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Si riprende la discussione.
PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali e si sono svolti alcuni interventi.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3292)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Adenti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, alcuni tragici fatti di cronaca hanno riportato nelle settimane scorse alla nostra attenzione, in modo dirompente, un tema di fondamentale importanza, ovvero quello della sicurezza reale e percepita da parte dei cittadini italiani, tema che noi Popolari-Udeur consideriamo una vera e propria priorità per il nostro Paese. In particolare, gli avvenimenti più recenti hanno messo in stretta relazione il tema della sicurezza con quello della presenza di cittadini stranieri nel nostro Paese. Si tratta di un rapporto molto delicato ed estremamente complesso, un rapporto che deve spingerci a riflettere con grande serietà su tale tema per le implicazioni che le nostre scelte possono assumere su un altro importante aspetto della vita sociale del nostro Paese, ovvero quello dell'integrazione, dell'accoglienza dei cittadini stranieri e della nascita di una società plurale da un punto di vista etnico e culturale.
Il rischio - credo che sia doveroso denunciarlo in questa sede - è quello di trasformare alcuni gravissimi avvenimenti di cronaca in pretesti per intervenire ideologicamente su alcune problematicità della convivenza sociale del nostro Paese. Il rischio è quello di voler trasformare il dibattito e le scelte politiche in merito alla sicurezza in un dibattito finalizzato esclusivamente a ricercare consenso politico sull'onda delle reazioni emotive del momento, seppur legittime e comprensibili, e allo stesso tempo di spingere alcune forze politiche ad aprire trattative politiche su tale tema, volte ad ottenere provvedimenti Pag. 52che ideologicamente - solo ideologicamente - rispondono ad istanze proprie di alcune aree politiche, sebbene siano incoerenti con il tema e i contenuti del provvedimento in esame.
In particolare, mi riferisco all'introduzione in un provvedimento originariamente omogeneo di una disposizione del tutto estranea al contenuto del decreto-legge, ovvero la norma antiomofobia, introdotta dal Senato con l'articolo 1-bis, che investe problematiche di indubbia rilevanza politica e sociale, ma che nulla ha a che vedere con la materia dell'allontanamento dal territorio nazionale di cittadini comunitari per esigenze di pubblica sicurezza. Tra l'altro, come è stato giustamente rilevato durante l'esame in sede referente, la materia delle discriminazioni, delle violenze legate alla sfera sessuale è attualmente all'esame della Commissione giustizia della Camera, per cui l'articolo 1-bis del decreto-legge sulla sicurezza è non solo giuridicamente estraneo alla materia del decreto stesso, ma altresì politicamente inopportuno, in quanto interferisce con un tema su cui da circa un anno la Commissione giustizia della Camera sta svolgendo un esame attento ed approfondito.
Per non parlare poi del fatto che, come è stato da tutti unanimemente rilevato, l'articolo 1-bis nella sua attuale formulazione contiene un riferimento normativo errato, in quanto rinvia all'articolo 13 del Trattato di Amsterdam, che si limita a prevedere che il Trattato stesso è concluso per un periodo illimitato, mentre il riferimento normativo corretto dovrebbe essere all'articolo 13 (ex articolo 6A) del Trattato istitutivo della Comunità europea, introdotto dall'articolo 2, punto 7 del Trattato di Amsterdam.
Non intendo soffermarmi sulle conseguenze di un simile errore, che sono state ben evidenziate durante il dibattito, tra cui non ultimo la sostanziale inapplicabilità della norma così formulata. Vorrei, invece, segnalare che l'emendamento con il quale il Senato ha introdotto questa norma non avrebbe mai superato il vaglio di ammissibilità alla Camera, per cui tengo a ribadire quanto già denunciato in altre occasioni. Occorre mettere mano al più presto ad una riforma dei Regolamenti parlamentari al fine di avvicinarne le disposizioni in tema di ammissibilità degli emendamenti, perché non è più accettabile e possibile, in un sistema di bicameralismo perfetto, che la diversità dei criteri di ammissibilità determini una situazione in cui una Camera ha maggiori poteri rispetto all'altra.
Ciò premesso, debbo comunque dire che noi del gruppo Popolari-Udeur siamo pienamente soddisfatti delle dichiarazioni rese dal Governo, che si è impegnato a porre rimedio a tale situazione attraverso un successivo atto correttivo. Per tali ragioni, abbiamo convenuto di ritirare il nostro emendamento soppressivo dell'articolo 1-bis, a dimostrazione del nostro senso di responsabilità, nonché della nostra fiducia e lealtà nei confronti del Governo, evitando così che il provvedimento al nostro esame, che giudichiamo - lo ripeto - di estrema importanza per il Paese, venga modificato e pertanto debba tornare all'esame del Senato, con il forte rischio di una sua mancata conversione. Infatti, il Senato è attualmente impegnato nell'esame del disegno di legge finanziaria e del Protocollo sul welfare.
Credo che altrettanta serietà debba essere rivolta all'esame dei contenuti più propri del provvedimento, ovvero la materia della sicurezza. Se da una parte, noi del gruppo Popolari-Udeur non possiamo che apprezzare l'impegno profuso dal Governo nel tentativo di dare risposte concrete alla domanda di sicurezza proveniente dai cittadini, nel pieno rispetto della normativa comunitaria e senza mai sconfinare nella xenofobia e razzismo, dall'altra parte ci sentiamo in dovere di avanzare un forte richiamo, affinché il provvedimento al nostro esame risulti di oggettiva efficacia e non rischi di essere una risposta adottata sull'onda emotiva di fatti gravissimi, che generano un clima di paura tra i cittadini. Sotto tale profilo, anche le modifiche apportate dal Senato sono condivisibili e non suscitano perplessità, se non forse sotto qualche profilo di Pag. 53carattere costituzionale, nonostante i tentativi delle opposizioni di confondere l'opinione pubblica con strumentalizzazioni ed allarmismi del tutto ingiustificati.
A tal proposito, vorrei segnalare come dato oggettivo, non certamente per ridimensionare la preoccupazione circa la gravità dei fatti accaduti, che, secondo recentissimi dati ISTAT, non più del 10 per cento degli stupri commessi in Italia è attribuibile a stranieri, mentre la criminalità degli immigrati regolari ha la stessa incidenza di quella della popolazione italiana. Su cento stranieri immigrati denunciati, il 2 per cento è costituito da immigrati regolari e il 98 per cento da clandestini che costituiscono il vero problema da affrontare. Intendo dire che, se vogliamo davvero impegnarci seriamente per garantire la sicurezza dei nostri cittadini, dobbiamo smettere di fare dello straniero il capro espiatorio di tutti i mali e sfatare il luogo comune che associa l'immigrazione, con un automatismo inaccettabile, ad una diminuzione della sicurezza nelle città italiane. Tale luogo comune contribuisce solo a generare paura e nuova violenza.
Pertanto, siamo nettamente contrari alle espulsioni di massa alimentate e propugnate da alcune forze politiche del centrodestra e siamo, invece, convinti che la direzione giusta da percorrere sia quella di una maggiore integrazione sociale dello straniero, ma anche e soprattutto di una maggiore presenza delle forze dell'ordine sul territorio, dando loro più risorse, più uomini e più mezzi. In tal senso, ci siamo attivati anche recentemente durante l'approvazione del disegno di legge finanziaria per il 2008.
La feroce uccisione di Giovanna Reggiani e i successivi atti di xenofobia nei confronti dei cittadini rumeni sono due orrori di un'escalation di fatti a lungo sottovalutati, in cui si intrecciano violenze ed illegalità diffusa, cui le istituzioni pubbliche debbono rispondere con assoluto rigore. Per fare ciò, occorre perseguire due strade: la tutela della legalità, perseguendo i responsabili dei crimini con gli strumenti di polizia e di giustizia e conservando la certezza della pena comminata ed irrogata.
La seconda strada è di natura preventiva attraverso il monitoraggio dei flussi migratori, programmandone gli insediamenti territoriali ed urbanistici, regolandone l'avviamento al lavoro, disincentivandone le occasioni di reddito illecito. Detto questo, non vi è dubbio che l'allargamento dell'Unione europea ai Paesi dell'est abbia comportato una serie di effetti collaterali non del tutto prevedibili, cui è necessario porre rimedio quanto prima.
In particolare, l'apertura delle frontiere, con la difficile realtà economico-sociale di alcuni di questi Paesi, ha comportato, inevitabilmente, un incremento dei flussi migratori verso i Paesi più ricchi (tra cui il nostro) che però si sono trovati impreparati ad accogliere e gestire una massa tale di persone, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta in termini di emarginazione e, quindi, di maggiore propensione a delinquere.
Il disegno di legge al nostro esame risponde proprio all'esigenza di individuare misure idonee ad arginare questo fenomeno, introducendo nel nostro ordinamento alcuni strumenti in grado di rendere più efficace e più celere l'allontanamento dei cittadini comunitari, la cui presenza sul territorio italiano contrasti con motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sicurezza dello Stato. In particolare, è opinione condivisa che, in simili circostanze, le misure previste dal decreto legislativo n. 30 del 2007, recante l'attuazione della direttiva della Comunità europea del 2004 relativamente al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, si siano rivelate insufficienti ad assicurare un'effettiva esecuzione dei provvedimenti di allontanamento.
Mi soffermerò solo su alcuni aspetti del disegno di legge in esame che noi consideriamo più significativi. Una delle principali innovazioni introdotte consiste nell'attribuzione al prefetto, in luogo del Ministro dell'interno, della competenza ad Pag. 54adottare provvedimenti di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza, mentre permane la competenza del Ministro per l'adozione di provvedimenti di allontanamento fondati su motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato. Inoltre, il disegno di legge stabilisce, in modo opportuno, che per motivi imperativi di pubblica sicurezza, il provvedimento di allontanamento sia immediatamente eseguito dal questore, precisando che tali motivi sussistono quando la persona da allontanare abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e grave alla dignità umana, ai diritti fondamentali della persona ovvero all'incolumità pubblica.
Ne risulta, a nostro avviso, un equo bilanciamento tra le esigenze di sicurezza e il rispetto dei diritti della persona, tra la celerità del procedimento e le garanzie dell'individuo. La prima, infatti, è assicurata dalle nuove competenze di prefetti e questori, che meglio di chiunque altro conoscono le problematiche del territorio sul quale operano; le seconde, invece, trovano un forte sostegno sia nella compiuta definizione dei motivi imperativi di pubblica sicurezza, in modo da delimitare i margini di valutazione discrezionale e da impedire ogni possibile abuso insito nelle definizioni generiche, sia nella precisazione, introdotta al Senato, per cui i provvedimenti di allontanamento adottati nei confronti dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari non possono essere motivati da ragioni estranee ai comportamenti individuali della persona di cui si dispone l'allontanamento. In questo modo, si è voluta ribadire la centralità del principio costituzionale di personalità della responsabilità penale intesa in senso estensivo, in quanto riferibile anche alla categoria delle misure di prevenzione cui sono riconducibili i provvedimenti di allontanamento.
Vorrei, infine, segnalare la funzione garantista della norma introdotta al Senato nella quale si attribuisce al tribunale in composizione monocratica la competenza in materia di convalida del provvedimento di allontanamento che, invece, nel 2004 era stata assegnata al giudice di pace, suscitando molte perplessità quanto alla costituzionalità dell'attribuzione ad un giudice onorario di competenze in materia di libertà personale. Con il ritorno alla competenza del tribunale, invece, si intende proprio sottolineare la natura giurisdizionale del procedimento di convalida, con tutte le garanzie processuali che a questo conseguono.
Tutto ciò, come è evidente, contribuisce a rafforzare la rispondenza di queste misure al dettato costituzionale, oltre che alla normativa comunitaria. Ne consegue - l'ho già affermato all'inizio del mio intervento, ma ci tengo a ribadirlo - che la posizione dei Popolari-Udeur sul provvedimento in esame è senz'altro positiva per ciò che concerne il contenuto proprio del decreto-legge, ossia sulle norme in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza, che rappresentano un complesso di disposizioni in grado di fornire una risposta all'emergenza di ordine pubblico non sulla base di una turbolenza emotiva (come qualcuno ha detto), ma parlando la lingua della ragione e della responsabilità.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che il diritto alla sicurezza, alla serenità, alla difesa della vita di cui oggi si parla tanto, si tutela non solo con provvedimenti normativi punitivi, ma soprattutto anche attraverso il recupero di valori importanti e condivisi, su cui si basa la nostra convivenza civile, che vanno diffusi e consolidati.
Per queste considerazioni, prendendo atto delle rassicurazioni fornite dal Governo sull'articolo 1-bis, annuncio fin d'ora il nostro voto favorevole all'intero provvedimento.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Santelli. Ne ha facoltà.
JOLE SANTELLI. Signor Presidente, come è emerso già da tutti gli interventi succedutisi stamattina in Aula, quasi nessun gruppo parlamentare (chi per un motivo, chi per un altro) arriva a condividere il decreto-legge in esame, dato che nessuno ha avuto sinora il coraggio di Pag. 55difenderlo nella sua totalità, in maniera completa, decisa e coerente.
Sicuramente la «storia» del decreto-legge finisce per rappresentare l'ennesimo pasticcio del Governo e della maggioranza. Si tratta di un pasticcio aggravato da una norma di cui parlerò in seguito, ovvero la «norma fantasma» di cui oggi stiamo discutendo e che è rappresentata dal famoso articolo 1-bis. Tuttavia, credo che la polemica su quella norma non debba finire per distrarre l'attenzione dal resto del provvedimento.
Il decreto-legge in esame nasce male, in quanto è «figlio» della disattenzione politica e dell'incapacità della maggioranza e del Governo di tenere una linea coerente in materia di politiche di sicurezza e di giustizia. Il provvedimento, infatti, nasce da un errore fondante, ossia da un errore di valutazione compiuto dagli esponenti della maggioranza e del Governo sin dall'inizio dell'anno in corso, quando si è realizzato l'allargamento dell'Unione europea a Bulgaria e Romania.
Ricordo, innanzitutto, che molte forze politiche (per non dire tutte) erano d'accordo sull'allargamento dell'Europa alla Bulgaria e alla Romania. L'Unione europea, consapevole dei problemi che si sarebbero verificati e del possibile enorme flusso di persone che avrebbero lasciato soprattutto la Romania verso altri Paesi dell'Europa - e ciò era facilmente comprensibile, in quanto era sufficiente osservare lo squilibrio del reddito pro capite tra un cittadino della Romania e un cittadino italiano, francese o tedesco -, ha concesso una deroga. Molto Paesi, quindi, hanno accettato la via della deroga offerta dall'Unione europea, ovvero di non sospendere il Trattato di Schengen ma di porre delle limitazioni. L'opposizione ha chiesto a gran voce al Governo di fare proprio ciò; ovviamente il Governo, signor Presidente e signori del Governo, non ha scelto di agire in questo modo o per ideologia (e questa rappresenterebbe la scusa più corretta e più buona) o per totale incapacità.
Siamo partiti quest'anno con un allarme pesantissimo, che è giunto il 3 gennaio 2007 dalla Caritas, la quale affermava che per l'Italia vi era un pericolo di invasione da parte della Romania. Ciò non lo sosteneva Forza Italia, Alleanza Nazionale, la Lega Nord o l'UDC, bensì la Caritas.
Vi è, inoltre, un aspetto ancora più drammatico, in quanto non noi, ma un importante dipartimento del Governo (ovvero il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) lanciava un altro allarme. Il dipartimento, infatti, sottolineava come, stando così le regole di ingresso e trasformando il soggiorno dei cittadini rumeni nel nostro Paese direttamente in un soggiorno legittimo, era necessario porre attenzione, in quanto sarebbero arrivati in Italia mille detenuti rumeni, immediatamente liberi, e non si sarebbe stati in condizione di procedere all'espulsione. Ribadisco che ciò non lo sosteneva l'opposizione (quella «cattiva» o estremamente rigida nei confronti degli immigrati), bensì il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che, fino a prova contraria, risponde al Governo in carica.
Nonostante tutti questi avvisi, in maniera molto candida, il Ministro dell'interno spiegava che vi era un'estrema esagerazione da parte del centrodestra sull'allarme rumeni e, in generale, sull'allarme sicurezza: la sicurezza non era un problema avvertito dai cittadini, ma una sorta di drappo rosso agitato dall'opposizione per creare il panico fra la gente.
Il 15 gennaio 2007, il Ministro Amato sosteneva, sulle colonne del Corriere della sera, che l'allargamento non avrebbe provocato alcun peggioramento in tema di criminalità e che, anzi, l'arrivo dei rumeni sarebbe stato un grande e decisivo passo avanti per il controllo degli irregolari ed avrebbe quindi generato un effetto sicurezza nel nostro Paese. Essendo state smentite, così, le previsioni del Ministero dell'interno, forse è il Ministro stesso che dovrebbe assumere le decisioni conseguenti. Il Ministro Amato sosteneva di non credere alle invasioni e che non vi sarebbe stata alcuna invasione nel nostro Paese: lo ricordo alla sottosegretaria Lucidi, che è appena arrivata e conosce bene la materia.Pag. 56
Il Presidente del Consiglio, a giugno, ha sostenuto che la colpa non era sua, ma del Presidente Berlusconi che, quando era Presidente del Consiglio, aveva fatto entrare in Europa la Romania e la Bulgaria; il 18 gennaio 2007, il Presidente Prodi ha affermato che l'allargamento e la possibilità dell'entrata libera di questi ulteriori Paesi nell'Unione europea era un suo grande successo storico e politico. Lo affermo per ricordare almeno a ciascuno le proprie responsabilità.
Siamo giunti al 4 aprile 2007: in questo frangente il Ministro Amato - molti colleghi lo ricorderanno - era stato chiamato in questa sede a rispondere su come il Governo intendesse agire rispetto alla possibile invasione dei rumeni. Come ricordavo prima, il Ministro ha affermato che non vi era alcun problema, ma che probabilmente si sarebbero verificati problemi di sicurezza: per fronteggiarli e risolverli, presso il Ministero dell'interno sarebbe stato costituito un gruppo di studio e di lavoro. Il Governo era stato avvisato e avrebbe agito di conseguenza: peccato che anche questa volta abbia clamorosamente sbagliato!
A proposito dei vari attori che si muovono su tale scenario, abbiamo incontrato sinora il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'interno, che ovviamente erano quelli maggiormente interessati alla vicenda. Non facevano meglio, però, altri protagonisti della vita politica.
Signor Presidente, forse è opportuno ricordare alcuni dati, perché molto spesso questo Paese è a corto di memoria: si ritiene che si possa affermare qualsiasi cosa, perché l'indomani il giornale viene buttato. Grazie a Dio, almeno in alcuni archivi, rimangono le affermazioni testuali e quindi la responsabilità politica.
Il 18 maggio 2007, il sindaco di Roma Walter Veltroni ha avuto l'ardire - considerate le vicende successive - di annunciare che il problema immigrazione non fosse un problema di sicurezza, ma un problema politico e sociale: bisognava capire chi avesse la ricetta giusta e chi no. Egli rimproverava aspramente il sindaco di Milano, Moratti, perché a Milano vi erano problemi. Al contrario, a Roma tutto andava nella maniera migliore: il 13 aprile 2007, infatti, Veltroni ha lanciato il «modello Roma» (ossia il modello aperto di città, basato sulle politiche dell'inclusione), spiegando che questa è la città dell'Eden, quella meglio amministrata d'Italia, dove non esiste alcun problema di sicurezza.
Il 18 maggio 2007, il sindaco ha scritto una lettera ad alcuni ministri, lanciando il «modello Roma» come modello ufficiale per l'Italia: «Trasformeremo l'Italia in Roma». Grazie tante, sindaco Veltroni, ma forse è meglio che ci teniamo le nostre città: vi sono meno pericoli rispetto a Roma!
Proseguendo, è successo dell'altro: specialmente dalle amministrazioni del nord è cominciata a partire la protesta.
Uno dei primi a sferrare l'attacco è il presidente della provincia di Milano che, come amministratore locale, vive il dramma della situazione. Il presidente della provincia di Milano, Penati, chiede ufficialmente al Governo di attivarsi per il problema Romania e Bulgaria e di iniziare, eventualmente, a discutere di moratorie al tavolo europeo.
Perentoriamente, il Viceministro Minniti risponde che non vi è alcun problema e che è assolutamente folle parlare di moratorie. Nel mese di giugno, invece, si verifica un cambiamento della situazione.
Come abbiamo visto, questo Governo e questa maggioranza, per sei mesi, su tutte le tematiche della sicurezza, hanno fatto «spallucce», ogni volta che si ricordava loro l'esistenza di alcuni problemi. Diciamo la verità: dalla nostra parte dell'emiciclo abbiamo avuto troppo spesso l'impressione che i temi della sicurezza e della immigrazione fossero stati, per una sorta di accordo interno alla maggioranza, sostanzialmente appaltati alle forze della sinistra radicale, sicuramente allergiche a un certo concetto di sicurezza.
Giungiamo al 27 giugno 2007 e comincia a montare la polemica. Tutti ricorderanno che già dai mezzi d'informazione comincia a diffondersi il messaggio che gli italiani hanno paura. Vi sono alcuni problemi:Pag. 57 si intensificano i furti e gli omicidi e cresce l'allarme. So che qualcuno mi dirà che questo non è il dato reale, ma percezione e che quest'ultima è un concetto evanescente. Tuttavia, la percezione non è un principio evanescente, ma il concetto principe delle politiche di sicurezza in questo Paese, almeno da venti anni.
Come accennavo in precedenza, il 27 giugno 2007, sempre il sindaco di Roma, tra gli esponenti politicamente più avveduti, comincia ad avvertire che il clima è cambiato e, quindi, corregge il tiro, affermando che occorre essere più ruvidi sulle politiche dell'immigrazione. Occorre iniziare a contrastare i flussi migratori. Si è trattato di una sorta di anatema e di eresia nell'attuale maggioranza politica che sostiene il Governo.
Dall'altra parte dello schieramento politico, invece, evidentemente il problema non era particolarmente sentito, perché il Ministro Ferrero continuava a insistere che il problema era rappresentato dall'integrazione dei 140 mila rom presenti nel nostro Paese, che bisognava puntare sulle politiche di integrazione e sociali e che, per cortesia, nessuno si azzardasse a parlare di sicurezza.
Dopo l'estate, dal punto di vista dall'opposizione, si è affermato un particolare atteggiamento da parte del Ministro dell'interno, che, dalle pagine di un noto giornale, ritornando in cattedra da professore universitario, lancia una «predica» in grande stile alla sinistra radicale, dicendo ai compagni di stare attenti, che si sbagliano e che bisogna cambiare tutto, perché le politiche della sicurezza non sono adeguate e la sicurezza è un diritto dei cittadini.
Probabilmente, molti di loro tentavano di copiare in maniera piuttosto maldestra la politica vincente di Nicolas Sarkozy in Francia. L'eco Sarkozy si era sentito e il suo modello era imperante in quel periodo.
Come dicevo, il 21 settembre 2007, Veltroni insiste che occorre affrontare il problema rumeni. A questo punto, anche il Ministro Ferrero si sveglia e afferma che bisogna limitare l'ingresso dei rumeni in Italia, non per esigenze di sicurezza, ma per meglio integrare i rom. Quindi, anche il Ministro Amato corregge le proprie errate previsioni e ammette che è in atto una vera e propria invasione di rom dalla Romania.
Collega Boato, non sono parole dell'opposizione, ma del Ministro dell'interno di questa maggioranza. Il termine «invasione» è stato usato e abusato da esponenti illustri di questa maggioranza e di questo Governo.
Proseguendo su questa linea, il momento culminante, come i colleghi ben sanno, è rappresentato dal famoso discorso del lingotto, in cui vi è il cambio di strategia di questo Governo e il nuovo leader del Partito Democratico tenta di riacciuffare il dato politico, di riemergere e di imporre, dal Partito Democratico, il timone a una maggioranza decisamente sbandata verso sinistra.
Purtroppo - dico purtroppo per l'Italia - anche questo suo tentativo si è dimostrato totalmente fallimentare. L'8 ottobre, Veltroni continua ad affermare che il flusso dei rumeni deve essere disciplinato da regole e che, da quando la Romania è entrata in Europa, l'affluenza massiccia dei rumeni è stata tale che effettivamente sussiste un allarme sicurezza.
Il 30 ottobre 2007, il Governo, esattamente dopo cinque Consigli dei ministri con esito negativo perché non si riusciva a trovare la «quadra» su un pacchetto di misure in materia di sicurezza, riesce finalmente a varare cinque disegni di legge in materia di sicurezza, provvedimenti di un pacchetto assolutamente osannato sugli organi di stampa come rivoluzionario in Italia.
Nel frattempo, purtroppo per noi, accade un evento, l'omicidio della signora Reggiani, particolarmente drammatico perché l'aggressione subita dalla signora Reggiani avviene per strada, al centro di Roma, in una via che sicuramente non è degna di trovarsi né nel centro né nella periferia di una città civile. Colleghi, è questo il «modello Roma». Le televisioni, le parate televisive e giornalistiche, nonché Pag. 58i lustrini ed altro, solo fino a un certo punto, possono coprire la realtà, ma alla fine la realtà trionfa, e il trionfo di quella realtà è drammatico, perché forse risveglia l'opposizione e soprattutto una maggioranza che si era illusa, con il mostrare che moltissime cose non andavano per il verso giusto.
Il 1o novembre, dopo un incontro piuttosto drammatico al Viminale, il Consiglio dei ministri si riunisce ed approva un decreto-legge in materia di espulsione sui rumeni.
Avete un bel dire, colleghi della maggioranza, che si tratta di un provvedimento di natura generale, che non bisogna essere allarmisti e che voi agite in termini generali e non in base all'allarme sociale! Voi, il 1o novembre, avete adottato un decreto-legge per apparire sulla prima pagina dei telegiornali (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)! È questa la realtà, altrimenti è inspiegabile il fatto che, il 1o novembre, sia stato approvato all'unanimità il detto decreto e che successivamente, già il 3 novembre, quattro importanti Ministri del Governo abbiano affermato di non essere d'accordo con lo stesso provvedimento.
Per responsabilità politica avrebbero dovuto dichiararlo in sede di Consiglio dei ministri, ma forse hanno accettato che Prodi e Veltroni facessero una «comparsata» televisiva, lasciando poi agli italiani la possibilità di smaltire la notizia.
Finalmente - lo dico per tutti, a conclusione di questa ricostruzione - il 7 novembre 2007, non sui giornali italiani, perché il Presidente del Consiglio italiano ama concedersi soprattutto alle note testate internazionale, il Premier italiano rilascia dichiarazioni al Financial Times e afferma che «effettivamente non vi è un problema italiano, perché l'affluenza dei rumeni ha colto di sorpresa l'intera Unione europea. Noi non sappiamo quanti rumeni siano entrati in Italia dopo il 2007, ma forse nessuno si poteva aspettare un flusso simile».
Forse loro non si aspettavano tale flusso, perché mi sembra di aver ricordato in questa sede una serie di campanelli di allarme, anche estremamente autorevoli, che erano arrivati al Governo.
Ho fatto questo excursus anzitutto per ricordare i dati, colleghi, perché altrimenti falsifichiamo la realtà e non facciamo un buon servizio alla verità. Questo decreto-legge, considerato tutto quello che ho detto, rappresenta il frutto di un compromesso al ribasso per un'esigenza solo politica, di guerra interna a questa maggioranza. L'iter del provvedimento è iniziato in questo modo e purtroppo nello stesso modo, ovvero con questo braccio di ferro, sta continuando il suo esame nelle Commissioni Parlamentari, e ugualmente forse - non so come - terminerà anche in Assemblea.
Intendo però affrontare anche la questione del merito. Che cosa sono queste norme? Sono valide a rispondere in modo esaustivo alle esigenze dei cittadini?
La risposta è «no». Questa volta - lo ribadisco - non sono io a dirlo, ma mi affido alle autorevoli - a mio avviso - parole del Ministro Amato, il quale si presenta in Aula e afferma che il decreto-legge è efficace e di aver firmato 200 espulsioni, sebbene 160 espulsi siano scappati. Tale è l'efficacia del decreto-legge in esame! Per non ripetere l'excursus tecnico che spero potremmo esporre di fronte a quest'Assemblea, se questa maggioranza e questo Governo non avranno anche l'ardire di porre la questione di fiducia, onestamente penso che non si possa esagerare con gli atti di prepotenza, anche se in quest'ultimo periodo ci siamo abituati.
Cercherò di focalizzare l'attenzione su alcuni punti specifici. Chiedo ai colleghi della cosiddetta sinistra radicale, o arcobaleno, non lo so, che della difesa degli immigrati hanno fatto un vanto - rispetto le posizioni politiche di ciascuno -: colleghi, ve la sentite di votare un decreto-legge che prevede che i cittadini comunitari che saranno fermati, non andranno negli odiati centri di permanenza temporanea, ma finiranno direttamente nelle camere di sicurezza dei commissariati e delle tenenze dei carabinieri? È una domanda a cui dovete dare una risposta: su Pag. 59questo aspetto non c'è infingimento. Forse potrete raccontare ad alcuni dei vostri iscritti che per voi, in fondo, la battaglia sui centri di permanenza temporanea era simbolica ma in questo caso si tratta di sostanza. Le camere di sicurezza non sono utilizzate da almeno trent'anni nel nostro Paese. Voi ritenete possibile che, mentre gli extracomunitari vengono inviati nei CPT, gli immigrati comunitari vengano mandati nelle camere di sicurezza? Nella scorsa legislatura riguardo alle camere di sicurezza avevamo elaborato uno studio secondo cui è necessaria almeno la metà delle risorse previste nella legge finanziaria per metterle in condizioni igienico-sanitarie non dico dignitose ma praticabili. Se continuerete ad andare in giro nelle carceri, mostrando lo schifo - diciamolo pure in questi termini - presente in alcuni penitenziari, vi promettiamo ora che se approverete il decreto-legge in esame, faremo il giro delle camere di sicurezza per mostrare dove le forze di sinistra hanno deciso di mandare le persone. Dico persone, non cittadini comunitari. Questo è il segno della differenza tra le parole...
MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. C'erano CPT indegni!
JOLE SANTELLI. Le camere di sicurezza negli ultimi trent'anni non sono state utilizzate: sono sotto terra, umide, scrostate e non c'è possibilità di risollevarle. In ogni caso, queste sono le distanze tra le parole e i fatti, tra l'ideologia e la realtà, la pratica. Affido queste riflessioni alla vostra attenzione, perché posso immaginare che al Senato vi sia stato uno svarione tale che qualcuno non si è accorto di ciò che stava scrivendo e a questo punto mi aspetto un atto di resipiscenza da questa Camera, da parte di chi veramente crede in alcuni diritti della persona. Oppure, voi sapete che il decreto-legge al nostro esame è una presa in giro e ritenete che nessuno sarà mai messo in condizione di essere inserito, di essere accompagnato in una camera di sicurezza perché nessuno sarà mai fermato e, allora, la presa in giro non è nei confronti di comunitari immigrati in Italia ma nei confronti dei cittadini italiani: tertium non datur.
Ritengo inoltre che, a parte tutta la stranezza di cui ho detto, la difficoltà di questo decreto-legge vada al di là delle diverse parti politiche, se si cerca di mantenere un certo senso di obiettività (infatti, di ciò che fa il Governo italiano finiamo per essere responsabili tutti). Questo decreto-legge, infatti, per come è stato scritto, soprattutto per le modifiche che ha subito al Senato, ha finito per essere illeggibile. State esponendo i prefetti della Repubblica e il Ministro dell'interno ad una serie di procedure che, con molta probabilità, non riusciranno a sostenere il giudizio di convalida da parte del tribunale ordinario.
Le ipotesi, infatti, sono così compromissorie e vaghe che è anche difficile comprendere realmente la differenza fra i provvedimenti che può adottare il prefetto e quelli che sono, invece, di specifica competenza del Ministro dell'interno. Si tratta, pertanto, di un tema di estrema importanza.
Vorrei, altresì, menzionare uno dei temi più delicati, che non coinvolge soltanto il problema relativo alla Romania, ma per il quale si interviene su tutta la disciplina in relazione all'immigrazione. Se il decreto-legge in discussione malauguratamente dovesse essere convertito in legge, d'ora in poi, per vostra volontà, le convalide dell'espulsione saranno di competenza del giudice ordinario. Premetto che rispetto quanto afferma la Corte costituzionale, ma resto convinta che il provvedimento di espulsione sia una misura di sicurezza che spetta al Ministero dell'interno, a chi è responsabile della sicurezza del Paese.
Comprendo che vi è una sentenza della Corte costituzionale, a cui noi stessi in precedenza ci siamo dovuti inchinare, ma fate attenzione, perché dare la competenza alla magistratura ordinaria, e non al giudice di pace, significa, ancora una volta, abdicare politicamente e consegnare alla magistratura ordinaria la politica di sicurezza e di immigrazione del nostro Paese. Capisco che alcuni ritengono ancora che vi Pag. 60sia una parte della magistratura oggettivamente connessa ad una parte di questa maggioranza, ma i più svegli sanno che quel tempo è finito! Colleghi svegliamoci, perché alcune questioni sono residui bellici degli anni Settanta! I tempi sono cambiati: vi state assumendo una grande «responsabilità» di irresponsabilità politica e tutti noi, poi, dovremo spiegare alla gente che le scelte del Governo non sono colpa nostra né dipendono dal Parlamento, ma dalla decisione di un singolo giudice ordinario. Saremo chiamati a rispondere a quel processo e non vi sarà un'irresponsabilità. Questa scelta se la assumerà la maggioranza che voterà a favore di questo decreto-legge.
Vorrei passare - concludo, perché non so quanto tempo ho a disposizione - alla questione più politica. Quando il leader del Partito democratico e il Ministro dell'interno, nell'emanare questo decreto-legge, dissero che per senso dello Stato avrebbero voluto discuterne insieme, ci avevo creduto. Ammetto - auspico di non sbagliare! - che una parte di questa maggioranza effettivamente ha fatto tale tentativo. Ha cercato di discutere di questi temi, perché si è accorta che costituiscono una priorità nell'agenda delle persone (e non di quella del Parlamento) e ha cercato di discuterne con l'opposizione. È stato, tuttavia, un atto vergognoso far ritirare al relatore Sinisi gli emendamenti dallo stesso presentati, perché una parte della maggioranza rifiuta quello che chiama «inciucio» sulle politiche di sicurezza! Una parte di questa maggioranza continua ad essere allergica a questo tipo di polemica ed, anzi, si è innestato, ancora una volta, un braccio di ferro, di cui siamo oggi vittime. Siamo giunti alla questione essenziale. Si è creato un pasticcio difficile da spiegare addirittura ai giornalisti, figuriamoci alla gente. Come spiegare questo strano «triangolo delle Bermuda», in cui da un lato vi è il decreto-legge in discussione, dall'altro un disegno di legge all'esame della Commissione giustizia e ora si aggiungerà, forse, un provvedimento correttivo? È quasi impossibile darne una spiegazione. Cosa è accaduto? La sinistra radicale, ad un certo punto, ha affermato - lo abbiamo constatato tutti - di non voler approvare questo decreto-legge, non essendo importante che fosse «annacquato», perché non si sarebbe potuta presentare davanti al proprio elettorato dopo aver votato un decreto-legge sulla sicurezza, a meno che, anche in questo caso, non avesse portato una prova di passaggio, la testimonianza di esserci. Qual è la testimonianza di esserci in un decreto-legge che riguarda la sicurezza e l'espulsione dei rumeni e dei cittadini comunitari? È una norma sull'omofobia. Ritengo che ciò dica tutto. Ma non solo. Poiché una parte di questa maggioranza non aveva intenzione, in alcun modo, di votare questa norma al Senato, qualche genio ha ritenuto che fosse opportuno mascherarla un po', fargli un po' di maquillage, in modo che nessuno si accorgesse di cosa vi fosse scritto.
Effettivamente siete stati bravi: talmente bravi che non vi siete accorti che la norma è sbagliata, vuota. Non se n'è accorta la senatrice Binetti, non se n'è accorto nessuno! È una norma fantasma e oggi ci troviamo con un pasticcio di un decreto-legge che contiene una norma finta...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
JOLE SANTELLI. Concludo, signor Presidente. Come dicevo, questo decreto-legge sostituisce e abroga una norma importante come la legge Mancino. Recentemente il Governo - desidero ricordarlo in questa sede, per sottolineare la correttezza del sottosegretario Scotti - con un monitoraggio molto parziale, ha parlato di oltre cento processi che «scappano». Finale delle meraviglie: si arriva a dire che forse si farà un decreto-legge correttivo. In questo modo, chi deve risolvere il problema si espone a due momenti: firma di un decreto-legge sbagliato e firma di quello correttivo. Vorrei concludere, signor Presidente, se mi concede soltanto un minuto...
PRESIDENTE. No, un minuto è un po' troppo.
Pag. 61JOLE SANTELLI. Un minuto solo.
PRESIDENTE. No, è troppo. Le posso concedere mezzo minuto.
JOLE SANTELLI. Farò il più presto possibile. Per concludere, vorrei soltanto leggere un articolo che mi è piaciuto particolarmente. Nell'edizione odierna di un importante quotidiano, è scritto: questo «errore trasmette un segnale assai poco lusinghiero per l'Unione. In fondo, nella primavera del 2006 il centrosinistra aveva vinto le elezioni anche per il pregiudizio positivo di cui godeva (...) fosse vero o no, dava una sensazione di maggiore competenza e professionalità. In questi mesi, invece, le riserve di credito (...) si sono (...) completamente esaurite. (...) È materia da manuale non sulla soluzione dei problemi, ma sul modo migliore per trasformarli in boomerang». Penso che ciò sia esaustivo anche del nostro pensiero (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Crapolicchio. Ne ha facoltà.
SILVIO CRAPOLICCHIO. Signor Presidente, onorevoli deputati, signori membri del Governo, intervenendo nel dibattito parlamentare finalizzato alla conversione in legge del cosiddetto decreto-legge sicurezza, nella versione licenziata dal Senato della Repubblica, non si può che prendere atto, anzitutto, di come il decreto-legge oggetto di conversione abbia preso le mosse e, per certi versi, la propria ispirazione di fondo, della situazione di grave malessere ed allarme sociale, generata, da ultimo, dal brutale episodio di violenza purtroppo verificatosi qualche mese fa, a Roma. La particolare circostanza alla base della decretazione d'urgenza in questione, tuttavia, se da un lato ha posto il Governo nella condizione - quasi forzata - di dare un'emotiva e immediata risposta al Paese, dall'altro lato ha recato con sé tutti i limiti di un intervento legislativo sostanzialmente emergenziale e destinato ad avere una portata purtroppo soltanto marginale rispetto alla ben più complessa, ampia e delicata questione della sicurezza nel nostro Paese.
Se tuttavia restano, a tutt'oggi, le forti perplessità derivanti dalla circostanza di essere intervenuti in un settore - come si è detto, così cruciale e complesso - con una decretazione d'urgenza per sua natura (come è ovvio) inidonea a dare luogo a una disciplina organica e ragionata della materia, si deve però osservare come la revisione del testo di legge di conversione, operata dal Senato della Repubblica, abbia di fatto consentito il superamento di alcuni punti di criticità, fino ad oggi denunziati, rendendo più «digeribile» il testo medesimo. A tale proposito, infatti, non si può che valutare positivamente anzitutto il tentativo di definire - in modo più possibile compiuto e circoscritto - le ragioni giustificanti la restrizione, nei confronti dei cittadini comunitari, di fondamentali libertà sancite dagli atti fondanti della Comunità europea e successivamente dall'Unione europea, ossia la libertà di circolazione e soggiorno dei cittadini comunitari nei Paesi dell'Unione Europea. Appare infatti chiaro che la mancata rivisitazione degli assai ampi parametri di riferimento contenuti nel decreto-legge avrebbe esposto la norma in questione a seri dubbi di costituzionalità, in particolare per ciò che attiene alla necessaria tipicità delle disposizioni restrittive della libertà personale, nonché avrebbe lasciato residuare un eccessivo ed illegittimo margine interpretativo in sede applicativa della stessa. Inoltre, valutiamo assai positivamente che sia stata differenziata - rispetto al decreto-legge originario - la competenza rispetto all'emissione dei provvedimenti restrittivi e che, in ogni caso, sia stata prevista la possibilità, per i soggetti interessati da detti provvedimenti, di ricorrere ad autorità giurisdizionali togate, perfettamente in grado di garantire la piena tutela dei diritti dei destinatari di tali provvedimenti e, tramite il pieno rispetto della normativa in questione, il perseguimento del fondamentale interesse pubblico sotteso alla normativa stessa.Pag. 62
In altre parole, in una materia così delicata era ed è di fondamentale importanza, ridurre al minimo il margine interpretativo delle norme da parte dell'autorità preposta alla relativa applicazione, ponendo l'allontanamento coattivo quale misura restrittiva di carattere eccezionale, da utilizzare soltanto per fattispecie di reato assai rilevanti ed in modo comunque non discriminatorio contro questa o quella etnia, il tutto, ovviamente, sulla base di un serio e attento vaglio dell'autorità giurisdizionale. Nonostante l'errore tecnico del rinvio legislativo operato, ugualmente positivi ed accoglibili appaiono le ragioni sostanziali alla base dell'inserimento, nel testo licenziato dal Senato della Repubblica, di disposizioni anti discriminatorie, compatibili con il presente provvedimento.
Ciò premesso, desta comunque fortissima preoccupazione il fatto che tale disposizione possa comportare l'estinzione, per il principio dell'applicazione della normativa penale più favorevole all'imputato, in ossequio al principio del favor rei, di tutti i procedimenti penali, relativi ai reati previsti dalla Convenzione ONU contro la discriminazione razziale ratificata con legge del 1975, successivamente modificati dalla cosiddetta legge Mancino. Non vorrei che la cura fosse peggiore del male. Tuttavia, tali positivi aspetti non eliminano del tutto la preoccupazione che con il provvedimento restrittivo in questione si sia tentato di porre rimedio solamente ad una piccola parte del problema rischiando però, nel contempo, di creare ulteriori forti tensioni e di dare luogo ad un ingiustificato inasprimento delle sanzioni penali. Si è cioè adottato un provvedimento che sembrava, e sembra tutt'oggi, a rischio di assumere i contorni di un provvedimento generalizzato e discriminatorio contro i rumeni, la stragrande maggioranza dei quali in Italia vive una vita completamente dignitosa e laboriosa. Certo, molti di loro, vivono in baraccopoli come quella di Tor di Quinto, ma anche in tal caso il problema non si risolve né con una espulsione generalizzata, né lasciando le famiglie e i bambini senza un tetto, sia pure quello di una baracca fatiscente, perché così si rischia di ottenere l'effetto esattamente contrario a quello auspicato. Vorremmo immaginarli con il brivido della fantasia e poi pensare che non esistano. Invece, esistono e le loro baraccopoli si impongono alla nostra vista e se proprio non riusciamo a superare la compassione per loro, come per ogni derelitto ed accettare di convincerci, dobbiamo quanto meno impegnarci, affinché i predetti abbiano condizioni di vita accettabili e dignitose.
Quanto accaduto a Tor di Quinto ci ha indignato e ci indigna, ma la politica ha il compito di non generalizzare ipocritamente. Il problema sicuramente esiste, ma va affrontato in maniera organica, non soltanto sul piano della repressione che sembra dettato per lo più dall'onda emotiva, ma anche e soprattutto su quello della prevenzione, della certezza della pena, della solidarietà e dell'integrazione sociale, nonché del rispetto pieno e incondizionato dei valori universali di ogni essere umano. Pertanto, è soltanto tenendo conto dei fondamentali valori ed elementi suddetti, nel contesto di una auspicabile riforma di carattere generale ed organico della normativa, afferente alla sfaccettata materia della sicurezza, che si potranno porre i principi di diritto idonei a garantire adeguate risposte al Paese in tema di sicurezza e dell'ordine pubblico e, nel contempo, a rafforzare una cultura dell'integrazione e della solidarietà degna di un Paese civile e indenne da censure di incostituzionalità, evitando misure populistiche e demagogiche, come quelle che la destra vorrebbe imporre (Applausi dei deputati dei gruppi Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Germontani. Ne ha facoltà.
MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge 1o novembre 2007, n. 181 del quale stiamo discutendo la conversione in legge, prevede disposizioni urgenti che riguardano esigenze di pubblica sicurezza sul territorio nazionale. Esso, tuttavia, comportaPag. 63 anche un ampliamento del dibattito parlamentare, che indubbiamente non può essere limitato al puro e semplice allontanamento di immigrati indesiderati. La discussione fin qui svolta, in quest'aula, ma anche gli interventi istituzionali di grande valenza giuridica, uno per tutti quello del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, non consentono di focalizzare l'argomento alle semplici tecniche sul rimpatrio degli stranieri, ma hanno messo in risalto valori e concetti politici che si sviluppano in una ampia gamma di opzioni: dalla libertà di circolazione nei Paesi aderenti all'Unione europea, alla fondamentale espressione ordine e legge, che è tipica di una cultura della nostra destra.
Accanto alle implicazioni di natura giuridica (l'obbligo della residenza) ve ne sono altre di natura socio-economica (il lavoro e il reddito certo) che arricchiscono il nostro dibattito e lo complicano più del previsto.
Una cosa, però, bisogna dire subito: il richiamo del Capo dello Stato costituisce un autentico ammonimento per il Governo e per il suo modo farraginoso di legiferare, ma rappresenta anche un valore aggiunto per l'intera comunità nazionale e per tutte le forze politiche, nessuna esclusa. Come esponente di Alleanza Nazionale, sono lieta di constatare l'imparzialità di una serenità di giudizio di un Presidente che, a differenza di alcuni suoi predecessori, interpreta la volontà del popolo italiano e rappresenta l'unità della nostra patria.
Basterebbe, a mio giudizio, questa premessa per indurre il Governo a rivedere la sua posizione e a pensare subito ad opportune modificazioni o integrazioni al decreto-legge in discussione. Ma veniamo ai suoi contenuti. Il decreto-legge reca una serie di modifiche al decreto legislativo n. 30 del 2007, che ha recepito la direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La discussione al Senato si era avviata con un concreto spirito di collaborazione da parte dell'opposizione e di Alleanza Nazionale, che si era resa disponibile ad approvare un testo che desse risposte immediate e concrete ai cittadini che chiedevano più sicurezza.
Stamattina l'onorevole Mascia, nel corso del suo intervento, parlava di un bisogno di sicurezza vero o presunto. Pochi giorni fa, un quotidiano come Il Sole 24 ore ha pubblicato un articolo intitolato: «Allarme sicurezza. Tre milioni di denunce: è il record che potrebbe essere raggiunto nel 2007. Sono le grandi città le più colpite». Non credo, quindi, che si tratti di un bisogno di sicurezza presunto.
La tolleranza estrema di un certo modo di pensare ha prodotto gravi conseguenze, non solo dal punto di vista della sicurezza, ma anche da quel punto vista culturale che ha sottolineato l'onorevole Mascia, come, ad esempio, l'eccessiva accondiscendenza nei confronti di comunità di nomadi, che ha portato ad un'indifferenza per le violazioni dei diritti umani che si perpetuano nell'ambito dei loro stessi gruppi familiari. Minori e donne costrette a forza a chiedere l'elemosina per portare i soldi a casa. La tolleranza, dunque, è diventata noncuranza delle leggi. Abbiamo più volte in quest'Aula e fuori di qui sostenuto chiaramente che è giusto e sacrosanto tenere le porte del nostro Paese aperte per chi viene a lavorare, ma non per chi viene qui senza un lavoro, senza una casa e, soprattutto, cercando un Paese dove le leggi siano più accondiscendenti di quelle in vigore nel proprio Paese. Chi entra in Italia deve rispettare la nostra identità e la nostra cultura e, soprattutto, deve rispettare le nostre regole. La questione della sicurezza è uno dei temi su cui da tempo si batte Alleanza Nazionale e prova ne è stata la grande manifestazione dello scorso 13 ottobre a Roma, che ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone. È stata la chiara dimostrazione che i cittadini chiedono sicurezza, più sicurezza vera.
Tornando al testo del decreto-legge, dobbiamo preliminarmente ricordare che la direttiva 2004/38/CE sul diritto di circolazione e soggiorno negli Stati membri dei cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari disciplina: le modalità di esercizio Pag. 64del diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari; il diritto di soggiorno permanente; le restrizioni ai diritti di libera circolazione e soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.
Il Governo sostiene che si possano prevedere espulsioni soltanto per motivi di pubblica sicurezza, nel rispetto della citata direttiva europea. In realtà, la Commissione europea ha chiarito che ad un cittadino dell'Unione può essere negato il diritto di soggiorno se non soddisfa uno dei requisiti previsti dalla direttiva, per esempio anche quello di disporre di risorse economiche sufficienti, così come decretato dall'articolo 7 della direttiva 2004/38/CE, che recita: «Ciascun cittadino dell'Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro a condizione di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante e di disporre per esso stesso e per i propri familiari di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno».
Non si può infatti non tener conto del fatto che spesso, troppo spesso, l'assenza di una fonte di reddito adeguata può predisporre ad un comportamento illegale.
Secondo quanto previsto dal decreto-legge, inoltre, il cittadino comunitario che viene in Italia e supera i tre mesi di permanenza ha la facoltà - non l'obbligo - di comunicare alla questura la propria presenza sul territorio nazionale: nel caso in cui ciò non venga fatto, non sono previste contromisure. Possiamo immaginare quanti saranno coloro che, decidendo di trasferirsi nel nostro Paese perché è più permissivo del loro, con obiettivi probabilmente diversi da quello (che, lo ripeto, è sacrosanto) di cercare un lavoro, sceglieranno di dare comunicazione della loro presenza alle autorità competenti: non credo saranno molti!
Ricordo in proposito che l'articolo 5, comma 5, della direttiva europea n. 2004/38/CE già sancisce che lo Stato membro può prescrivere all'interessato di dichiarare la propria presenza nel territorio nazionale entro un termine ragionevole e non discriminatorio, e che l'inosservanza di tale obbligo può comportare sanzioni proporzionate e non discriminatorie. Ricordo, inoltre, che l'articolo 8, comma 1, della stessa direttiva ammette la richiesta di iscrizione presso le autorità competenti per un soggiorno di durata superiore ai tre mesi e che l'articolo 9 del decreto legislativo n. 30 del 2007, di recepimento della direttiva in questione, stabilisce che al cittadino comunitario che intende soggiornare in Italia per un periodo superiore a tre mesi si applicano le disposizioni in materia di anagrafe dei residenti. Ciò detto, ritengo che la violazione dell'obbligo di iscrizione anagrafica - insieme all'assenza dei requisiti per soggiornare sul territorio nazionale per un periodo superiore ai tre mesi - dovrebbe essere considerata un motivo imperativo di pubblica sicurezza.
Credo inoltre che sarebbe opportuno che, come richiesto anche da un emendamento presentato dal gruppo di Alleanza Nazionale, fra le formalità amministrative per i cittadini dell'Unione e i loro familiari vi fosse anche quella di dimostrare di possedere un alloggio rispondente ai requisiti igienico-sanitari previsti per il rilascio del certificato di abitabilità. È infatti facilmente immaginabile, se non ci copriamo gli occhi davanti all'evidenza, che chi vive in situazioni abitative precarie e non dignitose (da un punto di vista sia formale sia sostanziale) rischia più facilmente di entrare in contatto o di essere vittima di ambienti malavitosi ed è quindi più facilmente disposto a delinquere.
Vorrei a questo punto soffermarmi sul famoso articolo 1-bis introdotto con un emendamento del Governo durante la discussione in Senato. È evidente che si tratta di una norma-manifesto che ha fini non giuridici ma solo ideologici e che è stata introdotta per soddisfare le richieste della sinistra estrema. L'articolo 1-bis inserisce infatti nel testo un tema che a nostro avviso è ad esso del tutto estraneo, checché si sia detto nei precedenti interventi:Pag. 65 ovvero il reato di omofobia. D'altra parte lo stesso relatore, onorevole Zaccaria, ha ammesso la non essenzialità di questa norma. L'articolo 1-bis, alla lettera a), stabilisce che sia punito «con la reclusione fino a tre anni chiunque incita a commettere o commette atti di discriminazione di cui all'articolo 13, n. 1, del Trattato di Amsterdam». Come da più parti si è più volte ricordato, il riferimento al Trattato di Amsterdam è completamente errato, e si tratta di un grave errore che evidenza il pressappochismo con cui il Governo ha legiferato e legifera. Sarebbe bene ricordare infatti che il Trattato di Amsterdam, cioè il trattato firmato il 2 ottobre 1997 per l'appunto nella città di Amsterdam, all'articolo 13 reca testualmente: «Il presente Trattato è concluso per un periodo illimitato». Il Governo intendeva invece presumibilmente riferirsi all'articolo 13, n. 1, della versione consolidata del Trattato che istituisce la Comunità Europea (siglato il 25 marzo 1957), modificato dall'articolo 2, Parte I, n. 7, del Trattato di Amsterdam.
Questa disposizione prevede che il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, possa prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione, le convinzioni personali, gli handicap, l'età e le tendenze sessuali.
L'articolo 1-bis così come formulato, per quanto sostanzialmente inapplicabile in quanto errato, creerà comunque un grave vulnus nell'ordinamento, abrogando una parte della cosiddetta «legge Mancino», cioè quella legge che costituisce l'unica seria difesa contro la discriminazione, sostituendola con una sorta di promessa di intervento da parte del Governo che, se pure attuata, comunque ridurrebbe il livello di tutela. La «legge Mancino», infatti, punisce con la reclusione fino a quattro anni chi diffonda idee fondate sulla superiorità e sull'odio razziale o etnico, e chiunque commetta o inciti a commettere atti di discriminazione. La legge vieta anche l'organizzazione e l'associazione di gruppi che incitano alla violenza sempre per motivi razziali, etnici, religiosi e nazionali.
L'errore inserito nel decreto-legge al nostro esame rischia, inoltre, di essere un autentico colpo di spugna per tutti i processi in corso - circa cento - per razzismo, e di cancellare con un solo colpo di spugna anche le sentenze già passate in giudicato. Il riferimento sbagliato rende inapplicabile la norma che nel contempo, per il fatto di aver modificato la fattispecie penale originaria innalzando le sanzioni, l'ha anche abrogata. L'effetto è quello di una vera e propria abolitio criminis: viene cioè meno il reato e così, per il favor rei, vengono meno le incriminazioni in atto.
Il Ministro per i diritti e le pari opportunità, Barbara Pollastrini, ha accolto con entusiasmo la norma contro l'omofobia, definendola un atto di civiltà e definendo una grave decisione quella della senatrice Binetti che ha deciso, propria a causa di tale norma, di non dare fiducia al Governo. Vorrei ricordare al Ministro Pollastrini, che tanto si è spesa per i diritti degli omosessuali e tanto poco si spende per quelli delle donne, che se non si provvederà a stralciare l'articolo 1-bis si correrà il serio pericolo, in attesa di un decreto che corregga l'errore tecnico, di un reale rischio di amnistia per tutti i processi in corso riguardanti le discriminazioni razziali ed etniche, e ciò si aggiungerà ai danni che questo Governo e questa maggioranza hanno già prodotto e continuano a produrre con l'indulto che Alleanza Nazionale - lo voglio ripetere - non ha votato.
Vorrei ancora ricordare, per esempio, al Ministro Pollastrini che, se non si provvederà a stralciare l'articolo 1-bis, saranno a rischio circa cento processi tra cui quello contro i vertici dell'UCOII, accusati di aver istigato via Internet e a mezzo stampa a commettere violenze per motivi religiosi.
Approvare il provvedimento in discussione rappresenterebbe allora una grave decisione, e mi riferisco anche ai rilievi che lo stesso relatore e presidente della Commissione giustizia, onorevole Pisicchio, ha espresso con molta chiarezza Pag. 66riguardo all'inserimento dell'omofobia nel testo del decreto. L'onorevole Pisicchio ha svolto alcune considerazioni non sul merito della disposizione, quanto sulla scelta di inserirla nel decreto-legge in esame, nonostante la materia dell'omofobia fosse da circa un anno all'esame attento ed approfondito della II Commissione.
«Sull'estraneità della materia rispetto al contenuto del decreto-legge - afferma l'onorevole Pisicchio nella sua relazione - non mi rimane che fermarmi innanzi all'autonomia del Senato; tuttavia ciò non mi esime dal sottolineare che ormai è arrivato il momento di risolvere definitivamente la grave questione della diversità dei parametri di valutazione dell'estraneità di materia degli emendamenti tra i due rami del Parlamento. Non è rilevante la circostanza richiamata al Senato che la disposizione sia stata inserita in un maxiemendamento sul quale è stata posta la questione di fiducia, perché è sin troppo evidente - aggiunge sempre l'onorevole Pisicchio nella sua relazione - che la diversità dei parametri di valutazione sull'ammissibilità costituisce un grave vulnus al principio del bicameralismo perfetto, in quanto ormai si è creata una situazione in cui una Camera ha maggiori poteri rispetto all'altra».
Passiamo all'esame dell'articolo 1-ter che attribuisce le competenze del giudice di pace al tribunale ordinario in composizione monocratica. Si tratta di competenze relative alla convalida del provvedimento del questore con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera dello straniero espulso dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o dal prefetto per altre ragioni, nonché delle competenze relative al ricorso contro il decreto di espulsione.
PRESIDENTE. Prego i colleghi di fare silenzio e consentire alla deputata di continuare il suo intervento. Prosegua pure, deputata Germontani.
MARIA IDA GERMONTANI. Si sostiene che la ratio della norma debba essere vista nell'esigenza di sottolineare, ancora di più, la natura giurisdizionale del procedimento di convalida attraverso l'attribuzione della competenza al giudice togato anziché a quello ordinario.
Riteniamo che si tratti di una scelta quanto mai inopportuna. Innanzitutto perché se c'è qualche cosa e qualcuno che ancora funziona in Italia è l'ufficio del giudice di pace (non so ancora per quanto). La norma, inoltre, riguarderà non solo i cittadini comunitari ma anche, come è stato detto nel corso degli interventi che hanno preceduto il mio, le centinaia di migliaia di cittadini extracomunitari presenti sul territorio nazionale. Si pensi a qualche dato, che citavo ieri in Commissione presentando un emendamento a mia firma e degli onorevoli Consolo e Contento. La durata media di un processo in Italia è di 337 giorni, per quanto riguarda il giudice di pace, ed è del triplo per quanto riguarda i giudizi di primo grado che si svolgono dinanzi al tribunale. Per il secondo grado dei processi la durata media è di 1.338 giorni. Infine, se guardiamo la Cassazione la mole dei ricorsi che vengono annualmente iscritti è di gran lunga superiore a quelli che la Corte riesce a definire e tale eccedenza si accumula a quella degli anni precedenti. I ricorsi pendenti sono aumentati, quest'anno, del 23 per cento e la durata media del ricorso per Cassazione è passata a circa 33 mesi.
Pertanto, lo spirito di tale articolo è all'insegna del rallentamento e va in senso completamente opposto rispetto all'immediatezza che dovrebbe contraddistinguere l'azione giudiziaria e, più in generale, contrasta con l'essenza stessa del provvedimento in esame, che sta nell'urgenza. Rallentando l'attività del giudice il decreto-legge in esame attenua l'efficacia delle norme in materia di sicurezza. In effetti, la politica del Governo in tale materia, nonostante i proclami, è apparsa del tutto inadeguata alla gravità del problema. Lo dimostra la disattenzione al comparto sicurezza che si è registrata nella legge finanziaria e che è stata stigmatizzata nella recente manifestazione del personale delle forze dell'ordine.Pag. 67
Un altro nodo, al quale accenno velocemente, riguarda i centri di permanenza temporanea, dei quali la sinistra radicale chiede da tempo la chiusura. Nonostante le proteste dell'opposizione il nodo è stato superato mantenendo invariato l'emendamento di iniziativa del Governo che, aderendo alle richieste di Rifondazione Comunista, non nomina i centri di permanenza temporanea. L'emendamento recita che «Il questore può disporre il trattenimento in strutture già destinate per legge alla permanenza temporanea». Si tratta di una definizione ambigua, aspramente contestata dal centrodestra. Alla richiesta di spiegazioni, da noi sollevata, il sottosegretario Lucidi ha detto che si tratta di strutture previste dalla legge, comprese le camere di sicurezza. Per non citare i centri di permanenza temporanea si parla addirittura di camere di sicurezza, sicuramente inaccettabili per Rifondazione Comunista.
In conclusione, voglio sottolineare il valore normativo di un emendamento presentato da Alleanza Nazionale, che riguarda il divieto di reintegro sul territorio italiano degli stranieri espulsi. Con tale emendamento si intende stabilire che il Governo, in attuazione della direttiva comunitaria, trasmette ai competenti uffici della Commissione europea suggerimenti e proposte tali da modificare la direttiva stessa in senso più restrittivo. Infatti, non si tratta di individuare soltanto i motivi di ordine pubblico, ma anche le ragioni di degrado sociale che costituiscono terreno fertile per la malavita organizzata e, più in generale, per compiere atti criminosi.
Occorre ricordare che la direttiva comunitaria 2004/38/CE in realtà si ascrive, nella sostanza, alla tipologia delle direttive comunitarie cosiddette particolareggiate, il che significa che i margini di discrezionalità che il legislatore di ogni Stato membro ha nella fase discendente di recepimento non sono particolarmente ampi. Tuttavia, non si può non osservare come il punto dolente della questione consista nel fatto che mentre in aggiunta ai provvedimenti di allontanamento dei cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari dal territorio dello Stato ospitante per motivi connessi all'ordine pubblico, alla pubblica sicurezza e alla sanità pubblica, si applica nei loro confronti anche il divieto di reingresso nel territorio italiano, per le ipotesi relative all'allontanamento per motivi diversi da quelli citati quali, ad esempio, la carenza di risorse economiche per il mantenimento conseguenti alla mancanza di lavoro, l'articolo 15, paragrafo 3 della direttiva comunitaria in questione non impone il divieto di reingresso nel territorio nazionale.
Di conseguenza, è vero che siamo in presenza di un limite oggettivo; a nostro giudizio, dunque, l'impegno primario del Governo italiano dovrebbe consistere - e in tal senso è orientata una proposta emendativa presentata dal gruppo di Alleanza Nazionale - nel tentativo di ottenere una modifica in senso più restrittivo della normativa comunitaria di cui si tratta. Una normativa che, allo stato attuale, è tutta sbilanciata a favore del pur sacrosanto riconoscimento del supremo diritto di libertà di circolazione delle persone nei territori degli Stati membri. Tuttavia, chiediamo che una maggiore attenzione su tale aspetto debba essere chiesta in sede di Commissione europea.
Quindi, per concludere, se il testo rimarrà quello all'esame, il Governo non espellerà nessuno e gli sforzi fatti per cercare di dotare l'Italia di una normativa che possa garantire una reale sicurezza secondo quanto chiedono i cittadini cadranno nel vuoto. Capisco l'imbarazzo e la preoccupazione della maggioranza, che, se dovesse modificare il testo, dovrebbe confrontarsi con un nuovo passaggio al Senato (anche se si è dichiarato, in questa sede, che non vi sarebbe alcun problema) e spiegare a Rifondazione Comunista per quale motivo si sia stralciato un articolo fortemente voluto proprio dalla sinistra estrema. Credo che questa volta non ci sarebbe più voto di fiducia che tenga per far sopravvivere il Governo Prodi (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale-Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gozi. Ne ha facoltà.
SANDRO GOZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel ribadire il sostegno del nostro gruppo al percorso delineato dal Governo e dal relatore per garantire la conversione del decreto legge in esame, ritengo sia utile collocare la discussione di merito sulle disposizioni in esame all'interno dell'orizzonte europeo nel quale si applicano. Tale orizzonte non è certo quello di una società italiana chiusa, rispetto all'Europa unificata su scala continentale. Attraverso la discussione di questo provvedimento, stiamo ragionando delle modalità con cui garantiamo, in una nuova dimensione composta da ventisette Paesi e destinata a crescere, che il diritto di libera circolazione delle persone continui ad essere un principio fondamentale dell'Unione, parte costruttiva della cittadinanza europea ed elemento fondamentale, non solo del mercato interno, ma di quello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, che costituisce uno degli obiettivi fondamentali dell'Unione europea.
Una libertà di circolazione, cari colleghi, di cui noi italiani siamo stati i primi beneficiari in mezzo secolo di integrazione europea e che continua a costituire il risultato più importante della nostra costruzione comune. È altrettanto evidente che la nuova dimensione assunta dall'Unione ha inciso anche sui movimenti al suo interno, soprattutto in questa fase di transizione. Mentre nell'Europa a 15 gli spostamenti tra Paesi di persone comportanti cambio di dimora o residenza erano assai ridotti, in ragione dell'omogeneità della situazione economica e sociale, così non può dirsi con l'arrivo dei nuovi Paesi con livello medio di reddito pro capite ancora molto diverso, anche se i divari attuali verranno rapidamente colmati, come è successo in passato nei casi della Spagna, del Portogallo e dell'Irlanda.
A tal proposito, vorrei rispondere immediatamente a vari interventi dei colleghi dell'opposizione, sia sulla questione dei rumeni, che sulla questione dei CPT. L'onorevole Santelli, che non vedo, ci invitava a svolgere un esercizio di memoria. Mi presto volentieri a fare tale esercizio e la memoria mi riporta al 2002, perché è in quell'anno che sono stati eliminati - giustamente, a mio parere - i visti tra Italia e Romania. Tuttavia, cari colleghi, nel 2002 non eravamo noi al Governo.
Si è fatta molta confusione in questi interventi sulla cosiddetta moratoria sui rumeni. Vorrei precisare quanto dal Governo è stato fatto e per quale motivo, in materia di moratoria. Il Governo ha deciso, nel gennaio scorso, di non disporre la proroga biennale verso alcune categorie di lavoratori rumeni: colf, badanti, edili, stagionali. Il motivo è che si trattava di categorie richieste dai datori di lavoro italiani, orientati proprio verso lavoratori rumeni. Da parte dell'opposizione invece, ancora oggi, si vuole far credere che la proroga potesse impedire ai rumeni di entrare in Italia. Cari colleghi, non è così, perché in quanto comunitari i rumeni dal primo gennaio 2007 hanno pieno diritto di ingresso e di soggiorno. La mancata proroga, che non è assolutamente un'eccezione italiana, essendo anzi una situazione che l'Italia condivide con almeno altri quindici Governi, consente ai rumeni di poter lavorare; questo fatto ha sanato taluni rapporti di lavoro e impedito molte situazioni di lavoro nero.
Un'altra questione, sempre sollevata dall'onorevole Santelli - e che, tra l'altro, è solo in parte compresa nella discussione di oggi -, è quella dei CPT. Sono veramente molto sorpreso dall'ascoltare alcune parole proprio dall'opposizione in materia di CPT. All'inizio di questa legislatura noi abbiamo trovato dei centri in condizioni ben al di sotto dei minimi necessari per garantire la dignità personale. Sotto il precedente Governo i centri erano delle zone senza diritti, in cui era vietato l'ingresso agli enti locali, alle associazioni, alle ONG, in cui non c'era alcuna trasparenza. Grazie ai lavori della commissione De Mistura e all'impegno del Governo noi oggi stiamo rimediando agli errori e alle negligenze dell'attuale opposizione.
Vorrei tornare al contesto generale nel quale si colloca il decreto in esame. È Pag. 69chiaro che, per i motivi che ho elencato prima, è comunque doveroso oggi, in Europa e in Italia, limitare tutte le situazioni in cui i nostri concittadini possano considerare situazioni di insicurezza personale come frutto del processo di allargamento e di libera circolazione in Europa, anche perché - come tenterò di dimostrare - è vero l'esatto contrario. Un'applicazione piena e completa del principio di libera circolazione richiede, quindi, anche una puntuale disciplina delle norme volte a reprimere gli abusi e l'illegalità, nell'interesse non solo dell'Italia ma di tutti cittadini comunitari rispettosi delle nostre leggi e dei nostri principi fondamentali.
In tale contesto il Governo ha inteso agire, come ha ricordato il relatore per la I Commissione Zaccaria, adottando le norme contenute nel decreto che si pongono l'obiettivo, assolutamente condivisibile, di assicurare celerità ed effettività all'esecuzione degli allontanamenti dei cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari, quando non abbiano più diritto di permanenza. Si tratta di una nuova disciplina che ha già mostrato una sua reale efficacia posto che a partire dal 2 novembre è stato allontanato un numero rilevante di cittadini comunitari, in buona parte rumeni. Certo, non sono duecentomila, cari colleghi dell'opposizione, perché i tempi delle espulsioni di massa, grazie a Dio, in Europa sono ormai lontani. Anzi, l'Europa è nata proprio affinché non si verifichino mai più nel nostro continente delle espulsioni di massa.
Condivido anche la considerazione che alcune delle misure introdotte al Senato nel testo del decreto-legge, in sede di conversione siano funzionali a conferire al provvedimento una maggiore rispondenza al dettato costituzionale. Il riferimento va soprattutto all'affermazione che i provvedimenti di allontanamento adottati nei confronti di cittadini comunitari o di loro familiari non possano essere motivati da ragioni estranee ai comportamenti individuali della persona di cui si dispone l'allontanamento; si ribadisce in tal modo la centralità del principio di personalità della responsabilità penale. Principio inteso in senso estensivo, nel caso di specie, e relativo a provvedimenti di allontanamento riconducibili alla categoria delle misure di prevenzione. È evidente che, oltre alla rigorosa tutela delle garanzie giurisdizionali previste nel testo del decreto, nell'emanazione dei provvedimenti si dovrà sempre tenere in considerazione l'elemento dirimente dell'attualità della minaccia per la pubblica sicurezza.
Non è un caso che le disposizioni della direttiva che stiamo attuando, concernenti la possibilità di espellere cittadini di altri Paesi UE, trovino la loro ragione d'essere in una sentenza della Corte di Lussemburgo che aveva considerato illegittimi i provvedimenti di espulsione dalla Germania di cittadini italiani che pure erano stati condannati come appartenenti alla mafia. Anche in presenza di sentenze di condanna per reati così gravi, la Corte aveva preteso, dunque, che si effettuasse una valutazione obiettiva dell'elemento dell'attualità della minaccia. Per questo motivo, diventano fondamentali, nell'applicazione di queste norme, una comprensione e una collaborazione reciproche tra gli Stati, che devono essere rafforzate.
Senza alcun dubbio, in questo continuo dialogo tra normative di Stati che recepiscono direttive comunitarie, giova l'esistenza di un impianto sostanzialmente simile, e le norme del disegno di legge al nostro esame, che migliorano la disciplina sulla sicurezza, riprendono l'impostazione adottata in tale materia dai principali Paesi europei, in particolare dalla Francia e dalla Spagna.
È innegabile che nel nostro Paese esistano problemi complessi di criminalità organizzata (che si avvale di cittadini comunitari e di stranieri), da contrastare con azioni congiunte di prevenzione e repressione. È altrettanto innegabile, però, come sostenevo, che le uniche risposte credibili al problema della sicurezza dei cittadini, si traducano nel bisogno di più Europa attraverso il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, della cooperazione giudiziaria e di polizia. Va in questa direzione l'imminente allargamento (il 21 dicembre) dell'area Schengen a nove Pag. 70Paesi, che certamente comporterà l'applicazione, anche in tali Stati, di tutta una serie di misure atte a migliorare la cooperazione di polizia e di sicurezza; penso alla protezione e allo scambio dei dati, al rafforzamento dei controlli alle frontiere aeree e terrestri, alla maggiore cooperazione di polizia, al sistema di informazione Schengen e ai visti. Dovremo certamente pretendere una preparazione rigorosa e completa a tali disposizioni anche da parte della Romania e della Bulgaria.
Da queste considerazioni si comprendono le ragioni che mi spingono ad affermare che esiste una corrispondenza tra l'allargamento e il rafforzamento dell'Europa e un miglioramento della cooperazione tra gli Stati per garantire maggiore sicurezza e protezione a tutti i cittadini europei. Solo attraverso il rafforzamento degli strumenti legislativi nazionali e, ancor di più, della cooperazione europea, si garantiscono risposte credibili al problema della sicurezza; a nulla servono, invece, demagogici ritorni a cittadelle chiuse di tipo medievale, interventi che ci fanno incorrere, anzitutto nella frammentazione contraria a quell'esigenza di uniformità che la rinnovata disciplina del diritto di circolazione e di soggiorno vorrebbe garantire in Europa, e, in secondo luogo, nel rischio di nuove discriminazioni proprio all'interno del nostro ordinamento.
Come ha scritto il Presidente emerito della Corte costituzionale Onida, la politica della sicurezza e la politica criminale dell'ordine pubblico si fanno con gli strumenti della ragione sulla base dell'analisi fredda degli obiettivi, dei mezzi impiegabili e della reale efficacia, nonché applicandoli correttamente, con rigore e ovunque. Utilizzare surrettiziamente strumenti impropri, come quello delle ordinanze, per invadere campi di competenza esclusiva dello Stato, serve solo a strumentalizzare, in maniera inaccettabile, le legittime paure dei cittadini e non a offrire vere soluzioni ai problemi reali.
ELIO VITO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, mentre l'Assemblea sta disciplinatamente seguendo l'ordine degli iscritti a parlare nella discussione sulle linee generali, fuori dall'Aula si susseguono riunioni e incontri dei quali, a nostro avviso, sarebbe opportuno che il Governo riferisse anche all'Assemblea. In un incontro che si sta svolgendo adesso, sembrerebbe che il Governo abbia assunto la decisione di ritirare il provvedimento in esame, preso atto dell'impossibilità - a suo giudizio - di rinviarlo al Senato per correggere il noto, grave errore che è intervenuto, e dell'impossibilità, d'altro canto, di convertirlo in un testo che chiaramente è errato.
Signor Presidente, credo che anche per la dignità della discussione non possiamo proseguire in attesa che il Governo venga ad annunciarci la morte del provvedimento in esame. Sarebbe, infatti, corretto sospendere la discussione ora e che il Governo ci comunicasse immediatamente quale decisione ha assunto: se ha deciso di consentire il proseguimento dell'iter del provvedimento, sta bene; se invece ha deciso di ritirarlo, noi ne prendiamo atto e non proseguiamo una discussione surreale.
Per questo motivo, signor Presidente, le chiedo di sospendere la seduta e di fare in modo che il Governo venga immediatamente a riferire in Aula le decisioni che ha assunto (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
ROBERTO COTA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, colleghi, come ha affermato il collega Elio Vito stiamo assistendo, da questa mattina in Aula e ieri in sede di Commissioni riunite, ad una sceneggiata. Il Governo, infatti, non sa come uscire dal vicolo cieco in cui si è infilato e ciò è di tutta evidenza. Il Governo si è infilato in un vicolo cieco, in quanto al Senato ha introdotto una norma che non aveva nulla a che vedere con il decreto-legge sulla sicurezza, ma l'ha introdotta soltanto per pagare una Pag. 71marchetta ideologica ad una parte della sua maggioranza. Il risultato è che la marchetta ideologica ha coinciso anche con una norma sbagliata e incostituzionale.
Quindi le alternative sono due: o modificate il decreto-legge e, quindi, lo trasmettete di nuovo al Senato (ma non siete in grado di farlo perché non avete la possibilità di gestire l'iter di conversione del provvedimento in esame); oppure sottoponete al Presidente della Repubblica il dilemma se dover promulgare un provvedimento sbagliato e incostituzionale. Non sapete, quindi, come uscire da tale situazione.
Dite la verità e dite, soprattutto a noi, qual è la vostra posizione, in quanto da stamattina in Aula (e per tutta la giornata di ieri in sede di Commissioni riunite) siamo presi in giro da un Esecutivo che gioca sulla pelle dei cittadini in ordine ad una materia molto delicata, quale la sicurezza.
Altro che decreto-legge sulla sicurezza! Voi siete qui a prendere in giro tutti perché non riuscite a governare, a gestire il Governo, a guidare la nave, a condurre la macchina: è una vergogna!
Anche lei, signor Presidente, come Presidente di turno della Camera dovrebbe intervenire per far cessare tale sceneggiata. Vogliamo sapere, infatti, cosa il Governo intende fare e quale sia la sua posizione.
NICOLA BONO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NICOLA BONO. Signor Presidente, ormai mi sembra chiaro che l'unica sicurezza che hanno la Camera e il Paese è costituita dal fatto che il Governo non sa più cosa fare. Ciò è grave se si considera l'argomento di cui stiamo discutendo.
È grave, inoltre, il fatto di utilizzare la discussione sulle linee generali come una sorta di «tappa buchi» rispetto al momento in cui si dovrà finalmente esprimere un orientamento. Si è già avuto un brutto precedente. La settimana scorsa, infatti, durante il dibattito sul disegno di legge finanziaria si sono utilizzate ben due informative del Governo per cercare di coprire pietosamente il fatto che il Governo stesso non riusciva ad elaborare il testo dei tre maxiemendamenti su cui chiedere la fiducia.
Non vorrei che si volesse ripetere la stessa procedura. La Presidenza della Camera ha il dovere di tutelare le istituzioni, signor Presidente. La nostra non è una richiesta finalizzata soltanto a evidenziare la contraddizione in cui versa il Governo, ma è anche finalizzata a che la Presidenza della Camera si attivi per tutelare il Parlamento.
Signor Presidente, non so se la mattina, quando si alzano, la Presidenza e i componenti del Governo leggono i giornali. Era sufficiente, infatti, leggere i giornali per apprendere che il Presidente della Repubblica ha palesemente, chiaramente e formalmente dichiarato che non firmerà mai un provvedimento che contiene un errore. Il provvedimento, infatti, in maniera kafkiana da due settimane è all'esame del Parlamento attraverso i passaggi al Senato e alla Camera pur contenendo tale errore e con chi sta al Governo e riveste cariche importanti che sostiene la sua intangibilità e immodificabilità.
Credo che questa situazione non abbia precedenti. Sfido la Presidenza e chiunque a svolgere un accertamento al fine di individuare un precedente di questo tipo presso un qualunque altro Parlamento del mondo; un precedente nel quale si assista ad un dibattito confuso tra chi sostiene, davanti ad un errore ammesso da tutti, l'intangibilità della norma e chi, invece, pretende che la norma sia cambiata.
Solo in Italia può accadere una situazione del genere, e solo con un Governo che ci dà la sicurezza di non avere un'idea su come procedere sul tema della sicurezza!
Signor Presidente, il fatto grave, però, è che, davanti alla più alta carica dello Stato che dichiara la sua indisponibilità ad apporre il suo sigillo alla norma, si continui a discutere: ciò non è più accettabile. È da stamattina che il Parlamento discute su un Pag. 72provvedimento che sostanzialmente non esiste. È molto discutibile - anche a tal proposito, signor Presidente, chiedo che la Presidenza della Camera si attivi per tutelare la dignità del Parlamento - ipotizzare fino a tre, quattro o cinque ipotesi alternative sulla possibilità di far decadere il decreto-legge in discussione ed elaborarne contemporaneamente un altro; nel frattempo, si dovrebbe provvedere a evitare che venga meno la disposizione della legge Mancino e a recuperarne in parte il contenuto, senza dimenticare la norma antiomofobica. Siamo, cioè, all'happening, come si affermava negli anni Settanta: quando si voleva descrivere una situazione confusa, caotica e assolutamente priva di senso, si parlava di happening. Questo happening ha da finire!
Anche il gruppo di Alleanza Nazionale chiede formalmente - sottolineando, quindi, la validità della richiesta già avanzata dai colleghi di Forza Italia e della Lega Nord - che il Governo venga in Aula a riferire come intende procedere: una discussione generale su un provvedimento che non potrà essere firmato dal Presidente della Repubblica e che abbiamo già chiarito essere, nel merito, privo di contenuti e di portata giuridica seria, non può essere ancora oggetto di interesse e di impegno da parte del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
MAURIZIO RONCONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAURIZIO RONCONI. Signor Presidente, intervengo anch'io sull'ordine dei lavori, almeno per il momento. Non vi è dubbio che quello in corso si è trasformato in un dibattito surreale: da questa mattina assistiamo a una discussione su un decreto-legge che non si sa se sarà convertito in legge o se decadrà. Già nelle Commissioni riunite I e II abbiamo assistito a un duetto fra relatori: uno difendeva l'ortodossia del provvedimento, l'altro manifestava tutte le proprie preoccupazioni.
Signor Presidente, siamo assai preoccupati - non da oggi - per l'andamento dei lavori: già da tempo questo ramo del Parlamento si è trasformato in una specie di eco nei confronti dell'altro. È un momento a nostro avviso assai delicato, e già in sede di esame della manovra finanziaria abbiamo sottolineato questa grave anomalia nell'andamento dei lavori della Camera dei deputati; siamo preoccupati.
Signor Presidente, faccio affidamento sulla sua cortesia: ci attendiamo che entro pochi minuti il Governo venga a riferire come intenda procedere rispetto al provvedimento in discussione.
LUCIO BARANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, anche il mio gruppo si associa a quanto affermato dai colleghi che mi hanno preceduto, in particolare dal presidente Vito, il primo ad aver sottoposto il problema all'Aula.
Il Governo, per il pasticcio sull'omofobia contenuto nel decreto-legge, rendendosi conto che il Presidente della Repubblica non può, per la lapalissiana erroneità e incostituzionalità del provvedimento, firmarlo, ha preso in seria considerazione l'ipotesi di lasciarlo decadere.
Quindi, è inutile lasciare che questo ramo del Parlamento continui a rianimare un decreto-legge morto. Facendo un paragone, anche un defibrillatore impiantato in una cavità cardiaca, dopo otto scosse, si ferma: il paziente è morto ed è, quindi, inutile tentare di rianimarlo. Questo è un decreto-legge ormai finito, ormai morto, ed è inutile continuare a rianimarlo, perché ciò vorrebbe dire cercare di rianimare un morto, e non c'è nessuna pratica medica che è in grado di farlo, quando la diagnosi è ormai certa.
Questo è un decreto che non verrà convertito in legge nè firmato; quindi, signor Presidente, come gruppo ci appelliamo a lei, affinché faccia cessare questa inutile farsa su un problema serio come quello della sicurezza, ritenuto dagli italianiPag. 73 uno dei problemi più importanti ed emergenti. Non è possibile giocare sulla pelle «vera» dei nostri connazionali. Per questo motivo, la invitiamo a intervenire sul Governo.
Signor Presidente, visto che ho la facoltà di parlare, svolgo un'ulteriore considerazione: questo Governo non solo sta navigando a vista, ma sta producendo danni. Nell'XI Commissione, in sede legislativa, eravamo pronti ad approvare la disposizione sull'assegno sostitutivo dell'accompagnatore militare. Eravamo pronti ad alzare la mano, quando il rappresentante del Governo è intervenuto per comunicarci che, nel predisporre il maxiemendamento al disegno di legge finanziaria, era stata eliminata la copertura per i grandi invalidi.
Dunque, mi sembra che, quando un Governo si comporta in questo modo, non meriti proprio più di governare il Paese.
GIANCARLO LAURINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIANCARLO LAURINI. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori per aggiungere le mie argomentazioni a quelle fin qui svolte in ordine alla necessità che il Governo, nel più breve tempo possibile, venga a riferire alla Camera sulla sua decisione, che mi auguro sia nel senso, come si sussurra, del ritiro del decreto-legge.
Infatti, va tenuto conto, tra l'altro, della sentenza della Corte costituzionale n. 171 del 23 maggio scorso, nella quale la Consulta, per la prima volta, è intervenuta sulla nullità di un decreto-legge per mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza previsti dall'articolo 77 della Costituzione, affermando, con una decisione storica, che l'eventuale conversione in legge di un decreto-legge affetto da questo vulnus procedimentale iniziale non valga a sanare tale vizio.
Quindi, anche se il decreto-legge, con quel grave errore iniziale in esso contenuto, che giustamente il Presidente della Repubblica ha affermato che valuterà con grande attenzione, fosse convertito, sarebbe immediatamente censurabile sotto il profilo costituzionale.
Pertanto, sottolineo la necessità che il Governo faccia molta attenzione nel proseguire su questo terreno gravissimo per la saldezza delle nostre istituzioni e per il rispetto del Parlamento e delle procedure previste dalla Costituzione.
ANTONELLO SORO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONELLO SORO. Signor Presidente, ho ascoltato l'intervento dell'onorevole Vito e degli altri colleghi e può darsi che non ne abbia colto bene il senso, perché quella in corso è una discussione assolutamente positiva, in cui intervengono la maggioranza e l'opposizione, su un tema assai delicato, e nella quale emergono, come era prevedibile, diverse valutazioni e giudizi, con accenti anche interessanti, dal punto di vista della maggioranza, che non ha ignorato alcuni rilievi mossi, ma ha saputo controdedurre.
Quindi, direi che ci troviamo nella piena fisiologia del dibattito parlamentare, rispetto al quale si sono iscritti a parlare moltissimi deputati. Intendo dunque capire se l'onorevole Vito ha annunciato, per così dire, il suo orientamento alla conclusione della discussione sulle linee generali, per proseguire nell'esame dell'ordine del giorno, oppure se vi è da parte dell'onorevole Vito e dei colleghi la volontà di un'ulteriore interlocuzione con il Governo, non so se in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo o in altra.
Tutto ciò non mi è chiaro. Se l'opposizione ritiene di dover considerare conclusa la discussione sulle linee generali per la parte che riguarda gli interventi dei propri membri, la maggioranza valuterà se anche i propri deputati iscritti a parlare intendano rinunciare al loro intervento. Se non è così, mi sembra irrituale l'interruzione della discussione sulle linee generali su un argomento così importante, che non rappresenta certo un momento inutile nella vita del Parlamento.Pag. 74
Abbiamo deciso di svolgere oggi tale discussione, anziché lunedì come inizialmente previsto, proprio per accogliere una richiesta dell'opposizione. Allora vorrei che fosse chiarito - non so se al Presidente sono chiari i termini della proposta dell'onorevole Vito - se vi è una richiesta di conclusione della discussione sulle linee generali, per passare all'esame delle questioni pregiudiziali. Tale proposta forse dovrebbe essere formulata in modo più chiaro.
PRESIDENTE. Ricordo all'onorevole Vito - al quale tra breve darò la parola - e agli altri colleghi che sono intervenuti che naturalmente alla Presidenza non sfugge il carattere complesso dell'iter del provvedimento che stiamo discutendo, perché tutti - anche in risposta ad un deputato che ha rivolto questa domanda - ovviamente leggiamo i giornali. Tuttavia, al di là delle voci e dei rumor delle ultime ore, non vi è alcun atto formale che possa far decidere alla Presidenza, di sua iniziativa, di sospendere i lavori.
Quindi, chiedo all'onorevole Vito se intende formalizzare una richiesta di sospensione dei lavori e di rinvio dell'esame di questo provvedimento, ricorrendo, a quel punto, alla disposizione regolamentare che prevede - come lei sa - l'intervento di un oratore a favore e di uno contro, e successivamente la deliberazione dell'Assemblea, oppure se intenda proporre qualche altra ipotesi.
Prego, onorevole Vito, ha facoltà di parlare.
ELIO VITO. Signor Presidente - ringrazio della cortesia anche il presidente Soro - noi non vogliamo che la discussione generale si concluda prematuramente, vogliamo semplicemente che la discussione generale non sia una finzione.
Onorevole Soro, per me è sufficiente che il sottosegretario Lucidi intervenga e confermi che il Governo è interessato alla conversione del decreto. In tal caso, proseguiremo la discussione sulle linee generali, concludendola entro stasera, per poi passare al voto sulla questione pregiudiziale.
Non possiamo accettare, signor Presidente, il fatto di svolgere la discussione generale mentre il Governo sta decidendo di non essere più interessato alla conversione del decreto-legge per ragioni politiche ed istituzionali. Dunque, per evitare che la discussione generale diventi una farsa e che sia anche poco rispettosa per la dignità del Parlamento, propongo di sospenderla adesso, per consentire al Governo di maturare queste decisioni e di comunicarle all'Assemblea quando saranno mature.
Non possiamo, collega Soro, discutere mentre il Governo decide che la nostra discussione è inutile. Se la discussione è inutile, il Governo lo dichiari subito. Se invece il Governo ritiene che tale discussione debba proseguire è perché ha deciso che l'iter del provvedimento debba proseguire, e in tal caso noi siamo disponibili a concluderlo nei tempi dovuti.
È questa la mia proposta, Presidente: il Governo dichiari se intende fare in modo che la Camera possa esaminare il provvedimento. Se invece il Governo intende riservarsi questa decisione, si sospenda l'esame del provvedimento, per poi convocare la Conferenza dei presidenti di gruppo.
Se il Governo non dovesse intervenire - è un po' strano un Governo che non conferma di essere interessato alla conversione del provvedimento d'urgenza! - saremmo costretti, per difendere la dignità del Parlamento e della stessa discussione generale, a mettere ai voti la richiesta di sospensione, solo affinché il Governo, alla ripresa, comunichi quale siano le sue decisioni.
Quello che non possiamo fare è proseguire in una farsa: noi parliamo, mentre fuori si sta decidendo di far decadere il decreto (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Onorevole Elio Vito, ovviamente, come lei sa, la Presidenza non ha il potere di chiedere al Governo di intervenire: il Governo è libero di intervenire quando crede.Pag. 75
Debbo chiederle, comunque, di precisare la sua proposta di sospensione specificando se intenda proporre un rinvio dell'esame del provvedimento alla seduta di domani oppure un'interruzione più breve.
Se, infatti, dobbiamo mettere ai voti la sua proposta, è bene che la Presidenza e i colleghi sappiano esattamente di cosa si tratta.
ELIO VITO. Signor Presidente, da quanto mi risulta la decisione del Governo è stata già assunta o sta per essere assunta nelle prossime ore. Credo che sarebbe utile, quindi, una sospensione a breve. Voglio solo che venga presa e comunicata in questa Assemblea la decisione che il Governo ha già preso o sta per prendere di abbandonare l'esame del decreto-legge.
Credo che anche una sospensione di un'ora potrebbe essere sufficiente; ciò, lo ripeto, per la dignità del nostro Parlamento e della nostra stessa discussione sulle linee generali. A meno che il Governo non intenda rendere subito questa dichiarazione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Poiché, come è apparso dal primo giro di interventi, non vi è consenso unanime sulla proposta, dovremo metterla in votazione.
Avverto, dunque, che sulla proposta formulata dall'onorevole Elio Vito darò la parola, ove ne facciano richiesta, ad un oratore a favore e ad un oratore contro.
Ha chiesto di parlare a favore l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, siamo a favore e riteniamo che questo voto sia l'unico strumento che abbiamo in questo momento per capire che cosa vuole fare il Governo. Il sottosegretario Lucidi non ha parlato, non ha preso posizione.
MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Ascolto però!
ROBERTO COTA. In compenso, signor sottosegretario, ha parlato il Ministro Mastella che, sino a prova contraria, quale Ministro della giustizia penso che abbia competenza sulla materia, anche perché ha firmato il decreto-legge.
Il Ministro Mastella, qualche minuto fa, ha dichiarato: il decreto decade; Napolitano non lo firma. Vorrei capire, signor sottosegretario e signor Presidente, che cosa stiamo qui a fare (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania, Forza Italia e Alleanza Nazionale)!
Ci state prendendo in giro e vorremmo finalmente conoscere, non attraverso le agenzie ma in questa sede, nell'Assemblea della Camera, la posizione del Governo. Che cosa intende fare il Governo di fronte ad un provvedimento illegittimo, incostituzionale, che il Presidente della Repubblica ha fatto capire di non voler firmare (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania e Forza Italia)? Se il Ministro Mastella autorevolmente ha affermato che il Presidente della Repubblica non lo promulgherà, è evidente che lo avrà detto dopo aver fatto i passi istituzionali dovuti. È una dichiarazione che ha un peso e che deve esser resa in quest'Assemblea.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare contro l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, vorrei semplicemente segnalare ai colleghi dell'opposizione che si susseguono momenti in cui a fasi alterne rivendichiamo il ruolo del Parlamento e quasi vorremmo che il ruolo del Parlamento non esistesse.
Abbiamo un provvedimento all'esame; il Governo è presente in Aula e notoriamente può intervenire in qualunque momento. Spesso e volentieri avete voi stessi creato il problema se vi sono dichiarazioni esterne che si riflettono nell'Aula. Questa è la nostra sede; ovviamente anche noi, nel momento in cui il Governo avesse qualunque comunicazione... (Commenti del deputato Elio Vito)... Vito, stai tranquillo, rilassati, sei sempre agitato!
PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, si rivolga alla Presidenza.
Pag. 76
ROBERTO GIACHETTI. Nel momento in cui il Governo, nel pieno rispetto del Parlamento, dovrà rendere comunicazioni formali al Parlamento, nella fattispecie alla Camera, riguardo al provvedimento in esame, credo che, potendo intervenire in qualunque momento, prenderà la parola e svolgerà le proprie comunicazioni.
Nel frattempo, a mio avviso, esattamente come stiamo facendo da ieri in sede di Commissioni riunite e da questa mattina in Assemblea, è assolutamente normale proseguire il dibattito. Se effettivamente vi saranno da parte del Governo delle comunicazioni, attendiamo anche noi che queste arrivino.
Se il Governo ha qualcosa da dire può farlo ora, tra dieci minuti, tra un'ora, quando avrà maturato una decisione diversa da quella che al momento abbiamo di fronte a noi, ossia di esaminare questo provvedimento. Per cui, signor Presidente, non vedo per quale motivo disporre una sospensione di un'ora. Il Governo può intervenire in qualunque momento del dibattito: quando riterrà di farlo, lo farà.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione per alzata di mano.
ELIO VITO. Presidente, con il procedimento elettronico.
PRESIDENTE. Sta bene. Dispongo che la votazione abbia luogo mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi.