategica che, a questo punto, non potranno che essere determinati a fine legislatura.
Come appare chiaro, non basta un tratto di penna su provvedimenti ed operazioni precedenti, ma occorre faticosamente costruire un altro assetto. Vi serviranno anni! Avevamo proprio bisogno di vanificare il precedente processo di unificazione, varato peraltro da un vostro precedente Governo? Il paese certamente no! La maggioranza, questa maggioranza, evidentemente, si! Il Presidente del Consiglio ha sacrificato sull'altare della lottizzazione partitica della sua maggioranza una nuova ed efficace organizzazione di un ministero, il MIUR, che, guidato per cinque anni da un unico ministro, che ormai passa alla storia, Letizia Moratti, e da viceministri e sottosegretari con deleghe piene, ha consentito di valorizzare e rilanciare un'unica filiera della conoscenza al servizio della persona, delle famiglie e della società.
Al MIUR, nella scorsa legislatura, abbiamo ottimizzato l'apporto delle due strutture ministeriali, l'istruzione e l'università, per dar vita ad una scuola, una università ed una ricerca che fossero in grado di trasmettere, generare e consolidare, in piena sinergia tra loro, la conoscenza in tutte le fasi della vita ed in tutti i luoghi deputati all'apprendimento come risorsa strategica per lo sviluppo e la questione sociale, in coerenza con gli obiettivi dell'Agenda di Lisbona. Persino la CGIL-scuola da qualche anno ha unificato i tre settori e dato vita al sindacato dei lavoratori della conoscenza, includendo in una stessa categoria i docenti della scuola, i professori universitari ed i ricercatori.
In realtà, la scelta operata dal Governo, oltre a determinare problemi che saranno di non facile soluzione sul piano amministrativo e contabile, come ho cercato di chiarire e come presto verificheranno i ministri Fioroni e Mussi, delude soprattutto dal punto di vista strategico e riformista. Non vi è dubbio, infatti, che scindendo le competenze del MIUR in due ministeri si perderà la visione d'insieme che rimanda alla più ampia società della conoscenza, si annacquerà la spinta riformistica e sarà più difficile per gli stessi ministri resistere alle pressioni corporative e alle logiche di basso profilo. Altro che decreto Bersani per la liberalizzazione! Altro che stare dalla parte dei cittadini!
È doveroso, inoltre, fare un riferimento alla divisione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che, nelle evidenti interrelazioni con il MIUR sull'integrazione delle politiche dell'istruzione, della formazione e del lavoro, ha portato a delineare anche una proficua collaborazione istituzionale con la Conferenza Stato-regioni. Immagino, ora, le difficoltà nei rapporti con le regioni, che per la stragrande maggioranza hanno accorpato queste deleghe in unico assessorato. In più, poiché i problemi della famiglia e delle politiche sociali hanno un riflesso importante nelle politiche formative, oltre ai duePag. 147ministeri, dovranno discutere tra loro e decidere dell'education cinque ministeri e cinque apparati amministrativi statali: altro che semplificazione della pubblica amministrazione ed efficacia ed efficienza delle istituzioni! In più, poiché i problemi della famiglia e delle politiche sociali hanno anche un evidente riferimento ai giovani, lo stesso Ministero delle politiche giovanili dovrà occuparsi della materia.
Con questo modo di operare ci sembra più nitida l'immagine della conservazione che connoterà il vostro Governo. Queste scelte ci allontanano dall'Europa, dove abbiamo deciso che bisogna puntare sulla formazione lungo tutto l'arco della vita. Questa discontinuità non solo complica l'organizzazione, ma rende urgente questo obiettivo, perché i singoli ministeri tenderanno a favorire politiche più consone ai propri fini o, peggio, favoriranno duplicazioni di interventi.
Due considerazioni finali. La prima riguarda il nuovo nome: Ministero dell'istruzione. Continuiamo a leggere sui giornali dichiarazioni di vari ministri, tra cui anche il ministro Fioroni, che parlano di Ministero della pubblica istruzione. Anche questi riferimenti errati da parte degli stessi ministri sono la spia più evidente del fatto che questo Governo guarda indietro piuttosto che in avanti. Avete in testa modelli vecchi e superati! Avete una visione nostalgica dello Stato: non potete, quindi, guidare il paese verso il futuro. Ma, soprattutto, e questa rappresenta veramente una «chicca», non si capisce come mai questi ministeri, sdoppiati e scorporati, abbiamo così numerosi sottosegretari. Addirittura, il ministro dell'istruzione, che ha già delle deleghe abbastanza limitate rispetto al suo predecessore, ha un viceministro con deleghe amplissime in materia di istruzione. Questa è veramente la prova provata che le cariche e gli incarichi sono stati assegnati soltanto per rispondere a logiche di partito, a quel pluralismo ideologico di cui si è parlato continuamente nel dibattito e che noi denunciamo con forza.
Non ci piace, non ci convince, non porterà bene questo sdoppiamento dei ministeri. Auguri (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.
DAVIDE CAPARINI. «Le poltrone aumentano, ma cala il consenso»: così titolava un editoriale di Eugenio Scalfari. Diciamo che potrebbe essere per noi un auspicio, ma per voi rischia di diventare un epitaffio. Un Governo non ancora investito della fiducia è riuscito a produrre questo decreto-legge, in quanto era composto da ministri e da sottosegretari che ancora non avevano un Ministero o un posto da sottosegretario da occupare, una condizione piuttosto singolare, che nasconde di fatto una bramosia di potere. Abbiamo da poco discusso e approfondito le motivazioni di urgenza di questo decreto. Ne abbiamo contestato l'urgenza e, per quanto riguarda l'articolo 81 della Costituzione, siamo convinti che questo decreto non possa essere a costo zero, come la relazione tecnica alla nostra attenzione, in modo del tutto inverosimile, sottolinea.
Appare in effetti irrealizzabile l'ipotesi per cui, con un proliferare di posti da ministri e da sottosegretari, ci possa essere una invarianza di spesa: di qui la nostra contestazione per quel che riguarda l'insufficiente copertura. Abbiamo anche contestato l'evidente violazione dell'articolo 77 della Costituzione e abbiamo contestato nel merito il fatto che vi sia una frammentazione delle competenze dei ministeri. Qui si va contro quel principio di unitarietà e di omogeneità delle funzioni sancito dal decreto legislativo n. 300 del 1999, in ossequio proprio alla prima legge Bassanini. Ero membro di questo Parlamento già allora e devo dire che, dai banchi della maggioranza, fummo allora oggetto di lezioni da parte di coloro che ci spiegavano quanto questa modifica e quanto l'unitarietà delle strutture ministeriali avrebbero comportato un contenimento della spesa.Pag. 148
Oggi, a distanza di quasi dieci anni, smentite voi stessi. Queste pasticciate e disorganiche norme contenute nel disegno di legge sono di fatto una controriforma della legge Bassanini. Delle due l'una: o sbagliavate allora o state sbagliando adesso. La riforma sbandierata per anni di fatto viene pesantemente smentita.
Al di là poi della frammentazione delle competenze dei vari ministeri e del buon andamento della pubblica amministrazione - anche questo è stato argomento della discussione di poco fa e del voto, in riferimento alla costituzionalità legata all'articolo 97 della Costituzione - ricordo anche come nel 2001, come maggioranza, subimmo un vero e proprio linciaggio mediatico allorquando ci permettemmo di scorporare il Ministero delle comunicazioni da quello dei lavori pubblici e dei trasporti, o quello della sanità dal Ministero del lavoro e del welfare, pervenendo comunque ad una serie di accorpamenti paralleli.
Allora fummo esposti al pubblico ludibrio. Oggi, da quegli stessi banchi, abbiamo un comportamento completamente diverso, che smentisce la stessa modifica del Titolo V della Costituzione, votata con la legge costituzionale n. 3 del 2001.
In essa vengono riassegnate con il decreto-legge in esame alcune funzioni allo Stato centrale. Siamo di fronte ad un raddoppio dei Ministeri, alla volontà di creare nuovi posti di lavoro, una sorta di eterogenesi dei fini: laddove vi era un Presidente del Consiglio che prometteva più lavoro per tutti, qui invece ve n'è un altro che dà più posti di lavoro ai ministri!
Credo che il paese non avrebbe avuto bisogno di questo e sono sicuro che la profezia di Scalfari, e cioè che le poltrone aumentano ma il consenso diminuisce, sia interprete di un sentimento comune e anche di un disagio che molti elettori di centrosinistra hanno provato e stanno provando, perché i costi della politica con il vostro arrivo stranamente stanno aumentando. La cosa non ci sorprende: sorprende invece i vostri elettori, che probabilmente non vi conoscevano come vi conosciamo noi.
L'abbiamo visto fin dai primi giorni: vi siete presentati con un'idea di gruppo unico alla Camera dei deputati, Margherita-DS; poi vi siete accorti che questo gruppo unico sarebbe stato, sì, dal punto di vista mediatico e di facciata, una buona cosa, ma da quello degli introiti del gruppo e dei contributi non poi così vantaggioso, e quindi vi siete affannati a chiedere agli Uffici di Presidenza di rivedere il metodo di erogazione dei contributi, proprio per compensare le perdite dall'unione dei vostri gruppi.
Dopodiché, siamo di fronte ad un Governo che ha chiesto, con motivazioni politiche non istituzionali, di esercitare una sorta di incompatibilità tra le cariche di governo e quelle parlamentari. Ciò, di fatto, ha comportato un evidente aumento dei costi, laddove avete moltiplicato le poltrone: laddove ve n'era una sono diventate automaticamente due e questo a detrimento della volontà popolare, che ha nell'espressione del voto e nell'elezione dei candidati al Parlamento la sua massima manifestazione, poi disattesa con questo ricatto fatto proprio da Prodi.
Del resto, così è stato per i costi legati alla moltiplicazione anche nelle istituzioni locali. È un vostro esponente, Salvi, che denuncia il fatto che nelle giunte di sinistra, e questo è un problema che tocca purtroppo tutte le maggioranze, vi sia una proliferazione di consulenze: i dati sono veramente preoccupanti.
PRESIDENTE. Onorevole Caparini...
DAVIDE CAPARINI. Mi avvio a concludere, Presidente. L'esercito dei politici di cui faccio parte, ma di cui vorrei sinceramente con tutto il cuore ridurre le pur cospicue fila, è veramente numeroso: vi sono 149.593 persone che vivono di politica, perché sono elette, e costano al paese 1,8 miliardi di euro l'anno. Il nostro paese spende in consulenze cifre abbondantemente al di sopra della media anche di altri paesi delle democrazie moderne. ViPag. 149sono dati, che poi approfondiremo nel corso della discussione, che indicano un punto di non ritorno ormai troppo vicino. Quindi, l'appello che faccio, a nome di tutti i cittadini, è quello di invertire questa tendenza. Noi abbiamo provato a farlo e l'abbiamo proposto con il voto di pochi giorni fa, quello referendario, che diminuiva il numero dei parlamentari e intendeva in questo modo dare inizio ad una tendenza che siamo convinti essere fondamentale per il risanamento, non solo per le casse dello Stato. Questo è un obiettivo, ma un obiettivo minimo. Occorre soprattutto un risanamento morale ed etico di una politica che ormai pensa troppo a se stessa e troppo poco alla sua funzione fondamentale, che è quella di servizio ai cittadini (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Il seguito della discussione sulle linee generali è rinviato alla seduta di domani.