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Comunicazioni del ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150 (ore 10,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione sulle comunicazioni del ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto del 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta di ieri.
(Intervento del ministro della giustizia)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro della giustizia, senatore Clemente Mastella.
CLEMENTE MASTELLA, Ministro della giustizia. Grazie. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel dare conto al Parlamento, massima espressione della sovranità popolare, delle vicende che hanno riguardato l'amministrazione della giustizia nell'anno appena concluso e prima di delineare i tratti principali dei progetti di riforma che mi accingo a presentare in un prossimo Consiglio dei ministri, sento forte l'esigenza di richiamare e fare mio il monito rivolto dal Capo dello Stato nel suo messaggio di fine anno. Un confronto politico, caratterizzato da toni suscettibili che si sovrappongono al merito dei problemi e delle soluzioni che abbiamo il dovere di progettare ed adottare nell'interesse degli italiani, rischia di produrre una crisi irreversibile nel rapporto tra cittadini e istituzioni.
Tale monito, che condivido totalmente, bene si presta, in verità, all'applicazione nel settore della giustizia. Non è, infatti, soltanto la politica a ricevere un giudizio negativo da parte dei nostri concittadini. Il sistema giudiziario è tra quelli verso i quali il livello di fiducia e di affidamento delle persone è sceso, negli ultimi anni, in modo più significativo e continua a produrre nell'opinione pubblica segni di insofferenza e di incomprensione. Ciò che mi preoccupa di più è proprio l'insoddisfazione che i cittadini traggono dal rapporto con il sistema giustizia, una sensazione diffusa, anche se poco misurabile, che purtuttavia è sotto gli occhi di ciascuno di noi. Secondo alcune ricerche, i tre quarti delle persone che ogni giorno varcano la soglia degli uffici giudiziari ne escono con sentimenti di impotenza, se non di vera e propria rabbia, capaci di favorire la progressiva presa di distanza dei cittadini non solo dalla giustizia, ma, più in generale, dallo Stato e dalle istituzioni repubblicane. Certo, questa crisi di Pag. 3fiducia tra il cittadino e la giustizia è stato talvolta accentuata proprio dall'insufficiente qualità del confronto politico. Troppo spesso il recente passato è stato caratterizzato da toni gridati che anche in materia di giustizia hanno reso assai difficile il percorso virtuoso indicatoci, con tanta autorevolezza, dal Capo dello Stato.
Per quanto mi riguarda, la centralità del sistema giustizia, vero pilastro dell'ordinamento democratico per la difesa dei diritti individuali e la sicurezza dei cittadini, la sua straordinaria importanza per la competitività economica del paese, la sua rilevanza strategica per dare nuovo slancio alla costruzione di un'Europa vicina ai bisogni di ogni cittadino dell'Unione, costituiscono altrettanti elementi che mi fanno sentire vincolato ad un metodo di confronto pacato ed aperto, attento esclusivamente al merito dei problemi, delle proposte e delle possibili, eventuali, soluzioni.
Tengo a ribadirlo: la giustizia è tema di tale importanza, snodo istituzionale di tale delicatezza, che la sua riduzione a semplice occasione per marcare una discontinuità con il recente passato contrasta profondamente con la mia cultura, il mio modo di fare politica e di concepire la vita delle istituzioni. Ritengo auspicabile, quindi, che il percorso del disegno di legge che il Governo si accinge a presentare possa registrare non solo il positivo concorso di tutto il Parlamento, nella ricerca di riforme largamente condivise, ma anche l'apertura al contributo di idee e proposte da parte delle istituzioni e di tutti gli attori del sistema giustizia.
Voglio anche dire con forza, poi, che la «stella polare» della mia azione di governo non sono associazioni o gruppi professionali, pur autorevoli ed influenti, bensì i cittadini. Questo è il mio parametro di riferimento: le persone in carne ed ossa, con il loro quotidiano e pressante bisogno di una giustizia rinnovata ed efficace, autonoma ed indipendente nell'esercizio di tutte le sue funzioni, credibile, perché responsabile della qualità del servizio offerto al paese. Verso di loro, verso i cittadini, sento il dovere di un'iniziativa riformatrice che intendo sostenere con coerenza dinanzi al Parlamento, in adempimento dei compiti affidati dall'articolo 110 della Costituzione e nel pieno rispetto del programma con il quale ci siamo presentati, come maggioranza, di fronte agli elettori.
Sono convinto che l'insoddisfazione montante tra gli utenti e gli stessi protagonisti del mondo giudiziario si può arginare soltanto con progetti complessivi e coerenti che incidano sugli aspetti problematici del sistema giustizia che pesano di più sulla collettività, in primo luogo i tempi, di cui la gente non comprende la continua dilatazione, e che incidono negativamente su utilità e pertinenza di ogni decisione giudiziaria, anche di quella più giusta. Una sentenza che arriva dopo anni ed anni, anche quando è emessa in modo giusto, finisce per svilire il senso della giustizia, perché rimane fondamentalmente ingiusta. Poi, vi sono i costi, non solo legati all'esborso di denaro necessario per l'accesso alla giustizia, ma anche, e forse soprattutto, al negativo impatto su individui e società che i ritardi e la denegata giustizia producono. Infine, vi è la stessa certezza del diritto, sovente messa in discussione, anche di recente, dall'intreccio tra mediatizzazione troppo spinta, negli ultimi tempi, e taluni comportamenti dei singoli attori di questo mondo. Fronteggiare tale crisi di affidabilità della giustizia non è solo una priorità per il Governo - del resto enunziata, anche di recente, dal Presidente del Consiglio - ma un'urgenza ed una sfida per tutta la classe dirigente del paese, una vera e propria questione nazionale.
Nell'esporre sinteticamente quanto nel corso del 2006 si è verificato nell'amministrazione della giustizia, limiterò il mio discorso ad alcuni snodi ed elementi essenziali rinviando per il resto a più completo e complesso documento, che sarà poi proposto alla vostra attenzione, corredato di dati statistici di maggior dettaglio. Tali dati non sono certo ancora sufficienti, nonostante i ripetuti annunci del precedente Governo, a rispondere all'esigenza di disporre di strumenti di misura e di conoscenza Pag. 4idonei a consentire una valutazione esatta delle performance complessive e di settore del sistema giudiziario. Dotare l'amministrazione di affidabili strumenti di rilevazione statistica è un campo nel quale impegnare con decisione in futuro - io credo - l'azione dell'intero Governo nella sua collegialità.
È noto che il Parlamento ha provveduto ad adottare, su mia proposta, un provvedimento di parziale sospensione della riforma dell'ordinamento giudiziario, sostenuta dal Governo precedente. Sono noti, altresì, i conflitti e le tensioni laceranti che quella riforma aveva prodotto nel tessuto istituzionale, mettendo a rischio i principi fondamentali di autonomia e di indipendenza della magistratura. Il 2006 è, dunque, profondamente segnato da un radicale cambiamento di rotta (ha riportato, probabilmente, un po' di serietà) nel progetto complessivo di giustizia affermato dal nostro Governo.
L'intervento del Parlamento ha rappresentato, a mio avviso, un atto di grande responsabilità che se, da un lato, ha realizzato un utile sintesi, seppur non perfetta, sostenuta da un largo consenso politico (più al Senato di quanto si è verificato alla Camera), dall'altro rende ora necessaria un'ulteriore, urgente iniziativa legislativa, di cui darò meglio conto nella seconda parte di questo mio intervento. Del metodo auspicabile in questo prossimo percorso e delle mie convinzioni circa i veri aventi diritto di un servizio giustizia efficiente e moderno ho già detto, e sono i cittadini, le persone: tento di delineare un umanesimo giudiziario; questo è il mio tentativo, spero d'intesa con la grande volontà del Parlamento.
L'anno appena trascorso ha segnato una svolta nelle politiche penitenziarie a seguito dell'approvazione del provvedimento d'indulto, che s'innesta in un contesto di iniziative finalizzate alla umanizzazione della pena. Il mantenimento stabile del livello della popolazione detenuta in circa 39 mila unità, a mesi ormai dal prodursi degli effetti dell'indulto, il rilancio delle aree educative con l'introduzione di un nuovo modello di trattamento, le iniziative in favore della detenzione sociale - dalle misure per le detenute madri, all'opera di recupero di tossicodipendenti -, sono state tutte attività che hanno caratterizzato positivamente l'anno appena trascorso ristabilendo condizioni di legalità nella fase di esecuzione della pena.
L'anno 2006 ha visto, inoltre, sensibili iniziative nel settore del lavoro e della sanità in ambito penitenziario. Si sono consolidate, infatti, le attività ammesse ai benefici della legge Smuraglia, che offre sgravi fiscali alle aziende che offrono lavoro ai detenuti, e si registrano significative esperienze di formazione lavorativa. Pur in un contesto critico di finanza pubblica, è stata poi introdotta la cartella clinica informatizzata che consentirà in breve di conoscere in modo completo le esigenze sanitarie della popolazione detenuta, per una sempre migliore razionalizzazione degli interventi.
Accanto a queste iniziative, va pure segnalato il piano di interventi per la ristrutturazione e per l'ampliamento di alcuni importanti strutture penitenziarie, che consentirà l'incremento della capienza detentiva ed il miglioramento delle condizioni di vita all'interno delle carceri (si tratta, come ho già avuto modo di dire di fronte alle Commissioni giustizia di Camera e Senato, prima di Natale, di circa millecinquecento unità).
Per quanto riguarda la giustizia civile, i dati statistici riferiti al 2005 e al dato tendenziale annuale rilevato a giugno 2006, indicano un costante aumento della domanda di giustizia. Le cause iscritte nel 2005 sono state 4.330.305, a fronte di 4.252.875 del 2004. La capacità di risposta del sistema a tale aumento reagisce secondo un tasso d'incremento pari al 2 per cento annuo, in linea con l'evoluzione registrata nel quinquennio. Il numero di procedimenti definiti è stato nel 2005 pari a 4.207.469, allorché nel 2004 era stato pari a 4.097.990. Le previsioni per il 2006, sulla base del dato del primo semestre 2006, non si discostano in modo significativo da quanto finora osservato, con un aumento di procedimenti esauriti presso le Pag. 5corti di appello e i giudici di pace ed un sostanziale equilibrio del dato per tribunali e tribunali per i minorenni.
Il dato da sottolineare per comprendere la ineludibilità e l'assoluta urgenza di scelte deflattive forti è che, nonostante il lieve andamento crescente, il numero dei procedimenti definiti ha continuato a mantenersi, come nel 2004, al di sotto del numero dei nuovi iscritti con conseguente crescita del contenzioso arretrato.
Il numero dei procedimenti pendenti sfiora dunque i cinque milioni, in area prossima al numero annuale sia dei procedimenti iscritti che di quelli definiti. Tali dati vanno interpretati in relazione a quelli relativi alla durata prevedibile dei processi iscritti nel 2005 (cosiddetti «tempi di giacenza»), nei quali si registra, con poche eccezioni, un peggioramento da un anno all'altro che può ormai essere definito cronico: trenta mesi di giacenza media attesa per un processo di cognizione ordinaria iscritto al 2005 in primo grado a Roma (ma addirittura 52 a Messina) o 44 paesi su scala nazionale per la definizione di un analogo processo in appello, rappresentano indici di durata indegni di un paese civile ai quali non possiamo rassegnarci.
Nonostante la quasi generalizzata diminuzione dei procedimenti iscritti al 2005 - mi riferisco alla giustizia penale - rispetto al 2004, tanto presso le procure della Repubblica (meno 2 per cento contro autori noti e 8 contro quelli ignoti) che presso i tribunali (meno 10 per cento per il rito collegiale e meno 1 per cento per quello monocratico) e giudici di pace (meno 9 per cento) con un unico dato in controtendenza relativo alle corti di appello (più 8,7 per cento), la giacenza media in giorni nelle varie tipologie d'ufficio non registra variazioni di rilievo (ad esempio da 619 a 622 giorni per il dibattimento collegiale in tribunale).
La variazione più alta attiene al dibattimento presso il giudice di pace, la cui giacenza passa da 225 giorni nel 2004 a 285 giorni nel 2005. Notevole poi la variabilità tra le giacenze dei singoli uffici, secondo territorialità e dimensione. Nel caso delle corti d'appello, ad esempio, si passa dai 230 ai 250 giorni per le corti di Palermo o di Potenza, ai 1200 giorni per quelle di Ancona o Venezia, a fronte di una media nazionale pari a 622 giorni.
Anche nel settore penale gli indici disponibili indicano dunque la necessità di interventi urgenti - e sottolineo «urgenti» - per garantire il principio costituzionale di ragionevole durata del processo.
Le iniziative del Governo per una giustizia più rapida al servizio del cittadino devono essere dunque messe all'opera con il sostegno di una grande volontà parlamentare.
Ho impegnato fin dal mio insediamento, per quanto mi riguarda, tutte le strutture ministeriali e apposite commissioni in vista di un profondo intervento riformatore sull'ordinamento giudiziario e sulle diverse discipline processuali e sostanziali. L'urgenza e la gravità dei problemi innanzi descritti necessita di risposte altrettanto urgenti e di un vero e proprio piano straordinario per la giustizia.
È necessario in primo luogo l'impegno del Governo sulla riforma dell'ordinamento giudiziario, consentita dalla legge di sospensione già approvata dalla maggioranza e con il consenso di una parte dell'opposizione.
Il relativo disegno di legge va rapidamente licenziato, cosa che mi appresto a fare in uno dei prossimi Consiglio dei ministri e va assunto l'impegno di tutte le forze politiche della maggioranza di consentirne l'approvazione, così come stabilito, entro il 31 luglio di quest'anno.
Vanno quindi adottate immediate riforme volte alla semplificazione ed all'accelerazione dei processi civili e penali, riforme che devono essere peraltro compatibili con una prospettiva di più lungo periodo, in quanto preparatorie dei successivi interventi di sistema che risulteranno dai lavori delle commissioni ministeriali da me costituite.
Alcuni di questi interventi non necessitano di impegni finanziari aggiuntivi. Altri interventi straordinari, invece, pure assolutamente necessari per recuperare Pag. 6con rapidità livelli accettabili di efficienza, dovranno essere accompagnati a regime dagli opportuni aggiustamenti di bilancio.
Gli interventi che propongo a questa Assemblea, e che proporrò al Parlamento in itinere, riguardano dunque i seguenti temi: ordinamento giudiziario, processo civile e processo penale, misure di organizzazione e razionalizzazione della macchina giudiziaria, correzione delle cosiddette «norme ad personam».
Il vecchio sistema ordinamentale e la stessa riforma immaginata con la legge del 2005 non tengono in conto la condivisa consapevolezza che il sistema di valutazioni dei magistrati non è più adeguato. La professionalità del magistrato non può più essere affermata solo per presunzioni e soltanto in occasione di passaggi di qualifica troppo distanziati nel tempo.
Allo stesso modo, il bizantino sistema di concorsi previsto dalla riforma sospesa dal Parlamento non valorizzava adeguatamente l'attività dei magistrati, basando la progressione su esami e titoli teorici e formali, spesso non conferenti con l'attività concreta svolta nella giurisdizione.
Al contrario, il mio tentativo di riforma - spero riforma - punta ad un magistrato più preparato, perché reclutato nel migliore dei modi, scelto negli incarichi successivi perché migliore per le funzioni da attribuire: in altri termini, la previsione di un continuo controllo sulla professionalità e la scelta per gli incarichi direttivi dell'uomo giusto - si dice così - al posto giusto. Pertanto, sarà previsto un sistema di selezione più efficace, in cui per accedere alla magistratura non basterà soltanto la laurea ed un concorso teorico. Si tratterà di un concorso di secondo grado e un corso-concorso, in cui, ad una prima selezione teorica, farà seguito un corso ed una selezione finale teorico-pratica. Saranno previsti momenti ravvicinati (ogni quattro anni) di valutazione dell'attività dei magistrati, anche con conseguenze di rilievo economico e di carriera nel caso di riscontrata inadeguatezza.
L'analisi delle capacità organizzative e dell'attitudine agli incarichi direttivi dovrà essere l'elemento costante della valutazione periodica, da riprendere ed approfondire in occasione della valutazione specifica richiesta, ad esempio, per il conferimento di un incarico direttivo. L'esercizio delle funzioni direttive, poi, sarà caratterizzato da un maggior controllo di professionalità e di gestione, con limiti di tempo ben definiti (quattro anni rinnovabili una sola volta). La carriera resta unica. Alla marcata separazione tra funzioni giudicanti e requirenti deve sostituirsi un sistema di distinzione delle funzioni, in cui il passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante e viceversa viene consentito, ma resta però subordinato alla frequenza di un corso di qualificazione professionale e ad un giudizio di idoneità specifica, con limiti di incompatibilità a livello distrettuale.
La Scuola della magistratura si occuperà soltanto della formazione iniziale e continua dei magistrati, senza alcuna invasione di campo e di competenze con il CSM, unico organo prescritto, per la verità, che potrà procedere alla valutazione dei magistrati. L'assetto ordinamentale che vi propongo, poi, per la maggiore attività valutativa richiesta, dovrà essere accompagnato da una riforma del CSM, in cui i componenti siano aumentati a trenta perché si ritiene che questo elemento possa determinare una maggiore e più efficace propulsione sia sul piano amministrativo che su quello di natura giurisprudenziale.
Per quanto riguarda il processo civile, ogni processo dovrà pervenire a decisione definitiva entro un termine prestabilito sulla base della giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo per i procedimenti dello stesso tipo. La durata di un processo ordinario di media complessità non dovrà oltrepassare i cinque anni nei tre gradi di giudizio (due anni in primo grado, due anni in appello e un anno in Cassazione). L'obiettivo è quello di ottimizzare e rendere prevedibile per le parti la durata del processo, in linea con le più recenti raccomandazioni del Consiglio d'Europa. Viene allo scopo istituita un'udienza di programmazione dei tempi del processo, già introdotta con successo, Pag. 7per la verità da non molto, nel sistema francese, nel corso della quale il giudice terzo stabilirà, nel contraddittorio delle parti, un vero e proprio calendario del procedimento. Saranno imposti termini vincolanti, garantiti da apposite preclusioni e non prorogabili se non in caso, come accade spesso, di gravi e giustificati motivi. Sono attribuiti al giudice, che riceverà la qualifica di responsabile del procedimento, poteri officiosi che consentano il governo del processo. In caso, quindi - l'obiezione al riguardo mi pare corretta, l'interrogativo che serpeggia può essere molto forte -, di mancato rispetto del termine massimo di ragionevole durata, il magistrato dovrà tempestivamente informare il dirigente del suo ufficio, che avrà l'obbligo di prendere ogni necessaria iniziativa, sia essa di carattere organizzativo o anche disciplinare.
La valorizzazione del ruolo conciliativo del giudice nella prima fase del procedimento, accompagnata dalla previsione di sanzioni processuali a carico della parte che abbia, senza giusti motivi, rifiutato la proposta conciliativa avanzata dalla controparte o proposta dal giudice, si muove pure nel senso della responsabilizzazione di tutte le parti di fronte alla domanda di giustizia.
Sarà inoltre alleggerito il peso delle questioni di competenza - che affliggono molto l'itinerario perverso nella lungaggine dei tempi -, prevedendo un procedimento semplificato in luogo del farraginoso meccanismo del regolamento di competenza. Se si considera che solo nel 2005 sono pervenute alla Corte di cassazione 2.243 ricorsi per regolamento di competenza su una sopravvenienza totale di 29.975 ricorsi, si possono facilmente cogliere i riflessi positivi che, anche sul versante più generale della deflazione dei carichi e dei flussi, tale misura potrebbe, a mio giudizio, garantire.
Sono poi previsti altri interventi sul processo, tesi a ridurne la durata. Tra questi, ricordo: lo snellimento del sistema delle notifiche; l'aumento della competenza per valore del giudice di pace; la semplificazione del regime delle nullità processuali, attraverso la riduzione delle relative ipotesi di rafforzamento degli strumenti di sanatoria degli atti processuali nulli; la modifica degli articoli 181 e 309 del Codice di rito, in modo che l'assenza delle parti in udienza determini immediatamente la cancellazione della causa dal ruolo al fine di ovviare ad una delle cause più frequenti di allungamento dei processi; l'introduzione del procedimento sommario non cautelare per consentire la definizione della controversia attraverso una procedura semplificata e veloce; la trasformazione dell'appello da gravame devolutivo, che consente una nuova delibazione sulla fondatezza della domanda, a mezzo di impugnazione per motivi chiusi e specifici, come peraltro da tempo auspicato dalla migliore dottrina. In tal modo, oggetto dell'appello diventerebbe la sentenza di primo grado, eventualmente viziata, come attualmente accade nel giudizio di Cassazione.
Si contempla inoltre la razionalizzazione dei meccanismi di liquidazione delle spese processuali, che attualmente è strettamente correlata - stranamente - alla durata, anche se eccessiva, del processo. Il meccanismo di liquidazione dovrebbe invece essere sganciato dalla durata del processo ed, anzi, dovrebbe prevedere incentivi in caso di minore durata, valorizzando così l'impegno e la qualità professionale degli avvocati.
Onorevoli colleghi, per la verità sono anche convinto della necessità di una sostanziale riduzione dei termini di sospensione del processo nel periodo feriale, che attualmente decorrono dal 1o agosto al 15 settembre e che con la riforma - che spero sia approvata - sarà ridotto di un terzo perché andranno dal 1 al 31 agosto. Quindi, non si arriverà più al 15 settembre, quando tradizionalmente riaprivano le strutture giudiziarie. Nella situazione di gravi crisi fin qui descritta, non è accettabile che i tribunali e le corti italiane non apprestino ordinario servizio di udienza per ben 45 giorni.
Come si è visto, gli interventi normativi (mi riferisco al processo penale) sono non solo necessari, ma indifferibili. Sarà mio Pag. 8impegno preciso, per quanto possibile, affrontare anche nel processo penale il problema dell'efficienza e della durata ragionevole del processo. Anche in questo caso, per cogliere una metafora sportiva particolarmente efficace, bisogna evitare che qualcuno «faccia melina» nel gioco processuale, sperando di lucrare una pronuncia sulla prescrizione. Allo stesso senso vanno responsabilizzati anche in questo ambito magistrati, avvocati, periti e personale amministrativo per garantire che il processo penale abbia un termine massimo ben preciso (cinque anni per tre gradi di giudizio) che non può essere superato, fatta eccezione per quei processi di particolare complessità legati all'accertamento di fatti connessi alla criminalità organizzata o al terrorismo.
Intendo inoltre proporre l'approvazione di un provvedimento legislativo, già elaborato dai miei uffici, che preveda anche nel settore penale la necessaria ed efficace programmazione dei tempi del processo. Tale intervento, nel rispetto degli standard imposti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, è volto, sotto un primo profilo, alla massima garanzia dei diritti delle parti. Voglio dire a chi potrebbe sollevare obiezioni al riguardo, che con la procedura più veloce non vi è mai l'eliminazione delle garanzie processuali. Anzi, queste ultime devono essere elevate per tutto quanto riguarda gli elementi di immunità e garanzia riferiti soprattutto alla parte di natura forense. Quindi, tale intervento legislativo si muove nel rispetto degli standard europei. Esso è volto, da un lato, a garanzia di tutte le parti e, dall'altro, ad assicurare la soddisfazione della legittima pretesa punitiva dello Stato, baluardo della libera convivenza civile.
In questa ottica intendo poi rivedere il regime delle nullità, che non incidano mai sulle garanzie di difesa. Vi è infatti la costante preoccupazione che tutto questo possa incidere sul regime delle garanzie rendendole meno forti, meno robuste e meno determinate. Quindi, si introdurranno preclusioni temporali più rigide nella loro proponibilità. Ciò eviterà di far regredire il processo ponendo nel nulla attività complesse e costose, innalzando al tempo stesso l'effettività del complessivo sistema delle garanzie. Analogamente, la disciplina delle questioni di competenza deve contemplare rigide preclusioni temporali e l'immediata ricorribilità in Cassazione, in modo da pervenire sul punto ad una rapida e definitiva decisione.
Intendo, poi, adempiere ad un preciso impegno di programma riguardante la profonda riforma della disciplina della prescrizione introdotta dalla legge cosiddetta ex Cirielli. Il cuore dell'intervento deve ancorare il termine finale della prescrizione ad un momento precedente alla formazione del giudicato, evitando la moria dei processi, scoraggiando impugnazioni meramente dilatorie, incentivando il ricorso ai riti alternativi.
Va precisato che tale intervento potrà riequilibrare il vigente sistema di inappellabilità della sentenza e di assoluzione da parte del pubblico ministero, pur attualmente sottoposto al vaglio di costituzionalità (mi riferisco alla legge Pecorella).
Per quanto riguarda i riti alternativi, all'effetto di spinta indotto dalla certezza della conclusione del processo in tempi ragionevoli, vanno affiancate preclusioni temporali al patteggiamento; un patteggiamento ammesso in grado di appello costituisce uno spreco di risorse non giustificato, sicché alla parziale rinuncia dello Stato, alla pena deve corrispondere, effettivamente, un recupero di risorse e di efficienza dell'intero sistema.
È allo studio, inoltre, la possibilità dell'allargamento del patteggiamento delle pene, pur non condizionalmente sospese, per le quali l'imputato abbia titolo per l'affidamento in prova al servizio sociale.
Tale strumento, del quale stiamo verificando il possibile impatto quantitativo, consentirebbe di unificare nella fase preliminare del processo, con evidenti effetti deflattivi, per la verità, le decisioni relative alla pena da irrogare e alla sua futura esecuzione.
L'intervento, che proporrò in una delle prossime riunioni del Consigli dei ministri, Pag. 9comporta altre importanti disposizioni, quali la riforma delle impugnazioni delle misure cautelari, l'archiviazione dei procedimenti per fatti di particolare tenuità.
È stato inoltre avviato un tavolo tecnico per la razionalizzazione, il coordinamento e la modernizzazione delle leggi in materia antimafia. Il gruppo di lavoro, coordinato dall'ufficio legislativo del Ministero della giustizia, si compone di magistrati, di altre articolazioni del dicastero, nonché di tecnici appartenenti al Ministero dell'interno, della difesa, dell'economia delle finanze, di magistrati della procura nazionale antimafia, di esperti del dipartimento della Polizia di Stato, della DIA e dei Comandi Generali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza.
Il programma prevede la redazione, in tempi brevi, di un disegno di legge delega che, oltre a coordinare la normativa esistente, vada ad incidere, con profonde innovazioni, in materia di: previsioni del codice penale e di procedura penale e delle connesse leggi speciali, in chiave di accresciuta efficienza della complessiva risposta repressiva al fenomeno mafioso (in accordo sinergico con le commissioni ministeriali già insediate e con la stessa Commissione parlamentare antimafia); misure di prevenzione, con particolare riguardo a quelle di carattere patrimoniale in modo da rendere più agevole e veloce il procedimento che porta alla confisca di beni delle cosche mafiose, da migliorare la gestione degli stessi beni durante il tempo del procedimento, da disciplinare, migliorandola, anche la fase della destinazione finale dei beni stessi; misure di contrasto alle infiltrazioni mafiose nei settori dell'economia, dei lavori pubblici e della pubblica amministrazione; miglioramento ed aggiornamento delle norme atte a prevenire il riciclaggio, con particolare riferimento al «tracciamento» dei movimenti dei flussi di denaro; accrescimento del sistema di prevenzione e di controllo in materia di gare pubbliche; rivisitazione normativa in materia di certificazione antimafia; predisposizione di regole costituzionalmente compatibili in materia di elettorato passivo.
Passo ora - e mi avvio più o meno rapidamente alla conclusione - a parlare della giustizia minorile.
Devo dire che la questione si è aperta. Qualcuno, in Francia, mutua esperienze diverse, ritenendo che la soglia di punibilità debba cadere; nel programma di uno dei candidati che si presenta per le prossime presidenziali francesi viene avviata una discussione, che considero più o meno dottrinaria, in ordine a questa soglia di punibilità. L'abbassamento della soglia di età della responsabilità penale (credo ne abbia fatto cenno anche il presidente Pisicchio, in un suo recente intervento), pur presente, come ipotesi, nel dibattito politico, non solo italiano, non mi sembra una ricetta efficace per combattere la delinquenza minorile: dico questo non per un aspetto vanaglorioso o surrogatorio di un dibattito estremamente sereno che pure è giusto che ci sia.
Nei paesi in cui questa soluzione è stata adottata, le evidenze statistiche non ne hanno dimostrato la pertinenza. La deterrenza che si immaginava, in realtà, non si è verificata. Per cui, anzi, si è elevato il tasso, purtroppo, di fenomeno criminale di devianza minorile.
Altri strumenti di carattere socio-educativo mi paiono più congrui rispetto ai bisogni di prevenzione speciale e culturalmente più vicini alla nostra tradizione giuridica e alle migliori prassi dei nostri uffici giudiziari, peraltro, anche in sintonia con sentenze, più meno recenti, o, comunque, nella traiettoria di sentenze emesse dalla Corte costituzionale.
In sintonia con i sistemi di giustizia minorile, con le politiche giovanile dei paesi dell'UE e coerentemente con gli orientamenti del Governo di razionalizzazione e di innovazione della pubblica amministrazione, sarà istituito un centro per la ricerca, la formazione e l'innovazione del dipartimento giustizia minorile. Il centro garantirà la razionalizzazione di risorse umane ed economiche, si occuperà di sviluppare la ricerca finalizzata ad azioni innovative ed interventi di qualità in area tecnico-operativa, sostenendo e rafforzando le competenze degli operatori Pag. 10che lavorano in ambito minorile e la cooperazione a livello nazionale, europeo ed internazionale.
Parallelamente, ritengo che vada diffusa la strategia della mediazione penale, fortemente sostenuta dalle istanze europee. Sarà costituita, poi, una commissione incaricata di proporre una complessiva riforma ordinamentale, nella prospettiva di riunire, in unico organo, tutte le competenze che attengono alla persona, al minore ed alla famiglia. Una diversa commissione studierà in particolare l'organizzazione del sistema penitenziario minorile.
Sono tutti interventi necessari al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Di particolare rilievo è la realizzazione dell'ufficio per il processo, inteso come struttura amministrativa di supporto all'attività giudiziaria. La piena attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata richiede una nuova metodologia di organizzazione del lavoro del personale dell'amministrazione giudiziaria, che già fa tanto in condizioni di grande difficoltà. Ieri, mi sono permesso di telefonare, avendo letto su un quotidiano a larga diffusione i ringraziamenti rivolti al direttore, anzi alla direttora di cancelleria del tribunale di Genova per il lavoro che svolge tra incredibili difficoltà. È un lavoro per il quale, come Stato e come Amministrazione della giustizia, dobbiamo essere grati a lei come a tanti altri che operano in condizioni non di pienezza di regime di un'organizzazione che riesce a far emergere da ognuno le proprie capacità e competenze.
Il nuovo modello organizzativo proposto è inteso come contenitore flessibile delle diverse professionalità dell'amministrazione, idoneo a rispondere alle esigenze di ammodernamento attraverso lo sviluppo della collaborazione e delle sinergie possibili, il migliore utilizzo delle risorse umane e degli strumenti analitici, statistici ed informatici, la disseminazione di sperimentazioni diffuse sul territorio, la circolazione delle migliori esperienze e pratiche professionali.
Il disegno di legge su «Costituzione dell'ufficio per il processo e riordino dell'inquadramento del personale dell'amministrazione giudiziaria», sviluppato in un'ottica di dialogo con gli operatori del settore e di concertazione con le organizzazioni sindacali dei lavoratori, si propone come intervento normativo quadro di definizione dei principi generali della riorganizzazione. L'ufficio per il processo garantisce il compimento, debitamente monitorato, delle attività correlate all'attività giurisdizionale, consentendo anche l'occasione, senza oneri per l'amministrazione, di svolgimento presso di esso di attività di tirocinio legale da parte di giovani che vi intendono partecipare.
L'istituzione dell'ufficio per il processo è accompagnata da uno specifico percorso di valorizzazione del personale, di ridefinizione delle mansioni, di ricollocazione nei rispettivi inquadramenti, anche in relazione al forte impulso che viene impresso al processo telematico.
A questo proposito, devo dire che siamo arrivati ad un punto cruciale che ci consentirà il passaggio, al tempo stesso, dal supporto cartaceo al collegamento in rete, per arrivare - appunto - al processo telematico.
L'informatizzazione degli uffici giudiziari può realizzare un salto di qualità mettendo a frutto la sperimentazione di progetti che sono stati condotti, sino ad oggi, dal Ministero negli uffici giudiziari. La nostra intenzione è di far divenire le esperienze virtuose, condotte in molti uffici da punte di eccellenza, in realtà di nicchia, a quotidianità di tutti gli uffici. La prima dimostrazione di ciò che è stata la partenza, nello scorso dicembre, del decreto ingiuntivo telematico con valore legale presso il tribunale di Milano. È nostra intenzione, adesso, che venga esteso in tutte le altre sedi. L'obiettivo è di realizzare, entro il 2010, decreti ingiuntivi, notifiche ai legali, processo previdenziale e processo esecutivo in via telematica e con valore legale in tutti gli uffici giudiziari.
La realtà più complessa ed articolata del processo penale non ha, per ora, consentito la diffusione così ampia del processo telematico, ma sono in corso sperimentazioni, in particolare per la dematerializzazione Pag. 11e facile consultazione degli atti depositati, ai sensi dell'articolo 415-bis del codice di procedura penale, per la realizzazione della banca dati delle misure cautelari, per il sistema informativo dell'esecuzione penale e per il sistema informativo delle misure di prevenzione personali e reali (beni confiscati alla criminalità organizzata).
La riforma organizzativa è, altresì, diretta alla semplificazione delle attività di pagamento di contributi, diritti e spese processuali ed alla razionalizzazione della gestione delle somme confluenti nei depositi giudiziari. Tutto ciò nel quadro di uno sforzo più generale che la mia amministrazione sta assicurando per il contenimento e la razionalizzazione delle spese.
In particolare, sul tema delle intercettazioni telefoniche appare ineludibile una concorde azione del Governo - e spero del Parlamento - per modificare sostanzialmente le prestazioni obbligatorie dei gestori di telefonia e correggere, anche per il passato, evidenti distorsioni nei meccanismi e risultati di spesa. La spesa per le intercettazioni telefoniche e ambientali, infatti, è elevatissima. Nel quadriennio 2003-2006, il costo globale è stato di circa 1 miliardo e 300 mila euro e, in tale somma, non è compreso il costo delle trascrizioni. Tali costi sono il risultato di una gestione non centralizzata e del tutto irrazionale, assolutamente non governata, nello scorso quinquennio, dall'amministrazione centrale. I contratti di nolo degli apparati su base circoscrizionale registrano un'altissima variazione dei costi da sede a sede (il ventaglio di costi va da 1 a 18). Inoltre, dovrà essere rivista la base di costo fissato con i gestori di telefonia obbligati per legge a fornire la prestazione.
Nel disegno di legge in discussione presso la Commissione giustizia della Camera è prevista una radicale trasformazione del sistema, privilegiando la riduzione dei centri di ascolto e l'acquisto degli apparati anche con il sistema della locazione finanziaria. I centri di intercettazione saranno istituiti su base distrettuale in numero di 26 strutture rispetto alle 166 che esistono attualmente. Da qui, evidentemente giunge l'inflazione che porta a questa cifra esagerata. Voglio chiarire che, ogni qual volta si tocca il tema delle intercettazioni, sembra che si intervenga per dire che non si voglia compiere investigazioni; anzi, in realtà, proprio per garantire un'investigazione più corretta, seria e serena, bisogna che ci sia una disponibilità di risorse che non sia quella per la quale ho illustrato in questo momento una particolarità che mi sembra francamente eccessiva.
Il costo per spese di investimento, cablaggio, misure di sicurezza dei locali, postazioni informatiche, acquisto di software, manutenzione è stimato in 19.292.500 euro. All'evidenza è possibile un enorme recupero di risorse (da oltre 300 a circa 20 milioni per anno). Ma ciò che mi sembra cruciale è che vengono pienamente tutelati la sovranità ed il pieno controllo dell'autorità giudiziaria sul dato investigativo, garantendo concretamente l'accessibilità ad uno strumento di indagine insostituibile nelle indagini più complesse e delicate.
L'efficacia delle nuove norme processuali e organizzative si confronterà, però, con uno spaventoso arretrato, per il quale vanno realizzati interventi straordinari di abbattimento. Per il civile, è possibile procedere con meccanismi di stralcio per la rapida evasione di tutte quelle cause rimaste prive di sufficiente trattazione probatoria che abbiano superato o stiano per superare gli standard di ragionevole durata determinati dalla giurisprudenza della Corte europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo. Questa misura straordinaria necessita, per raggiungere rapidamente gli obiettivi di azzeramento dell'arretrato, del reclutamento e della retribuzione di magistrati onorari in ragione di ogni sentenza prodotta. Solo così si garantisce che la retribuzione sia direttamente collegata al risultato, evitando, al contempo, future rivendicazioni di stabilizzazione.Pag. 12
Per i processi penali, invece, l'unica misura allo stato possibile è una norma transitoria che consenta l'applicazione del patteggiamento per reati coperti da indulto con una deroga agli attuali sbarramenti temporali. Si impongono, inoltre, in coerenza con gli impegni di programma, le modifiche radicali agli interventi normativi cosiddetti ad personam, in primo luogo in materia di falso in bilancio.
Onorevoli colleghi, signor Presidente, questo è il progetto che ho in mente - e spero che non sia soltanto nella mia mente - per riannodare, in tempi rapidi, il rapporto di fiducia tra giustizia e cittadini, con l'apporto e la correlazione tra maggioranza e opposizione. Ogni singolo intervento mi sembra coerente con un disegno globale della giurisdizione fedele al dettato costituzionale ed insieme innovativo quanto a strutture processuali, modelli ordinamentali e forme di organizzazione dell'attività amministrativa.
Processi più rapidi giovano a tutti i soggetti coinvolti, trasformando garanzie scritte sulla carta in tutela effettiva della persona (peraltro, una giustizia che si muove con ritardo crea problemi all'economia ed allo sviluppo), giovano all'intero paese, del quale la giustizia costituisce un fattore essenziale di sicurezza e di competitività.
Tra il progetto e la sua solidificazione in norma, sono essenziali - questa è la ragione della mia presenza - il ruolo del Parlamento ed un aperto dibattito con la società civile.
Tra la norma e la sua applicazione concreta esistono, però, talvolta, lo spessore di resistenze psicologiche ed il peso di radicate abitudini professionali, del tipo: chi te lo fa fare? È impossibile! È un'impresa disperata!
La decisiva importanza della giustizia per la democrazia impone a tutti noi un impegno coerente e coeso.
Tale è il mio impegno. Spero anche che sia l'impegno del Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, La Rosa nel Pugno, Verdi e Popolari-Udeur).
(Discussione)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del ministro della giustizia.
È iscritto a parlare l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole ministro, abbiamo ascoltato l'ampia relazione testé svolta appunto da lei, onorevole ministro della giustizia, e l'impegno che la muove, la motiva e che condividiamo. Come abbiamo ascoltato, il Governo si appresta a promuovere iniziative che vanno nel senso di uno snellimento del processo; ne prendiamo atto e attendiamo di potere concorrere con l'iniziativa parlamentare alla migliore definizione degli esiti di questo sforzo.
Ma una riforma di sistema della giustizia - veniva opportunamente ricordato - non potrebbe prescindere da altri elementi; dalla valutazione, per esempio, dei soggetti che ricoprono i ruoli di primi attori nella giurisdizione: quasi 200 mila avvocati (con gli ultimi ingressi), 9 mila magistrati ordinari, 14 mila giudici onorari sono un numero impegnativo, superiore percentualmente ad ogni altro nei sistemi occidentali. Ci domandiamo - lo facciamo con il ministro - se siano ancora validi i sistemi di reclutamento, la formazione professionale, i momenti di verifica opportunamente richiamati nel suo disegno di riforma.
Ancora, come garantire le nuove competenze quali l'informatica e l'analisi dell'organizzazione, così essenziali nel moderno processo? E ancora, come può utilmente trovare tutela l'equilibrio tra il diritto del cittadino alla privacy e l'esigenza dello svolgimento delle indagini, soventemente spezzato dall'intervento dei media? Inoltre, è giusto che la gogna mediatica - troppo spesso allestita nei confronti di cittadini incolpevoli (come ci rammentano episodi di questi giorni) e comunque tutelati dalla presunzione di non colpevolezza - sia evitata sanzio nando Pag. 13solo il giornalista o l'editore che pubblica la notizia oppure vanno rintracciate anche altre responsabilità? Il corto circuito tra mass media e giustizia ha caratterizzato spesso fasi cruciali della vita civile del nostro paese e continua a rappresentare un elemento di diffidenza dei cittadini nei confronti del sistema, come è stato opportunamente evocato e richiamato dal ministro proprio in apertura della sua relazione.
Ancora, venendo ad un tema che ci sta a cuore, quello dell'autodichia e delle giurisdizioni domestiche - un tema sensibile, che riguarda i magistrati, gli avvocati in quanto professionisti e (perché no?) anche la classe parlamentare -, la domanda è la seguente; può ancora questo paese continuare a tollerare che categorie importanti di cittadini, quasi come le caste della Grecia arcaica, continuino ad essere protette dalla sacralità della propria funzione, giudicando se stesse con la logica dei pari? Sarebbe, forse, più adeguata una devoluzione del compito di giudicare i magistrati, i parlamentari ed i professionisti ad una autorità indipendente ed autonoma?
PRESIDENTE. Deve concludere...
PINO PISICCHIO. Concludo subito.
Sono convinto, onorevole ministro, onorevoli colleghi, che un progetto riformatore di questa entità non possa essere compiuto né da una sola parte politica né soltanto dalla parte politica; abbiamo la necessità di avviare allora una fase costituente della giustizia che deve raccordare e portare allo stesso tavolo i protagonisti della giurisdizione, magistratura e avvocatura, insieme con la politica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Consolo. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CONSOLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in particolare mi rivolgo a lei, naturalmente, signor ministro e rappresentante del Governo. Proprio a causa del suo discorso devo iniziare questo mio intervento con una constatazione amara, ma necessaria. In materia di giustizia, devo dire che davvero non ci siamo. Glielo dico con sincero dispiacere, anche a causa dei nostri rapporti personali. Infatti, dopo otto mesi dal suo insediamento, il bilancio dell'attività del Governo e già - posso dirlo - fallimentare. Sappiamo bene - ma nessuno può rimproverarglielo - di non aver risolto ancora la questione giustizia. Sarebbe sciocco da parte mia pretenderlo e, soprattutto, in così breve tempo. Per conseguire questo fine, non sarebbe forse sufficiente lo spazio di un'intera legislatura.
Noi, però, signor ministro, le rimproveriamo qualcosa di più grave: il Governo di centrosinistra in questi otto mesi non ha prodotto ancora alcuna proposta, neanche per risolvere gli innumerevoli problemi che attanagliano la giustizia in Italia, primo fra tutti, la lentezza dei processi. D'altro canto, sarebbe troppo pretendere riforme organiche da parte di una maggioranza che è divisa su tutto, sui temi che vanno dalla politica estera alla famiglia, fino alle pensioni. Però, almeno alcuni tentativi diretti a risolvere particolari questioni - questi sì! - li pretendiamo. E a pretenderlo non siamo solo noi, ma tutti i cittadini.
Nel paese, la giustizia affonda sotto montagne di fascicoli. Lei ha richiamato questo problema come se fosse un estraneo, ma lei è un «intraneo», lei guida uno dei dicasteri più delicati del paese. Mentre il paese affonda sotto montagne di fascicoli, alcuni giudici - e mi riferisco alla Campania a lei tanto cara - condannano il suo ministero a risarcire 150 avvocati napoletani, perché vittime - e questo è il paradosso - della giustizia.
Ma forse, signor ministro, mi sono sbagliato. Infatti, a ben vedere, il Governo non è rimasto del tutto impassibile. Purtroppo, qualcosa ha fatto, e mi riferisco ai tre interventi legislativi orientati in senso opposto rispetto a come dovrebbe andare una politica in materia di giustizia: l'indulto, il decreto Bersani e la sospensione della riforma dell'ordinamento giudiziario, della quale non capisco come lei sia orgoglioso.Pag. 14
Lei ha ricordato l'indulto. Io al suo posto - e non lo sono, per fortuna! - avrei steso un velo pietoso su questo argomento. So bene che la legge sull'indulto non trae origine da un atto di iniziativa governativa, ma, ovviamente, da alcune proposte di legge - così è stato - di iniziativa parlamentare. So bene, inoltre, che nella Costituzione si prevede la maggioranza dei due terzi. Pertanto, attribuire a lei l'esclusiva responsabilità per l'indulto significherebbe configurare una sorta di responsabilità per fatto altrui.
Tuttavia, è il profilo politico che a noi interessa, in quanto lei ha una precisa responsabilità diretta, anche se - lo ripeto - non unica. Questo indulto è rimasto orfano: pare che nessuno lo abbia votato. Lei infatti, nel giugno del 2006, in occasione della visita al carcere di Rebibbia, si schierò manifestamente a favore, innescando una pericolosissima aspettativa da parte dei detenuti che, una volta alimentata e qualora delusa, avrebbe portato a gravissime conseguenze.
Questo non scalfisce, d'altro canto - diciamocelo per chiarezza -, l'assoluta responsabilità delle forze politiche che lo hanno votato, dimenticando che solo il 14 per cento dei cittadini era favorevole al provvedimento. Allora, ricordo quanto si diceva in Commissione giustizia lo scorso anno.
Presidente, vorrei che lei interrompesse il decorso del tempo a mia disposizione mentre il ministro è al telefono...
CLEMENTE MASTELLA, Ministro della giustizia. Un secondo...!
GIUSEPPE CONSOLO. Grazie, signor Presidente.
Si diceva che la commissione di nuovi reati da parte dei beneficiari non era un motivo valido per escludere l'indulto e che la legge doveva comunque essere approvata, subito, perché altrimenti, chissà quale polveriera sarebbe esplosa.
Non si può, quindi, liquidare la questione dell'indulto, come lei ha fatto, come una vicenda parlamentare alla quale il Guardasigilli e il Governo nella sua interezza siano rimasti estranei. Nel corso dell'iter parlamentare, d'altro canto (questa è una sua responsabilità diretta), ha trasmesso dei dati che parlavano di 12 mila beneficiari dell'indulto. I dati hanno detto che si è trattato di circa il doppio. Il Parlamento, quindi, è stato messo nelle condizioni di lavorare su dati sbagliati e non è riuscito a comprendere esattamente la gravità del fenomeno che si stava varando.
Inoltre, il Governo (lei non si è battuto a sufficienza su questo aspetto, mentre avrebbe potuto minacciare, per poi mettere in atto, di trarne le conseguenze) non ha fornito la copertura finanziaria al provvedimento.
È vero, come qualcuno ha detto, che dalla scarcerazione di migliaia di detenuti sarebbe derivato un risparmio per l'amministrazione finanziaria, ma è vero anche che svuotare le carceri e riversare nella società migliaia di persone ha avuto, come ha avuto, un rilevante il costo sociale, di cui il Governo non ha saputo né voluto farsi carico, scaricandolo sulla società.
Il Governo, quindi, è responsabile, perché non ha preventivamente tenuto conto, nonostante che Alleanza nazionale, in particolare, lo avesse rimarcato, che con l'indulto migliaia di detenuti sarebbero usciti dalle carceri italiane e, fra questi, la gran parte sarebbe tornata in libertà senza un lavoro, senza una casa e senza assistenza sanitaria.
Tutto ciò ha portato ad una rilevante emergenza per gli enti locali, ovviamente destinatari di una richiesta di lavoro massiccia e di reinserimento sociale che il Governo non aveva preventivato.
Questi fondi non sono stati previsti. Il costo dell'indulto è stato pagato, come al solito, dai cittadini, colpevoli di essere contrari all'indulto, ma costretti a pagarne le conseguenze. Bel servizio!
Alleanza nazionale ha votato contro quel provvedimento, non per cieca preclusione, ma perché era contraria, come lo è tuttora e lo sarà sempre, a quell'indulto.
Avevamo posto, infatti, delle condizioni, naturalmente non accolte. Chiedevamo, ad esempio, di tenere in debito conto i protagonisti Pag. 15emarginati dell'indulto: le vittime dei reati. A fronte dell'incontestabile sovraffollamento delle carceri, avevamo chiesto che lo Stato rispondesse con un impegno concreto e preciso per le nuove carceri, che venissero esclusi dall'indulto coloro che avevano posto in essere attività delittuose e che fosse previsto un fondo per le forze dell'ordine, estendendo i benefici alle vittime dei reati terroristici o mafiosi. Niente è stato fatto.
Avevamo chiesto - non credo che fosse una domanda scandalosa - di porre sullo stesso piano autori e vittime del reato, quelle vittime che non possono essere collocate, come è stato fatto, in posizione inferiore. Niente.
Oggi le chiedo, signor ministro, che senso abbia avuto appoggiare questo indulto. È una grave responsabilità politica non dare una risposta a questa domanda.
Ma Alleanza nazionale le può dare, se lei vuole e la accetta, una possibilità di riscattare ciò che è stato fatto con l'indulto con un provvedimento, del quale chiedo agli uffici di prendere formale nota; se lei lo appoggerà, Alleanza nazionale chiederà che venga inserito all'ordine del giorno della Commissione giustizia.
Si tratta di un provvedimento, presentato dal collega Cirielli, ma fatto proprio dal collega Contento, dal sottoscritto, dagli onorevoli Siliquini e Bongiorno, da tutto il gruppo di Alleanza nazionale, in base al quale la vittima del reato deve essere risarcita quando il fatto sia stato commesso da persona liberata non perché abbia espiato in toto la pena, ma a seguito di un provvedimento dello Stato che ha accorciato la pena stessa, quindi di amnistia, indulto, grazia e via seguitando. Lo Stato potrà poi rivalersi dell'onere sull'autore del reato.
Signor ministro, le chiedo, quindi, formalmente, ancora una volta, di dichiarare nella sua replica se intenda o meno appoggiare questa proposta di legge, una proposta di legge che, comunque, limiterebbe la ferita inferta con l'approvazione dell'indulto.
Tornando alle responsabilità del Governo, ve ne sarebbero tante altre. Lei, signor ministro, deve rispondere anche di quanto ha fatto il ministro Bersani. Mi può dire: che c'entro io? Lei c'entra, perché lei è un «intraneo». Sembra un paradosso: era contrario alle norme portate avanti dal ministro Bersani che non l'ha nemmeno interpellata, ma politicamente è lei che ne risponde!
Avviandomi alla conclusione, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento: i tempi sono questi ed io li rispetto!
Signor ministro, all'inizio della legislatura, nonostante la sua appartenenza ad un Governo palesemente sbilanciato a sinistra, nutrivo qualche speranza in lei, come uomo, come politico moderato.
Oggi ho iniziato il mio intervento lamentandomi di come il Governo di centrosinistra non abbia fatto nulla per sanare la disastrata giustizia italiana. Se però faccio un bilancio delle poche cose fatte, mi rendo conto che, anche all'inizio del mio intervento, mi sbagliavo.
A questo punto, la speranza non può che essere quella che non facciate più nulla! Solo questo posso sperare: che non facciate più nulla, che non facciate nuovi danni, non facciate alcunché nel breve tempo che passerà prima che gli italiani, spero prima possibile, rimandino a casa questo Governo!
Le riforme in materia di giustizia, quelle vere, toccherà a noi ricominciare a farle!
PRESIDENTE. Onorevole Consolo, la Presidenza consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti, l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del suo intervento.
È iscritto a parlare l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.
ENRICO BUEMI. Signor Presidente, signor ministro, colleghi, la crisi della giustizia italiana è il male storico del nostro paese e, quindi, le responsabilità devono essere distribuite negli anni. Certamente, il meno responsabile è l'attuale ministro della giustizia e l'attuale Governo.Pag. 16
Tuttavia, governare vuol dire affrontare e risolvere i problemi e oggi questo onere spetta a lei, signor ministro, ed a noi del centrosinistra. Il legislatore costituzionale ha affrontato la questione di un processo giusto con l'articolo 111 che ne fissa tre principi fondamentali : un giudice terzo ed imparziale, la parità tra accusa e difesa e una ragionevole durata del processo.
Su queste tre questioni, signor ministro, siamo in ritardo.
Per quanto riguarda la terzietà del giudice, lei sa che la nostra posizione è molto chiara: noi sosteniamo che non vi può essere terzietà effettiva e sostanziale se non si realizza la separazione delle carriere e affermiamo anche con altrettanta convinzione che non vi può essere parità dell'accusa e della difesa se la carriera del pubblico ministero, la carriera dell'accusa è separata da quella del giudice.
Siamo altrettanto convinti, signor ministro, che una ragionevole durata del processo dipenda anche dalla terzietà del giudice, dalla sua autonomia rispetto al pubblico ministero, dalla parità fra accusa e difesa, perché è legittimo che una difesa debba impegnarsi, in maniera irrinunciabile e non limitata nel tempo, nella costruzione di quelle azioni di difesa del proprio assistito nel momento in cui non vi è la fiducia in un giudice che non appare terzo e nel momento in cui ci si rende conto che vi è squilibrio tra difesa ed accusa.
Vi è, comunque, anche la necessità di migliorare tutti i meccanismi finalizzati alla tutela del cittadino; in particolare, sussiste l'esigenza di dare alla garanzia della ragionevole durata del processo quegli elementi di certezza che non possono sicuramente andare a discapito delle garanzie più generali dell'imputato e del processo.
Noi pensiamo, tuttavia, che tale risultato, in ordine alla ragionevole durata del processo, dipenda moltissimo anche dagli elementi organizzativi che il Governo ed il Parlamento sono in grado di mettere in campo. Le risorse umane e logistiche, in tale ambito, sono una questione fondamentale.
Per quanto riguarda le risorse umane - sappiamo che sono stati compiuti alcuni atti in tale direzione, ma ci vuole anche una grande forza di volontà, ed in questo senso le diamo atto della sua generosità, signor ministro -, pensiamo si debba rapidamente superare l'attuale meccanismo dei concorsi di magistrati, il quale non produce risultati. Infatti, sono ormai parecchi anni che la capacità del nostro sistema di arruolare nuovi magistrati risulta essere «bloccata».
Sussiste, inoltre, la necessità di costruire o di realizzare una nuova organizzazione amministrativa, moderna e capace di rispondere tempestivamente alle esigenze dei cittadini, degli avvocati e dei magistrati. Organizzare un nuovo sistema amministrativo vuol dire modificare anche il ruolo dei cancellieri e degli ufficiali giudiziari, figure tuttora ancorate a vecchi ruoli. Oggi disponiamo di tecnologie e di supporti assolutamente nuovi: in questo senso, dunque, bisogna rivedere anche le loro posizioni.
Vi è altresì la necessità di adeguare le sedi, signor ministro. Infatti, prima di sollecitare investimenti nelle carceri, pur necessari, e di evidenziare l'opportunità di costruirne di nuove, ritengo che dobbiamo realizzare sedi giudiziarie moderne.
Vorrei portare ad esempio l'inaccettabile situazione della procura e degli uffici giudiziari di Nola, poiché risulta palese la loro incompatibilità rispetto alle norme in vigore. Come può essere accettabile, per i cittadini, che le procure agiscano contro di loro per quanto riguarda l'attuazione del decreto legislativo n. 626 del 1994, ma poi le sedi da cui promanano tali atti sono esplicitamente inadeguate rispetto alla normativa citata? Pertanto, si pone la necessità di avviare una rapida modernizzazione delle sedi giudiziarie, attraverso la dotazione di organici e di tecnologie assolutamente adeguati.
Vorrei spendere una parola, signor ministro, sull'esigenza di rafforzare la tutela, anche economica, del testimone. Nel nostro Pag. 17processo, infatti, vi sono parti forti, ma i testimoni rappresentano sicuramente un elemento debole. Vorrei rilevare che si tratta del soggetto che paga direttamente, anche dal punto di vista economico, se vuole adempiere in maniera seria al proprio dovere di cittadino.
In questo momento abbiamo una situazione aberrante, signor ministro, poiché vi sono circa quaranta detenuti sicuramente innocenti nelle nostre carceri: si tratta dei figli di detenute madri con età inferiore a tre anni. Ricordo che in proposito è in itinere un provvedimento legislativo, licenziato dalla Commissione giustizia della Camera, di cui sono primo firmatario, ma che vede il concorso di tutti i colleghi, sia di maggioranza, sia di opposizione. Chiedo, dunque, un impegno particolare del Governo per garantire a tale provvedimento un iter rapido, affinché si possa rimuovere tale situazione, la quale risulta inaccettabile anche dal punto di vista dei principi.
Concludendo, signor ministro, vorrei rappresentare che il gruppo della Rosa nel Pugno condivide la sua relazione, pur mantenendo le sue perplessità sulla inadeguatezza della politica del Governo rispetto alla separazione delle carriere dei magistrati. Contiamo che, strada facendo, si possa trovare un punto di incontro reciprocamente condivisibile in ordine a tale problema. Vi è, comunque, la necessità di agire rapidamente sulle questioni alle quali l'ho richiamata, signor ministro.
In conclusione, vorrei dirle che, per quanto...
PRESIDENTE. La prego di concludere...
ENRICO BUEMI. ...alcune idee siano discutibili ed inaccettabili, a causa della negazione della realtà (mi riferisco ai fatti della Shoah), non riteniamo opportuno «incarcerare» tali idee.
Dobbiamo impegnarci - e credo che il nostro sostegno sia indiscutibile e completo - per rimuovere le inadeguatezze del nostro sistema giudiziario, per affrontare i problemi di organico e per dotare il nostro sistema giudiziario delle risorse necessarie.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lussana. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, premesso che, prendendo spunto dalle parole del ministro, il Parlamento è la sede della sovranità popolare, desidero sottolineare, rivolgendomi non soltanto al ministro, in quanto autorevole esponente del Governo, ma anche alla Presidenza della Camera, come un importante momento di confronto, voluto ed espressamente previsto dalla legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, abbia luogo in un'aula deserta (sono venti i deputati presenti) e ad un'ora del martedì mattina in cui i colleghi non sono ancora arrivati. Insomma, questo importante momento di confronto, nella sede deputata a discutere dei problemi della nostra giustizia e, soprattutto, a sentire dal ministro le proposte concrete volte a curare i mali della giustizia medesima, di cui tutti siamo a conoscenza, ha luogo in un aula praticamente deserta! Tanto valeva incontrarci in Commissione: avremmo evitato la pompa magna, di circostanza, ed avremmo discusso in maniera più semplice.
Tutto questo è veramente avvilente! In tal modo si tradisce lo spirito della legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, la quale voleva spostare la discussione sulla giustizia dalle aule degli «ermellini» alla sede opportuna, quella legislativa, nella quale siedono i rappresentanti del popolo sovrano, i quali hanno il compito di legiferare in materia di giustizia. Rivolgo il mio rilievo, in maniera formale, anche alla Presidenza della Camera: il fatto che una discussione così importante si svolga in un'aula parlamentare deserta non rende sicuramente onore al sistema della giustizia, alle comunicazioni del ministro Mastella ed ai cittadini tutti, a quelle persone che lei, signor ministro, ha più volte richiamato nel suo intervento.
In particolare, lei afferma, signor ministro, che avrà attenzione per le persone e addirittura parla della sua azione di governo come di un nuovo modello di Umanesimo. Ebbene, dopo aver ascoltato le sue parole, più che di Umanesimo, Pag. 18parlerei - mi scusi, signor ministro - di Medioevo: purtroppo, alcune delle sue affermazioni denotano chiaramente, per quanto riguarda la politica giudiziaria, la politica dell'amministrazione della giustizia, un ritorno al passato!
Ha detto bene, signor ministro: i cittadini sono sconcertati per il modo in cui viene amministrata la giustizia; sono indignati, si sentono impotenti di fronte a decisioni giudiziarie che, talvolta, appaiono inspiegabili, sconcertanti, stupefacenti. Alcuni colleghi hanno ricordato fatti della cronaca recente. Pensiamo, ad esempio, all'enfasi mediatica che è stata data al caso «Unabomber». Tre procure stanno indagando da anni e, dopo aver creato un mostro, adesso danno la colpa di tutto al perito, che viene incriminato: questo è il modo di operare della nostra giustizia! Questo desta sconcerto nei cittadini! Pensiamo, inoltre, al giudice Forleo ed al suo operato: in un caso molto importante, in cui veniva in rilievo la lotta al terrorismo internazionale, la nostra magistratura si è persa nella sottile distinzione tra guerriglieri e terroristi, screditando l'immagine del nostro paese a livello internazionale; ci ha messo una «pezza» la Corte di cassazione, la quale ha giudicato palesemente illogica la decisione del giudice Forleo. Allora, i cittadini si domandano cosa stia succedendo.
Come possiamo intervenire? Ci vogliono un po' di autocritica da parte della magistratura - che, però, non ci aspettiamo - ed un'assunzione di coraggio e di responsabilità da parte sua, signor ministro. Purtroppo, ci sembra che detto coraggio non vi sia, perché, quando lei fa riferimento alla legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, signor ministro, ne parla come se fosse una cosa da cancellare. Eppure, quella normativa ha tentato di avviare, a piccoli passi, a cominciare da alcuni provvedimenti significativi ed importanti, un processo di riforma anche del potere giudiziario.
C'è un problema, infatti, che lei non ha affrontato, signor ministro: si verifica, oggi, un forte sbilanciamento nel sistema dei poteri che la Costituzione e i nostri padri costituenti avevano previsto. Di questo, però, non si vuole assolutamente parlare. Non ho ascoltato alcun accenno, nel suo intervento, all'autoreferenzialità della magistratura. Anzi, anche lei si è preoccupato di affermare che l'ordinamento giudiziario rischiava di minare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Dell'indipendenza e dell'autonomia del Parlamento, signor ministro, chi se ne interessa, chi se ne occupa? Dovremmo essere noi a difendere le nostre prerogative, a difendere il nostro operato, tante volte minato proprio del potere giudiziario! Che cosa ci propone lei, signor ministro? Un percorso virtuoso, rispetto alla cattiveria e all'accanimento del passato nei confronti dei magistrati.
Signor ministro, non c'è stato alcun accanimento ma soltanto l'intenzione di promuovere l'azione di autocritica della magistratura e la consapevolezza del fatto che anche la magistratura deve accettare le riforme che il Parlamento liberamente ha approvato. Non ci può essere una casta di intoccabili. Lei ascolta i cittadini, signor ministro, i quali - come ha affermato - sono al centro del suo interesse. Ebbene, ha sentito che cosa dicono? Sa che cosa pensano di alcuni magistrati, anche se non di tutti? Non si può fare di ogni erba un fascio, ma bisogna avere consapevolezza di questo: i cittadini sono stanchi di decisioni giudiziarie sbagliate, delle quali pagano le conseguenze, e sono stanchi del fatto che mai nessuno è responsabile di alcunché! Il concetto di responsabilità di chi sbaglia, che vale in qualunque settore professionale, non vale invece per i magistrati. Dobbiamo avere il coraggio di rendere queste affermazioni scomode!
Lei ha detto, signor ministro, di essere schiavo di nessuno. Lei è un uomo libero ma mi sembra che, in questo momento, stia frequentando di più i sindacati dei magistrati, quei sindacati che, in passato, hanno scioperato contro le riforme del Parlamento, perpetrando uno strappo nelle regole democratiche previste dal nostro sistema costituzionale. Quei magistrati stanno dettando legge! Quando lei si riferisce all'ordinamento giudiziario, signor Pag. 19ministro, tocca uno dei temi fondamentali, quello della separazione tra le funzioni. La Lega Nord Padania avrebbe voluto una separazione delle carriere. Le dico di più: noi vorremmo che si potesse parlare di elezione di alcuni magistrati da parte dei cittadini e della magistratura onoraria. È previsto dalla nostra Costituzione, infatti, che la magistratura onoraria possa essere eletta dal popolo. Invece, stiamo tornando indietro, ad una separazione «annacquata» delle carriere per salvaguardare un principio che, di fatto, non esisterà più.
Tutto questo va a danno del cittadino, il quale ci chiede la terzietà del giudice e la sua assoluta imparzialità. Così non sarà perché si prevedono ancora un ruolo interscambiabile e il corso-concorso. Quanto alla parte delle sue comunicazioni relativa alla professionalità dei magistrati...
PRESIDENTE. Onorevole Lussana...
CAROLINA LUSSANA. È già terminato il tempo a mia disposizione, signor Presidente? Non avevo otto minuti?
PRESIDENTE. Lo ha superato: ha già utilizzato più di otto minuti.
CAROLINA LUSSANA. Dicevo, signor ministro, che il problema della professionalità, non sarà mai risolto se controllore e controllato saranno la stessa persona. Di questo lei deve prendere atto.
Se la Presidenza mi concedesse un tempo aggiuntivo, dato che siamo tra amici, affronterei ancora moltissimi temi. Ad esempio, vorrei parlare di indulto...
PRESIDENTE. Mi consenta, onorevole Lussana, non è possibile. Lei ha già superato il tempo a sua disposizione di 30 secondi.
CAROLINA LUSSANA. Mi conceda ancora un minuto, signor Presidente, in modo che possa concludere il mio intervento.
PRESIDENTE. Come ripeto, lei ha già superato il tempo a sua disposizione di 30 secondi; perciò, posso concederle altri cinque secondi.
CAROLINA LUSSANA. Quanto all'indulto, il problema è stato liquidato, come già ha detto l'onorevole Consolo. Tuttavia, le ricordo i dati relativi a Napoli, signor ministro: 44 mila reati denunciati tra i mesi di agosto e ottobre dello scorso anno, contro i 25 mila denunciati nel 2005. Per il resto, signor ministro, del tutto fallimentare...
PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Lussana.
È iscritto a parlare l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dell'Ulivo sostiene lo sforzo, delineato nelle linee guida contenute nelle comunicazioni del signor ministro, finalizzato ad affrontare il tema dell'accelerazione dei processi, vera e propria questione nazionale in termini di garanzia dei diritti individuali, di competitività del sistema economico e di prestigio internazionale del nostro paese.
Provvedere a due beni pubblici, come un sistema giudiziario ben funzionante e una buona regolazione dei mercati, rappresenta il compito più importante di un Governo, assieme al mantenimento della legge e dell'ordine. Diversamente da altri tipi di beni, è difficile per un privato fornire tali servizi. Sì può privatizzare l'istruzione, la sanità, ma la giustizia privata, come l'arbitrato affidato a terzi, non può sostituire un intero sistema legale.
I paesi europei, che occupano, come il nostro, le posizioni peggiori nella classifica dell'efficienza del sistema giudiziario, devono porre l'efficienza di tale sistema e della burocrazia in cima alle proprie priorità. Si tratta di beni pubblici molto più importanti dei tanto decantati investimenti pubblici destinati a treni ad alta velocità, ad aeroporti, a ponti sullo stretto, per non parlare degli aiuti di Stato destinati a questo o quel campione nazionale.
Fino ad ora non si è riusciti ad affrontare seriamente la crisi della giustizia italiana. In nessun paese, come in Italia nell'ultimo quinquennio, si è assistito ad un così intenso e spregiudicato attacco alla Pag. 20libertà e all'autonomia della giurisdizione, attacco avvenuto sia direttamente, con la tendenza a burocratizzare la figura e il ruolo del magistrato, sia indirettamente, attraverso le numerose leggi finalizzate a tutelare interessi personali, che hanno stravolto e lacerato il concetto stesso di legalità.
La conseguenza è che l'amministrazione della giustizia si è sempre di più trasformata in una macchina improduttiva ed inefficace, che, per quanto concerne la materia penale, danneggia i cittadini meno protetti, mentre nel settore civile, data la quasi paralisi della giurisdizione, favorisce i soggetti economicamente più forti.
In tutte le giurisdizioni cresce il ritardo nell'erogazione del servizio. Si allunga in misura inaccettabile la definizione dei procedimenti. L'arretrato cresce e si consolida, con milioni di fascicoli che giacciono, segnando la sconfitta dello Stato, costretto, non a caso dalla giustizia europea, a costruire e gestire male una figura speciale di risarcimento del danno, determinato dalla violazione della norma che stabilisce l'obbligo di una ragionevole durata del processo.
Vorrei riportare un esempio, ricavato da molte ricerche. Negli Stati Uniti per sfrattare un inquilino ci vogliono sette settimane, cinque per ottenere la sentenza del tribunale e due settimane per renderla esecutiva. Il tempo necessario per riscuotere l'assegno emesso a vuoto è più o meno lo stesso. I dati per l'Italia sono spaventosi. Occorre mediamente più di un anno per ottenere una sentenza e almeno quasi un altro anno per renderla esecutiva.
È il buon funzionamento della giustizia civile una delle ragioni per cui i paesi del nord Europa in questi ultimi anni sono riusciti a coniugare una crescita sostenuta con tasse elevate ed un welfare molto generoso. Non si tratta soltanto di soldi, perché i dati dimostrano che la spesa pubblica per la giustizia, come percentuale del PIL, non è per nulla correlata all'efficienza del sistema giudiziario, misurata da indicatori che sono noti.
Il nostro paese spende come e più di altri in tale settore. Per questo motivo occorre rimettersi essenzialmente dalla parte del cittadino, come propone il ministro, coerentemente con il programma dell'Ulivo. Occorre ridare alla giurisdizione la sua effettività come soggetto regolatore dei conflitti, di servizio essenziale, richiamandola al confronto e alla collaborazione istituzionale (la cultura giuridica, gli operatori del diritto, chi lavora negli uffici). Da una stagione politica gestita contro la giurisdizione, contro la legalità, si deve passare ad una nuova stagione, nella quale la giustizia sia amministrata nell'interesse dei cittadini, eliminando resistenze corporative, da qualunque parte esse provengano, con l'obiettivo di una amministrazione della giustizia che rispetti la giurisdizione e la legalità.
Tanto per riferirmi agli interventi indicati sul processo civile, per intervenire sulla semplificazione del regime delle nullità, dell'alleggerimento di peso delle questioni di competenza, con la semplificazione delle relative decisioni, sulla valorizzazione normativa del principio di lealtà processuale, straordinariamente sottoutilizzato in questi anni - interventi che alimenteranno delle resistenze - è necessario anche immaginare una professione legale che non trasferisca sui cittadini e sui consumatori il costo delle rendite, che non pensi di poter procedere con il numero degli atti, ma cambiando orientamento e anche modo di fare. Dare giustizia in ritardo significa negarla in concreto, favorendo egoismi e coloro che possono, perché hanno forza, autorità e potere, fare a meno della giurisdizione. Per questo, sosterremo lo sforzo del Governo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Crapolicchio. Ne ha facoltà.
SILVIO CRAPOLICCHIO. Signor ministro, ho apprezzato la sua relazione ed i contenuti della stessa. Tralasciando - considerato il prossimo esame da parte della Camera - la legge quadro sulle professioni e la disciplina organica sulle intercettazioni, in questa sede vorrei svolgere alcune considerazioni, anche a seguito di quanto è emerso nel dibattito di questi giorni Pag. 21circa la riforma dell'ordinamento giudiziario e gli interventi rispettivamente nel processo civile e nel processo penale.
Credo, e su questo concordo, che sia fondamentale approvare nei tempi prestabiliti la riforma dell'ordinamento giudiziario, per renderlo organico ed efficiente, a fronte del ruolo che lo stesso ordinamento giudiziario riveste e deve rivestire. Senza risorse per la giustizia, tuttavia, qualsiasi percorso risulterà vano, con tutte le più ovvie conseguenze.
È indubbia altresì l'utilità di una riforma del processo civile, ed aggiungerei anche di quello concernente le controversie del lavoro. È altresì indubbio che le misure di semplificazione ed accelerazione, quali l'udienza di programma, oppure l'eliminazione di mere udienze di rinvio potranno consentire, in tempi ragionevoli, un giusto processo, impedendo altresì le odiose condanne della Corte di giustizia di cui alla legge Pinto, che sono la vergogna di un paese civile. Temo, invece, anche per esperienza personale, che sarà necessario porre molta attenzione alle procedure di stralcio, per non rischiare di perdere la certezza del diritto e vanificare le aspettative di coloro che hanno intrapreso, loro malgrado, la strada giudiziaria, indipendentemente dal fine di smaltire il voluminoso arretrato. Ferma restando la necessità di valutare l'efficacia degli interventi nella loro applicazione concreta, particolare attenzione dovrà, inoltre, essere riservata ai tempi di fissazione dell'udienza conclusiva del giudizio, essendo proprio tale fissazione a comportare gravi ritardi nella definizione dei giudizi stessi. Presumibilmente, prevedere termini massimi ma, soprattutto, termini perentori potrebbe aiutare in questa direzione.
Per quanto concerne gli interventi di riforma del processo penale, ben vengano, anche in questa sede, misure di semplificazione e di accelerazione del processo, quali la rivisitazione del regime delle nullità che non incidono sulle garanzie di difesa. Ben venga la rivisitazione della disciplina delle competenze, mediante la previsione di rigide preclusioni temporali e l'immediata ricorribilità in Cassazione; ben vengano riti alternativi al dibattimento; ben venga la modifica dell'istituto della prescrizione, in modo da scoraggiare impugnazioni meramente dilatorie - anche se su tale modifica temo profili di incostituzionalità -; ben vengano procedure di patteggiamento per i reati coperti dall'indulto; ben venga l'amnistia (tuttavia, con l'esclusione dei reati contro la pubblica amministrazione, dei reati societari, dei reati fiscali, dei reati politico-mafioso, di tutti quei reati già esclusi dall'indulto).
È indubbio che tutte queste misure saranno utili nell'immediato, ma temo che non risolveranno il problema dell'arretrato, che nasce anche da una legislazione sbagliata ed inadeguata, che ha mirato esclusivamente all'inasprimento delle pene, come, ad esempio, la legge Bossi-Fini, oppure la ex Cirielli. Con tali esempi, richiamo integralmente le sue giuste osservazioni, signor ministro, circa la situazione penitenziaria. In tali ambiti, senza dimenticare ovviamente la vergogna delle leggi ad personam, sarà dunque necessario un intervento volto a modificare radicalmente il diritto sostanziale.
Da ultimo, ricordo a me stesso la sua cortese risposta ad un'interrogazione a risposta immediata da me presentata in Commissione giustizia circa la problematica del gratuito patrocinio. In tale sede, lei affermò che le risorse per il gratuito patrocinio costituiscono un problema tecnico e non politico. Anzi, se non ricordo male, lei evidenziò anche una certa sensibilità per tale istituto. È anche per tale motivo che le chiedo di non dimenticare la funzione sociale del gratuito patrocinio (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mazzoni. Ne ha facoltà.
ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, vorrei ringraziare il signor ministro per l'intervento che ha svolto in quest'aula. Vorrei ringraziarlo perché, perlomeno in ciò, va in controtendenza rispetto all'atteggiamento del Governo, che in questi Pag. 22mesi non ha dimostrato una grande correttezza nei confronti del Parlamento. Esprimo, quindi, doverosamente l'apprezzamento mio personale nei confronti del ministro che, invece, opera una nobile inversione di tendenza.
Signor ministro, ho sempre un atteggiamento positivo nei confronti della vita, per cui anche in relazione a questi aspetti mi predispongo positivamente.
Non ho preparato per oggi un intervento perché speravo che la sua relazione mi fornisse elementi per cambiare la mia opinione, non positiva, sull'azione portata avanti dal dicastero che lei dirige. Purtroppo, signor ministro, debbo dirle che non sono assolutamente soddisfatta dalla sua relazione che ho trovato inopportunamente critica, intelligentemente elencativa ma non esplicativa, come invece avrebbe dovuto essere, e dolorosamente vuota in entrambe le parti in cui lei ha ritenuto di suddividerla: la parte del resoconto, dal quale non emerge nulla rispetto a quanto prodotto in questi mesi di attività svolta dal Governo, e la parte relativa all'attività di riforma sulla quale lei dovrebbe investire l'attività futura del suo dicastero.
Per quanto riguarda il suo invito al confronto, faccio osservare che noi dell'UDC abbiamo un'antica cultura dell'opposizione e la stiamo dimostrando; conseguentemente, lei non può dire a noi di aprirci al confronto, anche perché tale confronto per essere corretto, come lei auspica, non può essere selettivo ma aperto a tutti, e fino ad oggi lei, signor ministro, il suo interlocutore lo ha selezionato.
L'ordinamento giudiziario è stato smontato totalmente; in seguito, vi è stato, su iniziativa dell'opposizione e, soprattutto da parte nostra, l'invito ad un confronto che ha consentito di lavorare insieme e di riuscire a recuperare la parte « buona» che vi era nella riforma che noi avevamo approvato nella precedente legislatura.
Il presidente Marvulli nel suo discorso di apertura dell'anno giudiziario - l'ultimo discorso di apertura: non so chi quest'anno farà il discorso e cosa dirà viste le spiacevoli situazioni che si stanno vivendo - ha detto testualmente (per il momento fa testo quanto da questi sostenuto): «Se potevamo e possiamo rivendicare con orgoglio che la stragrande maggioranza dei magistrati ha sempre saputo non confondere le proprie funzioni, scelte e decisioni con la politica, altrettanto certo è che non sempre abbiamo saputo sanzionare adeguatamente e tempestivamente i censurabili comportamenti di chi, assumendo iniziative spregiudicate, poi rivelatesi illegittime o infondate, talvolta offrendosi alla pubblica opinione con interventi mediatici, è apparso come il privilegiato. Sono convinto che il protagonismo non solo calpesta la discrezione, ma finisce per offendere l'obiettività, ed è di per sé indice di scarsa imparzialità, di scarsa professionalità e di scarsa saggezza. Ritengo che la professionalità non possa essere più testata con i criteri finora utilizzati perché quei criteri hanno avuto il pregio di aver giudicato tutti astrattamente idonei alle funzioni superiori, e si è sostituita alla virtù dell'obiettività la solidarietà ideologica».
Noi, signor ministro, con quella riforma davamo risposte a tutto ciò; quelle citate, infatti, sono le parole espresse dal presidente Marvulli in relazione alla realizzata riforma dell'ordinamento giudiziario. Su cosa aveva cercato di intervenire quella riforma? Non era perfettamente adeguata? Tutto è migliorabile, ma sicuramente il suo totale azzeramento non è la proposta migliore per chi come lei, signor ministro, dice di aprirsi al confronto. Oggi, lei ci propone la riforma dell'ordinamento giudiziario sia per la parte relativa alla progressione di carriera, sia per quella relativa alla separazione delle carriere o meglio alla proposta separazione dell'organizzazione ordinamentale delle funzioni giudiziarie. Signor ministro, lei sa perfettamente che oggi non esiste l'applicazione, attraverso il nostro sistema, dei principi costituzionali d'imparzialità, terzietà e parità delle parti. Bisognerebbe fare uno sforzo per ottenere questo risultato, ma sicuramente tale sforzo non può farlo chi respinge in maniera assoluta le denunce - credo giustificabili - di chi, come la dottoressa Pag. 23Forleo o il dottor Roca, che abbiamo ascoltato qualche giorno fa a Milano, racconta, sulla base di un'esperienza personale, della «infunzionalità» della giustizia a causa delle strane e improprie sovrapposizioni di funzioni. Non è possibile pensare che sia sana una riforma delle carriere dei magistrati che parta dal presupposto della negazione di una esperienza fatta e raccontata da chi quotidianamente opera sul difficile campo della giustizia.
Riguardo alla politica penitenziaria, signor ministro, quando abbiamo votato come Parlamento, tutti insieme, l'indulto, una misura impegnativa, lei in quest'aula ha detto che avrebbe accelerato i tempi di determinate riforme essenziali, divenute impellenti in conseguenza proprio dell'adozione di quella misura straordinaria: eppure ad oggi non c'è niente! Lei ha fatto una elencazione di misure che - mi consenta - già erano nel nostro ordinamento o già erano state adottate nella precedente legislatura dal precedente Governo. Lei ha parlato di intervento riguardo alla disciplina delle detenute madri, che è un intervento che ci appartiene e stiamo discutendo proprio adesso su una modifica che era stata adottata già nella precedente legislatura; riguardo alla tossicodipendenza si interviene non nella direzione di agevolare il sistema penitenziario, mentre ritengo che il riferimento alla legge Smuraglia sia semplicemente una citazione e non l'elemento di un resoconto doveroso; così come riguardo agli interventi di edilizia penitenziaria siamo stati attaccati per anni perché la nostra politica penitenziaria era solo edilizia: si tratta solo della parte finale, della coda di quell'attività di Governo che abbiamo realizzato, o perlomeno programmato, nella precedente legislatura.
Lei ha dimenticato, ministro, quelle parti fondamentali per cui il sistema penitenziario serve a realizzare quella funzione rieducativa per la quale è stato predisposto: la riduzione dei tempi del processo (è fondamentale infatti che vi sia un tempo adeguato del processo affinché la pena possa rieducare qualcuno); gli interventi sulle strutture penitenziarie, che debbono essere adeguate, e quelli relativi a personale e mezzi che sono essenziali perché è proprio il personale penitenziario, che in quelle strutture opera ventiquattr'ore al giorno, quell'elemento, quella chiave di volta per riuscire a risolvere i tanti problemi legati al mondo penitenziario.
Relativamente alla giustizia civile - premesso che mi riservo di leggere l'ipotesi di riforma che lei ha sintetizzato, propinandola in pillole attraverso i giornali, anche oggi in quest'aula -, ritengo che anche in questo, signor ministro, vi sia un atteggiamento troppo distruttivo rispetto a quello che è stato fatto: non riesco a leggere nessuna logica di continuità istituzionale, che riterrei sana e che dovremmo recuperare, nel fatto di riproporre una riforma, così come lei l'ha annunciata, dopo che, tutto sommato, noi ne avevamo effettuata una, che potrebbe non essere condivisa, ma che è ancora in fase di rodaggio e di verifica.
Sono tanti gli interventi che sono stati fatti nel processo civile per raggiungere quell'obiettivo di riduzione dei tempi che tutti auspichiamo: un tempo compatibile per la verifica avrebbe reso sicuramente più nobile la sua proposta di ulteriore riforma. Ritengo che vi siano ancora alcuni elementi sui quali si debba intervenire, ma la sua riforma - per quanto ascoltato oggi - interviene su molte parti già riformate.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ERMINIA MAZZONI. Concludendo, vorrei fare solo un ultimo riferimento, riguardo alla giustizia penale, alle riforme - e sono le nostre - che sono in discussione sul problema gravissimo delle intercettazioni e sulle proposte avanzate dall'opposizione.
A proposito della magistratura ordinaria, lei fa ancora riferimento ai magistrati onorari rispetto alle sezioni stralcio, ed è un punto su cui sono d'accordo. Non sono invece d'accordo sulla sua conclusione: magistrati onorari pagati «a sentenza» per evitare le rivendicazioni. Il problema Pag. 24rispetto alla magistratura ordinaria, signor ministro, non è nelle rivendicazioni, ma è nella professionalità e nella competenza, essendo sempre più grande il carico di lavoro che viene assegnato ai magistrati onorari, in particolare ai giudici di pace.
Quindi, signor ministro, occupiamoci di dare maggiore professionalità attraverso una proposta compatibile.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tenaglia. Ne ha facoltà.
LANFRANCO TENAGLIA. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, ho condiviso l'intervento del ministro sia per il metodo che ha indicato nella sua azione sia per i contenuti. Per quanto riguarda il metodo, ritengo - come molto più autorevolmente di me ha rilevato il Presidente Napolitano e, prima di lui, in tanti interventi, il Presidente Ciampi - che in materia di giustizia, trattandosi dell'effettività dei principi costituzionali di uguaglianza, di parità di fronte alla legge e di equilibrio dei poteri, sia necessario uno sforzo di condivisione dei principi, cioè il contrario di un metodo che troppe volte nel passato ha fatto della giustizia un terreno di scontro. Infatti, non si tratta di affermare la supremazia di un potere su un ordine o di un potere su un altro - a seconda di come intendiamo l'equilibrio e l'assetto attuale della Costituzione -, ma di trovare il giusto equilibrio fra i poteri per garantire ai cittadini il funzionamento del sistema giudiziario.
Signor ministro, ho condiviso il suo intervento nei contenuti perché contiene, finalmente, l'indicazione di un progetto organico di intervento sulla giustizia, che abbraccia l'intervento sul processo (che è il luogo principale nel quale bisogna confrontare e assicurare i livelli di efficienza, di effettività e di uguaglianza) e sull'ordinamento (che non è qualcosa di avulso e di distaccato dall'intero sistema), ma l'assetto ordinamentale della magistratura e lo statuto del pubblico ministero dovevano essere funzionali all'assetto processuale. Siamo tutti d'accordo sul male principale della nostra giustizia, che è quello dei tempi eccessivamente lunghi, ma ne aggiungerei un altro: l'estrema rigidità del sistema. Da molti anni abbiamo ereditato - e credo che negli ultimi cinque anni la situazione si sia aggravata - un sistema malato nei tempi e nelle rigidità. Il processo civile non è più il luogo della risoluzione della lite, ma il luogo della lite, della sublimazione della lite portata all'infinito. Con l'impossibilità di funzionamento del processo siamo arrivati alla paralisi come è accaduto, per esempio, nel caso di decisioni sulla legge Pinto. Il processo penale non è più il luogo dove bisogna procedere nel più breve tempo possibile - perché questo è l'interesse principale del cittadino imputato e indagato - all'accertamento o non accertamento dei fatti, in relazione alla pretesa punitiva dello Stato, ma il luogo in cui si sono stabiliti dei meccanismi processuali che mirano, innanzitutto, alla paralisi di quella pretesa punitiva.
Abbiamo ereditato un ordinamento giudiziario che è l'esatto contrario del principio di responsabilità della magistratura e di livelli sempre più alti, più funzionali e più effettivi di responsabilità della stessa di fronte ai cittadini. Abbiamo ereditato un disegno riformatore che individuava nella burocratizzazione della funzione, nella gerarchizzazione dello statuto del pubblico ministero e nel ritorno al vertice della Cassazione - questo sì un ritorno al passato - l'unico strumento e baluardo in riferimento al principio di responsabilità della magistratura. Per questo, ritengo che la politica della giustizia di questo Governo sia veramente un cambiamento di pagina. Non tornerò sui punti da lei indicati, signor ministro, nelle parti in cui li condivido, ma indicherò alcune cose che ritengo debbano essere fatte in aggiunta a quelle indicate.
Concordo con chi ha affermato che nel processo civile l'equazione «più mezzi, più strutture» sia insufficiente. Dal punto di vista processuale, se allo stanziamento di mezzi e strutture non si accompagna anche una riforma del sistema processuale e delle sue regole funzionale alla ragionevole Pag. 25durata del processo, mezzi e strutture si perderanno nell'inefficienza complessiva del sistema.
Tuttavia, per quanto riguarda i riti, ritengo che vada innanzitutto fatta una riflessione approfondita. Infatti, in questo momento (chi è avvocato lo sa molto meglio di me) per una parte non è tanto necessario prevedere la decisione, quanto il rito applicabile. La «macedonia» di riti presente nel nostro processo civile va superata. L'accordo e la condivisione dell'ufficio del giudice, a mio avviso, oltre agli altri interventi sul processo, vanno accompagnati anche da una riflessione in grado di farci superare la schema tradizionale della motivazione a tutti i costi nel processo civile. Credo che vada fatta una riflessione profonda sulla fase decisoria e sul meccanismo motivazionale di tanti riti civili, come è avvenuto con buoni frutti nel processo amministrativo.
Signor ministro, in merito all'organizzazione giudiziaria sono d'accordo sull'analisi. Mi sono occupato in una mia precedente esperienza di organizzazione giudiziaria, in particolare di misurazione dei parametri di efficienza degli uffici. Sicuramente è vero il fatto che, quando si parla o si deve decidere di organizzazione giudiziaria, siamo paragonabili al gioco del bendato e della pentolaccia: si sprecano tante risorse per raggiungere solo talvolta gli obiettivi prefissati perché non si conosce il dato. Pertanto, la conoscenza del dato ed una nuova statistica giudiziaria sono necessarie per stabilire sia i livelli medi di produttività attingibili dai singoli uffici, sia per valutare i magistrati, sia per decidere delle circoscrizioni giudiziarie e della distribuzione del personale sul territorio.
Signor ministro, vorrei indicarle anche un possibile intervento che deriva da un fallimento, dovuto all'incapacità degli operatori ed innanzitutto dalle resistenze di stampo corporativo sollevate in tante sedi giudiziarie. Mi riferisco alle tabelle infradistrettuali, che costituiscono un elemento di grande flessibilità. Esse non hanno funzionato, tuttavia il ricorso ad organici unici per più uffici, soprattutto se di piccole dimensioni, è una strada che conferisce flessibilità al sistema, non prevede costi e consente agli uffici giudiziari, in particolare nelle realtà piccole del sud, ma anche di alcune zone del nord, di funzionare.
In merito all'ordinamento, ritengo che il metodo ricordato all'inizio abbia dato buoni frutti per quanto riguarda la disciplina già entrata in vigore, nella disciplinare o nelle procure. Non si è tuttavia voluto garantire questa o quella categoria, tanto che gli operatori della giustizia, sia magistrati che avvocati, hanno molto criticato tale innovazione. Si sono però voluti raggiungere determinati livelli di funzionalità e consentire la certezza in materia soprattutto di illeciti disciplinari. A mio avviso, il prosieguo della lavoro fatto sull'ordinamento deve procedere in tal senso. Infatti, quando si parla della valutazione della professionalità dei magistrati il cittadino non ha interesse a veder valutati i pochi che hanno intenzione di sottoporsi agli esami previsti dalla riforma Castelli, bensì l'intera categoria, creando una crescita omogenea della professionalità di tutto il corpo magistratuale, soprattutto di quello che opera in primo grado ovvero di quello che dà per primo risposta agli interessi e ai diritti dei cittadini. E questo fa il sistema di valutazione periodica, ravvicinata nel tempo e basata sul rilievo a campione dei provvedimenti giudiziari e sull'aumento delle fonti di conoscenza, comprese quelle provenienti dall'Avvocatura, che è chiamata ad una grande sfida: saper esercitare al meglio il ruolo istituzionale, se dovesse essere approvata, come auspico, la riforma preannunciata dal ministro.
Per quanto riguarda la separazione delle carriere o la distinzione delle funzioni, vorrei dire una cosa in cui credo fermamente: la separazione della carriera o la distinzione delle funzioni non ha nulla a che vedere con la parità delle parti nel processo, anzi, per certi versi, la separazione delle carriere è un vulnus alla parità delle parti.
Invito chi ha sostenuto il contrario, anche oggi, in quest'aula, a leggersi l'intervento, Pag. 26di due settimane fa del procuratore generale della Corte di cassazione francese (che è il massimo esponente di una carriera separata, dipendente direttamente dall'esecutivo), su questo punto, per capire quali sono state le sue rivendicazioni in ordine ad una modifica ordinamentale del sistema francese, nel senso dell'avvicinamento del pubblico ministero alla giurisdizione e alle garanzie della giurisdizione e della funzione giudicante. Occorre riflettere, oltre che sui limiti temporali e territoriali che il ministro ha indicato, sulla possibilità di inserire limiti numerici nel cambio delle funzioni.
Sulla valutazione delle funzioni di legittimità e della capacità dell'idoneità al giudizio di legittimità (l'importanza di questa valutazione è sottesa alla previsione di un organismo che affianca il CSM per la valutazione di questi titoli), ritengo che vada specificato che, in ogni caso l'esercizio in concreto della giurisdizione di merito è un elemento fondante dell'idoneità al giudizio di legittimità, mentre un elemento di contorno, di quadro, è costituito dalla capacità dimostrata di analisi tecnica o di analisi scientifica.
Infatti, dare un rilievo eccessivo a quest'ultimo aspetto può portare a pericoli e a storture del sistema, penalizzando, in concreto, la giurisdizione ed il lavoro di tutti i giorni che è quello che risponde agli interessi del cittadino.
Sulla magistratura onoraria, ritengo che un approccio minimale a tali questioni non sia più sufficiente. Continuare con la politica delle proroghe, semplicemente tesa a verificare la stabilità economica o il riconoscimento ad un lavoro che viene fatto - e va riconosciuto - da parte della magistratura onoraria, non è più sufficiente. Anche in questo caso, occorre dare una sistemazione ordinamentale stabile, facendo della magistratura onoraria un gambo autonomo della giurisdizione, senza spargerla in varie possibilità di esercizio, che tanti problemi hanno creato e creano nell'ambito della divisione delle competenze, anche a causa della commistione con l'esercizio della professione forense.
Signor ministro, ribadisco la mia condivisione del suo progetto, perché credo che, finalmente, in questa legislatura si possa arrivare ad una riforma condivisa e sistematica, ad una giustizia che abbia, quale unica finalità, il bene pubblico e l'interesse dei cittadini, dove ciò che è giusto sia forte e ciò che è forte sia giusto, e che sia lontana dagli interessi individuali e da scelte legislative connotate da finalità diverse da quelle dell'interesse generale dei cittadini ad una giustizia efficace ed efficiente (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Comunisti Italiani e Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vitali. Ne ha facoltà.
LUIGI VITALI. Signor Presidente, vorrei iniziare il mio intervento con una premessa che già in altre circostanze ho svolto ma che, nella sede attuale, riveste un carattere maggiore di sacralità. Siamo all'inizio dell'anno giudiziario; vi è stata la riforma e, in Parlamento, l'apertura dell'anno giudiziario si avvia con la relazione del ministro.
Vorrei dichiarare ancora una volta (lo faccio, in primo luogo, a titolo personale, ma credo di poterlo affermare a nome del gruppo di Forza Italia ed anche dell'intera coalizione) che non intendiamo confrontarci in maniera polemica con il ministro della giustizia. Riteniamo che la polemica e la dialettica politica vi possano e vi debbano essere tra maggioranza ed opposizione e, per la verità, vi sono molti argomenti e temi sui quali tali profili arrivano anche alle estreme conseguenze. Vorremmo rappresentare, invece, una risorsa per affrontare i problemi della giustizia; vorremmo sostenere il ministro in battaglie che egli ha sempre annunciato fin dal suo insediamento ma delle quali, ancora oggi, non vediamo traccia. Mi riferisco alle dolenti note dei tagli consistenti (non significativi, ma consistenti) che hanno martoriato il «pianeta giustizia».
Le riconosco di aver protestato vivacemente, signor ministro, e di averlo fatto Pag. 27anche con una conferenza stampa, annunciando interventi riparatori nella legge finanziaria. Non è successo nulla. Avremmo voluto sostenerla, lealmente e seriamente. Non si possono prosciugare le risorse della giustizia, che (e su ciò tutti siamo d'accordo) abbisogna di un intervento decisivo, radicale e riformatore. Le riforme si fanno con i denari. Ripeto: le riforme si fanno con i denari! Nella giustizia, più che mai, sono necessari i denari!
Invece, a partire dall'insediamento del Governo i denari vengono meno: 350 milioni di euro in tre anni con la cosiddetta legge Bersani e 400 milioni di euro con la legge finanziaria. Questa è la premessa di principio: vorremmo essere un sostegno, nel rispetto delle reciproche posizioni politiche, senza consociativismo, ma in un rapporto di lealtà, nell'interesse del servizio giustizia e dei cittadini.
Passo alla seconda premessa. Lei è ministro da circa otto mesi e nessuno poteva pretendere che, in questo periodo, risolvesse con la «bacchetta magica» problemi anche atavici della giustizia. Lo dico con molta lealtà e con molta fermezza.
Svolte queste due precisazioni, questi due «annunci», entro nel merito del suo intervento. Se esso è frutto esclusivo delle sue personali valutazioni, della sua personale esperienza in questi mesi e rappresenta l'auspicio di modificare ciò che non va nella giustizia, può non essere condiviso (personalmente non lo condivido e, successivamente, dirò i motivi), ma è apprezzabile perché manifesta un impegno. Se, però, signor ministro, il suo intervento è il risultato di qualche staff che lo ha preparato, all'interno del quale vi è qualche sensibilità giuridica con esperienze specifiche, sarò facile profeta, ma lei ben presto si accorgerà di quale errore le è stato fatto commettere e con quali conseguenze.
Troppo facilmente, signor ministro, si dice che è necessario ridurre i tempi dei processi civili e penali a cinque anni. Chi non sarebbe dello stesso avviso? Se, uscendo oggi dal Parlamento, annunciassimo agli italiani di aver trovato la soluzione alla lungaggine dei processi civili e penali e dicessimo che il magistrato, di primo grado, di secondo grado e della Cassazione, fosse tenuto a definire la vertenza civile e penale in cinque anni, faremmo un annuncio importante. Ma nessuno, signor ministro, le ha detto in quale maniera lei possa raggiungere questo obiettivo, dato che il numero dei processi civili e di quelli penali aumenta in maniera esponenziale.
Questo significherebbe riconoscere che, fino ad oggi, i magistrati sono stati dei fannulloni, perché se da domani riusciranno a concludere i processi civili e penali in cinque anni, nonostante l'aumento davvero esponenziale del numero degli stessi, vorrebbe dire che, sinora, essi tutto hanno fatto tranne che esercitare la funzione giurisdizionale. Quindi, si tratta di un annuncio privo dell'indicazione dei percorsi, delle risorse, degli strumenti e, soprattutto, dei tempi, entro i quali ella ritiene di poter arrivare a questo risultato, che è certamente un risultato ambizioso. Io sarei il primo a riconoscerle onore e merito, se lei, signor ministro, fosse capace di poter arrivare ad un risultato del genere. Questo però - ripeto - è un annuncio che rimarrà tale e che lei pagherà in termini politici, perché io per primo glielo contesterò, non dopo otto mesi, ma dopo un anno, un anno e mezzo, due anni; ci vorrà pure un tempo entro il quale questi progetti dovranno essere realizzati...
CLEMENTE MASTELLA, Ministro della giustizia. Il tempo della legislatura, onorevole Vitali!
LUIGI VITALI. Credo che non avrà questo tempo, signor ministro, e, comunque, anche se questo Governo e la sua esperienza dovessero durare l'intera legislatura, lei non sarà in grado di farlo, innanzitutto perché non ci ha spiegato come farà a ridurre a cinque anni i tempi dei processi civili e penali. Onestamente, poi, se, comunque, il buongiorno si vede dal mattino e i provvedimenti che oggi abbiamo sul tappeto sono stati soltanto quelli relativi ai tagli, se gli interventi radicali, da voi fatti, nel pianeta giustizia Pag. 28riguardano soltanto l'indulto e il blocco della riforma dell'ordinamento giudiziario, c'è poco da stare allegri e da avere credibilità su questi interventi.
CLEMENTE MASTELLA, Ministro della giustizia. Onorevole Vitali, riguardo all'indulto, non dica «avete fatto», ma «abbiamo fatto»...
LUIGI VITALI. Signor ministro, io non sono di quelli che disconoscono le proprie azioni. Io ho votato l'indulto, ma l'indulto è una «medaglietta» che lei si è messa al petto. Preciso, inoltre, che l'ho votato, senza esserne tenuto, dato che sono all'opposizione. Le ricordo che, quando ero nella maggioranza e sedevo ai banchi del Governo, è stata l'opposizione di allora che non ci ha permesso di farlo ed oggi, quindi, avrei potuto ripagare con la stessa moneta. Invece, l'ho votato, lo riconosco e non mi sono pentito. La medaglia dell'indulto, però - le ripeto - se l'è messa lei: le carceri le ha svuotate lei, i problemi se li è evitati lei, non io.
Vorrei poi precisare, dato che si specula sempre su chi ha votato e chi non lo ha fatto, che io ho votato l'indulto sul presupposto che, premesso che la situazione era insostenibile, non soltanto per quelli che scontavano giustamente la pena, ma, soprattutto, per quelli che lavoravano nell'interesse dello Stato, all'interno degli istituti penitenziari, avevamo chiesto un impegno al ministro ed al Governo di dare un segnale di discontinuità e di creare le condizioni, perché, mai più, si verificassero casi di sovraffollamento. Lei, oggi, viene a dirci che sono stati avviati interventi di ristrutturazione, di ampliamento e di costruzione che riguardano 1.500 posti all'interno degli istituti penitenziari. Onestamente, troppo pochi per adempiere a quell'impegno, che è stato essenziale, per quello che mi riguarda, nel convincimento di votare l'indulto.
Allora, parlando sempre di risorse, perché è di questo che dobbiamo parlare, è giusto rispondere all'insoddisfazione, all'oscuramento, all'allontanamento dei cittadini e al decadimento del prestigio dell'autorevolezza della giustizia e di chi la rappresenta, nel nostro paese, per le lungaggini e per le sentenze che arrivano, quando anche chi se le vede pronunciare a favore, forse, non sa più cosa farsene. Dovremmo guardare un momento all'interno, prima di dare le legittime, giuste, necessarie e doverose risposte ai cittadini italiani ed occuparci di coloro che mandano avanti questa baracca, che non sono soltanto i magistrati, ma sono, soprattutto, gli appartenenti al comparto dell'organizzazione giudiziaria, che, da otto anni, attendono - caso unico nel nostro paese, perché tutti i comparti pubblici hanno già fatto il primo e il secondo percorso di riqualificazione - la risposta alle loro legittime aspettative.
È troppo facile, poi, complimentarsi con il tale cancelliere o il tal altro segretario che fanno più del loro dovere; abbiamo invece il dovere di manifestare concretamente, e non a parole, la vicinanza dello Stato e delle istituzioni nei confronti di questi servitori silenziosi dello Stato che consentono di mandare avanti il pianeta giustizia. Deve quindi esserci un impegno, signor ministro - peraltro, siamo in periodo di inaugurazione dell'anno giudiziario -, per risolvere definitivamente questo problema.
Quanto ai provvedimenti già varati, dell'indulto abbiamo già parlato; circa il provvedimento sull'ordinamento giudiziario, signor ministro, vorrei rispondere al collega Tenaglia che ha richiamato l'autorevole rappresentante della pubblica accusa francese. Ebbene, ritengo che tale riferimento sia fuori luogo nel nostro sistema perché, come è ben noto anche a chi non sappia orientarsi tra pandette e codici, in Francia la pubblica accusa risponde direttamente al potere esecutivo mentre, nel nostro paese, è garantita l'indipendenza della magistratura; indipendenza che noi abbiamo voluto e vogliamo mantenere.
A mio avviso, già soltanto sulla base di un calcolo numerico, il collega Tenaglia dovrebbe convincersi di stare dalla parte sbagliata; ritengo che anche lei, signor ministro, stia sbagliando se intende veramente Pag. 29portare avanti, come ha enunciato, questa parte della riforma dell'ordinamento giudiziario consentendo la possibilità di passare dalla funzione giudicante a quella requirente purché si cambi solo il distretto. Se tutta l'avvocatura - mai era successo nel nostro paese - è convinta che la soluzione di tale questione passi attraverso la netta separazione delle carriere e se anche all'interno della magistratura, da Falcone a Forleo - ripeto: da Falcone a Forleo -, si comincia a recepire questa necessità, questa ventata di rinnovamento e di modernizzazione, nell'interesse della magistratura e dei magistrati, evidentemente è facile capire da che parte stia la verità e da che parte stia l'inesattezza o un attaccamento esagerato a logiche di corporativismo.
A nostro avviso, la riforma dell'ordinamento giudiziario che lei ha bloccato - ma ci attendiamo che presenti nei termini un disegno di legge - avrebbe consentito di valutare e verificare le capacità e le attitudini dei magistrati. Non si tratta di funzione che possa essere delegata esclusivamente al Consiglio superiore della magistratura: fino a quando la valutazione e l'accertamento della persistenza o del perdurare dei requisiti professionali rimarranno esclusivamente affidati alle prerogative del Consiglio superiore della magistratura, che è animato da correnti interne, io dubiterò che si possa veramente addivenire all'irrogazione di eventuali sanzioni a carico di magistrati non idonei e alla valorizzazione di quelli idonei. Pur lasciando l'ultima parola in merito al CSM, bisognerebbe inserire un elemento esterno ad esso se vogliamo che questa valutazione di capacità professionale possa essere seria, oggettiva e valida.
Anche sulla questione della riduzione del termine feriale, che è sicuramente un'iniziativa pregevole, ritengo che essa debba essere accompagnata da un elemento di non poca importanza: non è sufficiente ridurre da 45 a 35 giorni la sospensione del termine feriale; è necessario ridurre anche le ferie dei magistrati da 45 a 30 giorni. Potremmo infatti anche sospendere i termini dal 1 agosto al 31 agosto, ma i processi verrebbero comunque rinviati in quanto i magistrati dovrebbero completare i 45 giorni di ferie dei quali oggi godono. Quindi, l'iniziativa deve essere accompagnata da una riduzione delle ferie dei magistrati; altrimenti, si tratterrebbe di un editto senza alcuna conseguenza in quanto ridurremmo i termini di sospensione dei procedimenti ma di fatto non otterremmo alcun risultato, dovendo consentire a tutti i magistrati di usufruire dei 45 giorni di ferie.
Quindi, signor ministro, noi ci auguriamo che il 2007 possa essere l'anno della svolta.
Siamo molto perplessi sul fatto che quanto ella ha detto, soprattutto per ciò che riguarda il contenimento dei tempi dei processi civili e penali, possa essere realizzato. Infatti, nel suo intervento, signor ministro, manca un interlocutore importante, una parte che è stata richiamata dal collega che mi ha preceduto, vale a dire tutto il capitolo della magistratura onoraria. Oggi, è arrivato il momento di aprire gli occhi e di dirci cosa fare riguardo tale magistratura. Se è onoraria, vuol dire che deve essere di supplenza e che deve intervenire eccezionalmente ed occuparsi delle questioni «bagattellari» (non mi viene altro termine). Se, invece, è determinante, come lo è oggi nel nostro paese e nel nostro sistema; se è vero com'è vero, che alla magistratura onoraria è addossato il 65 per cento del contenzioso, ebbene, un Governo serio, uno Stato serio (non vogliamo parlare di Governo! In proposito, sono firmatario di una proposta di legge, quindi parlo a ragion veduta) ha il dovere di porsi definitivamente questo problema. Chiamatela magistratura di complemento oppure magistratura onoraria permanente; chiamatela come volete, ma noi riteniamo - e sentiamo dichiarazioni di rappresentanti del Governo che vogliono tutelare i diritti dei lavoratori che sono sacrosanti! - che anche i magistrati onorari sono dei lavoratori. Essi non possono e non devono essere sfruttati e non tanto da un datore di lavoro qualunque, ma addirittura dallo Stato. Anche per questa strada passa la riforma della giustizia.Pag. 30
Su questo, signor ministro, nella sua relazione vi è stato un vulnus, un «buco», una disattenzione. Mi auguro che vi saranno altre occasioni per poter tornare a parlare di questa situazione. Quindi, non è soltanto con la modifica di quella parte dell'ordinamento giudiziario che noi risolviamo i problemi della giustizia; non è soltanto con l'annuncio della riduzione dei tempi dei processi a cinque anni - senza peraltro dirci come, perché, quando - che noi risolviamo tali questioni. Esse si risolvono anche attraverso l'esame di queste problematiche e, soprattutto, stanziando risorse.
Vede, signor ministro - e mi avvio rapidamente alla conclusione -, io ho avuto l'onore di essere rappresentante del Governo proprio nel settore che la vede impegnato ai massimi livelli di responsabilità. Quando andavo in giro alle inaugurazioni degli anni giudiziari oppure in visite istituzionali presso altri uffici giudiziari, qualche rappresentante della magistratura associata ma anche del personale giudiziario, mi contestava il fatto che, in quell'ufficio, mancava la carta igienica ovvero, in un altro, la carta per fotocopie. Ebbene, io non ho smesso di visitare gli uffici giudiziari, signor ministro - e lei sicuramente lo farà di più e meglio di me -, ma adesso non soltanto sono bloccate le fotocopiatrici e tutte le macchine, in quanto mancano i soldi per fare i contratti di manutenzione - cosa che nel precedente Governo, per quante accuse e contestazioni siano state mosse non era mai accaduto -, ma mancano addirittura i soldi per acquistare le copertine dei fascicoli di ufficio!
Come vogliamo dare dignità e rispettabilità ad una giustizia e come vogliamo risolvere i relativi problemi nell'interesse dei cittadini, se chi opera quotidianamente deve combattere con le ristrettezze economiche e non è in grado di farsi una fotocopia e di avere un fascicolo per mettervi gli atti di ufficio? Come si risolvono le questioni se non ci sono le risorse? Allora, signor ministro, il tempo a sua disposizione - direbbe un noto presentatore - sta per scadere. Con tutta l'accondiscendenza, la solidarietà, con tutto quello che vuole, il tempo a sua disposizione - ripeto - sta per scadere.
Fino a questo momento, non vi sono state molte occasioni nelle quali abbiamo sentito l'impulso di batterle le mani e di sostenerla. Ci auguriamo che in questo 2007 ciò avvenga con quell'impegno di essere al suo fianco, se avrà la capacità ed il coraggio di gridare, all'interno del suo Governo e della sua maggioranza, alla necessità di attrezzare la giustizia. Per adesso, il voto finale rimane ancora rinviato, ma assolutamente non siamo soddisfatti della sua relazione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capotosti. Ne ha facoltà.
GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, prima di affrontare l'argomento in discussione e di esprimere le considerazioni mie e del mio gruppo sull'argomento presentatoci dal ministro, sento doveroso rivolgere una domanda alla Presidenza, perché temo di essere affetto da un momento di forte amnesia. Non ricordo bene, infatti, se il relatore che mi ha preceduto fosse sottosegretario per la giustizia del precedente Governo oppure no. Anzi, vado oltre; in generale, credo di avere un'amnesia piuttosto forte, perché la mia sensazione è che non ci sia stato affatto un Governo precedente a questo da parte di chi questa mattina si è lanciato in pindariche involuzioni e romantiche fantasie, nonché in straordinarie enunciazioni di libri dei sogni. Quindi, prima di affrontare la discussione, credo sia doveroso esaurire una premessa.
L'esame storico-critico della situazione che abbiamo ereditato va compiuto fino in fondo. Chi ci ha preceduto ha compiuto un taglio alle risorse della giustizia pari al 53 per cento. Chi ci ha preceduto ha lasciato in eredità una situazione di blocco totale del sistema giustizia, perseguito, se i comportamenti hanno un senso, se non con scientificità, perlomeno con una certa consapevolezza.
Questo fatto è indiscutibile e va stigmatizzato. Non credo sia accettabile che Pag. 31chi ha la responsabilità della funzione di cinque anni di Governo, anche in tema di giustizia, oggi si alzi per dire che in tale ambito non si è fatto nulla, che non si fa nulla e che c'è un dramma, un'emergenza giustizia.
Esaurita la premessa e fermo restando che, ovviamente, tutti vorremmo che il sistema giustizia forse esauriente, efficace e in grado di rispondere, nei tempi più rapidi possibile, alle problematiche dei cittadini, voglio ringraziare il ministro per il suo intervento, perché è stato coraggioso, ampio, esaustivo e, soprattutto, concreto.
Il ministro ci ha presentato un'idea di riforma possibile, non un libro dei sogni, non una battaglia epica contro e tra i poteri dello Stato, ma, nella consapevolezza di uomo di Governo, una possibile via di fuga dai problemi che noi tutti ben conosciamo, purtroppo, che passa, inevitabilmente, per l'architettura istituzionale del nostro Stato.
Chi siede in questi banchi non può ignorare che il nostro Stato è tripartito nella sua articolazione dei poteri, ossia che esistono diversi poteri e che è necessario che questi interloquiscano tra loro positivamente per dare risposte alla domanda politica della cittadinanza, perché la nostra funzione e quella del Governo è di dare risposte alla domanda politica ed esprimere ciò che serve nel momento in cui serve.
È piuttosto «antiistituzionale» occupare spazi e funzioni di responsabilità - parola che a me piace molto di più rispetto al termine «potere» - usandoli contro uno o contro un altro.
È chiaro che, dalla divisione dei poteri discende anche una serie di centri di imputazione di interessi. Chiamateli sindacati, ordini professionali, associazioni dei consumatori e dei cittadini, movimenti religiosi, comitati civici, eccetera. Chiamateli come ritenete più opportuno. Ma, inevitabilmente, il legislatore deve tenere conto di questo fenomeno sociale, per comporre la risposta politica.
La risposta politica è quella effettivamente percorribile. Non serve a nessuno scrivere sulla carta percorsi che si sa a priori non saranno realizzabili. Occorre dare risposte alla domanda di giustizia che ci rivolgono i cittadini italiani ormai da troppi anni.
Allora, da qui parte una riflessione relativa al problema dei livelli di garanzia nella giurisdizione italiana. Tale problema riguarda il fatto che vi è una tendenza a fissarli al più alto livello possibile, sempre al più alto. Questo principio e questa tendenza si sono tradotti anche in un fenomeno processuale per cui norme di valore semplicemente tecnico ne hanno assunto uno sostanziale. Mi riferisco alla competenza - che, come tutti voi sapete, non inficia il giudizio, ma semplicemente lo interrompe, per spostare il processo da un giudice all'altro - a norme come il difetto di giurisdizione o ad istituti quali la prescrizione. In altri termini, mi riferisco ad una serie di elementi tecnici complementari, che sono divenuti sostanziali per via del continuo e costante uso, anche strumentale, di un eccesso dei livelli di garanzia.
I livelli di garanzia, nel progetto illustrato dal ministro, afferiscono al dato sostanziale.
Pertanto, è giusto e possibile che si fissi una tempistica iniziale dei vari procedimenti in corso. Segnalo al riguardo la svolta in ambito civile del processo telematico: finalmente è possibile (a Milano lo si è già fatto la settimana scorsa, se non vado errato) dare corso a procedimenti giudiziari per via esclusivamente telematica o quanto meno principalmente telematica, abbattendo costi e tempi, ma, soprattutto, segnando una svolta sul piano dell'aggiornamento e, quindi, rispondendo alla domanda di giustizia dei tanti operatori, anche economici, che molti colleghi prima di me hanno segnalato come elemento importante. Lavorando sugli aspetti tecnici è possibile, quindi, stabilire una tempistica.
L'udienza di programma è un istituto diffuso nel sistema di civil law; è un sistema diffuso laddove esiste la ripartizione dei poteri, è presente un sistema di burocrazia professionale ed i giudici dipendono Pag. 32semplicemente dalla legge e non sono sottoposti al controllo diretto del potere esecutivo. L'udienza di programma è un elemento che servirà finalmente ai cittadini per sapere quando avrà termine la lite sul diritto controverso.
Altrettanto coraggiosi e possibili sono gli altri interventi in materia di ordinamento giudiziario, di giustizia minorile, di recupero dell'edilizia carceraria che tanto l'indulto e l'iniziativa parlamentare quanto la sospensione e la modifica del precedente ordinamento giudiziario, votato anche in buona parte dall'opposizione, hanno reso possibile.
Mi avvio mio malgrado a conclusione, perché il tempo è esaurito, ringraziando ancora il signor ministro. Certamente esprimo il mio appoggio e quello del mio gruppo parlamentare (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).
(Annunzio della presentazione di risoluzioni)
PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Elio Vito ed altri n. 6-00010 e Maran ed altri n. 6-00011, il cui testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A - Risoluzioni sezione 1).
(Ripresa della discussione)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Daniele Farina. Ne ha facoltà.
DANIELE FARINA. Signor Presidente, signor ministro, questa è la prima stazione, chiamiamola così, che lei compie nel corso del suo incarico, adempiendo ad un obbligo di legge. Gode, dunque, favorevolmente della circostanza che non abbiamo i termini di paragone fra il detto, il programmato ed il fatto.
Meno bene andò un anno fa al suo predecessore Castelli, ma erano del tutto evidenti gli esiti di cinque anni di Governo del centrodestra sul complessivo sistema della giustizia. Esiti che lasciano a lei e a noi una pesante eredità, nettamente peggiorativa rispetto ad una difficoltà che, non lo nascondiamo, ha un carattere comunque storico, per cui il collega Capotosti con un po' di ironia diceva di soffrire di amnesia; a fronte di questa eredità del centrodestra, spero che gli italiani, invece, non ne soffrano.
Lei ha esposto un programma ambizioso che, se realizzato nell'arco di questa legislatura, farebbe gridare al miracolo. Quindi, lavoreremo con lei nel rispetto delle reciproche differenze perché questo miracolo si compia.
È perciò con piacere che abbiamo ascoltato il programma di riforma che ci ha proposto in questa sede, così come abbiamo letto gli intendimenti da lei recentemente espressi a Caserta.
Una giustizia più rapida in sede penale e, soprattutto, civile è obiettivo che ovviamente condividiamo. A questo affianchiamo però la percezione chiara della qualità attuale del nostro sistema penale e penitenziario, rispetto al quale rileviamo di fatto una diversità di trattamento dei cittadini sulla base della loro disponibilità economica.
Il rafforzamento del gratuito patrocinio, la riforma dei codici orientata verso la riduzione del carico penale sulla società rimangono, dunque, per noi i tratti di un cammino necessario.
Il mio gruppo ha sostenuto il provvedimento di indulto che molte polemiche e opposizioni ha suscitato nel paese più che nel Parlamento e contro cui abbiamo sentito ancora oggi in quest'aula gli strali di una parte del centrodestra! Tale provvedimento, che dobbiamo continuare a monitorare con attenzione, mantiene comunque la caratteristica di essere stato il prerequisito di ogni possibile, ulteriore riforma. A tale riguardo, continuiamo a sollecitare anche il rafforzamento delle misure alternative, le misure postcarcerarie, che rappresenta la condizione necessaria affinché quel provvedimento, anziché alimentare una percezione negativa, sia in grado di dispiegare i suoi effetti positivi.
Non ci sfugge, tuttavia, il fatto che il disastro vaticinato da molti non si è realizzato e che invece, come abbiamo sostenuto, Pag. 33l'indulto ha avuto un positivo effetto generale di prevenzione, non incidendo negativamente sulla sicurezza dei cittadini. Se il miracolo che lei, ministro, ha annunciato si compirà, lo dovremo anche grazie a questo straordinario e difficile inizio.
Recentemente - sabato scorso, nell'ambito di un'iniziativa delle Camere penali - abbiamo ascoltato volentieri un magistrato del tribunale di Milano marcare il punto secondo cui non risponde necessariamente al vero che «le carriere» sono «di destra» e «le funzioni» sono «di sinistra», o viceversa. Dunque, nell'ambito della riforma dell'ordinamento giudiziario che abbiamo promesso (e, in parte antica, sospeso), la discussione che dovremo svolgere è ancora ampia.
In ultimo - un po' «fuori sacco», se vogliamo! -, leggiamo dell'intenzione da lei sostenuta, signor ministro, di introdurre nell'ordinamento un reato per sanzionare chi nega l'Olocausto. Ebbene, in questi banchi troverà per storia, identità ed idea di futuro i nemici più acerrimi di quella cultura orrida, tragica e deteriore che nega cercando di giustificare; e tuttavia ritengo sia questo un problema che investe non il codice, ma la cultura, la scuola e la società.
Io - questo è il mio modesto consiglio - mi spenderei maggiormente per far sì che norme esistenti, di carattere costituzionale (ad esempio, il divieto di ricostituzione del partito fascista) od ordinarie (come la punibilità dell'istigazione all'odio razziale), vengano rigorosamente applicate laddove risulta evidente che spesso non lo sono; così, l'inconcepibile diventa nella società prassi tollerata, nonché attività di organizzazione politica e di programma.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, signor ministro, il presidente della Commissione giustizia, onorevole Pisicchio, ha già assicurato la piena collaborazione del Parlamento alla vasta azione riformatrice che ella ha preannunciato nell'ampia informativa che ha testè reso per guarire una giustizia ad elevato grado di malattia.
In questa sede, confermo la collaborazione del gruppo Italia dei Valori, il quale, proprio con questo spirito, ha già presentato due proposte di legge in tema di razionalizzazione della giustizia penale quale anticipazione di riforme «a costo zero».
Nella nostra intenzione, la proposta di legge n. 1392 è vanamente vista come alternativa all'indulto (che abbiamo osteggiato). Tale provvedimento è fondato sulla definizione del processo senza condanna nei casi di tenuità del fatto e, come anche ella ha ricordato, sulla riparazione e sull'esito positivo della prova in seguito alla sospensione del processo. La proposta di legge prevede, inoltre, l'abrogazione delle modifiche normative introdotte dalla cosiddetta legge ex Cirielli in materia di recidiva, nonché dalle cosiddette leggi Bossi-Fini e Fini-Giovanardi in materia di immigrazione e di droga.
Più recentemente, abbiamo presentato una seconda proposta di legge in materia di notificazioni, sospensione delle prescrizioni per i contumaci, semplificazione della redazione delle sentenze e delle inammissibilità in caso di impugnazione, ripristino dei termini di prescrizione (riferiti a quelli preesistenti alla cosiddetta legge ex Cirielli e all'impugnabilità delle sentenze di assoluzione da parte del pubblico ministero) nonché previsione combinata della cosiddetta sezione-stralcio e dell'ampliamento del patteggiamento in ogni stato e grado del giudizio, al fine di fronteggiare la pesante zavorra dei processi per reati coperti da indulto.
Offriamo tale contributo al Parlamento, al Governo e a lei, signor ministro, poiché riteniamo che la democrazia passi anche attraverso l'efficienza della giustizia.
A tale proposito, le domandiamo se, in tema di riforme globali dei codici sostanziali e processuali, non sia più opportuno agire mediante legge delega, chiedendo alle Commissioni parlamentari competenti di lavorare prioritariamente, in questa fase, sui principi e sui criteri, data la vastità del Pag. 34lavoro da compiere. Le chiediamo inoltre, signor ministro, se non sia opportuno che ella presenti le grandi riforme prima alla Camera dei deputati, in quanto essa sarebbe in condizioni di fronteggiare un terzo esame.
Per quanto riguarda i minori, abbiamo apprezzato la sua contrarietà all'abbassamento della soglia di imputabilità. Io ebbi l'onore di presentare, nel 1990, la proposta di risoluzione n. 45115, poi approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite: proprio in materia di uso strumentale dei minori da parte della criminalità organizzata, essa prevedeva che pagassero doppio gli adulti, invece che i minori.
Per quanto riguarda, infine, la separazione delle carriere, noi abbiamo apprezzato ed apprezziamo il suo netto «no»: il tema non è nel programma dell'Unione e del Governo. Dal disegno di revisione costituzionale presentato dall'Unione delle camere penali a Milano (è stato ricordato poc'anzi) emerge il vero obiettivo: il radicale depotenziamento della magistratura, ridotta da potere ad ordine, come gli ingegneri, i medici, gli avvocati, e l'introduzione della maggioranza dei componenti non togati all'interno del Consiglio superiore della magistratura, che, comportando la perdita del governo autonomo e l'aumento della politicizzazione della magistratura, rappresenterebbe il presupposto per il suo controllo da parte del potere politico, nonché la perdita della sua indipendenza. Questo è il vero grande rischio, onorevole ministro!
Italia dei Valori confida che gli alleati di Governo non si spingano su questo terreno, che è estraneo alla cultura ed al programma dell'Unione. Comunque, essa chiede a lei, signor ministro, ed al Governo, di esercitare una ferrea vigilanza affinché sia respinto questo tentativo...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
FEDERICO PALOMBA. ...di scardinamento dell'impianto costituzionale - concludo, signor Presidente - e siano preservate l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, che non sono un privilegio corporativo, ma una garanzia per i cittadini: una magistratura libera, anche con qualche inefficienza, è infinitamente migliore di una magistratura governata dai politici di turno!
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle comunicazioni del ministro della giustizia.
(Annunzio della presentazione di un'ulteriore risoluzione)
PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Consolo n. 6-00012, che si aggiunge alle due già annunciate in precedenza (Vedi l'allegato A - Risoluzioni sezione 1).