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Discussione del disegno di legge: Modernizzazione, efficienza delle Amministrazioni pubbliche e riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese (A.C. 2161-A); e delle abbinate proposte di legge: Pedica ed altri; Nicola Rossi ed altri; La Loggia e Ferrigno (1505-1588-1688) (ore 11,40).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 2161-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari L'Ulivo e Forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Giovanelli, ha facoltà di svolgere la relazione.
ORIANO GIOVANELLI, Relatore. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, modernizzare e dare maggiore efficienza alla pubblica amministrazione e ridurre gli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese non è solo uno dei temi centrali del programma di Governo e dell'azione che la maggioranza vuole portare avanti in questa legislatura, ma è una delle questioni centrali della vita del Paese, rispetto alla quale, pur tra posizioni e sottolineature diverse, credo stia maturando una consapevolezza generale, anche sotto la spinta delle associazioni dei consumatori e delle imprese.
Il sistema Italia paga un prezzo troppo alto, a volte insopportabile, nel quadro di un confronto europeo globale, sia in termini di accessibilità ai diritti fondamentali da parte dei cittadini, in particolare coloro i quali vivono in condizioni più svantaggiate, e delle famiglie, sia in termini di costi, tempi e quindi competitività per le imprese, a partire dalla miriade di piccole e piccolissime aziende che connotano il nostro sistema produttivo. Non è un dato ineluttabile del nostro essere italiani. Quella sorta di rassegnazione che si affaccia ogni volta che questo tema viene posto in evidenza è del tutto ingiustificata e spesso risulta essere un atteggiamento che avvalora posizioni che, in verità, puntano solo ad aggirare la funzione ineliminabile della pubblica amministrazione in un Paese civile e democratico o a mantenere la pubblica amministrazione in una condizione di arretratezza e inefficienza perché di questo Stato si percepiscono solo i potenziali vantaggi in termini di rendita politica, assistenziale e clientelare.
Del resto la pubblica amministrazione è già cambiata in modo significativo in questi ultimi tre lustri, sia per effetto delPag. 3recepimento di norme europee sia per effetto di una legislazione nazionale particolarmente ricca negli anni Novanta, sia per effetto delle riforme istituzionali, della funzione legislativa attribuita in campi importanti alle regioni e all'autonomia amministrativa degli enti locali , sia per l'irrompere delle nuove tecnologie per i processi di attribuzione a soggetti esterni alla pubblica amministrazione di servizi e funzioni rilevanti.
Questo processo di innovazione, che ha dato luogo ad esperienze eccellenti, ha fatto anche emergere nuove contraddizioni, nuove incertezze ed opacità, che via via era necessario affrontare; ma così non è stato. Il processo di adeguamento della pubblica amministrazione - a causa dei cambiamenti istituzionali, sociali ed economici - è stato messo fra parentesi e ha sofferto di mancanza di continuità di intervento, di chiarezza di indirizzo, di una sistematica verifica dei risultati capace di evidenziare le criticità da rimuovere, gli aggiornamenti da promuovere.
Non si tratta, quindi, di invocare nuove leggi di riforma generale, quanto di dare corso ad una «manutenzione» - per usare un termine che inizia ad affermarsi nel nostro linguaggio - del corpo normativo a disposizione.
Del resto, sono così numerosi i fattori che incidono sulla qualità e sull'efficienza della pubblica amministrazione che se solo si prova ad elencarli, qualcuno lo si dimentica di certo: dalla qualità della politica ai sistemi organizzativi, dalla reale distinzione tra politica e gestione alla responsabilità dirigenziale, dalla formazione ai contratti di lavoro, dai sistemi di controllo a quelli di valutazione delle prestazioni, dall'innovazione tecnologica al ruolo dei cittadini, degli utenti e dei consumatori.
Proprio per questo motivo, non è pensabile affidare le sorti della nostra pubblica amministrazione ad una sola azione, per quanto forte e positiva essa possa essere. È necessario agire su più «pedali», ed è necessario farlo con continuità e avere un riferimento unitario. Tale riferimento unitario non può che essere questo: porsi esclusivamente dal punto di vista del cittadino, dell'impresa che vuole fare, che vuole risposte certe, nella garanzia della legalità e della trasparenza, cioè, di quel cittadino, di quell'impresa che non agisce in modo abusivo o illegale, ma che per la sua lealtà civica, non vuole essere penalizzato, oberato, limitato nelle sue corrette e legittime aspettative.
Ritengo che alcuni provvedimenti, che questa stessa Assemblea ha esaminato in questi mesi, si sono mossi in una direzione che accoglie, seppur parzialmente, tale punto di vista. Mi riferisco ad alcuni contenuti dei cosiddetti decreti-legge e disegno di legge Bersani, e del cosiddetto disegno di legge Capezzone sullo sportello unico per le attività produttive.
Per incentivare un nuovo civismo indispensabile per coniugare legalità e libertà occorre incentivare la responsabilità della pubblica amministrazione verso i cittadini, la trasparenza, la certezza, la tempestività delle risposte. Del resto, anche l'attuale dibattito - così violento ed esteso - sui costi della politica, in verità associa in un unico e indistinto contenitore ai costi propri della politica anche i costi della pubblica amministrazione, rispetto al beneficio che i cittadini e le imprese avvertono di ottenere dalla sua azione.
Una politica che dimostra di non riuscire a mettere insieme un sistema di comportamenti e regole amministrative ispirate ad economicità, efficienza, efficacia, imparzialità, trasparenza, si allontana dai cittadini e ne provoca reazioni anche irrazionali.
Il disegno di legge n. 2161 del Governo - assunto dalla I Commissione come testo base di questo provvedimento -, al cui esame sono stati collegati altri progetti di legge di colleghi di diverse componenti politiche, rientra pienamente nell'ottica di quella «manutenzione» di norme esistenti, che ho citato in precedenza. Esso si pone, inoltre, l'obiettivo di rafforzare la certezza di risposta, la celerità della stessa, la trasparenza, la responsabilità nel garantirla, la semplificazione nel rapporto fra il cittadino e la pubblica amministrazione. Esso si muove, cioè, non solo idealmente,Pag. 4ma concretamente dentro al filone di altri provvedimenti che ho citato, contribuendo a definire la possibile lettura di una strategia.
Il citato disegno di legge si articola in due capi: il capo I contiene misure volte alla riorganizzazione dell'azione amministrativa, alla riduzione e alla certezza dei tempi dei procedimenti e relative forme di tutela; il capo II prevede misure finalizzate alla riduzione degli oneri per i cittadini e per le imprese.
Le misure previste al capo I sono, senza dubbio, più omogenee; quelle previste al capo II sono più differenziate, per le materie in cui si interviene. L'articolo 1 contiene modifiche alla legge 7 agosto 1990, n. 241, in relazione ai tempi del procedimento. Credo che non sfugga a nessuno il valore emblematico che la legge n. 241 del 1990 assunse al momento della sua entrata in vigore, nel delicato rapporto fra cittadini e pubblica amministrazione, proprio in merito alla certezza dei tempi di risposta, alla partecipazione del cittadino, al procedimento amministrativo che lo riguarda, al suo diritto di accesso agli atti.
Credo sia possibile, altresì, convenire che alcuni di tali nuovi diritti per il cittadino si siano infranti in quella straordinaria capacità della nostra pubblica amministrazione di salvaguardare la propria autoreferenzialità, la propria discrezionalità, la propria propensione a sfuggire il principio di responsabilità. Obiettivamente, tale legge individua alcuni nodi critici e li affronta con chiarezza. Vediamoli in estrema sintesi.
In primo luogo, la durata del procedimento amministrativo: ove non sia espresso un termine diverso, i procedimenti devono essere conclusi entro trenta giorni. Con regolamenti, le amministrazioni possono definire tempi diversi, ma non superiori a novanta giorni e - forte novità - solo con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si possono prevedere termini superiori a novanta giorni e, comunque, non superiori a centottanta giorni.
Il senso del cambiamento è chiaro: non si lascia alla dinamica autoconservativa dell'amministrazione la discrezionalità di derogare al limite di tempo in cui si deve concludere (in modo espresso) un procedimento, ma tale responsabilità viene posta in capo alla politica - alla Presidenza del Consiglio dei ministri - e, comunque, entro un limite tassativo.
Un ulteriore fattore di aggiramento della legge n. 241 del 1990 consiste nella sistematica interruzione, diversamente motivata, da parte delle amministrazioni, dei termini di conclusione dei procedimenti. Il provvedimento in esame supera il concetto di interruzione dei termini e stabilisce la possibilità di sospendere il procedimento, il quale riparte, di conseguenza, dal momento in cui viene rimossa la causa di sospensione, per una sola volta.
Cosa accade nel caso in cui tali tempi non vengano rispettati? Oggi il cittadino può soltanto ricorrere in giudizio per il risarcimento del danno recato dalla pubblica amministrazione: ciò significa che solo in casi significativi - laddove gli interessi in ballo siano consistenti - avremo un cittadino (o un'impresa) che ricorre al tribunale amministrativo regionale per vedere se è riconosciuto il danno. E per tutti quei cittadini che non hanno interessi economici rilevanti in ballo, ma che vengono quotidianamente torturati da una pubblica amministrazione che non risponde o che rinvia sistematicamente la risposta? Oggi costoro non hanno difese.
In tal senso, quindi, si comprende il significato di discontinuità che si introduce nel sistema prevedendo che, nel caso cui l'amministrazione non rispetti i tempi di risposta previsti dalla legge, a prescindere dall'azione di risarcimento del danno per il mero ritardo, l'amministrazione corrisponda ai soggetti interessati una somma che va - in prima applicazione - da un minimo di 25 ad un massimo di 250 euro, che verrà definita con regolamento. È del tutto evidente che il dirigente dell'ufficio in cui si verifichi il ripetuto, mancato rispetto di conclusione dei tempi procedimentali, non potrà vedersi riconosciuta, in tutto o in parte, l'indennità di risultato.Pag. 5
Un ulteriore punto dolente del rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi riguarda l'acquisizione dei pareri, obbligatori o facoltativi, da parte di altre amministrazioni. I termini di acquisizione dei pareri sono di quarantacinque giorni, decorsi i quali, nel primo caso l'amministrazione ha facoltà di concludere il procedimento ugualmente, senza che l'organo che emette il provvedimento venga chiamato a rispondere; nel secondo caso deve concludere, comunque, il procedimento. I servizi di controllo interno sono tenuti a monitorare i tempi di conclusione dei procedimenti, a riferire annualmente sul loro rispetto e a presentare piani di riduzione dei tempi stessi.
L'articolo 2 prevede modifiche al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, in materia di elenchi della documentazione necessaria, moduli e formulari. In sostanza, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, le pubbliche amministrazioni dovranno rendere disponibile, attraverso gli uffici per le relazioni con il pubblico o per via telematica, gli elenchi della documentazione necessaria da presentare insieme all'istanza ai fini dell'adozione del provvedimento amministrativo richiesto, nonché l'elenco dei provvedimenti per i quali vige il silenzio assenso. Nessun altro documento potrà essere richiesto ai fini della conclusione del procedimento, se non con atto motivato.
Seguono alcuni articoli volti ad incentivare l'utilizzo delle nuove tecnologie: in particolare segnalo l'articolo 4, che si propone di sbloccare, in via definitiva, l'adozione del protocollo informatico, prevedendo - laddove esso non sia effettivamente attuato - la nomina del responsabile per i sistemi informativi automatizzati di ogni pubblica amministrazione centrale, a commissario ad acta per l'attuazione del protocollo informatico entro centottanta giorni dalla sua nomina. Il Governo, inoltre, promuove intese con regioni ed enti locali, per favorire la generale adozione dei sistemi di protocollo informatico.
L'articolo 5 prevede, per un periodo sperimentale di due anni, l'incentivazione della riprogettazione e della riorganizzazione dei processi di servizio in deroga alla vigente normativa statale, fatte salve, ovviamente, una serie di garanzie. L'idea consiste nel valorizzare le esperienze innovative e, in particolare, favorire un ripensamento «in digitale» dei procedimenti amministrativi e non la semplice trasposizione informatica delle procedure pensate in forma cartacea.
Uno dei temi più discussi in Commissione è stato l'ambito di applicazione di tali innovazioni. L'articolo 7 del provvedimento tiene conto delle competenze dei diversi livelli istituzionali previsti nel Titolo V della seconda parte della Costituzione e del fatto che esistano gestori di servizi di pubblica utilità, la cui azione incide sulla tempestività ed efficacia dei procedimenti amministrativi, nonché sull'erogazione dei servizi diretti ai cittadini e alle imprese. In tal senso, rilevo che la Commissione bicamerale per le questioni regionali non ha rilevato alcun contrasto con il Titolo V della Costituzione. Sono indicate quante e quali misure - contenute nel provvedimento - siano da ritenersi attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione ed è stabilito, di conseguenza, che regioni ed enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possano stabilire garanzie inferiori a quelle previste dalla legge.
Al fine di fare in modo che i contenuti di tale provvedimento si estendano ai gestori di servizi di pubblica utilità di cui all'articolo 2, comma 1, della legge n. 481 del 1995 e ai gestori degli altri servizi di interesse generale, compresi i servizi pubblici locali, che saranno individuati entro centottanta giorni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, fatte salve le competenze delle regioni e delle autonomie locali, si interviene prevedendo un articolo 29-bis alla legge n. 241 del 1990.
All'articolo 9 si prevedono modifiche in merito al ricorso straordinario al Capo dello Stato, mentre l'articolo 10 contiene misure per la digitalizzazione degli atti e dei documenti nei processi amministrativo,Pag. 6contabile e tributario. In particolare, esso contiene due deleghe al Governo: la prima relativa al riordino della normativa sulle comunicazioni e sulle notificazioni per adeguarle al processo telematico e la seconda relativa alle modalità di conferimento della procura alle liti, sempre al fine di adeguarle al processo telematico.
Il capo secondo, come dicevo, contiene norme più eterogenee, ma comunque tutte finalizzate alla riduzione degli oneri per i cittadini e per le imprese. Mi limito a fare alcune segnalazioni emblematiche.
All'articolo 11 si prevede che, limitatamente all'edilizia privata, il certificato di agibilità venga sostituito dalla dichiarazione di conformità alla normativa vigente in materia di agibilità degli edifici e degli impianti installati, rilasciata dal direttore dei lavori. Inoltre, si demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio, da emanarsi entro centottanta giorni, l'individuazione delle materie e le tipologie di attività per le quali i controlli amministrativi periodici si sovrappongono a quelli dei soggetti certificatori, accreditati in conformità a norme tecniche europee e internazionali, al fine di eliminare doppioni inutili.
All'articolo 13 si prevede l'obbligo, anche per i gestori di servizi bancari e assicurativi, di accettare le autocertificazioni presentate dai clienti, ponendo in capo alle pubbliche amministrazioni interessate su richiesta dei gestori dei servizi bancari o assicurativi, di confermare per iscritto la veridicità delle autocertificazioni.
L'articolo 14 contiene disposizioni volte a semplificare la procedura relativa all'acquisto di personalità giuridica.
L'articolo 15 prevede, a decorrere dal 1o gennaio 2007, il prolungamento a dieci anni della validità della carta d'identità e contiene una delega per la semplificazione e il riassetto delle disposizioni in materia anagrafica, compresa quella dei residenti all'estero.
L'articolo 17 detta i principi e i criteri direttivi per una delega al Governo in materia di sanzioni amministrative e pecuniarie nei confronti dei gestori di servizi aeroportuali, degli operatori aerei, dei manutentori aeronautici e dei prestatori di servizi di trasporto aereo.
Si tratta per sommi capi del contenuto del disegno di legge che ci apprestiamo ad esaminare. Prima di concludere, però, vorrei richiamare l'attenzione dell'Assemblea su un punto che per il suo rilievo politico credo non mancherà di animare il dibattito sul provvedimento in esame, già di per sé fuor di dubbio rilevante e positivo e in sintonia con alcune aspettative presenti nel Paese in merito ad una diversa idea di pubblica amministrazione.
Mi riferisco alle disposizioni presenti, fino all'ultimo giorno, nel testo in Commissione e che invece abbiamo ritenuto di cassare, in seguito al pronunciamento della Commissione Bilancio, in primo luogo, ma anche della Commissione Lavoro, riservandoci casomai di recuperarne il contenuto per la discussione in Assemblea, qualora si verifichino quella chiarezza e condivisione politica che potrebbero consentire che le norme che sto per illustrare siano approvate senza divisioni e tensioni inutili.
PRESIDENTE. Onorevole Giovanelli, concluda.
ORIANO GIOVANELLI, Relatore. Concludo, Presidente. La Commissione aveva ritenuto, all'inizio del suo lavoro, di collegare all'esame del cosiddetto disegno di legge Nicolais non solo i provvedimenti citati assieme ad esso, ma anche i progetti di legge Turci A.C. 2080 e Lucchese A.C. 590.
Pur partendo da posizioni piuttosto lontane eravamo giunti ad un punto di mediazione importante che poteva vedere inserita, nel disegno di legge in esame, la previsione di una commissione autonoma da collocarsi presso il CNEL, che avrebbe potuto svolgere un ruolo, a mio parere, prezioso, per verificare la qualità dell'output della pubblica amministrazione e, a tal fine, predisporre linee guida, modelli e metodi per la valutazione non dei singoli operatori della pubblica amministrazione, ma del sistema pubblica amministrazione.Pag. 7
Rimando, per i colleghi che fossero interessati ad un approfondimento, al dibattito svoltosi in Commissione giovedì 14 giugno e agli atti della stessa Commissione. Niente a che vedere con strumenti invasivi della contrattazione tra il Governo e le organizzazioni sindacali, niente a che vedere con posizioni liquidatorie e non ben motivate rispetto allo stato della pubblica amministrazione e a ciò che effettivamente ad essa serve per essere all'altezza della domanda di un Paese moderno.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi ringrazio per l'attenzione e confido che il dibattito in Assemblea non solo ci consenta di addivenire presto all'approvazione dell'utile e positivo provvedimento in esame, ma che sia anche un'occasione vera per fare un passo in avanti tutti assieme verso un'idea condivisa di pubblica amministrazione. Essa, per il rispetto che va riconosciuto a quanti vi si dedicano con passione e professionalità non può essere derubricata a malato incurabile, dobbiamo piuttosto lavorare affinché venga innalzata a strumento indispensabile per la modernizzazione e la competitività del sistema Paese.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
LUIGI NICOLAIS, Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione. Signor Presidente, il Governo condivide pienamente la relazione dell'onorevole Giovanelli, ritiene che la discussione dell'articolo 10 possa essere riportata in questa sede, alla Camera, e auspica che rapidamente si possa raggiungere l'obiettivo di una legge che dia un ruolo forte alla pubblica amministrazione e muti sostanzialmente il rapporto tra la pubblica amministrazione e il cittadino.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, mi sembra che la puntuale e precisa relazione dell'onorevole Giovanelli abbia, con grande attenzione, individuato tutti i punti della proposta di legge in esame. Quindi, vorrei fare un discorso di carattere più generale sulla modernizzazione dell'amministrazione, cui fa riferimento il titolo della proposta, anche perché l'affetto e l'amicizia che mi legano al Ministro mi rendono poco imparziale nel giudizio.
Siamo partiti nel 1990, con la legge n. 241, con un progetto molto ambizioso, direi radicale, di trasformazione della pubblica amministrazione. Forse molti, anzi tantissimi, non si resero neanche conto di quale enorme trasformazione si stava avviando nel nostro Paese con l'articolo 1 della legge n. 241 del 1990. Tale legge passò sotto silenzio e non fu molto considerata, se non nei ristretti ambienti che si occupano di queste materie; era, invece, una legge destinata a segnare gli anni successivi.
Essa aboliva il principio della segretezza dell'amministrazione, passando da tale principio a quello, esattamente opposto, della trasparenza, e aboliva, o cercava di abolire, il principio autoritativo della pubblica amministrazione, che era stato il cardine dello Stato liberale della fine dell'Ottocento e di tutto il Novecento, con la parentesi, ancor più autoritativa, del fascismo, e che aveva trovato applicazione anche nella vigenza dell'attuale Costituzione; con la legge n. 241 del 1990, invece, si è passati a un principio di partecipazione.
Si introduceva, dunque, il ribaltamento della pubblica amministrazione e del rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini. Ovviamente, i costumi, le usanze e le mentalità non si cambiano con le leggi, che inseguono i costumi e cercano, qualche volta, di anticiparli. Possono dare un piccolo contributo, ma sono gli anni e la storia che possono incidere fortemente. Da quel momento è partita una tumultuosa rincorsa alla modificazione del quadro della pubblica amministrazione. Si è trattato di una rincorsa eccessivamente tumultuosa, nella quale si è perso un po' di vista il quadro complessivo al quale volevamo pervenire. Ricorro ad alcuni esempi: il decreto legislativo n. 29 del 1993 sul pubblico impiego credo sia stato modificatoPag. 8in 14 anni perlomeno 15 volte, più di una volta all'anno; il passaggio della giurisdizione, sempre in materia di pubblico impiego; l'introduzione del principio secondo il quale l'attività della pubblica amministrazione si deve basare sulle norme di diritto privato.
C'è un quadro così complesso e articolato che, francamente, ritengo oramai si impongano una seria riflessione e un'analisi di quello che abbiamo fatto in questi anni. Offro tale ragionamento come spunto di riflessione al Ministro, che so molto attento a queste tematiche e che, peraltro, come me, ha avuto la fortuna di vivere un'esperienza di amministrazione attiva in una regione in cui l'amministrazione attiva è cosa molto complessa e di grande formazione!
Penso quindi che sia oramai giunto il momento, come ha sostenuto anche il relatore Giovanelli, di fare un punto della situazione, a distanza di oltre 15 anni dall'avvio del processo di trasformazione della pubblica amministrazione, per capire se abbiamo avuto successo e se il processo avviato è stato completamente attuato. Ritengo che in larga parte ciò sia avvenuto, ma in maniera disordinata e imprecisa.
Prendo a base la famosa tematica su cui tanto si è dibattuto in questi dieci anni, il fatto cioè che la pubblica amministrazione dovesse basarsi su norme di diritto privato. Sembrava che fosse la panacea per risolvere i problemi della pubblica amministrazione; poi, ovviamente, ci si è resi conto che le norme di diritto privato possono riguardare i privati, che possono fare quello che vogliono di ciò che hanno, ma la pubblica amministrazione è cosa diversa.
Non a caso lei, signor Ministro, propone l'inserimento nell'articolo 1 della legge n. 241 del 1990 della parola «imparzialità». Tale modifica sarebbe inutile - perché da un punto di vista strettamente giuridico il principio è contenuto già nella Costituzione - se introdurre oggi quella parola - che è la base, il cardine, degli articoli 3 e 97 della Costituzione - non avesse un significato politico. Credo che in questa fase vi sia la necessità di riaffermare tale principio rispetto a una corrente di pensiero che vuole una pubblica amministrazione «privata», dal momento che le norme di diritto privato non soddisfano le esigenze di imparzialità della pubblica amministrazione stessa. Il privato può contrattare come vuole, può vendere il proprio bene anche a un valore di gran lunga inferiore rispetto a quello che vale, perché magari il contraente gli è più simpatico o per mille altre ragioni. La pubblica amministrazione questo non lo può fare; anche su ciò occorre una riflessione.
Il passaggio della giurisdizione: è stato un fatto positivo o un fatto negativo? I lavoratori del pubblico impiego, o dell'ex pubblico impiego, i lavoratori contrattualizzati, hanno perso tutela? Il contratto di pubblico impiego così modificato quali effetti negativi può determinare rispetto alla precedente situazione? Certo non voglio tornare al passato, però ritengo che in questa fase sia necessario riordinare complessivamente le idee, e in particolare penso che il Parlamento si debba riappropriare del proprio ruolo.
La legge n. 241 del 1990 e le leggi di modernizzazione incidevano sull'amministrazione, e quindi sui ministeri, sui comuni, sulle regioni, ma principalmente sugli apparati. In questi 15 anni il Parlamento, a mio avviso, ha avuto la colpa di aver lasciato il processo di trasformazione nelle mani di quei soggetti che dovevano subire la trasformazione, senza controllare adeguatamente il processo stesso. Questo è il punto sul quale oggi dobbiamo compiere una riflessione: invito a ciò, in particolare, il Presidente della I Commissione, che quanto a efficienza non ha bisogno di nessuna legge (anzi, forse avrebbe bisogno di qualche legge in senso contrario!). Dovremmo, dunque, riappropriarci di questo ruolo, per capire quanto il processo di trasformazione della pubblica amministrazione sia un processo che sta avvenendo solo dall'interno - e questo non è opportuno - e quanto invece non sia guidato dall'esterno, vale a dire dal soggetto politico, dalle Camere.Pag. 9
Mi rendo conto che nel corso degli anni la decretazione legislativa ha avuto un'espansione enorme, anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale sulla non reiterabilità dei decreti-legge. Dopo tale sentenza la decretazione legislativa ha preso un po' la mano, direi, a tutti quanti noi. Ovviamente, ciò sta quindi comportando tutte queste problematiche; ma è giunto il momento - e lei, signor Ministro, con la sua esperienza e con la sua bravura è certamente il soggetto in grado di poterlo fare - di prenderci una pausa di riflessione e di riconsiderare le problematiche alle quali ho fatto cenno.
Ciò anche alla luce di un'ulteriore riflessione alla quale mi accingo, relativa al momento di crisi, sia del processo di delegificazione sia del processo di semplificazione, che si è prodotto nel nostro Paese.
Si tratta di due temi molto importanti. Il processo di delegificazione rappresentava uno strumento di notevole rilevanza, che avrebbe dovuto consentire alle Camere di occuparsi solo dei grandi temi di principio e delle grandi linee di sviluppo del Paese, anche della pubblica amministrazione, ma constatiamo che tale processo è oggi fortemente rallentato, come anche il processo di semplificazione della legislazione (ho rimarcato più volte che questa situazione, a mio avviso, è dovuta proprio al fatto che le leggi ormai vengono predisposte dalle amministrazioni, le quali hanno molti pregi ma non certo quello della sintesi). Ciò detto, desidero solo svolgere due brevissime notazioni e rivolgere, anche a tal riguardo, due inviti.
In primo luogo, signor Ministro, credo permanga il problema di stabilire se tutto il ritardo possa essere sanzionato, sia quello che riguarda i diritti dei cittadini sia quello che attiene agli interessi degli stessi: è una domanda che le pongo, poiché nutro qualche perplessità sul tema, e una riflessione al riguardo sarebbe doverosa. Siamo giunti, infatti, dopo oltre un secolo, a riconoscere la risarcibilità degli interessi legittimi: sono occorsi centoventi anni per affermare tale principio, ed è stato necessario che l'Unione europea ci sollecitasse ripetutamente in tal senso, mentre la giurisprudenza continua a cercare di eluderlo. Mi chiedo, dunque, se siamo arrivati a sanzionare il ritardo anche nei procedimenti che riguardano gli interessi.
In secondo luogo, il disegno di legge tocca solamente le norme della legge n. 241 del 1990 relative alle conferenze di servizi, ma la invito, signor Ministro, ad incidere più in profondità sulle stesse. La legislazione sulle conferenze di servizi è diventata un'assurdità, nel senso che ciò che doveva essere un procedimento acceleratorio e semplificatorio della pubblica amministrazione, volto a far sì che, attraverso la conferenza, in un'unica sede, tutti potessero affermare i propri interessi, si è trasformato in qualcosa di molto diverso, in un processo che spesso è più lungo del procedimento ordinario. Se lei si sofferma sull'articolo 14 della legge n. 241 del 1990, come trasformato nel corso del tempo, si renderà conto che solo per leggerlo e capirlo ci vuole qualche ora.
Oltretutto, la conferenza di servizi, così come oggi è disciplinata, non è più il luogo per trovare la sintesi tra gli interessi, ma sta diventando sempre di più, nello schema della legislazione attuale, come il luogo in cui alcuni interessi tendono a prevalere su altri. Con queste soluzioni, però, abbiamo visto che non si va da nessuna parte: gli esempi nella nostra regione sono eclatanti, ma basterebbe citare l'alta velocità in Val di Susa o situazioni analoghe. È inutile pensare a luoghi in cui le volontà di alcuni soggetti istituzionali possano prevalere su altre, se poi non si riesce in quelle sedi, che sono le più importanti, a costruire il consenso collettivo per sviluppare tali iniziative.
Oggi, quindi, dobbiamo avere il coraggio di rimettere in discussione le conferenze di servizi, alla luce delle esperienze di questi anni: si è trattato, sia ben chiaro, di una grande idea, ma ancora una volta credo che le amministrazioni abbiano frenato l'attuazione della norma, perché ognuno ha cercato di conservare una fetta di potere nell'ambito della conferenza aPag. 10danno della celerità del procedimento, e ciò ha comportato il sostanziale fallimento dell'istituto.
Concludo ricordando che dobbiamo con coraggio proseguire sulla strada della modernizzazione della pubblica amministrazione. Disponiamo oggi degli strumenti tecnologici che ce lo consentono, i quali rappresentano il cardine della modernizzazione. Nel disegno di legge al nostro esame - come lei, signor Ministro, trattandosi di materia in cui è ben più esperto di me, sa - vi sono molte norme che agevolano sotto il profilo dell'aggiornamento tecnologico. Dobbiamo, quindi, continuare con coraggio, ma anche riflettendo su quanto abbiamo realizzato nel passato. Troppe volte guardiamo solo a come riformare, senza considerare cosa si è verificato con le riforme già realizzate, mentre, come sempre, per andare avanti bisogna anche guardare a ciò che si è fatto nel passato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Crapolicchio. Ne ha facoltà.
SILVIO CRAPOLICCHIO. Signor Presidente, onorevoli deputati, onorevoli rappresentanti del Governo, il disegno di legge all'odierno esame della Camera dei deputati, unitamente alle abbinate proposte di legge, manifesta il lodevole intento del legislatore di intervenire in un ambito nevralgico del nostro sistema giuridico, ovvero quello del funzionamento della pubblica amministrazione, ove è forte la necessità di assicurare, dopo anni di inerzia, un'adeguata modernizzazione e di conseguire un apprezzabile livello di efficienza, così come richiesto dalla nostra Costituzione.
A fronte dell'accertata esigenza di fornire un deciso impulso alla modernizzazione della nostra amministrazione è dunque evidente che un intervento legislativo quale quello in esame non possa che configurarsi già di per sé come assolutamente positivo. Peraltro, è certamente apprezzabile che con il provvedimento in questione si sia inteso rendere applicabili, in via pressoché generale, le disposizioni in materia di procedimento amministrativo ai gestori di servizi pubblici, i quali sempre più succedono alla pubblica amministrazione nella gestione dei servizi tradizionalmente di competenza della stessa ed ai quali, per tale motivo, si devono richiedere le medesime garanzie di trasparenza ed imparzialità istituzionalmente assicurate dalla pubblica amministrazione.
Ciò detto in linea generale, si ritiene tuttavia opportuno aggiungere, immediatamente, come il provvedimento oggi all'esame della Camera del deputati palesi già ad una prima lettura indubbi lati positivi, anche dal punto di vista concreto. Rappresenta, infatti, un segnale davvero favorevole che, per ciò che attiene alla disciplina del procedimento amministrativo, ci si ponga in una posizione di sostanziale continuità, dal punto di vista giuridico, rispetto al percorso di riforme del nostro impianto amministrativo inaugurato all'entrata in vigore delle prime rilevanti innovazioni recate dalla ormai nota legge n. 241 del 1990. In tale contesto, numerose sono le innovazioni o modificazioni degne, in questa sede, di una positiva menzione.
Innanzitutto, la previsione rigorosa di un termine di carattere generale, volutamente ristretto, per la conclusione dei procedimenti amministrativi, rafforzata peraltro dal principio dell'assoluta eccezionalità di termini più ampi di quello generale e comunque dalla puntuale relativa delimitazione operata dal disegno di legge in esame. A ciò si aggiunga la previsione di riservare ad appositi decreti le deroghe al regime generale.
Inoltre, appare altresì da accogliere la previsione di un obbligo risarcitorio in capo alla pubblica amministrazione per i casi di danni ingiusti derivanti al cittadino dalla violazione dolosa o colposa del termine per la conclusione del procedimento amministrativo, indipendentemente dalla spettanza al cittadino del beneficio derivante dal provvedimento richiesto.
Egualmente positivo, al fine di rendere più efficiente l'operato della pubblica amministrazione, risulta il processo di progressiva responsabilizzazione della figuraPag. 11del responsabile del procedimento e del dirigente di riferimento. Per il primo, il provvedimento in esame codifica un costante obbligo di relazionare al cittadino sullo stato del procedimento amministrativo, soprattutto là dove lo stesso, per cause legittime, si protragga oltre i termini previsti dalla legge. Per il dirigente, il disegno di legge prevede, invece, un rigido regime di dirette responsabilità e di sfavorevoli correlate conseguenze in caso di inadempienza da parte della pubblica amministrazione rispetto ai propri obblighi di legge.
In riferimento a tale ultimo aspetto, si ritiene tuttavia opportuno osservare come, pur considerando condivisibile la conferma della responsabilità dirigenziale anche in tale peculiare settore, sia però preliminarmente necessario che il dirigente sia posto nella condizione, sia a livello strutturale sia a livello funzionale, di potere effettivamente adempiere alle prescrizioni di legge in tema di procedimento amministrativo.
Infine, non si può che essere favorevoli all'insieme di norme finalizzate a favorire la digitalizzazione degli atti e dei documenti dei procedimenti amministrativi contabili e tributari. Ci si augura, tuttavia, che dette disposizioni siano seguite dall'entrata in vigore di adeguate norme di attuazione e dalla messa a disposizione di idonee risorse da destinare a tale ambito, fondamentale per la modernizzazione del Paese.
Tra gli elementi di criticità prendiamo atto, con favore, della soppressione dell'originaria versione dell'articolo 11 del disegno di legge recante disposizioni in materia di valutazione delle amministrazioni pubbliche e già censurato dall'XI Commissione (Lavoro) della Camera dei deputati, nel parere espresso in sede consultiva. Tuttavia, stante l'avvenuta soppressione della disposizione in questione, ci si limita ad evidenziare come l'istituzione della Commissione indipendente ivi prevista, nel caso di specie per la valutazione dei risultati e della qualità dell'azione delle amministrazioni pubbliche, avrebbe dato luogo ad un'altra autorità di carattere indipendente, assai onerosa a livello finanziario e, in realtà, semplicemente destinata ad arricchire il quadro pletorico di enti di tale genere esistenti nel nostro ordinamento.
Nel medesimo contesto si esprime perplessità per la riduzione del termine previsto per la proposizione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
In luogo di tale modificazione, infatti, sarebbe stato presumibilmente preferibile stabilire termini di carattere perentorio per l'emissione del necessario parere da parte del Consiglio di Stato e, in definitiva, per la conclusione dell'intero procedimento.
Infine, ancorché si tratti di norme di buon senso e, dunque, di per sé condivisibili, non si può fare a meno di rilevare la frammentarietà delle innovazioni legislative previste dalle ultime disposizioni del disegno di legge, assolutamente disomogenee rispetto al tenore generale del testo e, pertanto, meritevoli di una separata disciplina. Si pensi, a tal proposito, a titolo esemplificativo, alle disposizioni in tema di riconoscimento della personalità giuridica ovvero in tema di adozioni internazionali.
In buona sostanza, è indubbio che il disegno di legge in esame rappresenti un'innovazione dotata di sicuro pregio, proprio per l'espressa finalità di porre le basi per consentire, finalmente, al Paese un importante passo in avanti nel processo di modernizzazione della pubblica amministrazione.
Si tratta di un positivo intervento che, peraltro, consentirà di estendere efficacemente, nei confronti del crescente numero di soggetti privati gestori di servizi di pubblica utilità, tutte le garanzie di carattere procedimentale previste dalla normativa sul procedimento amministrativo e che rappresenterà sicuramente un valido punto di partenza per continuare nel cammino del rinnovamento e della modernizzazione della pubblica amministrazione in Italia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, siamo nella fase della discussione sulle linee generali del provvedimento sulla modernizzazione della pubblica amministrazione. All'interno di esso, a parte alcuni aspetti che consideriamo marginali ed altri significativi ma non di grande sostanza, vi è un'assenza importante, quella dell'articolo 11, soppresso in sede di esame del provvedimento in Commissione Affari costituzionali nella giornata di giovedì.
L'eleganza con cui il relatore ha trattato l'argomento della soppressione dell'articolo 11 e il buon auspicio di un recupero di tale norma in Assemblea, in un clima sereno, in realtà non serve e non è utile a nascondere un caso politico che, attorno a tale articolo, si è venuto a creare.
È evidente che trattare della modernizzazione della pubblica amministrazione non significa, per forza di cose, discutere soltanto di termini della pubblica amministrazione o di rimborsi quando non sia efficiente, introducendo, quindi, obblighi risarcitori perfino senza spettanze. Una simile misura, a nostro avviso, potrebbe rivelarsi una sorta di boomerang perché non crea una responsabilità selettiva, potrebbe costare molto e dare adito, persino, a fenomeni di corruzione.
Esistono, insomma, rischi e perplessità su taluni aspetti, ma riteniamo che, se si vuole affrontare veramente il tema della modernizzazione della pubblica amministrazione e di una maggiore efficienza della macchina dello Stato al servizio del cittadino, non si possa prescindere dal rapporto con i dipendenti della pubblica amministrazione, dalla loro retribuzione, dalla contrattualizzazione, dall'analisi e dal significato di essa, dall'incentivo alla produttività, dal fatto che il settore ormai è imbrigliato su molti aspetti da una contrattazione limitante.
Spesso in sede di contrattazione, come il Ministro Nicolais sa bene, nella parte normativa del contratto si nota una scarsa consistenza di obblighi alla mobilità, alla produttività e di incentivi; viene sostanzialmente cancellata la valorizzazione del lavoro straordinario; essa si concretizza soltanto in un tira e molla sul quantum, cioè sulla parte economica del contratto.
Questa è la storia dell'ultimo contratto del pubblico impiego, ma anche, forse, dei contratti precedenti. Riteniamo che una rivoluzione si debba fare a partire dal fatto che, probabilmente, sarebbe il caso di cominciare a pensare di introdurre meccanismi automatici all'interno di tale settore.
La Banca centrale europea ci informa che l'Italia dà ai dipendenti pubblici il doppio di ciò che guadagnano, in aumento, i privati.
Esiste, quindi, un grosso squilibro tra i settori esposti alla libera concorrenza e quelli che non lo sono, ma che sono garantiti, protetti e spesso «ultrasindacalizzati», con una discrasia ed una disparità di trattamento assai forte. Tutto ciò viene segnalato dalla Banca centrale europea e ci piacerebbe, Ministro, che lo segnalasse anche l'ARAN. Aspettiamo, infatti, due rapporti trimestrali che l'ARAN non fornisce all'esterno.
Questa è una domanda che colgo l'occasione per porle, signor Ministro, ringraziandola della sua presenza, anche in considerazione di una certa situazione politica: la sua proposta, infatti, è stata mortificata dalla maggioranza parlamentare.
Gli aspetti concernenti la contrattazione del pubblico impiego, l'incentivazione della produttività, anche con riferimento ad una destinazione importante e selettiva dell'integrativo e a tanti altri ragionamenti che è possibile svolgere all'interno di tale quadro, rappresentano il nodo cruciale della questione basata sul principio per cui chi lavora venga pagato di più e chi non lavora venga sanzionato e pagato di meno. Stiamo parlando del fenomeno che all'esterno conosciamo, dalle colonne del Corriere della Sera, come il «fenomeno dei fannulloni». Tale fenomeno rientra nel grande calderone di inefficienza e di insoddisfazione che l'opinione pubblica e i cittadini, che pagano lePag. 13tasse, in questo momento vivono con grande forza. Al suo interno, possiamo ricondurre anche la politica, con i suoi sprechi e le sue inefficienze, ma altresì una pubblica amministrazione che, pur pagata con le tasse dei cittadini, non corrisponde servizi efficaci, effettivi e commisurati alle reali esigenze dei cittadini.
In tale contesto, la lotta al cosiddetto fenomeno del fannullismo, quindi, ha un ruolo ed è la politica che deve riprendere in mano questa sfida. Pertanto, apprezzo anche l'eleganza e la disinvoltura del relatore sul punto in esame. Tuttavia, non possiamo - lo abbiamo anche affermato in Commissione - nasconderci dietro un dito con riferimento alla soppressione dell'articolo 11 del testo originario della proposta del Ministro Nicolais concernente l'istituzione di una Commissione indipendente presso il CNEL per svolgere valutazioni sul merito dei dipendenti pubblici, con competenze che possono anche essere opinabili, spesso cedute da altri enti, quali l'ARAN, la funzione pubblica e l'ISTAT. Tali competenze non risultano, infatti, particolarmente «forti» in termini di efficacia ed incisività: appaiono, forse, più indicate ad un centro studi che non ad una commissione di lavoro che «vendichi» il cittadino dalle inefficienze del pubblico impiego. Tuttavia, Ministro Nicolais, è certamente un primo passo, un segnale che ci vede ben disposti e che, sul provvedimento in esame, vedrà la nostra collaborazione anche in sede emendativa.
La soppressione dell'articolo in esame in I Commissione Affari costituzionali non è dovuta alla mancanza di copertura segnalata dalla V Commissione bilancio, che ha semmai rappresentato il pretesto, ma non il vero motivo. In XI Commissione lavoro, si è verificato un precedente che conosciamo bene noi, il collega Rocchi, la collega Buffo e coloro che in tale Commissione hanno assistito a questa discussione o ne sono stati protagonisti. L'elemento politico di scontro, infatti, è stata una spaccatura forte all'interno della maggioranza tra chi sosteneva la soppressione e chi poi ha, francamente anche in forma impropria, optato per un parere favorevole, a condizione di stralciare l'articolo in questione. Tale procedura non appare certo consueta per una Commissione che deve esprimere un parere in sede consultiva, ma questo è accaduto.
Il nodo vero è stato, infatti, il veto, sulla norma in esame, del sindacato, della CGIL-Funzione pubblica e degli altri confederali. Questa è stata la ragione per cui la Commissione lavoro ha proposto lo stralcio!
Vorrei, pertanto, porre una domanda, anche perché la Commissione lavoro, come tutti sanno, ha rilevato, nelle premesse al parere, che si conveniva sulla necessità della creazione di una autorità indipendente e autonoma sulla valutazione dei dipendenti della pubblica amministrazione. Da tale premessa, peraltro, non è conseguito un parere favorevole tout court, ma un parere favorevole, condizionato alla richiesta di stralcio.
Ebbene, questo è stato, certamente, il nodo centrale della questione! Una parte della maggioranza si è fatta portavoce di una protesta ferma, viva, forte dei sindacati, i quali hanno addirittura minacciato di ritirare la firma dal Memorandum siglato con il Ministro Nicolais, che non è la Carta costituzionale o il fondamento della nostra Repubblica, ma semplicemente un pezzo di carta con cui un ministro ed i sindacati raggiungono un'intesa. Ma - insomma! -, bisogna rispettare il ruolo del Parlamento, il ruolo del Governo, il ruolo delle istituzioni! Pertanto, si potranno anche scrivere Memorandum ma, per quanto riguarda la nostra impostazione, con tali atti non si fa altro che legare mani e piedi l'attività del Governo ad una concertazione costante, continua e ad una cogestione con il sindacato che noi contestiamo.
L'elemento di forza è stato il «no» del sindacato, rappresentato con grande coerenza da una parte della maggioranza parlamentare, ad un organo indipendente che non vedesse la cogestione e la compartecipazione del sindacato stesso.
Si tratta di una visione diametralmente contraria a quella che, invece, alcuni diPag. 14noi hanno sposato e mi riferisco anche a colleghi della Rosa nel Pugno, penso al collega Turci, ed all'Italia dei valori in Commissione Affari costituzionali: quella della cosiddetta «proposta Ichino», vale a dire la creazione di un organismo indipendente che possa avviare un meccanismo di valutazione e anche di elaborazione di criteri e linee guida, perché sappiamo che non è semplice valutare il merito. Tuttavia, è necessario iniziare a fare qualcosa per dare un segnale e perché ciò è non solo quanto ci chiede l'opinione pubblica, ma ciò di cui abbiamo bisogno!
Tra l'altro, la visione di sinistra di aiutare i più deboli dovrebbe implicare l'adozione di misure per far funzionare la pubblica amministrazione, perché chi non ha la possibilità di ricorrere a strumenti alternativi ovvero al privato a pagamento, può rivolgersi solo al pubblico. Pertanto, la funzionalità delle strutture pubbliche costituisce uno strumento di aiuto e di sussidio alla popolazione che paga le tasse e spesso non riceve in cambio servizi corrispondenti.
Ritengo che questo dibattito si riaprirà. Come affermava il presidente Violante in Commissione, nulla osta al fatto che l'articolo 11 possa essere recuperato sotto forma di emendamento, a seguito della discussione.
Credo che questo sia l'auspicio del gruppo di Forza Italia, e non solo, che ha presentato un emendamento che va in questa direzione. Abbiamo presentato anche un'altra proposta emendativa che, a nostro parere, è addirittura migliorativa, poiché esprime, con maggiore incisività, le misure che vorremmo approntare in ordine alla creazione di una autorità.
Non ci si venga a dire, per favore, che si tratta di un'iniziativa che ha dei costi, perché come risulta, ad esempio, dalla proposta dell'onorevole Turci, si coprirebbe finanziariamente con la soppressione di un'altra authority. Non ci troviamo, pertanto, necessariamente di fronte ad un altro ente inutile. Se poi vogliamo parlare degli enti inutili, possiamo anche farlo. Il Governo Berlusconi ed il ministro Tremonti, con la commissione da lui istituita, avevano stilato una lista di enti inutili, la cui soppressione, tra l'altro, avrebbe comportato un risparmio di 250 milioni di euro, come previsto dalla legge finanziaria.
Cominciamo, pertanto, a domandarci dove sia finita l'eliminazione di questi enti inutili, visto che nella legge finanziaria c'è una posta che prevede un risparmio di 250 milioni di euro derivante da queste soppressioni! Vogliamo parlare del sistema della giustizia? Dal rapporto del quotidiano Il Sole 24 Ore di oggi si evidenzia che mobilità, efficienza, incentivi al personale potrebbero cambiare una situazione in cui, molto spesso, l'assenza di mobilità o alcuni ricongiungimenti familiari lasciano scoperte le sedi del nord, come accade in tutti i comparti delle pubbliche amministrazioni, in fin dei conti.
Al di là dei problemi specifici, cominciamo a dare un segnale! Questa potrebbe essere un'occasione: credo che il Governo, malgrado la sconfitta in Commissione lavoro e in Commissione affari costituzionali, possa contare sul buon senso di un Parlamento che discute liberamente e su forze politiche che considerano il dialogo e il dibattito prioritari rispetto alla firma di qualunque Memorandum.
Riteniamo, signor Ministro, che questo Parlamento, ancora un volta, sia sovrano e debba dimostrare di esserlo!
Ci auguriamo che il Governo non abbandoni questa battaglia; sarebbe un peccato se lo facesse, perché è una battaglia che noi consideriamo nostra, prima ancora che del Governo e che crediamo vada sostenuta con grande forza e vigore.
Riteniamo che non sia necessario che questa commissione, per forza di cosa, sia costituita all'interno del CNEL, perché può essere formata in altro modo; ma è assolutamente necessario agire e dare un segnale che attesti la volontà del Paese di alzare la testa e di opporsi alla contrattazione e alla cogestione costanti e permanenti, con un sindacato che, da troppo tempo (forse dal 1993), non dà più uno scatto d'orgoglio, non ci dimostra più di essere soltanto un sindacato antagonista ePag. 15di voler lavorare per premiare il merito e che, troppo spesso, con il proprio comportamento, va a coprire delle sacche di inefficienza che non fanno onore al sindacato.
Il dibattito sul Corriere della sera ha fatto sì che tanti dipendenti pubblici scrivessero per ringraziare Ichino della sua proposta, perché è ovvio che un dipendente pubblico che lavora non può avere peggior frustrazione di essere trattato al pari di un dipendente pubblico che non lavora, e poiché di dipendenti pubblici che non lavorano ve ne sono tanti, questo è un problema di tutti!
Un grande impegno per la meritocrazia diventa, allora, il nostro obiettivo in questo momento, da portare avanti quando su tale provvedimento la discussione entrerà nel vivo e inizierà l'esame dell'articolo 1 con i relativi emendamenti; in questa fase presenteremo numerose proposte sulla produttività, sull'integrativa e su tanti altri aspetti che affronteremo volta per volta, e in quel senso verrà fuori l'anima delle forze riformiste e riformatrici e l'anima di chi, invece, al di là della demagogia, evidentemente risulta più predisposto a conservare sacche di privilegio e di inefficienze. Da ultimo, oggi, un'inchiesta di Giuliano Cazzola ci fornisce dati sui distacchi sindacali, sulla moltiplicazione delle poltrone, perciò chi si assesta sulla conservazione di tutto questo e dà il segnale di non voler cambiare registro, non credo faccia un favore né a se stesso, come forza politica, né ai propri elettori, perché vi è un malessere diffuso e la voglia di cambiamento proviene dal Paese.
La politica deve saper ascoltare il Paese ed essere all'altezza delle sue istanze migliori, più riformatrici e modernizzatrici; questa è la sfida che ci aspetta e che lanciamo al Ministro Nicolais e speriamo voglia raccoglierla.
A lui esprimiamo la nostra solidarietà, per ciò che la maggioranza è stata capace di fare con il suo operato politico nelle due Commissioni che hanno esaminato il provvedimento, nonché alle altre forze politiche.
Ministro Nicolais, ci attendiamo uno scatto di orgoglio! Dimostrate di esserci, perché vogliamo andare avanti su questa linea!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Buffo. Ne ha facoltà.
GLORIA BUFFO. Signor Presidente, il provvedimento che discutiamo oggi è sicuramente importante, perché agisce su un punto nevralgico del funzionamento di un Paese: la sua amministrazione pubblica.
In Italia sono molte le ragioni del malfunzionamento di ciò che, con un termine non bellissimo, si definisce «sistema Paese»: la nostra economia è fondata su una specializzazione produttiva arretrata; investiamo risorse modeste nel campo del sapere, della formazione e della ricerca e da qualche anno svalutiamo il lavoro. Con riferimento a tale ultimo aspetto, sono sicuramente cresciuti i profitti di una parte - a tal proposito, dico all'onorevole Baldelli e a chi afferma sempre che l'Italia paga le tasse, che noi speriamo che davvero tutta l'Italia un giorno paghi le tasse, così tutti ne pagheremo un po' meno! -, e l'Italia è diventata la patria delle disuguaglianze. Lo Stato, pertanto, non brilla per trasparenza ed efficienza!
L'inefficienza della pubblica amministrazione rappresenta solo una parte del problema del funzionamento dello Stato, ma è una parte decisiva, perché in gioco non vi è solo la possibilità di rispondere con efficienza, rapidità e imparzialità alle domande e ai bisogni dei cittadini e delle imprese, ma anche qualcosa di più: ossia la possibilità che la cosa pubblica si dimostri degna di stima e di cura da parte dei cittadini e di chi vi opera.
Un bene di tutti al servizio di tutti, che opera con trasparenza, efficacia, imparzialità e rende effettivi i diritti che non sono secondari.
I punti di forza del provvedimento - che, se volessimo coniare uno slogan, sarebbe all'insegna delle parole d'ordine: «meno burocrazia e più responsabilità» - sono stati già ricordati dal relatore: laPag. 16certezza di tempi rapidi; un onere economico per l'amministrazione, ove risulti mancante e procuri un danno ai cittadini; la semplificazione di alcune procedure; il coinvolgimento della dirigenza e la sua responsabilizzazione; la forte volontà di rendere più trasparenti i procedimenti finora inaccessibili; l'estensione, a tutti i livelli della pubblica amministrazione, dei principi di efficacia, efficienza, accesso, trasparenza e risarcimento del danno eventuale all'utente; infine, non ultimo per importanza, l'estensione di tali principi anche ai gestori pubblici e privati dei servizi di pubblica utilità.
Quindi, è giusto ricordare che si tratta di misure tutte importanti e utili, volte a beneficiare gli italiani che quotidianamente hanno a che fare e talora «combattono» con la pubblica amministrazione.
In molti hanno fatto oggetto di attenzione, a mio avviso eccessiva, la questione della soppressione in Commissione dell'articolo 11. Noi del gruppo Sinistra Democratica riteniamo che sia stato utile, per ragioni rilevanti e diverse, sopprimere tale articolo con conseguente disabbinamento di due delle proposte di legge originariamente abbinate. L'articolo prevedeva, infatti, l'istituzione di una commissione per la valutazione delle pubbliche amministrazioni. Non si tratta di respingere l'idea, che é giusta, di un organismo autonomo capace di favorire la riforma della pubblica amministrazione. La verità è che la commissione proposta nel testo non era né efficace né uno strumento giusto, in quanto avrebbe escluso sia i rappresentanti dei cittadini e delle imprese, ovvero i destinatari e i fruitori dei servizi di pubblica amministrazione, sia i sindacati, senza, tuttavia, essere davvero terza, visto che il Governo vi si sarebbe insediato: dunque, non facciamo retorica sulla commissione «terza», perché terza non era!
Ciò che era previsto dall'articolo contrastava con quanto risulta nel memorandum scritto dal Governo, ma non è mai un bene che il Governo sottoscriva degli impegni con le parti sociali per poi, in Parlamento, sostenere un'altra posizione. Qualcuno, giustamente, afferma che il Parlamento è sovrano, che il Governo può agire come vuole, che si é autonomi. Tutto ciò é corretto, però non dobbiamo disfare con una mano quanto si fa con l'altra e, soprattutto, atteniamoci al merito! É nel merito, infatti, che la commissione non andava bene, in quanto era più efficace come descritta nel memorandum ovvero in termini di «organismo autonomo»; si faceva riferimento alla possibilità di istituire anche organismi di verifica e di indirizzo, ma con altre caratteristiche a nostro avviso molto più adeguate.
Si muovevano, però, altre obiezioni all'articolo e ai caratteri della commissione. I caratteri che si evincevano dall'articolo 11, infatti, contrastavano - ho notato che il relatore la pensa diversamente, ma rimango della mia opinione - con prerogative e ambiti di autonomia delle regioni e degli enti locali, rischiando (forse, si sarebbe trattato solo di un rischio, ma serio) di contraddire il Titolo V della Costituzione e di risultare, alla fine, passibili di dichiarazione di incostituzionalità, con la sequela di ricorsi e ritardi che tutto ciò avrebbe comportato. Di tutto abbiamo bisogno fuorché di ciò.
In terzo luogo, la commissione - l'hanno già affermato altri colleghi - che risultava dall'articolo 11, sarebbe apparsa, nei fatti, una authority, ovvero l'ennesima authority, con gli appesantimenti conseguenti, a partire dai costi, come ha osservato la Commissione bilancio.
Ciò non significa che non si debba favorire, magari proprio presso il CNEL, la creazione di un meccanismo di verifica della qualità dei servizi con il fine di migliorarli, ma sarebbe incomprensibile se, in quel luogo, non vi fosse posto per tutti gli interlocutori, a partire dai cittadini e dagli utenti.
L'idea che cinque Soloni, da soli, siano capaci di conoscere, verificare e modernizzare non funziona: non si troveranno mai cinque persone in grado di farlo, senza la presenza dei cittadini e degli utenti e «in guerra» con il sindacato. Porgerei gli auguri a chi facesse parte diPag. 17questa commissione, ma non è difficile prevedere che essa non funzionerebbe.
Non si tratta di allontanarsi neanche di un millimetro dall'obiettivo della trasparenza e dell'efficienza, ma, al contrario, si tratta di non sbagliare lo strumento fornito agli interlocutori, altrimenti si rischia di mancare anche il bersaglio. La Commissione lavoro ha segnalato esattamente i rilievi che sto riferendo, chiedendo lo stralcio dell'articolo 11. Il mio gruppo considera la soppressione di tale articolo dirimente per approvare un provvedimento utile ed efficace.
Svolgo due ultime considerazioni: aggredire i ritardi dello Stato italiano, in particolare promuovere una riforma effettiva della pubblica amministrazione, dovrebbe comportare la mobilitazione di molte energie ed il coinvolgimento di tutti gli attori. Sono d'accordo, infatti, con quanto ha affermato il relatore: non è ineluttabile e non fa parte del carattere nazionale che le vicende debbano andare come vanno. Sono necessari, pertanto, molte energie ed il coinvolgimento di tutti gli attori, ma anche lo stanziamento di risorse adeguate.
Sappiamo che il provvedimento oggi in discussione non comporta oneri per la finanza pubblica e tuttavia consideriamo che, in un futuro non lontano, sarà necessario trovare le risorse. Il provvedimento che oggi esaminiamo è un passo per un intervento che, se vuole lasciare il segno, dovrà prevedere altre puntate, anzitutto sulla formazione del personale. Pensiamo che un paese ricco e civile, se vuole darsi davvero un'amministrazione degna e al passo con il tempo, deve spendere tempo e denaro, perché così si raggiungeranno i risultati e, solo successivamente, i risparmi. Mi sembra che i grandi paesi ragionino così.
Aggiungo, infine, che sarebbe bello e straordinariamente importante se noi legislatori, a fianco delle riforme dell'amministrazione, vincendo la nostra tendenza all'autoreferenzialità, promuovessimo una semplificazione degli oneri burocratici che derivano dalle leggi che noi stessi scriviamo e approviamo. Merito ed efficienza sono parole non sempre usate a proposito: credo che sia giusto richiedere ai legislatori di perseguirli, in ogni giornata del loro lavoro e in ogni atto della loro importante attività. È figlia della antipolitica l'idea che si possa fare a meno dei permessi, delle autorizzazioni e delle verifiche e che la società possa vivere «bruta» nel suo rapporto economico, civile e amministrativo; ma è figlia della buona politica, invece, l'idea che un iter veloce, semplice, trasparente e rigoroso garantisca maggiormente rispetto ad una via crucis infinita e barocca, dove alla fine l'accanimento e la lungaggine non migliorano nulla, ma confondono e paralizzano.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Incostante. Ne ha facoltà.
MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, il provvedimento che l'Assemblea sta discutendo sulle linee generali, e di cui, in una successiva fase, discuterà articoli ed emendamenti, affronta il tema della modernizzazione della pubblica amministrazione sul versante della riduzione degli oneri per i cittadini e per le imprese.
Il Governo, impegnato anche in altri provvedimenti di questo tipo - penso alle liberalizzazioni e a tutti i temi che abbiamo discusso anche nella scorsa settimana - non poteva trascurare o rischiare di depotenziare alcune iniziative intraprese. La questione della pubblica amministrazione, perciò, ritorna, perché è il nodo del confronto e del rapporto con i soggetti economici e sociali e con i cittadini che operano sul territorio. Mi sembra risulti abbastanza evidente, dal disegno di legge, come il discorso si estenda ad altri soggetti, oltre alle pubbliche amministrazioni; mi riferisco ai pubblici gestori di servizi, ai quali verrebbero estesi, con il testo in esame, gli obblighi connessi alla responsabilità del provvedimento, di cui alla legge n. 241 del 1990. Ciò mi sembra molto rilevante, considerato che molta parte della gestione dei servizi si è spostata all'esterno della pubblica amministrazione.Pag. 18
Il provvedimento in esame interviene sulla semplificazione, sui tempi e sulla responsabilità del procedimento - al riguardo, è stato già detto molto, specificamente dal relatore e da tutti gli altri colleghi intervenuti - e dà risposte al cittadino anche relativamente ad alcuni danni subiti a causa dei tempi e delle inerzie relativi al procedimento.
La norma si inserisce, quindi, anche in un filone più generale di carattere europeo. Penso alle iniziative intraprese dalla Commissione europea con riferimento ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità, volte ad affrontare il nodo degli apparati pubblici dal punto di vista della semplificazione e della trasparenza. Nel nostro Paese, dagli anni Novanta, questo tema viene avanti con più forza nella legislazione: penso alla legge n. 241 del 1990 e alle cosiddette leggi Bassanini.
Oggi registriamo una rinnovata attenzione sul tema, non sempre organica e, talvolta, anzi, approssimativa; ma non si può dimenticare - come peraltro già si è osservato negli interventi precedenti - che viene posto all'attenzione della politica e del legislatore, da parte dei cittadini, degli operatori economici e dei mezzi di informazione, il tema della modernizzazione della pubblica amministrazione.
In premessa, vorrei citare la previsione, contenuta nel provvedimento in esame, che ricomprende nei livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117 della Costituzione le disposizioni concernenti gli obblighi a carico della pubblica amministrazione circa la partecipazione dell'interessato al procedimento, l'individuazione del responsabile dello stesso e la conclusione in tempi prefissati.
Ciò appare particolarmente significativo, in primo luogo sul piano del diritto, per la definizione dei livelli essenziali che cominciano a prendere concretezza e a delinearsi per quanto riguarda il cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, ma anche perché vi è un carattere disomogeneo di talune prestazioni riscontrabile sul territorio nazionale, che spesso si trasforma in profonde diseguaglianze per l'esigibilità dei diritti delle imprese, dei cittadini e degli operatori. Tutto ciò contribuisce quindi anche ad aggravare un gap di territorialità e di competitività territoriale che ha un nodo centrale nella pubblica amministrazione, come fattore cruciale.
Più che soffermarmi sull'articolato nel suo complesso, desidero sottolinearne soltanto alcune disposizioni molto significative dal mio punto di vista e per la mia esperienza, le quali mettono in atto processi virtuosi di modernizzazione, ampliano lo spettro delle iniziative in questo campo e richiamano - come è stato già osservato (e come peraltro è intenzione di questo Governo) - l'urgenza di un intervento progettuale di più ampio respiro.
Cito l'articolo 4, che prevede un programma di sperimentazione finalizzato alla riprogettazione e riorganizzazione di alcuni percorsi, anche in deroga alle normative vigenti, puntando sicuramente sulle tecnologie informatiche e sulla comunicazione per raggiungere maggiori e migliori obiettivi per quanto riguarda il cittadino utente, le imprese e i consumatori.
Ciò sicuramente può contribuire all'affermazione di quell'orientamento di fondo già presente in alcuni provvedimenti in base al quale mettere al centro il cittadino può scardinare una certa autoreferenzialità della pubblica amministrazione, a partire dai servizi pubblici.
Pertanto, lavorare sulla qualità della prestazione mette automaticamente in moto un processo di innovazione profonda dell'organizzazione del lavoro, dei procedimenti ed anche, naturalmente, dei tempi. È chiaro che di questo processo di innovazione le amministrazioni locali sono gli interlocutori privilegiati e che il Governo, ma anche il Parlamento, con il provvedimento in esame e con altri provvedimenti che - mi auguro - giungeranno, potrà costruire processi di innovazione nel rispetto delle autonomie, ma anche nello sforzo solidale di mettere in moto pratiche di valutazione, output delle pubbliche amministrazioni, pratiche organizzative innovative per far circolare nel Paese, attraverso una rete non episodica, ma strutturata intorno al Ministero per le riforme ePag. 19le innovazioni nella pubblica amministrazione, una cultura profonda e condivisa delle modernizzazioni delle pubbliche amministrazioni.
Non ho condiviso molto, invece, la soppressione dell'articolo 11. Ciò non tanto per la specifica configurazione di quel testo - anche se mi sembrava proponesse una soluzione accettabile - quanto per il fatto di aver stralciato dal provvedimento un'idea molto significativa; tuttavia, potranno forse emergere, dalla discussione e nell'ambito dell'attività emendativa, anche altre soluzioni.
In sostanza si trattava di dar vita a uno strumento che contribuiva a valutare e a mettere in rete le migliori esperienze prodotte dalle amministrazioni anche tenendo conto del giudizio espresso dai consumatori, dagli utenti e dai cittadini, per poi offrire proposte volte a riorganizzare e «reingegnerizzare» processi e procedimenti per riqualificare l'azione delle pubbliche amministrazioni.
Ritengo che si sia fatta un po' di confusione sul tema della valutazione. Naturalmente ognuno sa che le pubbliche amministrazioni in base al decreto legislativo n. 286 del 1999 hanno già i propri organi di controllo interno, nonché i propri nuclei di valutazione e che non poteva, una commissione istituita presso il CNEL o presso il Ministero, entrare nel merito delle valutazioni della pubblica amministrazione o delle pubbliche amministrazioni; piuttosto, avrebbe potuto mettere in moto un processo virtuoso - e ciò, invece, ritengo vada salvaguardato - che avrebbe portato ad una pratica di modernizzazione. Una pratica che, benché possa migliorare i tempi connessi all'esercizio dei diritti dei cittadini, non si può tuttavia ottenere solo con una norma legislativa.
Constato che nel parlare delle tante sacche di inefficienza e di parassitismo dobbiamo evitare discorsi semplificatori, perché il compito a cui il legislatore non può sottrarsi, ma nemmeno nel disegno di legge in esame si sottraeva ad esso, è quello di porre le basi per una buona amministrazione che sia fattore cruciale di modernizzazione. Per far ciò bisogna far leva sul capitale umano ed è inutile dire che tale elemento viene sottolineato da tanti studiosi che si occupano di organizzazione e di pubbliche amministrazioni.
Più saremo stringenti sulle responsabilità, più applicheremo sanzioni severe, più saremo rigorosi, più il rigore concettuale, l'onestà intellettuale e la capacità politica riformatrice dovranno essere quelle di intervenire nel profondo dei processi di innovazione, investendo in maniera significativa nella qualificazione non sprecona dei pubblici dipendenti (penso ai tanti processi di formazione che si sono vanificati). Anche a tale riguardo bisognerà puntare molto sulla qualità e mettere in moto processi costituiti da scambi, da relazioni tra le l'amministrazioni, tra i dipendenti; bisognerà attivare un processo virtuoso di qualificazione e di competenze in un orizzonte ragionevole anche per il pubblico dipendente puntando sul ruolo centrale delle innovazioni. Sappiamo che la qualità complessiva del servizio è giudicata dall'utente non solo in base ai procedimenti, non solo in base ai tempi ma anche rispetto alla cosiddetta affidabilità del front office ovvero la relazione che si crea tra pubblica amministrazione e cittadino e che si basa sulla competenza, sulla trasparenza e sull'imparzialità.
Ancora una volta sono le persone, gli operatori che faranno la qualità delle pubbliche amministrazioni; il capitale umano è un elemento cruciale che non possiamo derubricare o sottovalutare, pensando di colpire i fannulloni solo con qualche norma, così come si è anche sostenuto in qualche intervento, mettendo l'accento esclusivamente su tale aspetto. Ritengo che dobbiamo dare risposte ai cittadini, dare segnali perché la qualità delle pubbliche amministrazioni migliori e cresca. Per tale motivo dobbiamo dotarci di strumenti più efficaci per valutare anche l'impatto delle pratiche e delle performance. D'altra parte, come ha già sostenuto prima di me l'onorevole Gloria Buffo, ritengo che non sia indifferente, per noi legislatori, valutare quanto l'impattoPag. 20delle leggi che produciamo valga sul territorio a rendere esigibili i diritti dei cittadini.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rocchi. Ne ha facoltà.
AUGUSTO ROCCHI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi e colleghe sicuramente il testo che discutiamo è di grande importanza e di grande significato. Vorrei però che non si smarrissero nella discussione alcune premesse: ad esempio viene totalmente bypassato, nella discussione sull'efficacia e sull'efficienza del ruolo della pubblica amministrazione, il perché, da quale storia del passato arrivi, di quali limiti abbia sofferto l'impostazione e l'idea alla base del ruolo della pubblica amministrazione nel nostro Paese.
Non vorrei pormi tali quesiti per onore della polemica; ma, certo, rispetto a qualche Paese europeo, anche vicino a noi, l'investimento, il valore, il significato e anche il riconoscimento del ruolo di questi soggetti - pensiamo alla Francia, ma potremmo riferirci ad altri casi in Europa - sono profondamente diversi. Mi riferisco a quello che nel passato, in Italia, ha rappresentato molte volte più un sistema di potere che non la costruzione di un ruolo efficace della funzione della pubblica amministrazione.
In tale sistema si ravvisano lati positivi e molti lati negativi. Tra quest'ultimi, il fatto che - tranne per una serie di figure che, secondo lo schema tipico di un sistema di potere politico, hanno visto le loro retribuzioni stabilite secondo una libera definizione - rispetto ai vari ruoli di collaborazione e dirigenziali la maggior parte dei dipendenti della pubblica amministrazione vive in un regime di bassissimi salari rispetto a qualsiasi configurazione e, lo ripeto, anche sulla base di normative che li differenziano in peggio dal lavoro privato anche rispetto, ad esempio, ai diritti contrattuali realizzati negli anni del lavoro privato.
Certo, molte volte tale trattamento deteriore è stato accettato - volendo parlare brutalmente per farmi capire - in cambio, magari, della certezza di non subire mai un licenziamento e di non essere mai chiamati ad un impegno di lavoro in grado di garantire un ruolo forte della pubblica amministrazione.
Questa discussione mi fa arrabbiare molto, perché personalmente provengo da una scuola di pensiero che si è sempre battuta per un' ipotesi contraria a questa, contro quel sistema di potere, allora, e a favore, invece, di un ruolo e di una valorizzazione della pubblica amministrazione. Tale convinzione nasce proprio dall'idea che un sistema efficace ed efficiente della pubblica amministrazione sia uno strumento essenziale proprio verso i più deboli: altri possono permettersi diverse possibilità, ma non i settori più deboli della società, a partire magari dagli stessi lavoratori dipendenti dell'industria o di altri settori del Paese, che hanno bisogno di vedere riconosciuti dei servizi.
Contemporaneamente, dietro ad un'idea assolutistica del mercato, si è assistito ad una sottovalutazione del ruolo della pubblica amministrazione nell'ambito di una politica di sviluppo generale. Di questi tempi tanto si discute, ad esempio, perché non vengono effettuati investimenti stranieri, perché non si realizzano alcune iniziative. Nella mia esperienza precedente da sindacalista, quando ho avuto modo di incontrare un imprenditore che voleva investire dei capitali, sapete quale è stata la prima domanda che mi ha rivolto per capire l'opportunità? Non era se poteva assumere a basso salario o cose di questo genere, ma qual era la qualità dell'ambiente, la certezza dei tempi tra l'investimento e la sua realizzazione e la qualità complessiva dei trasporti e della vita nell'area in cui intendeva collocare la sua impresa. Della precarizzazione del lavoro, delle basse retribuzione non gliene importava assolutamente nulla! Per gli investimenti, tra l'altro, in settori strategici e tecnologicamente avanzati, interessavano questi aspetti ritenuti fondamentali per la certezza degli investimenti stessi e per la qualità della vita e dei lavoratori-cittadini che avrebbero dovuto essere impiegati.Pag. 21
Quindi, so bene che la modernizzazione, l'efficacia del ruolo della pubblica amministrazione è un nodo strategico, sia socialmente verso i settori più deboli, sia per una politica generale di sviluppo del Paese corretta, che superi limiti e storture. Questo è il problema che dobbiamo affrontare, venendo da un passato in cui, invece, il ruolo della pubblica amministrazione spesso non era coerente con questo impianto. Ci si è battuti per anni, per attribuire alla pubblica amministrazione un ruolo di investimento centrale nell'ambito di una politica di sviluppo, una politica di occupazione qualificata, una politica di servizi ai cittadini. Ed oggi per me è veramente, non so come dire, scoraggiante assistere ad una discussione che - l'ho sentito dire in quest'Assemblea dall'onorevole Baldelli, ma lo sento ripetere spesso anche in Commissione - precipita su un unico fattore: nei fatti, i pubblici dipendenti sono considerati come «lazzaroni».
Allora, i processi per riorganizzare e rendere efficace ed efficiente la pubblica amministrazione - il Ministro lo sa perché non si tratta del primo provvedimento in materia - devono intervenire su diversi fattori. Primo problema: l'organizzazione della pubblica amministrazione deve essere mirata, costruita, realizzata secondo quel principio di coerenza e di centralità del ruolo della pubblica amministrazione?
Le politiche di investimento sulle risorse umane - che sono un fattore fondamentale - sono orientate in quel senso, se invece ci si trova con bassi salari e precarizzazione del lavoro?
Il Governo, nella legge finanziaria, ha positivamente iniziato un processo di superamento della precarizzazione del lavoro nella pubblica amministrazione. Ma lo ha appena iniziato. Attraverso le politiche del passato, erano stati determinati oggettivamente i comuni, le realtà (grandi piccole e medie) per poter dare servizi ai cittadini; essendoci il blocco delle assunzioni, per sopperire alle esigenze di organico si era attinto al vario mercato della precarietà del lavoro.
Quindi - sono d'accordo con il relatore - sono molti gli strumenti sui quali è necessario intervenire per raggiungere questo obiettivo, ma esiste una campagna ossessiva per ridurli ad uno solo.
Vorrei, inoltre, comunicare che il testo pubblicato con il parere della XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) non è il testo votato da quella Commissione; probabilmente c'è un errore, che verrà corretto. Esso è il testo di proposta di parere, che poi è stato modificato dalla Commissione. Non si deve fare una discussione ideologica; è possibile fare - e lo vogliamo - una discussione seria, di merito e precisa. Poiché tutti abbiamo a cuore l'efficacia e l'efficienza della pubblica amministrazione, è corretto pensare che si possa dar vita - a livello nazionale e ai livelli locali - a organismi autonomi, in cui sia rappresentata la pluralità dei soggetti che vivono in rapporto con la pubblica amministrazione; che si possa contribuire a un ragionamento di valutazione sull'efficacia, sull'efficienza della pubblica amministrazione e sui problemi che possono derivare ai cittadini e al sistema delle imprese.
Nel testo varato dalla XI Commissione chiediamo nei principi che si stralci l'articolo 11, perché non ci sembra che la commissione citata sia conforme a questo modello; anzi, sembra che sia profondamente lontana da questa idea e ciò può generare delle ambiguità.
Siamo d'accordo con l'idea che si possa dar vita ad organismi autonomi - ricordo (qualcuno non lo sa) che tali possibilità sono già previste. Non basta? È necessario dare un segnale? Benissimo! Nessuna contrarietà! - in cui siano coinvolti i soggetti che operano nella pubblica amministrazione, i soggetti che usufruiscono dei servizi; siamo d'accordo che si possa avere anche un contributo nella elaborazione di una maggiore efficienza. È necessario, però, fare attenzione all'ambito entro cui si opera.
Innanzitutto, lo Stato è anche datore di lavoro. In quanto tale, è il primo a chiedere al sistema delle imprese e delle relazioni sindacali dei soggetti privati, un modello di partecipazione, di confrontoPag. 22positivo. Io non uso il termine concertazione, non lo ho mai condiviso. Ho sempre pensato a un'azione - che ho esercitato nella mia esperienza precedente - di contrattazione per giungere ad un accordo, che è un consenso tra le parti per il raggiungimento di alcuni obiettivi. Se volete chiamarlo concertazione, chiamiamolo pure concertazione!
La misurazione dell'efficienza, della qualità, il riconoscimento di un premio alla professionalità, sono temi oggetto della contrattazione tra le parti, tra lo Stato in quanto datore di lavoro e le organizzazioni sindacali; tali temi si regolano nei contratti. Pensate cosa comporterebbe se il Parlamento decidesse quali sono i parametri per misurare la produttività di un operaio della FIAT, che lavora nella catena di montaggio. Grideremmo tutti allo Stato autoritario!
Nel settore privato, tra le parti, si è discusso spesso e si sono trovati anche strumenti, accordi contrattuali, di misurazione della produttività, della professionalità. Questo è previsto anche dal Memorandum, già esiste. È necessario valutare le esperienze realizzate e se sia necessario introdurre delle correzioni; ma è materia della contrattazione tra lo Stato in quanto datore di lavoro e le organizzazioni sindacali, che definiranno gli aspetti sopra citati nei contratti.
Il secondo punto, delicatissimo, è il seguente: è mai venuto in mente a qualcuno di aprire una riflessione - così, tra di noi - su quanto potere del Parlamento e dei suoi strumenti, stiamo spostando verso strutture esterne? Quante competenze stiamo trasferendo, in termini di poteri decisionali, sul terreno delle authority? Non è soltanto un problema di costi e nuove strutture che si vengono a determinare, ma è una questione che investe anche il profilo democratico: infatti, rispetto al ruolo del Parlamento - quale organo rappresentativo, liberamente eletto dai cittadini e che deve intervenire sul piano legislativo - si tratta di trasferire continuamente il potere a soggetti esterni, poi, magari, anch'essi, nominati direttamente dalla politica, magari dagli esecutivi e, quindi, non soggetti anche ad un dibattito di verifica democratica parlamentare, come capacità di indirizzo, di controllo e di legislazione.
Tali motivi ci hanno portato, ad esempio, a proporre - ed ho apprezzato, in tal senso, la scelta del Governo - di stralciare l'articolo 11: non eliminare il problema, quindi, ma eliminare l'articolo 11.
Vorrei sottolineare che l'onorevole Baldelli - con il cui intervento sono in totale disaccordo - ha individuato, tuttavia, con coerenza il nodo della discussione: infatti, dietro la proposta di istituire la «famosa» commissione presso il CNEL, vi era un'interpretazione che consisteva nell'idea di istituire un comitato dei saggi che valutasse in termini di efficienza l'operato dei dipendenti della pubblica amministrazione. Non da parte del Governo, non era questa la volontà! Ho detto quale fosse la critica a tale strumento e come si potesse ovviare in positivo rispetto ad esso, ma la discussione veniva «piegata» da questo punto di vista!
Pertanto, ritengo che - anche con il contributo di merito fornito dalla XI Commissione (Lavoro) - si possa trovare una soluzione positiva che, appunto, consiste nello stralcio dell'articolo 11 e che fissa alcuni principi: ho parlato di un organismo autonomo, nazionale e territoriale, composto da tutti i soggetti, interni ed esterni alla pubblica amministrazione (e quindi gli utenti, il sistema delle imprese, così come la pubblica amministrazione stessa e le organizzazioni sindacali), i quali possano valutare e dare un contributo a un ragionamento sull'efficacia e sull'efficienza, ma - anche in questo caso! - senza mischiare ruoli e compiti.
Infatti, l'obiettivo dell'efficacia e dell'efficienza della pubblica amministrazione è un obiettivo importante, al cui raggiungimento dobbiamo tutti lavorare coerentemente, perché - ripeto, secondo il mio punto di vista - proprio chi cerca di difendere i soggetti più deboli sa che questo è un punto fondamentale per i soggetti più deboli. Altri, ripeto, possono ricorrere ad altri meccanismi e strumenti.Pag. 23
A mio avviso, se faremo in questo modo, daremo un contributo positivo, coerente con gli impegni raggiunti con le organizzazioni sindacali e che permetterà di lavorare, tutti, in positivo, al raggiungimento dell'obiettivo che tale disegno di legge si prefigge.
Se, al contrario, si vogliono introdurre forzature (come sarebbero - mi sembra di capire - quelle preannunciate dall'onorevole Baldelli) con una proposta emendativa, vorrei comprendere, se si ripropone l'idea della commissione presso il CNEL, con quale ruolo, quale significato, quali compiti e quale composizione.
Ho spiegato i motivi della diversità di opinione, ma l'abbiamo superata in positivo unitariamente, tanto è vero che la maggioranza ha votato all'unanimità, in Commissione lavoro, quel tipo di parere e di valutazione. Certo, vi è stata una discussione, anche vivace, ma, come sempre, funzionale al chiarimento e ad una sintesi in positivo rispetto alla soluzione dei problemi. D'altronde, siamo una maggioranza plurale, democratica, che discute e cerca di trovare soluzioni in modo positivo, in un confronto dialettico, nelle Commissioni e con il Governo. Siamo poco inclini ad avere qualche deus ex machina e padre padrone che comandi per tutti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pedica. Ne ha facoltà.
STEFANO PEDICA. Signor Presidente la Commissione Affari costituzionali ha espresso, in maniera trasversale ed ampiamente condivisa, un voto favorevole sulla proposta di legge A.C. 1505 da me presentata, emendando il testo del disegno di legge del Governo in esame, con l'aggiunta della lettera h) all'articolo 1, comma 1.
Tale norma sopprime la formula del silenzio-rigetto che governa la facoltà di replica della pubblica amministrazione nei confronti di chi chiede di accedere a documenti amministrativi, secondo il disposto della legge n. 241 del 1990, in tal modo eliminando la possibilità della pubblica amministrazione di rifiutare la facoltà di accesso ai documenti amministrativi mediante il semplice silenzio.
In parole povere, se verrà approvata tale norma, quando la domanda di un cittadino all'amministrazione pubblica per la consultazione dei documenti amministrativi non potrà essere accolta, gli uffici competenti dovranno darne comunicazione e motivazione all'interessato entro un termine di trenta giorni, scaduto il quale la domanda è automaticamente da intendersi accolta ed i documenti richiesti finalmente disponibili.
Questo provvedimento introduce, dunque, la formula del silenzio-assenso da parte della pubblica amministrazione nei confronti dei soggetti che presentano domanda per l'accesso ai documenti amministrativi.
Attualmente, invece, la legge conferisce all'inerzia della pubblica amministrazione il significato di un diniego di accoglimento dell'istanza, e ciò avviene in virtù di quanto previsto dall'articolo 25, comma 4, della legge n. 241 del 1990 in tema di richiesta di accesso ai documenti amministrativi. Esso dispone, appunto, che decorsi inutilmente i trenta giorni dalla richiesta dei documenti tale istanza si intenda respinta, prevedendo per il cittadino richiedente la sola possibilità di ricorso al TAR.
In realtà, non si capisce bene come una tale norma, evidentemente iniqua e contraria all'interesse del cittadino, possa essere stata ideata in quegli anni, tant'è che il silenzio-rigetto in realtà apparirebbe al di fuori della stessa ratio della legge n. 241 del 1990, che mira, secondo i suoi intenti dichiarati, a rafforzare il concetto di trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione. In tal modo, invece, si permette a quest'ultima, nonostante un'espressa richiesta avanzata ai sensi di legge, di non fare conoscere il suo modo di procedere: come si è formata la sua volontà, come e se ha rispettato norme regolamentari, ad esempio sulla competenza, sulla formazione o acquisizione di pareri, perizie, e via dicendo.
Tale norma, in vigore ormai da diciassette anni, in realtà pone in essere dellePag. 24autentiche sciagure per il funzionamento della pubblica amministrazione ed il suo rapporto con il cittadino. È evidente come la legge del 1990, n. 241, legittimi, de facto, l'inattività e la pura discrezionalità nell'esercizio della funzione della pubblica amministrazione, con un grado non secondario di correlazione alla sussistenza di file nutrite di varie figure di impiegati e burocrati privi di reali mansioni da espletare: il ben noto fenomeno dei fannulloni.
Ma, ancora più importante, tale legge, che prevede il meccanismo del silenzio-rigetto, priva o limita il diritto del cittadino all'accesso a determinati servizi prestati dalla pubblica amministrazione (pagata - lo ricordo - con le contribuzioni del cittadino stesso) senza fornire alcuna spiegazione sul motivo del diniego.
In pratica, ciò va ad influire su una svariata molteplicità di attività civili che intessono rapporti con le pubbliche amministrazioni, sulla facoltà dei cittadini di tutelare situazioni giuridicamente rilevanti come anche, per esempio, sulla possibilità di controllo sull'operato delle amministrazioni pubbliche e sui loro amministratori, da parte di ogni cittadino, attraverso la presa visione degli atti e dei bilanci da questi prodotti.
Signor Presidente, signor Ministro, ritengo che la situazione venutasi a determinare con il metodo del silenzio-rigetto sia in realtà quanto di più kafkiano e paradossale possa prodursi in seno ad una burocrazia, risultando quest'ultima, per assurdo, pagata dal contribuente per contravvenire ai suoi bisogni e per bloccarne a tempo indeterminato e ingiustificato le istanze e dunque le azioni.
Contrastare questa pratica mostruosa, figlia della prima Repubblica e dei suoi più sfacciati metodi clientelari, soppiantandola, invece, con il sistema del silenzio-assenso, come previsto dalla disposizione in esame, è un'azione mirata e concreta per ridefinire il giusto rapporto fra cittadino e amministrazioni, in un'ottica di certezza dei tempi e, soprattutto, di trasparenza.
Adeguare il più possibile le normative alle esigenze del Paese, interagendo, attraverso gli strumenti legislativi, nei rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini, è un primo passo importante, che consente agli utenti che si rivolgono alla pubblica amministrazione di ottenere maggiore celerità, certezza dei tempi e maggiore trasparenza.
Stare al servizio del cittadino è un obiettivo importante e basilare, al quale Italia dei Valori dedica da sempre la sua politica. Questo è un piccolo esempio di un provvedimento pensato per semplificare la vita del cittadino, per renderlo - come è giusto che sia - attore principale del rapporto con le pubbliche amministrazioni e non solamente suddito inerme e supino dei tempi e delle prepotenze della burocrazia.
Non mi resta, quindi, che appellarmi al buonsenso dei colleghi, perché colgano tutti l'opportunità di un voto quanto mai utile e perché possano esprimersi favorevolmente su questa proposta, contro la legalizzazione della lentezza e dell'incertezza della burocrazia, per un provvedimento che riguarda davvero gli interessi di ogni cittadino.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stucchi. Ne ha facoltà.
GIACOMO STUCCHI. Signor Presidente, ci troviamo ad affrontare un provvedimento interessante, nel senso che tutto ciò che va nella direzione di modernizzare e rendere più efficiente la pubblica amministrazione è sicuramente un obiettivo utile da cogliere e da perseguire.
Da questo punto di vista, il nostro movimento politico si è sempre speso e impegnato, anche nel denunciare numerosi fatti, che sono stati ricordati dai colleghi e che sono stati illustrati anche dai media e in apposite pubblicazioni da personaggi illustri - a cominciare dal professor Ichino, ma da tanti altri prima di lui -, che impediscono un corretto funzionamento della pubblica amministrazione.
Ma se fosse solo questo il problema, forse potremmo affrontare il discorso inPag. 25un modo meno ampio. La questione vera è non solo che vi è un problema di perfetto funzionamento della pubblica amministrazione, ma anche che la pubblica amministrazione non funziona da molto tempo, non perché non vi siano norme o leggi che disciplinano il lavoro delle persone chiamate ad operare all'interno della pubblica amministrazione, ma perché, forse, non vi è più quel dovere civico, quello spirito di appartenenza, quel senso di responsabilità che c'era qualche anno fa da parte dei dipendenti pubblici.
Il discorso, a dire la verità, non può essere generalizzato, perché dobbiamo comunque rendere onore a tante persone che lavorano nella pubblica amministrazione e lo fanno, magari, senza vedersi riconosciuti, in modo adeguato oppure per nulla, i meriti e l'impegno che profondono nella loro attività lavorativa. Non dimentichiamo, infatti, che in alcune realtà, soprattutto quelle locali, ci sono dipendenti pubblici che veramente riescono a fare - utilizziamo un gergo poco politico - dei «numeri incredibili». Tali dipendenti riescono a predisporre l'approvazione di progetti, di investimenti o l'intero iter delle pratiche per l'insediamento di nuove aziende in tempi che sono dieci, cento o mille volte inferiori rispetto a quelli di altri enti locali, magari contermini. Ciò è dovuto sostanzialmente al senso civico e alla responsabilità di queste persone.
Ciò non accade per via di possibili ripercussioni da un punto di vista regolamentare e normativo, per quanto riguarda sanzioni che potrebbero essere loro «affibbiate», ma solo perché sanno che quello è il loro lavoro, solo perché sanno che, operando in quel modo, riescono a dare quelle risposte che necessitano, non solo alla loro realtà locale, ma a tutto il Paese.
Eppure ciò non capita in altre realtà. E non sto facendo un discorso di Mezzogiorno piuttosto che di Padania: il problema non è legato all'appartenenza territoriale, ma a un tipo di mentalità, la stessa mentalità che possiamo anche cercare di far cambiare a certi dipendenti pubblici: lei, signor Ministro, sa benissimo che quasi il 30 per cento dei dipendenti pubblici non è molto pratico nell'utilizzo delle strutture informatiche (utilizziamo un eufemismo), ma vi è anche una sorta di rifiuto psicologico nell'affrontare le nuove modalità di lavoro con l'ausilio delle strutture informatiche. Ciò penalizza molto l'operato delle amministrazioni, nonostante i vari corsi di formazione: non servono a nulla, sono denari veramente sprecati, quando si è di fronte a situazioni di questo tipo.
Ci dobbiamo interrogare su quello che è possibile fare. Ritengo che le norme ci debbano essere, ma il problema poi è che tali norme spesso fanno la fine delle gride manzoniane: non trovano applicazione, e, ahimè, la pubblica amministrazione non trae beneficio dal fatto che il Parlamento approvi nuove leggi, perché ci abbiamo provato in tanti modi. La legge n. 241 del 1990 è una legge importante, fondamentale, però si potrebbe dire che essa è stata rispettata a giorni alternati, pienamente in alcune realtà e per nulla in altre, all'interno delle istituzioni pubbliche e dell'amministrazione pubblica.
C'è quindi da chiedersi: è giusto andare nella direzione di approvare nuove norme, di riprovare con questo sistema? Probabilmente sì, nel senso che non bisogna lasciare intentato nulla e bisogna comunque rendere ancora più stringenti i dettami legislativi e normativi, per cercare di obbligare qualcuno a fare qualcosa che dovrebbe comunque fare, solo perché ha accettato di essere dipendente pubblico. Nessuno l'ha costretto ad essere dipendente pubblico! Questa è una delle questioni su cui riflettere. Non è che il posto di lavoro, una volta conquistato con un concorso, diventa qualcosa che nessuno ti può più togliere, perché quando assumi quell'incarico, quando accetti di partecipare a quel concorso, sai anche che hai alcune responsabilità. Devi dunque essere cosciente del fatto che vieni pagato con i soldi pubblici e che quindi delle risposte alla pubblica amministrazione devono essere date da parte tua, da parte cioè delPag. 26lavoratore. Invece, nella generalità dei casi, non abbiamo da parte di queste persone riscontri positivi.
La questione andrebbe del resto approfondita. Affrontiamo nel provvedimento in esame le sanzioni per i dirigenti, per i responsabili dei procedimenti amministrativi. Si tratta di sanzioni di tipo economico per il mancato rispetto dei termini. Si potrebbe anche sostenere l'estensione delle sanzioni non solo ai dirigenti ma a tutti coloro che sono ad essi sottoposti. È altrettanto vero però che se guardiamo alla responsabilità di queste persone e alla mole di lavoro che sono chiamate a svolgere, spesso non sono sotto stress. Hanno un carico di lavoro adeguato che potrebbero svolgere sicuramente bene nei tempi che sono stabiliti dalle norme in vigore. Purtroppo ciò non accade, magari perché sono impegnati in corsi di aggiornamento che si svolgono a Capri a luglio e in Val d'Aosta a gennaio. Si tratta di corsi di aggiornamento, pagati con risorse pubbliche, che non dico bisognerebbe impedire, ma su cui perlomeno occorrerebbe un'approfondita indagine, per accertare i reali arricchimenti e accrescimenti culturali e di conoscenze che ne traggono i partecipanti.
Lo dico in modo sarcastico, anche perché la situazione, da questo punto di vista, è particolarmente triste. Dal momento che si parla dei soldi dei cittadini, credo infatti che si debba prestare la massima attenzione quando ci si trova di fronte a tali situazioni: esse vanno denunciate ed eliminate, poiché non è possibile continuare su questa strada.
Non siamo sicuramente noi - lo dicevo in apertura - coloro che vogliono impedire la modernizzazione dell'amministrazione pubblica; riteniamo anzi che la modernizzazione e il miglior funzionamento dell'apparato pubblico (che, lo ripeto, dipende dalla volontà dei singoli lavoratori pubblici e non tanto dalle norme in vigore) potrebbero essere il viatico per incrementare gli investimenti esteri nel nostro Paese, o quelli dei nostri stessi imprenditori. Quando infatti ci si rapporta ai soggetti che operano nel mondo, una delle problematiche che viene sottolineata continuamente rispetto al nostro Paese - oltre alla ridotta flessibilità del lavoro, che non è ritenuta adeguata, e alle infrastrutture - è anche quella relativa ai tempi necessari per ottenere i vari permessi. In proposito, anzi, occorre anche osservare, come ho già sottolineato in precedenza, che i tempi per ottenere le stesse autorizzazioni possono essere magari di tre mesi in una realtà e di cinque anni in un'altra: eppure tutti debbono svolgere gli stessi tipi di controlli, di interventi e di passaggi, ad esempio nei consigli e nelle giunte comunali. Manca dunque quella che potrebbe definirsi una sensibilità omogenea all'interno delle pubbliche amministrazioni, ma anche da parte degli stessi amministratori, cioè di coloro che sono chiamati, nel gestire il loro territorio, ad esprimere quella sensibilità che dovrebbe condurre ad una velocizzazione del sistema.
Dunque, considerato che la situazione non funziona, si va nella direzione di compiere interventi normativi che servano a «stringere i panni» addosso a coloro che Ichino definisce «i fannulloni». Devo dire però che, a questo scopo, sarebbe stato particolarmente utile proprio l'articolo 11 dell'originaria proposta di legge, che è stato invece - ahimè - soppresso nel testo presentato all'Assemblea. Era questa, forse, la disposizione maggiormente innovativa contenuta nella proposta: si trattava infatti di uno stimolo, che magari non avrebbe permesso di risolvere tutti i problemi, ma che avrebbe comunque consentito un cambio di marcia, facendoci passare, per così dire, dalla prima - quella con cui oggi viaggia oggi l'amministrazione pubblica - almeno alla seconda. Non dico alla quarta, perché certo l'obiettivo sarebbe quello di arrivare alla quarta, ma di Schumacher, nell'amministrazione pubblica, non ve ne sono!
Non riuscendo a raggiungere questo obiettivo, ci limitiamo ad interventi che, sia pur interessanti, hanno comunque una portata limitata rispetto alla possibilità di introdurre benefici reali, visibili e concreti per i cittadini. Non per questo, naturalmente, il testo è da buttare; è però giustoPag. 27esprimere il desiderio di vedere una riforma complessiva, organica e che possa veramente far compiere un salto di qualità alla pubblica amministrazione.
Desidero fare un riferimento specifico ad un aspetto che è contenuto nella proposta di legge al nostro esame. Tale proposta contiene un articolo che riguarda gli accertamenti medici relativi alle patenti di guida. Ebbene, alcune settimane fa mi è capitato di dover richiedere il rinnovo della mia patente di guida. Quando mi sono recato dal medico per la visita, rispetto a dieci anni fa, quando avevo dovuto svolgerne due (una presso il mio medico condotto ed una presso quello della ASL), l'unica cosa che mi è stata chiesta è se vedevo bene. Ho risposto che vedevo bene; al che non è mi stato fatto alcun test: mi è stato solo chiesto di mostrare i bollettini che certificavano il pagamento di alcune decine di euro. Questo è stato il controllo. Certamente, anche questa è una semplificazione, signor Ministro, ma forse non è il genere di semplificazione che dovremmo auspicare, poiché una forma di controllo su chi guida dovrebbe esserci!
Vi sarebbero altri episodi da raccontare, ma non è colpa sua, signor Ministro, non è un problema che riguardi lei o il Governo, è una sorta di malcostume diffuso che porta a far sì che l'unica cosa importante, quando si richiede una nuova patente, sia quella di avere versato i circa 80 euro richiesti, mentre il resto interessa poco a tutti.
Quindi, lo spirito delle riforme contenute nelle proposte di legge al nostro esame è sicuramente condivisibile, ma, forse, si potrebbe compiere un ulteriore passo, ossia dare più responsabilità alle realtà locali - una sorta di federalismo amministrativo - per quanto riguarda il funzionamento della pubblica amministrazione, tale da permettere alle stesse realtà locali di stabilire anche i principi e i criteri per la gestione della pubblica amministrazione, all'interno degli enti da loro amministrati, da parte degli amministratori chiamati a gestire servizi importanti forniti ai cittadini.
Quando si parla, infatti, di concessioni edilizie o commerciali, ci si riferisce a molteplici questioni che riguardano la vita economica delle singole persone che abitano nei comuni. Si tratta di questioni che spesso sono relative ad aspetti fondamentali non solo per gli operatori economici, ma anche per il semplice cittadino che abbia bisogno, in tre mesi o in trenta giorni, di una concessione per poter realizzare un intervento edilizio, senza dover subire un'ulteriore dilatazione di tempi, che comporterebbe anche maggiori oneri in rapporto, ad esempio, al mutuo della banca e via dicendo e, quindi, soldi in più spesi inutilmente (ed anche questi sono sprechi da collegare all'inefficienza della pubblica amministrazione).
Non aggiungo altro, signor Ministro, salvo comunicare che abbiamo presentato proposte emendative che vanno nella direzione di fornire, appunto, la possibilità ai comuni di disporre di maggiore autonomia organizzativa, prevedendo, ad esempio, l'abolizione della figura del segretario comunale o la sua sostituzione con una figura diversa presa all'interno del mondo degli avvocati o, comunque, di altre professioni che possano offrire le medesime garanzie; la possibilità di stipulare convenzioni e contratti tra i comuni più piccoli concernenti i servizi svolti dal segretario comunale; la possibilità, o meglio la richiesta al Governo, di stanziare più fondi per quanto riguarda il sistema informatico delle realtà locali. Anche in questo caso specifico vi è da sperare che i fondi vengano poi gestiti al meglio e che gli operatori chiamati a lavorare sui terminali siano persone preparate.
Inoltre, con riferimento al taglio delle spese, auspichiamo la riduzione nelle realtà locali più piccole - ma questa è una modifica al testo unico degli enti locali e non alla legge n. 241 del 1990 - del numero dei revisori dei conti da tre ad uno, come accade nei comuni più piccoli, innalzando il limite almeno fino a 15 mila abitanti (si tratta peraltro del limite oltre il quale si passa ad un sistema elettorale di tipo diverso). Un organo di controllo importante quale è il collegio di revisoriPag. 28dei conti, infatti, incide comunque dal punto di vista economico, in termini di compensi, sui bilanci dei comuni di 6 mila, 7 mila od 8 mila abitanti. Considerato che, ormai, anche la nomina dei revisori dei conti è diventata una questione legata più alle lottizzazioni tra i vari partiti che non alle professionalità, sarebbe opportuno prevedere, come già è previsto per i comuni più piccoli, la figura di un unico revisore dei conti, almeno per i comuni fino a 15 mila abitanti. Risolveremmo in tal modo due problemi, quello di far risparmiare un po' di soldi ai comuni e quello di evitare che si verifichino lottizzazioni anche sulle figure dei revisori dei conti.
Quelli da me svolti costituiscono solo alcuni spunti per la riflessione e alcune argomentazioni relative al provvedimento in discussione che, come dicevo in apertura, viene da noi visto con favore, anche se una riforma complessiva e più «pesante» sarebbe per noi auspicabile e porterebbe sicuramente a risultati migliori.
Concludo, ricordando quanto affermato all'inizio del mio intervento. Sicuramente possiamo approvare tutte le leggi che vogliamo, ma non si elimina, con tali provvedimenti, la frustrazione di chi lavora e si accorge che anche se gli altri non fanno lo stesso godono dello stesso trattamento economico. Né possiamo con le leggi fornire risposte ai cittadini se noi tutti non facciamo un salto nella coscienza civica, in primo luogo, i dipendenti pubblici, perché gli stessi hanno delle responsabilità e sono pagati dai contribuenti con denaro pubblico. Inoltre, il posto di lavoro nella pubblica amministrazione non è una vincita al Superenalotto!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, l'onorevole Marone, nel suo intervento, ha svolto un'osservazione che merita di essere ripresa nel giudizio in merito a questo disegno di legge. Egli afferma che, negli ultimi 15 anni o più, il pubblico impiego è stato oggetto di ripetuti interventi legislativi, probabilmente più di uno all'anno. Ciascuno di essi ha cercato di affrontare i problemi del settore, ma, forse, al di fuori di una considerazione sufficientemente organica. Questo è il rilievo critico più forte che si può rivolgere a tale provvedimento che contiene alcune misure in sé apprezzabili, ma che, ancora una volta, affronta solo qualche problema, senza toccare alcuni dei nodi di fondo che sono emersi nel dibattito svolto questa mattina.
La prima questione di fondo che dovremmo riconsiderare - in particolare, mi rivolgo al Ministro, poiché sarebbe stato conveniente farlo da parte di un Governo, che opera dall'inizio della legislatura e, pertanto, ha dinanzi a sé un orizzonte temporale ampio - riguarda l'introduzione, avvenuta due legislature fa con la «legge Bassanini», ulteriormente perfezionata o forse aggravata dalla «legge Frattini», nella legislatura appena terminata, della facoltà da parte del potere politico di assumere dirigenti, nelle posizioni apicali della pubblica amministrazione, con le conseguenze che tale scardinamento di un principio costituzionale porta con sé. È stato giustamente notato - mi sembra dall'onorevole Marone - quanto sia paradossale che si debba introdurre nell'articolo 1 di questo disegno di legge un riferimento all'imparzialità della pubblica amministrazione, quasi che essa non sia tutelata da una disposizione costituzionale. Evidentemente, si constata da parte degli estensori del provvedimento che l'introduzione dello spoil system, ovvero il sistema della nomina politica dei dirigenti, reca delle conseguenze che sono tra le più gravi nel funzionamento della pubblica amministrazione.
Si tratta, in primo luogo, di sapere cosa sia avvenuto nel sistema della pubblica amministrazione a livello nazionale, ma anche in quelli regionali e locali, perché è in quella sede che i guasti, a mio avviso, sono ancora più gravi, a causa di una disciplina che autorizza il potere politico ad intervenire pesantemente nelle scelte relative ai vertici dell'amministrazione e quindi al suo funzionamento.Pag. 29
In secondo luogo, si tratta di affrontare il problema del contratto di lavoro nella pubblica amministrazione, avente natura privatistica. Anche su questo punto sono d'accordo con l'onorevole Marone e mi domando se una funzione così alta, come quella dell'amministrazione pubblica di un Paese, possa essere governata da un contratto di diritto privato, con la conseguenza della contrattualizzazione di tutti gli aspetti di questa vicenda.
Mi ha molto colpito l'intervento dell'onorevole Rocchi che, da una parte, ammonisce a non esternalizzare, rispetto al Parlamento, funzioni che hanno natura politica e che, pertanto, spettano alle Camera, come sede democratica, mentre, dall'altra, svolge affermazioni del tipo: giù le mani dal contratto di lavoro, perché esso spetta al sindacato, in quanto quest'ultimo è il contraente della pubblica amministrazione. Da un lato, non si vuole attribuire ad una agenzia la valutazione della funzionalità della pubblica amministrazione e dall'altro si sostiene che il sindacato si è impadronito del contratto privatizzato del pubblico impiego e, pertanto, ne è il gestore sostanziale. Giungo, dunque, a ciò che riguarda il Ministro Nicolais, cioè al famoso Memorandum che è anche uno degli argomenti che concernono questa discussione.
Ricordo quando il 20 gennaio, all'indomani della firma del Memorandum d'intesa tra i sindacati e il Governo, il Ministro ebbe a dichiarare che, da quel momento in poi, sarebbe stato il Governo a decidere la forma, le riorganizzazioni della pubblica amministrazione, la misura dell'efficienza per poi precipitosamente affermare, all'indomani, che era stato frainteso, perché i sindacati avevano dichiarato che, a tali condizioni, avrebbero proclamato scioperi generali.
Ciò che è avvenuto e che abbiamo notato nel Memorandum del pubblico impiego (che ne costituisce l'aspetto più grave) è che, dopo avere indicato, come del resto fa il titolo del provvedimento al nostro esame, misure per l'efficienza della pubblica amministrazione, di fatto, si attribuiscano al sindacato tutti i poteri di valutazione della pubblica amministrazione.
Abbiamo osservato come l'ARAN, che sarebbe l'organismo preposto alla contrattazione dello Stato nei confronti del pubblico impiego, sia diventato, sostanzialmente, una succursale del movimento sindacale. Sono stati, infatti, nominate, al vertice di quell'organismo delicatissimo, alcune persone che rappresentano le organizzazioni sindacali.
Ci si è trovati in una condizione nella quale il movimento sindacale si è impossessato della pubblica amministrazione e ciò rende, evidentemente, molto più difficile per il Governo esprimere un orientamento efficientistico come talvolta il Ministro ha - in ciò è d'accordo con noi - espresso.
La soppressione dell'articolo 11 appartiene alla stessa logica. Non sono del tutto convinto che una commissione, collocata presso il CNEL possa rappresentare la risposta necessariamente più adeguata al problema della valutazione dell'efficienza della pubblica amministrazione.
Credo che tale risposta possa essere fornita attraverso la modificazione dello spoil system; ritengo, in altre parole, che si è andati in una direzione talmente sbagliata, nel corso di questi anni, che è difficile correggere questa tentazione.
Credo che l'efficienza della pubblica amministrazione richiederebbe una limitazione del potere dei sindacati del pubblico impiego, assolutamente eccessiva e sovrabbondante rispetto alla funzionalità della pubblica amministrazione.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
GIORGIO LA MALFA. Concludo, signor Presidente. Devo, tuttavia, osservare che l'eliminazione dell'articolo 11 è la prova che la questione dell'efficienza della pubblica amministrazione non possa essere affrontata da questo Governo, non perché una parte di esso non lo voglia, ma perché - come ha affermato l'onorevole Rocchi - deve tener conto della complessità della situazione.Pag. 30
Queste sono alcune considerazioni di carattere generale che desideravo, a nome del gruppo Misto-Repubblicani, Liberali, Riformatori, svolgere nella discussione odierna.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, certamente la modernizzazione della pubblica amministrazione è un obiettivo che, dagli anni novanta in poi, da parte di tutte le parti e forze politiche e di tutte le diverse coalizioni di Governo che si sono succedute nelle varie legislature, hanno assunto come impegno nei confronti dei propri elettori e delle cittadine e dei cittadini.
Non sfugge, infatti, che un Paese che ascolta le cittadine ed i cittadini e che propone una burocrazia più snella può certamente aiutare nella conquista di fiducia da parte della cittadinanza.
Infatti, a nessuno di noi sfugge l'importanza che un apparato amministrativo efficiente riveste per un Paese che intenda offrire ai propri cittadini servizi degni di una democrazia moderna e che aspira a un ruolo centrale nell'ambito di un'economia ormai europea ed internazionale.
Così, a partire dalla legge n. 241 del 1990, con cui si è proceduto a riformare il procedimento amministrativo, è stato tutto un susseguirsi di provvedimenti più o meno organici, più o meno efficaci, aventi lo scopo dichiarato di modernizzare e semplificare la burocrazia italiana, al fine di instaurare un rinnovato rapporto tra cittadine e cittadini ed istituzioni. Un rapporto che sia finalmente improntato all'idea che, in un Paese democratico come l'Italia, la pubblica amministrazione deve porsi al servizio del cittadino e non al di sopra di esso e deve facilitare, agevolare, sostenere il cittadino, non ostacolarlo in ogni sua attività ed anche ascoltarlo!
È anzitutto la nostra Carta fondamentale che ce lo impone.
L'articolo 97 della Costituzione, infatti, dispone che i pubblici uffici siano organizzati in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Il successivo articolo 98 afferma, inoltre, che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione.
Tali articoli intendono fare riferimento, secondo la prevalente interpretazione ormai da anni invalsa in dottrina, come del resto in giurisprudenza, proprio a quei principi generali dell'attività amministrativa richiamati, come ho già ricordato, dalla legge n. 241 del 1990, a norma della quale l'attività amministrativa è retta da criteri di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza.
Quindi, con il provvedimento al nostro esame, si vuole apportare un nuovo contributo alla realizzazione di questi principi, un nuovo tassello verso un'amministrazione più moderna, più efficiente, attraverso misure capaci di creare un ambiente burocratico più favorevole allo svolgimento delle attività economiche e, al tempo stesso, di garantire la qualità dei servizi resi.
Tali misure, a nostro avviso, si muovono nella giusta direzione, in quanto comportano la semplificazione, l'accelerazione di tempi e modalità delle attività amministrative, nonché la modernizzazione di funzioni e procedure, anche estendendo ai gestori dei servizi pubblici alcune disposizioni poste a tutela del privato nei rapporti con la pubblica amministrazione, in considerazione della rilevanza, nella vita quotidiana dei cittadini, della sfera di interesse coperta dall'attività di tali gestori.
Più in particolare, tra le disposizioni che ci sembrano maggiormente significative e da segnalare, vi è l'articolo 1 che modifica varie disposizioni della legge n. 241 del 1990, ad esempio ridefinendo le modalità di determinazione dei termini per l'adozione dei provvedimenti e abbreviando la durata massima di tali termini, in omaggio al principio della certezza dei tempi di conclusione del procedimento.
Si pone, inoltre, a carico delle amministrazioni pubbliche l'obbligo di risarcire il danno ingiusto causato dall'inosservanza dei termini procedimentali, indipendentementePag. 31dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto e disponendo, in caso di ritardo, la corresponsione a titolo sanzionatorio di una somma di denaro a beneficio dell'istante.
Si accelera, poi, l'istruttoria dei provvedimenti in cui sono richiesti pareri e valutazioni tecniche, prevedendo che l'inutile decorso del termine, senza l'emissione del parere o della valutazione, attribuisce all'amministrazione la facoltà, in caso di parere obbligatorio, o l'obbligo, in caso di parere facoltativo o di valutazione tecnica, di procedere indipendentemente dall'emanazione del parere o della valutazione.
Altra norma di rilievo è quella tendente al miglioramento dei rapporti tra amministrazione e cittadino, in ossequio al principio di prossimità. Tale norma, infatti, prevedendo la pubblicazione sul sito Internet di ciascuna amministrazione pubblica dell'elenco dei casi in cui sono applicabili il silenzio assenso e la dichiarazione di inizio attività nei procedimenti di propria competenza risponde molto bene all'esigenza di garantire una migliore e più celere informazione del cittadino in merito agli strumenti di semplificazione amministrativa.
Considerata l'ampia diffusione di Internet, infatti, esso si presenta come un valido mezzo di pubblicità, in grado di assicurare la più ampia conoscibilità possibile delle procedure amministrative, senza più costringere il cittadino a lunghe attese telefoniche o presso le amministrazioni stesse.
Si segnala, inoltre, la disposizione che, integrando la legge n. 241 del 1990 con il nuovo articolo 29-bis, estende ai gestori di servizi di pubblica utilità competenti per l'energia elettrica, il gas e per le telecomunicazioni gli obblighi in materia di responsabile del procedimento e di partecipazione al procedimento contenuti in tale legge, prevedendo, altresì, l'introduzione di forme di indennizzo per i casi di violazione dei suddetti obblighi o dei livelli qualitativi e quantitativi previsti dalle singole carte di servizi.
In tal modo si risponde ad un'esigenza fortemente avvertita dai consumatori, facendo sì che, anche nei rapporti con i gestori di servizi prima erogati da soggetti pubblici, sia garantita al cittadino una tutela analoga a quella che avrebbe se il rapporto continuasse ad instaurarsi nei confronti di una pubblica amministrazione. Ciò, in considerazione dell'estrema rilevanza e delicatezza degli interessi coinvolti, il cui assetto non può essere lasciato alla mera disciplina privatistica.
Altra importante norma di semplificazione è quella che, con riferimento all'edilizia privata, prevede la sostituzione del certificato di agibilità con una dichiarazione di conformità degli edifici e degli impianti rilasciata, sotto la propria responsabilità, dal direttore dei lavori.
Un'altra disposizione apporta modifiche all'articolo 119 del Codice della strada, semplificando e snellendo le procedure per gli accertamenti medici necessari per il conseguimento della patente di guida e del certificato di idoneità per i ciclomotori.
Sempre in tema di accertamenti medici, si prevede altresì che le commissioni mediche locali possano essere costituite presso ogni Azienda sanitaria locale, anziché presso i soli capoluoghi di provincia, come attualmente previsto. Ciò, al fine di rendere più capillare ed efficace il servizio ai cittadini, soprattutto a quelli diversamente abili che sono tenuti a sottoporsi a visita medica presso tali commissioni.
Riteniamo anche importantissima la norma che pone in capo ai gestori di servizi bancari e assicurativi l'obbligo di accettare le dichiarazioni e le autocertificazioni presentate dai clienti, troppo spesso ingiustificatamente rifiutate, con conseguente aggravio delle procedure e degli oneri per il cittadino. D'altra parte, lo stesso articolo, al fine di venire incontro alle comprensibili esigenze dei gestori dei servizi bancari e assicurativi, pone in capo alle pubbliche amministrazioni l'obbligo, su richiesta del gestore stesso e previo consenso del dichiarante, di confermare per iscritto la corrispondenza tra la dichiarazione e i dati in loro possesso.
Non posso non segnalare (tra l'altro faccio parte anche della Commissione Affari esteri) la disposizione che, accogliendoPag. 32una specifica richiesta da parte dei cittadini, prolunga da cinque a dieci anni il periodo di validità della carta di identità e della carta d'identità elettronica, con l'evidente finalità di ridurre la frequenza ed il numero di procedure per il rinnovo.
Inoltre, ricordando l'articolo 29-bis della legge n. 184 del 1983, relativo all'adozione di minori stranieri, il testo oggi al nostro esame mira a velocizzare la relativa procedura.
Nella stessa direzione di maggiore tutela del cittadino si muove anche la delega al Governo ad apportare modifiche al Codice della navigazione, relativamente alle sanzioni pecuniarie da irrogare nei confronti dei gestori aeroportuali, degli operatori aerei, dei manutentori aereonautici e dei prestatori di servizi al trasporto aereo.
Come si è visto, dalla rapida carrellata che ho appena svolto, si evince con chiarezza l'importanza e la bontà di questo provvedimento che interviene in numerosi settori che interessano la vita quotidiana dei cittadini - siano essi imprenditori, lavoratori o semplici fruitori di servizi - alleggerendoli da oneri e aggravi superflui e alleggerendo anche la burocrazia. Tutto ciò è fondamentale nell'ottica di uno Stato che voglia costruire il proprio rapporto con le cittadine e con i cittadini all'insegna della fiducia reciproca, eliminando le lentezze, le inefficienze che lo pongono, invece, sotto la luce del sospetto.
Per queste ragioni, a nome del gruppo Popolari-Udeur, esprimo viva soddisfazione per questo provvedimento, preannunziando fin d'ora il nostro voto favorevole.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.