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Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 29 dicembre 2007, n. 249, recante misure urgenti in materia di espulsioni e di allontanamenti per terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza (A.C. 3325-A) (ore 14,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 29 dicembre 2007, n. 249, recante misure urgenti in materia di espulsioni e di allontanamenti per terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 3325-A).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Zaccaria, ha facoltà di svolgere la relazione.
ROBERTO ZACCARIA, Relatore. Signor Presidente, nel corso della relazione articolerò le mie considerazioni in alcuni punti che costituiscono l'intelaiatura fondamentale del provvedimento in discussione: mi soffermerò, innanzitutto, sul testo del decreto-legge, in secondo luogo sul controllo sulla non reiterazione del precedente decreto-legge, in terzo luogo sulle modifiche apportate durante il dibattito in Commissione; in conclusione, se vi sarà tempo, svolgerò qualche considerazione sui profili di costituzionalità, che del resto sono stati già esaminati.
Il disegno di legge n. 3325 che ci accingiamo ad esaminare concerne la conversione in legge del decreto-legge n. 249 approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 28 dicembre 2007 ed emanato dal Presidente della Repubblica il giorno successivo, il 29 dicembre. Tale decreto-legge reca misure urgenti in materia di espulsioni e di allontanamenti per terrorismo e per motivi di pubblica sicurezza.
Con tale decreto-legge il Governo ha inteso, da un lato, introdurre modifiche al cosiddetto decreto Pisanu (decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 155 del 2005), che disciplina il decreto di espulsione degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo, introducendo, per quest'ultimo, l'istituto della convalida da parte del giudice (articolo 1) ed attribuendo la competenza per la convalida al tribunale in composizione monocratica, in questo come in tutti i casi di espulsione amministrativa (articolo 2).
Dall'altra parte, il Governo ha inteso introdurre l'istituto dell'allontanamento del cittadino dell'Unione europea per motivi di prevenzione del terrorismo (all'articolo 3) e per motivi imperativi di pubblica sicurezza (articoli 4, 5, 6 e 7), prevedendo, anche con riferimento a questi due istituti, la convalida da parte del giudice ed attribuendo la competenza per la convalida, anche in tal caso, al tribunale in composizione monocratica.
Si realizza, in questo modo, una sorta di parallelismo sul piano delle garanzie costituzionali tra stranieri e cittadini comunitari: si tratta di un parallelismo (e non di una parificazione), suscettibile, peraltro, di determinare alcuni rilevanti effetti sul piano sistematico.
La seconda valutazione che dobbiamo svolgere riguarda il controllo sulla non reiterazione del decreto-legge del novembre scorso. Nei mesi di novembre e dicembre, come è noto, il Senato prima e successivamente la Camera hanno proceduto all'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 1o novembre 2007, n. 181, che recava disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale di cittadini comunitari per esigenze di pubblica sicurezza.
Per le note vicende, che non sto qui a ripercorrere, alla luce dell'esigenza costituzionalePag. 3di porre rimedio a un errore materiale contenuto nella legge di conversione approvata dal Senato il 6 dicembre 2007, si è deciso di far decadere quel decreto-legge.
Oggi, all'esigenza di un nuovo scrupoloso controllo di costituzionalità sulle misure di prevenzione che vengono introdotte con il nuovo decreto-legge (scrupoloso esame di cui ci facemmo analogamente carico in sede di esame del decreto-legge di novembre), si aggiunge alla nostra attenzione un secondo livello di valutazione circa la conformità del decreto-legge al dettato costituzionale: la verifica, cioè, che il decreto-legge in esame non costituisca una possibile reiterazione di quello precedente. Ed è stato proprio su tali profili che si è concentrato, tra l'altro, l'esame presso la Commissione affari costituzionali e presso il Comitato per la legislazione.
Con la sentenza n. 360 del 1996, la Corte costituzionale ha posto fine alla prassi della reiterazione dei decreti-legge non convertiti entro i sessanta giorni dalla loro pubblicazione, prassi che aveva finito, come notò la Corte, per alterare «la natura provvisoria della decretazione d'urgenza», togliere «valore al carattere straordinario dei requisiti della necessità e dell'urgenza», attenuare «la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito» e, in definitiva, «incidere sugli equilibri istituzionali, alterando i caratteri della stessa forma di Governo e l'attribuzione della funzione legislativa ordinaria al Parlamento».
La Corte ha in quella sede specificato, inoltre, come il Governo non possa riprodurre, con un nuovo decreto, il contenuto normativo dell'intero testo o di singole disposizioni del decreto non convertito «ove il nuovo decreto non risulti fondato su autonomi (e, pur sempre, straordinari) motivi di necessità e urgenza».
L'esame del Comitato per la legislazione si è concentrato sulla configurabilità o meno, con riferimento al decreto-legge in esame, di un caso di reiterazione sotto il profilo tecnico-giuridico (dunque, sull'identità o meno del contenuto normativo del decreto-legge rispetto al precedente).
La I Commissione affari costituzionali ha, invece, incentrato, come è suo compito, il proprio esame sulla sussistenza, in caso di reiterazione di singole disposizioni, di nuovi e autonomi motivi di necessità e urgenza.
Come aveva chiarito, infatti, il Presidente della Camera, in una lettera del 20 febbraio 1998, indirizzata al presidente pro tempore del Comitato per la legislazione, spetta al Comitato verificare se ricorrano ipotesi di reiterazione di un decreto-legge sotto il profilo tecnico-giuridico, mentre spetta alla Commissione di merito la valutazione relativa alla eventuale sussistenza, nel caso di reiterazione, di nuovi e autonomi motivi di necessità e urgenza, che possano giustificare la reiterazione stessa.
Mi concentrerò qui sull'esame compiuto in Commissione affari costituzionali.
Per quanto attiene alle disposizioni relative all'espulsione dei cittadini extracomunitari, il decreto-legge si fonda su due specifici autonomi casi straordinari di necessità e urgenza, che possono essere così sintetizzati: da un lato, vi è la necessità di introdurre una disciplina a regime dell'espulsione degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo, dato che la precedente disciplina, contenuta nel cosiddetto decreto Pisanu, che sopra ho richiamato, per espressa previsione dell'articolo 3, comma 6, si applicava fino al 31 dicembre 2007, nonché la necessità di estendere l'applicabilità di tali misure ai cittadini comunitari; dall'altro, vi è la necessità di introdurre l'istituto della convalida da parte del giudice, individuato nel tribunale in composizione monocratica, per l'espulsione degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo, convalida che il decreto prevede anche con riferimento all'allontanamento del cittadino comunitario.
Sull'assenza di tale istituto, con riferimento all'espulsione degli stranieri, non va dimenticato che la Corte europea dei diritti dell'uomo si è pronunciata, negli ultimi anni, in modo severamente critico.Pag. 4
Per quanto attiene alle disposizioni relative all'allontanamento dei cittadini comunitari, l'esame della sussistenza di autonomi casi di necessità ed urgenza è stato condotto con valutazioni ancora più approfondite.
Va premesso che molte delle disposizioni contenute nel decreto-legge in esame presentano un contenuto sostanzialmente diverso, rispetto a quello del decreto-legge di novembre: in particolare, sono state infatti recepite quelle istanze di cui il Senato si era fatto carico nell'esame del disegno di legge di conversione del precedente decreto-legge, nel senso di una maggiore rispondenza della normativa stessa al dettato costituzionale (mi riferisco all'istituto della convalida, da parte del giudice, delle misure di allontanamento, alla più stringente determinazione dei motivi imperativi di pubblica sicurezza, all'espressa menzione del principio di personalità delle misure di prevenzione).
Tuttavia, sono presenti disposizioni che, oggettivamente, nel disciplinare lo stesso istituto del precedente decreto-legge non convertito (e cioè l'allontanamento dei cittadini comunitari), riproducono il contenuto normativo di alcune disposizioni del precedente decreto-legge.
Certo non è facile stabilire quando una mera riproduzione di singole disposizioni sia sufficiente, in qualche modo, a configurare una reiterazione; tuttavia rimane la valutazione relativa al presupposto di necessità ed urgenza. Allora, anche in questo caso, può affermarsi con relativa certezza la sussistenza di autonomi casi straordinari di necessità ed urgenza a fondamento delle disposizioni riprodotte, data l'esigenza di tener conto dell'ampliamento, a far data dal 31 dicembre 2007, del novero degli Stati comunitari per i quali opera l'accordo di Schengen.
Vorrei ora dare conto, seppur rapidamente, delle modifiche più rilevanti introdotte nel corso dell'esame in sede di Commissione affari costituzionali.
Chiariti dunque - come ho fatto finora - i presupposti nuovi di necessità ed urgenza del decreto-legge di dicembre, è necessario dar conto di alcune delle modifiche introdotte durante l'esame in sede di Commissione.
Innanzitutto, è stata introdotta una disposizione «salva effetti» del decreto-legge decaduto. Come è noto, l'ultima parte del terzo comma dell'articolo 77 della Costituzione riserva alle Camere la possibilità di regolare «i rapporti giuridici sorti sulla base di decreti non convertiti».
Ebbene, con le modifiche introdotte nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione, è stato stabilito che «restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge 1o novembre 2007, n. 181».
È stata poi introdotta (con una modifica all'articolo 4-bis del cosiddetto decreto Pisanu) la possibilità che, nei confronti dei provvedimenti di espulsione dei cittadini extracomunitari per motivi di prevenzione del terrorismo, l'autorità giudiziaria, su istanza dell'interessato, sospenda l'esecuzione del provvedimento nei casi in cui l'espulsione vada eseguita verso i cosiddetti Paesi a rischio (attraverso un richiamo, operato tecnicamente, dell'articolo 19, comma 1, del testo unico sull'immigrazione, il decreto legislativo n. 286 del 1998) oppure in presenza delle condizioni che giustificano l'attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona ammissibile alla protezione sussidiaria (la norma richiamata è contenuta nel recentissimo decreto legislativo n. 151 del 19 novembre 2007, che riguarda la qualifica di rifugiato e che definisce alcune situazioni che, evidentemente, impediscono il respingimento in questi territori). Lo strumento che qui si è introdotto - ed è un'ulteriore garanzia contenuta in questo decreto-legge - è un meccanismo che si realizza attraverso la sospensione dell'esecuzione del provvedimento.
Merita ancora di essere menzionato il fatto che il procedimento per l'allontanamento di un cittadino europeo per motivi di prevenzione del terrorismo è stato ricondotto al modello dell'allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza: qui vi è stata, in qualche modo, unaPag. 5riscrittura, non solo formale, degli articoli 3 e 4, che ha portato ad una migliore collocazione sistematica delle varie parti, e anche questo è un elemento che implica fattori di maggiore garanzia.
Nell'articolo 4 è stato eliminato il riferimento alla dignità delle persone, che potrebbe apparire - nel contesto in cui è stato formulato - una fattispecie troppo generica. Sono, altresì, state vietate espressamente, come del resto anche la direttiva europea indica, le ragioni di ordine economico a base di un possibile allontanamento.
Inoltre, l'articolo 5 è stato in qualche modo riscritto approfondendo meglio la questione delle sanzioni e, soprattutto, del rapporto tra il procedimento penale e la misura dell'allontanamento.
Infine, per quanto riguarda l'articolo 6, sia pure rapidamente, merita una menzione il riferimento al nullaosta previsto dall'ordinamento, che nel provvedimento in esame viene configurato con un termine molto più breve, ancora una volta a garanzia dei soggetti e, in qualche modo, anche per sdrammatizzare e contenere nel tempo i problemi di eventuale detenzione dei soggetti interessati da questi provvedimenti.
Quindi, il lavoro svolto dalla I Commissione è, a mio avviso, positivo in quanto ha ulteriormente migliorato la struttura e la fisionomia del provvedimento sotto il profilo delle garanzie soggettive.
Nella parte conclusiva del mio intervento intendo richiamare (del resto questo tema è stato più volte oggetto di discussione durante l'esame in Commissione) il delicato profilo rappresentato dal rapporto tra le misure di prevenzione (di cui stiamo discutendo) e le garanzie dei soggetti e dei loro diritti fondamentali.
Il Parlamento ha svolto un simile controllo anche nel corso dell'esame del decreto-legge che poi è stato lasciato decadere, tanto che, in sede di approvazione del disegno di legge di conversione, il Senato introdusse novità sostanziali - mi riferisco sempre a quel decreto di cui oggi noi però realizziamo i risultati in termini normativi - nel senso di una maggiore rispondenza delle misure di prevenzione al dettato costituzionale. L'ho già ricordato nell'intervento in Aula del 18 dicembre così come nel mio intervento in Commissione del 9 gennaio scorso. In quel decreto-legge - come in questo oggi all'esame dell'Assemblea - si introducono provvedimenti riconducibili alla controversa categoria delle misure di prevenzione, misure ante delictum la cui compatibilità con i principi costituzionali è sempre stata oggetto di particolare attenzione da parte della dottrina e anche della giurisprudenza.
La Corte costituzionale ha dichiarato da tempo la legittimità del sistema di prevenzione previsto nell'ordinamento giuridico italiano, riconoscendo vigente un principio generale di prevenzione e di sicurezza sociale che affianca la repressione in ogni ordinamento come esigenza e regola di carattere fondamentale, ma, nel disciplinare le misure di prevenzione, il legislatore deve prestare comunque estrema cautela a che gli istituti, nel caso concreto, non si pongano in conflitto con i principi costituzionali, e deve ricondurre la disciplina legislativa delle stesse, per quanto possibile, ai principi che la Costituzione pone con riferimento alle misure restrittive della libertà personale in particolare desumibili dall'articolo 13 della Costituzione.
Il rispetto della riserva di giurisdizione, cioè la giurisdizionalizzazione del procedimento attraverso il quale si giunge all'applicazione di una misura di prevenzione (anche nella forma della convalida del giudice ex articolo 13, comma 3) appare un momento decisivo in tale direzione.
Ricordo ancora la recente sentenza n. 222 del 2004 della Corte costituzionale in materia, che ha riconosciuto come illegittima la norma della legge Bossi-Fini che consentiva che il provvedimento di accompagnamento alla frontiera dei cittadini extracomunitari fosse eseguito prima della convalida da parte dell'autorità giudiziaria.Pag. 6
L'esame del nuovo decreto-legge, approvato dal Governo il 28 dicembre scorso, soddisfa le esigenze appena menzionate. Da un lato, infatti, si introduce l'istituto della convalida da parte del giudice con riferimento al decreto di espulsione dei cittadini extracomunitari per motivi di prevenzione del terrorismo (come già ricordato si tratta del tribunale in composizione monocratica). Le disposizioni del cosiddetto decreto Pisanu, la cui validità era peraltro limitata al tempo, avendo cessato la propria vigenza il 31 dicembre 2007, per espressa previsione del decreto stesso, come sappiamo, non prevedevano tale istituto.
Dall'altro, con riferimento all'allontanamento dei cittadini comunitari per motivi imperativi di pubblica sicurezza, vengono introdotte le seguenti garanzie.
Innanzitutto, viene affermato che il provvedimento di allontanamento adottato nei confronti del cittadino dell'Unione o di un suo familiare è adottato nel rispetto del principio di proporzionalità e non può essere motivato da ragioni estranee ai comportamenti individuali dell'interessato, ribadendo in tal modo la centralità del principio di personalità della responsabilità penale, intesa in senso estensivo nel caso di specie, relativo all'applicazione di provvedimenti di allontanamento riconducibili alla categoria delle misure di prevenzione (analoga garanzia è prevista per l'espulsione degli stranieri).
Quindi, il decreto-legge introduce una più stringente determinazione dei presupposti in presenza dei quali i motivi di pubblica sicurezza possono qualificarsi come imperativi, così da delimitare i margini di valutazione discrezionale da parte del prefetto o del Ministro dell'interno chiamati ad adottare il provvedimento di allontanamento. Al riguardo, ho già riferito del lavoro svolto al Senato; i motivi imperativi di pubblica sicurezza sussistono non genericamente quando vi siano comportamenti che compromettono i diritti fondamentali della persona ovvero l'incolumità pubblica, rendendo la permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l'ordinaria convenienza, ma quando la persona da allontanare abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e grave ai diritti fondamentali (così l'attuale formulazione contenuta nel testo del nuovo decreto-legge, formulazione dalla quale è stato espunto il riferimento proprio alla dignità umana). È previsto che ai fini dell'adozione del provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza si tenga conto anche di eventuali condanne per una serie di delitti elencati nello stesso decreto-legge.
Il provvedimento di allontanamento - mi avvio alla conclusione, Presidente - è immediatamente eseguito dal questore ma, come abbiamo ricordato più volte, è prevista la convalida del giudice; al riguardo, attraverso una modifica dello stesso Testo unico sull'immigrazione, il decreto-legge toglie la competenza al giudice di pace attribuendola al tribunale in composizione monocratica.
Inoltre, il decreto disciplina talune ipotesi riguardanti la domanda di revoca del divieto di reingresso. Vengono infine introdotte sanzioni per la violazione del divieto di reingresso conseguente all'allontanamento (il riferimento è all'articolo 5, come modificato).
Queste, signor Presidente, sono le principali considerazioni che portano a presentare all'esame dell'Assemblea, con relazione favorevole della Commissione referente, questo disegno di legge di conversione di un provvedimento che risponde a questioni di urgente e rilevante portata sociale. Infatti, considerato in questi termini, noi lo valutiamo positivamente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Pettinari. Ne ha facoltà.
LUCIANO PETTINARI. Signor Presidente, signora sottosegretario, onorevoli colleghi, il decreto-legge n. 249 del 2007 varato dal Governo a fine di dicembre, chePag. 7è stato testé illustrato dal relatore, segue a breve distanza il decaduto decreto-legge n. 181 del 2007 non convertito in legge dal Parlamento. I due decreti-legge, che non possono non leggersi in una chiave di continuità, sono intervenuti entrambi nella materia relativa al diritto dei cittadini comunitari e dei loro familiari, anche extracomunitari, di circolare e di stabilirsi liberamente all'interno dei Paesi che compongono l'Unione. Il principio della libera circolazione rappresenta uno dei pilastri fondamentali dell'Unione europea, ragione per la quale gli organismi comunitari hanno adottato nel corso degli anni provvedimenti che hanno inteso sviluppare questa materia in maniera via via sempre più incisiva e coerente con l'idea di un diritto di cittadinanza comunitaria. Quest'ultima non è solo un diritto che si iscrive nell'ambito geografico di uno spazio comunitario inteso come mercato comune, ma è anche una vera propria unione di popoli e culture che esprimono e sviluppano insieme valori e diritti comuni. Quella della cittadinanza europea è una materia diventata tanto fondamentale da non potervi né rinunciare né rivederla e neppure comprimerla sull'onda di situazioni contingenti. Situazioni che sono importanti e delle quali, nel caso specifico che stiamo discutendo, occorre sicuramente tener conto, ma che hanno un carattere evidentemente particolare e non generale. In questo ambito il Consiglio e il Parlamento europeo hanno approvato, nel 2004, l'importante direttiva 2004/38/CE - relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri - modificando o abrogando precedenti regolamenti e direttive che erano intervenuti nella stessa materia.
Questa direttiva - ripeto, mi riferisco alla direttiva 2004/38/CE del Consiglio e del Parlamento europeo - rappresenta, al momento, la punta più avanzata di quella politica di affermazione della cittadinanza europea a cui ho fatto cenno in precedenza.
La direttiva, che fissa agli Stati membri i principi e gli obiettivi da raggiungere, è stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 30 del 2007. La disciplina che ne è risultata (e che è ora in vigore) ha fissato regole precise - a mio avviso coerenti - che riteniamo sufficientemente rispettose delle finalità perseguite dalla citata direttiva.
Nel decreto legislativo n. 30 del 2007 sono già presenti le disposizioni relative alle cause di allontanamento dei cittadini dell'Unione europea e dei loro parenti dal territorio nazionale. Nella direttiva (in particolare all'articolo 27, e al considerando n. 22), come nel decreto legislativo n. 30, i motivi di allontanamento sono specificatamente individuati nell'ordine pubblico, nella pubblica sicurezza e nella sanità pubblica.
La direttiva, inoltre, dettaglia e delimita tali motivi in modo molto chiaro: in essa, infatti, viene stabilito che la protezione contro l'allontanamento dovrebbe essere tanto più elevata, quanto maggiore è l'integrazione dei cittadini dell'Unione europea nello Stato membro ospitante. In ogni caso - sempre nella direttiva in oggetto - l'allontanamento, che può causare un grave nocumento alle persone, deve rispettare il principio di proporzionalità, in considerazione nell'ordine: del grado di integrazione della persona interessata, della durata del soggiorno nello Stato membro ospitante, dell'età, delle condizioni di salute, della situazione familiare ed economica e dei legami con il Paese d'origine (si tratta, in questo caso, del considerando n. 23). L'allontanamento deve offrire garanzie procedurali ed essere temporaneo (considerando n. 25, e ve sono altri a seguire). Inoltre, non può essere invocato per motivi economici, deve essere adottato esclusivamente in relazione al comportamento personale del soggetto nei riguardi del quale è applicato e il comportamento deve rappresentare, cito testualmente: «una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società» (articolo 27, commi 2 e 3). L'allontanamento non può, altresì, essere determinatoPag. 8da giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale.
Svolte queste premesse - considerati anche la direttiva europea 2004/38/CE e il decreto legislativo n. 30 del 2007 - ci sentiamo di sostenere che il decreto-legge 29 dicembre 2007, n. 249, pur essendo formulato in modo molto diverso rispetto al precedente decreto-legge 1o novembre 2007, n. 181, non convertito, mantiene profili di criticità che ci fanno rimanere perplessi. Il decreto-legge, infatti, non soddisfa le finalità imposte dalla direttiva. Consideriamo alcuni esempi.
La direttiva dispone che l'allontanamento deve essere sempre parametrato rispetto ad almeno tre elementi. In primo luogo, il presupposto: il soggetto nei confronti del quale è adottato l'allontanamento deve aver tenuto individualmente comportamenti concreti che mettano a repentaglio l'ordine pubblico e la pubblica sicurezza. Pertanto, si richiede che il provvedimento di allontanamento sia da questo presupposto motivato.
In secondo luogo, la proporzionalità: non si può prescindere dalla gravità del o dei comportamenti tenuti dal soggetto da allontanare.
Infine, la graduazione: la considerazione preliminare di elementi soggettivi della persona da allontanare, per riuscire a stabilire se si possa e si debba allontanarla. È necessario, quindi, valutare il grado d'integrazione della persona interessata, la durata del suo soggiorno nello Stato membro ospitante, l'età, le condizioni di salute, la situazione familiare ed economica ed il legame con il Paese d'origine. Tanto più è elevata e forte l'integrazione del soggetto nello Stato ospitante, tanto maggiore deve essere la protezione nei suoi confronti prima di arrivare all'allontanamento.
In particolare, per quanto riguarda la graduazione, quando un cittadino comunitario ha vissuto in un altro Paese membro per molti anni, per allontanarlo non basta che si prendano in considerazione semplici violazioni dell'ordine pubblico o della sicurezza pubblica, ma sono necessarie le seguenti condizioni: in primo luogo, se ha acquisito il diritto di soggiorno permanente (che si acquista dopo cinque anni di permanenza nello Stato), può essere allontanato solo per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza; in secondo luogo, se vi risiede da più di dieci anni, può essere allontanato soltanto in circostanze eccezionali, qualora vi siano motivi imperativi e di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro. Ovviamente, spetta ai singoli Stati stabilire quali siano i motivi imperativi di pubblica sicurezza.
Il decreto-legge n. 249 del 2007 rispetta il presupposto e la proporzionalità richiesti dalla direttiva (punti 1 e 2) - e fin qui è condivisibile - ma non rispetta il punto relativo alla graduazione. In questo modo, con l'entrata in vigore del decreto-legge n. 249 del 2007, viene aumentato il numero dei motivi in base ai quali un cittadino comunitario (o un suo familiare) potrebbe essere allontanato.
Dalla lettura combinata del decreto legislativo n. 30 del 2007 e del decreto-legge n. 249 del 2007, risulta che un cittadino comunitario potrebbe essere allontanato per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica, ma ancora: per motivi gravi di ordine e di sicurezza pubblica; per motivi di pubblica sicurezza che mettono a repentaglio la sicurezza dello Stato; per motivi imperativi di pubblica sicurezza; infine, per motivi di prevenzione del terrorismo.
Tralascio i motivi di sanità pubblica, che mi sembra non siano oggetto di discussione e di interesse. I motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, al contrario, restano di applicazione generale e la loro minaccia concreta e attuale rappresenta la base per l'adozione di un provvedimento di allontanamento. Invece, i motivi gravi di ordine e di sicurezza pubblica, nonché i motivi di pubblica sicurezza che mettono a repentaglio la sicurezza dello Stato, non rappresentano motivi autonomi, ma solo graduazione dei motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, i quali sono di applicazione necessaria - come ho già detto - quandoPag. 9una persona ha soggiornato in Italia, rispettivamente, per più di cinque o di dieci anni, oppure, ancora, quando si tratta di un minore.
Per quanto riguarda, poi, i motivi di pubblica sicurezza che mettono a repentaglio la sicurezza dello Stato, la direttiva specifica che essi dovrebbero essere rappresentati da motivi imperativi di pubblica sicurezza, ma il legislatore italiano - già nel decreto legislativo di recepimento n. 30 del 2007 - non ha meglio definito l'elemento dell'imperatività: chi lo decide? come si decide?
Al contrario, nel decreto-legge n. 249 del 2007, i motivi imperativi di pubblica sicurezza vengono introdotti come fattispecie generale ed autonoma di allontanamento (secondo la definizione che ne viene data dallo stesso decreto-legge), in contrasto - in modo, ahimé, piuttosto evidente - con l'impianto della direttiva e con lo stesso decreto legislativo n. 30 del 2007.
Ciò si verifica perché la direttiva, pur rimettendo ai singoli Stati membri la definizione di tali motivi imperativi di pubblica sicurezza, riferisce questi motivi unicamente all'allontanamento del cittadino che abbia soggiornato nel Paese membro per più di dieci anni, o nel caso di allontanamento di un minore.
Al contrario, adesso, sulla base di questo decreto-legge, i motivi imperativi di pubblica sicurezza rappresentano una fattispecie assolutamente differente rispetto agli altri motivi, la quale da questi differisce nella sostanza perché consente l'allontanamento immediato e coatto, salvo la convalida giudiziaria, mentre, in tutti gli altri casi previsti, l'allontanamento non può avvenire prima di un mese dalla data della notifica del provvedimento (anche in questo caso fatti salvi i casi di comprovata urgenza), ma si concreta nell'intimazione al cittadino comunitario comunque di lasciare il territorio nazionale, andando così ben oltre la stessa direttiva europea.
In conclusione, a nome del gruppo parlamentare Sinistra Democratica per il Socialismo europeo che rappresento, desidero evidenziare la perplessità che deriva proprio dalla palese contraddizione tra le norme del decreto-legge n. 249 del 2007 e le direttive europee che pure questo Parlamento ha approvato e, quindi, adottato.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Zulueta. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, cinquant'anni fa, il primo gennaio del 1958, entrava in vigore il Trattato costitutivo del Mercato unico europeo. Fu uno dei primi passi vissuti e concreti verso la creazione dell'Unione e come tale fu salutato.
Ho fatto caso in questi giorni che proprio cinquant'anni fa, in un editoriale, il giornale francese Le Monde si congratulò per l'accaduto, annunciando l'alba di un futuro migliore nel quale, scrisse il giornale, nessun cittadino europeo sarà più «straniero» - l'editoriale usava le virgolette per l'espressione: straniero - in territorio europeo.
È amaro dover constatare che proprio l'Italia, il Paese che forse più di ogni altro ha creduto nella nozione di cittadinanza europea, sia anche quello che in modo abbastanza clamoroso ha di recente seriamente ipotecato tale nozione. Questa almeno fu la prima conseguenza del cosiddetto decreto sicurezza, approvato a novembre dello scorso anno.
Il decreto, come tutti ricordiamo, fu approvato sull'onda dell'emozione suscitata da un efferato omicidio commesso da un cittadino rumeno ed ebbe un percorso travagliato. Esso fu anche criticato abbastanza duramente dalla stampa europea e da qualche politico rumeno, mentre, per un altro verso, ha concesso ad altri politici rumeni una sorta di licenza per assumere a loro volta posizioni anti-rom; il rumeno colpevole dell'omicidio, che fu denunciato da una sua concittadina, era infatti un rom.
Da quei giorni in poi i giornali, anziché scrivere: «rumeni», per indicare i cittadini della Romania, scrivevano: «cittadini romeni», e i giornali stessi parlavano di decreto anti-rom.
Si trattò di un segnale molto pericoloso, che provocò anche un dibattito nel ParlamentoPag. 10europeo, il quale (fatto assai inusuale) il 15 novembre approvò una risoluzione che richiamava il nostro Paese a una più precisa attuazione della direttiva del 2004 in materia di libera circolazione dei cittadini europei.
Come sappiamo, si tentò di modificare il decreto, venendo incontro (in particolare al Senato) alle osservazioni del Parlamento europeo. Ma a riprova del fatto che è imprudente tentare di affrontare temi che «toccano» gli aspetti più sensibili delle libertà personali e civili con la decretazione d'urgenza, il decreto dovette essere ritirato.
In seguito, tra Natale e Capodanno, fu presentato un nuovo decreto, in qualche misura migliorato per quanto riguarda il controllo giurisdizionale delle decisioni dell'amministrazione in campo di espulsione, ma con un'amara sorpresa: la reiterazione del cosiddetto decreto Pisanu sull'espulsione dei cittadini non europei per motivi di prevenzione del terrorismo, un provvedimento probabilmente incostituzionale, come tacitamente riconosceva il Governo allora in carica prevedendo un limite temporale di due anni per la stessa disciplina varata.
Perché riteniamo che la «versione» adottata dal nuovo decreto del 29 dicembre contenga dei miglioramenti? In particolare per l'introduzione del controllo giurisdizionale sulle decisioni amministrative di espulsione; ma siccome rimaneva in piedi il comma 4 dell'articolo 3 della legge del 2005, che chiarisce che in nessun caso il ricorso in giudizio può bloccare l'espulsione, il nuovo decreto rischiava di ripetere gli stessi difetti del cosiddetto decreto Pisanu.
La Corte europea dei diritti dell'uomo, infatti, si era già pronunciata, richiamando l'Italia ad un più preciso rispetto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo per non cadere nella violazione dell'articolo 3 della stessa Convenzione, attuando politiche di refoulement (respingimento) verso Paesi in cui una persona corre un concreto pericolo di essere sottoposta a trattamenti degradanti e disumani.
Il gruppo dei Verdi è stato critico su entrambi i provvedimenti: anche la seconda versione suscitava perplessità, come ha ripetuto l'onorevole Boato, il nostro rappresentante in Commissione affari costituzionali, che ha criticato, in particolare, il ricorso alla decretazione d'urgenza specificatamente per quanto riguarda l'attuazione di una direttiva europea, quella - come dicevo - relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio dell'Unione.
Avremmo potuto e dovuto attuare tale direttiva entro il 2006: lo abbiamo fatto a febbraio dell'anno scorso con il Governo Prodi. Adesso, infatti, il Governo ha proposto una divisione del nostro percorso di attuazione con un nuovo decreto legislativo, che ci sembra uno strumento certamente più appropriato per quanto riguarda la regolamentazione del diritto di soggiorno.
Con riferimento alle nostre perplessità mi rifaccio non solo a ciò che ha ribadito il Parlamento europeo, ma anche al parere votato all'unanimità dalla Commissione Affari esteri e comunitari della Camera. La Commissione ha espresso - voglio ribadirlo - preoccupazione per le conseguenze che la decretazione d'urgenza ha comportato sul piano delle relazioni internazionali dell'Italia; ha sottolineato che il diritto di libera circolazione costituisce uno dei principi cardine del processo di integrazione europea ed ha rammentato - e lo trovo importante - lo spirito di apertura del nostro Paese nel rispetto dell'ordinamento europeo ed internazionale ed anche l'impegno dell'Italia per l'attuazione di politiche tese all'integrazione sociale e professionale dei cittadini immigrati in Italia nonché volte a favorire migliori condizioni abitative.
Siamo molto lontani da quello che lo stesso Parlamento ha censurato e che è stato anche oggetto di una nota dell'organizzazione Human Rights Watch che ha sottolineato che, nei giorni seguenti l'omicidio della signora Reggiani, molti politici hanno fatto dichiarazioni smaccatamentePag. 11razziste, stigmatizzando un'intera categoria di persone e, nel caso specifico, la comunità rom.
Se l'obiettivo era quello «di impedire - come disse il Ministro Amato - che la tigre terribile, che è la rabbia xenofoba, la bestia razzista esca dalla gabbia» è stato un boomerang; ne sono testimoni - ahimè - i due cittadini rumeni che sono stati oggetto di un attacco violento di stampo xenofobo e razzista: uno dei due non si è ancora ripreso.
La Human Rights Watch ha anche sostenuto che i raid della polizia stanno, invece, mandando un segnale opposto e rendono apparentemente accettabili le discriminazioni nei confronti dei rom.
Sarebbe opportuno un rilancio di una politica di integrazione che prenda seriamente in considerazione i problemi e i diritti di questa comunità, con riferimento sia alla sua componente italiana sia a quella non italiana che vive nel nostro Paese.
Su questo fronte siamo molto indietro: ricordo che il Parlamento europeo ha raccomandato una piena attuazione anche delle linee guida del Consiglio d'Europa (spero tra l'altro che si faccia seguito ad una conferenza in cui si è dibattuto la settimana scorsa su tale tema).
Il decreto, come dicevo, poneva in particolare un problema per quanto riguarda la questione delle espulsioni dei cittadini non europei, perché il fatto che non vi fosse la possibilità di un ricorso ci esponeva davvero alla violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Mi chiedo, però, se, anche per quanto riguarda i cittadini europei, non abbiamo anche in questo caso mandato un segnale alquanto stonato rispetto al diritto europeo e alle convenzioni vigenti.
È difficile capire, infatti, come l'articolo 3 del decreto, che prevede l'allontanamento per motivi di terrorismo di cittadini dell'Unione, si possa sposare, per esempio, con il trattato costitutivo di Europol.
Se l'Europa, come speriamo, è un obiettivo per il quale l'Italia si è spesa e si spende e deve diventare davvero spazio unico di libertà, sicurezza e diritti, la lotta al terrorismo dovrebbe essere un'attività di collaborazione e di scambio di informazioni. È difficile capire come lo spostamento di un cittadino, peraltro nemmeno oggetto di un'accusa penale, possa migliorare la sicurezza.
Credo che lo spirito di questa norma sia invece figlio di una vecchia logica poliziesca, superata nell'epoca di movimenti globalizzati, dove prevale una comunicazione istantanea, e faccio anche presente che, probabilmente, non è molto utile sul piano della sicurezza.
Mi riferisco anche alle prese di posizione di esperti di lotta al terrorismo tra i più accreditati del nostro Paese. Sono rimasta personalmente colpita dall'intervento del procuratore di Milano Armando Spataro, che ha dedicato la sua intera vita professionale alla lotta al terrorismo, che ha scritto una bella introduzione al rapporto del Consiglio d'Europa sulle operazioni coperte della CIA negli Stati europei.
In questa introduzione Armando Spataro fa notare che l'affievolirsi dei controlli giurisdizionali sta diventando persino eclatante nelle nuove norme, in materia di espulsione degli stranieri per motivi di prevenzione del terrorismo, che si diffondono in ogni parte d'Europa.
A prescindere da ogni pur possibile rilievo sull'effettiva utilità nella lotta al terrorismo della strategia dell'espulsione, perché essa libera solo momentaneamente il Paese ospitante di una presenza pericolosa e perché si traduce in una politica di indiscriminata esportazione e dispersione dei presunti terroristi, sembra saltato ogni meccanismo di bilanciamento delle ragioni di prevenzione rispetto a quelle di accertamento giurisdizionale, così come appare compromessa la tenuta delle garanzie individuali.
La legge italiana, ad esempio, prevede che il meccanismo dell'espulsione scatti sulla base di valutazioni di polizia di prevenzione.
Aggiunge infine il procuratore: «Ma soprattutto sul versante delle garanzie è significativo che in nessun caso il giudice amministrativo, cui abbia eventualmente fatto ricorso il destinatario di un provvedimentoPag. 12di espulsione, possa sospendere l'esecuzione dell'atto asseritamente illegittimo». Il dottor Spataro aggiunge, e credo che sia una conclusione che pone a tutti degli interrogativi: «Il terreno delle espulsioni amministrative, dunque, diventa, unitamente a quello delle rendition e delle prigioni segrete (...) il luogo privilegiato di ogni possibile impegno culturale non solo a tutela dei diritti ma anche della stessa dignità umana». Sono stata di recente in Marocco a visitare un nostro concittadino vittima di una rendition e attualmente trattenuto nelle carceri marocchine, e non posso che concordare con il dottor Spataro. Devo dire che in quell'occasione e per quanto riguarda quella persona, il Governo e il Ministero degli Affari esteri si sono spesi e si sono profusi per il ripristino della legalità, della tutela dei diritti di quella persona: vorrei vedere altrettanto impegno per quanto riguarda anche i cittadini non italiani.
Le espulsioni verso certi Paesi, come ha ricordato il relatore, per una persona che porta addosso l'etichetta di sospetto terrorista, sono la garanzia, anzi la quasi certezza della carcerazione e comportano il rischio concreto di tortura ed altri maltrattamenti. Con l'aggravante che, in assenza di un'accusa penale, non vi sarà processo, e pertanto, a differenza, per esempio, del caso che ho citato prima, del cittadino italiano Britel, attualmente detenuto in Marocco, che è stato scagionato da un tribunale italiano, in assenza di un processo non ci può essere la dimostrazione dell'innocenza e la persona può essere trattenuta senza limite di tempo. Abbiamo permesso delle vere e proprie rendition europee: questo non si deve ripetere. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha già più volte bloccato alcune espulsioni verso Paesi ritenuti pericolosi e non ci deve essere motivo perché di nuovo si pronunci contro una decisione della nostra amministrazione. Ed è per questo che credo sia molto importante l'emendamento proposto dal relatore che corregge il comma 4 dell'articolo 3 della legge cosiddetta Pisanu, che è stato accolto anche dal Governo. È venuto meno grazie ad esso, credo, il rischio che il decreto violasse ancora la giurisprudenza della Corte europea, e per questo non posso che esprimere soddisfazione.
Per quanto riguarda lo spirito del decreto in generale, ho già detto che stona con l'impegno profuso fin qui dall'Italia per rafforzare sia il concetto di cittadinanza europea sia una concreta e costruttiva attuazione del principio di libera circolazione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.
SANDRO GOZI. Signor Presidente, le norme in esame rispondono all'esigenza forte di rafforzare la sicurezza per tutti i cittadini italiani ed i cittadini europei regolarmente residenti nel nostro Paese. Si tratta di un impegno che coinvolge e impegna tutte le forze politiche. Il testo in esame inverte l'approccio seguito, a mio parere in maniera molto efficace: parte dall'esigenza di prevenire il terrorismo e disciplina, senza certamente vanificare, ma in modo parallelo, i diversi status che possano essere interessati da queste misure: i cittadini extracomunitari, i cittadini comunitari e i familiari.
Mi sembra che si tratti di un approccio non solo efficace, ma che contribuisce anche a fare maggiore chiarezza e a semplificare il panorama normativo in questa materia.
Questo provvedimento trae innegabilmente origine da due esigenze: la prima è quella di dar seguito a talune norme del precedente decreto-legge non convertito; l'altra è quella di far salve misure antiterrorismo contenute nel cosiddetto decreto Pisanu, integrandole però in modo da assicurare ai destinatari tutte le necessarie garanzie costituzionali. In questo senso, credo che tali garanzie siano state ulteriormente rafforzate grazie al lavoro del relatore e grazie al lavoro svolto in Commissione (pensiamo soprattutto, ad esempio, alle garanzie attribuite ai rifugiati e alle persone ammissibili a protezione sussidiaria: ma non mi dilungo sul tema poiché rinvio a quanto già detto dal relatore).Pag. 13
Introducendo la possibilità di allontanamento di cittadini comunitari per esigenze di prevenzione del terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza, il Governo si avvale di una facoltà espressamente prevista dall'articolo 27 della direttiva 2004/38/CE, e si muove dunque certamente in piena conformità con essa. In proposito, vorrei ricordare taluni elementi della direttiva che dimostrano tale conformità ed evidenziano come il Governo stia svolgendo in questa materia un'opera di equilibrio - a mio parere molto saggia - fra le esigenze di libertà e quelle di sicurezza.
A norma della direttiva, il cittadino dell'Unione o un suo familiare possono essere allontanati dal territorio dello Stato membro, fra le altre ragioni, per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. In nessun caso, la decisione può essere dettata da ragioni economiche. Tutti i provvedimenti relativi alla libertà di circolazione o di soggiorno devono rispettare il principio della proporzionalità e basarsi esclusivamente sul comportamento personale dell'interessato: ovviamente, dunque, l'esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare il provvedimento di espulsione. Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia effettiva e sufficientemente grave, che pregiudica un interesse fondamentale dell'Italia. Il provvedimento di rifiuto dell'ingresso o di allontanamento dal territorio deve inoltre essere notificato all'interessato e motivato, nonché esplicitamente riportare i mezzi di ricorso disponibili ed i termini entro cui agire (poiché comunque si tratta di pubblica sicurezza, si esclude in generale che, in caso di provvedimento di ricorso, si abbia un effetto sospensivo). Infine, il provvedimento di divieto di ingresso non può avere carattere permanente.
Quelli che ho citato sono solo alcuni degli elementi contenuti nella direttiva, ma mi sembrano quelli più qualificanti: ed essi si ritrovano nel decreto-legge varato dal Governo, un decreto che dunque non aumenta i casi in cui è possibile l'espulsione, ma - al contrario - opera una specificazione all'interno della categoria «pubblica sicurezza», e dettaglia in maniera molto più sensibile rispetto alle garanzie dell'individuo la categoria del rischio di terrorismo.
Cittadinanza europea, cari colleghi, non vuol dire unicamente libertà: perché tale cittadinanza sia assicurata e resa effettiva, e per fare in modo che vi sia sempre e pienamente libertà di circolazione, essa deve essere accompagnata anche da chiare esigenze di sicurezza. Nell'Unione a 27 membri non vi è infatti possibilità di continuare a mantenere o di rendere ancor più raggiungibile l'obiettivo della libertà di circolazione senza che si forniscano gli strumenti per garantire la sicurezza di tutti (cittadini comunitari, cittadini extracomunitari, residenti regolari) nello spazio comunitario.
In questi mesi di lavoro in Commissione prima, ma anche nel corso di quest'anno di lavoro nel comitato Schengen, sono giunto ad una conclusione molto chiara: ossia che la direttiva del 2004 certamente persegue l'obiettivo della libertà di circolazione e insieme dà la possibilità ai Governi di riequilibrare tale obiettivo con talune misure in materia di sicurezza. Ciò, poiché, a mio parere, questa è una direttiva che ha bisogno di essere riequilibrata: ed ha bisogno di esserlo poiché è evidente che, nell'Unione a 27 membri, viste le disomogeneità economiche e sociali e viste le differenze nelle misure di prevenzione in materia di sicurezza, rientra pienamente nelle facoltà dei vari Governi specificare - anzi, è opportuno che lo facciano - come la materia della libera circolazione debba essere disciplinata alla luce di esigenze specifiche come quella di prevenzione del terrorismo.
Credo che il fatto che il Governo italiano voglia specificare in maniera molto più dettagliata la fattispecie «terrorismo» sia un elemento di garanzia in più - e non in meno - rispetto a quanto è stato fatto da altri grandi Paesi. Se si prendono in considerazione le misure di recepimento della direttiva da parte della Spagna, della Francia, della Germania e del Regno Unito, si potrà notare in esse un caratterePag. 14molto più generale - direi anzi, quasi molto più generico - in materia di pubblica sicurezza rispetto a quanto il Governo italiano sta facendo. Mi chiedo, allora, se stare nel generale o nella genericità sia più o meno garantista dei diritti dell'individuo e dei diritti del soggetto nei confronti del quale si adottano le misure di prevenzione.
Cari colleghi, non siamo ancora in uno spazio penale unificato, né in un'Europa completamente integrata dal punto di vista giudiziario. Siamo in un'Europa che, in primo luogo, si basa sull'efficacia delle misure nazionali nella lotta contro il terrorismo e per garantire la pubblica sicurezza e che certamente, in secondo luogo, alla luce dell'efficacia delle disposizioni nazionali, favorisce e incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri. La logica del decreto-legge al nostro esame è la stessa che ritrovate nel mandato di arresto europeo e nel principio di disponibilità delle prove. Non siamo ancora a quello stadio, cui voi fate riferimento, dell'integrazione europea, e proprio per arrivarci occorre equilibrare - lo ripeto - esigenze di libertà ed esigenze di sicurezza.
Certamente, andando ad esaminare i casi specifici - come il caso dei rom, evocato dalla collega De Zulueta - occorre agire anche sul lato dell'integrazione, e certo dovremo pretendere sempre di più un carattere quasi vincolante delle politiche di integrazione sociale, così come dovremo certamente pretendere, nel nostro rapporto con la Romania, un'attuazione piena di quell'impegno che la Romania ha assunto dal 2001 al 2010 per avviare politiche di integrazione dei rom. Credo però che, se voi guardate alle misure che - anche a seguito della creazione dello spazio Schengen allargato - la Convenzione di Schengen consente di adottare in materia di controlli e di sicurezza, questo decreto-legge anticipa un dibattito, cari colleghi, che certamente verrà aperto dalla Commissione europea a metà di quest'anno, nel momento in cui presenterà il rapporto sulla direttiva 2004/38/CE. Mi sembra evidente, infatti, che sul lato della cooperazione di polizia, giudiziaria e in materia di sicurezza vi sia certamente da avviare una nuova riflessione, che il Governo italiano mi pare abbia anticipato in maniera molto efficace.
I motivi straordinari di necessità ed urgenza sono stati ricordati dal relatore e riguardano il bisogno di introdurre una disciplina a regime dell'espulsione degli stranieri per motivi di prevenzione e di terrorismo. Si risponde a tale esigenza con una disciplina nuova che introduce l'istituto della convalida per l'espulsione degli stranieri da parte del giudice, individuato nel tribunale in composizione monocratica. Inoltre, un elemento forse decisivo di novità riguarda la disciplina sostanziale dell'allontanamento di cittadini comunitari per motivi imperativi di pubblica sicurezza, il livello più alto di garanzie, la più stringente determinazione dei motivi imperativi, l'espressa menzione del principio di personalità. All'urgenza si aggiunge anche il recente allargamento dello spazio Schengen.
Credo, quindi, che si tratti di misure che garantiscono il necessario equilibrio tra libertà e sicurezza e assicurino in maniera maggiore le prerogative ed i diritti della cittadinanza europea, contribuendo alla costruzione in Europa di uno spazio non solo di libertà, ma anche di giustizia e di sicurezza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.
JOLE SANTELLI. Signor Presidente, credo che i fatti politici che si sono succeduti nei giorni scorsi - giusto per non apparire come «marziani» in questa Camera - ovviamente impongano anche una discussione di tipo diverso sul decreto-legge in esame e possibilmente richiedano, più che una discussione in termini di recriminazione, un guardare avanti e tentare di capire il nocciolo politico dei problemi che sono sottesi al provvedimento stesso. Anzitutto, questo decreto-legge - e si tratta del primo tema che non può essere trascurato - porta con sé,Pag. 15inevitabilmente, il fardello della storia del provvedimento precedente e degli evidenti errori politici commessi nel medesimo.
Dico questo anche per far fronte alla necessità, che si pone affrontando un tema di questo genere, di evitare una politica altalenante che finisce per tradursi più in grida manzoniane che in risultati concreti. È inutile ripercorrere ciò che è accaduto nei mesi scorsi in relazione al precedente decreto-legge in materia di sicurezza e alle esigenze sottostanti, ma vorrei sottolineare un dato che era sotteso a quel provvedimento e che una parte dell'allora maggioranza aveva compreso, forse in distonia con un'altra parte della stessa; vale a dire che vi era - e vi è tuttora - una popolazione italiana estremamente impaurita. Ritengo che sia impaurita non perché è xenofoba o razzista, ma perché, in generale, tutto ciò che è nuovo necessariamente (o purtroppo) fa paura e, inoltre, perché nei mesi scorsi ci siamo trovati oggettivamente dinanzi ad un'invasione - il termine non è mio, ma era usato da tutta la classe politica qualche mese fa - non prevista e non considerata. Credo che anche questa trascuratezza nella prognosi e nella diagnosi non abbia fatto comprendere quali potessero essere gli antidoti da introdurre in precedenza per evitare ciò che è accaduto in Italia. La cosiddetta invasione, ampiamente prevista, dei rumeni o in generale dei popoli dell'Est verso l'Italia, non è stata tenuta nella dovuta considerazione dal Governo allora in carica e perciò ci siamo trovati dinanzi ad una situazione oggettivamente straordinaria.
A tale problema si risponde con la decretazione d'urgenza, ma si risponde oggettivamente solo se si ha la forza di portare avanti le decisioni assunte. In ciò sta la debolezza di questa fase politica che abbiamo vissuto e che probabilmente, anzi sicuramente, avrà anche strascichi negli anni futuri. Ho parlato di debolezza perché quel decreto-legge, che non poteva essere totalmente abbandonato politicamente, nonostante fosse «caduto» in Aula sostanzialmente per l'incapacità della maggioranza di approvarlo, rimaneva nella sua necessità di base con delle premesse e delle promesse fatte che dovevano essere attuate. A dicembre è stato emanato il nuovo decreto-legge in relazione al quale tutti si affannano ad affermare che nulla, o forse poco, ha a che fare con il provvedimento precedente e che è qualcosa di nuovo legato ad esigenze nuove. È evidente che in tali affermazioni vi è anche la necessità di salvaguardare la costituzionalità del decreto-legge stesso; vi è però anche una forte ammissione di errore per ciò che è accaduto nella fase precedente.
Detto ciò, vorrei sottolineare che anche in questo scorcio di dibattito che si sta svolgendo oggi pomeriggio, negli ultimi due interventi, abbiamo percepito gli echi di una diversa impostazione. Mi riferisco all'intervento dell'onorevole De Zulueta, che parte da una premessa «estrema» in termini di arco politico e di impostazioni ideologiche, ossia quella di un'Europa e di un'Italia aperte a qualunque costo, e di un Paese - il nostro - che è sull'altare della libera circolazione e di un concetto di europeismo molto poetico in astratto, ma poi da verificare in concreto, e che in qualche modo diventa succube di una forma di follia o di odio razziale e, quindi, emana alcuni provvedimenti dettati dalla paura. Faccio una sintesi ovviamente forzata per necessità.
Poco fa, invece, abbiamo ascoltato l'onorevole Gozi, rivendicare nel suo intervento un bilanciamento di interessi e il difficile equilibrio da trovare tra gli impegni da onorare in campo europeo e in termini programmatici e la necessità di tranquillizzare una popolazione, ma sostanzialmente di assolvere a una funzione specifica dello Stato: quella della difesa dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica. Su questa strada il problema è di difficile soluzione se le posizioni sono così conflittuali, se non si ha un obiettivo molto forte davanti e se l'ideologia, come spesso è accaduto in questi mesi, continua a prevaricare sulle esigenze concrete che si espongono.
Vorrei esaminare alcuni temi delicati del provvedimento in esame. Ritengo chePag. 16il primo, che esamineremo in seguito, con il nuovo Parlamento - vedremo che succederà, senza anticipare nulla - e in un momento diverso di discussione politica, il Paese necessariamente dovrà affrontarlo. Mi domando, infatti, dove sia il confine tra la sicurezza pubblica e la libertà personale. Mi domando, inoltre, dove è il limite dei provvedimenti che possono essere assunti dall'autorità amministrativa in nome dell'interesse pubblico e dove la soggettività interviene in maniera preponderante, per arrivare alla soglia della sicurezza e per finire nella libertà personale e nel campo della giurisdizione. Ritengo che ciò rappresenti uno dei problemi più seri che la classe politica deve affrontare se vuole essere in grado di dare delle risposte al Paese in una fase delicata di transizione, soprattutto in ordine al tema dell'immigrazione. Si tratta di un tema importante, che la politica deve affrontare, se vuole mantenere la capacità di incidere su tali aspetti, o, al contrario, se non vuole semplicemente delegare all'autorità giudiziaria - quindi ad un'autorità politicamente irresponsabile per natura - un tema delicato come questo. Il mio vero timore, come per tanti altri temi - ci siamo confrontate molte volte con la sottosegretaria Lucidi su questi temi - è che, dopo aver compiuto delle scelte, nei prossimi anni si sarà costretti ad alzare le mani e dire: non ci compete, non possiamo decidere e noi decidiamo noi.
Credo che questo tema riguardi l'immigrazione, ma anche tantissimi altri aspetti. Deve essere riscritta la soglia e deve essere ridefinito il confine tra ciò che è sicurezza e ciò che è giustizia, in quanto noi, noi come Paese (parlavo, infatti, di responsabilità politica generale) abbiamo abbondantemente superato il confine e ciò non ci offre neanche gli strumenti necessari. Infatti, quando si parla di Europa, della necessità delle garanzie e quant'altro, colleghi - e mi rivolgo anche alla collega De Zulueta che è uscita dall'Aula - dobbiamo farvi fronte anche con un sistema giurisdizionale che non ha analoghi in tutta Europa e che, quindi, ci pone in una situazione oggettiva di diversità. È solo l'Italia che ha una fase così avanzata di livello giurisdizionale. Ciò non deve apparire esclusivamente come un litigio di competenze tra politica e giurisdizione - spero che si sia capito il mio appello - e lascio perdere tutto il resto, in quanto penso che citare in Aula esponenti importanti di correnti di magistrature specifiche e politiche, che hanno come definizione un altro concetto di giurisdizione (ovvero di giurisdizione politica) non costituisca un buon servizio alla giurisdizione.
Vi è un altro problema, in quanto sappiamo che il grande malato del Paese, almeno sui temi istituzionali, è proprio la giurisdizione intesa come capacità di risposta. Siamo il Paese che sicuramente qualsiasi Trattato di Maastricht boccerebbe definitivamente ed inesorabilmente per l'incapacità del Paese stesso di dare risposte in termini giurisdizionali. Dinanzi a tale evidenza, che imporrebbe una rivisitazione completa del sistema, la politica non può far finta di nulla e continuare imperterrita ad aggiungere altra materia sulla giurisdizione. Al contrario, si rischierebbe di scrivere meravigliose leggi che poi non troverebbero attuazione in pratica.
Colleghi, se per un'ordinanza di custodia cautelare delicata in alcuni uffici si impiegano quattro mesi, quale ufficio giurisdizionale dovrebbe in tempo immediato rispondere all'autorità amministrativa che chiede le espulsioni? Credo che alla politica debba essere richiesto un minimo di pragmatismo, di conoscere quale sia la situazione e di tentare di dare risposte efficaci ed effettive. È inutile ritrovarsi in Aula, tra un anno, per dire: il sistema c'è, ma il sistema delle espulsioni non funziona perché abbiamo delegato alla magistratura, la quale non ce la fa perché non ci sono uomini, mezzi e strumenti.
Non credo che ciò possa costituire un alibi, dovendovi essere consapevolezza in merito. Insisto molto sul tema della giurisdizione, perché si tratta di un tema fondante, che per noi costituisce il motivo per il quale ci opponiamo alla conversione in legge del provvedimento in esame: si pensi, ad esempio, alla parte del decreto-legge che il Governo considera la piùPag. 17importante in termini di sicurezza, ossia la proroga del cosiddetto decreto Pisanu sulle espulsioni. Pur dando atto al Governo in carica, ovviamente, che è stata prorogata la misura prevista dal cosiddetto decreto Pisanu, la giurisdizionalizzazione di tale misura si scontra con l'urgenza della misura stessa. Si tratta di un problema che prima o poi dovremo affrontare. Mi rivolgo all'onorevole Zaccaria, che è un esimio costituzionalista: la Corte costituzionale può leggere la Costituzione nella maniera più ampia, ponendo limiti forti, ma alla fine affermeremmo: che meraviglia il nostro diritto e quanto è «pessima» la nostra giustizia immediata! Diciamo la verità: la giurisdizionalizzazione della misura dell'espulsione per motivi di terrorismo e pubblica sicurezza costituisce un vulnus serio all'efficacia stessa del provvedimento.
Tirando un filo di collegamento con il resto del decreto-legge, la medesima situazione si verifica quando, per il resto delle espulsioni, si stabilisce che, per la convalida di quelle misure, ci si debba rivolgere al giudice ordinario, seppure in sede monocratica. Nel marzo 2001 - lo ricordo in termini polemici, ma non in termini politici o, per lo meno, di schieramenti - si tenne a Venezia il congresso di un'importante corrente associativa della magistratura. Nell'introduzione a tale congresso - pubblicamente e, quindi, in termini rintracciabili tramite Internet -, il presidente di quella corrente associativa affermò che stava per arrivare un Governo illegittimo (secondo quella corrente, infatti, il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione non prevede, in Italia, un Governo liberale, ma esclusivamente un Governo socialista) e che, dinanzi ad esso, la corrente dovesse assumere linee di resistenza, che vennero individuate e scritte. Si trattava di misure relative all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e ai no global e ad una possibile modifica della cosiddetta legge Turco-Napolitano.
Temo che, nel Paese, un gruppo di magistrati associati - non singoli - possano decidere la linea politica sull'immigrazione del Paese stesso, non dovendo poi rispondere a nessuno dei risultati. Temo che ciò avvenga e ritengo che questo lo tema chiunque ha avuto la ventura o la sventura di sedersi su un tavolo di Governo e di dover rispondere ai cittadini: ciascuno, infatti, pensa di compiere le proprie scelte sapendo che esse potranno essere gradite o potrebbero essere pagate come scotto verso l'elettorato. La delega, onorevoli colleghi, non funziona. Da questo trentennio di storia italiana dovremmo almeno aver compreso che la delega non funziona: nel decreto-legge in discussione la delega alla magistratura sull'immigrazione è amplissima.
In merito agli altri temi che sono stati già affrontati (e che riaffronteremo quando, e se, esamineremo le proposte emendative presentate), il decreto-legge in esame, nell'iter svolto in Commissione, ha avuto luci ed ombre. Grazie alla discussione in Commissione sono stati cancellati errori oggettivamente marchiani in esso contenuti: la soppressione del secondo e del terzo comma dell'articolo 3 può essere considerata di grande interesse per l'intero Parlamento; perlomeno, infatti, non abbiamo inserito ulteriori dubbi di interpretazione e scenari piuttosto inquietanti che, forse, erano, per l'eterogenesi dei fini, esattamente l'opposto di quelli immaginati da chi li aveva voluti e scritti.
Di contro, però, ci sono norme che, oggettivamente, nel tentativo di garantire maggiormente, aggravano ulteriormente il sistema. In più, credo che, lavorando su questo decreto-legge - domani cominceremo la discussione in Commissione sullo schema di decreto legislativo - finiamo per avere una visuale estremamente parziale della materia, che è completata dal decreto legislativo: si tratta di un tutt'uno per comprendere la linea stessa su cui il Governo si è mosso sull'intera materia.
Contrariamente a quanto affermato poc'anzi, ho apprezzato che il Governo abbia scelto per alcune misure la strada del decreto-legge, nel senso che, scegliendo questa strada, esso ha anche sostanzialmente accettato la via parlamentare e il confronto nelle aule parlamentari, poichéPag. 18su queste materie è estremamente rilevante potersi confrontare anche in Aula.
Sotto altro profilo, muoverei al Governo una critica opposta, in quanto, probabilmente, sarebbe stato opportuno inserire nel decreto-legge in esame alcune misure di coordinamento con la direttiva europea, previste nel decreto legislativo, in modo da avere una visione complessiva. È inutile discutere sui motivi politici, che tutti conosciamo, di tenuta dell'allora maggioranza, che hanno determinato questa difficile strada; ora ci troviamo in una diversa sede, di fronte a una situazione che presenta problematiche notevoli.
Ne discuteremo in seguito (lo anticipo adesso, perché non avremo la possibilità di esaminare in Aula il decreto legislativo), ma è evidente che ciò che colpisce di più è che, nel momento in cui si inseriscono regole precise per il soggiorno in Italia e si prevede come criterio di valutazione una somma immensa di situazioni (si prevede che un soggetto che non ha più la possibilità per legge di rimanere in Italia non possa essere allontanato perché occorre considerare da quanto tempo risiede in Italia, se si è fatto amici in Italia, la situazione nel suo Paese d'origine), tutti questi criteri e tutte queste determinazioni finiscono per rendere i provvedimenti, che sono alla base dell'emissione delle misure, estremamente labili e molto soggettivi in sede di valutazione da parte degli organi che dovranno giudicare dell'ammissibilità dei provvedimenti stessi.
Sperando di non essermi dilungata eccessivamente, credo che avremo modo e sedi per discutere e auspico che vi sia anche la possibilità di modificare alcune norme: mi riferisco soprattutto a quelle in materia penale, perché da questo punto di vista il testo del provvedimento approvato dalla Commissione compie oggettivamente un passo indietro rispetto a quello adottato dal Governo e non corregge le ambiguità che avevamo evidenziato, più per esigenze di coerenza legislativa, come si è ben compreso, e di efficacia che per semplice polemica politica.
Quindi, sperando che in questa nuova fase vi sarà anche una discussione diversa sul provvedimento e un confronto più libero, nell'interesse soprattutto della legislazione italiana e di quello che sarà domani, per chi, chiunque di noi, dovrà assumere la responsabilità di Governo, concludo ribadendo la richiesta, tanto al relatore quanto al Governo, di utilizzare questo passaggio in Aula, tentando di avere non dico meno pregiudizi, ma meno vincoli possibili, vista l'apertura della nuova fase e visto che forse in questa occasione possiamo anche dimostrare al Paese che, nonostante la situazione di crisi generale, la Camera lavora ancora e tenta di trovare una strada, se non unanime, perlomeno di buona intesa tra le parti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cogodi. Ne ha facoltà.
LUIGI COGODI. Signor Presidente, penso che siamo consapevoli tutti del fatto che ci troviamo di fronte ad alcuni eventi politici nuovi. Mi riferisco, in primo luogo, allo sviluppo della stessa situazione politica e al fatto che tale sviluppo rende più difficoltosa, se non altro, la possibilità che si possa discutere ed approvare quanto prima la proposta di legge organica in materia, la cosiddetta Amato-Ferrero, che avrebbe consentito di disporre di una dimensione e di una disciplina di carattere più generale, entro cui collocare anche queste misure, che vengono ritenute urgenti. Mi riferisco, inoltre, al fatto oggettivo che siamo di fronte ad un decreto-legge comunque reiterato.
Nel mio intervento mi soffermerò su alcuni punti, di contenuto e di metodo, che a noi particolarmente interessano e che suscitano forte preoccupazione e anche critica, che riteniamo fondata, nonché utile per un miglioramento sostanziale del provvedimento in discussione.
Innanzitutto, credo che non sia del tutto estranea una preliminare considerazione: mi domando cioè se ci troviamo, nel caso concreto, in sintonia e in rispondenza con il principio costituzionale che regge la possibilità di presentare e di approvare i decreti-legge (mi riferisco a principi e a coerenze in senso formale ePag. 19a principi e a coerenze da ricercare in senso sostanziale).
Sul piano formale, ci troviamo di fronte ad un decreto-legge reiterato: seppure leggermente modificato, esso per la sua gran parte riproduce esattamente il contenuto del primo decreto-legge, che è decaduto. Ben sappiamo che, in materia, la Corte costituzionale ha ritenuto di precisare - non una, ma più volte, e in modo chiaro ed inequivoco - che i decreti-legge non possono essere reiterati.
Ma vi sono ragioni più sostanziali, che attengono complessivamente alla natura dello specifico decreto-legge, perché si possa ritenere in gran parte superata la ragione per la quale si era inizialmente rappresentato un caso straordinario di necessità ed urgenza, tale che in questa materia così delicata si potesse procedere attraverso l'uso di questo strumento.
Si è realizzato un intervento in via d'urgenza, un intervento straordinario, in relazione ad un valore - quello della sicurezza dei cittadini - che è sicuramente un valore inderogabile, per molti versi messo a rischio e offeso; tuttavia, riteniamo per davvero che il modo e lo strumento attraverso cui ovviare a questo rischio, a questo pericolo e a questo danno, sia il decreto-legge, così settoriale, così parziale, che non affronta - né poteva affrontare - il limite oggettivo?
Non affronta, e neppure poteva affrontare, le cause vere che producono l'insicurezza dei cittadini, mentre attraverso strumenti normativi seri dovrebbe essere superata tale insicurezza, e dunque garantita la sicurezza degli stessi. La collega Santelli, poco fa, faceva riferimento ad un dato innegabile, ovverosia al fatto che noi oggi viviamo all'interno di una società impaurita, e la attraversiamo. Bisognerebbe chiedersi - e darsi una buona risposta - sul perché questa società è impaurita, e domandarsi quali siano le cause di queste paure. È infatti evidente che se lo Stato, la Repubblica, e il Parlamento con le sue leggi, non sono in grado di intervenire sulle cause che determinano queste situazioni, essi non adempiono al proprio dovere.
Il fatto è che la società è impaurita anche perché fra tante fabbriche che in Italia non funzionano, cioè non realizzano buoni prodotti né offrono buone garanzie ai lavoratori, vi è una fabbrica che sicuramente produce: la fabbrica della paura. Si tratta di una fabbrica che funziona, funziona bene, e che sforna ogni giorno, forse ogni istante, molti e nuovi prodotti, rappresentati da altra insicurezza e da altre paure. Una fabbrica della paura produce la sensazione dell'insicurezza psicologica e morale e forme crescenti di intolleranza, di violenza diffusa, di sopraffazione, e molto altro.
A dire queste cose, fino a qualche tempo fa, eravamo non dico solo noi della sinistra, o di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, però eravamo noi e non molti altri. Prendiamo atto, e diamo ad essa il giusto riconoscimento, dell'iniziativa recente del presidente Violante, un'iniziativa importante, che dovrebbe avere un suo effetto nel corso dell'esame di questo provvedimento e delle conseguenti valutazioni circa la sua sorte, che è fortemente legata alla valutazione della sua reale utilità, nell'attuale condizione e in questo momento.
Il presidente della Commissione affari costituzionali di questo ramo del Parlamento ha di recente convocato i direttori della RAI e di Mediaset, cioè degli strumenti di maggiore - non dico migliore - diffusione nel settore dell'informazione, per sottoporre alla loro attenzione - lo ripeto, si tratta dei direttori di RAI e Mediaset, i maggiori diffusori di notizie nel nostro Paese - una questione molto delicata: nel sistema informativo italiano appare evidente, evidentissima, una forma di esasperazione circa l'acuirsi e il diffondersi dei fenomeni di criminalità, le quali cose - né l'acuirsi, né il diffondersi dei fenomeni di criminalità in questo Paese - non risultano veritiere.
Tutto ciò lo dicono i dati del Ministero dell'interno, non un'analisi forzata, di parte, ma i dati che dovrebbero essere - accettiamo che siano - se non proprio assolutamente oggettivi, abbastanza vicini al vero (sui reati gravi è chiaro che ilPag. 20censimento viene svolto con precisione). In questo Paese non è per nulla vero che dilagano i cosiddetti fenomeni - che sono qualcosa di più del fenomeno - di criminalità come i crimini, i delitti e quant'altro. Se non ci troviamo nella condizione di poter ballare e cantare, e forse neppure di poter tirare alcun sospiro di sollievo, possiamo comunque dire che non vi è questo acuirsi, non vi è una straordinarietà, una novità tale che imponga un immediato e urgente provvedimento. Potremmo, più serenamente, ragionare e produrre una normativa sicuramente più rispondente ai bisogni sociali, anche di ordine pubblico, piuttosto che intervenire in modo reiterato, e quindi sempre meno efficace, con la decretazione d'urgenza, che affronta aspetti così parziali dei temi della sicurezza da risultare del tutto inefficace.
In questi giorni, peraltro, si sono svolte, non solo a Roma ma in tutti i distretti di corte d'appello d'Italia, le cerimonie - chiamiamole così, anche se si tratta di iniziative pubbliche di interesse più generale rispetto alla stessa cerimonia - dell'inaugurazione dell'anno giudiziario. In quelle sedi sono emerse non solo indicazioni di carattere generale, ma anche elementi di analisi e dati specifici che confermano che quello che principalmente non funziona in Italia non è il sistema repressivo, ma il sistema giudiziale. Il distacco crescente, la separazione grave che si determina ogni giorno di più non è tra le diverse funzioni, le carriere, i compiti interni alla magistratura, o fra il potere giudiziario e gli altri poteri dello Stato. È emerso con chiarezza, ancora una volta, che la vera separazione, quella più grave, più offensiva, che si determina è tra i cittadini e l'esercizio concreto dell'amministrazione della giustizia. È chiaro ed evidente che l'insicurezza dei cittadini è alimentata da questa mancanza di risposta alla domanda di giustizia.
È emerso, cioè, che vi sono modi e tempi (che costituiscono un ulteriore modo offensivo) attraverso cui la non amministrazione o il cattivo, pessimo, funzionamento della giustizia in Italia creano altre ingiustizie, altre offese, altre reazioni e altre insicurezze.
Se in una causa di lavoro, la parte più debole di questa società, che ha un diritto maturato (e che non rappresenta un bisogno generale), ad esempio un lavoratore che non è stato pagato, del quale è stato violato un diritto in concreto, si rivolge al giudice dello Stato, per avere una prima risposta in primo grado, in sede di merito - sono anche i dati riportati dal Ministro della giustizia e prima o poi si discuterà la relazione del Ministro della giustizia, che è stata solo consegnata all'Assemblea e che ancora, per le note vicende, non si è riusciti a prendere in esame, a confrontare e a discutere -, si impiega mediamente intorno ai due, tre anni e in secondo grado fra i quattro e i cinque anni, a prescindere dalla Cassazione. Inoltre, ricordo che il 90 per cento delle cause di lavoro viene rinunciato nel corso del giudizio di primo grado, senza arrivare neanche alla pronuncia del giudice di primo grado, perché il lavoratore (la parte debole) si arrende, è cacciato via dalla giustizia, e non è che quel 90 per cento (cioè, nove su dieci) ritira la propria istanza e il proprio ricorso perché, nel frattempo, abbia avuto ragione da un'altra parte o perché abbia ottenuto una buona transazione. No, non ha ottenuto nulla! Anzi, ha avuto incomodo, spese e danni aggiuntivi.
Queste ragioni di controversia sono numerose: tutto ciò causa o no insicurezza? Dovranno lo Stato, il Governo (qualunque Governo), porsi il problema di come approntare rimedi efficaci alle cause vere dell'insoddisfazione e dell'insicurezza dei cittadini, e non rincorrere sempre cause in parte fondate ma, il più delle volte, in gran parte artefatte?
Più in generale, oltre alle cause di lavoro, vi sono le cause civili, i cui tempi sono fra i quattro e i cinque anni in primo grado e i sette e gli otto anni in secondo grado. Esse diventano vere e proprie «missioni impossibili», quelle del cittadino e dei cittadini che chiedono giustizia e non la ottengono. Per non dire, poi, della giustizia penale, che non è solo ritardatariaPag. 21ma è un ambito in cui, come è stato efficacemente dimostrato in un libro - intitolato non toghe rosse, ma Toghe rotte e nessuno ha lamentato, né obiettato, né contestato pubblicamente quei dati - scritto da magistrati della Repubblica tuttora in servizio, che esercitano l'attività giudiziaria in Italia, l'organizzazione della giustizia in questo Paese è programmata per non funzionare.
Infatti, in tal modo, il 95 per cento dei delitti in questo Paese - ripeto, il 95 per cento - rimane impunito e il 90 per cento dei processi si conclude, fra l'altro, con la prescrizione (in altre parole, chi ha commesso un reato ed è responsabile di un delitto, è come se non lo fosse perché il tempo decorso per colpa della mala giustizia e della disorganizzazione dello Stato consente di dichiarare che quel reato nel frattempo è estinto).
Ecco perché accade, in conclusione, che ad occupare le carceri - dove di nuovo non vi è più posto - sono, per l'80 per cento, gli immigrati e i tossicodipendenti.
Eppure, al centro del dibattito così come dello scontro politico, non solo in Parlamento, ma anche nel dibattito pubblico, continuiamo a sentire che permane un confronto tutto incentrato o, comunque, maggiormente orientato sul fatto che non vi sia la certezza della pena, in un Paese nel quale non vi è la certezza del processo. Ancora sentiamo dire che la soluzione dei problemi deriverebbe, anche di fronte ad iniziative a dir poco ardite, dal fatto che tutti dovrebbero difendersi nel processo e non dal processo.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 15,50)
LUIGI COGODI. Ma come fa una persona normale, un cittadino, a difendersi in un processo che non garantisce né modi, né tempi? Nel processo, infatti, si difendono quelli che hanno i mezzi per allungare ancora di più i tempi del processo, affinché esso non si concluda mai e si dichiari, appunto, la prescrizione.
A me fa piacere che in questo momento, in Aula, sieda anche uno dei sottosegretari alla giustizia, per raccogliere queste osservazioni; potrà tenerne conto. Si tratta, infatti, di uno dei sottosegretari particolarmente attenti, oltre che competenti, in questa materia. Vorrei dire al Governo, nel modo egregio nel quale oggi è rappresentato, ma comunque al Governo (quello che c'è o quello che ci sarà): tenete conto di tale questione! Affrontatela per davvero! Avremo, credo, altri modi e circostanze attraverso cui approfondire questo aspetto, che è una delle cause importanti dell'insicurezza dei cittadini.
Ma non è causa di insicurezza dei cittadini la condizione diffusa di precariato ossia il condurre la propria esistenza in una società che, ormai, possiamo definire precaria, dal momento che il precariato non è più neppure definito come una patologia, ma come la nuova fisiologia della produzione, della competizione e del modo di essere di un'economia che non si rende conto che, se mortifica i produttori, non potrà neppure avere buoni prodotti e buoni scambi?
Non è causa di insicurezza dei cittadini la condizione del lavoro? È una condizione che non basta esecrare quando si verifica una strage, perché una strage si verifica ogni giorno; nel caso di una strage particolare, certo, allora la questione diventa più grave, più acuta, più presente all'attenzione dell'opinione pubblica e, quindi, anche dei rappresentanti politici. Ma la strage è quotidiana: vi è una media di tre lavoratori che ogni giorno muoiono, di centinaia e centinaia di persone - lavoratori - che ogni giorno, in questo momento, mentre noi ci troviamo qui, rimangono infortunati gravi sul lavoro. Ciò non è causa di insicurezza della vita dei singoli, della comunità e della società?
Non è causa d'insicurezza l'alterazione crescente tra l'uomo e la natura, o vogliamo continuare a parlare di rifiuti solo quando non si riesce a ritirarli dalle strade? Se non si accetta di parlarne, perché mai questa società ne deve produrre tanti? Non ci si deve interrogare su come si produce, cosa si produce, come si vende e come si consuma, cioè sui modelli di società e sugli stili di vita? Non sonoPag. 22tutte queste delle cause strutturali (se si vuole) d'instabilità e d'insicurezza? E alle cause strutturali d'insicurezza come si può non rispondere con modalità e strumenti che abbiano il carattere dell'organicità, come si diceva un tempo? Perché questa parola è divenuta desueta? L'insicurezza sta diventando strutturale e organica; perché non dovrebbero esserlo i rimedi? Perché essi devono sempre essere emergenziali, transitori, parziali, cioè insufficienti e inefficienti? Questo è il punto che a noi pone più di un problema, in ragione anche del giudizio conclusivo rispetto al decreto in esame che noi vorremmo esprimere in senso positivo, se esso verrà sostanzialmente modificato.
Vorrei spendere ancora qualche parola sul merito, perché anche a tal riguardo poniamo alcune questioni sulle quali vorremmo invitare innanzitutto il Governo, che è il proponente del decreto, ma anche le parti politiche più portate a condividerne il senso a una ulteriore riflessione e alla necessità (come ben diceva poco fa il collega Pettinari) di adeguare anche l'esistenza e l'eventuale vigenza di uno strumento parziale ai bisogni veri e al rispetto sostanziale e totale dei diritti dei cittadini.
A nostro avviso vi sono almeno tre punti specifici (in realtà ce ne sarebbero di più, ma mi limito ad accennarne tre) che andrebbero meglio regolati, il che significa che nel modo in cui attualmente essi sono tradotti in norma li giudichiamo del tutto insufficienti. Il primo punto è il combinato disposto tra l'articolo 1 e l'articolo 3, che prevede l'estensione del decreto Pisanu (chiamiamolo così), cioè l'espulsione dal territorio italiano per motivi di prevenzione del terrorismo; il secondo punto è relativo all'allontanamento dei cittadini comunitari e alle modalità attraverso cui il decreto prevede che ciò possa e debba avvenire; infine, il terzo punto è relativo alla progressiva e deleteria tendenza alla penalizzazione di ogni questione che emerga e che debba essere affrontata nel nostro Paese.
In merito all'estensione del decreto Pisanu abbiamo letto che più di uno...
PRESIDENTE. Deputato Cogodi, la invito a concludere.
LUIGI COGODI. Presidente, faccio un solo cenno a questo punto, riservandoci di completare e di precisare le nostre argomentazioni in sede di progressivo esame del provvedimento.
Sul decreto Pisanu e sulla sua estensione recepita dal decreto-legge al nostro esame si dice che già era prevista e quindi che non cambia nulla rispetto a prima, anzi, che oggi quel procedimento sarebbe più garantito perché il provvedimento amministrativo di espulsione immediata passa attraverso il vaglio del giudice. Faccio solo notare e concludo...
PRESIDENTE. Deve concludere onorevole Cogodi.
LUIGI COGODI... che il combinato disposto degli articoli 1 e 3, in realtà, estende l'efficacia di quel decreto-legge sul piano temporale: il precedente procedimento amministrativo, infatti, era meno garantito, ma scadeva il 31 dicembre 2007, pertanto non esisteva più. Di conseguenza è chiaro che si sta introducendo una novità non positiva perché, sebbene si tratti di un procedimento appena più garantito è, però, prolungato nella durata.
In secondo luogo, quel provvedimento che era limitato nel tempo (infatti era previsto che scadesse il 31 dicembre 2007) non viene prorogato perché la proroga è un prolungamento dei termini...
PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Cogodi, è ben oltre il minuto rispetto al tempo consentito; deve proprio concludere.
LUIGI COGODI. Vorrei solo terminare la frase. Dicevo che la proroga è un allungamento di un termine, mentre con questo decreto-legge tale istituto entra a regime: non è più soggetto ad un termine di scadenza.
Queste e altre questioni, anche di merito, ci portano ad esprimere, allo stato, forti perplessità e preoccupazioni sul conPag. 23tenuto del decreto-legge e di riservarci di esaminare meglio il merito delle questioni in sede di esame di emendamenti e di una possibile sostanziale correzione della proposta.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mario Pepe. Ne ha facoltà.
MARIO PEPE. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la Camera inizia oggi l'esame di questo decreto-legge mentre il Governo Prodi, dimissionario, esce dalla scena politica italiana portandosi dietro la XV legislatura.
Il Paese per due anni è rimasto senza guida, un Paese che voleva essere guidato, non assecondato nelle proprie debolezze. Il Paese che ha accolto con sollievo la notizia della crisi del Governo Prodi non sentirà la sua mancanza, non sentirà la mancanza di un Governo che ha occupato il potere dalle più alte cariche dello Stato fino all'ultima pro-loco e che, ancora oggi, dimissionario, cerca di fare l'ultima scorpacciata di nomine! Non sentirà la mancanza di un Governo che ha sottratto risorse a settori strategici del Paese come l'università e la ricerca per alimentare clientele e per pagare senatori all'estero! Non sentirà la mancanza di Prodi, né del suo Ministro Pecoraro Scanio il quale, in una regione martoriata come la Campania, ha costruito il suo personale potere trasformando un movimento ambientalista che avrebbe dovuto tutelare il territorio e l'ambiente nel partito degli assessori, dei consigli di amministrazione, nel partito dei subcommissari che ha infiltrato nella struttura commissariale e che, certamente, non provenivano da Cambridge.
Con questo Governo è aumentato il clima di insicurezza nel Paese, insicurezza delle persone, dei loro beni e insicurezza nell'esercizio delle attività professionali e produttive. Il Paese è tornato indietro. La criminalità in Italia è aumentata! Nelle metropoli del nord la criminalità legata all'immigrazione straniera è aumentata notevolmente. Nel carcere di San Vittore il 75 per cento dei detenuti è straniero! Nelle grandi metropoli del nord la criminalità parla rumeno, parla i dialetti dell'est e quelli nordafricani. Ciò è successo dopo che la Romania è entrata nell'Unione europea ed ha trovato un Paese impreparato.
Questo decreto riproposto all'inizio era stato ispirato dal sindaco Veltroni, che si sveglia una mattina di novembre e scopre che nella sua città, dov'era sindaco da sette anni, era nata una nuova Roma, nata sulle sponde del Tevere e dell'Aniene, fatta di baracche, miseria e degrado, dove la criminalità trovava non solo gli uomini, ma anche i suoi nascondigli.
Ma questo decreto riproposto prevede l'utilizzo di mezzi finanziari inadeguati per far fronte alla circolazione senza controllo dei criminali nel nostro Paese e non incide sui problemi di insicurezza collegati all'immigrazione; manca una politica dell'immigrazione ispirata al rigore e alla severità dei controlli ed è criticabile anche la scelta di trasferire dal giudice di pace al tribunale le competenze in materia di convalida dell'espulsione.
I tribunali sono al collasso, ma vi è un fatto nuovo: la crisi di fiducia dei cittadini nella giustizia è arrivata al punto tale che questi decidono spesso di farne a meno. Non vanno, cioè, a denunciare i reati, soprattutto quelli minori (scippi, rapine), perché la denuncia si risolve in un nulla di fatto per chi ha commesso il reato e in una serie di insolenze e di fastidi per chi, invece, ha subito il reato.
Non voglio soffermarmi sui problemi di incostituzionalità del decreto (lo ha fatto l'onorevole Santelli da par suo); voglio soffermarmi soltanto su un problema della criminalità minorile, che è in forte aumento.
Qualcuno ha chiesto che fine hanno fatto i lavavetri e qualcuno ha risposto: «Li abbiamo tolti dalle strade e li abbiamo mandati a scuola». Sì, a scuola di malavita, perché mentre prima i famosi lavavetri erano avviati all'elemosina e all'accattonaggio, oggi sono utilizzati per rapine e scippi negli appartamenti.
Il Governo non può rimanere insensibile di fronte al problema della criminalità minorile; non può non porsi la domandaPag. 24su cosa ne sia del minore nei campi nomadi. Ho presentato a questo decreto una proposta emendativa che è stata dichiarata inammissibile, la quale voleva indagare sul destino e sull'origine dei minori nei campi nomadi.
Si trattava della proposta emendativa aggiuntiva all'articolo 7, che recitava: «Il giudice, con ordinanza motivata, può disporre il prelievo di capelli e di peli di mucosa del cavo orale, ai fini della determinazione del profilo del DNA, sui minori per i quali sussistono elementi tali da far ritenere che siano sottratti ai propri genitori».
Sottosegretario Scotti, non può attribuire nella legge finanziaria tre miliardi al «Telefono Azzurro» e poi essere complice del traffico clandestino di minori nei campi nomadi (parlo dello Stato, non di lei come persona fisica, perché so che lei è persona degna di grande rispetto).
Non possiamo, in conclusione, dimenticare le parole delle autorità rumene nei confronti del nostro Paese: «I criminali vengono da voi, perché da voi manca la giustizia». Aggiungo che da noi manca lo Stato: lo Stato è disarticolato, assente.
I problemi della sicurezza dei cittadini si intrecciano con i problemi della riforma dello Stato, come diceva il collega che mi ha preceduto. Non auspico una riforma che limiti le garanzie di libertà, però Montesquieu diceva che ci sono dei momenti in cui bisogna coprire le statue degli dei e limitare la libertà di qualcuno, se si vuole salvare la libertà di tutti.
Mi auguro che il nuovo Parlamento, rinvigorito e rinnovato dal voto popolare di primavera, possa trovare quella serenità che è mancata in questo Parlamento per affrontare la riforma dello Stato.
Ci batteremo per uno Stato forte che tuteli la sicurezza dei cittadini, che renda giustizia, non la giustizia spettacolo, uno Stato che tuteli l'ambiente e il territorio, perché non si veda più lo scempio che è avvenuto in Campania; uno Stato che tuteli il bene più prezioso che è la salute.
È questo lo Stato per cui ci batteremo una volta tornati alla guida di questo Paese!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Elia. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, ritengo opportuno almeno lasciare agli atti dell'Aula alcune considerazioni relative ad un fatto, all'iniziativa di un collega che oggi non è presente ma che pure tale iniziativa (noi la riteniamo opportuna) ha intrapreso, e che l'Aula molto probabilmente non discuterà. Si tratta di un'iniziativa opportuna perché riguarda propriamente le ore, i giorni che stiamo attraversando di crisi governativa, di crisi politica, ma temo anche di crisi del sistema Italia. A cosa mi riferisco? Mi riferisco ad un'iniziativa che il collega Gerardo Bianco ha intrapreso il giorno dopo la decisione del Senato di votare contro la fiducia al Governo, e che si è concretizzata in una lettera che ha inviato al Presidente della Camera, in data appunto 25 gennaio, nella quale, relativamente alla crisi apertasi con le dimissioni del Presidente del Consiglio, egli ha espresso a chiare lettere, con i passi che leggerò, l'opportunità di svolgere in quest'Aula almeno un dibattito prima che il Presidente della Camera si recasse per le consultazioni presso il Presidente della Repubblica. Ciò non perché l'Assemblea potesse esprimere atti di indirizzo nei confronti del Presidente della Camera in vista delle consultazioni, ma perché si discutesse: magari qualche consiglio poteva anche venir fuori, prima che il Presidente Bertinotti si recasse dal Presidente della Repubblica.
Condivido totalmente il contenuto della lettera del collega Bianco, e in particolare il rischio di una prospettiva che lo stesso ritiene, testualmente, «sciagurata», di elezioni anticipate. È in atto nel nostro Paese un disegno; si sta realizzando, senza che quest'Aula ne possa discutere, senza che ai cittadini sia resa informazione su ciò che sta accadendo, e pare che arrivi da lontano: numerosi sono i richiami a vicende analoghe che si sono prodotte negli anni Settanta nel nostro Paese ma anche fuori dal nostro Paese. Circa un mese e mezzoPag. 25fa Marco Pannella ha parlato di camionisti. Sembrava un richiamo storico fuori dalla realtà: il riferimento era evidentemente a come nel Cile l'uso dei camionisti, ossia del blocco delle comunicazioni vitali di quel Paese, aveva poi prodotto e prefigurato il golpe di Pinochet contro il Governo legittimo di Salvador Allende. Sembrava un richiamo storico inattuale. Poi abbiamo visto l'Italia, un mese fa, spezzata in due da uno sciopero di camionisti guidato non dai rappresentanti della categoria per i loro legittimi interessi, ma da un capopopolo, da un autorevole rappresentante di questo Parlamento. Bene,...
PRESIDENTE. Onorevole D'Elia, le chiedo scusa. Il Regolamento mi impone di chiederle se questa è la premessa...
SERGIO D'ELIA. È la premessa.
PRESIDENTE. ...per poi entrare nel merito del provvedimento...
SERGIO D'ELIA. È la premessa. Le assicuro, ho mezz'ora di tempo, e nei limiti del tempo che mi è stato concesso interverrò anche nel merito del provvedimento.
PRESIDENTE. Senz'altro; ne sono certo. La ringrazio.
SERGIO D'ELIA. Ma credo che l'attualità imponga una riflessione anche di questo tipo.
Il collega Bianco ha manifestato l'opportunità di un dibattito preventivo in Aula - è scritto testualmente nella sua lettera -, affinché l'Assemblea possa esprimere un parere che sia di orientamento, ripeto, al consiglio che il Presidente avrebbe potuto esprimere al Presidente della Repubblica. Questo proponeva il collega Bianco, ma non si è verificato in quest'Aula.
Il collega ha giustamente osservato che la Camera dei deputati ha espresso la fiducia al Governo, confermando così che non viene frapposto impedimento - cito testualmente passi della lettera - all'esercizio di attività dell'Esecutivo da parte di questo ramo del Parlamento; e che l'articolo 88 della Costituzione prevede prudentemente lo scioglimento anche di una sola delle due Camere, nel caso che da una di esse provenga la difficoltà nella formazione del Governo. E - continua il collega Bianco - ribadire che nella Camera dei deputati non sussiste tale situazione appare fondamentale per la decisione che eventualmente il Presidente della Repubblica dovrà assumere in ordine allo scioglimento del Parlamento.
Signor Presidente, noi consideriamo ancora attuale il richiamo del collega e riteniamo ancora opportuno che la Camera dei deputati possa discuterne: le Camere non sono state infatti ancora sciolte ed è dunque ben possibile un dibattito in quest'Aula sulla lettera del collega Bianco, che a me è arrivata via e-mail questa mattina e che il Presidente della Camera ha ricevuto prima di recarsi al Quirinale, anche se ha ritenuto non opportuno diffonderla e portarla a conoscenza del Parlamento.
Desidero ricordare, signor Presidente, che in questa Camera siedono deputati eletti senza vincolo di mandato, i cui pareri o orientamenti non possono essere automaticamente dati per scontati o come rappresentati, sussunti ed espressi dai rispettivi gruppi parlamentari - i cui presidenti sono stati ricevuti dal Presidente Napolitano - o, peggio, dalle oligarchie dei partiti di riferimento. La sovranità della Camera dei deputati - che, lo ripeto, ha dato la fiducia al Governo - e le prerogative dei singoli deputati che agiscono senza vincolo di mandato sono infatti principi costituzionali tali da consigliare quantomeno lo svolgimento in questo ramo del Parlamento di un dibattito al fine di far emergere un orientamento che da qui potrebbe venire e di cui il Presidente della Repubblica potrebbe tener conto.
Peraltro, si deve ricordare che la mancata concessione della fiducia al Governo da parte del Senato si è potuta determinare grazie all'illegalità della costituzionePag. 26di quel ramo del Parlamento. Ormai, infatti, credo che in quest'Aula dovrebbero sapere tutti - anche se i cittadini italiani probabilmente non lo sanno - che il peccato originale della crisi che stiamo vivendo è proprio la mancata costituzione del Senato nei termini che la legge elettorale prevedeva e prevede per la formazione di quel ramo del Parlamento.
Una volta, i golpe si facevano con i generali e i carri armati e poi, a seguire, con le stragi, le dittature e la fine della libertà; oggi non è più necessario ricorrere a generali e carri armati: basta far strage del diritto, della legge e di quella legge fondamentale che è la nostra Costituzione. Per questo, il potere è obbligato a negare ai cittadini e all'opinione pubblica l'informazione e la conoscenza (il fatto di conoscere per deliberare!) di quello che sta accadendo. L'equivalente oggi del generale golpista è Bruno Vespa; l'equivalente oggi del carro armato si chiama Porta a Porta.
Proprio per questa ragione, noi abbiamo deciso di non collaborare e, con dolore, di non recarci alla consultazione del Senato: ciò, al fine di ricordare che la crisi in atto è stata determinata - direi quasi anche scientificamente - da una sequenza di fatti che si sono realizzati nei giorni scorsi. Lunedì scorso, infatti, la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari decideva di non accogliere il ricorso presentato dagli otto senatori eletti ma non nominati perché essi venissero a sostituire gli otto nominati ma non eletti: tre giorni dopo, il Senato negava la fiducia al Governo proprio grazie al fatto che vi erano insediati i senatori nominati, ma non eletti. I conti sono infatti chiari: se, fra coloro che hanno detto «no» al Governo, non vi fossero stati tre nominati illegalmente e abusivamente, essi sarebbero stati sostituiti da altri tre che avrebbero invece accordato la fiducia.
Quindi il Governo al Senato avrebbe superato la prova della fiducia con 159 voti contro 158. Noi ci troviamo in questa situazione, e credo che la Camera dei deputati di ciò debba discutere e che l'opinione pubblica questo debba sapere.
Ma entrando ora nel merito del provvedimento - la ringrazio, signor Presidente, per la tolleranza regolamentare con la quale mi ha consentito di svolgere questa premessa -, sul decreto espulsioni ricordiamo la polemica di due mesi fa riguardo alla presunta invasione rumena dell'Italia e ai presunti errori del Governo Prodi. Tale polemica è poco informata e assai demagogica, eppure è stata così forte ed urlata che ha originato il provvedimento di cui oggi stiamo discutendo. Ancora una volta ci troviamo a legiferare sull'onda di emergenze che hanno una grande enfasi sui giornali ed uno scarso riscontro nella realtà.
Va ricordato come l'ingresso della Romania e della Bulgaria nell'Unione europea - che pure abbiamo salutato con favore - sia riconducibile ad una scelta cui ha concorso il Governo italiano e che è stata adottata dal Consiglio europeo nell'aprile del 2005.
La libera circolazione dei rumeni anche nel nostro Paese non è altro che una necessaria conseguenza dell'essere noi parte dell'Unione europea. La nostra adesione al progetto europeo è incompatibile con la negazione indiscriminata di un fondamentale diritto dei cittadini europei, sul quale si basa l'intera costruzione comunitaria.
La stessa polemica sulla possibilità di una moratoria all'ingresso dei rumeni è priva di fondamento. Secondo i Trattati di adesione sarebbe stata, infatti, tutt'al più possibile una moratoria di due anni, prorogabile per altri tre, relativa al solo aspetto dell'accesso dei rumeni al nostro mercato del lavoro.
Tale misura non sarebbe stata in alcun modo in grado di determinare una limitazione della libertà di circolazione nell'Unione europea, che è garantita dall'articolo 18 del Trattato istitutivo delle Comunità europee. L'unica alternativa al riconoscimento ai rumeni dei loro diritti di cittadini comunitari sarebbe stato il rinvio dell'adesione del loro Paese all'Unione europea, oppure l'imposizione, all'atto dellaPag. 27firma dei Trattati di adesione, di condizioni ulteriori rispetto a quelle che pure sono state poste e concordate.
Allora, senza cedere a risposte emergenziali oggi è possibile dotare il nostro ordinamento di un'ulteriore risposta contro quei cittadini dell'Unione europea che, venendo nel nostro Paese, decidano non di lavorare, ma di arrecare danno alla nostra comunità, metterla in pericolo, delinquere.
È possibile che si arrivi ad approvare leggi più restrittive, ma bisogna che esse siano rivolte ai responsabili di fatti gravi, e quindi il principio della responsabilità penale, come fatto anzitutto personale ed individuale, deve essere assolutamente garantito.
Il provvedimento oggi in discussione e quello che verrà discusso in Commissione debbono considerare, appunto, questo principio della responsabilità individuale nel più ampio rispetto anche dei vincoli comunitari, tutelando soprattutto il diritto alla difesa e la dignità umana di tutti.
A seguito della decadenza del decreto-legge relativo all'espulsione dei cittadini comunitari, il Governo ha provveduto quindi a predisporre due testi organizzati in maniera - occorre riconoscerlo - sensibilmente diversa rispetto al precedente. Si è provveduto quindi a predisporre un decreto-legge nel quale è stata fatta confluire la disciplina relativa all'espulsione immediata, condizionata alla convalida di un giudice togato, dei cittadini comunitari per motivi imperativi di pubblica sicurezza e di terrorismo (ed è il provvedimento di cui oggi stiamo discutendo).
Inoltre, vi è uno schema di decreto legislativo correttivo che è incardinato in Commissione, finalizzato a modificare il decreto legislativo n. 30 del 2007, relativo all'attuazione della direttiva n. 2004/38/CE in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari. Sto parlando contemporaneamente sia dell'uno sia dell'altro, anche perché non sappiamo quale sarà l'iter dei due provvedimenti, né se il provvedimento di cui oggi discutiamo vedrà la luce e se lo stesso avverrà per quello incardinato in Commissione.
Per quanto riguarda il disegno di legge di conversione del decreto-legge oggi in esame, riconosciamo che in esso è contenuta un'innovazione principale rispetto al decreto-legge precedente; ossia l'estensione della possibilità di espulsione dei cittadini comunitari disposta dal Ministro dell'interno anche per i sospettati di attività terroristica in terra internazionale. Da un punto di vista sistematico, a seguito dell'introduzione della possibilità di allontanamento dei cittadini comunitari per motivi di pubblica sicurezza, sarebbe risultato schizofrenico, infatti, non consentirla per soggetti collaterali al terrorismo. In occasione di questo intervento legislativo, si è anche sanato - ne siamo contenti - il difetto di costituzionalità della cosiddetta legge Pisanu, che per le espulsioni determinate da motivi di terrorismo non prevedeva la convalida del giudice togato, che invece oggi, con il provvedimento del quale stiamo discutendo, è stata introdotta sia per i cittadini comunitari sia per quelli extracomunitari. Positiva è anche la previsione, fortemente voluta dal collega Zaccaria, che non consente comunque l'espulsione verso quei Paesi nei quali gli espulsi rischiano di vedere lesi i loro diritti umani, la loro libertà e forse anche la loro incolumità. Questi sono dati sicuramente positivi.
Come dicevo, vi è anche il decreto legislativo correttivo incardinato in Commissione, nel quale resta un principio per noi non condivisibile; quello della presunzione di soggiorno da oltre tre mesi per i cittadini dell'Unione europea che all'atto della loro venuta in Italia non abbiano provveduto a comunicare la propria presenza presso le questure e gli uffici di polizia. Si tratta di una norma, a nostro avviso, di dubbia legittimità comunitaria, in quanto, pur se la stessa direttiva prevede la possibilità di introdurre un obbligo di dichiarazione di presenza, la normativa italiana fa discendere dalla mancata dichiarazione di presenza una presunzione - superabile con una prova contraria - di soggiorno fuori dalle condizioni di legge. La disciplina presume, infatti, che sia scaduto il periodo per cui la direttivaPag. 28riconosce un diritto soggettivo di soggiorno libero da vincoli per i cittadini comunitari. La normativa di un Paese membro dell'Unione europea, quella francese, ad esempio, deduce dalla mancata dichiarazione di presenza una presunzione contraria, ovvero di soggiorno da meno di tre mesi. Credo che una disposizione di questo genere sia maggiormente in linea con il diritto comunitario.
Perplessità suscita anche la previsione che, per quanto attiene alle fonti di reddito necessarie per i cittadini che vogliano soggiornare per oltre tre mesi, richiede che queste siano lecite e dimostrabili. A mio avviso si tratta di una qualificazione inutile o dell'imposizione di un onere ulteriore, per cui anche sotto questo profilo - lo ripeto - ritengo che vada verificata la compatibilità comunitaria della normativa. Infine, sempre relativamente al provvedimento oggi in esame, non possiamo non osservare come questa normativa italiana produca quella che da alcuni cattedratici è stata definita «una banalizzazione dei motivi imperativi di pubblica sicurezza», che la disciplina comunitaria richiamava solo al fine di consentire l'allontanamento di alcune categorie garantite. La stessa nozione di motivi imperativi di pubblica sicurezza ancora oggi, nel provvedimento in discussione, ci appare troppo vaga.
In conclusione, non possiamo non tacere come anche quest'ultimo intervento normativo continui sulla strada di un rafforzamento del ruolo dell'Esecutivo in materia di ordine pubblico e sicurezza, con detrimento degli strumenti giurisdizionali e delle garanzie individuali. Si tratta di misure di prevenzione un po' da Stato di polizia, secondo un'impostazione che certo non è solo italiana, ma che è propriamente italiana se consideriamo ciò che dicevo prima. Ancora una volta, infatti, ci troviamo a legiferare sull'onda di emergenze che hanno scarso riscontro nella realtà - non si parla più di rumeni e di lavavetri - mentre hanno una grande enfasi sui giornali. Ritengo, quindi, che il problema sia soprattutto l'emergenza del nostro sistema di informazione che spesso si caratterizza, da un lato, per essere esso stesso criminogeno e, dall'altro, provoca il Parlamento a discutere di emergenze che poco hanno a che vedere con la realtà del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Socialisti e Radicali-RNP).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Alia. Ne ha facoltà.
GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, il decreto-legge (che ci accingiamo forse a convertire) dal nostro punto di vista è la sostanziale reiterazione del precedente. Il provvedimento presenta una serie di profili di incostituzionalità molto gravi, che rappresentano un precedente anomalo - o meglio che rappresenteranno un precedente in negativo per la futura attività normativa e per i futuri Esecutivi del Paese - per le ragioni che ovviamente sono già state evidenziate nelle pregiudiziali di costituzionalità. Mi limiterò ad accennare a tali pregiudiziali (anticipate nel dibattito in Commissione e presentate in Aula) per ragioni di brevità, in quanto sono connesse a questioni di merito più importanti sulle quali noi esprimiamo vivo dissenso e su cui anticipiamo un voto contrario se non verrà sostanzialmente modificato il decreto-legge.
In particolar modo, dal nostro punto di vista il decreto-legge in esame rappresenta la reiterazione di quello abbandonato dal Governo per aspetti tutti interni all'allora maggioranza politica di centrosinistra e che con il merito delle problematiche legate alla sicurezza non hanno nulla a che vedere. Il provvedimento in esame, dunque, rappresenta una reiterazione di natura almeno parziale, in quanto nel testo del decreto-legge vi sono almeno quattro disposizioni - faccio riferimento alle disposizioni di cui agli articoli 2, 4, 5, all'articolo 6, commi 1 e 4, all'articolo 7 comma 5 e così via - che troviamo presenti nel nuovo testo. Tali disposizioni non appaiono in sintonia con i principi che la Corte costituzionale ha enunciato nella sentenza n. 360 del 1996, laddove ha ritenuto che la reiterazione del decreto-legge dovesse essere considerata illegittima anche nel caso in cui si trattasse diPag. 29reiterazione parziale, ovvero anche quando nel decreto-legge vi fossero alcune delle norme contenute in un precedente decreto-legge.
Ciò è un fatto grave, in quanto la maggioranza di sinistra (ormai in crisi) ha utilizzato lo strumento della reiterazione della decretazione con l'intento nobile - ma apparente per le ragioni che esporrò in seguito - di stabilizzare nell'ordinamento giuridico italiano una norma sulla quale siamo d'accordo, ovvero quella, contenuta nel cosiddetto decreto Pisanu, relativa alla lotta al terrorismo internazionale, e in particolar modo a quella forma efferata di terrorismo internazionale di matrice integralista e fondamentalista. Mi sembra assolutamente superfluo ricordare che, in questo contesto, il testo del decreto-legge presenta profili di incostituzionalità che nascono anche da un'altra ragione fondamentale.
La conferma di ciò nasce dallo schema di decreto legislativo correttivo del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 (che ha recepito la famosa direttiva comunitaria riguardante la circolazione dei cittadini dell'Unione europea all'interno dell'Unione stessa), all'esame della I Commissione per le parti del decreto legislativo medesimo che il Ministro Amato, all'indomani dell'omicidio della signora Reggiani, dichiarò erronee e da correggere (perché conferivano il potere di espulsione, per particolari categorie di cittadini comunitari pericolosi, in via esclusiva al Ministro dell'interno e non anche ai prefetti).
All'indomani dell'omicidio della signora Reggiani è stato emanato il decreto-legge precedente, con lo scopo di modificare quegli aspetti della normativa comunitaria recepita nel nostro ordinamento che non garantivano la speditezza dell'intervento dello Stato di fronte a situazioni di emergenza e di criminalità, in ordine al fenomeno, sottovalutato, delle nuove migrazioni all'interno del territorio dell'Unione e con particolare riferimento ai cosiddetti Paesi neo-comunitari, tra cui anche - ma non solo - la Romania.
Il dibattito e le questioni che l'UDC ha posto non hanno mai avuto il taglio discriminatorio: siamo rispettosi sia della cultura rom sia dei rumeni, ma non di quei cittadini che, ad esempio, si sono macchiati di reati nel loro Paese e continuano a delinquere nel nostro Paese senza che si faccia rispettare la normativa comunitaria che, per tali soggetti, prevede meccanismi sanzionatori come l'allontanamento o l'espulsione dal territorio nazionale. La presentazione dei decreti legislativi correttivi, inoltre, testimonia l'inutilità e l'illegittimità costituzionale del decreto-legge in discussione: nel provvedimento in esame avete inserito, infatti, alcune norme che modificano il decreto legislativo n. 30 del 2007, mentre avete inserito nei decreti correttivi all'esame della competente Commissione di merito altre norme che modificano e correggono lo stesso decreto legislativo n. 30 del 2007, così come legittimamente bisognava fare. In altri termini, per la stessa materia avete utilizzato due strumenti diversi, fra di loro costituzionalmente inconciliabili quali quelli previsti rispettivamente dall'articolo 76 e dall'articolo 77 della Costituzione. Se, infatti, aveste voluto modificare il sistema di recepimento della normativa comunitaria e alcune norme di tale disciplina, sareste dovuti intervenire - così come prevedeva la delega e come, in parte, avete fatto - con i decreti legislativi correttivi. Da ciò deriva l'ovvia considerazione che l'80 per cento del decreto-legge in discussione è inutile, perché aggrava il procedimento con il quale si doveva incidere sulle modifiche del decreto legislativo; sotto tale profilo, il provvedimento in esame è anche incostituzionale, semplicemente perché è del tutto evidente che non si mette il Parlamento in condizione di potersi pronunziare e di valutare l'intera materia nel suo insieme. A seconda delle convenienze politiche di questa maggioranza, infatti, per un verso si utilizza uno strumento - il parere della Commissione sullo schema di decreto legislativo correttivo - per gli aspetti particolarmente controversi e sui quali ci si vuole sottrarre ad un più ampio dibattito parlamentare e ad un confronto tra le forze politiche; per altro verso, invece, si utilizza la decretazione d'urgenzaPag. 30- in violazione della sentenza che ho citato, ma anche degli orientamenti più recenti della Corte costituzionale - al solo scopo di mettere una pezza su un incidente politico che è occorso, ossia la divergenza, all'interno di questa maggioranza di centrosinistra, sul tema della sicurezza.
Vi è anche un'altra ragione per la quale, a nostro avviso, il decreto-legge in esame è in palese contrasto con la Costituzione, ossia la genericità di alcune formulazioni e disposizioni, in particolare quelle contenute nell'articolo 4 e che definiscono il concetto di «motivi imperativi di pubblica sicurezza». Riteniamo che tali disposizioni siano incostituzionali perché la dizione generica di «motivi imperativi di pubblica sicurezza» consente di adottare provvedimenti restrittivi della libertà personale affidando la decisione in ordine alla sussistenza di tali motivi alla valutazione discrezionale del giudice.
Viene introdotta un'ipotesi nuova per la quale si legittima il potere di espulsione da parte del Ministro e dei prefetti (peraltro già introdotta con una formulazione ancora più generica nel precedente decreto-legge, da cui deriva la parziale reiterazione dello stesso) e la si inserisce tra le motivazioni di ordine e sicurezza pubblica e quelle che riguardano la sicurezza nazionale sotto il profilo della lotta e la prevenzione del terrorismo, con una formulazione così ambigua e di dubbia applicazione che comporterà obiettivamente problemi e differenze di orientamento giurisprudenziale nel nostro Paese, tali da vulnerare il fine per il quale questa norma è stata introdotta.
Signor Presidente, se le ragioni fossero soltanto queste, potremmo anche ritenere che una forzatura della disciplina costituzionale si possa giustificare, considerato che il 31 dicembre 2007 sono scadute le norme introdotte dal precedente Governo di centrodestra a tutela della sicurezza nazionale, con riferimento ovviamente all'azione di prevenzione nei confronti del terrorismo di matrice fondamentalista. Si potrebbe giustificare, quindi, la stabilizzazione nel nostro ordinamento di quelle giuste disposizioni. Il problema è che, per come è stato affrontato anche questo aspetto della materia, abbiamo profonde perplessità. In particolar modo, signor Presidente, mi permetto di segnalare non la circostanza che si sia previsto che il provvedimento di espulsione di cui al decreto-legge n. 144 del 2005, il noto e cosiddetto decreto Pisanu, sia sottoposto ad un procedimento di convalida da parte del giudice monocratico, perché capisco le ragioni in forza delle quali questa norma è stata introdotta - le ha spiegate in maniera chiara il Ministro Amato, facendo riferimento alle censure e alle contestazioni provenienti in sede europea dalla Corte di giustizia europea - ma il fatto, che non comprendo, di aver abrogato una norma del testo del decreto-legge n. 144 del 2005, ossia il comma 5 dell'articolo 3, che prevedeva una procedura speciale in sede di esame contenzioso del provvedimento di espulsione dei presunti terroristi.
Si prevede una procedura speciale perché è evidente che vi sono atti, su cui si fonda un provvedimento eccezionale per il nostro ordinamento (ossia l'espulsione di soggetti considerati un pericolo per la sicurezza nazionale, perché favoriscono, o in qualche modo aiutano, le organizzazioni terroristiche di matrice fondamentalista, attraverso il reclutamento o l'organizzazione e il sostegno anche economico a cellule dormienti esistenti nel nostro territorio nazionale), coperti da segreto e da una riservatezza tale che non possano essere svelati alla controparte nel corso di un giudizio che ha ad oggetto il sindacato in ordine alla legittimità del provvedimento di espulsione. L'aver eliminato questa norma pregiudica sostanzialmente uno dei principi ispiratori della disciplina preventiva in materia di lotta e contrasto al terrorismo internazionale, ossia il principio secondo cui vi sono atti e notizie che per definizione devono restare segreti, perché se vengono svelati rischiano di minare alle fondamenta la possibilità di svolgere quell'azione di intelligence e di prevenzione di un fenomeno che nel nostroPag. 31Paese è più radicato di quanto non si immagini, soprattutto in parecchie zone del nord Italia.
Questa è una delle ragioni per le quali siamo assolutamente perplessi in ordine al modo in cui è stata stabilizzata la predetta norma, che consideriamo giusta, nel nostro ordinamento giuridico. Vorremmo, però, ricordare anche qualche altra norma. In particolare, signor Presidente, vorrei evidenziare un altro aspetto che ci lascia perplessi sul testo che riguarda la stabilizzazione delle norme antiterrorismo, perché esso affronta in maniera parziale anche un tema che nel cosiddetto decreto Pisanu era affrontato in maniera globale.
Mi riferisco, ad esempio, alla conservazione dei dati del traffico telefonico e di Internet che è stata prorogata, con il famoso decreto milleproroghe, fino al 31 dicembre 2008, ma senza voler affrontare la questione concreta, cioè stabilire, anche in questo caso, una norma, a regime, che coniugasse due interessi che sono fra loro in parte contrapposti, ma che hanno lo stesso tipo di apprezzamento e di tutela costituzionale: da un lato, l'interesse alla sicurezza della Repubblica e, dall'altro lato, l'interesse alla tutela della privacy e delle libertà individuali (e, quindi, anche della libera comunicazione, e via dicendo).
Aver deciso di non decidere su questo tema, prorogando il termine di un anno e sganciando questo aspetto dalla sua sede naturale, che era il decreto-legge di cui ci stiamo occupando, rischia ancora una volta di limitare la portata della norma, che ha lo scopo di contrastare, con mezzi sempre più efficaci, il terrorismo internazionale, anche e soprattutto nel nostro Paese, dove - ripeto - vi sono, ahinoi, diverse basi logistiche preoccupanti.
Dobbiamo invece svolgere una considerazione positiva, per quanto riguarda l'estensione del decreto Pisanu anche ai cittadini comunitari. Infatti, il paradosso era che la pericolosità per la sicurezza della Repubblica variava a seconda del soggetto, cioè se fosse o meno extracomunitario: l'aver esteso l'ambito soggettivo delle disposizioni del decreto Pisanu anche ai cittadini comunitari, credo che costituisca un fatto positivo.
Ciò che invece ci meraviglia è che non sia avvenuto l'inverso, e cioè che la norma che riguarda le espulsioni per motivi imperativi di pubblica sicurezza non sia stata estesa anche, nel suo contesto oggettivo e sotto il profilo dei destinatari stessi, ai soggetti extracomunitari. Infatti, questo sarebbe stato uno strumento in più, che avrebbe certamente consentito di disciplinare meglio l'intera materia.
Ma sotto tale aspetto troviamo, per così dire, un pasticcio nel pasticcio, signor Presidente, perché si unifica tutta questa materia - che deve essere distinta perché attiene a profili diversi, tutela interessi diversi e persegue scopi diversi - dal punto di vista della competenza giurisdizionale del giudice monocratico.
L'articolo 2 del decreto-legge in esame, in buona sostanza, modifica il testo unico della legge sull'immigrazione prevedendo che, in tutte le ipotesi in cui è prevista la convalida da parte del giudice di pace per i provvedimenti di espulsione, la competenza passi dal giudice di pace al tribunale in composizione monocratica. Analoga procedura riguarda gli altri provvedimenti di allontanamento, con la sola eccezione dei provvedimenti di espulsione di soggetti sospettati di terrorismo di cui al decreto Pisanu, i cui ricorsi sono incardinati presso il TAR del Lazio.
Ora, l'aver confuso e messo insieme materie diverse rischia anche, in qualche modo, di omologare la valutazione sugli interessi che sono sottesi a tali disposizioni. Sono diverse le fonti normative e sono diversi gli scopi: un conto è la disciplina in materia di immigrazione, e quindi di flussi di ingresso nel nostro Paese, come in Europa, di cittadini extracomunitari; altro conto è la disciplina relativa alla circolazione dei cittadini comunitari all'interno degli Stati membri dell'Unione; altro conto ancora è l'adozione di provvedimenti di natura preventiva a tutela della sicurezza nazionale, che possono riguardare cittadini extracomunitari o cittadini comunitari; altro contoPag. 32ancora è la valutazione degli imperativi motivi di pubblica sicurezza, che viene introdotta per i cittadini comunitari e non anche per gli extracomunitari.
Avere raggruppato tutte queste materie sotto la giurisdizione e la competenza funzionale del tribunale in composizione monocratica, non solo di fatto rischia di paralizzare l'attività dei prefetti, dei questori e del Ministro dell'interno in tale ambito, ma sostanzialmente non mette nelle condizioni di apprezzare interessi che sono sostanzialmente diversi fra loro.
Inoltre, poiché il meccanismo della convalida da parte del giudice di pace ha funzionato fino ad oggi molto bene, così come era disciplinato nel testo unico delle leggi sull'immigrazione, il rischio è che questa modifica faccia saltare uno di quei circuiti virtuosi delle leggi sull'immigrazione. Di questo dovete assumervene la responsabilità a tutto tondo.
Vorrei, anche in questa sede, riprendere il ragionamento già svolto per quanto riguarda la questione dell'allontanamento immediato dei cittadini dell'Unione europea per motivi imperativi di pubblica sicurezza. Si badi che l'articolo 4, così com'è stato riformulato in Commissione per accedere ad una richiesta, irresponsabile sotto il profilo politico, della sinistra radicale, ha di fatto stravolto la direttiva comunitaria e vulnerato la sua applicazione nel territorio nazionale, con l'inevitabile conseguenza, a mio avviso, almeno della violazione del Trattato dell'Unione, che si riverbera come ulteriore profilo di incostituzionalità del decreto stesso.
È stato infatti introdotto in Commissione un piccolo inciso al primo comma dell'articolo 4, per effetto del quale nel comma stesso si dispone che «il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale per motivi imperativi di pubblica sicurezza nei confronti del cittadino dell'Unione europea o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, è adottato nel rispetto del principio di proporzionalità - e fino a questo punto la formulazione mi sembra assolutamente in linea con la normativa europea e con quella che ne ha disposto il recepimento nel nostro Paese - e non può essere motivato da ragioni di ordine economico». Quest'ultimo inciso - «da ragioni di ordine economico» - è stato introdotto in Commissione ed è in palese violazione della direttiva comunitaria e del decreto legislativo n. 30 del 2007. Qui risiede l'aspetto inquietante del vostro modo sbagliato di procedere, utilizzando da un lato i decreti legislativi correttivi e dall'altro il decreto-legge.
Infatti, in sede di conversione, avete introdotto nel decreto-legge questo aspetto, perché una delle ragioni per le quali il cittadino comunitario non può permanere e non può risiedere nel territorio di uno Stato membro per più di tre mesi - peraltro scompare dal testo del decreto quella parte che le opposizioni avevano contribuito ad introdurre, durante l'esame al Senato, in materia di accertamento della data di ingresso e delle fonti economiche da cui traeva origine la permanenza del cittadino comunitario nel territorio dello Stato membro - deriva dalla direttiva comunitaria in materia e dal decreto legislativo n. 30 del 2007. In essi si prevede che un cittadino comunitario può rimanere nel territorio di uno Stato membro per più di tre mesi se ha un lavoro, un contratto, un rapporto di lavoro subordinato, o un'attività libero-professionale, se è un lavoratore autonomo, se ha un'attività imprenditoriale, o comunque dimostri di avere un reddito certo che consente di contribuire alle spese che lo Stato sostiene per la sua residenza ultratrimestrale nel territorio di quel Paese. Se invece non si è in condizioni economiche tali, o non si ha un lavoro, non si può rimanere in nessuno Stato dell'Unione per più di tre mesi.
Poiché in Commissione, su pressione della sinistra radicale, avete aggiunto questo inciso, la previsione della direttiva comunitaria e del decreto legislativo n. 30 del 2007 salta per intero, sicché un soggetto può entrare e rimanere per più di tre mesi nel territorio dello Stato se è in possesso di quei requisiti di natura economica, ma - considerato peraltro che non è facile dimostrare che si è residentiPag. 33nel territorio dello Stato in cui si risiede per più di tre mesi - se questi requisiti - che si presuppongono inizialmente esistenti - poi vengono meno lo stesso soggetto non può essere espulso.
Il paradosso di questa vostra formulazione e di questa modifica, pretesa dalla sinistra radicale, ovverosia da quella parte che vi ha ricattato politicamente e continua a farlo anche e soprattutto su temi che riguardano in particolar modo i cittadini come quello della sicurezza (ed è irresponsabile assecondarla con questo tipo di norme), è che in buona sostanza voi avete «ammazzato» quella parte della direttiva che prevede che chi non ha le condizioni di reddito non può rimanere per più di tre mesi sul territorio di uno Stato membro.
Mentre il cittadino italiano che va in Inghilterra o in Francia, se non possiede le condizioni previste dalla direttiva, dopo i tre mesi viene allontanato da quel Paese, in Italia tutto ciò non avviene. Si tratta di un'altra conseguenza di cui vi dovete assumere appieno la responsabilità sotto il profilo della sicurezza di questo Paese: tutti coloro i quali non si trovano nelle condizioni economiche per poter stare più di tre mesi in un determinato Paese dell'Unione verranno in Italia perché, sotto questo profilo, è il Paese del bengodi e della tolleranza. Se questo è un modo di trattare il problema della sicurezza, credo che vi sia di che essere veramente preoccupati.
Vi è da aggiungere un'altra considerazione. Come ho affermato nella premessa, la definizione dei motivi imperativi di pubblica sicurezza era già, nel testo del primo decreto-legge, una dizione ampia, fumosa, generica e contraddittoria. La sua correzione porrà problemi interpretativi e di coordinamento tra le norme decadute, disciplinate sotto la vecchia formulazione del concetto di motivo imperativo di pubblica sicurezza, e le nuove norme. Oltre questo aspetto, la disposizione, di fatto e di diritto, attribuisce solo e in via esclusiva al giudice il potere di stabilire quando e in quale termine sussista o meno la possibilità di applicare la norma con le inevitabili ricadute, su tutto il territorio nazionale, di un'applicazione a macchia di leopardo.
Che cosa stabilisce l'articolo 4, al secondo comma? Stabilisce una cosa che deve farci riflettere. Quando sussistono i motivi imperativi di pubblica sicurezza? Il secondo comma dell'articolo 4 prevede che essi sussistano quando la persona da allontanare, sia esso cittadino dell'Unione europea o familiare di cittadino dell'Unione europea che non abbia la cittadinanza di uno Stato membro, abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e grave ai diritti fondamentali della persona ovvero all'incolumità pubblica, rendendo urgente l'allontanamento perché la sua ulteriore permanenza sul territorio nazionale è incompatibile con la civile e sicura convivenza.
Se parlassimo di una norma costituzionale potremmo dire che si tratta di una norma di principio, scritta bene, molto garbata, che racchiude in sé il contenuto e l'essenza dello spirito civico nazionale. Ma stiamo parlando di un'altra cosa: stiamo parlando della norma che va applicata nel caso in cui il Ministro dell'interno o il prefetto ritengano che ci siano ragioni, sotto il profilo della sicurezza pubblica, per allontanare un cittadino dell'Unione europea dal territorio dello Stato italiano.
Vorrei capire, allora, come potrà essere applicata questa norma, salvo immaginare - e dico ai garantisti della sinistra radicale e a quelli di questa maggioranza in crisi che hanno parlato prima in quest'Aula che ciò sarebbe ancora più pericoloso sotto il profilo costituzionale - che debba essere il Ministro dell'interno con propria circolare a specificare, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, quando e in che termini si applicherà questa norma, che comprime sensibilmente i diritti di libertà.
Una norma di questo tipo rende possibile quest'ultima ipotesi, ovvero quella che il magistrato, a seconda della propria personale valutazione, decida, distretto giudiziario per distretto giudiziario, quando, se e come la norma stessa debba essere applicata. Anche su tale aspetto, mi mettoPag. 34nei panni del magistrato che volesse applicare il secondo comma dell'articolo 4. È già difficile comprenderlo nel suo tenore letterale: che cosa significa minaccia concreta, effettiva e grave ai diritti fondamentali della persona? Quando una minaccia è tale? Perché non si sono volute specificare le condotte, i comportamenti di singoli o associati, per i quali è necessario e obbligatorio per il prefetto e per il Ministro dell'interno disporre l'espulsione (se non la vogliamo chiamare espulsione, chiamiamola allontanamento dal territorio nazionale, che è più politically correct)?
Non è tutto. Si dice che la minaccia concreta, effettiva e grave ai diritti fondamentali della persona umana deve rendere urgente l'allontanamento. Non basta, quindi, che vi sia tale minaccia grave e concreta: l'altra valutazione discrezionale da riempire di contenuti, in connessione con la prima, è stabilire quando la minaccia renda urgente l'allontanamento. Si dice che essa renderebbe urgente l'allontanamento, perché la permanenza o l'ulteriore permanenza nel territorio nazionale del soggetto che costituisce una minaccia grave, effettiva e concreta è incompatibile con la civile e sicura convivenza. Che cosa significa? Vi può essere una condotta o una minaccia grave ai diritti o ad un diritto fondamentale della persona che sia compatibile con la civile e sicura convivenza? Non credo. Vi può essere un comportamento lesivo di un diritto fondamentale, che possa essere compatibile con la civile convivenza? Credo proprio di no, perché la minaccia o la condotta lesiva...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
GIANPIERO D'ALIA. ...se sono tali, già di per sé - ho concluso, signor Presidente - costituiscono un atteggiamento incompatibile con la civile convivenza, altrimenti non sarebbe così.
Ci rendiamo conto di come questa norma - anche di ciò dovete assumervi appieno la responsabilità politica - è stata costruita per non essere applicata? È fumo negli occhi gettato sulla gente e sui cittadini, che chiedono con forza interventi autorevoli - non autoritari, ma autorevoli - da parte dello Stato.
Questo decreto-legge non è una risposta: è un modo elusivo ed offensivo della sicurezza dei cittadini di affrontare questi problemi.
Vi sarebbero molte altre questioni da aggiungere, signor Presidente, ma, purtroppo, siamo giunti alle conclusioni. Se mi consente, vorrei soltanto svolgere un'ultima considerazione brevissima. Le chiedo scusa, ma ritengo che sia importante, almeno dal nostro punto di vista.
PRESIDENTE. Sta bene.
GIANPIERO D'ALIA. Il decreto-legge in discussione, così com'è, per l'UDC non va bene. Lo avverseremo con i nostri emendamenti in Aula fino alla fine, perché è un decreto-legge sbagliato, che non risponde alle esigenze di sicurezza; è un decreto-legge ideologico, che contiene una sola norma - quella del cosiddetto decreto Pisanu - che andrebbe convertita e che rischia di non esserlo; oltre gli errori che avete già commesso, signor sottosegretario, nella vicenda relativa al precedente decreto-legge (mi riferisco al caso dello stalking), state continuando a commetterne altri oggi, e ve ne assumerete la responsabilità. Certamente, se non verrà modificato, voteremo contro di esso, perché tendiamo a sottolineare la responsabilità di cui vi siete fatti carico in modo sbagliato.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3325-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Zaccaria.
ROBERTO ZACCARIA, Relatore. Signor Presidente, svolgerò poche considerazioni, perché il dibattito è stato ampio e ha messo in luce molte questioni. Ad alcunePag. 35avevo provato a dare una risposta nella relazione, e ritengo che su qualche aspetto replicherà in modo specifico anche il rappresentate del Governo, perché vi sono profili diversi.
Insisto nel dire che l'impianto sistematico che risulta da questo duplice strumento normativo, che era nelle facoltà del Governo introdurre nell'ordinamento, oggi è chiaro: chi semplicemente provasse a leggere il testo del decreto-legge - l'ho detto più volte in Commissione e lo ripeto anche in questa sede - lo troverebbe estremamente comprensibile. Naturalmente, poi, vi sono valutazioni di merito che si possono diversificare, come è accaduto anche durante il dibattito che si è svolto in quest'Aula. Resta, tuttavia, una questione di fondo, relativa al bilanciamento difficile - ma indispensabile, in una società come quella contemporanea - tra le esigenze della sicurezza e della prevenzione e la tutela dei diritti fondamentali.
Da questo non si esce: questi due momenti, questi due capisaldi sono tipici di ogni società contemporanea, che naturalmente li può realizzare con gradazioni anche diverse, e mi sembra che il collega Gozi abbia bene descritto la situazione con riferimento al rapporto tra l'ordinamento interno e quello comunitario. Comunque, a mio modo di vedere, sottovalutare questi strumenti può essere sbagliato.
Del resto, ascoltando le osservazioni dei colleghi del centrodestra, nonché alcuni interventi di colleghi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e anche della collega De Zulueta, ci si rende conto che giochiamo proprio su questo crinale del bilanciamento. Ritengo che sia una strada difficile, ma che il Governo - attraverso i due interventi che si sono succeduti per ragioni che abbiamo più volte illustrato - sia arrivato ad una struttura, a mio avviso, convincente.
Prima di tutto, vorrei dire che ormai l'impianto è chiaro, distinguendo ciò che fa parte del decreto-legge e ciò che fa parte del decreto correttivo. Vi sono varie tipologie di interventi in questa materia, come ad esempio la prevenzione del terrorismo che è stata introdotta con il decreto-legge. Ho insistito più volte su questo parallelismo che si determina, in qualche modo, in peius. La situazione dei cittadini comunitari ed extracomunitari viene, in qualche modo, assimilata sotto il profilo delle tipologie e delle garanzie. Certo, in questa sede, qualcuno sottovaluta questo elemento delle garanzie, ma se consideriamo l'articolo 1 del decreto-legge, acquisiamo un risultato in termini di civiltà giuridica - anche per il lavoro svolto durante l'attività della Commissione - che è importante tenere in considerazione. Infatti, se abbiamo rilievi da parte della Corte europea, dobbiamo tenerne conto e darvi seguito.
Qualcuno ha affermato che sarebbe stato meglio non prolungare l'efficacia di questo decreto-legge. Capisco. Tuttavia, le ragioni di necessità e di urgenza che ancora oggi sono presenti sulla scena internazionale non si possono sottovalutare. Non credo, infatti, ad esempio, a quanto afferma la collega De Zulueta, ossia che i problemi non si risolvono «spostando» in un altro Paese. Ciò fa parte della duttilità degli strumenti che una moderna democrazia deve possedere: in alcuni casi sarà meglio monitorare sul territorio nazionale, in altri sarà il caso di procedere in via giudiziaria, in altri ancora sarà necessario trovare soluzioni diverse. In altre parole, si tratta di non sottovalutare - prendendo ed enfatizzando un modello - la complessità dei modelli che anche gli organi di polizia devono possedere.
Non sarebbe certo follia pensare che, se vi è una pista interessante da seguire, si può monitorare un terrorista e, per trovarne altri che operano sul territorio nazionale, certo non lo si caccia via, è ovvio. Tuttavia, non ha senso impedire questo strumento in certi casi, perché la tipologia dei comportamenti è molto varia. Pertanto, non ci si può limitare al caso in cui si cattura un terrorista (o presunto tale) pericoloso che, per una serie di fattori che vengono indicati, possa essere necessario allontanare. L'allontanamento, infatti, non vuol dire che egli non venga monitorato, né segnalato alle corrispondenti polizie. Tutto questo è parte dello schema.Pag. 36
Pertanto, insisto, nel complesso dei provvedimenti vi sono almeno cinque tipologie di espulsione e allontanamento. Nel decreto-legge sono previsti: prevenzione del terrorismo e motivi imperativi. Nel decreto correttivo vi sono: motivi di sicurezza dello Stato e ordine pubblico, motivi di sicurezza pubblica e cessazione dei presupposti del diritto di soggiorno. In ciò vi è una logica sistematica.
Ritengo che questo sia un disegno comprensibile e noi abbiamo percepito ciò. Domani, in Commissione, inizieremo l'esame del decreto correttivo, con la relazione che svolgeremo su tale argomento. Ritengo che questi strumenti, giustamente, viaggino paralleli. Dobbiamo infatti ricordare che una cosa è la delega, un'altra è la delega per un intervento correttivo: quest'ultima non è uguale a quella principale.
Quindi, opportunamente, una certa tipologia d'intervento che riguarda i motivi imperativi è stata collocata nel decreto-legge, ed è infatti una materia ulteriore rispetto a quelle che si potevano configurare.
Credo che in tale difficile materia abbiamo svolto un lavoro di equilibrio e mi auguro che la Camera possa proseguire il dibattito anche nella difficile situazione che obiettivamente abbiamo davanti.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il sottosegretario di Stato per l'interno.
MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, risponderò per quanto riguarda la parte di mia competenza, chiedendo poi al sottosegretario Scotti di integrare il mio intervento, perché credo che l'atteggiamento più utile che il Governo possa assumere in questo momento (proprio perché, come diceva l'onorevole Santelli, non siamo dei marziani) sia quello di interloquire con le riflessioni e con i contributi anche interessanti emersi in Assemblea oggi pomeriggio, per i quali ringrazio coloro che sono intervenuti.
Avverto che non mi soffermerò sugli elementi relativi alla costituzionalità del decreto, tema del quale abbiamo già ampiamente dibattuto durante i lavori in Commissione, ma sul quale gravano anche delle questioni pregiudiziali: ritengo che il loro esame potrebbe rappresentare un momento opportuno per soffermarsi in maniera più approfondita su tale argomento.
Come molti tra di voi hanno sottolineato, è emerso un dato di continuità rispetto al decreto-legge precedente; continuità che considero innegabile, soprattutto rispetto all'analisi dalla quale il Governo ha inteso avviare l'elaborazione di un nuovo decreto-legge che, in parte, interviene sulla stessa materia oggetto del precedente.
Tale analisi ci porta ad affermare che nel nostro Paese permane la situazione oggettiva che diede vita a quelle norme. Tuttavia, qui siamo di fronte a un provvedimento che, come diceva il relatore, è sostanzialmente diverso e non mostra (ne siamo convinti) continuità sostanziale con il decreto non convertito. Ciò per due ragioni, che brevemente vado a riassumere: la prima è che affrontiamo in esso le questioni sorte a seguito del venir meno, in data 31 dicembre 2007, di due disposizioni contenute nel decreto-legge n. 144 del 2005. Rispetto a tali disposizioni, voglio ricordarlo, siamo intervenuti prevedendo le opportune garanzie, così come credevamo fosse necessario e così come la stessa Corte costituzionale ci aveva invitato a fare.
La seconda ragione, che voglio brevemente esporre anche per rispondere a una preoccupazione sollevata dall'onorevole De Zulueta, riguarda specificamente i cittadini comunitari. Credo di poter affermare che l'operazione compiuta da questo decreto sia diversa, anzi essa dovrebbe rispondere a quella preoccupazione.
Il decreto-legge, infatti, fa sì che si affronti la materia della prevenzione del terrorismo per quanto riguarda i cittadini comunitari proprio attraverso la direttiva 2004/38/CE, tant'è che l'emendamento approvato in Commissione afferma ancora più chiaramente che nei motivi imperativi di pubblica sicurezza una sottovoce èPag. 37anche la prevenzione del terrorismo. Abbiamo soltanto voluto coniugare le disposizioni contenute nel cosiddetto decreto Pisanu con una direttiva che comunque ci costringe, per quanto riguarda i cittadini comunitari, a stare dentro un recinto di disposizioni condivise in ambito europeo.
Abbiamo pertanto costruito un quadro normativo organico, in sé compiuto per quanto riguarda l'allontanamento dei cittadini comunitari per motivi di pubblica sicurezza, attraverso la previsione di due strumenti tra loro diversi, ma assimilabili nella ratio ossia la tutela, in chiave preventiva, della sicurezza pubblica rispetto a persone che per i loro comportamenti individuali si ritiene possano pregiudicare la sicura convivenza e l'ordine pubblico. Ciò è stato fatto, appunto, unendo i motivi di prevenzione del terrorismo e i motivi imperativi di pubblica sicurezza.
Il relatore ha già detto che per quanto riguarda una parte residua, che esisteva nel precedente decreto-legge e che non ritroviamo in quello al nostro esame, il Governo ha valutato di agire attraverso un decreto legislativo correttivo, anche perché le voci in esso contenute non definiscono sostanzialmente un'urgenza, un'emergenza. Si è, pertanto, previsto un altro iter che, a differenza di ciò che sostiene l'onorevole D'Alia, non consideriamo assolutamente incompatibile. In ogni caso, sia questo decreto-legge sia il decreto legislativo correttivo, tornano sul decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, che il Parlamento - sia la Camera sia il Senato - così come il Governo, ritennero di dover guardare con un altro approccio, che ha mostrato nel tempo alcune lacune contenute in quel testo.
Voglio ricordare che in Parlamento si discusse più del problema dell'attuazione e dell'applicazione degli articoli 2 e 3 della direttiva 2004/38/CE - cioè quegli articoli rivolti ai familiari e ai partner dei cittadini comunitari - piuttosto che guardare attentamente ad una dimensione della direttiva 2004/38/CE, e conseguentemente del decreto legislativo, che invece di lì a poco tempo emerse nel Paese.
Rispetto a ciò aggiungo che una delle questioni, emersa ancora oggi nell'Assemblea, è l'idea che questo provvedimento sia figlio di una concezione emergenziale attraverso la quale il Governo ha ritenuto di dover intervenire. Voglio dire che non è così, perché questo intervento nasce all'interno di un disegno di legge, di un articolato pacchetto normativo con il quale il Governo offriva al Parlamento la sua strategia in materia di sicurezza. All'interno di quel pacchetto erano già contenute previsioni che riguardavano i cittadini comunitari in un'ottica che fu, allora, totalmente altra da quella con cui poi si è voluto interpretare lo spirito di quel decreto.
Il Governo non ha mai pensato ad allontanamenti o ad espulsioni di massa di cittadini comunitari dal territorio e l'ottica con la quale ha inteso intervenire è stata proprio rivolta a distinguere nel nostro Paese il percorso, l'incontro, la relazione che si vuole costruire con quei cittadini comunitari che utilizzano l'identità comunitaria come momento di costruzione di uno spirito comune, anche attraverso il movimento sul territorio europeo, da quelli che, invece, la utilizzano con uno spirito distorto, magari come un'opportunità per delinquere, per vivere di espedienti.
Questa necessità l'abbiamo sentita! Qualcuno ha detto che forse questo decreto sarà convertito e proprio per questo ritengo di aggiungere qualcosa in nota alla fine del dibattito, perché resti il fatto che questo è il Governo che ritenne, a gennaio 2007, di salutare l'ingresso della Romania e della Bulgaria in Europa superando il regime transitorio, che pure si poteva adottare nei confronti di questi cittadini comunitari.
Lo abbiamo fatto perché la Romania era il primo Paese di emigrazione, perché essa rappresentava quella quota di immigrati maggiormente richiesta dai datori di lavoro italiani e perché in un regime di libera circolazione e di ingresso sul nostro territorio non consentire, con un regimePag. 38transitorio, ai rumeni e ai bulgari di lavorare significava condannare queste persone al lavoro nero.
Qualcosa è cambiato di fronte a questa realtà nel corso dell'anno ed è stato il nascere di un legame tra fenomeni criminali emergenti e la cittadinanza delle persone da cui essi erano messi in atto; è lì che si è intervenuti proprio per determinare quella distinzione che poteva essere utile a non svegliare, come disse il Ministro Amato, quella tigre dell'odio che pure rischiava di mettere in cantiere e di operare delle reazioni molto più problematiche, declinando la paura dei cittadini su un crinale assai difficile, poi, da governare e da gestire.
Voglio esprimere anch'io - non l'ho fatto in Commissione - un apprezzamento per il lavoro del relatore e della Commissione. Nel merito, devo dire che nel lavoro della Commissione il testo si è arricchito di un'attenzione maggiore - grazie, quindi, anche a chi ha proposto gli emendamenti che sono stati accolti - alle garanzie che l'onorevole Pettinari ha richiamato nel suo intervento.
Per quanto ci riguarda, siamo pronti ad accogliere anche la proposta avanzata dal gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea di distinguere nettamente, con riferimento al trattenimento, tra i CPT e le camere di sicurezza, e quindi a prevedere che, nel caso in cui si tratti di dover attendere quarantotto ore per la pronuncia di un nulla osta da parte dell'autorità giudiziaria, non si preveda il trattenimento nei centri di permanenza temporanea.
Aggiungo che mi dispiacerebbe che uno dei punti che perderemmo, se non convertissimo il decreto-legge, è il trasferimento delle competenze dal giudice di pace al giudice ordinario anche per quanto riguarda gli extracomunitari.
Trovo un paradosso nell'intervento dell'onorevole Pettinari, perché la definizione che in questa sede abbiamo articolato di motivi imperativi di pubblica sicurezza, oltre che essere il frutto di un dialogo costruttivo che si è svolto al Senato anche con il suo gruppo, è un'ipotesi davvero residuale, che invece correrebbe il rischio, se seguissi il ragionamento che egli ha svolto, di diventare un'ipotesi molto ampia di esclusione, di allontanamento dal territorio dello Stato dei cittadini comunitari. Se cioè coincidessero, come egli ha affermato, i motivi imperativi con i motivi di pubblica sicurezza, si amplierebbero i casi di allontanamento e si attenuerebbero le garanzie del diritto di difesa delle persone così come prescrive la direttiva, la quale, ad esempio, esclude l'ipotesi di sospensione dell'allontanamento nel caso di un'impugnazione proprio qualora si tratti di un allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza.
Concludo con alcune riflessioni più di taglio politico. L'onorevole Gozi ha auspicato un riequilibrio della direttiva, ed al riguardo il Ministro Amato si è espresso già al Senato. Non lo facciamo con l'ottica richiamata qui dall'onorevole D'Alia: «tutti verranno in Italia», perché non è così. Voglio dire tra l'altro all'onorevole D'Alia che è la direttiva che su tale aspetto pone alcuni paletti chiari, che qui non rievoco, rispetto ai quali la stessa esperienza francese, che pure ha accompagnato l'allontanamento in caso di «non abbienza» delle persone con l'erogazione di una somma di denaro, si è dimostrata inutile: la direttiva, infatti, afferma chiaramente che a coloro che non dispongono di risorse economiche per rimanere sul territorio dello Stato non può essere impedito il reingresso in esso. Credo quindi che lo spirito del ragionamento dovrebbe essere tale da indurci quanto meno a rimanere tutti nell'ambito dello stesso recinto che è proprio quello stabilito dalla direttiva.
Poniamo invece, rispetto alla direttiva, una questione di sostenibilità, perché - vorrei ricordarlo, anche se è stato già affermato - chi è sul territorio del nostro Stato per cinque anni continuativi poi acquisisce il diritto al soggiorno permanente e non può più essere allontanato se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza: ciò significa considerare anche che la stessa persona può costituire, se priva di mezzi economici di sussistenza, un onere per lo Stato. Credo che un'attenzione, un'accoglienza attentaPag. 39anche verso queste persone non possa prescindere dalla considerazione dell'impatto dell'ingresso di cittadini comunitari sul nostro territorio e della sua sostenibilità, nonché dalla conseguente richiesta all'Unione europea di essere vicina al nostro Paese, perché lo stesso è maggiormente esposto all'ingresso soprattutto di cittadini rumeni. Credo che sia stato un bene che il Presidente Prodi, rispetto a questo, insieme al Premier rumeno, abbia richiesto all'Europa di fare di più soprattutto per quanto riguarda la presenza dei rom nel territorio italiano.
Concludo, ricordando solo una cosa all'onorevole Santelli. Credo che, per quanto riguarda il provvedimento in esame, ma ancora di più, quanto al provvedimento sull'immigrazione da lei richiamato, la riforma della Bossi-Fini, il disegno di legge delega Amato-Ferrero, questo Governo abbia agito, com'è nel suo stile, in piena autonomia. Anzi, siamo stati capaci di ascoltare tutte le realtà e tutte le esperienze interessate al governo del fenomeno migratorio nel nostro Paese. E quel testo non è affatto intriso di ideologia, ma di concretezza; soprattutto è un testo che vuole pensare gli immigrati come persone, e non come animali da soma che vengono solo per lavorare.
Credo che una riflessione spetti a tutti; soprattutto, spetta ricordare, con riferimento all'iter del disegno di legge Amato-Ferrero - e con ciò mi fermo davvero -, che lo stesso, rispetto all'esperienza di questo Governo, è stato gravato dalla presentazione di oltre mille emendamenti presentati dal centrodestra. Non posso che augurarmi, anche se non lo credo assolutamente, che anche quegli emendamenti siano stati il frutto di un confronto con la società! Ma non lo credo, perché si tratta di quella stessa società che con noi ha parlato e che ha infine condiviso il nostro testo: e soprattutto, perché si tratta di quella stessa società che vuole un'immigrazione non subita e che dell'immigrazione non è nemica - come invece mi pare molto spesso si colga nelle parole di chi è stato all'opposizione. Dunque, che si riprenda il dialogo: ma lo si riprenda davvero, senza approcci ideologici.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Scotti. Ne ha facoltà.
LUIGI SCOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi associo anzitutto al ringraziamento per il lavoro svolto in Commissione da parte di tutti i componenti e in particolare per il lavoro acuto e molto attento svolto dal relatore, che ha plasmato taluni emendamenti con la piena disponibilità del Governo affinché - come si sperava - si potesse ritrovare un'ampia convergenza.
Desidero anzitutto svolgere qualche considerazione in relazione ai presupposti di costituzionalità del decreto-legge. In proposito, devo dire che in taluni interventi ho sentito confondere l'occasio con la ratio della normativa. È vero: il primo decreto fu approvato in occasione di un terribile episodio che si verificò a Roma. Per fortuna, invece, il decreto successivo non ha avuto un simile precedente. Soprattutto quel fatto fu soltanto l'occasio, non il motivo giustificativo dell'emanazione del secondo decreto che invece ha propri presupposti di necessità ed urgenza: taluni comuni al decreto precedente, altri del tutto nuovi.
Prima di tutto, penso alla proroga di talune norme (tanto di intervento quanto di garanzia), contenute nel decreto cosiddetto Pisanu, che scadevano il 31 dicembre 2007 e che quindi ponevano come necessaria ed urgente una loro riproduzione. In secondo luogo, mi riferisco al fatto che si era nel frattempo verificato un altro fenomeno, cioè l'allargamento - sia pur in itinere, ma con una scadenza abbastanza ravvicinata - della Comunità ad altri otto Paesi: il che comportava la previsione di ulteriori flussi immigratori in Italia da parte di questi Paesi, con la conseguente necessità di strutturare quelle norme in modo tale che si potesse fronteggiare anche questa ulteriore evenienza, non certo prevista nel precedente decreto.Pag. 40
Altre osservazioni sono state svolte nel corso degli interventi a proposito delle fattispecie previsionali in materia di sicurezza pubblica e a proposito dell'opzione per la magistratura ordinaria invece di quella onoraria. Quanto alla prima questione, si è detto che si sarebbe lasciato all'autorità amministrativa (o forse anche a quella giudiziaria) l'individuazione delle fattispecie che costituiscono l'occasione dell'intervento e che ne determinano la necessità: taluni oratori nei loro interventi hanno dunque parlato di un'ampia discrezionalità, che si teme addirittura affidata all'autorità amministrativa, invece dell'invocata fissazione di disposizioni normative tassative che indicassero e specificassero effettivamente le condotte rilevanti.
Ora, la materia della pubblica sicurezza conosce una pluralità di condotte, che non sono tutte riconducibili a fattispecie da normativizzare secondo quella tipicità della materia che è caratteristica del diritto penale. In proposito, anzi, va detto che si sono compiuti diversi passi in avanti.
Basterebbe operare un confronto con la disciplina del vecchio testo unico di pubblica sicurezza, quella sì estremamente generica, mentre in questo caso sono stati indicati i parametri in base ai quali l'individuazione del pericolo concreto viene eseguita sia dall'organo amministrativo procedente, sia dall'autorità giudiziaria in sede di verifica e di convalida del provvedimento stesso.
Trattandosi di materia di pubblica sicurezza sarebbe impossibile individuare e specificare alcune condotte - così come si vorrebbe da alcuni interventi -; tuttavia, con quelle ripetute indicazioni, aggettivate e specificate ulteriormente, si è detto che vengono prese in considerazione alcune condotte che rispondono a determinati requisiti, oppure a determinate cadenze, ovvero che si leghino tra di loro in modo da costituire e dare la certezza della gravità della situazione stessa. E ciò vale tanto per l'autorità amministrativa, quanto per l'autorità giudiziaria in sede di convalida.
Quindi, non si tratta di una discrezionalità piena o semipiena, tale da preoccupare soprattutto se ascritta all'autorità amministrativa - ma da preoccupare anche se ascritta all'autorità giudiziaria -, ma di una discrezionalità molto limitata e circoscritta, attraverso parametri precisi indicati dalle disposizioni del decreto-legge, tutte da rispettare allorché il provvedimento venga emesso e con cui confrontarsi allorché il provvedimento sia convalidato.
Quanto alla convalida, si è criticato il passaggio dal giudice di pace all'autorità giudiziaria ordinaria. Al riguardo bisogna dire, prima di tutto, che abbiamo a che fare con i diritti fondamentali della personalità: il diritto di movimento, il diritto di stabilimento e soprattutto, per i cittadini europei, il diritto di muoversi liberamente nel territorio europeo di Schengen. Da ciò deriva la ragione fondamentale di attribuirla a quella parte dell'autorità giudiziaria che è la parte, per così dire, più professionalizzata, e cioè l'ordine giudiziario di carriera.
Certamente la magistratura onoraria, nei limiti della sua competenza, ha piena autonomia ed altrettanta dignità e senso di responsabilità, ma nell'ambito della sua competenza specifica che non comprende certo (li aveva compresi in un certo periodo di tempo, quando le fu attribuita anche la verifica dei provvedimenti nei confronti degli extracomunitari) i diritti fondamentali della personalità.
Debbo dire che questa fu una modifica successiva, perché originariamente la convalida per gli extracomunitari era attribuita all'autorità giudiziaria ordinaria.
Dunque, vi è l'esigenza fondamentale di garantire tali diritti sostanziali della personalità attraverso l'autorità giudiziaria ordinaria. Si obietta però - svolgendo considerazioni di carattere pratico - che l'autorità giudiziaria ordinaria è oberata da un'enorme massa di lavoro, e che probabilmente non ce la farà o che, comunque, si perderà ulteriore tempo.
Sfogliando la relazione sul rendiconto della giustizia per il 2007, preparata dall'ex Ministro della giustizia Mastella e fattaPag. 41propria dal Ministro della giustizia ad interim Prodi, si noterà che, mentre per il lavoro del tribunale ordinario in composizione monocratica si è constatata, per così dire, una retrazione delle pendenze dello 0,5 per cento, riferendosi invece alla massa di pendenze e di arretrato dei giudici di pace, anch'essi giudici monocratici, si registra addirittura che negli ultimi tempi vi è una pendenza di circa un milione di cause, con un incremento rispetto all'anno precedente, il 2006, di circa 150 mila unità.
Pertanto, a prescindere dall'esigenza di un intervento attributivo all'autorità giudiziaria ordinaria, proprio di stampo costituzionale, si è posta questa considerazione di carattere pratico: l'attribuzione anche per quanto riguarda i cittadini comunitari della competenza della convalida al giudice di pace avrebbe determinato la possibilità, o meglio la probabilità, di ulteriori ritardi in una materia così delicata che, con riferimento ai cittadini comunitari, ci pone anche sotto gli occhi dell'Unione europea. Quindi, anche sul piano pratico e sostanziale della resa di giustizia del cammino della macchina giudiziaria, l'opzione per il giudice ordinario in composizione monocratica è senz'altro da preferire rispetto all'attribuzione al giudice di pace. Ovviamente ciò è generalizzato e vale tanto per i cittadini comunitari, quanto per gli extracomunitari.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito, a cominciare dall'esame delle questioni pregiudiziali presentate, è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà al termine della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo.
La seduta, sospesa alle 17,40, è ripresa alle 19,05.