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TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE PER LA II COMMISSIONE DEL DEPUTATO PINO PISICCHIO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3292
PINO PISICCHIO, Relatore per la II Commissione. Il concitato dibattito che ha tenuto il campo della politica in questi ultimi giorni intorno al cosiddetto decreto sicurezza suggerisce al relatore della II Commissione, prima ancora di affrontare il merito del provvedimento per il riverbero della competenza della Commissione giustizia relativamente alle disposizioni di natura giurisdizionale e sostanziale penale in esso contenute, di non eludere le questioni legate all'articolo 1-bis, inerente alle discriminazioni per specifici motivi, tra cui le tendenze sessuali.
Come ricordavamo già nella relazione svolta di fronte alle Commissioni congiunte, l'articolo 1-bis, introdotto dal Senato è diretto a modificare il comma 1 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, con la quale è stata ratificata la convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. L'intervento del Senato ha inteso ampliare due fattispecie penali che attualmente sanzionano le condotte discriminatorie o violente poste in essere per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Senza toccare l'entità delle pene, si è inteso così ampliare la norma prevedendo ulteriori motivazioni attraverso il rinvio all'articolo 13, n. 1, del trattato di Amsterdam. Queste nuove motivazioni ineriscono le convinzioni personali, l'handicap, l'età e le tendenze sessuali. Anziché descrivere direttamente i nuovi motivi illeciti che possono sorreggere la condotta, il testo approvato dal Senato ha rinviato alle ragioni di cui al citato articolo 13 del trattato. Qui si pone il primo problema. Il riferimento normativo però non è corretto in quanto quello giusto non è l'articolo 13 ma l'articolo 2, punto 7. Il richiamo testuale all'articolo 13, infatti, è riferito alla circostanza che «Il trattato è concluso per un periodo illimitato».
Se il riferimento testuale è sbagliato, l'intenzione del Senato è chiara: combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali. La novità più rilevante è offerta da questa ultima motivazione: le tendenze sessuali. E qui occorre che il relatore della II Commissione, che è peraltro presidente della medesima, ricordi a se stesso e all'Aula che proprio sulla materia dell'omofobia la Commissione Giustizia era impegnata per un Pag. 78esame attento e approfondito da lungo tempo ed era giunta, come in effetti è giunta, a definire un testo.
Il dibattito nelle due Commissioni si è a lungo incentrato sulla questione della estraneità della materia rispetto al contenuto del decreto.
Non vi sono obiezioni rilevanti a questa osservazione: occorre solo registrare che il Senato ha esercitato la sua autonomia. E di fronte a quella autonomia questo ramo del Parlamento ha dovuto fermarsi.
Questo necessario rispetto dell'autonomia del Senato non ci esime, però, dal sottolineare che è arrivato il momento di risolvere definitivamente la grave questione della diversità dei parametri di valutazione della estraneità di materia nei Regolamenti dei due rami del Parlamento. Non è rilevante la circostanza, richiamata al Senato, che la disposizione sia stata inserita in un maxiemendamento sul quale è stata posta la fiducia e, quindi, come tale non soggetto a valutazioni di ammissibilità per l'omogeneità di materia. Tale disposizione, infatti, era stata già oggetto di un emendamento di iniziativa parlamentare dichiarato ammissibile.
È sin troppo evidente che la diversità dei parametri di valutazione sull'ammissibilità costituisce un grave vulnus al principio del bicameralismo perfetto, in quanto oramai si è creata una situazione in cui una Camera ha maggiori poteri rispetto all'altra.
È accaduto che il Senato sostanzialmente si appropriasse di una materia all'esame della Commissione Giustizia della Camera.
Si è ripetuto dunque ciò che è già avvenuto altre volte e, da ultimo, anche per la class action, in occasione dell'esame del disegno di legge finanziaria.
È accaduto ancora che attraverso una dinamica che non trova il soccorso nella autonomia dei regolamenti parlamentari, perché sia quello del Senato che quello della Camera sono ispirati dagli stessi principi fondamentali, e fra questi certamente trova spazio quello che sancisce l'impossibilità di procedere nella delibazione della materia su cui l'altro ramo sta discutendo, è accaduto ancora, pertanto, che fosse messo a rischio il principio su cui si regge la simmetria del nostro bicameralismo, che fa pari i due rami.
E diciamo queste cose non per una rivendicazione gelosa o tralatizia delle nostre prerogative, né per una astratta emulazione nei confronti dell'altro ramo.
Lo diciamo solo per ricordare che le nostre regole che discendono dai principi costituzionali, sono state poste a tutela della funzionalità del legislativo, per consentire il pieno rispetto del mandato conferito dagli elettori.
Possiamo cambiare queste regole ed anzi dobbiamo farlo: ma finché ci sono è necessario che vengano rispettate.
Abbiamo, alla fine, superato il disagio causato dalla mortificazione del lavoro svolto in Commissione dai colleghi di maggioranza e di opposizione e l'abbiamo fatto continuando a lavorare, ricercando soluzioni equilibrate che tenessero nel conto le giuste esigenze delle persone vittime di episodi di grave discriminazione ma anche dei principi costituzionali su cui si fonda il nostro sistema penale, che vede tra i suoi punti di riferimento il principio di legalità, da cui discende la determinatezza della fattispecie penale, e il principio di offensività, che punisce la condotta lesiva di un bene giuridico.
Questo lavoro è sfociato in un dispositivo, esito di un confronto serrato in Commissione Giustizia, cui non è mancato il contributo dell'opposizione.
Questo dispositivo che amplia la protezione antidiscriminatoria a favore dei soggetti indicati nel trattato di Amsterdam recependo il riferimento dell'articolo 3 della Costituzione italiana alle condizioni personali e sociali, è dunque il frutto politico e tecnico-legislativo della Commissione competente offerto alla valutazione dell'Assemblea anche con riferimento al dibattito che ci prepariamo ad affrontare sul decreto sicurezza. Poiché il nostro argomentare sul decreto non potrà prescindere dalla soluzione che il Governo si è impegnato a dare alle distonie di cui il provvedimento si è caricato nel passaggio al Senato.Pag. 79
Il decreto, dunque, si presenta a noi con un duplice profilo: da un lato il quadro degli interventi urgenti di espulsione, congegnati con coerenza, necessari e indifferibili, interventi di cui dirò in breve dettaglio più avanti.
Dall'altro la norma antidiscriminatoria, errata, che minaccia l'efficacia delle disposizioni contenute nella Mancino.
Abbiamo apprezzato e condiviso la pronta volontà del Ministro Chiti di intervenire a correggere l'errore con un intervento governativo d'urgenza destinato ad entrare in vigore prima che questa parte del decreto dispieghi la sua efficacia.
Ci domandiamo se non possa essere a questo punto opportuno, al fine di evitare inutili semplificazioni di tecnica legislativa e, al tempo stesso, affermare una scelta rispettosa del lavoro della Camera e coerente con la sostanza della scelta che si voleva compiere con il noto gesto imperfetto compiuto al Senato, emanare un provvedimento che prenda a base il lavoro compiuto dalla Commissione giustizia della Camera sulle norme antidiscriminatorie.
Per quel che concerne, poi, le norme più coerentemente collegate alla ragione del decreto, la cui condivisione da parte del relatore circa i motivi di urgenza e necessità è piena, mi permetterò, per portare un contributo all'economia dei lavori d'Aula, di consegnare un testo scritto con il permesso della Presidenza.
Concluderò così il mio intervento con due inviti.
L'uno al Governo, affinché adempia coerentemente all'impegno assunto con le Commissioni riunite ad intervenire tempestivamente per correggere la parte imperfetta inserita per errore dal Senato nel decreto. E, in questo caso, il concetto di tempestività deve significare che contestualmente all'entrata in vigore del decreto l'Esecutivo dovrà varare un provvedimento urgente che riequilibri le sconnessioni create con l'articolo 1-bis così come ci è pervenuto dal Senato.
Solo così potrà apparire accettabile l'altro invito che io vado a fare, questa volta all'Aula, di procedere alla conferma di un provvedimento che non avrebbe il tempo necessario per un nuovo passaggio al Senato. E se ciò avvenisse risulterebbe messa nel nulla anche la parte positiva del decreto che colma un vuoto normativo avvertito grandemente dal Paese.
Per quanto attiene alle norme in materia di allontanamento rientranti nella sfera di competenza della Commissione giustizia, la prima che si incontra (articolo 1, comma 1, lettera e) è il comma 7-quater, introdotto dal Senato all'articolo 20 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30. Secondo tale norma, ai fini dell'adozione del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza l'autorità amministrativa tiene conto anche di eventuali condanne, pronunciate da un giudice italiano o straniero, per uno o più delitti non colposi, anche tentati, contro la vita o l'incolumità della persona, o per uno o più delitti corrispondenti a quelli per i quali si prevede l'applicabilità del mandato di arresto europeo anche in caso di mancanza di doppia incriminazione (articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69), di eventuali ipotesi di applicazione della pena a seguito di patteggiamento per i medesimi delitti, ovvero dell'appartenenza a taluna delle categorie considerate pericolose (articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575) nonché di misure di prevenzione disposte da autorità straniere o di provvedimenti di allontanamento disposti da autorità straniere. Si tratta di una norma che in realtà non limita la discrezionalità dell'autorità amministrativa, quanto piuttosto la orienta. Infatti, si precisa che nell'adottare il provvedimento di allontanamento si tiene conto «anche» di eventuali condanne per determinati delitti ovvero della sottoposizione a particolari misure. Ciò significa che il provvedimento si può basare anche su altre valutazioni.
All'articolo 1, comma 1, lettera f) si trasforma da contravvenzione in delitto, punito con la reclusione fino a tre anni, il rientro nel territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso. Inoltre si prevede che si applicano le disposizioni Pag. 80sulla convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera da parte del giudice di pace, di cui all'articolo 13, comma 5-bis, del testo unico sull'immigrazione. Il rinvio vale a garantire il rispetto dei principi costituzionali in materia di esecuzione dei rimpatri conformemente alla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 15 luglio 2004.
Con l'articolo 20-bis, introdotto dal comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge, si regolamentano i casi in cui il destinatario del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza è sottoposto a procedimento penale. La disposizione rinvia alla disciplina dettata dal citato testo unico per i cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea, che si basa sulla richiesta del nulla osta all'espulsione all'autorità giudiziaria, che deve essere rilasciato entro quindici giorni dalla richiesta. In questi casi il questore può disporre il trattenimento in strutture già destinate per legge alla permanenza temporanea. L'allontanamento non dà luogo alla sospensione del procedimento penate laddove si proceda per i reati di cui all'articolo 380 del codice di procedura penale e può essere effettuato solo in mancanza di misure cautelari detentive.
Il comma 2-ter, introdotto dal Senato, modifica il comma 3 dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, diretto ad attuare la direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. In caso di tutela giurisdizionale dei diritti si prevede una inversione dell'onere della prova. La normativa vigente stabilisce che il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio, anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta ai sensi dell'articolo 2729, primo comma, del codice civile. Il testo approvato dal Senato, invece, stabilisce che qualora il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, deduca in giudizio elementi di fatto in termini gravi, precisi e concordanti, incombe alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento.
Il comma 3 modifica l'articolo 21 del decreto legislativo n. 30 del 2007 per garantire l'ottemperanza all'allontanamento del cittadino dell'Unione europea quando vengono a mancare le condizioni che determinano il soggiorno. La normativa europea consente l'allontanamento in tale ipotesi ma esclude che possa essere applicato il divieto di reingresso. E da sottolineare inoltre che in tali casi l'esecuzione da parte del questore del provvedimento sarebbe un inutile dispendio di risorse umane e finanziarie, considerato che il soggetto allontanato potrebbe rientrare immediatamente sul territorio nazionale. Per garantire efficacia al provvedimento, attraverso la sua esecuzione volontaria, si è prevista l'attestazione di ottemperanza all'allontanamento che il destinatario del provvedimento deve consegnare presso un consolato italiano. L'inosservanza della consegna dell'attestazione di ottemperanza comporta la sanzione, a carico del cittadino dell'Unione europea individuato sul territorio nazionale, dell'arresto da uno a sei mesi e di una ammenda da 200 a 2.000 euro.
Il comma 4 modifica l'articolo 22 del predetto decreto relativo alla disciplina sui ricorsi al TAR per adeguarla alle novità introdotte in materia di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza. In primo luogo si prevede un ulteriore caso in cui non rimane sospesa l'esecuzione del provvedimento fino all'esito dell'istanza di sospensione dell'efficacia del provvedimento. Oltre al caso in cui il provvedimento di allontanamento si basi su una precedente decisione giudiziale si prevede il caso in cui sussistano motivi imperativi di pubblica sicurezza. Si ampliano anche i casi in cui può non essere consentita la partecipazione al procedimento giurisdizionale ove sia stata già respinta la richiesta di sospensiva. L'esigenza relativa alla pubblica sicurezza non deve ricorrere necessariamente insieme a Pag. 81quella inerente all'ordine pubblico per negare l'ingresso in Italia, ma può essere da sola sufficiente per tale fine.
L'articolo 1-ter attribuisce competenze del giudice di pace ai tribunale ordinario in composizione monocratica. Si tratta di quelle relative alla convalida del provvedimento del questore con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera dello straniero espulso dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o dal prefetto per altre ragioni nonché delle competenze relative al ricorso contro il decreto di espulsione (articolo 13 del testo unico sull'immigrazione). Si è così ritornati alla scelta effettuata nel 2002 e modificata nel 2004 attribuendo la competenza della convalida al giudice di pace. Si ricorda che la scelta del 2004 fu accolta con alcune perplessità in quanto per la prima volta si attribuivano competenze al giudice di pace in materia di libertà personale. Le sanzioni penali applicabili da tale giudice, infatti, non hanno mai natura detentiva. La ratio della norma deve essere vista nell'esigenza di sottolineare ancora di più la natura giurisdizionale del procedimento di convalida attraverso l'attribuzione della competenza al giudice togato anziché a quello onorario.