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Discussione del disegno di legge: Differimento del termine per l'esercizio della delega di cui all'articolo 4 della legge 1o febbraio 2006, n. 43, recante istituzione degli Ordini delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione (A.C. 1609) (ore 16,04).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1609)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, deputato Grassi, ha facoltà di svolgere la relazione.
GERO GRASSI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli deputati, signori sottosegretariPag. 2di Stato, l'articolo 1 del provvedimento in esame proroga di dodici mesi il termine previsto dall'articolo 4 della legge n. 43 del 2006 per l'esercizio della delega per l'istituzione degli ordini e albi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, da attuarsi attraverso uno o più decreti legislativi. In particolare, la norma in esame proroga al 4 settembre 2007 il termine per l'esercizio della suddetta delega, scaduto il 4 settembre 2006. L'articolo 2 stabilisce l'entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
La legge n. 43 del 2006 detta nuove regole in materia di professioni sanitarie non mediche e conferisce una delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali. La norma dispone, altresì, l'istituzione di nuove professioni in ambito sanitario ed obblighi inerenti la formazione permanente e continua del personale sanitario.
Per quanto riguarda la formazione professionale, tra i requisiti essenziali previsti per l'esercizio delle suddette professioni sanitarie è richiesta un'abilitazione rilasciata dallo Stato, nel rispetto della normativa europea in materia di libera circolazione delle professioni, in seguito al superamento di specifici corsi universitari, da istituire con uno o più decreti del ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con quello della salute. I corsi sono svolti, in tutto o in parte, presso le aziende e le strutture del Servizio sanitario nazionale - inclusi gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico - individuate con accordi tra le regioni e le università.
Inoltre, per il personale sanitario laureato è prevista la seguente articolazione, conseguente ai vari titoli accademici posseduti: professionisti in possesso del diploma di laurea o del titolo universitario conseguito anteriormente all'attivazione dei corsi di laurea o di diploma ad esso equipollente; professionisti coordinatori in possesso del master di primo livello in management o per le funzioni di coordinamento rilasciato dall'università; professionisti specialisti in possesso del master di primo livello; professionisti dirigenti in possesso della laurea specialistica, con esperienza professionale dipendente quinquennale, oppure ai quali siano stati conferiti incarichi dirigenziali.
La legge consente l'istituzione di nuove professioni in ambito sanitario, operanti su tutto il territorio nazionale, da individuare attraverso direttive comunitarie, ovvero su iniziativa dello Stato o delle regioni, in considerazione degli obiettivi stabiliti dal piano sanitario nazionale o dai piani sanitari regionali, che non trovino già rispondenza in professioni già riconosciute, collocate comunque nelle citate quattro aree professionali. In particolare, le nuove figure professionali sono riconosciute mediante accordi, in sede di Conferenza permanente Stato regioni, che individuano il titolo professionale e l'ambito di attività di ciascuna professione. La loro individuazione è subordinata ad un parere tecnico-scientifico, espresso da apposite commissioni nominate dal ministro della salute ed operanti presso il Consiglio superiore di sanità.
Per quanto concerne l'istituzione di ordini professionali, la legge afferma che il provvedimento istituisce gli ordini e gli albi delle professioni sanitarie esistenti e di quelle di nuova configurazione; a tal fine, l'articolo 4 conferisce una delega al Governo, da attuare entro sei mesi dall'approvazione della normativa, attraverso uno o più decreti legislativi, nel rispetto delle competenze delle regioni, da esercitarsi previo parere della Conferenza Stato-regioni e delle Commissioni parlamentari competenti. Il tutto sulla base di determinati principi e criteri direttivi, tra i quali, in particolare: la trasformazione dei collegi professionali esistenti in ordini professionali, con l'istituzione di un ordine specifico, con albi separati per ognuna delle professioni previste, per ciascuna delle citate aree di professioni sanitarie; la possibilità di costituire un unico ordine per due delle aree di professioni sanitarie individuate; l'eventuale istituzione di ordini separati per le professioni i cui albiPag. 3abbiano almeno ventimila iscritti; l'aggiornamento della definizione delle figure professionali da includere nella fattispecie prevista dalla legge n. 251 del 2002; l'articolazione degli ordini a livello provinciale, regionale o nazionale, in relazione al numero degli operatori.
Il Ministero della salute ha predisposto in tempo utile il provvedimento di attuazione, che è stato sottoposto all'esame del Consiglio dei ministri. In questa sede è emersa, in considerazione della materia trattata, l'opportunità di ricollegare la regolamentazione del settore all'interno dell'annunciata più ampia riforma di tutti gli ordini professionali e quindi contestualmente di prorogare di ulteriori dodici mesi il termine del 4 settembre 2006 di attuazione della delega stessa. A tal fine, l'articolo 1, per non vanificare il lavoro già svolto e per dare concreta risposta alle categorie interessate che attendono tale regolamentazione, interviene direttamente sul comma 1 dell'articolo 4 della citata legge n. 43 del 2006, disponendo il differimento richiamato.
Il differimento in oggetto, infine, non comporta oneri finanziari.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
GIAN PAOLO PATTA, Sottosegretario di Stato per la salute. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Di Girolamo. Ne ha facoltà.
LEOPOLDO DI GIROLAMO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, nelle due passate legislature il Parlamento, dopo un ampio dibattito che ha visto confrontarsi punti di vista differenti, ha prodotto in maniera condivisa un ampio corpo legislativo che riguarda le professioni sanitarie. Lo ha fatto non perché pressato da lobby o da interessi di parte, che legittimamente rivendicano attenzioni e specificità, ma perché convinto che l'innalzamento della qualità dei servizi sanitari offerti al cittadino passi anche attraverso più elevate competenze e responsabilità dei professionisti sanitari.
Non dobbiamo infatti mai dimenticare che, se per qualsiasi attività la qualità della risorsa umana è importante per la qualità dei servizi resi, nel settore della salute la qualità del personale è fattore determinante della qualità del sistema, anche per le implicazioni che su di esso esercita l'aspetto relazionale. Per questo, in maniera appunto condivisa, sono state emanate la legge n. 42 del 1999, che ha sostanzialmente riformato l'esercizio professionale delle singole figure, uniformandone i criteri, e la legge n. 251 del 2000, che ne ha valorizzato la responsabilizzazione e l'autonomia, ancorando queste figure anche alla formazione universitaria.
Inoltre, sono state emanate la legge n. 1 del 2002, che ha dettato disposizioni utili ad uniformare titoli di studio e percorsi formativi, e la legge n. 43 del 2006, che ha valorizzato ancor più la formazione, legando a quest'ultima anche la carriera con il possesso di titoli specifici, regolando le procedure per l'individuazione di nuove professioni sanitarie, istituendo la funzione di coordinamento e dettando norme di delega al Governo per l'istituzione di ordini ed albi per le professioni sanitarie.
Si è trattato di una forte opera riformatrice che ha concretamente avviato una nuova stagione di organizzazione del lavoro per modelli professionali, procedendo verso una concreta ridefinizione del ruolo di ogni operatore all'interno dell'organizzazione sanitaria.
Si è giunti al superamento della subalternità della figura professionale sanitaria rispetto a quella medica con riferimento ad oltre 500 mila operatori sanitari, fornendo loro autonomia, formazione universitaria analoga a quella di altri laureati, possibilità di progressione di carriera fino ad arrivare alla dirigenza, responsabilità piena nell'assistenza al malato.
Sono riforme che consentono al servizio sanitario di attuare in luogo della strategia del government di stampo gerarchico, non più adeguata a governare la complessità sia dei problemi di salute siaPag. 4dei servizi sanitari stessi, la pratica della governance, in cui vari soggetti autonomi mettono le loro competenze al servizio di un bene pubblico, quale quello della salute.
Abbiamo realizzato ciò ritenendo che non confliggesse - anche in presenza di valutazioni divergenti, provenienti soprattutto da componenti la Commissione giustizia - con l'istituzione di albi ed ordini, in primo luogo per sanare una disparità esistente all'interno delle 22 tipologie di professionisti sanitari e in secondo luogo perché il CNEL da una parte - con l'affermazione che il settore della salute, insieme a quello della giustizia, può essere opportunamente regolato attraverso albi ed ordini, in quanto vi si svolgono attività caratterizzate da rischi di danno sociale conseguente ad eventuali prestazioni non adeguate (quindi siamo in presenza di un interesse costituzionalmente rilevante da tutelare) e la Commissione europea e il Consiglio europeo dall'altra escludono i servizi sanitari da quelli ai quali si applicano le direttive sulla concorrenza.
Quindi, vi è una piena condivisione politica nel dar corso alla delega, ma vi è anche piena convinzione politica sul fatto che la materia delle professioni doveva essere riformata, essendo ormai divenuta inadeguata rispetto ai nuovi scenari europei e alla globalizzazione dei mercati.
Da qui la presentazione da parte del Governo del disegno di legge di delega sulla riforma delle professioni, approvato in Consiglio dei ministri l'11 dicembre scorso ed esaminato dalle Commissioni giustizia e attività produttive della Camera.
Da ciò discende la proroga richiesta per armonizzare le disposizioni e le regole che deriveranno dall'esame di quel testo che, naturalmente, dovrà essere perfezionato durante l'iter parlamentare attraverso l'istituzione dei nuovi ordini per le professioni sanitarie. Per questo motivo, ritengo sia necessario approvare quanto contenuto nel provvedimento in esame.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Di Virgilio. Ne ha facoltà.
DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, l'articolo 4 della legge 1o febbraio 2006, n. 43, recante istituzione degli Ordini delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione è finalizzato ad assicurare una maggiore qualificazione professionale degli operatori sanitari non medici, attraverso un riordino dei percorsi accademici.
La legge prevedeva inoltre che il ministro della salute, entro sei mesi dalla entrata in vigore della predetta legge, dovesse attuare una delega che istituisse gli ordini professionali per ciascuna area infermieristica, con albi separati per ciascuna specializzazione. Ricordo che oggi gli infermieri professionali sono raccolti in collegi professionali.
L'articolo 1 del provvedimento in esame proroga di 12 mesi il termine previsto dalla suddetta legge n. 43 del 2006 per l'esercizio della delega per l'istituzione degli ordini e degli albi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, da attuarsi attraverso uno o più decreti legislativi.
In particolare, la norma in esame proroga al 4 settembre 2007 il termine per l'esercizio di detta delega, scaduto il 4 settembre scorso. Sono perplesso ed anche un po' sorpreso che il Governo non abbia ritenuto necessario procedere all'esercizio della delega legislativa nei tempi previsti, soprattutto perché, di fatto, lo schema di decreto legislativo era pronto ed era già stato sottoposto, come ricordato anche dal relatore, al Consiglio dei ministri per il suo esame. Vorrei ricordare che i professionisti sanitari non medici interessati sono oltre 500 mila, suddivisi in 332 mila per l'area infermieristica, 15.500 per l'area ostetrica, 82.700 per l'area riabilitativa, 66.100 per l'area tecnico-sanitaria e 38 mila per l'area della prevenzione. Molti, quindi, erano in attesa di questo provvedimento.
Sono altresì stupefatto che il Governo abbia legato tra loro due problemi profondamente diversi, quali la riforma ePag. 5l'eventuale liberalizzazione degli ordini professionali per così dire tradizionali - come, ad esempio, quelli dei medici, degli avvocati, dei notai ed altri - e il provvedimento in esame che concerne, invece, l'istituzione di nuovi ordini, intesa come riconoscimento della professionalità e delle giuste aspettative di determinate categorie di personale sanitario non medico. Vorrei, al riguardo, evidenziare come si tratti di figure professionali rispetto alle quali si registra da tempo una grave carenza di personale, almeno per molti di tali settori. In Italia, secondo un rapporto OCSE, mancherebbero più di 40 mila infermieri.
Ciò detto, debbo rilevare come il Governo sembri costantemente impegnato a cercare di deludere le aspettative rilevanti di queste categorie sociale. La motivazione addotta dal Governo a sostegno di questo ampio differimento di termini non è credibile, a mio avviso, ed evidenzia una contraddizione lampante fra la volontà di liberalizzare gli ordini professionali, più volte espressa dai rappresentanti di questo Governo, e la scelta di istituire nuovi ordini per le professioni sanitarie. La proposta del Governo di liberalizzare gli ordini professionali è, a mio parere, demagogica. È certamente innegabile la fondamentale funzione assolta dagli ordini professionali, ed è altresì vero che la completa liberalizzazione di determinate professioni è contraria alla dignità di quanti le esercitano ed agli interessi dei cittadini. Sarebbe, forse, meglio disciplinare la funzione degli ordini, che troppo spesso, in realtà, assolvono compiti, ad esempio di carattere formativo che, a mio avviso, non dovrebbero rientrare nelle loro competenze. Una riforma è senz'altro necessaria, ma essa dovrebbe servire a conferire maggiore rigore e serietà al funzionamento degli ordini professionali.
Va, inoltre, ricordata la specificità delle professioni sanitarie, come riconosciuta, nella scorsa legislatura, anche da voi, allora all'opposizione, determinando la necessità di disciplinare tali professioni autonomamente, in considerazione della loro attinenza a diritti fondamentali della persona. Ed è proprio per questa specificità della materia che si ritiene non corretto, da parte dell'attuale Governo, attendere che siano disegnate le linee fondamentali del riordino complessivo degli ordini cui sta lavorando il Ministero della giustizia, e che potrebbero andare oltre i termini previsti dalla deroga che voi chiedete con questo provvedimento.
Nella scorsa legislatura, con la legge 8 gennaio 2002, n. 1, recante disposizioni urgenti in materia di personale sanitario, si è avviato un lavoro per una maggiore valorizzazione, sia da un punto di vista professionale sia da un punto di vista manageriale, del ruolo dell'infermiere professionale.
Con l'approvazione della legge 1o febbraio 2006, n. 43, si è voluta porre l'attenzione su una più efficace formazione a carattere permanente e continuo del personale sanitario non medico, predisponendo regole più moderne e mirate ad una maggiore valorizzazione di tali professionisti che, al pari degli altri, e soprattutto per il ruolo innegabilmente importante che svolgono nella nostra società, hanno il diritto di riconoscersi in ordini professionali.
A causa degli eventi elettorali di aprile, che tutti conosciamo, non abbiamo avuto la possibilità di attuare la delega come volevamo. Quindi, sarebbe toccato a voi farlo nei tempi previsti.
Speravo che l'attuale Governo mostrasse un maggior senso di responsabilità rispetto ai termini di attuazione della delega prevista dalla suddetta legge, ma debbo constatare come, al di là della addotta e presunta ragione di ordine tecnico, si nasconda una chiara volontà politica, molto discutibile.
Debbo pertanto esprimere, a nome del gruppo di Forza Italia, la più assoluta contrarietà al differimento così lungo di termini disposto dal provvedimento in esame, perché temo che tale rinvio sarà sine die, quindi infinito, ovvero il primo di tanti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Astore. Ne ha facoltà.
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GIUSEPPE ASTORE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori sottosegretari, il disegno di legge all'esame dell'Assemblea in apparenza sembra di contenuto estremamente limitato.
Come ricordato dal relatore, esso è infatti volto a differire di dodici mesi, dal 4 settembre 2006 al 4 settembre 2007, il termine dell'esercizio della delega relativamente all'istituzione degli ordini e degli albi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione.
Come è stato ancora ricordato, il provvedimento in esame è però parte integrante della legge. n. 43 del 2006, che ha messo ordine nel settore di tutte le professioni sanitarie, nel cui ambito il vuoto legislativo esistente non garantiva il riconoscimento di quelle professionalità sanitarie - voglio sottolinearlo - «non mediche», che costituiscono un pilastro importante della nuova offerta sanitaria.
La suddetta legge ha consentito di portare a termine un percorso iniziato - è bene ricordarlo a tutti - dal Governo di centrosinistra con la legge n. 42 del 1999 (e via via poi con le leggi nn. 251 e 1 del 2002). Il nostro ordinamento, rispetto a quello degli altri paesi europei, ha preso atto in ritardo, ahimé, del ruolo e della qualità delle professioni sanitarie non mediche e, pur tuttavia, dal 1999 ne ha aggiornato il profilo, soprattutto rimarcando l'esigenza che anche il nostro paese provvedesse alla formazione di questi operatori con un percorso formativo di tipo universitario, con il conseguimento sia del diploma triennale, sia della laurea, sia in alcuni casi addirittura anche del dottorato di ricerca.
A mio parere si è trattato di un fatto molto importante, se si pensa all'evoluzione che nell'ambito delle professioni mediche ha avuto il ruolo di tanti professionisti, dagli infermieri alle ostetriche, ai fisioterapisti, ai tecnici della prevenzione e della riabilitazione. A mio avviso, attualmente essi svolgono un ruolo di notevole importanza nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, considerando come l'invecchiamento della popolazione abbia portato con sé una serie di patologie croniche e degenerative, che non presuppongono più la fase della cura istituzionalizzata, ma richiedono sempre di più la cura domiciliare ad opera di professionisti abilitati e capaci di affrontare la riabilitazione e la cura della salute con dignità professionale e formativa.
Il Governo ha chiesto, a mio parere, un periodo di tempo giusto per adempiere alle deleghe, anche se noi lo invitiamo - come del resto è apparso evidente, non è un difetto aspettare per poter collegare le due materie - a coniugare il decreto legislativo che deve essere emanato per la formazione degli ordini con la riforma dell'intera materia delle professionalità intellettuali.
Ritengo che sia un atto di estrema responsabilità quello che l'Esecutivo ha posto in essere, perché va assolutamente coniugato e messo a paragone con l'intera materia delle professioni intellettuali. Noi avvertiamo, però, che la presenza di oltre 30 mila infermieri (la maggior parte) alla manifestazione del 12 ottobre contro il decreto Bersani non debba essere interpretata come una rivendicazione di un'attenzione di riguardo per mantenere i vecchi privilegi, come magari avrebbe potuto essere per avvocati, notai e altri che hanno partecipato a quella manifestazione. Infatti, come hanno dichiarato i loro dirigenti, si è trattato di una manifestazione di grande disagio per un percorso di riconoscimento professionale rimasto incompiuto: è stata, infatti, istituita la dirigenza e nel nostro paese ormai vi è un'autonomia anche di questa professione nella maggior parte delle nostre aziende sanitarie. Rimane però quel tassello, il completamento finale dell'istituzione dell'ordine al posto del collegio.
L'adesione c'è stata, come hanno affermato diversi dirigenti, solo per cercare una visibilità, tentando di utilizzare la manifestazione. Questa è la ragione per la quale in questa fase occorre ribadire ancora una volta al Governo e a quest'Assemblea i principali motivi che rendono improcrastinabile la trasformazione dei collegi in ordini.Pag. 7
In primo luogo, la forma giuridica del collegio professionale non è più adeguata rispetto ai livelli di autonomia e di responsabilità introdotti con la trasformazione della normativa professionale e con la riforma dei percorsi di formazione. Fino a quando non si arriverà alla trasformazione degli attuali collegi in ordini professionali, gli infermieri difficilmente potranno mettere in campo nel sistema sanitario pubblico-privato le capacità e l'autonomia professionale derivanti dal nuovo percorso formativo.
In secondo luogo, occorre completare il processo di equiparazione alla normativa europea e riconoscere ai professionisti sanitari italiani lo stesso livello di autonomia e di responsabilizzazione presente nel resto d'Europa. Ciò è indispensabile anche per sostenere i processi di trasformazione e di riqualificazione della sanità italiana: lo stesso piano straordinario per l'assistenza domiciliare annunciato più volte dal ministro Turco non avrebbe possibilità di successo senza infermieri professionisti che possano lavorare in autonomia e responsabilità del territorio.
Un ultimo, ma non meno importante, elemento è rappresentato dalla necessità che tutte le forze politiche mantengano gli impegni assunti e che, in modo particolare, il centrosinistra mantenga quelli contenuti nel proprio programma. Va confermata la volontà di liberalizzazione che questo Governo, con tenacia e - dobbiamo aggiungere - anche con qualche incomprensione, sta esprimendo; peraltro, l'istituzione degli ordini delle professioni sanitarie ben si può armonizzare con la tendenziale riduzione del loro numero - vi è infatti, e vi deve essere, una tale tendenza - anche utilizzando la significativa novità costituita dalla previsione che gli stessi ordini professionali possano trasformarsi, come indica il disegno di legge governativo, in associazioni professionali riconosciute di natura privatistica, ma assoggettate al controllo politico.
A mio parere è peraltro un'esigenza fondamentale del servizio sanitario portare a compimento tale percorso; basti pensare, ad esempio, alle molteplici funzioni non solo di diretta professione ma anche di coordinamento - oggi, di team e di staff - degli operatori sanitari operanti nelle nostre aziende, soprattutto nell'ambito dell'organizzazione territoriale: in tutta l'area dei servizi non si può fare a meno di professioni quali quelle degli infermieri, delle ostetriche e via dicendo.
Inoltre, a mio avviso la deontologia professionale di queste nuove figure va tutelata e soltanto l'ordine professionale potrà farlo. Come è stato già messo in evidenza, sarebbe sbagliato in questo delicato passaggio non riconoscere la valenza del ruolo e della professionalità di oltre 500 mila operatori.
Per tale motivo, preannuncio che i deputati dell'Italia dei Valori voteranno favorevolmente alla proroga del termine per l'esercizio della delega, essendo certi che il Governo la utilizzerà al meglio per attribuire pari dignità a tali figure professionali. Solo così i cittadini saranno maggiormente garantiti quanto alla tutela della loro salute, il cui servizio migliorerà sempre di più se gli operatori saranno maggiormente qualificati e soddisfatti nelle loro aspirazioni professionali. Inoltre, si dovrebbe cominciare a pensare all'extra-moenia anche per questi professionisti.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Poretti. Ne ha facoltà.
DONATELLA PORETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo sia opportuna l'approvazione di questo disegno di legge per il differimento del termine per l'esercizio della delega di cui all'articolo 4 della legge n. 43 del 2006, recante istituzione degli Ordini e degli albi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative e tecnico-sanitarie e della prevenzione.
L'approvazione si rende opportuna per due motivi: anzitutto, bisogna collegare la regolamentazione del settore con l'annunciata e più ampia riforma di tutti gli ordini professionali; quindi, si deve prendere tempo per meglio valutare proprio la leggePag. 8n. 43 del 2006, che prevede tale delega per l'istituzione di questi Ordini. È proprio a partire da questo secondo motivo che intendo sviluppare le mie considerazioni.
Gli ordini professionali sono il prolungamento di quelle che, prima della Repubblica costituzionale e democratica del 1946, si chiamavano corporazioni; pur nel mutato contesto legislativo, politico ed economico nel quale questi ordini si sono inseriti, essi hanno di fatto continuato a svolgere la funzione di corporazioni.
Si deve dire che, nel nostro paese, nel dopoguerra, non molta attenzione è stata prestata alla funzione di questi Ordini, anche perché, in particolare dall'inizio degli anni Sessanta, le scelte di politica economica sono andate tutte verso l'istituzione di un'economia di Stato a cui l'organizzazione corporativa della propria professione non poteva che essere funzionale. Lo sviluppo ed il mercato non erano decisi sulla base delle capacità dei singoli ma solo a seguito di una rigida pianificazione di uno Stato che ben dialogava con un'altrettanto rigida organizzazione delle professioni, capace di garantire comportamenti monolitici e univoci, reprimendo ed espellendo quanto non era funzionale. Ma il mondo andava in un'altra direzione.
Le professioni sanitarie, con questa rigidità di organizzazione, insieme alle pessime leggi di ispirazione vaticana che caratterizzano questo ambito e non solo, hanno contribuito a far sì che il nostro paese si collocasse ai margini della ricerca scientifica e medica, europea ed internazionale. Questa rigidità e leggi in vigore hanno anche contribuito alla fuga di cervelli verso altri paesi, in cui la libertà professionale individuale e le leggi non confessionali sono un incentivo e non un limite.
Nell'affrontare temi importanti quali la contraccezione, l'aborto, l'eutanasia, la ricerca con le staminali embrionali, la vendita di farmaci, per citare solo la punta di un iceberg, quale funzione è stata svolta dagli ordini professionali del settore? Generalmente frenare, porre steccati e limiti che favorivano gli interessi economici ideologici e confessionali dei singoli ordini e dei loro iscritti, contrapponendoli a quelli del cittadino consumatore e del cittadino malato, costretto a pagare i prodotti ed i servizi ad un costo maggiore e con minore qualità e scelta.
Tale situazione si è riflessa anche sul cittadino imprenditore e sul cittadino lavoratore, impediti e fiaccati da un mercato chiuso, dove, per entrare, si devono pagare prezzi altissimi che ricadono su tutta l'economia e la società.
Di questa diversa direzione sembra essersi accorto anche il nostro attuale Governo: sui precedenti, in linea di massima, di qualunque colore fossero, stendiamo un velo pietoso!
È in questa direzione che si muove il nostro Ministero dello sviluppo economico con quelle «lenzuolate» che, pur giudicandole, io ed il mio gruppo, La Rosa nel Pugno, troppo timide e talvolta razionalizzatrici dello statalismo, sono comunque un segnale su cui tutti gli interessati ad un'economia, ad una società di mercato dovrebbero intensamente lavorare per migliorarle.
In questo contesto, abbiamo proprio bisogno di nuovi ordini professionali? Siamo sicuri che l'organizzazione delle professioni in questo modo è ciò che serve alla crescita della nostra economia, garantendo professionalità, qualità, economicità, accessibilità, cioè concorrenza? Non vi è più bisogno, forse, di libere associazioni, di liberi professionisti, in una società di liberi contratti, di liberi lavori e con liberi valori? Sono domande a cui dovrà e potrà rispondere la riforma degli ordini e nei termini in cui mi sono espressa vi contribuirò anch'io, tenendo ben presente quanto in materia fu detto dall'Antitrust nel dicembre 2004, poco dopo l'approvazione in Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della salute Girolamo Sirchia, di quel disegno di legge che poi è divenuto la legge n. 43 del 2006.
Giuseppe Tesauro, presidente all'epoca dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato diceva (cito testualmente): si rileva che la costituzione di nuovi ordini professionali e dei relativi albi provoca una significativa restrizione della concorrenza,Pag. 9comportando limitazioni all'entrata di nuovi operatori, fatta eccezione per le ipotesi in cui, sussistendo una simmetria informativa tra consumatore e professionista, sia necessario, al fine di garantire maggiori benefici per i consumatori, consentire l'accesso a determinate attività solo a quanti possiedano specifici requisiti di qualificazione professionale, prevedendo, a tal fine, delle forme di selezione all'entrata, quali la formazione scolastica richiesta ed il superamento di un esame di abilitazione, nonché un controllo sull'attività svolta dagli operatori. Inoltre, sempre secondo Tesauro e l'Antitrust, in assenza di tali presupposti, infatti, la previsione di forme di selezione all'entrata può comportare, sotto il profilo economico, un ingiustificato aumento dei costi dei servizi offerti, senza necessariamente garantire la qualità degli stessi. Ciò premesso, si rileva che, con specifico riguardo alle professioni oggetto del disegno di legge citato, non sembrano sussistere asimmetrie informative tali da giustificare una limitazione della concorrenza, attraverso l'imposizione di barriere all'accesso nel relativo mercato.
Inoltre, come già evidenziato nelle precedenti segnalazioni effettuate in proposito dall'Autorità ed, in particolare, nella segnalazione relativa alle professioni sanitarie non mediche, si osserva, infatti, che, sotto il profilo della qualificazione professionale, le esigenze di tutela del consumatore possono essere integralmente soddisfatte con la previsione di un percorso formativo di livello universitario obbligatorio, come, peraltro, ribadito in materia dalla Commissione europea. Da ultimo, la relazione sulla concorrenza nei servizi professionali del febbraio 2004, seppur non direttamente attinente alle professioni sanitarie, esprime comunque dei principi generali in tema di attività professionali.
In tale occasione la stessa Commissione, dopo avere stigmatizzato il fatto che nella maggior parte degli Stati membri l'accesso alle professioni sia delimitato con varie restrizioni di tipo qualitativo, ha rilevato che una limitazione nell'accesso al mercato si ripercuote negativamente sulla concorrenza e sulla qualità dei servizi offerti, determinando un significativo aumento dei prezzi cui peraltro non corrisponde sempre una qualità migliore dei servizi stessi. In tale contesto, ad avviso della Commissione, un intervento di regolamentazione dei servizi professionali risulta giustificato dall'esistenza di un'asimmetria informativa tra consumatore e professionista riguardo a quelle attività professionali il cui esercizio rappresenti un valore per la società in generale, comportando, in caso di inadeguatezza dell'offerta, costi sociali molto alti, circostanza che non sembrerebbe ricorrere nel caso di specie.
Inoltre, la Commissione chiudeva affermando che l'Autorità ritiene che il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri possa determinare una restrizione della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato dei servizi professionali nel settore sanitario non medico. Fin qui si è espresso l'Antitrust.
Il legislatore, ovviamente, non ha tenuto in alcun conto queste indicazioni per agevolare uno sviluppo della concorrenza nel settore delle professioni sanitarie non mediche ed ha optato per quella legge per la cui parziale attuazione stiamo chiedendo oggi il differimento dei termini.
La stessa autorità Antitrust ha reiterato il parere negativo il 14 aprile 2005 sul disegno di legge per una nuova regolamentazione delle attività di informazione scientifica e per l'istituzione di un albo degli informatori scientifici del farmaco, rilevando che la regolamentazione dei servizi professionali è appropriata solo se soddisfa esigenze di carattere generale e nei casi in cui si ritiene sia possibile sanare distorsioni presenti nel mercato. Mi domando quali distorsioni vi siano sul nostro mercato per le professioni sanitarie non mediche, tali da rendere necessaria l'istituzione di specifici ordini professionali.
Per la professione infermieristica, ad esempio, mi sembra invece che vi sia una forte carenza di aspiranti, a fronte di una carenza di personale nelle strutture ospedaliere pubbliche, pari a circa 60Pag. 10mila professionisti, così come rendeva noto nel febbraio 2006 la Federazione nazionale collegi infermieri professionali (IPASVI), carenza che salirebbe a 98 mila professionisti se il nostro paese rispettasse lo standard OCSE di 6,9 infermieri ogni mille abitanti, visto che ora in Italia ve ne sono 5,4.
Il trend delle immatricolazioni ai corsi di laurea è in aumento; anche se gli addetti al settore dubitano che colmerà questa carenza, sicuramente noi legislatori non diamo certo un contributo blindando in un ordine corporativo la professione, in quanto in questo modo la si rende burocraticamente meno accessibile.
Inoltre, sarebbe proprio bene che questa legislatura non si allineasse a quanto accaduto durante le precedenti. Facendo il caso di quella appena passata, sono state presentate 13 proposte di legge per istituire nuovi ordini: dagli stenotipisti ai doppiatori cinematografici, passando per periti industriali, commercialisti, esperti contabili, informatici, professionisti di conservazione dei beni culturali, traduttori ed interpreti. Ben 57 erano le proposte di legge che chiedevano l'istituzione di nuovi albi: da quello degli ex parlamentari, agli agenti di spettacolo, fino a quelli per artisti, cuochi, tecnici di riabilitazione equestre, consulenti tecnici d'ufficio, assistenti sociali, educatori di asilo nido, biotecnologi alimentari, pedagogisti, chimici e tecnologi farmaceutici, dottori naturalisti, agenti di polizia privata, statistici, diplomati universitari in agraria, esperti e consulenti di infortunistica, tributaristi, esercenti di spettacoli pirotecnici, pianificatori urbanistici territoriali e ambientali. Era compreso perfino un albo per persone idonee all'ufficio di scrutatore di seggio elettorale.
Nella nostra legislatura, per il momento, in materia vi sono ovviamente altre richieste per l'istituzione di nuovi ordini ed albi. Per fortuna, esiste un progetto di legge - che spicca! - che intende abrogare quantomeno l'ordine dei giornalisti. Esso è a prima firma dell'onorevole Daniele Capezzone, ma è sottoscritto anche da altri deputati di schieramenti addirittura contrapposti ed anche da me, avendo io aderito con convinzione al provvedimento.
Mi auguro e mi impegnerò perché questa legislatura sia caratterizzata e ricordata come quella che, nell'ambito delle politiche di liberalizzazione, ha cominciato a liberalizzare anche le professioni.
Per non creare gravi difficoltà, è bene che si proceda a questo differimento, così come previsto dal disegno di legge del ministro Livia Turco. Sono necessari un maggior confronto, una maggiore analisi e una maggiore conoscenza dei guasti e dei limiti che le professioni organizzate in ordini corporativi apportano alla nostra economia e alla nostra società.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ulivi. Ne ha facoltà.
ROBERTO ULIVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, l'articolo 4, comma 1, della legge 1o febbraio 2006, n. 43, ha delegato il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi al fine di istituire gli ordini professionali delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione. Sarebbe certamente interessante, ma soprattutto utile, conoscere il testo del provvedimento di attuazione a suo tempo predisposto, che, come si racconta nella relazione al disegno di legge del ministro Turco (A.C. 1609), è stato presentato, in tempo utile, dallo stesso Ministero della salute e sottoposto all'esame del Consiglio dei ministri. Il Consiglio dei ministri ha poi ritenuto di non dover esaminare tale provvedimento, ma di rimandare l'esame al momento in cui sarebbe iniziata l'annunziata riforma degli ordini professionali. Trovo perlomeno curioso il fatto che, come si afferma nella relazione che accompagna il disegno di legge, da una parte, si ammetta che le categorie attendono tale regolamentazione ormai da tanto tempo e che quindi è giusto che essa si compia, e, dall'altra, si chieda una proroga di dodici mesi alla prevista data del 4 settembrePag. 112006. Evidentemente, per qualcuno al Ministero della salute, sei mesi sono la stessa cosa di diciotto mesi. Contenti loro...!
L'onorevole Di Girolamo ha onestamente ammesso in Commissione che, nelle ultime due legislature, maggioranza e opposizione hanno collaborato al fine di riconoscere e valorizzare le professioni sanitarie non mediche e che il punto di arrivo del lavoro svolto coincide con la legge 1o febbraio 2006, n. 43, che egli giudica complessivamente molto positiva. Non vedo, quindi, per quale motivo si voglia ritardare, per così lungo tempo, l'attuazione di questa legge, tanto più che lo stesso onorevole Di Girolamo ricorda come, nella scorsa legislatura, si dovettero superare resistenze di alcune Commissioni, date dall'esigenza di affrontare questo tema contestualmente alla riforma di tutti gli ordini professionali e come, alla fine, si giunse a riconoscere la specificità delle professioni sanitarie e, dunque, a disciplinarle autonomamente, in considerazione della loro attinenza a diritti fondamentali della persona.
L'eventuale futuro riordino complessivo degli ordini professionali non vieta certamente di procedere, intanto, all'istituzione degli ordini delle professioni sanitarie non mediche. Se poi per voi, la legge n. 43 del 2006, votata dalla stessa opposizione dell'epoca che ora è al Governo, è una legge sbagliata solo per il fatto di essere stata approvata durante il Governo Berlusconi, è un fatto di cui dovrete renderne conto ai rappresentanti delle professioni sanitarie non mediche ed ai cittadini.
Pertanto, alla luce di quanto ricordato, non mi sembra giusto che prendiate in giro le circa 500 mila persone afferenti alle figure professionali dei sanitari non medici, di cui ci stiamo occupando.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Rossi Gasparrini. Ne ha facoltà.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento all'ordine del giorno dell'Assemblea è relativamente semplice, poiché si tratta di un progetto di legge che proroga di ulteriori dodici mesi il termine previsto dalla legge n. 43 del 2006 per l'esercizio della delega per l'istituzione degli ordini e degli albi delle professioni sanitarie. In particolare, la norma in esame proroga al 4 settembre 2007 il termine per l'esercizio della suddetta delega scaduto il 4 settembre 2006. La relazione di accompagnamento puntualizza che, su iniziativa del ministro della salute, il provvedimento di attuazione della delega di cui alla legge n. 43 del 2006 è stato sottoposto all'esame del Consiglio dei ministri prima della scadenza dei termini e in tale sede è tuttavia emerso l'orientamento di ricollegare la regolamentazione del settore all'interno della più ampia riforma di tutti gli ordini professionali e, contestualmente, di prolungare di ulteriori dodici mesi il termine del 4 settembre 2006.
La legge n. 43 del 2006, recante l'istituzione degli ordini delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, detta nuove regole in materia di professioni sanitarie non mediche e conferisce una delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali.
La norma dispone altresì l'istituzione di nuove forme di professioni in ambito sanitario ed obblighi inerenti alla formazione permanente e continua del personale sanitario. Per quanto riguarda la formazione professionale, fra i requisiti essenziali previsti per l'esercizio delle suddette professioni è richiesta una abilitazione rilasciata dalla Stato, nel rispetto della normativa europea in materia di libera circolazione delle professioni, in seguito al superamento di specifici corsi universitari da istituire con uno o più decreti dei ministri competenti in materia di istruzione, università e ricerca, di concerto con quello della salute. I corsi sono svolti in tutto o in parte presso le aziende e le strutture del Servizio sanitario nazionale, individuate con accordi fra regioni ed università. La legge, dunque, consente l'istituzione di nuove professioni in ambito sanitario operanti su tutto il territorio nazionale, da individuare attraverso direttivePag. 12comunitarie ovvero su iniziativa dello Stato o delle regioni, in considerazione degli obiettivi stabiliti dal Piano sanitario nazionale o dai piani sanitari regionali, che non trovano rispondenza in professioni già riconosciute, collocate comunque nelle citate quattro aree professionali.
In particolare, le nuove figure professionali sono riconosciute mediante accordi in sede di Conferenza permanente Stato-regioni, che individuano il titolo professionale e l'ambito di attività di ciascuna professione. La loro individuazione è subordinata ad un parere tecnico-scientifico, espresso da apposite commissioni nominate dal ministro della salute ed operanti presso il Consiglio superiore di sanità.
Per quanto concerne l'istituzione degli ordini professionali, il provvedimento istituisce gli ordini e gli albi delle professioni sanitarie ai quali devono accedere gli operatori delle professioni sanitarie esistenti, nonché quelle di nuova configurazione.
A tal fine, l'articolo 4 conferisce delega al Governo, da attuare entro sei mesi, ed è qui che interviene la proroga di termini di cui al provvedimento in esame, attraverso uno o più decreti legislativi, nel rispetto delle competenze delle regioni da esercitare previo parere della Conferenza Stato-regioni e delle Commissioni parlamentari competenti, sulla base di determinati principi e criteri direttivi, fra i quali, in particolare: la trasformazione dei collegi professionali esistenti in ordini professionali, con l'istituzione di un ordine specifico con albi separati per ognuna delle professioni previste per ciascuna delle citate aree di professioni sanitarie, oppure la possibilità di costituire un unico ordine per due o più delle aree di professioni sanitarie individuate, oppure l'eventuale istituzione di ordini separati per le professioni i cui albi abbiano almeno 20 mila iscritti; l'aggiornamento della definizione delle figure professionali da includere nella fattispecie prevista dalla legge n. 251 del 2000; infine, l'articolazione degli ordini a livello provinciale o regionale o nazionale in relazione al numero degli operatori.
Si deve ricordare, altresì, come, nel corso delle ultime due legislature, maggioranza ed opposizione abbiano collaborato per valorizzare le professioni sanitarie non mediche. In particolare, questo lavoro ha consentito di superare l'originaria definizione di professioni paramediche, sviluppare i profili formativi e giungere a dettare una nuova disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione e della professione ostetrica.
Il punto d'arrivo del lavoro svolto nelle ultime due legislature è costituito appunto dalla legge 1o febbraio 2006, n. 43.
In proposito, occorre sottolineare come il termine per l'esercizio della delega, originariamente fissato al 4 settembre 2006, abbia costretto il Ministero della salute e le categorie coinvolte a procedere con estrema rapidità e come, nonostante i termini piuttosto brevi, il Ministero sia riuscito a predisporre, in tempo utile, lo schema di decreto legislativo.
Il Consiglio dei ministri, peraltro, ha assunto l'orientamento di dare mandato al ministro di giustizia di istituire un riordino complessivo degli ordini professionali, intervenendo sulla materia e tenendo conto della più ampia riflessione sull'insieme degli ordini professionali e dell'evoluzione della normativa comunitaria in materia. Ed è questa esigenza che ha suggerito di rinviare l'approvazione del decreto legislativo.
Si deve, da ultimo, osservare che il riordino complessivo dovrà garantire la specificità delle professioni sanitarie e il differimento di termini di cui sopra mira precisamente ad assicurare che, qualora non si giunga a rivedere l'intera disciplina degli ordini professionali, sia ancora possibile l'esercizio della delega di cui alla legge n. 43 del 2006.
Pertanto, a nome dei Popolari-Udeur, preannunzio il mio orientamento favorevole sul provvedimento in oggetto.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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