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Discussione delle mozioni Bimbi ed altri n. 1-00113, Gozi ed altri n. 1-00114, Elio Vito ed altri n. 1-00120 e Maroni e Pini n. 1-00123 sul rilancio del processo costituzionale europeo e dell'azione dell'Unione europea (ore 16,10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Bimbi ed altri n. 1-00113, Gozi ed altri n. 1-00114, Elio Vito ed altri n. 1-00120 e Maroni e Pini n. 1-00123 sul rilancio del processo costituzionale europeo e dell'azione dell'Unione europea (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Volontè ed altri n. 1-00125, Zacchera e La Russa n. 1-00126 e D'Elia ed altri n. 1-00127
(Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno discusse congiuntamente.
Avverto inoltre che la mozione Bimbi ed altri n. 1-00113 è stata riformulata dai presentatori. Il relativo testo è in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Bimbi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00113
(Nuova formulazione). Ne ha facoltà.
FRANCA BIMBI. Signor Presidente, nel cinquantesimo anniversario della firma deiPag. 2trattati istitutivi della Comunità europea, sottoscritti a Roma il 25 marzo 1957, molte saranno le interpretazioni della storia, dei risultati, delle difficoltà, degli insuccessi e delle prospettive di un percorso che comunque si è fatto, spesso al di là delle intenzioni immediate dei proponenti per quel che riguarda ogni singolo passo, ma talvolta superando persino le speranze più grandi di coloro che, spesso inascoltati, avevano gettato più volte il cuore oltre l'ostacolo. Oggi ci troviamo in attesa di una dichiarazione di Berlino che, nel giorno del cinquantesimo anniversario, rilancerà il processo costituzionale europeo. Si tratta di un rilancio che appare a tutti necessario, come minimo per la velocità dei mutamenti interni ed internazionali che sfidano l'Europa sul versante dell'integrazione e della susseguente capacità di presentarsi unita rispetto alle strategie di coesione sociale, di allargamento, delle politiche commerciali e, non da ultimo, di costruzione della pace.
L'urgenza di riprendere il cammino deriva anche dai ritardi e dalle discontinuità. Ricordiamo, come ha fatto il Presidente Napolitano nel suo recente intervento a Strasburgo, che il 14 febbraio del 1984 il Parlamento europeo votò - a larghissima maggioranza - un progetto di Trattato istitutivo dell'Unione europea che configurava un'entità politica a connotazione federale progressiva, identificando competenze esclusive e concorrenti dell'Unione in base a quel principio di sussidiarietà che fonda ogni approccio genuinamente federalista, ma anche volendo rafforzare quel cardine della sovranazionalità delle Comunità che ne costituisce la caratteristica più innovativa nel campo del diritto internazionale.
Non è indifferente sottolineare, in questa sede parlamentare, la funzione propulsiva del Parlamento europeo, capace di una sintesi spesso più coraggiosa di quella dei Governi, nonostante l'iniziativa importante costituita dal piano Genscher-Colombo appena precedente il tentativo di Spinelli, e comunque anticipatrice del percorso che, attraverso l'Atto unico, Maastricht ed Amsterdam, costituzionalizza, in parte di diritto ma ancor più di fatto, l'Unione europea, auspice la rinnovata cultura comunitaria rappresentata dalla Presidenza Delors.
Ma l'accelerazione del processo di costruzione dell'Europa è scattata soprattutto in base e per necessità legate a processi storici profondi che segnano discontinuità politiche e sociali largamente impreviste, sopravvenute dalla fine degli anni ottanta agli inizi degli anni novanta, che ancora influenzano il nostro agire politico: la caduta del muro di Berlino, i rischi per la pace, la globalizzazione. Da questi punti di osservazione, che costituiscono ancora oggi praticamente e simbolicamente gli orizzonti dell'Europa, occorre riguardare ai risultati ottenuti, ai valori e alle prospettive future. L'Europa che qualcuno chiama «dei risultati», considerata in una prospettiva federalista che ne inglobi anche gli issue funzionalisti, deve essere vista guardando ai cinquant'anni trascorsi dai Trattati di Roma, ma avendo come riferimento gli albori del manifesto di Ventotene, nell'ottica del futuro che comunque dobbiamo anticipare. Questo respiro chiediamo che il Governo porti nella dichiarazione di Berlino e ancora di più nella predisposizione della road map dalla quale ci aspettiamo un risultato confortante per il trattato che adotta una Costituzione sull'Europa e in data certa: le elezioni europee del 2009. È questo che chiedono anche i federalisti europei che addirittura sostengono un referendum consultivo come uno dei segni di una maggiore partecipazione e presenza dei cittadini nel percorso di costituzionalizzazione.
Se guardiamo ai cinquant'anni dell'Europa con gli occhi rivolti ai presupposti di Ventotene e a quell'agenda così ricca e così impegnativa che è il trattato di Roma del 2004, sottoscritto da 27 paesi e ratificato da 18, nonostante i limiti, le difficoltà e le incertezze dobbiamo riconoscere che abbiamo contribuito a costruire un'Europa delle libertà, della pace, dei diritti, della prosperità, delle diversità e della solidarietà.Pag. 3
Su queste basi, il trattato per la Costituzione o il documento - comunque sarà denominato - che arriverà in porto nel 2009 dovrà corrispondere anche alle attese di chi, guardando soprattutto a ciò che resta da fare, chiede ai Governi un'azione per un'altra possibile Europa, che si impegni per inverare le sue promesse. Le libertà: Sappiamo che la libertà è una e che essa riposa sullo Stato di diritto e sulla certezza dei diritti e che discende dalla dignità della persona, così come definita anche dalla carta europea dei diritti.
È difficile non riconoscere che questa libertà l'abbiamo man mano riconquistata e che, purtuttavia, nel riemergere delle disuguaglianze, nell'ancora troppo debole riconoscimento dell'uguaglianza di genere e nelle vischiosità che impediscono l'esplicitarsi dei talenti e l'affermazione dei meriti, molte libertà restano appena declamate.
Così, la coniugazione della prosperità con la solidarietà, e della pace con il pieno rispetto dei diritti di ogni donna e di ogni uomo nella costruzione di una più ampia cittadinanza europea, è in parte ciò che abbiamo vissuto ma non ancora definisce, verso l'interno e verso l'esterno, quell'Europa, potenza gentile, alla quale spesso si è richiamato Romano Prodi, nelle sue vesti di Presidente della Commissione europea. Quella che abbiamo vissuto davvero è un'Europa solo dei mercati e delle istituzioni? Questa è la domanda che pone più di qualcuno. Dobbiamo rispondere «no», se guardiamo anche semplicemente agli standard di vita ritenuti normali da un giovane cittadino europeo a Roma come a Parigi, Berlino, Londra e Copenaghen, anche se proprio per i giovani, e a misura di un futuro per le giovani generazioni, devono essere ripensati il welfare europeo (nei suoi differenti modelli), le politiche del lavoro (perché la flexsecurity, senza efficaci ammortizzatori sociali, rischia di moltiplicare le disuguaglianze), gli impegni dell'agenda di Lisbona, gli impegni per le politiche energetiche e la preveggenza nelle politiche relative ai rischi ambientali e climatici.
Con questa consapevolezza, per quel che ci riguarda, ogni parte del trattato che adotta una costituzione costituisce un grande spartito, sul quale eseguire sempre più compiutamente e con più arte, oltre che con più ingegno, la musica complessiva, piuttosto che un albero da cui potare alcuni rami.
Questa è la prospettiva italiana e questo è quello che chiediamo al Governo. Inoltre, nel perseguimento della messa in prospettiva della rinnovata Europa, sono necessari tutti quegli strumenti che rendono possibile l'integrazione istituzionale: per le politiche di pace, per condurre un'efficace comune politica estera, di sicurezza e di difesa. Queste politiche devono comprendere, anche in base all'autonomia riconosciuta alle organizzazioni della società civile, la cooperazione per lo sviluppo umano e sostenibile e tutti gli strumenti per sviluppare relazioni internazionali multilaterali, anche partendo dalla capacità d'azione della società civile, che deve essere molto meno negletta e mai resa silente.
A questo punto, troviamo anche il senso dell'«anima» dell'Europa, che non sta, come vorrebbe qualcuno, nella riaffermazione apodittica di un'identità europea prefissata o in una definizione aprioristica delle radici del passato. Essa si nutre sul versante riflessivo della stessa consapevolezza della «crisi della civiltà moderna» espressa dai confinati di Ventotene, mentre sul versante propositivo può trovare una definizione compiuta nell'intervento recente del 17 gennaio della Cancelliera Angela Merkel a Strasburgo.
Da Ventotene nasce la necessità di una nuova entità sovrastatuale che superi gli egoismi nazionalisti, fonte di tutte le guerre. Merkel, più di 50 anni dopo, riferisce l'anima dell'Europa al principio della tolleranza. Si tratterebbe di una parola ambigua, se la Cancelliera non la sostanziasse di libertà, sviluppo delle diversità e rifiuto di ogni intolleranza, cioè con le parole di Ventotene: contro il «dogmatismo autoritario» si afferma oggi il «valore permanente dello spirito critico». Soprattutto, dice Merkel, la tolleranzaPag. 4esige di desiderare l'altro. In questa frase, che mi piacerebbe fosse introdotta nella dichiarazione del prossimo 25 marzo, appare la radice dell'anima dell'Europa, che intendiamo rendere più vivente oggi di ieri. L'anima dell'Europa sta in un universalismo, che custodisce la memoria dei propri orrori, per evitare la tentazione di imporre a qualcuno le proprie verità. L'anima dell'universalismo europeo sta nel riconoscimento dell'altro e, ancor più, in questo desiderio dell'altro, che fa della tolleranza una virtù esigente per chi la pratica.
Dunque, nei passaggi tecnici necessari, che illustreranno anche gli altri colleghi, chiediamo al Governo di farsi interprete di un rinnovato percorso all'autoapprendimento al divenire europei nel XXI secolo e nell'Europa a 27, verso il suo allargamento a sud, e speriamo anche a quel vicino Oriente, dove forse potremo rincontrare un pezzo non indifferente delle nostre lontane radici spirituali, di quel plurale delle diversità, che, riunito senza venire omologato, fa già l'unità dell'Europa nei voti di ciascuno di noi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00114. Ne ha facoltà.
SANDRO GOZI. Cosa dobbiamo aspettarci dalla dichiarazione di Berlino del prossimo 25 marzo? Quali sono i punti fondamentali, dal nostro punto di vista, dal punto di vista federalista, dal punto di vista di coloro che hanno sempre voluto approfondire l'integrazione politica? Certamente sarà necessario un fortissimo richiamo alle ragioni storiche e alle necessità politiche del processo di integrazione. Dobbiamo rimarcare i vantaggi concreti di cinquant'anni di integrazione. In questa dichiarazione ci dovranno essere i riferimenti all'euro, all'area Schengen, al progetto Erasmus, all'Europa dei giovani, al grande successo dell'allargamento.
Da questa dichiarazione dovremo capire che l'Europa è un grande progetto di libertà. E la libertà la si vive innanzitutto all'interno dell'Europa, in quell'area Schengen che dà attuazione a quella grande idea di «frontiere svalutate», di cui parlava Schuman nella sua dichiarazione, in cui diceva: l'Europa è innanzitutto un progetto in cui si svalutano le frontiere; in cui le frontiere non sono più un luogo di scontro; in cui «frontiera» non vuole dire più «andare al fronte», non ha più un significato di guerra, bensì di pace, di incontro e di cooperazione.
In secondo luogo, la dichiarazione dovrà indicare la necessità di una riforma istituzionale. Non è certo necessario ricordare che l'Unione europea, al momento di affrontare le grandi sfide del XXI secolo (cambiamenti climatici, immigrazione, energia, per citare solo alcuni esempi), deve oggi riformarsi. Quindi, è fondamentale che in questa dichiarazione siano contenuti il principio di una riforma istituzionale e la sua data finale. È chiaro che entro il 2009 (in seguito spiegherò perché) questo processo, almeno per quanto riguarda l'architettura istituzionale, dovrà concludersi.
Dopo la Conferenza di Berlino, la Presidenza tedesca dovrà indicare una road map, ovvero un percorso che a mio parere potrebbe essere organizzato in due aspetti distinti: uno istituzionale, più stretto, ed un altro più ampio, legato alle politiche comuni. Infatti, dobbiamo riconquistare il consenso dei francesi e degli olandesi e preparare il loro ritorno all'interno del processo costituente.
Certamente dovremo partire dal Trattato costituzionale, che deve costituire la base di partenza nonché il punto di riferimento di tutto il negoziato. L'approccio dovrà probabilmente essere diviso in due parti. Entro il 2009 dovremo concludere la riforma delle istituzioni. L'accordo sulla riforma istituzionale, che dovrebbe corrispondere al contenuto della parte I del Trattato costituzionale, dovrà essere trovato entro il 2007 o il 2008. Inoltre, prima del 2009 dovremo assumere l'impegno di affrontare nella nuova legislatura, dopo il giugno 2009, i nodi irrisolti, a cui neppure il Trattato costituzionale dà a mio parerePag. 5una risposta del tutto soddisfacente. Mi riferisco alla governance economica e sociale, o allo sviluppo sostenibile.
Nella seconda fase, dopo il giugno 2009, dovremo affrontare la riforma delle politiche comuni. In proposito, ricordo che è proprio la parte III del Trattato, relativa alle politiche comuni, quella che ha dato più problemi e che è all'origine del «no» francese. Essa dovrà essere riesaminata e valutata contestualmente alla revisione del bilancio. Tale revisione non potrà essere semplicemente qualitativa, ma anche quantitativa. Dovremo far bene presente come non sia più accettabile il tetto massimo, che andava bene per un'Unione europea a 12 paesi. Quindi, l'1,27 per cento, che nel 1992 a Fontainebleau Major poteva accettare, non può essere mantenuto dopo il 2009 in un'Unione composta da 27, 30 o addirittura 32 Paesi. Quando affronteremo la riforma delle politiche, dopo aver risolto la questione istituzionale, politiche e bilancio dovranno andare di pari passo. Il 2009 costituisce dunque un punto di arrivo (entro tale data dovremo avere risolto la questione istituzionale), ma anche un punto di partenza, in quanto dovremo avviare un processo di revisione delle politiche e del bilancio.
Vorrei ora ritornare brevemente al dopo Berlino ed al dopo 25 marzo. Il riavvio del processo deve partire dal Trattato costituzionale che, come sappiamo, è stato ratificato da 18 paesi. Essi rappresentano i due terzi degli Stati e 275 milioni di cittadini su 485, ossia il 55 per cento dei cittadini dell'Unione europea a 27 membri. Ciò significa che la maggioranza degli europei ha già ratificato il Trattato. Pertanto, esso deve costituire senza dubbio il punto di partenza. Vedremo nel corso del processo se tale Trattato potrà anche costituire il punto d'arrivo.
In ogni caso, ci sono dei punti fermi che, all'arrivo di questo percorso, dovranno esserci, e dei limiti, al di sotto dei quali noi non possiamo accettare di andare. Dobbiamo, infatti, conservare quelle riforme essenziali per il funzionamento dell'Europa. Non si parte, quindi, né dal testo di Nizza, né da ipotesi di mini trattati, ma dal Trattato costituzionale.
Quali sono le riforme irrinunciabili, dal punto di vista istituzionale, dopo Berlino? Certamente, la creazione di un ministro degli affari esteri dell'Unione. In secondo luogo, un presidente stabile del Consiglio europeo, il quale, a mio parere, dovrebbe, in prospettiva, coincidere con il presidente della Commissione (altrimenti, un domani, rischiamo di avere gli stessi problemi di coordinamento e di frammentazione che vi sono oggi tra commissario alle relazioni esterne ed altro rappresentante). Inoltre, dovremmo insistere sul voto a maggioranza, su un più chiaro sistema di ripartizione delle competenze e sul carattere giuridicamente vincolante della Carta dei diritti, sulle cooperazioni rafforzate e sulla clausola di flessibilità. In futuro, infatti, l'Europa potrà e dovrà avanzare, all'interno di un quadro istituzionale comune, attraverso iniziative di gruppi di paesi. Queste, quindi, sono le esigenze prioritarie di democrazia, di efficacia e di trasparenza, sulle quali non possiamo e non dobbiamo accettare un negoziato al ribasso.
Per quanto attiene poi al profilo politico dell'Europa, constatiamo che le istituzioni hanno corso molto più in fretta della società civile e dei partiti ed è questo scarto tra approfondimento istituzionale e approfondimento più genuinamente politico che ha prodotto il vero deficit dell'Unione, il deficit politico. I partiti europei devono rafforzarsi, superando gli schemi legati al IX secolo, e diventare, in seno al Parlamento europeo, protagonisti di alleanze e di proposte all'altezza delle nuove sfide del XI secolo. Anche da questo punto di vista, dunque, le elezioni europee sono un momento importantissimo per l'approfondimento dell'Europa politica. L'altro aspetto che non ha tenuto il passo delle istituzioni è l'Europa dei cittadini, è la cittadinanza europea.
Abbiamo preparato il Trattato costituzionale con una Convenzione, in cui partecipavano parlamentari nazionali, parlamentari europei, rappresentanti del Governo e rappresentanti delle istituzioni.Pag. 6Per una serie di motivi noti, che ho già ricordato, dobbiamo recuperare parte di quel Trattato, ma, per recuperarlo, occorre anche un coinvolgimento dei cittadini. Ecco perché nel 2009, dobbiamo coinvolgerli, non attraverso 27 referendum nazionali, ma organizzando un referendum paneuropeo. A pronunciarsi non dovranno essere i francesi o gli spagnoli in quanto tali, ma dovranno essere i francesi, gli spagnoli o gli sloveni in quanto europei. Un referendum, consultivo, paneuropeo, di questo tipo permetterebbe all'Europa di fare quel salto di qualità politico di cui abbiamo assolutamente bisogno, se vogliamo realizzare quell'Unione sempre più stretta tra i popoli europei, quell'Unione sempre più stretta tra i popoli di cui troviamo la prima menzione nel preambolo del Trattato del 1957 e che ancora dobbiamo realizzare.
Il primo presidente della Commissione europea, Walter Hallstein, diceva che, per proseguire sulla via dell'integrazione politica, dovevamo compiere un atto di coraggio. Credo che accettare un referendum europeo sarebbe un grande atto di coraggio politico, che dobbiamo compiere nel 2009.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Boniver, che illustrerà anche la mozione Elio Vito ed altri n. 1-00120, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
MARGHERITA BONIVER. Signor Presidente, onorevoli membri del Governo, colleghi, lo spirito con il quale abbiamo presentato una mozione in occasione della celebrazione del cinquantenario dei Trattati di Roma è duplice. Anzitutto, essa potrebbe essere definita, in qualche modo, una sorta di mozione degli affetti, essendo nostra intenzione sottolineare fortemente non soltanto la bontà della costruzione dell'integrazione europea, ma anche il ruolo preponderante che, in tale processo, sin dall'inizio, l'Italia ha avuto. In secondo luogo, il nostro scopo è iniziare un dibattito molto stringente sui compiti principali e sulle sfide più urgenti che l'Unione europea dovrà affrontare nei prossimi decenni.
Noi abbiamo voluto descrivere gli obiettivi politici che dovranno essere perseguiti in futuro e che sono: la solidarietà, la prosperità, la sicurezza e, soprattutto, un ruolo propulsivo più omogeneo, più riconoscibile dell'Unione europea sulla scena internazionale.
L'obiettivo della solidarietà implica la costruzione di modelli sociali sostenibili, piuttosto che l'assistenzialismo costoso e burocratico che ha in qualche modo punteggiato anche una parte della costruzione europea.
L'obiettivo sicurezza vuol dire innanzitutto difesa per i cittadini e implica soprattutto il riconoscimento dei fondamentali diritti umani: il diritto alla vita e all'incolumità fisica, contro le minacce crescenti di un terrorismo internazionale che ha fatto proprio del territorio europeo uno dei suoi obiettivi preferiti.
Sicurezza vuol dire anche protezione dei cittadini, a partire dal bene inalienabile della salute; vuol dire attenzione alle politiche alimentari e della sicurezza energetica, alla prevenzione delle catastrofi naturali, mentre l'obiettivo dell'Europa sulla scena internazionale comporta quello che tutti abbiamo introiettato: Europa significa portatrice di pace, di stabilità e di sicurezza, soprattutto a partire dalle regioni confinanti.
È proprio con questo spirito che credo valga la pena di ripercorrere molto brevemente quali siano state le tappe della costruzione europea che risalgono addirittura al 1941, nella piccola isola di Ventotene, dove era confinato Altiero Spinelli, dove egli scrisse il «Manifesto di Ventotene», un documento immenso, che nasce nel momento di maggior conflitto in Europa e che rappresenta non soltanto una notevolissima pagina della visione federalista, ma proprio il motivo di fondo di un desiderio spasmodico di far sì che la catastrofe della guerra, così com'era stata conosciuta dalla prima guerra mondiale all'epoca, non abbia mai più a ripetersi.
Nel 1949 nasce poi il Consiglio d'Europa e nel 1951 la Comunità europea del carbone e dell'acciaio. Purtroppo inizieranno a verificarsi anche dei fallimentiPag. 7nell'integrazione europea, quale è stato quello che ha riguardato il tentativo di dare vita ad una Comunità europea di difesa.
È stato tuttavia proprio in Italia che viene compiuto quel salto di qualità nell'integrazione europea che avrebbe poi portato alla nascita della Comunità economica europea. A Messina infatti, nel 1955, a poco meno di un anno dalla scomparsa di Alcide De Gasperi (che era stato uno dei padri della costruzione europea, assieme a Jean Monnet, Robert Shuman e Konrad Adenauer), si svolse una conferenza destinata ad incidere profondamente sulla storia europea.
Il ministro degli esteri dell'epoca, Gaetano Martino, promotore della conferenza, e i suoi colleghi francese, tedesco, belga, dei Paesi Bassi e lussemburghese decisero, in quella conferenza, di tentare la prima via della integrazione economica come strumento per realizzare poi l'unione politica. Scaturì così, in seguito a quella conferenza, una tappa successiva a Venezia dove, nella primavera del 1956, venne approvato il «Rapporto Spaak», dal nome del ministro degli esteri belga che aveva presieduto i lavori del comitato intergovernativo istituito in seguito alle indicazioni della Conferenza di Messina.
I ministri degli esteri della «piccola Europa», come veniva chiamata all'epoca, autorizzavano la preparazione di due trattati: una sulla comunità europea dell'energia atomica, l'EURATOM, e uno sulla Comunità economica europea. Da qui la dicitura abituale di «Trattati di Roma», anche se l'EURATOM ha forse perso un po' della sua memoria storica nei confronti dei cittadini e dell'opinione pubblica in generale.
Quindi, Messina, Venezia e Roma, tre meravigliose città italiane, rappresentano le tappe fondamentali che hanno portato alla firma del Trattato, suggellata, come risulta dalle cronache dell'epoca, in una giornata di pioggia intensa che non impedì comunque lo svolgimento dei lavori e il raduno nella piazza del Campidoglio di migliaia di cittadini italiani che aspettavano l'annuncio della nascita del un trattato istitutivo di una delle più straordinarie costruzioni dell'integrazione economica e politica che il pianeta abbia mai conosciuto.
Vi sono stati molti tentativi di emulare l'Unione europea, soprattutto la comunità economica europea. Vi sono prestigiosissime organizzazioni regionali che, dall'America Latina al Medio Oriente, all'Asia, al Sud Est asiatico, hanno via via nei decenni tentato di emulare il successo straordinario della nostra Unione, ma nessuna di queste ha poi avuto il coraggio politico di procedere verso una sorta di spoliazione dei propri poteri interni, tipici delle nazioni-Stato, che poi sono alla base dell'integrazione politica.
Tanti sono anche i politici italiani che hanno reso questo processo così straordinario (hanno presieduto molti consigli dell'epoca), culminato il 29 ottobre 2004 con la firma del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa da parte dei rappresentanti dei 25 paesi (all'epoca; oggi sono diventati 27). Erano presenti il Presidente Ciampi ed il Presidente del Consiglio Berlusconi.
Nel 1975, Roma ospitò il Consiglio europeo che diede il via libera all'elezione a suffragio universale del Parlamento europeo ed all'istituzione di un passaporto unico, altra tappa molto importante (a presiedere, allora, fu il Presidente Aldo Moro).
Nel 1980, in un'altra epoca, in un quadro internazionale caratterizzato dalla recessione economica legata alla seconda crisi petrolifera, e nel contesto del dibattito sulla questione del contributo del Regno Unito, viene promossa la dichiarazione sul Medio Oriente, un vero e proprio pilastro da cui originerà poi la politica estera dell'Unione nei confronti di quella travagliatissima area del mondo.
Nel 1985 (il presidente dell'epoca era Bettino Craxi) a Milano venne allargata ulteriormente la comunità dei paesi membri. Diventano dodici, con l'ingresso di Spagna, Portogallo e Grecia, ma, soprattutto, viene infranto quel muro dell'unanimità del voto all'interno del Consiglio che aveva rappresentato uno degli ostacoliPag. 8maggiori all'integrazione economica e politica che poi fece un balzo in avanti, così come la conosciamo oggi.
Infine, nel 2004, avvenne un fatto di portata storica: venne sancita la fine della divisione tra l'Europa occidentale e l'Europa dell'Est, durata moltissimi decenni (tutti ricordiamo l'odiosa divisione in due blocchi del nostro continente ,che ha visto centinaia di milioni di persone vivere nella sopraffazione e nella violenza sotto regimi comunisti), con l'ingresso di paesi dell'ex blocco sovietico, come Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, più Cipro, Malta e Slovenia. Questi ingressi sanciscono la fine di una divisione odiosa, con una vera e propria ricostituzione del tessuto anche culturale e politico. Vi era anche un'orgogliosa rivendicazione che, purtroppo, non ha trovato spazio nel progetto di trattato per la Costituzione europea, delle radici giudaico-cristiane dei nostri popoli.
Nel 2007 si è avuto un nuovo allargamento con l'ingresso di Romania e Bulgaria e, negli anni futuri, il probabile ingresso della Croazia - anche se l'ultima, ingiusta e violentissima diatriba nei confronti del nostro Presidente della Repubblica Napolitano non la mette in buona luce ai nostri occhi - e, soprattutto, della Turchia, cosa che noi auspichiamo, potrà rendere l'Unione europea quello strumento assolutamente indispensabile sullo scenario internazionale, un vero e proprio colosso di democrazia e di rispetto dei diritti umani.
In conclusione, le sfide che attendono l'Unione europea e già scritte sull'agenda bruciante di questi mesi sono pur sempre: l'occupazione; la questione delle fonti energetiche, una vera e propria sfida nella quale credo che Angela Merkel nella celebrazione del 25 marzo si spenderà molto; la questione dell'immigrazione, che deve vedere tutti i paesi europei adottare delle politiche coordinate nei confronti di una vera e propria sfida epocale che vede riversarsi nei territori europei decine di milioni di persone provenienti soprattutto dal continente africano e dall'Asia; l'esigenza di colmare, infine, quel deficit di democrazia, come è stata pudicamente e un po' burocraticamente descritta una certa disillusione e una certa stanchezza, soprattutto da parte dell'opinione pubblica europea, che vede troppa burocrazia, troppa regolamentazione, troppa stabilità all'interno di regole non sempre comprese, spiegate e condivise.
Chiediamo, quindi, al Governo di riaffermare innanzitutto il ruolo trainante fin qui svolto dall'Italia e, in secondo luogo, vogliamo che questa rappresenti un'ennesima occasione per riaffermare molto orgogliosamente il valore delle nostre radici cristiane (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pini, che illustrerà anche la mozione Maroni e Pini n. 1-00123. Ne ha facoltà.
GIANLUCA PINI. La ringrazio, Presidente. Prima di iniziare le chiedo di segnalarmi lo scadere dei cinque minuti per l'illustrazione, avendo come gruppo poco tempo a disposizione e volendolo utilizzare per le dichiarazioni di voto successive.
Parto da una piacevole, seppur parziale, sorpresa registrata durante l'illustrazione da parte dei colleghi, in particolare dell'onorevole Gozi, il quale ha citato finalmente per la prima volta una volontà di giungere ad una eventuale nuova formulazione del testo costituzionale dell'Unione europea per sottoporlo poi ad un referendum a 360 gradi, ovvero consultando tutti i popoli che compongono l'Unione europea in questo momento. Ciò è sicuramente apprezzabile e rappresenta un passo in avanti in quel percorso democratico, che l'Unione europea deve sicuramente svolgere per poter essere in primis accettata dai cittadini come un'istituzione credibile, in secondo luogo perché obiettivamente vi è una carenza strutturale di democrazia all'interno delle istituzioni europee.
Siamo sempre stati accusati di essere euroscettici; in realtà, come abbiamo sempre sostenuto, siamo eurorealisti e non ci facciamo prendere in giro dal fumo negliPag. 9occhi, che qualcuno cerca di lanciare per sostenere che l'Europa è la panacea di tutti i mali.
Sicuramente il concetto di Europa, emerso alla fine della seconda guerra mondiale e nel decennio successivo e la formulazione che se ne è data cinquant'anni fa tendevano a superare gli orrori delle due guerre mondiali.
Si è rimasti purtroppo agganciati a quell'ideale di Europa e non si è fatto alcun passo in avanti per capire che le sfide odierne sono ben diverse, perché non provengono soltanto dall'interno degli Stati membri, ma soprattutto dall'esterno, dalla concorrenza sleale di determinati paesi del sud-est asiatico e dell'Asia, dalla spinta migratoria del sud del mondo. Sono aspetti che l'Europa in questo momento non tiene in alcuna considerazione, tant'è che dal Parlamento abbiamo più volte sollecitato l'Europa ad occuparsi dei problemi, ad esempio, dell'immigrazione clandestina in maniera unitaria, ma siamo sempre stati lasciati soli.
Ci lascia allora perplessi questa «corsa» a volere essere più europeisti degli altri, a voler fare i «primi della classe», soprattutto quando vi sono cerimonie solenni in cui vengono rilasciate dichiarazioni pompose che, tuttavia, sono abbastanza sterili. In questa corsa, però, non si tiene conto che vi sono molti ostacoli che andrebbero superati per rendere effettiva la democrazia all'interno dell'Unione europea.
Condanniamo politicamente la vacuità dei (a questo punto così possiamo definirli) «non contenuti» presenti nelle altre mozioni. È stato fatto, a nostro avviso, un esercizio di «passerella» politica in onore della solennità dell'anniversario di cinquant'anni, che ricorrerà domenica prossima, per andare a Berlino affermando di sostenere sempre e comunque l'Europa, senza considerare quali danni e quali pesi graveranno sullo Stato italiano e in particolare, per quanto ci riguarda, sui cittadini della Padania.
La dimostrazione sta nell'inconsistenza e assenza di contenuti delle mozioni presentate e anche nella risoluzione approvata al Senato, che ci lascia veramente sbigottiti in merito al programma di lavoro delle Commissioni e della Presidenza, perché impegna ad un rilancio dell'Unione verso i valori di democrazia, progresso economico, coesione, solidarietà sociale, sicurezza e rispetto ambientale: sono tutti punti talmente ineccepibili, che non occorre una risoluzione per assumerli ad impegno. Sarebbe stato possibile andare oltre e cercare di fornire un vero indirizzo, come abbiamo cercato di fare noi, così da fornire un serio contributo al processo di integrazione dell'Unione europea, se integrazione deve essere.
Tralascio alcune considerazioni che svolgeremo in fase di dichiarazione di voto, ma aggiungo che, poiché vogliamo dare un contributo, nel dispositivo della mozione da noi presentata chiediamo a chiare lettere di sollecitare in tutte le sedi opportune e presso gli altri partner europei una profonda revisione del testo costituzionale proposto e non un aggiustamento, come la presidente Merkel ha anticipato, dato che non sarebbe altro che una «brutta copia» di qualcosa già bocciato da quei paesi che hanno avuto la possibilità di farlo.
È necessario promuovere una vera partecipazione dei popoli europei perché nella futura integrazione dell'Europa la società civile dovrà essere protagonista, ma soprattutto perché serve assumere iniziative per sottoporre al giudizio dei cittadini italiani un'eventuale futura elaborazione del Trattato costituzionale tramite un apposito referendum popolare. Non si può prescindere da una richiesta di democrazia in Europa senza applicare un minimo di democrazia all'interno del nostro paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elia, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00127. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, la nostra politica estera e quella europea dovranno sempre più confrontarsi con le cause strutturali di instabilità e guerre, che avvengono ai nostri confini europei e che sono dovutePag. 10innanzitutto all'ideologia nazionalista, al mito della sovranità assoluta dello Stato nazione, oltre che alla realtà di regimi assolutisti, fondamentalisti ed illiberali.
È urgente, se non è già troppo tardi, costruire un'alternativa politica, strutturale e concreta ad uno stato delle cose che rischia di travolgere tutto, non solo quel luogo detto Medio Oriente, ma anche la nostra tranquilla Europa. Insomma, occorre perseguire la pace non come evocazione, mera petizione di principio, ma come struttura ed organizzazione del mondo a partire dal nostro, che non può essere più solo l'Europa, ma deve essere l'Europa e il Mediterraneo.
È questo il senso del manifesto-appello per un Satyagraha mondiale per la pace, lanciato dal Partito radicale e da Marco Pannella e rivolto innanzi tutto all'Europa e poi a tutto il sud del Mediterraneo, dove affondano le radici della storia e della cultura europee, che non sono solo cristiane, ma anche pagane, classiche, greco-romane, bizantine, giudaiche, arabe ed egiziane.
Occorre avere una visione paragonabile almeno a quella che ha animato il sogno federalista europeo dei primi anni quaranta, del Manifesto di Ventotene, di Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, che sono stati i pionieri della Comunità europea, come alternativa politica, istituzionale e giuridica alla realtà strutturale di Stati nazione, che avevano provocato il nazismo e gli unici conflitti a carattere mondiale dell'era moderna, tutti situati nel continente europeo, nell'Europa di allora, divisa da Stati nazionali indipendenti e sovrani, la cui indipendenza e sovranità nazionale sono state la causa prima di guerre fratricide ed intestine in seno alla Comunità europea.
La nascita della Comunità europea di Stati democratici, che hanno rinunciato a quote di sovranità nazionale, è stato l'antidoto, l'alternativa strutturale che ha portato la pace nel continente europeo. Se oggi vogliamo avere una nuova visione federalista e democratica, immaginare un destino nel senso di scenario futuro, di destinazione dell'Europa non è più nell'ambito del continente, perché lì semmai l'Europa va in crisi e rischia di morire a furia di allargamenti e adesioni di paesi del continente: la missione dell'Europa non è più verso est, ma verso sud, nell'area del Mediterraneo, dove affondano le radici della storia e della cultura locale, in particolare in quel lembo di terra chiamato Palestina, dove sono nate le tre grandi religioni monoteiste e che oggi coincide con quel focolaio di crisi e di guerre; l'unica parte del mondo, che negli ultimi tempi ha conosciuto periodicamente, ma costantemente, il dato strutturale del conflitto fra nazioni e fazioni, che rischia di propagarsi a livello mondiale.
Come nell'Europa degli anni quaranta, il dato strutturale degli Stati nazionali, ideologie, aspirazioni ed illusioni nazionaliste è la causa prima delle guerre, è ipoteca contro lo sviluppo civile e democratico della regione mediorientale.
Solo quando Israele, la Palestina - non nella formula «due Stati due popoli», ma «due Stati democratici», tra cui anche quello futuro palestinese - il Libano, la Giordania, con la Turchia ed il Marocco potranno sentirsi parte di un'unica comunità umana, civile, politica, giuridica ed economica, nella quale popoli e persone potranno godere degli stessi diritti civili, politici e sociali, avremo posto le basi di una pace vera, giusta e duratura. Non è quindi a nord o ad est, ma a sud, nel Mediterraneo, la nuova frontiera dell'Europa, la nuova missione e il sogno rigenerato del federalismo europeo.
Prima che Israele, Palestina, Libano, Giordania, Marocco, questa visione deve coinvolgere innanzitutto l'Europa, la sua politica estera e di difesa, ma soprattutto le istituzioni europee, che oggi non sono all'altezza di una tale missione innanzitutto per il deficit democratico che le caratterizza.
La celebrazione del cinquantenario dei trattati deve essere allora l'occasione non certo per dispiegare l'ennesima prova di retorica europeista, alla quale si accompagna immancabilmente un rafforzamento dei connotati nazionali e burocratici dell'Unione,Pag. 11ma per riprendere l'iniziativa verso l'Europa politica, federalista e democratica.
Come radicali al Parlamento europeo abbiamo proposto nei giorni scorsi una misura concreta di partecipazione diretta dei cittadini alla vita istituzionale europea. Abbiamo infatti iniziato la raccolta di firme dei parlamentari europei su una dichiarazione scritta, che chiede che le future proposte di riforma dei trattati dell'Unione siano innanzitutto sottoposte alla votazione dei cittadini tramite un referendum europeo, cioè a suffragio universale diretto, al quale siano cioè chiamati contemporaneamente tutti i cittadini europei. Considerata l'importanza delle scelte di fondo dell'Unione europea per tutti i suoi cittadini, riteniamo che le decisioni sulle riforme dell'Unione debbano implicare direttamente il popolo europeo in quanto tale.
In vista del voto della primavera del 2009 per l'elezione del Parlamento europeo è prioritario intraprendere un percorso per porre rimedio al deficit democratico europeo, rafforzando la partecipazione democratica dei cittadini, la funzione legislativa del Parlamento e, più in generale, la protezione dei diritti sociali e civili a livello europeo. A tal fine svolgerà un ruolo di primaria importanza la Conferenza dei Capi di Stato e di Governo, che avrà luogo a Berlino il 25 marzo prossimo in occasione del cinquantenario dei Trattati di Roma. In quella occasione sarà adottata la dichiarazione di Berlino, che diverrà fondamentale per il futuro dell'Europa. È in atto una campagna a livello europeo, sia tra i cittadini dell'Unione che a livello del Parlamento europeo, per promuovere questo referendum consultivo dei cittadini europei, al fine di valutare se esista un consenso generalizzato sulla direzione che prenderà il cammino di integrazione europea.
Noi chiediamo al Governo italiano - in tal senso va la mozione che abbiamo depositato - di farsi quindi promotore a livello europeo di un'iniziativa affinché, ripeto, le future proposte di riforma dei trattati dell'Unione siano sottoposte alla votazione dei cittadini tramite un referendum europeo che sia a suffragio universale, cioè non avvenga paese per paese separatamente, ma coinvolga contemporaneamente tutti i cittadini europei. Auspichiamo che questi ultimi siano chiamati a pronunciarsi sul futuro e - lo spero - anche su una missione dell'Europa, che svolge un ruolo fondamentale per la soluzione di crisi e di conflitti rispetto ai quali non possiamo rimanere indifferenti, perché avvengono alle nostre porte e coinvolgono la sicurezza e la pace non soltanto nei luoghi dove gli stessi avvengono, ma anche nel cuore dell'Europa (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Franco Russo. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor Presidente, il 16 e il 17 giugno del 2005, a conclusione del Consiglio europeo, i Capi di Governo e di Stato presero atto del «no» francese e olandese. Quel «no» era innanzitutto rivolto al metodo con cui il Trattato costituzionale era stato redatto - cioè dai Governi attraverso le Conferenze intergovernative - nonostante che in quell'occasione, così come nell'elaborazione della Carta di Nizza, il Consiglio europeo aveva demandato ad una convenzione il compito di preparare un testo. Tuttavia i decisori, come ebbe a dire la Corte costituzionale tedesca, i signori dei trattati, cioè i Governi e gli Stati avevano pur sempre l'ultima parola, il potere decisionale. Per questo i cittadini francesi ed olandesi - in una campagna che ha visto la diffusione del Trattato costituzionale in tutte le librerie e in tutte le edicole, con un lavoro capillare di discussione e di confronto - coscientemente hanno detto «no» al Trattato costituzionale.
Era un «no» non soltanto al metodo, carente da un punto di vista democratico, ma anche - come ricordava il collega Sandro Gozi - ai contenuti del Trattato costituzionale. Quest'ultimo, dopo la prima parte, che descrive i metodi decisionali, e la seconda, che sancisce la carta di Nizza, nella terza statuisce le politichePag. 12di mercato dell'Unione europea. Per questo i capi di Stato e di Governo presero atto politicamente che era impossibile continuare nel processo di ratifica e si presero un anno di tempo - che poi diventarono quasi due - di riflessione. Oggi la signora Angela Merkel è impegnata in un rilancio del Trattato costituzionale e a redigere questa solenne dichiarazione in occasione dell'importante anniversario dei cinquanta anni del Trattato di Roma. . Mi consenta tuttavia di osservare, Presidente, che nessuno conosce questa solenne dichiarazione; essa è ancora una volta il frutto delle decisioni e delle deliberazioni dei governi. Quindi prevale ancora una volta il metodo intergovernativo.
Penso, signor Presidente, che arrivati a cinquanta anni dalla firma dei Trattati di Roma e a più di cinquant'anni della dichiarazione Schuman (esattamente il 9 maggio del 1950), occorrerebbe che l'Europa facesse - come ebbe a dire lo stesso Schuman - un'«atto ardito»: finalmente i governi non dovrebbero più servirsi semplicemente delle convenzioni per stabilire le decisioni in relazione all'ordinamento costituzionale dell'Europa e a i contenuti della Costituzione europea, bensì delle istituzioni rappresentative, innanzitutto il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali.
Questo è il primo punto, Presidente, su cui voglio richiamare l'attenzione: il metodo intergovernativo ha fatto il suo tempo e noi oggi siamo chiamati al passaggio dai Trattati alla Costituzione. L'Unione europea è un mixtum compositum con caratteristiche per un verso di ordinamento sottoposto ad un dominante regime internazionalistico, per l'altro di un ordinamento interno. Onorevoli colleghi, il punto di fondo è però che, finché i Trattati saranno la base del funzionamento dell'Unione europea, saranno sempre dominati dagli Stati. Per questo, secondo me giustamente, l'onorevole Spinelli nel 1984 aveva proposto una Costituzione al Parlamento europeo e dieci anni dopo l'onorevole Hermann, socialdemocratico, propose un altro testo costituzionale. Ambedue i testi furono approvati dal Parlamento europeo, ma vigendo ancora il regime internazionalistico e non avendo quest'ultimo il potere di decidere, sono stati lasciati decadere.
Presidente, termino affermando che questo è un passaggio storico. I governi dovrebbero compiere questo «atto ardito», vale a dire ritrarsi e affidarsi alle istituzioni rappresentative, ma soprattutto alle cittadine e ai cittadini europei. Rifondazione Comunista - Sinistra Europea è pienamente d'accordo su questo. È naturale che, dopo che le istituzioni rappresentative del popolo europeo abbiano deliberato su un testo costituzionale, le cittadine e i cittadini europei siano chiamati con un referendum a decidere sul testo costituzionale. Questo sarebbe anche un modo per costruire il popolo europeo.
In definitiva noi siamo d'accordo con il referendum. Viviamo in una fase in cui è giusto ormai passare ad un processo davvero costituente, in cui i governi siano messi - anzi dovrebbero farlo essi stessi - da un canto e siano invece esaltati i processi democratici.
Per quanto riguarda i contenuti, questi non possono sancire le politiche liberiste dell'Unione europea e quelle di mercato, ma debbono ispirarsi al famoso articolo 16 della Carta costituzionale del 1789, che afferma che la normatività, la divisione dei poteri e soprattutto i diritti sono la base caratterizzante di una Costituzione. La ringrazio, Presidente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, viviamo tempi difficili, anche se oggi, fortunatamente, è arrivata una bella notizia. Mi riferisco alla liberazione di Daniele Mastrogiacomo, per la quale voglio rivolgere un plauso non solo al Governo, ma a tutta la comunità italiana che ha sostenuto tale sforzo; all'interno di questa grande comunità, esprimo un particolare apprezzamento ad Emergency ed al suo fondatore, Gino Strada.
Detto ciò, vorrei rilevare che abbiamo un rischio davanti a noi. Si tratta delPag. 13rischio di ripeterci, anche se devo riconoscere che le mozioni oggi al nostro esame - pur con qualche accentuazione diversa e con qualche tono che, talvolta, mette in imbarazzo -, alla fine, pervengono ad una sostanziale convergenza. Esse, infatti, chiedono al nostro Governo di impegnarsi affinché garantisca quel ruolo che gli è sempre stato peculiare, vale a dire essere soggetto propulsore del dispiegarsi di quelle politiche comunitarie che hanno visto l'Italia sempre al centro di un processo di integrazione e di cooperazione lungo mezzo secolo.
Ricordo che, durante tale periodo, sono stati raggiunti traguardi sempre più ambiti ed impensabili cinquant'anni fa. Una puntuale analisi dell'evolversi dei fenomeni giuridici di natura sovranazionale non può, dunque, non tenere nel giusto conto le radici storiche che sottendono tutti i grandi processi di trasformazione giuridico-sociale ed ordinamentale.
Vorrei soffermarmi un attimo su queste ultime, sapendo che il tempo a disposizione è quantomai esiguo. Ritengo innanzitutto doveroso, tuttavia, ribadire, al fine di responsabilizzare il nostro impegno in ambito comunitario, come l'attuale Unione europea sia stata ideata e voluta allo scopo di assicurare pace e benessere, dopo secoli segnati da indicibili violenze e crudeltà, culminati, dopo un primo conflitto mondiale, in una seconda e ancora più atroce guerra, frutto di perverse ideologie.
Suggestiva ed emblematica, a tale riguardo, è l'immagine evocata da un noto scrittore inglese, Siegfried Sassoon, il quale, alla fine della seconda guerra mondiale, così descriveva lo scenario: «Schiere di volti grigi, mormorati, mascherati di paura lasciano le trincee, risalgono la cima del fossato, mentre il tempo, vuoto ed affannato, batte ai loro polsi e la speranza, insieme con gli sguardi furtivi ed i pugni stretti, si dibatte nel fango (...)». Ricordo, inoltre, che uno dei più lucidi storici contemporanei, Eric Hobsbwm, così descriveva il Novecento, in particolare i suoi primi cinquant'anni: «L'epoca più violenta della storia dell'umanità».
È in questo quadro di profonde lacerazioni e distruzioni che l'Italia, però, ha trovato la forza e lo slancio per risollevarsi. L'Italia è uno dei sei Stati fondatori della Comunità europea. Sei Stati, un tempo divisi, diversi per tradizione e dimensione, ma uguali nei loro diritti e nei loro doveri; Stati che rappresentano ancora oggi, all'interno dell'Unione europea, non certo una gerarchia sovraordinata, ma i «custodi» ed i «garanti» di un'indispensabile memoria storica, che ci ha sorretto e guidato fino ad oggi.
Poiché il tempo stringe, concludo il mio intervento richiamando, in questa sede, le apprezzabili parole, segno di impegno e di civiltà, pronunciate dal Cancelliere tedesco, Angela Merkel, la quale, nel descrivere le tematiche da affrontare a Berlino, ha sottolineato l'impegno dell'Unione europea per il perseguimento della pace, nonché la volontà di contribuire attivamente per sostenere lo sviluppo dei paesi islamici.
Noi del gruppo Italia dei Valori ribadiamo, pertanto, il nostro sostegno ad una politica comunitaria autentica, caratterizzata da ampie intese, nel quadro di un impegno comune volto ad un multilateralismo attivo e democratico. Ciò che auspichiamo e che ci prefiggiamo di raggiungere è il perfezionarsi di una politica comunitaria, come già detto, «autentica», vale a dire più vicina alle esigenze dei singoli cittadini, prevedendo, altresì, un maggiore accostamento delle politiche europee a quelle nazionali, considerando che le questioni europee sono, sostanzialmente, affini a quelle interne (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mancini. Ne ha facoltà.
GIACOMO MANCINI. Presidente, onorevoli colleghi, la mozione di cui sono cofirmatario, che oggi stiamo discutendo e che ci accingiamo a votare nel corso di questa settimana, evidenzia e riafferma gli obiettivi che l'Italia, insieme agli altri Stati membri dell'Unione europea, si è prefissata ormai da anni di raggiungere.
Cinquant'anni fa sono stati firmati a Roma i Trattati istitutivi delle ComunitàPag. 14europee: l'Italia, insieme agli altri cinque paesi fondatori, il Belgio, la Francia, la Germania, il Lussemburgo e i Paesi Bassi, ha concordato e costruito le fondamenta per realizzare un'Europa unita, capace di assicurare ai propri cittadini il progresso economico, sociale e civile.
Il progetto europeista ha radici storiche molto più profonde che rimandano ad un sentire comune che nel tempo ha permesso di ridefinire i mezzi più idonei per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi. La traiettoria europeista ha sempre ispirato l'azione dei dirigenti socialisti, del PSI di prima e dello SDI di oggi.
Mi piace ricordare in questa sede l'esempio, l'azione e l'opera di Eugenio Colorni, che, con la sua partecipazione all'elaborazione del Manifesto di Ventotene, ha lanciato l'idea degli Stati uniti d'Europa, che rappresenta un elemento di dibattito centrale rispetto alle prospettive che il nostro paese deve contribuire a realizzare.
Il 25 marzo è una data importante, sia perché si celebra, come accennato, la nascita della Comunità economica europea, sia, e ancora di più, perché in quella data i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri dell'Unione europea adotteranno una dichiarazione politica solenne sul futuro dell'Europa. In quella sede verrà ribadita l'importanza di individuare un percorso che consenta all'Unione di consolidarsi e questo consolidamento richiede che l'Europa elabori ed adotti una Costituzione conforme alle esigenze degli Stati membri, della comunità civile europea nel suo complesso e al ruolo svolto dall'Europa nella comunità internazionale.
La vocazione europeista trova ulteriori riscontri nei valori contenuti nella nostra Carta costituzionale, e gli obiettivi e gli interessi di politica interna ed internazionale del nostro paese non possono trovare collocazione ed espressione se non nella dimensione europea della nostra politica. I tragici fatti che in questa fase storica si registrano con una ripetitività anche drammatica stanno qui a ricordare che la bussola che dovrà seguire non potrà prescindere da tutto questo, perchè, se così dovesse accadere, tutto ciò rischierebbe di essere in qualche modo drammaticamente anacronistico.
Occorre, perciò, guardare avanti nella consapevolezza che l'attuale architettura istituzionale non consente all'Unione a 27, come del resto è stato evidenziato nella mozione che abbiamo presentato, e che da par suo è stata illustrata dalla collega, onorevole Bimbi, il mantenimento del suo standard di operatività.
Quindi, l'Unione europea deve poter disporre di strumenti idonei per affrontare in modo tempestivo, ed insieme efficace, i bisogni e le attese dei cittadini europei nel campo della sicurezza, della giustizia, della politica estera, della difesa e delle politiche sociali.
Occorre inoltre che l'Unione sia in grado di formulare e, soprattutto, di attuare e di rendere operative strategie per rispondere ai più urgenti problemi globali; come la lotta al terrorismo e alla povertà, la salvaguardia dell'ambiente, i mutamenti climatici, le questioni energetiche. Sono queste le priorità che, a mio avviso, il Parlamento deve avere presenti.
Questo Governo si è adoperato fin dall'inizio per fare in modo che il sostegno propulsivo dell'Italia all'Unione europea non venisse mai meno. Da questo punto di vista, è merito dell'attuale Governo avere anche smussato quelle difficoltà, quegli attriti, quelle incomprensioni che, nel recente passato, sono emersi tra il nostro paese e gli altri partner europei, a causa di una nostra inclinazione - registratasi durante il Governo precedente - verso una partnership con gli Stati Uniti d'America.
Per tale motivo siamo convinti che l'esecutivo saprà valorizzare quanto contenuto in questa mozione, fornendo il massimo contributo affinché la dichiarazione politica, che sarà adottata a Berlino il prossimo 25 marzo, fornisca le basi per fare dell'Unione europea un soggetto efficace nella politica estera. Questa è la sfida nella quale il nostro paese non può essere assente anzi, al contrario, deve ambire ad essere ancora di più protagonista.
Occorre creare un soggetto europeo che possa contribuire alla definizione diPag. 15un futuro differente, migliore e di pace rispetto ai nuovi e difficili equilibri planetari. Questo è l'obiettivo che deve guidare il nostro Governo: la volontà di edificare un soggetto in grado di stabilire ed attuare un percorso di crescita economica e sociale per tutti gli Stati membri, avendo chiaro che il fine da perseguire è quello di consegnare ai cittadini della nuova Unione europea più diritti e più occasioni di crescita e avendo presente che ciò deve riguardare soprattutto i cittadini più deboli.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cassola. Ne ha facoltà.
ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghe e colleghi, siamo qui a chiederci cosa sarà dell'Europa nel prossimo futuro, proprio in attesa della dichiarazione di Berlino di domenica prossima.
Sfortunatamente, dopo i «no» francesi e olandesi, man mano che passa il tempo, le divergenze che riguardano le riforme istituzionali dell'Unione europea stanno crescendo; infatti, i britannici, i polacchi, i ciechi, hanno irrigidito le proprie posizioni. Questi paesi concordano con le posizioni di Nicolas Sarkozy e si stanno battendo per un'Europa intergovernativa, meno integrata e più debole.
Ebbene, la grande sfiducia nelle istituzioni del popolo europeista si è maggiormente evidenziata proprio a partire da Nizza, nel 2000, quando la Conferenza intergovernativa si ridusse ad un mercanteggio rozzo dell'ultimo minuto, dietro porte fermamente chiuse e sbarrate.
Dobbiamo combattere questa tendenza volta a ridurre le istituzioni europee al minimo comune denominatore. Noi Verdi siamo convinti del fatto che ci vuole più Europa se vogliamo influire in maniera positiva sulla vicenda del mondo.
Se ci guardiamo intorno, vediamo che ci sono varie tragedie che hanno sconvolto il mondo in questi ultimi quindici anni. Basti pensare ai genocidi in Ruanda, in Bosnia, in Kosovo, alla guerra in Iraq (basata su premesse false), alle stragi in Afghanistan, agli eccidi in Darfur, in Somalia, in Eritrea, per non parlare dell'annosa questione del Medio Oriente.
Ebbene, queste tragedie umanitarie sono avvenute anche perché all'Unione europea è venuta a mancare una voce ed un'azione unitaria nel corso dei tempi.
Bastino come esempi i casi della Jugoslavia o quello, eclatante, dell'Iraq; con riferimento a quest'ultimo, infatti, mentre i Governi Blair e Berlusconi hanno immediatamente abboccato all'esca bugiarda e menzognera confezionata dal Governo Bush, i Governi Schroeder e Chirac se ne sono tenuti fuori. Mi domando se, anziché lasciarsi andare ad atteggiamenti unilateralistici, l'Europa avesse parlato con una voce, avremmo avuto lo stesso esito drammatico e sanguinario in Iraq? Forse, non l'avremmo avuto! Peraltro, ancora adesso, corriamo lo stesso rischio per quanto riguarda l'Iran, se l'Europa non si unisce per parlare all'unisono, ad una voce.
Quindi, tornando al metodo di riforma delle istituzioni europee, l'Italia dovrebbe rifiutare il metodo intergovernativo e farsi, invece, promotrice di un'Europa aperta e trasparente dove le grandi decisioni vengano ratificate dal popolo tramite lo strumento del referendum. Sfortunatamente, il cosiddetto «metodo degli sherpa», utilizzato nei sei mesi di presidenza tedesca tuttora in corso, non è foriero di grandi aspettative in quanto si traduce in negoziati segreti, a porte chiuse, tra burocrati di Stato.
Tutto si sta svolgendo in gran segreto e prima di giugno la popolazione europea non saprà pressoché niente di quanto i propri Governi stanno confermando alla Merkel; quando poi, a giugno, la Presidenza tedesca renderà pubbliche le conclusioni di queste consultazioni, è molto probabile che ci troveremo dinanzi ad un testo ridotto al minimo comune denominatore per non urtare le diverse sensibilità nazionali. Infatti, già abbiamo avuto qualche avvisaglia informale di tale evenienza; l'8 marzo scorso la Merkel, infatti, ha dato ad intendere che proporrà un trattatoPag. 16ridotto - non una Costituzione! - da ratificare entro febbraio 2008 e senza alcun referendum.
Ebbene, su questo sfondo che prospetta un indebolimento generale dell'Europa, io credo fermamente che il Governo italiano debba assumere una posizione molto più ambiziosa per il nostro continente. Che ci piaccia o no, i prossimi anni vedranno la presenza di ben quattro superpotenze economiche e politiche - Stati Uniti, Cina, Russia ed India -: se l'Europa vuole contare qualcosa in questo panorama futuro, non può permettersi il lusso di rimandare ad infinitum la propria riforma istituzionale. Il Governo Prodi, con la sua dichiarata vocazione ad un tempo europeista e multilateralista, potrebbe e dovrebbe fare da motore trainante per tutti coloro che vorrebbero vedere un'Europa forte e unita in grado di incidere positivamente a favore della pace, della sicurezza e di una maggiore equità nel mondo (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
PRESIDENTE. Avverto che la mozione Bimbi ed altri n. 1-00113 è stata ulteriormente riformulata dai presentatori; il relativo testo è in distribuzione.
Avverto altresì che la mozione Gozi ed altri n. 1-00114 è stata riformulata e che, inoltre, la mozione Bimbi ed altri, nella nuova formulazione, è stata sottoscritta anche dal deputato Gozi. Il nuovo testo della mozione Gozi ed altri n. 1-00114 è in distribuzione.
È iscritto a parlare l'onorevole Razzi. Ne ha facoltà.
ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, in occasione del cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma che hanno istituito la Comunità europea, sottoscritti, nel 1957, dai primi sei paesi fondatori, i Capi di Stato e di Governo dei paesi che oggi fanno parte dell'Unione europea adotteranno una solenne dichiarazione sul futuro dell'Europa e delle sue istituzioni.
Riteniamo che, in tale occasione, a Berlino, luogo scelto per lo svolgimento dei lavori, gli attuali ventisette paesi che costituiscono la Comunità europea debbano superare ogni possibile dubbio e rilanciare i valori e le priorità della Comunità europea, che costituisce l'unico futuro possibile per lo sviluppo delle nostre società; sviluppo economico, di benessere, ma soprattutto sviluppo culturale e civico, che si potrà evolvere solo fondandosi su valori quali la pace - l'instancabile ricerca della pace tra i popoli -, la solidarietà, la convivenza tra le diversità ed il multiculturalismo, il dialogo democratico, la garanzia della sicurezza dei cittadini.
Crediamo che la politica di allargamento dell'Unione, che ci ha portati ad una situazione così complessa, faccia parte di una corretta visione del mondo e del futuro. Non ci deve spaventare la complessità, anzi essa deve stimolarci a trovare le giuste dimensioni per garantire la migliore convivenza possibile tra le donne e gli uomini dell'Unione, ponendo sempre al centro della nostra attenzione i cittadini; dobbiamo sforzarci di creare tutte le possibili occasioni per porre questi ultimi in primo piano, quali protagonisti del percorso di rafforzamento delle politiche dell'Unione, protagonisti consapevoli, e non semplici spettatori. Per far ciò è necessario che l'Europa sia un grande edificio culturale, denso di storia e di prospettiva, centrale nel panorama internazionale e vivo, poiché in questo edificio trovano casa le idee, i valori ed i sogni dell'umanità intera per il prossimo futuro, un edificio rassicurante, la casa di milioni di cittadini laboriosi e creativi, che coltivano la volontà di migliorare le proprie condizioni, ma anche quelle dei «mondi vicini», consapevoli del fatto che il benessere o sarà di tutti o non sarà di nessuno.
Il benessere, infatti, è un valore e può essere vissuto come tale se condizionato e diffuso, altrimenti potrà essere solo mera condizione di solitudine, in quanto si è soli anche nella ricchezza e nel benessere: si è fondamentalmente soli ed infelici e noi emigrati lo sappiamo bene.
È, quindi, questa l'Europa che sogniamo per i nostri figli: una grande casa in cui le parole emigrazione ed integrazione non abbiano più senso, perché superatePag. 17e sostituite da una parola unica, ossia cittadinanza; cittadinanza che rispetta diritti e doveri e che sia frutto di un patrimonio di valori e di cultura. Si tratta, dunque, di un'Europa di cittadini che stanno bene e che sanno stare bene insieme.
Signor Presidente, concludo il mio intervento preannunziando il mio voto favorevole sulla mozione Bimbi n. 1-00113
(Nuova formulazione) e ribadendo l'invito al Governo a favorire il rilancio e la conclusione del processo costituzionale europeo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Venier. Ne ha facoltà.
IACOPO VENIER. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, siamo di fronte all'importante appuntamento dell'anniversario dei Trattati di Roma, ma dobbiamo dire chiaramente che l'Europa si presenta ferma in un pantano da cui è difficile uscire, se non con grande determinazione e coraggio ed anche con una visione chiara della rotta, della strada che dobbiamo perseguire. Tale pantano è frutto della mancanza di coraggio.
Altri colleghi lo hanno già detto: nel 2000, a Nizza, l'Europa di centrosinistra - ricordo che a quel tempo il 90 per cento dei Governi europei era di centrosinistra - non ebbe il coraggio di approfondire l'integrazione politica nel momento in cui lanciava la sfida dell'allargamento e su questa difficoltà strutturale è intervenuta l'Europa di «serie B», l'Europa della destra, di Blair, di Berlusconi, di Bush, di Barroso, di queste «B» che si sono unite. Nel momento in cui l'Europa ha dovuto affrontare la sua prima grande sfida con la nuova fase del conflitto nel mondo, ha trovato Bush in grado di costruirsi un'alleanza in questa Europa filo-statunitense, contro l'integrazione politica, ed il nostro paese ha tradito il suo mandato storico.
È dunque incredibile che i colleghi del centrodestra che sono intervenuti in precedenza rivendichino la continuità di una politica che proprio loro hanno interrotto negli anni di Governo del centrodestra, conducendo l'Italia ad essere portatrice di sabotaggio politico nelle istituzioni europee. Oggi ci troviamo di fronte ad una nuova sfida, ossia di fronte alla possibilità di ripartire e pertanto, oltre ai ricordi e alle celebrazioni, noi vorremmo che il nostro Governo fosse parte di decisioni che possano essere ricordate, tra cinquanta anni, con anniversari. Oggi serve coraggio ed anche - e soprattutto - una spinta: sappiamo quali sono le resistenze; vi sarà la dichiarazione, poi una pausa, in attesa dell'esito delle elezioni presidenziali francesi e di sapere se tali elezioni potranno darci la possibilità di proseguire verso l'approvazione dei testi di cui necessitiamo.
Vorrei semplicemente dire che voteremo a favore della mozione Bimbi n. 1-00113
(Nuova formulazione) e della mozione Gozi n. 1-00114
(Nuova formulazione).
Noi conferiamo al nostro Governo un mandato concernente questioni sostanziali: abbiamo bisogno di veri passi in avanti verso l'integrazione politica, che abbia come obiettivo la costruzione di un'Europa federale, in cui vi sia un governo dell'economia, un Parlamento europeo che possa decidere sulle grandi tematiche, anche dal punto di vista del bilancio (la grande questione aperta) e delle risorse necessarie per fare politica.
Abbiamo ascoltato con piacere gli interventi di Blair e della Merkel sulle questioni ambientali, ma per fare politica ambientale occorrono risorse. Occorre costruire una nuova dimensione della politica europea.
Inoltre, abbiamo bisogno di un'Europa autonoma sul piano internazionale. L'integrazione con la NATO non funziona, come dimostra la vicenda afghana. Occorre un'Europa autonoma anche sul piano della difesa. Non abbiamo problemi a dirlo: anche sotto questo profilo, non possiamo essere vincolati da un cordone ombelicale che ci lega ad un altro interesse geopolitico che non consente all'Europa di essere portatrice di un'opzione di pace nel mondo.Pag. 18
Infine, occorre costruire un'Europa democratica. Da questo punto di vista, sono stati compiuti dei passi in avanti: la Convenzione è stata un elemento innovativo che ha superato in parte l'elemento intergovernativo. Tuttavia, è necessario immettere democrazia nei processi di decisione.
Siamo d'accordo con l'indizione di un referendum che sancisca, ad esempio, il fatto che la Costituzione europea sarebbe ratificata sul piano dei numeri già con gli attuali Stati che hanno proceduto a detta ratifica. Quindi, occorre legittimare una cittadinanza europea, che chiaramente non assorbe la cittadinanza dei singoli paesi, ma che si accompagni ad essa, costruendo un nuova dimensione politica.
Ci dobbiamo confrontare su questi aspetti ed il nostro paese ha un ruolo d'avanguardia, ossia quello di stimolare, di avere coraggio, di portare un punto di vista più avanzato. Altri paesi, purtroppo, frenano questo processo e non lo fanno sicuramente nell'interesse dei cittadini europei, ma per la difesa antiquata di un'idea di sovranità nazionale che è superata dalla storia dei fatti e che non si potrà mai più ricostituire. La vera sovranità, anche a livello di processi democratici, non potrà che determinarsi sul piano continentale.
Il nostro Governo ha fatto molto affinché la dichiarazione di Berlino fosse impegnativa, ma i problemi emergeranno dopo questo anniversario, nel momento in cui essa dovrà essere attuata. Credo che in quel momento dovremmo trovare la forza di affermare di nuovo l'opzione finale, ossia stabilire dove andiamo e dove arriverà l'Europa del domani. L'Italia, quindi, deve dichiararsi a favore di un'Europa realmente costituita sul piano federale.
Credo ci sia bisogno di un dibattito anche sul piano della rappresentanza. Mi avvio alla conclusione: l'Europa non serve solo ai capitali e ai mercati. O spiegheremo ai nostri cittadini, ai lavoratori, a chi deve trovare nell'Europa un elemento di compensazione (dove possono essere rappresentate le condizioni delle classi più deboli che hanno bisogno del ruolo pubblico e della politica) che senza tale integrazione non ci sarà più politica, ma solo mercato; oppure non troveremo il consenso necessario a superare le paure del diverso, dell'altro, di chi sta fuori; quelle paure che hanno contribuito alla vittoria del «no» nei referendum popolari in Francia e in Olanda.
Per questo motivo, credo si debba parlare di futuro ed avere il coraggio di presentare una proposta elevata: sono sicuro che il nostro paese, il Parlamento italiano e il nostro Governo sapranno rappresentare questa opzione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Falomi. Ne ha facoltà.
ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, oggi discutiamo di mozioni d'indirizzo che dovrebbero indicare al Governo le linee generali del suo contributo alla stesura della solenne dichiarazione che, in occasione del cinquantenario dei Trattati di Roma, sarà resa a Berlino il prossimo 25 marzo dai capi di Stato e di Governo.
Tuttavia, ne discutiamo quando mancano ormai cinque giorni alla scadenza prevista e quando, come a tutti noto, il testo della dichiarazione è stato già definito e sottoscritto dai vertici delle istituzioni europee ed è praticamente nulla la possibilità che la Camera dei deputati fornisca in qualche modo il suo contributo.
Vorrei fosse chiaro che il mio non è il lamento del solito deputato, cui fa velo un sentimento di onnipotenza che gli impedisce di vedere la complessità delle questioni in materia di costruzione dell'Europa. Lungi dall'avere un intento banalmente polemico nei confronti di un Governo di cui facciamo ed intendiamo continuare a far parte, quello che il gruppo di Rifondazione comunista-Sinistra europea vuole sottolineare e riproporre è il tema del metodo con cui si vuole procedere per rilanciare il processo di integrazione europea. Per noi il metodo non è un tema secondario; è il caso di dire che per noi il metodo è sostanza. È il metodo che decide chi e cosa stanno dentro e chi e cosa stanno forse fuori dalPag. 19processo, quali valori morali e civili e quali interessi economici e sociali costituiranno il cuore della costruzione dell'unità europea.
Noi siamo convinti che è giunta l'ora di mettere in discussione la centralità che il metodo intergovernativo ha assunto nel processo di integrazione europea e di democratizzare l'intero processo attraverso una partecipazione più incisiva dei popoli, del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali. In sostanza, si tratta di mettere il metodo democratico al centro del rilancio del processo costituente di un'altra Europa.
Dopo la bocciatura del Trattato costituzionale in Francia e nei Paesi bassi, dove i cittadini si sono potuti pronunciare attraverso referendum popolari, l'intero processo è entrato in una fase di impasse che minaccia di travolgere l'idea stessa di Unione europea. A ben vedere, uno degli elementi di quella crisi sta proprio nello squilibrio tra il metodo intergovernativo ed il ruolo e il peso troppo deboli della partecipazione democratica, del Parlamento europeo e di quelli nazionali. In questo senso è emblematico il modo con cui si è arrivati alla definizione della dichiarazione di Berlino. A tutt'oggi nessuno, tranne forse una cerchia ristrettissima di persone, ne conosce il testo. Noi non stiamo discutendo sulla base di un progetto di dichiarazione, bensì su quella di mozioni parlamentari che formano - ahimè in ritardo - auspici ed indirizzi su cosa dovrebbe contenere la dichiarazione di Berlino. Non dico che quello che stiamo facendo sia un esercizio inutile, ma esso è sicuramente un esercizio frustrante. Se vogliamo ridare forza, spinta e sostegno al processo costituente, non possiamo trattarlo alla stregua di una trattativa diplomatica tra Capi di Stato e di Governo. È necessario che dentro a questo processo irrompano i cittadini e le cittadine d'Europa, che il Parlamento europeo ed i Parlamenti nazionali giochino un ruolo meno marginale e distratto.
A questo riguardo sono state avanzate molte proposte utili ed interessanti, che sarebbe sbagliato non prendere in considerazione. In primo luogo mi riferisco alla proposta dei federalisti europei in merito allo svolgimento di un referendum sul processo costituente, da tenersi in vista delle prossime elezioni europee. A questo riguardo penso che non debba trattarsi di una consultazione, bensì di un referendum di indirizzo, approntando in proposito una specifica legge costituzionale che lo consenta, ovviamente nel caso in cui il tema venga assunto su scala europea.
Noi pensiamo che il rilancio costituzionale passi attraverso l'affidamento al Parlamento europeo, così come uscirà delle elezioni del 2009, di un mandato costituente. Certamente non ci dispiacerebbe l'ipotesi che questo mandato fosse legittimato da un referendum popolare. Sarebbe un modo di cominciare a praticare quanto scritto nella mozione presentata dai gruppi parlamentari dell'Unione circa la necessità di rafforzare e sviluppare la funzione legislativa del Parlamento europeo.
Anche la proposta avanzata in sede europea dall'onorevole Gargani, al di là di qualche eccesso di macchinosità, che può essere agevolmente eliminato, presenta un indubbio interesse. Sarebbe sbagliato ignorarla o lasciarla cadere.
L'apertura di una fase costituente che coinvolga, in qualche misura, i cittadini e le loro rappresentanze elettive è anche una presa d'atto del carattere illusorio di un processo di costituzionalizzazione affidato alla logica delle cose, ad uno spontaneo trascendimento della dinamica del mercato in dinamiche politiche. È il modo per costruire le occasioni per rispondere ad una domanda di senso che sale dai cittadini e dalle cittadine d'Europa.
Dobbiamo riuscire a superare il contrasto stridente, evidenziato dal no dei cittadini francesi e olandesi al progetto del trattato costituzionale, tra il modo in cui le istituzioni dell'Unione sono andate conformandosi e come l'Europa appare agli occhi degli europei. Da troppo tempo l'Unione europea si presenta con il volto della logica inesorabile del mercato e del liberismo, con il volto della riduzione delle spese sociali, del ridimensionamento delPag. 20welfare, della centralità di un'impresa libera da ogni responsabilità e che scarica sullo Stato e sui lavoratori tutti i costi sociali e finanziari della sua libertà.
A che serve, dunque, l'Europa? A rispondere alle sfide della globalizzazione, scriviamo nella mozione sottoscritta dai gruppi dell'Unione. È giusto. Rispondere alle sfide della globalizzazione, tuttavia, non può significare la trasposizione su scala europea del modello di globalizzazione liberista imposto in questi anni dalla potenza egemone americana. Se di questo si trattasse, sarebbe la cancellazione dell'identità europea, la sua omologazione ad un modello altro che azzera un tratto importante della sua storia, che è storia di conflitti e conquiste sociali, che non riduce alla crescita del PIL il proprio progresso.
Costruire l'Europa ha senso se essa diventa articolazione della globalizzazione capace di indicare alla globalizzazione un altro corso, un'altra direzione, un'altra idea e un'altra pratica del governo del mondo rispetto alle logiche disgreganti dell'unipolarismo di matrice americana. Ma se è questo lo spirito con il quale possiamo e dobbiamo rilanciare il processo costituente, non ha senso mantenere nel trattato costituzionale i capisaldi fondamentali del modello di globalizzazione-omologazione liberista contenuti nella terza parte.
L'assolutizzazione del principio di concorrenza, il ruolo di guardiano occhiuto ed esclusivo della moneta assegnato alla Banca centrale europea sono capisaldi che vanno profondamente ripensati, come vanno ripensate alcune politiche europee che possono far crescere il livello di sfiducia dei cittadini europei nei confronti del processo di costruzione dell'unità europea. Mi riferisco qui alla necessità di ripensare radicalmente, per esempio, i contenuti del Libro Verde sui problemi del lavoro, che propone ricette e impostazioni, da noi già sperimentate, che hanno prodotto solo insicurezza e precarizzazione.
Ripartiamo, dunque, per il rilancio della costruzione dell'Unione europea, ma ripartiamo con la consapevolezza che non c'è costruzione giuridica che tenga, se, al processo costituente, non si affianca un processo di costruzione di una società civile europea, un processo rispettoso, certo, delle specificità e delle diversità culturali, ma che, al tempo stesso, faccia progredire un comune senso di appartenenza. Un senso di appartenenza comune non nasce assumendo, come pure viene qui riproposto in alcune mozioni, integralisticamente il tema delle radici cristiane, che nessuno può negare, ma che non possono cancellare la molteplicità feconda delle grandi correnti del nostro continente, né possono assumere, come si pretende, quella cogenza giuridica che azzerebbe quel principio di laicità che costituisce uno dei frutti più fecondi della storia europea.
Queste sono le ragioni, anche critiche, ovviamente, attorno al processo di costruzione europea che, a nostro avviso, si possono ritrovare nel testo della mozione, che ho sottoscritto con il collega Mantovani ed insieme a tutte le forze dell'Unione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Azzolini. Ne ha facoltà.
CLAUDIO AZZOLINI. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, io credo che l'imperativo sia d'obbligo: facciamo ripartire l'Europa!
Credo che l'Europa debba riprendere il suo cammino unitario e andare avanti avendo una voce unica, forte ed autorevole nel concerto e nel contesto internazionale. L'Europa deve riaffermare convintamente e difendere i suoi valori, le sue radici, la propria identità. Solo così potrà operare per la pace ed essere di aiuto anche all'Islam, nella ricerca comune della pace e nella pace dello sviluppo dell'area del grande Mediterraneo.
La mozione che presentiamo può essere considerata la «mozione degli affetti», come l'ha definita la collega Boniver nel suo intervento illustrativo. E difatti, per noi europeisti convinti che abbiamo vissuto tutti i passi lungo la costruzione dell'Unione di oggi a 27 membri, questa è una mozione degli affetti.
Essa si richiama a quei cinquant'anni di storia europea che il nostro paese haPag. 21concorso a scrivere da protagonista, e che oggi rappresenta patrimonio comune di inestimabili quanto irrinunciabili valori.
Terrorismo, rapporti con l'Islam e sviluppo sostenibile rappresentano le sfide del futuro. Per vincerle bisogna analizzare con rigore ed obiettività gli eventi che si sono succeduti in questi cinquant'anni e dare, per dirla con Angela Merkel, il nome giusto a causa ed effetti.
La Cancelliera tedesca, alla vigilia della sua visita nel nostro paese, ha ricordato che il crollo del muro di Berlino, la libertà della Mitteleuropa e nell'est, l'ingresso di questi paesi nell'Unione, la riunificazione tedesca hanno a che fare con il coraggio della gente, ma anche con il fatto che il mondo, grazie al fenomeno della globalizzazione, si è fatto più piccolo.
È avvenuta l'unione dell'Europa, e al tempo stesso la pressione, effetto della globalizzazione, che ha comportato molta più concorrenza a livello mondiale e l'ingresso di nuovi paesi sulla scena internazionale. Questi eventi e le nuove realtà che si determinano creano un comprensibile senso di angoscia in molti, evidentemente, tant'è che a volte si considera l'Europa responsabile di sviluppi che hanno altre cause, come la globalizzazione. Di qui l'affermazione della Merkel. Dobbiamo allora affermare, ribadire in modo forte e chiaro che l'Europa è una risposta alla globalizzazione, non un indebolimento.
A fronte infatti di concorrenti come Cina, India e America latina, gli europei possono farcela meglio insieme. Ecco, questo è il punto da cui ripartire: insieme nella politica estera e di difesa comune, insieme nel mercato globale, insieme della politica euromediterranea e quindi insieme soprattutto, e sottolineo insieme, in un dialogo strutturato con l'Islam.
A questo proposito mi piace sottolineare, nell'impegno che chiediamo nella nostra mozione al Governo, il fatto di riaffermare il valore delle nostre radici cristiane. La Merkel si è espressa favorevolmente in merito, quale Cancelliere ma anche quale presidente del Consiglio europeo.
«L'Europa si fonda su valori cristiani» - ha detto - «tutti noi ci richiamiamo al diritto romano, alla eredità giudaico-cristiana, all'illuminismo. Sono l'essenza dell'Europa, ci hanno insegnato la tolleranza, il concetto di libertà, l'ordine democratico. Ma la questione» - ha concluso la Cancelliera tedesca - «è se ciò debba essere anche tradotto in dichiarazioni politiche».
A questo punto, l'interrogativo è d'obbligo: e perché no? Riaffermare le proprie radici e la propria identità non comporta l'esclusione di altre radici che hanno alimentato e tuttora alimentano anch'esse l'albero europeo.
Con la stessa determinazione ci sentiamo a questo punto di affermare che di fronte all'intolleranza ed alla violenza in nome di ogni religione, o di qualsiasi convinzione, siamo per la tolleranza zero.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel poco tempo che mi rimane vorrei, nell'intento di offrire un contributo alla causa comune, svolgere una breve riflessione sul ruolo che noi parlamentari e i parlamenti di tutti gli Stati membri dell'Unione europea e non possono e debbono svolgere, affiancando l'azione dei Governi.
Vorrei ricordare a quanti ci ascoltano che, tra i componenti dell'Assemblea parlamentare del Consiglio di Europa, vi sono i rappresentanti dei Parlamenti di tutti gli Stati della sponda settentrionale del Mediterraneo. La promozione della pace, della stabilità democratica, del dialogo interculturale e della cooperazione con e all'interno del bacino del Mediterraneo sono, quindi, ambiti prioritari dell'attività dell'Assemblea parlamentare di Strasburgo.
I Parlamenti ed i parlamentari, in quanto rappresentanti dei cittadini da questi eletti, possono e devono, a mio avviso, svolgere un ruolo fondamentale, ai fini del rafforzamento del dialogo e della cooperazione nell'area euro-mediterranea. La diplomazia parlamentare, la cooperazione interparlamentare ed il dialogo interculturale costituiscono le principali metodologie d'azione adottate ai fini suddetti.
Mi pare inevitabile fare riferimento al nostro presidente di turno dell'Unione interparlamentare,Pag. 22perché, grazie al suo impegno, è stata istituita l'Assemblea parlamentare mediterranea che è successiva all'Assemblea parlamentare euro-mediterranea che vide l'alba in quel del Cairo due anni or sono.
Queste due Assemblee, nelle quali i Parlamenti nazionali sono rappresentati, possono e devono collaborare con la centralità dell'Unione europea, per venire incontro, nell'area del Mediterraneo, all'esigenza da tutti rivendicata di pace, di una convinta relazione interpartitica, interpersonale (tra le delegazioni), insomma interparlamentare.
Vorrei ribadire un concetto. In quest'aula, molte volte abbiamo ascoltato affermazioni che tutti condividiamo. Poi, una volta usciti da questa sede, impegnati nei contesti nei quali siamo chiamati ad esprimerci, di questi valori e di questi concetti perdiamo memoria e traccia.
Dovremmo avere la capacità di contribuire a costruire con il nostro impegno quotidiano, granello dopo granello, questa grande spiaggia nella quale fare finalmente approdare la pace del Mediterraneo. La metafora è abbastanza facile, trattandosi di mare nostrum.
Tuttavia, voglio ricordare che, oggi, per un'encomiabile iniziativa del nostro presidente della Commissione affari esteri, che ringrazio (è presente in aula), abbiamo avuto il privilegio di ascoltare l'economista, premio Nobel Muhammad Yunus.
Quest'uomo da economista, ma direi da essere umano, ha risolto in modo eclatante, per i tempi che viviamo, i problemi della fame e della disperazione del popolo del Bangladesh e ha fatto circolare nel mondo un suo sistema (lo dico tra virgolette). Abbiamo bisogno di fare nostro questo metodo e pensare di immaginare in formule evidentemente da definirsi quali sono le responsabilità che molti paesi della vecchia Europa, oggi paesi anche fondatori della nuova Europa a 27, hanno nei confronti del continente africano.
Partecipiamo a convegni, dibattiti e poi dimentichiamo che vi sono decine di milioni di uomini, di donne e di bambini che muoiono ogni giorno di fame.
Questa Europa, che ha bisogno di un eccesso di adrenalina in più per dirsi ancora viva, può trovar questo stimolo e questo spunto da un forte impegno verso il continente africano. D'altra parte, il Parlamento europeo, le relazioni che intercorrono tra il Parlamento europeo e l'Unione dei Parlamenti africani sono evidentemente testimonianza di una certa capacità di relazionarsi.
Vi è bisogno di realizzare, ancor più che l'Unione europea, l'Europa nella sua cultura di solidarietà, di impegno e di pace.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ranieri. Ne ha facoltà.
UMBERTO RANIERI. Signor Presidente, il 25 marzo l'Unione europea ricorderà i cinquant'anni dal Trattato di Roma, con cui si avviò il processo di costruzione di un'Europa unita, ricca nelle sue diversità, consapevole del suo comune retaggio di civiltà, decisa a farla finita con le guerre intestine.
Molti risultati sono stati conseguiti da quel marzo del 1957: quello più straordinario è stato raggiunto con l'allargamento dell'Unione. Un processo che ha condotto, dopo l'ingresso di Romania e Bulgaria, ormai alla riunificazione del continente.
Oggi siamo ad un passaggio cruciale della storia della costruzione europea.
L'Unione è ad un bivio: o si dota di istituzioni e meccanismi decisionali in grado di consentirle di decidere e di assumersi responsabilità sulla scena del mondo globale e di procedere nell'integrazione in ampi e cruciali settori o il rischio è la paralisi è il declino.
Il Trattato costituzionale - questo è il punto - costituisce la risposta al problema. Ecco perché sarebbe un errore, che pagheremmo amaramente, considerare tramontato il Trattato costituzionale. Sarebbe un errore drammatico se lo sforzo compiuto per giungere al Trattato finisse nel nulla.
Sappiamo bene - lo ha riportato recentemente, a Strasburgo, il Capo dello Stato - quale trauma abbia rappresentatoPag. 23il voto contrario alla ratifica del Trattato costituzionale nei referendum indetti in due dei sei paesi fondatori della Comunità europea, ma ciò non può condurre a sottovalutare i contenuti innovatori del Trattato sottoscritto a Roma, nell'ottobre 2004, né, tantomeno, a sottovalutare il fatto che 18 paesi dei 27 hanno ratificato il Trattato in rappresentanza di circa 300 milioni di cittadini europei.
Certo, occorrerà fornire tutti i chiarimenti possibili agli interrogativi ed alle preoccupazioni che sono all'origine del voto contrario alla ratifica in Francia e in Olanda, ma non è possibile per l'Unione restare in una situazione di stallo e di incertezza.
L'Europa a 27 non andrebbe molto lontano se permanesse l'attuale quadro istituzionale, che non garantisce nemmeno la realizzazione di quelle politiche comuni che, ancora recentemente, il Consiglio europeo ha individuato e cui la Commissione sta lavorando, come ad esempio le politiche per l'ambiente e per l'energia.
In verità, per far crescere quella che è stata chiamata l'Europa dei risultati, è decisiva la forza di nuove istituzioni comuni, oltre ogni velleitaria presunzione nazionale. Credo, quindi, che non sia il caso di tornare ad agitare, parlando della Costituzione europea, lo spettro del «super Stato» centralizzato. Il Trattato ha sancito una netta ripartizione delle competenze, garantito il rispetto e accresciuto il potere del Parlamento europeo, ha ridotto il tratto intergovernativo. Si tratta di risultati importanti in uno sforzo teso alla democratizzazione del processo di costruzione europea e dell'Unione.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 18)
UMBERTO RANIERI. Si semplifichi, quindi, il Trattato. In questa direzione occorrerà lavorare (e si sta lavorando), ma non si dimentichi che con il Trattato si sono compiuti passi importanti per dotare l'Unione europea di una politica estera e di sicurezza, per un effettivo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, per realizzare una cooperazione strutturata nel campo della difesa e in altri campi. Vorrei dire, a chi sostiene ancora che si tratti di un documento che agevoli tendenze neoliberiste in economia, che è un Trattato che rende possibile l'avvio di una politica economica europea, di un coordinamento ancora parziale di politiche fiscali, cioè quanto è mancato dopo l'introduzione dell'euro e che è stato all'origine delle difficoltà dell'economia europea, o in parte ha contribuito ad accrescerle.
Onorevoli colleghi, è vero che di questo complesso di misure previste nel Trattato vi è bisogno, perché con queste si riuscirà a fornire una risposta al problema di fondo di come garantire il funzionamento di un'Europa a 27, e di come garantire meccanismi decisionali e istituzioni che consentano all'Europa di funzionare.
Di questo complesso di misure c'è bisogno se vogliamo realmente che l'Europa assolva ad una funzione di protagonista sulla scena del mondo globale, se vogliamo che, pur in un contesto di conferma delle relazioni euro-atlantiche, l'Europa abbia voce in capitolo nel mondo contemporaneo, contribuisca al governo dei processi globali e di partecipazione nelle scelte, per affermare una sicurezza condivisa.
Ecco perché l'Italia guarda con fiducia all'impegno della Presidenza tedesca, per i principi ed i valori cui il cancelliere, signora Merkel, si è richiamato in queste settimane ed oggi. A Roma, a giugno, nella riunione del Consiglio europeo, sarà adottato un percorso che dovrà consentire, questo è negli auspici del Governo italiano e in questa direzione spingeremo, di giungere alle elezioni del 2009 avendo concluso positivamente il processo costituzionale. Questa ci sembra la via maestra da seguire e l'Italia, ne sono sicuro, si mostrerà all'altezza di questa impresa; l'Italia, infatti, è stata protagonista del processo di integrazione sin dal suo avvio, ha avuto statisti lungimiranti come De Gasperi e Sforza, ed un appassionato combattente dell'idea europea, di cui abbiamo ricordato il centenario della nascita, Altiero Spinelli.Pag. 24
Vorrei concludere su un tema. L'Europa ha bisogno, ne sono convinto, di un quadro di insieme di valori. L'Europa a 27, l'Europa che si è riunificata, ha bisogno di fissare il quadro di riferimento di valori e di principi che orienti la sua condotta e costituisca la base in cui i cittadini europei si riconoscono. Nel Trattato vi è il riferimento esplicito a valori fondamentali quali: la libertà, la dignità, l'eguaglianza, la solidarietà. È un insieme di valori che fornisce un comune denominatore all'Europa, frutto di una integrazione fra culture cristiane e laiche dell'Europa. Questo è il punto su cui vorrei che i colleghi del centrodestra riflettessero. Ai valori classici, elaborati dalle culture laiche e condivise da quelle cristiane, si aggiungono due valori da tempo radicati nell'etica comune delle grandi religioni: la dignità dell'uomo, frutto della filosofia rinascimentale, che ha anche radici religiose più lontane nel tempo (penso al pensiero di Tommaso d'Aquino), e la solidarietà, che ha radici religiose nelle chiese e nelle istituzioni della carità, ma anche radici e valori nel socialismo europeo.
Entrambi i valori sono quindi rinvenibili nella stessa Costituzione italiana e costituiscono punti essenziali di quel comune denominatore di principi e valori in cui possono riconoscersi gli europei. Si tratta di valori indivisibili, che definiscono il quadro europeo di valori.
A me pare che il Trattato, quindi, offra riferimenti da questo punto di vista, dei principi e dei valori che possono essere validi per tutti gli europei, ed essendo giunti a quella elaborazione attraverso un intenso complesso e difficile lavoro, penso che i termini con cui questo problema sia stato affrontato e risolto dal Trattato costituzionale debbano essere considerati adeguati e sufficienti. Pertanto, su quella parte del Trattato non interverrei.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, onorevole Crucianelli.
FAMIANO CRUCIANELLI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Voglio ringraziare innanzitutto i numerosi colleghi intervenuti. È stato, questo, un dibattito molto ricco e anche molto appassionato. D'altronde, non poteva che essere così, perché già in passato, come è stato giustamente ricordato quando si è discusso di Europa, si è sempre avuta una discussione molto intensa e piena anche di sentimento. Sarò molto breve: farò una prima, doverosa e, forse, burocratica ricognizione e successivamente qualche considerazione sui punti più aperti del dibattito che si è avuto.
Le celebrazioni del cinquantenario della firma dei Trattati di Roma e la dichiarazione che verrà approvata il 25 marzo dai Capi di Stato e di Governo non rappresentano un semplice evento commemorativo, ma costituiscono, o dovrebbero costituire, un passaggio fondamentale per il rilancio del processo costituzionale e dell'azione dell'Unione europea.
Siamo ad uno snodo decisivo del progetto di integrazione: o riusciremo a trovare un accordo sul Trattato costituzionale entro le elezioni del 2009 (so bene che questo è un punto controverso, ma tale è la ferma opinione del Governo), o quella che pure avevamo definito come una «pausa di riflessione» si dimostrerà, nei fatti (e già vi sono tutti segni), una crisi paralizzante.
È necessario, quindi, uno sforzo collettivo per rilanciare l'Europa e in questo sforzo collettivo i parlamenti dovranno avere una funzione fondamentale.
In questo, il nostro Parlamento, in passato e per alcuni versi, ha giocato un ruolo esemplare; basti ricordare, in proposito, che l'Italia è stata tra i primissimi membri a ratificare il Trattato costituzionale e che lo ha fatto in quest'aula con una amplissima maggioranza.Pag. 25
Ben venga, quindi, il contributo di idee, di indirizzi che già è emerso ampiamente in questo dibattito; essi rappresentano un autentico contributo. E ben venga il valore simbolico che sicuramente rivestirà all'immediata vigilia del Consiglio europeo di Berlino l'evento commemorativo che il Parlamento italiano ha organizzato per il 22 e il 23 marzo. È importante che tale evento avvenga a ridosso del Consiglio europeo di Berlino del 24 del 25 marzo. La dichiarazione che dovrà essere approvata il 25 marzo a Berlino dai leader dell'Unione europea avrà una grande importanza anche sul piano simbolico nel rilancio del processo di integrazione. Nei nostri desideri, la dichiarazione segnerà la conclusione della fase di riflessione avviata a seguito del referendum francese ed olandese e dovrebbe segnare (questa è la nostra volontà) l'inizio di una nuova, più dinamica fase del dibattito: nella sostanza, chiudere la cosiddetta pausa di riflessione, che rischia di essere un'eterna riflessione, ed aprire invece una nuova fase per entrare nel vivo del dibattito e per riprendere le fila del Trattato costituzionale.
Non c'è modo migliore per avviare questa nuova fase che ricordare, senza facili trionfalismi, ma con una giusta rivendicazione, i successi del passato, analizzando, in maniera lucida, le sfide attuali e future con cui si confronta l'Europa e i mezzi per farvi fronte adeguatamente.
Ed è per questo che il Governo ha voluto dare, fin dall'inizio, attraverso l'ambasciatore Ruggiero, un contributo particolarmente attivo e riconosciuto dalla stessa Presidenza tedesca al processo di elaborazione della dichiarazione. La dichiarazione costituirà un'occasione per dare nuovo slancio al progetto europeo, impegnandosi nella costruzione di un'Europa forte, efficiente, e capace di affrontare le sfide globali del futuro. In tal senso, il Governo condivide la bozza presentata dalla Presidenza. Questa scaletta si articola attorno a cinque parti fondamentali: i successi di cinquant'anni di integrazione; i caratteri essenziali dell'unificazione europea; i valori condivisi; le priorità interne ed esterne dell'Unione; gli impegni per il futuro.
Ai nostri partner, il Governo italiano, inoltre, ha espresso l'auspicio che la dichiarazione contenga un riferimento alla volontà di completare il processo di riforma costituzionale e il tempo per le elezioni del Parlamento europeo del 2009, così da permettere all'Europa allargata di funzionare efficacemente. Siamo, infatti, convinti che quest'indicazione programmatica contribuirebbe a dare un senso politico compiuto ed un impatto operativo immediato alla dichiarazione medesima.
Nella stessa ottica, il Governo è aperto a prendere in considerazione, nell'ambito del processo di riforma costituzionale, la possibilità di interventi sull'attuale Trattato costituzionale che, senza alterarne lo spirito e la sostanza, siano in grado di rassicurare la pubblica opinione, in particolare valorizzando la dimensione sociale ed ambientale del processo di integrazione europea.
Il Governo ritiene, infatti, che sia opportuno venire incontro alle esigenze di quei paesi che hanno avuto difficoltà nel ratificare il testo sottoscritto nell'ottobre 2004, privilegiando l'ottica del completamento del testo attuale, a condizione però che di questa formulazione sia preservata in ogni caso la sostanza del testo fondamentale e a condizione che ne siano mantenute tutte le parti essenziali ed innovative.
Qualsiasi formula volta a superare le situazioni determinatesi dopo le consultazioni referendarie in Francia e nei Paesi Bassi dovrà, in ogni caso, partire dal testo firmato a Roma nell'ottobre 2004, in quanto espressione di un equilibrio complessivo tra paesi membri ed istituzioni dell'Unione Europea e di una visione ambiziosa dell'avvenire dell'Unione ampliata.
Occorrerà, infine, tenere pienamente conto del fatto che il testo è stato ratificato da 18 membri su 27, rappresentativi della maggioranza della popolazione dell'Unione. Voglio anche aggiungere che altri quattro paesi, che non hanno ratificato il Trattato costituzionale, hanno però dichiaratoPag. 26formalmente di essere d'accordo con la sua sostanza: quindi, 22 paesi su 27 condividono la sostanza del Trattato costituzionale.
Facendo riferimento ad alcune questioni che sono state sollevate, non sfugge certo la dinamica dei problemi che si è aperta con il referendum francese ed olandese; ciò è del tutto evidente, anche se un'analisi seria, accurata, obiettiva di ciò che è accaduto in quel referendum ci porterebbe a considerare una molteplicità di fattori e non tutti riconducibili al Trattato europeo o, comunque, alla questione Europa in generale. Quei referendum si sono fatti carico anche di una serie di problemi che erano propri ed interni di quei paesi, ma, a mio parere, non sfugge che nel corso di questi anni è maturata all'interno dell'opinione pubblica una forte insicurezza, una precarietà, una difficoltà sociale, che ha determinato un elemento di «scollatura» fra l'identità europea, l'obiettivo europeo e il senso comune dei cittadini europei.
Credo che tale dato - che, peraltro, è rilevabile non solo da ciò che sono stati i referendum francesi ed olandesi, ma anche dagli odierni sondaggi nell'opinione pubblica - si avverta nel clima europeo: sussiste una difficoltà reale - perlomeno, vi è stata nel corso dei recenti anni -, che nasce dalla profonda insicurezza che oggi si avverte fra i cittadini europei. Badate, all'interno di questa insicurezza c'è di tutto, come nel caso del voto francese, dove sono presenti sia Le Pen sia le posizioni della sinistra radicale: è l'insicurezza e l'incertezza sul futuro del lavoro, dei propri diritti sociali, delle grandi conquiste sociali, ed anche l'insicurezza e la paura che nasce dall'immigrazione e da altro tipo di incertezze: quindi, siamo di fronte ad una situazione che esprime una difficoltà reale.
Credo che all'interno di questa lontananza che si percepisce in alcuni settori dell'opinione pubblica europea vi sia anche una difficoltà dell'Europa come soggetto reale, come soggetto protagonista anche a livello dello scenario mondiale, cioè una difficoltà nel cogliere il senso e la qualità di un'iniziativa europea. Non vi è dubbio che - come è stato accennato - vi sia anche una difficoltà dei meccanismi democratici europei. L'Europa e le sue istanze istituzionali vengono avvertite dai cittadini come qualcosa che è lontano, che è difficilmente riconducibile alla dinamica democratica di ogni giorno. Quindi, penso che le obiezioni sollevate sulla difficoltà che si avverte fra i cittadini europei e l'idea, il futuro dell'Europa siano elementi su cui sicuramente occorre riflettere, ragionare ed intervenire.
In questo senso credo che non si possa semplicemente riproporre il Trattato così com'è dalla prima all'ultima parola - non solo perché vi è stato il referendum francese, ma anche per le considerazioni che avanzavo -, facendo valere magari un principio di maggioranza (come dicevo, potrebbe essere un'ampia maggioranza perché stiamo parlando di 22 paesi su 27). Sussiste una difficoltà che chi dovrà poi riprendere le fila e la redazione del Trattato costituzionale non può non prendere in considerazione. Inoltre, nella discussione che si è sviluppata, quando parliamo di sostanza, di spirito, di parti fondamentali, noi ci riferiamo fondamentalmente alla prima e alla seconda parte, mentre sappiamo bene che la terza parte è la ratifica in grandissima parte dei Trattati precedenti e la costituzionalizzazione degli stessi.
Potrebbe essere ripresa una discussione su questo terreno, come sostengono diversi francesi. Lo stesso Sarkozy, quando parla del Trattato, fa riferimento a questo tipo di problematica.
Anche dalla discussione che si è appena svolta emerge una domanda con cui dobbiamo confrontarci noi e l'Europa, che avrà il compito di portare a termine questo faticoso percorso del Trattato costituzionale. Tuttavia, mi preme fare due precisazioni. Infatti, vi è un equivoco sul quale dobbiamo chiarirci. La democrazia europea è fondamentalmente di carattere parlamentare. Non riesco a capire per quale ragione il referendum diventa un percorso democratico e il fatto che i Parlamenti nazionali discutano ed approvanoPag. 27un Trattato costituzionale diventi un percorso non democratico. Permettetemi di discutere o, quanto meno, di parlare di questo. Si può anche utilizzare lo strumento referendario, ma ciò non per il fatto che la discussione e la decisione in sede parlamentare siano di carattere antidemocratico. Francamente, in questo modo stravolgeremmo qualsiasi principio rispetto a quelle che sono le regole e le procedure democratiche. Trovo molto intrigante la proposta ed il ragionamento sul referendum contenuta in diverse mozioni. Si tratta di un terreno sul quale riflettere e discutere, non perché deve essere contrapposta una procedura che vede protagonisti i Parlamenti in qualità di procedura non democratica. Può essere un elemento che arricchisce la partecipazione e coinvolge più direttamente l'opinione pubblica europea, ma non per questo l'approvazione parlamentare deve essere considerata non democratica. Sarebbe bene ragionare sulla stessa procedura costituzionale e istituzionale che, a mio avviso, è molto complicata.
Questa è una prima considerazione. Successivamente, discuteremo anche nel merito delle mozioni e vedremo più puntualmente il contenuto delle stesse. Tuttavia, voglio dire che è bene fare chiarezza su questi punti fra di noi. Il Parlamento italiano, democraticamente e a grandissima maggioranza, ha approvato il Trattato costituzionale. Si possono poi fare altre proposte e così anche gli altri 18 - e potenzialmente 22 - Parlamenti si accingono a fare la stessa cosa.
Il secondo problema sul quale vorrei si ragionasse seriamente è quello relativo ai tempi. È per questo che il Governo italiano insiste su ciò che avverrà nel 2009. Noi ci troviamo ad un punto in cui, se non si arriva in tempi ragionevoli a definire un Trattato costituzionale che dia all'Europa la possibilità di funzionare, e non solo al suo interno - infatti oggi le strutture europee sono fondamentalmente paralizzate - ci troveremo davanti a tutta una serie di discussioni a Bruxelles come, ad esempio, quella per cui l'accordo di partenariato strategico con la Russia è stato bloccato dal veto polacco. Ci troviamo a fare discussioni di grandissima rilevanza, dove si deve inverare la posizione politica italiana ed europea su grandi scenari e dove si trovano grandissimi problemi come il Medioriente. In questi casi, prima di prendere una decisione, bisogna passare ore a discutere su una o su un'altra parola. È del tutto evidente che in queste condizioni, se si continua di questo passo, l'Europa andrà rapidamente verso il declino. Per i prossimi cinque o sei anni potrà accadere che avremo procedure straordinariamente democratiche, ma probabilmente discuteremo su qualcosa che a quel punto non c'è più.
Io vorrei che riflettessimo su questo. Infatti, mi pare che vi sia un'opinione ed una determinazione assolutamente comune sulla necessità e sull'esigenza storica e politica che l'Europa possa e debba giocare una sua funzione ed un suo ruolo in tutti gli scacchieri dove le crisi sono evidenti e, soprattutto, dove vi sono problemi seri.
La questione dell'allargamento che è stata sollevata presenta punti «brucianti» al suo interno. Si parla della Turchia, ma io vorrei parlare anche del Kosovo o, meglio, dei Balcani. È evidente che non si potrà più parlare di allargamento fino a quando non avremo una vera integrazione dell'Europa. E ciò potrà accadere solo quando avremo un Trattato costituzionale. È immaginabile che questi problemi possano essere ancora rinviati per anni e anni? Io non lo credo.
Quindi, in questo senso, vorrei rilevare che ci troviamo di fronte ad un duplice problema. Il primo problema che è stato posto, e che ritengo legittimo prendere in considerazione, è rappresentato dalla necessità di individuare un percorso maggiormente democratico e partecipativo, che coinvolga sia i Parlamenti, sia i cittadini europei. L'altro, drammatico problema che abbiamo dinanzi, tuttavia, è costituito dall'esigenza di avere tempi certi per giungere ad un'Unione europea chePag. 28possa esercitare una funzione reale sia nello scenario internazionale, sia al suo interno.
Queste sono le considerazioni di ordine generale che intendevo rappresentare. In una seduta successiva, entreremo poi nel merito delle diverse mozioni presentate, sulle quali esprimerò il parere del Governo.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.