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Seguito della discussione della proposta di legge: S. 1003 - Senatori Rossa ed altri: Istituzione del «Giorno della memoria» dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice (Approvata dalla I Commissione permanente del Senato) (A.C. 2489); e delle abbinate proposte di legge Ascierto; Angela Napoli; Zanella ed altri; Zanotti ed altri (A.C. 1071-1361-1995-2007) (ore 17,15).
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 2489 ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Holzmann. Ne ha facoltà.
GIORGIO HOLZMANN. Signor Presidente, l'istituzione di un «Giorno della memoria» dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice ha inizialmente diviso i parlamentari dei vari schieramenti per l'individuazione di una data che fosse emblematica. L'attenzione si è quindi spostata su episodi interni ed internazionali: alcuni hanno proposto la data del 12 dicembre, che coincide con l'anniversario della strage di piazza Fontana a Milano, altri avrebbero voluto invece scegliere la data della strage di Capaci, altri ancora quella di Nassiriya, altri l'11 settembre.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI (ore 17,26)
GIORGIO HOLZMANN. L'Italia è stata duramente colpita dal terrorismo nella sua storia recente, ma pochi ricordano che il terrorismo iniziò negli anni Sessanta proprio in Alto Adige, nella provincia da cui provengo, dove si registrarono ben quindici vittime tra gli appartenenti alle Forze armate e, in particolare, alle forze dell'ordine.
Furono, quelli del terrorismo, anni difficili, segnati da un terrorismo che colpiva soprattutto i simboli dello Stato costituiti dalle centrali, dalle linee elettriche oltre che dalle caserme, spesso fatte oggetto di attentati dinamitardi. Gli anni Settanta furono invece scanditi dal terrorismo politico, che agì su più fronti: quello costituito da atti terroristici diretti contro i rappresentanti dello Stato, soprattutto magistrati, appartenenti alle forze dell'ordine o contro esponenti del giornalismo e delPag. 71mondo della cultura; quello che invece colpiva indiscriminatamente persone comuni con la collocazione di ordigni esplosivi in luoghi particolarmente affollati, quali treni, piazze, stazioni, causando decine di vittime.
Abbiamo conosciuto anche il terrorismo mafioso, rivolto contro magistrati e relative scorte o verso esponenti del mondo politico ed altri servitori dello Stato. Stragi senza veri colpevoli, come quella di Ustica, attendono risposte e soprattutto le aspettano coloro che sono stati direttamente colpiti.
Anche il terrorismo internazionale ci ha ferito come popolo, all'esterno dei nostri confini, dove i nostri soldati si sono prodigati e si adoperano tuttora per aiutare i paesi martoriati da feroci dittature o da regime illiberali e sanguinari, per riportare pace, libertà, democrazia e sviluppo. L'Italia ha, quindi, pagato un prezzo elevato al terrorismo interno ed internazionale, politico e mafioso, ma non è ancora uscita dalla fase critica se si registrano tuttora nuovi arresti di estremisti, che vorrebbero destabilizzare le nostre istituzioni, ricorrendo al terrorismo assassino.
Fiumi di parole di condanna sono stati espressi da tutto il mondo politico, ma voglio ricordare che, accanto a queste voci, se ne sono levate altre volte a chiedere la grazia per gli esponenti più noti del terrorismo di matrice politica.
Poco è stato fatto invece per i parenti delle vittime, spesso neppure totalmente ristorate dei danni patiti. Decine e decine di vite sono state cancellate e le loro famiglie, gettate all'improvviso nella disperazione, hanno avuto troppo poco dallo Stato. Le richieste di grazia e di perdono per i carnefici dei loro cari sono state spesso interpretate come un insulto al loro dolore, così come è avvenuto di fronte alle pene irrisorie scontate da coloro che hanno commesso gli omicidi, grazie alla loro tardiva e interessata collaborazione con gli apparati investigativi. Tali «spontanee» collaborazioni si sono manifestate quasi sempre dopo l'arresto dei colpevoli, che improvvisamente si sono pentiti, diventando collaboratori di giustizia.
I parenti delle vittime si sono sentiti beffati da una giustizia che, se non era in grado di risarcire i danni patiti nemmeno sul piano economico, su quello morale consentiva la messa in libertà degli autori dei crimini più efferati. Sciogliere i bambini nell'acido non era sufficiente a vedere dietro le sbarre per tutta la loro vita gli assassini responsabili di quei delitti.
Le vere vittime, coloro che sono stati privati dei loro affetti più cari, sono stati per troppo tempo dimenticati nell'indifferenza dello Stato, della politica, della grande stampa e quindi dell'opinione pubblica. Ecco perché per noi riveste un particolare significato l'istituzione di un «Giorno della memoria», per riconciliarsi con coloro che hanno fortemente sofferto e che porteranno per sempre nei loro cuori, nelle loro menti, nel loro futuro le cicatrici inferte da un terrorismo assassino.
È necessario che almeno per un giorno l'anno l'Italia si fermi a riflettere su ciò che è avvenuto. Bisogna condannare il terrorismo senza «se» e senza «ma», anche quello dei nostri compagni, se essi sbagliano.
La politica, questa volta, è riuscita a trovare un punto di incontro sull'argomento. È un fatto importante, ma rappresenta solo un primo passo. Molte pagine della nostra storia recente sono ancora grigie, altre dovranno probabilmente essere riscritte. La verità giudiziaria non sempre è riuscita a farsi strada, talvolta ha imboccato vie sbagliate, più in ossequio al potere che alla ricerca della verità. Tuttavia, credo che oggi si sia intrapresa la strada giusta, abbandonando divisioni, ragionamenti di appartenenza che con l'autentica condanna del terrorismo non avrebbero nulla da spartire. Per un giorno all'anno gli italiani verranno invitati a riflettere sull'importanza di questa data nella nostra storia più recente, una data che condanna senza appello gli ideatori, gli esecutori e i fiancheggiatori di un terrorismo politico che anche oggi è in Pag. 72grado di contare su alcune complicità e su alcune tolleranze, se non su aperta condivisione.
Dopo tanti anni la politica, nel suo senso più elevato, è oggi finalmente in grado di dare una risposta chiara. Auspichiamo quindi che la giornata della memoria sia occasione di riflessione verso coloro che hanno perso la propria vita da innocenti e verso i familiari, che con la loro perdita hanno tanto sofferto e patiscono ancora il dolore degli affetti strappati. A loro va il nostro pensiero sincero, autentico, commosso, vittime incolpevoli della violenza criminale. Confidiamo che questo sia anche un momento di riflessione e di monito per coloro che vogliono chiudere con provvedimenti di grazia i diversi periodi del terrorismo: non può esserci giustizia senza colpevoli, così come non c'è giustizia se i colpevoli non scontano le condanne loro inflitte.
Noi siamo convinti che i provvedimenti di clemenza, se non preceduti da un'attenta e scrupolosa valutazione di ogni singolo caso, dal sincero pentimento degli imputati e dalla contestuale presa di distanza dal terrorismo e dalle sue metodologie assassine, finirebbero per infliggere una ferita ancor maggiore a coloro che da tanto tempo attendono una risposta seria e autorevole da parte dello Stato.
Oggi la Camera sta dando la prima risposta: speriamo non sia l'unica e che ad essa seguano provvedimenti adeguati a sostenere i parenti delle vittime.
Annuncio quindi il voto favorevole del gruppo di Alleanza Nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Giovanardi. Ne ha facoltà.
CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, dispiace aver visto accendersi al momento delle votazioni alcune luci bianche, e che il provvedimento in esame, quindi, non riscuota l'unanimità dei consensi. Alcune divergenze erano già emerse nel dibattito generale, ma esse pesano nel momento in cui istituiamo un «Giorno della memoria» per le vittime del terrorismo. Si parla molto, forse troppo, di memoria condivisa: quando poi si arriva al dunque, essa non appare tanto condivisa.
Ripeto quanto ho detto questa mattina, allorché qualcuno ha parlato di una soluzione «militare» che sarebbe stata data in Italia al problema del terrorismo, e quando, sempre nella giornata di oggi, pochi minuti fa è riecheggiata in aula la teoria del «doppio Stato», la teoria cioè di una violenza terroristica di destra e di sinistra, che vedeva contrapposte delle istituzioni deviate impegnate a combattere tale terrorismo.
Occorre ribadire con chiarezza e con forza in Parlamento che l'Italia, per fortuna, non ha fatto né come l'Argentina né come il Cile. Il fenomeno terroristico, che è costato centinaia di vittime innocenti tra magistrati, politici, forze dell'ordine, giornalisti, avvocati, è stato risolto in questo Paese in modo democratico, senza intaccare le libertà democratiche. Abbiamo convissuto per decenni con un terrorismo vigliacco. Lo definisco «vigliacco» riferendomi a uomini come Ruffilli, ucciso nel 1987...
MARCO BOATO. Era il 1988!
CARLO GIOVANARDI. ...un uomo politico inerme assassinato dalle Brigate rosse. Mi riferisco a D'Antona, di cui si è parlato stamattina, a Biagi, ad Aldo Moro, all'avvocato Croce, a magistrati come Occorsio, a Casalegno: ci sarebbe da fare una lista infinita di personaggi e di cittadini, vittime della violenza terroristica!
Da una parte, operavano assassini efferati che colpivano persone inermi, dall'altra parte, operava uno Stato democratico che ha fatto fronte all'emergenza. Non è possibile pensare che Aldo Moro, Amintore Fanfani, Ugo La Malfa, Nenni, Craxi poi e la classe dirigente al Governo di questo Paese fosse collusa con azioni di repressione del terrorismo che non fossero democratiche.
Quando si vuole ricostruire la storia del Paese bisogna dare atto alla classe dirigente e alle forze politiche di aver saputo Pag. 73resistere con la forza della democrazia a un attacco che, con la morte di Aldo Moro, è arrivato fino al cuore dello Stato. È giusto aver fissato nella giornata del suo assassinio il ricordo delle vittime del terrorismo, perché quando in un paese avviene l'omicidio di cinque esponenti delle forze dell'ordine e di uno dei suoi più grandi leader, la data di tale sacrificio può e deve rimanere emblematica, anche perché da essa è partita la riscossa dello Stato democratico.
E ancora più giusto credo sia ricordare le vittime del terrorismo. In realtà, non lo facciamo adeguatamente. L'altro giorno è venuto a parlare a una scolaresca a Modena il figlio dell'ex sindaco di Firenze Lando Conti - uno dei tanti cittadini assassinati dalle Brigate rosse -, che con angoscia spiegava come negli ultimi mesi abbiamo assistito a una rivalutazione, al di là del ragionevole, al di là del sensato, degli ex terroristi, di chi ha insanguinato l'Italia, di chi ha commesso efferati delitti. A questi ultimi sono state infatti affidate consulenze per il Governo, come collaboratori; alcuni di essi sono stati addirittura assunti presso alcune regioni in organismi preposti a spiegare ai giovani come si tutela lo Stato democratico. Dall'altra parte, invece, troppo spesso sono stati dimenticati coloro che sono stati colpiti perdendo la vita o le loro famiglie che ancora oggi portano nella «carne», nelle difficoltà dei figli, nelle difficoltà economiche il prezzo che hanno pagato per la nostra libertà e per la nostra democrazia. Il Paese ha un debito nei loro confronti, debito che deve onorare non soltanto con le parole ma anche con i fatti, dimostrando che non ritiene che il sacrificio di chi ha perso la vita in quel periodo sia stato vano!
Signor Presidente, purtroppo dobbiamo vedere nei cortei in giro per l'Italia persone che inneggiano alle Brigate rosse, difendono i «compagni che sbagliano», come se non sapessero che dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, ad esempio con Franceschini a Reggio Emilia, vi è stato anche l'orientamento di una parte della società italiana, che ha pensato di risolvere i problemi politici con la violenza e la soppressione fisica dell'avversario.
È una storia che speravamo di aver lasciato alle nostre spalle, ma non è così, perché si trova comunque chi vuole giustificare, coprire o riabilitare coloro che hanno fatto parte di quella stagione. È giusto che la Costituzione affermi che il carcere deve essere rieducativo, così come è giusto dire che chi ha sbagliato può essere recuperato. Ho già ricordato una volta che nelle pagine immortali de I Promessi Sposi, frate Cristoforo, dopo aver ucciso a Milano, non si presenta dai parenti della vittima sostenendo tesi politiche o mettendosi in concorrenza con loro, ma, vestito da frate, chiede perdono. Per il resto della vita egli non cerca protagonismo politico, ma recupera valori umani e di perdono, anche da parte dei familiari, facendosi carico degli errori commessi. Non continua, perciò, a riscrivere, come qualcun altro vuole fare, la storia di questo Paese come una storia di ambiguità di una classe dirigente che - e lo ripeto per l'ennesima volta perché è giusto dirlo - in tutte le sue componenti, anche in quelle dell'opposizione, ha saputo far fronte efficacemente all'attacco dei terroristi.
Mi rivolgo ai colleghi che si astengono: votate a favore e non perpetuate equivoci. Quando uno dei vostri gruppi, Rifondazione Comunista, al Senato, intitola una sala a Carlo Giuliani fa un terribile errore: se quell'episodio fosse avvenuto di notte, nessuno avrebbe visto, invece è stato ripreso da tutte le televisioni d'Italia. Tutti abbiamo visto in quell'occasione e in quel momento i carabinieri e i giovani di leva feriti e qualcuno che stava linciando quei carabinieri e qualcuno che stava tentando a sua volta di ucciderli (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), Alleanza Nazionale e Lega Nord Padania). Credo, quindi che, nelle sedi istituzionali, la targa dovrebbe essere messa fuori per ricordare il sacrificio di quei giovani e non di chi ha perso la vita - e mi dispiace moltissimo - nel tentativo di linciare chi, anche in quell'occasione, difendeva Pag. 74la nostra libertà e la nostra democrazia. Perché se facciamo nascere equivoci di questo tipo allora l'Italia, che forse è l'unico paese dell'Europa che non riesce a debellare definitivamente il fenomeno del terrorismo, troverà sempre qualcuno che, in nome di qualche ideale strampalato e condannato dalla storia, alimenterà la violenza.
Il gruppo dell'UDC voterà con convinzione l'istituzione di questa giornata. Vedete, colleghi: tutti hanno pagato, ha pagato la sinistra con Guido Rossa, ha pagato Tarantelli, ha pagato D'Antona, hanno pagato i sindacalisti e hanno pagato, qualche volta, giovani di destra innocenti. Datemi atto, però, che prima, negli anni Quaranta e Cinquanta, nel triangolo della morte, quando i segretari di sezione, i sacerdoti e i possidenti venivano colpiti dopo la liberazione perché rappresentavano una parte politica sgradita, e poi, negli anni Sessanta e Settanta, quando decine di esponenti politici, di consiglieri comunali e regionali e di parlamentari, fino ad arrivare ad Aldo Moro, sono stati colpiti, inermi, perché facevano da bersagli, nessuno di noi, da questa parte politica, quando c'erano la Democrazia Cristiana e i moderati, si è mai sognato di organizzare o di pensare di colpire fisicamente l'avversario.
Noi eravamo le vittime di quella violenza e abbiamo risposto alla violenza con il rigore dello Stato democratico. È un'esperienza democratica che rivendico, così come rivendico il modo composto con cui una classe dirigente ha fatto fronte all'assalto del terrorismo. Questa legge che istituisce la giornata della memoria serve a ringraziare chi ha dato la sua vita per difendere la nostra libertà e la nostra democrazia. Ringrazio loro e le loro famiglie che, ancora oggi, hanno una vita rovinata e spesso, a causa di quegli avvenimenti, vivono in una situazione di stenti e difficoltà. Li ringrazio davvero per quello che hanno dato. Facciamogli capire che il Parlamento non giudica vano il loro sacrificio Tutti noi italiani dobbiamo essere per sempre grati del loro sacrificio in difesa della nostra libertà (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), Alleanza Nazionale e Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Turci. Ne ha facoltà.
LANFRANCO TURCI. Signor Presidente annuncio il voto favorevole della Rosa nel Pugno su questa proposta di legge che istituisce la giornata della memoria per le vittime del terrorismo.
Non mi appassiono alla discussione relativa a quale sia stato il momento più tragico nei lunghi anni di aggressione terroristica allo Stato democratico. È stata ricordata Piazza Fontana, ma potrei anche ricordare la strage alla stazione di Bologna, pagata con il sangue da decine e decine di vittime innocenti. Tuttavia, trovo giusta la scelta di indicare il giorno dell'assassinio di Aldo Moro come la data simbolicamente più significativa. Non possiamo infatti dimenticare che il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro hanno rappresentato, non solo simbolicamente, ma anche politicamente, il momento più acuto di attacco allo Stato democratico, il momento preciso in cui le forze terroristiche hanno mirato più in alto, nel tentativo di sovvertire l'ordinamento democratico e indurre alla resa le istituzioni democratiche. È stato anche il momento in cui si è espressa, forse con più forza, nei confronti del terrorismo, l'unità di intenti, di resistenza e di rivincita di tutte le forze politiche che si riconoscevano nello Stato democratico e nella Costituzione. Trovo quindi giustificata questa scelta, rispetto alla quale noi esprimiamo tutta la nostra approvazione.
Non compiamo soltanto un gesto doveroso di ricordo, per segnalare alle nuove generazioni ciò che è successo in quegli anni, ma ribadiamo la nostra volontà di resistere ad una minaccia che, se pure oggi in termini meno pericolosi rispetto al passato, tuttavia non è scomparsa dall'orizzonte politico del nostro Paese. Potrei ricordare la notizia principale riportata Pag. 75dai giornali in questi giorni: le minacce al presidente della Conferenza episcopale italiana, Monsignor Bagnasco, a cui va la nostra solidarietà. Potrei ricordare ancora il volantino firmato Partito comunista combattente, fatto circolare a Bologna nei giorni scorsi, così come potrei ricordare anche le decine di persone, a cominciare da illustri giuslavoristi - come, ad esempio, l'amico professor Ichino - che vivono tuttora sotto scorta, perché minacciati quotidianamente dal terrorismo.
Ribadiamo la nostra volontà di non arrenderci e di sconfiggere definitivamente questo pericolo che, sia pure in forme più sottili e meno minacciose che nel passato, continua a presentarsi nella vita politica del Paese. Queste sono le ragioni della nostra approvazione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Credo sia molto difficile, in occasione del voto sulla proposta di legge in esame, che opportunamente istituisce il 9 maggio, data dell'anniversario della tragica scomparsa dell'onorevole Aldo Moro, quale giorno della memoria, compiere in quest'aula un'analisi approfondita sul fenomeno terroristico.
Ho preso la parola perché non condivido - e ritengo giusto dire ciò ad alta voce, assumendomene la piena responsabilità - l'analisi proposta da una esponente di Rifondazione Comunista, secondo la quale il terrorismo nasce come risposta, non già come offesa, alla strage di piazza Fontana del dicembre del 1969 e alla cosiddetta militarizzazione dello Stato. Il terrorismo politico, sia di destra che di sinistra, nasce nel nostro Paese come componente di un movimento che, a partire dal 1968, si è sviluppato nelle scuole e nelle fabbriche in modo tumultuoso e anche contraddittorio. Esso non ha rappresentato la risposta ad un'iniziativa dello Stato, anche se non si può negare che, sulla strage di piazza Fontana, pesano ancora oggi interrogativi e misteri tutt'altro che chiariti.
È indubitabile che, per quanto riguarda le stragi compiute nel nostro Paese - a partire da quelle di piazza Fontana, di piazza della Loggia o dalla strage dell'Italicus e per finire anche - perché io sono tra coloro che non credono che la Mambro e Fioravanti ne siano gli esecutori materiali - alla strage del 1980 alla stazione di Bologna. È vero, ed è stato provato, che esistevano rapporti tra parti deviate dei servizi segreti dello Stato ed iniziative tese a sobillare, a squilibrare e a rendere precaria la democrazia in un paese come l'Italia, posto al confine tra il mondo occidentale e il mondo comunista, tra l'Europa e i paesi arabi ed Israele.
Era un territorio di confine e, come tale, esposto a rischi molteplici. Tuttavia, se noi esaminiamo attentamente, nelle sue diverse sfaccettature il terrorismo politico, non possiamo mai considerarlo come momento di difesa, né di valori né di proposte politiche.
Il terrorismo politico è un elemento di offesa alla democrazia. Il terrorismo politico di sinistra, i cosiddetti «anni di piombo» in particolare, nasce e si sviluppa per colpire i democratici e i riformisti e quanti proponevano un'altra via al rinnovamento sociale ed economico del nostro Paese.
Non sono un caso la morte del giudice Alessandrini né, nel momento preciso in cui si stavano costituendo un Governo e una maggioranza di unità nazionale, il rapimento e l'omicidio dell'onorevole Aldo Moro.
Probabilmente, nei tentativi diversi, molteplici e contraddittori di violenza politica e di terrorismo politico nel nostro paese, sono stati presenti anche orientamenti strategici riconducibili a servizi segreti di altri paesi. L'Italia ha proceduto spesso sotto l'alone pericolosamente protettivo di altri Paesi che avevano tutto l'interesse a destabilizzare il nostro territorio.
Non c'è dubbio però che dobbiamo celebrare come martiri innanzitutto coloro che hanno sacrificato la loro vita per difendere le istituzioni democratiche e la libertà in questo nostro martoriato Paese.Pag. 76
Ha ragione l'onorevole Cota quando afferma che non dobbiamo celebrare soltanto le vittime autorevoli della violenza. Dobbiamo celebrare dunque non soltanto Aldo Moro, ma anche il fattorino dello IACP, Alessandro Floris, che venne colpito barbaramente a morte dalla banda «22 marzo» a Genova. Fu la prima vittima, se non ricordo male, della violenza terroristica nel nostro Paese, cui hanno fatto seguito tante altre umili vittime che possono e devono trovare posto in un Pantheon dei martiri della violenza politica dell'Italia democratica. Nella giornata del maggio del prossimo anno ricordiamo dunque tutte le vittime, da quelle più umili a quelle più autorevoli.
Tuttavia lanciamo un allarme: che possa ripetersi ancora nel nostro Paese quello che abbiamo già vissuto in passato. Non credo possa ripetersi nelle stesse forme: ogni epoca storica determina i fatti e le iniziative del momento.
Ciononostante, sono fortemente preoccupato da quanto affermato dal ministro dell'interno Giuliano Amato a proposito degli stretti rapporti che esistono in questo momento tra esponenti e gruppi della violenza terroristica che sono in carcere e altri settori del movimento i cui esponenti sono rifugiati o presenti in alcuni centri sociali o manifestano esplicitamente nelle piazze, esprimendo solidarietà e consenso rispetto agli obiettivi di queste bande organizzate.
Si tratta di un estremismo che unisce ribellismo e antipolitica e che in qualche forma si è permesso recentemente di contestare anche lei, signor Presidente della Camera, che non è certamente un moderato, così come di contestare tutte le cariche dello Stato e finanche i sindacati, seppure in forma non esplicita. Un movimento che unisce ribellismo e antipolitica e che ritengo assai pericoloso perché è un estremismo che si differenzia da quello del passato, che aveva qualche giustificazione teorica, rifacendosi ad esempio a movimenti internazionali come quello dei Tupamaros dell'America latina o alle bande come la Baaden-Meinhof in Germania. Questo movimento non ha referenti internazionali, né punti di riferimento nella teoria politica di alcun tipo: è, semplicemente, un estremismo ribellista e qualunquista.
Probabilmente, dobbiamo porci il problema di separarlo dalla massa dei giovani, assumendo una posizione politica che sia di forte rinnovamento del paese e che ponga al centro dell'attenzione - come è stato affermato proprio ieri, primo maggio, giorno dei lavoratori - le questioni del lavoro e dei giovani.
La precarietà del lavoro e le morti bianche sul lavoro sono questioni di cui si devono occupare i democratici ed i riformisti di questo Parlamento della Repubblica (Applausi dei deputati del gruppo DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Franco Russo. Ne ha facoltà.
FRANCO RUSSO. Signor Presidente, non sarei intervenuto nuovamente in questo dibattito, perché già questa mattina ho avuto modo di motivare, credo abbastanza ampiamente, le posizioni del gruppo di Rifondazione Comunista-sinistra europea, sottolineando che siamo assolutamente favorevoli all'istituzione di una giornata della memoria per ricordare le vittime del terrorismo.
Tuttavia, come ho messo già in rilievo e come ripeto in sede di dichiarazione di voto, la proliferazione delle giornate della memoria può portare ad un depotenziamento di questi appuntamenti, in cui la società dovrebbe condividere dei punti fermi, valori e giudizi.
La moltiplicazione delle giornate della memoria, lungi dal facilitare la costruzione voluta e fatta insieme, rischia, invece, di annullare lo sforzo di confronto e di ricerca, su episodi, momenti e fasi storiche che sono alle nostre spalle, ma che hanno attraversato in maniera drammatica e tragica il nostro Paese.
Signor Presidente, in primo luogo, vorrei ribadire la nostra completa solidarietà a tutti i familiari delle vittime colpite dallo Pag. 77stragismo e dagli assassinii politici e ricordare che questa solidarietà non nasce oggi, ma si è sviluppata nel corso degli anni, da quando vi sono state le vittime dello stragismo e degli assassinii politici.
Tuttavia, onorevole Giovanardi, vorrei ricordarle che Carlo Giuliani è morto assassinato e, finora, non è stato neanche possibile avere un processo per sapere chi lo abbia assassinato.
CESARE CAMPA. Vergognati!
FRANCO RUSSO. Sappiamo benissimo che prendeva parte ad alcune manifestazioni, in particolare, insieme a migliaia di persone, a quella di Genova in quel mese difficilissimo in cui si è registrata una gestione dell'ordine pubblico aggressiva nei confronti dei manifestanti, tant'è vero che è stata istituita addirittura una zona rossa, per così dire «intoccabile».
Aspettiamo ancora che sia fatta giustizia della morte di Carlo Giuliani, non nel senso di volerne vendicare la morte, bensì di volere ottenere un processo che ancora non c'è stato (Commenti del deputato Giovanardi).
Pertanto, onorevole Giovanardi, nel momento in cui il gruppo Rifondazione Comunista ha intitolato una sua sala al Senato, non lo ha fatto indiscriminatamente per colpire e indicare dei colpevoli, ma, in primo luogo, per ricordare una vittima e per chiedere lo svolgimento di un processo.
Signor Presidente, questa mattina ho riconosciuto molto apertamente - e speravo che con molta onestà intellettuale mi venisse anche riconosciuto dagli altri - che noi abbiamo assistito negli anni duri dello stragismo e degli assassinii politici ad una lezione di dignità che è venuta dalle famiglie. Abbiamo ascoltato stamattina Olga D'Antona che ha dato ancora una volta una lezione di dignità a tutti quanti noi, ma ho voluto ricordare anche le famiglie dell'onorevole Aldo Moro e il figlio di Bachelet, Giovanni, e il discorso che tenne quando onorò il padre ucciso. Io che non ne faccio parte, ho riconosciuto che dalla cultura cattolica è venuta una lezione di dignità, di comprensione e non di perdonismo, ma di capacità di superare una ferita per offrire all'intera società la possibilità di andare avanti.
L'onorevole Giovanardi si è stupito - non voglio nascondermi dietro nomi altisonanti - che questa mattina abbia voluto ricordare il doppio Stato. Onorevole Giovanardi, nessuno mette in discussione la lealtà della stragrande maggioranza della classe dirigente italiana verso le istituzioni repubblicane - lungi da me il ritenere che intere generazione di governanti, perlomeno tre, che si sono avvicendate nel nostro Paese, avessero messo in discussione le basi istituzionali e democratiche -, però, qui sta il doppio Stato: nessuno può negare che interi settori dell'apparato statale, a cominciare dai servizi segreti, sono stati molto spesso usati come strumento per tentare di rovesciare le basi costituzionali del nostro Stato.
Ho voluto ricordare Portella delle Ginestre, ma voglio ricordare anche - a differenza di quanto ha fatto lei - che durante gli anni della Repubblica alcune organizzazioni, come Gladio, si costituivano con la protezione di settori dello Stato. Voglio ricordare qui quello che disse Nenni nel 1964 del «tintinnar di spade», riferendosi al generale dei carabinieri De Lorenzo e voglio qui ricordare il Sifar e la P2, di cui l'onorevole Tina Anselmi, esponente della Democrazia cristiana, andò a scoprire tutti segreti.
Quando parlo del doppio Stato, non metto in discussione la necessità di avere i punti di riferimento di valori condivisi, ma sostengo che noi non possiamo fare di tutta l'erba un fascio e nasconderci il fatto che in Italia sono stati condotti per anni e anni tentativi di impedire il progresso non verso la sinistra, ma addirittura verso il centrosinistra. Nel 1964, infatti, si trattava appunto di impedire a quel nuovo tipo di Governo la riuscita e la possibilità di andare avanti.
Poi ho voluto ricordare che non si tratta di assolvere tutti gli apparati dello Stato, ma anche di ricordare che, negli anni '70, non solo i familiari e le vittime di quegli attacchi hanno subito l'aggressione Pag. 78terroristica, ma anche i grandi movimenti di popolo e di massa che in quegli anni sono nati nel nostro Paese e sono stati presi nella tenaglia della repressione e delle leggi emergenziali.
CARLO GIOVANARDI. Ma sparavano...!
FRANCO RUSSO. Non c'è stata la messa in discussione dell'intero apparato democratico dello Stato, ma ricordiamoci per un verso delle leggi emergenziali e per l'altro del terrorismo di destra e di sinistra. Ricordiamo che lo stragismo nasce il 12 dicembre 1969 contro i grandi movimenti operai e studenteschi del '68.
Voler ricordare tutto ciò è un modo per mettere insieme la memoria, non per cancellare i fatti aspri che ci hanno visti divisi e per ricordare anche che non solo l'apparato dello Stato con le leggi emergenziali, ma soprattutto la tenuta dello Stato democratico è stata dovuta alla capacità di risposta continua e permanente ad ogni assassinio e ad ogni strage. Ricordiamo i milioni e milioni di persone, sommando tutte le manifestazioni che ci sono state, che hanno detto no al terrorismo, allo stragismo e alla degenerazione democratica.
Ho voluto ricordare tutto ciò, nel rispetto completo anche della data del 9 maggio. Perché noi facciamo un'obiezione nei confronti di tale data? Non certo perché non ci abbia colpito allora e non ci continui a colpire la barbarie che si è esercitata verso Aldo Moro e la sua famiglia. Vogliamo ricordare però che in quell'occasione la società italiana è stata attraversata da un grande dibattito, che ha preso il nome «della fermezza e della non fermezza», che verteva sulle modalità con cui reagire al ricatto delle Brigate rosse e su come salvare la vita di Aldo Moro. Questo è stato in discussione. C'è stata una parte consistente della società italiana che si è espressa appunto per salvare la vita di Aldo Moro e per accedere alle richieste dei terroristi, perché quando i terroristi hanno in mano la vita di una persona, certo è difficile discutere se si vuol salvare quella vita: non si può che addivenire alle loro condizioni. È quello che ha fatto questo Governo nel caso del giornalista Mastrogiacomo, quello che una parte della classe dirigente nel 1978 voleva fare, contro un'altra parte della classe dirigente che - in nome appunto dello Stato e della «statolatria» - non fu capace di contrattare con i brigatisti per salvare la vita di Aldo Moro.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
FRANCO RUSSO. Per tutti questi motivi, signor Presidente, mentre noi siamo d'accordo a ricordare, a trasmettere alle nuove generazioni quel che è successo negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, non condividiamo l'istituzione della «Giorno della Memoria»; facendo del 9 maggio il punto alto di quella storia, perché dobbiamo ancora costruire insieme la lettura e soprattutto la necessità di uscire dagli anni di piombo e dagli anni bui della Repubblica.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Brigandì. Ne ha facoltà.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei esprimere alcune brevi considerazioni in riferimento a questa proposta di legge.
La prima è che forse abbiamo sbagliato tutto nell'intitolare, come abbiamo fatto, questa proposta legge e nel giustapporre i motivi per cui si istituisce il giorno della memoria al nome di Aldo Moro. Questo perché i provvedimento è rivolto alle vittime del terrorismo ed allora bisogna cominciare a chiedersi cosa sia il terrorismo.
Credo che il terrorismo faccia parte di quegli atti di violenza che vengono perpetrati indiscriminatamente ai danni delle persone qualunque. Quindi, è una cosa diversa l'atto che io rivolgo contro il mio avversario politico. Io faccio una strage (esempio emblematico: l'11 settembre 2001, 5 mila morti) per intimorire un'insieme Pag. 79di popolazioni. Se così è, dobbiamo forse pensare che diventa un po' meno emblematica la data del 9 maggio.
Ho sentito parlare in quest'aula di vittime «di serie A» e vittime «di serie B». Credo che l'istituzione di una data e, soprattutto, di una ricorrenza di questo tipo non serva per il passato ma deve servire da monito per il futuro, per far sì che quello che è accaduto non si verifichi mai più.
Allora, se così è, per prima cosa si deve evitare di individuare come punto di riferimento una strage che - guarda caso - è colorata di rosso o di nero, perché in tal modo si continuerà ad andare nella logica che negli anni Settanta ha portato a tutti gli atti di violenza delle Brigate rosse.
Se voi andate a leggere gli atti e le lettere che sono state scritte nei processi contro le Brigate rosse, vedrete che la considerazione fatta da questi delinquenti era abbastanza semplice. Il capitale ha ucciso il popolo nella sua intelligenza e l'ha ucciso in maniera talmente grande che il popolo non è in grado di reagire; quindi, c'è bisogno di un momento terroristico da parte delle Brigate rosse che possa svegliare una parte del popolo. Gli esempi che venivano fatti nei processi erano proprio quelli citati dall'oratore che mi ha preceduto: gli omicidi, cioè, erano compiuti per far sì che, ad esempio, un certo accordo o una certa manifestazione di taluni sindacati venisse portata avanti.
Se imbocchiamo questa strada, colleghi, percorriamo la strada sbagliata. Credo infatti che la data di cui parliamo oggi debba essere intesa non tanto in maniera letterale - non bisogna cioè intendere il terrorismo come viene definito dalle organizzazioni sindacali - quanto piuttosto come uno strumento per dire «no» alla violenza, per esprimere un criterio, un'idea e un'azione politica. Semplicemente questo, né più né meno: non possiamo dare alcuna cittadinanza alla violenza, sia essa rossa, nera, bianca, o di qualsivoglia associazione occulta.
Ma se così è - se cioè siamo d'accordo sul «no» alla violenza - dobbiamo votare compatti: ecco perché chiedo alle forze di estrema sinistra di ripensarci. Dobbiamo votare compatti contro la violenza, dalla sinistra alla destra! Quella che state adducendo è un'argomentazione francamente ridicola: è come se mi invitasse a cena Jennifer Lopez ed io rispondessi: «Non mi piacciono le tue scarpe!»...
PIETRO ARMANI. Bravo!
MATTEO BRIGANDÌ. Vi prego dunque di ripensarci: dobbiamo muoverci uniti verso questa importante data, che costituirà un'occasione per consentire a tutti una riflessione contro la violenza. La violenza è citata da tutti: ieri ho ascoltato sotto casa mia il Presidente della Camera - abito proprio lì sopra, signor Presidente - che parlava del 1o maggio e di Portella della Ginestra. Questi avvenimenti vanno ricordati.
Non possiamo dunque star qui a discutere se per caso la vittima è di un colore diverso dal nostro e dunque votare per questo contro la scelta di una certa data. Ma cosa state dicendo? La violenza deve essere espulsa da ogni lotta di carattere politico! Altrimenti, la data cui occorre fare riferimento è quella dell'omicidio di Abele da parte di Caino! È proprio in questo senso che andava il nostro emendamento: richiamarsi cioè ad un omicidio qualunque, piuttosto che ad uno eccellente. In alternativa, si sarebbe potuto pensare forse ad un episodio più emblematico, per esempio la strage di Bologna o quella di piazza Fontana.
In ogni caso, non credo che la data abbia una particolare importanza di fronte all'alto valore morale e sociale dell'istituzione di questa ricorrenza. È per questo che dichiariamo il nostro voto favorevole e chiediamo alle altre parti politiche di quest'Assemblea di non offrire la sponda a nessuno e per nessun motivo di fronte ad un argomento così importante.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Tranfaglia. Ne ha facoltà.
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NICOLA TRANFAGLIA. Sono piuttosto stupito del fatto che, nel momento in cui il Parlamento si accinge a decidere su questioni che attengono alla nostra storia, da una parte si accendono dispute assai aspre, e dall'altra non si tiene conto delle posizioni di coloro che studiano la storia e che «accumulano» ricerche sul passato. È come se questa volta si cercasse, da parte di una maggioranza piuttosto estesa, di prescindere completamente da tutto il lavoro che gli storici di diversa provenienza e di diverso colore politico hanno svolto sulla storia dell'Italia repubblicana.
Occorre notare che il provvedimento in esame parla esplicitamente di «vittime del terrorismo» e «delle stragi di tale matrice»: ci si riferisce dunque non solo agli atti terroristici, ma anche alle stragi avvenute nel nostro Paese. Nel farlo, però, si dimentica completamente che questa storia è cominciata ben prima degli anni Ottanta; si dimentica cioè che la prima vera grande strage è stata quella del 1o maggio 1947 a Portella della Ginestra, a proposito della quale tutte le ricerche più recenti hanno potuto utilizzare documenti, provenienti da vari paesi, che dimostrano la presenza in quell'occasione di diversi protagonisti, alcuni italiani ed altri di diversa nazionalità.
Questo è il primo punto. Posso capire che la data del 1o maggio 1947 è stata giudicata troppo lontana, ma ritengo che si debba decidere, allora, in quale periodo, nella nostra storia, c'è stato un «accumulo» di stragi e di atti terroristici....
CARLO GIOVANARDI. Nel 1946! E nel 1945, dopo aprile...!
PRESIDENTE. Per favore!
NICOLA TRANFAGLIA. Se mi fate parlare...! Io sto parlando dell'Italia repubblicana e non credo di dover ricordare che l'Italia repubblicana è stata decisa da un referendum il 2 giugno del 1946. Per questo non si può parlare del 1945, solo per questo. Altrimenti si potrebbe anche parlare anche del 1943, ma poiché ci riferiamo all'Italia repubblicana dobbiamo parlare di quello che accadde dopo il 2 giugno 1946.
Allora, se poi si vuole scegliere un periodo in cui è stata più intensa la serie di stragi e di atti terroristici non c'è dubbio che il periodo è quello che va dal 1969 all'inizio degli anni Ottanta, tanto è vero che citando anche le cifre che hanno fornito i ministeri, quindi cifre ufficiali, noi sappiamo che i morti e feriti in quella stagione ammontano a 1.119, di cui 351 morti, e che gli anni più sanguinosi sono stati il 1969, con 105 vittime, di cui 30 morti; il 1970, con 56 vittime, di cui 6 morti; il 1974, con 237 vittime, di cui 30 morti; il 1980, con 357 vittime, di cui 130 morti.
Questi dati, come mi pare giusto si debba fare in quest'aula, non riguardano il colore delle vittime, ma, in generale, l'Italia delle stragi e dei terrorismi. Allora, se siamo d'accordo sul fatto che è proprio dal 1969 in poi che si dispiega questa stagione, non c'è dubbio che l'avvenimento simbolicamente più rappresentativo di questa è costituito, come hanno già detto l'onorevole Franco Russo e l'onorevole Ascierto, dalla strage di piazza Fontana, in cui sono morte 17 persone anonime, che non sapevano neanche la causa di quello che gli stava per capitare.
Invece, per quanto riguarda la morte dell'onorevole Aldo Moro, io sono il primo a ritenere che la Repubblica debba ricordarlo, magari con una nuova iniziativa, nel modo più solenne. E vorrei anche ricordare che l'onorevole Aldo Moro è stato l'artefice politico del tentativo di far partecipare i comunisti al Governo della Repubblica; quindi, parlarne come di una persona che voleva rappresentare in qualche modo altre parti politiche non è corretto dal punto di vista storico.
Ecco perché, ricordando questi fatti, ritengo che la morte dell'onorevole Moro appartenga a un'altra stagione e che non possa essere ciò che dà inizio a questo ricordo simbolico che stiamo per istituire.
Mi meraviglio che tanti colleghi, che hanno il mio stesso passato, abbiano dimenticato queste cose. Certo, resta il fatto Pag. 81che, pur favorevoli al provvedimento, noi siamo costretti ad astenerci, proprio perché riteniamo che la scelta della data del 9 maggio non corrisponda alla realtà storica, quando tutte le ricerche puntano sulla data del 12 dicembre 1969 (Applausi dei deputati dei gruppi Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
LUCA VOLONTÈ. No, ripensaci!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Nucara. Ne ha facoltà.
FRANCESCO NUCARA. Signor Presidente, dagli interventi che mi hanno preceduto sembrerebbe - o potrebbe sembrare - che il provvedimento al nostro esame sia condiviso. Dalle dichiarazioni di voto, però, mi pare che sia poco condiviso, poiché si danno giustificazioni che non hanno senso, se è nostro dovere pensare alle vittime del terrorismo e non ai terroristi: con questo giustificazionismo, infatti, sembra si debba pensare più ai terroristi che alle loro vittime.
E anche in quest'aula, oggi, sembrerebbe svolgersi una specie di lotta di classe tra professori universitari ex terroristi che oggi insegnano nelle università o lavorano, addirittura, nelle strutture stesse dello Stato, e i poveri carabinieri o poliziotti che, invece, se lasciano l'Arma o le forze di polizia, rimangono disoccupati.
Varrebbe la pena ricordare agli amici e ai colleghi della maggioranza quella famosa poesia di Pasolini sulla cosiddetta «battaglia di Valle Giulia», quando i poliziotti furono fatti bersaglio dei banchi che cadevano dalla facoltà di architettura: i sessantottini di allora oggi siedono nelle cattedre universitarie, mentre i poliziotti di allora - se sopravvissuti al terrorismo - al più sono diventati brigadieri della Polizia.
Perciò, crediamo che il Parlamento debba difendere le vittime del terrorismo e non i terroristi, dal momento che i terroristi di allora (che oggi siedono spesso nelle strutture dello Stato) non possono essere parimenti considerati rispetto alle vittime del terrorismo.
Abbiamo esempi di personalità ammazzate senza saperne il perché; per quanto mi riguarda, vorrei citarne uno per tutti: Lando Conti, ottimo sindaco della città di Firenze ucciso dai terroristi senza che se ne conoscano ancora le vere ragioni. Lando Conti era un sindaco repubblicano, ma al di là di Lando Conti, Aldo Moro, Bachelet e via discorrendo mi riferisco, soprattutto, alle vittime, ai poliziotti, ai brigadieri, ai marescialli, ed anche al fratello di Peci (che nulla aveva a che fare con il terrorismo e che è stato ammazzato). Queste sono le persone che dobbiamo ricordare, non i terroristi (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Repubblicani, Liberali, Riformatori)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Adenti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, a nome del gruppo dei Popolari-Udeur esprimo la nostra piena condivisione, il nostro convinto apprezzamento per l'iniziativa legislativa al nostro esame. Infatti, con questo provvedimento ci accingiamo a rendere un dovuto omaggio al sacrificio di tanti nostri concittadini - siano essi persone comuni, servitori dello Stato o uomini politici -, tutti accomunati in nome della difesa della libertà e dell'ordinamento democratico del nostro paese.
Con questo provvedimento contribuiremo altresì, nel fissare il ricordo di un'età così difficile per la storia del nostro paese, anche alla formazione storica e civile delle giovani generazioni.
Noi del gruppo dei Popolari-Udeur, pur rispettando le altre proposte, guardiamo favorevolmente alla scelta della data del 9 maggio, perché essa rappresenta un avvenimento di grande importanza nella storia repubblicana, un momento in cui tutti gli italiani e tutti i partiti politici si sono ritrovati uniti nel condannare il terrorismo di fronte alla punta massima dell'aggressività delle Brigate rosse: unità e coesione che resero il paese forte nella lotta contro il fenomeno del terrorismo.Pag. 82
Proprio per il suo carattere simbolico di unità nazionale contro il terrorismo, il gruppo dei Popolari-Udeur ritiene che tale scelta debba essere largamente - come del resto è - condivisibile. Questo provvedimento infine, al di là delle opinioni degli schieramenti politici, è volto a promuovere il radicamento di una memoria condivisa su fatti che riassumono i valori portanti della nostra società: innanzitutto il diritto alla vita e, poi, il rispetto delle libertà riconosciute dalla nostra Costituzione. Proprio per queste considerazioni - e per quelle già espresse nel corso del dibattito generale - annuncio a nome del gruppo dei Popolari-Udeur il nostro convinto sostegno a questo provvedimento.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, i Verdi voteranno a favore di questa giusta iniziativa legislativa per l'istituzione della giornata della memoria a favore delle vittime del terrorismo e delle stragi. Tuttavia, vorrei ricordare a qualche collega che ha lamentato in quest'aula la mancanza di iniziative a favore delle vittime del terrorismo, l'adozione qualche anno fa, nel 2004, della cosiddetta «legge Nassiriya», proprio per tutte le vittime del terrorismo interno e in parte del terrorismo internazionale. Questa è la ragione per cui la «legge Nassiriya» dovrà essere completata, per il periodo storico antecedente al 2003, a proposito delle vittime del terrorismo internazionale, come è avvenuto alla fine della scorsa legislatura, con una mia proposta di legge a favore delle vittime della strage di Kindu, che risale al novembre del 1961. Mi auguro, quindi, in questa occasione, signor Presidente, che il Senato possa rapidamente completare l'iter legislativo della proposta di legge, già approvata all'unanimità da questa Camera, per rendere giustizia anche alle altre vittime del terrorismo internazionale precedenti alla strage di Nassiriya.
Se questa proposta di legge che stiamo discutendo oggi è giusta - noi la voteremo - mi pare che sia stato pessimo il tentativo da parte di qualche collega di utilizzare anche questa occasione per una divisione e una contrapposizione politica. È necessario ricordare ancora una volta che l'Italia ha conosciuto diversi tipi di terrorismo, in primo luogo, la strategia della tensione e delle stragi. Qualcuno in quest'aula forse non si è avveduto - o, almeno, non lo ha sostenuto - che ci sono decine di indagini giudiziarie da cui emerge la complicità di settori e di apparati dello Stato nella strategia della tensione e delle stragi.
In secondo luogo, voglio ricordare il terrorismo di sinistra; in terzo luogo, il terrorismo di destra; in quarto luogo, il terrorismo politico-mafioso; in quinto luogo, il terrorismo di matrice internazionale, sia all'interno - penso alla strage di Fiumicino del 1973 - sia all'esterno del nostro paese, e ho già ricordato la strage di Nassiriya.
L'Italia ha conosciuto fin dal dopoguerra il terrorismo politico-mafioso con la strage di Portella della Ginestra del 1o maggio 1947. Proprio ieri ne è stato ricordato drammaticamente il sessantesimo anniversario. Ma non c'è dubbio che la data che ha segnato una svolta storica in Italia sia stata quella del 12 dicembre 1969, con la strage di piazza Fontana, che ha inaugurato quella strategia della tensione e delle stragi che ha seminato lacrime e sangue nel nostro paese. Per questo, lo dico sommessamente e pacatamente, ho già sostenuto in sede di discussione generale che sarebbe stato giusto, come già previsto dalla proposta di legge a prima firma Zanella e dalla proposta di legge a prima firma Zanotti, entrambe da me sottoscritte, indicare il 12 dicembre come la data prescelta per il giorno della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi.
Signor Presidente, colleghi, al Senato dopo molte sedute in cui si è dibattuto su un ampio ventaglio di date possibili come giorno della memoria, la Commissione affari costituzionali in sede deliberante ha deciso in modo unanime di adottare la data del 9 maggio, anniversario dell'assassinio Pag. 83del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, avvenuto appunto il 9 maggio del 1978.
L'anno prossimo ricorderemo i trent'anni di questo tragico evento. Sicuramente l'omicidio di Aldo Moro è stato un tragico e criminale evento, che costituisce il più grave omicidio politico nella storia italiana del dopoguerra e il 9 maggio di ogni anno costituirà l'occasione per ricordare tutte le vittime del terrorismo e delle stragi, senza distinzione.
Proprio per questo motivo, collega Cota, collega Del Bue, sarebbe stato più opportuno scegliere la data del 12 dicembre, perché riguarda cittadini qualsiasi, come è avvenuto per tutte le stragi che hanno fatto seguito a piazza Fontana. Infatti, il primo cittadino qualsiasi non è stato ucciso per terrorismo nel marzo del 1971, ma nella strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, dove le vittime sono state decine. Cittadini qualsiasi, donne e uomini che si trovavano casualmente in una banca, in una piazza o in un treno e che solo per questo hanno perso la vita o sono rimasti invalidi per tutta la vita. Forse dunque sarebbe stato meglio evitare - ripeto, lo dico sommessamente e pacatamente - che il Parlamento scegliesse come «Giorno della memoria» la data dell'omicidio di un proprio autorevolissimo membro, di un uomo politico e statista così stimato come Aldo Moro, a fronte di centinaia di persone anonime che sono rimaste vittime del terrorismo indiscriminato e che spesso anche dopo tali eventi sono rimaste anonime.
Questa riflessione, rispettosissima e solidale nei confronti della straordinaria figura di Aldo Moro, è stata del resto suggerita anche dalle sollecitazioni e dalle aspirazioni di molte associazioni di familiari delle vittime del terrorismo e delle stragi. Ma, lo ripeto, in ogni caso il gruppo dei Verdi voterà a favore di questa proposta di legge ricordando che essa corrisponde anche ad un'esigenza e ad una aspirazione condivisa dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
La strada per una memoria condivisa, come emerge dal nostro dibattito, sarà ancora lunga e difficile perché questo Paese è ancora dilacerato profondamente al proprio interno e temo lo sarà, purtroppo, ancora a lungo. Sarebbe invece auspicabile che il «Giorno della memoria» non venisse mai utilizzato per nuove contrapposizioni ideologiche e di parte, per rivendicazioni astiose e contrapposte ma, al contrario, che venisse utilizzato per creare, in un clima finalmente sereno e solidale, la capacità di ricordare adeguatamente il passato affinché si creino le condizioni umane, culturali, politiche e istituzionali perché quel tragico passato non possa e non debba più ripetersi. Mai più stragi, mai più terrorismo, mai più vittime innocenti! Mai più (Applausi dei deputati del gruppo Verdi)!
PRESIDENTE. Saluto gli studenti statunitensi dell'Eastern College Consortium di Bologna, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, colleghe e colleghi, oggi la Camera sta vivendo una giornata importante, una giornata della memoria attraverso la quale vuole consegnare anche alle future generazioni, quelle cioè che non hanno partecipato direttamente agli eventi più drammatici della nostra storia recente, il ricordo della fase drammatica che la nostra nazione ha vissuto nella propria storia, quella del terrorismo.
Si tratta di un giorno importante e mi associo a quanti hanno detto che dovrebbe essere consacrato con un voto unanime. Ciascuno di noi ha vissuto quel periodo da diverse posizioni, io l'ho vissuto da magistrato. Mi riconoscevo allora nella cultura di impegno costituzionale, la cultura riformista che voleva migliorare lo Stato dall'interno e non contrastarlo per abbatterlo, né accettarlo supinamente, ma semplicemente migliorarlo. Questa cultura era stata presa di mira dal terrorismo perché era la cultura che maggiormente si opponeva alla folle idea di abbattere lo Stato definitivamente. Essa voleva solamente migliorare Pag. 84lo Stato per renderlo sempre più conforme alla Costituzione ed in effetti i suoi rappresentanti sono coloro i quali hanno dato il maggior contributo di sangue alla violenza terroristica. Tanti magistrati sono caduti, li voglio ricordare brevemente: Occorsio, Galli, Alessandrini, Minervini, Tartaglione, Amato. Tutti giudici impegnati nel trasformare lo Stato per renderlo sempre più conforme alla Costituzione e perciò drammaticamente contrastati dalla cultura terroristica.
Voglio anche ricordare che non fu solo la magistratura a decretare la sconfitta del terrorismo e che lo Stato, in tutte le sue articolazioni, lo ha fronteggiato con metodi democratici e con un minimo (davvero un minimo!) di misure investigative eccezionali.
Voglio ricordare il ruolo che hanno avuto le forze di polizia, le quali hanno collaborato lealmente, talvolta trovandosi anche a dover contrastare settori deviati dello Stato.
Voglio ricordare i sindacati e le forze economiche, scesi in piazza con manifestazioni straordinarie ogni volta che cadeva sulla strada una vittima del terrorismo e non soltanto quando morì Guido Rossa, una delle sue espressioni più alte.
Voglio ricordare le forze politiche nel loro complesso, le quali hanno saputo contrastare efficacemente gli anni di piombo.
Vorrei invece concludere il mio intervento annunciando il voto favorevole dell'Italia dei Valori e ricordando che il terrorismo non è definitivamente debellato, ma è ricorrente. Anche episodi recenti ce l'hanno ricordato. Non soltanto gli omicidi di D'Antona, ma anche i recenti arresti hanno dimostrato una pericolosissima infiltrazione all'interno di strutture fondamentali della nostra società.
Dico ciò perché non dobbiamo abbassare la guardia e perché considero agghiacciante l'ipotesi, che è stata fatta anche in quest'aula, di chiudere comunque i conti con gli anni di piombo. Non c'è niente da chiudere. Noi oggi stiamo ricordando che la memoria della nostra nazione deve avere sempre presenti le vittime del terrorismo e il gravissimo rischio che esso rappresenta per le nostre istituzioni democratiche.
Nel momento in cui annuncio il parere favorevole dell'Italia dei Valori alla proposta di legge in esame, voglio anche aggiungere che noi ci opporremo con estrema determinazione a qualunque disegno di chiusura dei conti con gli anni di piombo, realizzato attraverso una amnistia, condono, indulto, o qualunque forma che tenda a far dimenticare quegli anni.
Non c'è niente da dimenticare, ma solo da ricordare ed oggi, la Camera, votando questo provvedimento addita alla nazione il bisogno di ricordare e di non dimenticare (Applausi dei deputati del gruppo l'Italia dei Valori e di deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Santelli. Ne ha facoltà.
JOLE SANTELLI. Signor Presidente, stamattina abbiamo svolto la discussione sulle linee generali del provvedimento e immaginavo che la fase delle dichiarazioni di voto fosse molto più veloce, forse perché davo per condiviso il significato profondo del dibattito odierno.
Vorrei ricordare, per i colleghi che non erano presenti, che la mattinata è stata caratterizzata dall'intervento molto sentito (forse molto poco politico e più umano) della collega D'Antona. Con lei abbiamo ricordato tutti e toccato con mano cosa lo Stato deve alle vittime del terrorismo, non in senso «agglomerato», ma in termini di vite personali distrutte, di famiglie distrutte, di persone che hanno pagato prezzi personali altissimi nel nome dello Stato.
Il dibattito di stasera, purtroppo, non consente di procedere alla dichiarazione di voto in termini più sbrigativi, ma necessita di alcune ulteriori precisazioni.
Vorrei rispondere ai colleghi della Lega Nord Padania che hanno chiesto perché, nel disegno di legge sul giorno della memoria delle vittime del terrorismo, non si prende in considerazione una vittima comune, Pag. 85bensì una vittima politica. Mi scuso con i colleghi della Lega Nord Padania, ma alcune volte l'antipolitica non conduce molto in avanti. Il terrorismo è di per sé atto che si riproduce contro vittime comuni, altrimenti non sarebbe tale, perché mira proprio a creare sconquasso, terrore ed a far sì che ogni cittadino possa sentirsi potenzialmente vittima. Allora, se avessimo compiuto una scelta diversa, avremmo fatto una graduatoria fra quelle vittime, nell'ambito di una ricerca storica che il collega Tranfaglia ha fatto molto correttamente ma, in questo caso, non stiamo facendo un'analisi storica del fenomeno terroristico, stiamo facendo altro. Abbiamo scelto una data importante perché il terrorismo di questo Paese è soprattutto terrorismo politico, che tende ad inquinare il corretto dibattito fra le parti politiche, e di questo terrorismo politico sicuramente il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro rappresenta un momento culminante. È stato un colpo allo Stato, il momento in cui il Paese si è sentito, per la prima volta, a nudo rispetto ad un nemico invisibile che da allora in poi ha dovuto considerare necessariamente. Quel tragico evento ha mirato soprattutto a colpire un disegno politico e, per questo, il Parlamento ha l'obbligo oggi di mettere una parola definitiva su quella pagina e su quella storia.
Mentre posso anche comprendere la motivazione della proposta avanzata dal gruppo della Lega Nord Padania, sono rimasta assolutamente allibita dalle parole di alcuni colleghi del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra europea. Pensavamo di aver scritto una pagina seria sul terrorismo, con la quale quest'Assemblea lo condanna in toto, ed allora, che senso ha mettersi a discutere di chi è stato il primo attacco e chi ha risposto? Cosa dobbiamo giustificare? Nulla. Non possiamo giustificare gli assassini, anche se l'hanno fatto nel nome della politica, perché non è una motivazione alta e nobile, anzi, è una motivazione ancora peggiore perché è l'attacco alla democrazia di questo Paese. Mi auguro che l'esame del provvedimento si concluda con il voto favorevole di tutte le parti politiche. Solo così, potremo rendere ossequio a coloro che sono morti affinché oggi potessimo sedere in questo Parlamento, a discutere liberamente le nostre idee. Solo così rivolgeremo alle nuove generazioni il monito a ricordare la storia di questo Paese e potremo insegnarla loro dato che noi stessi, per primi, dimostriamo di averla appresa fino in fondo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia e del deputato Bianco).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Boscetto. Ne ha facoltà.
GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, intervengo per esprimere il giudizio fortemente positivo del gruppo di Forza Italia sulla proposta normativa che sta per diventare legge. Certamente esistono visioni diverse e non è facile arrivare ad una soluzione condivisa; tuttavia, il 9 maggio, data in cui fu ucciso Aldo Moro e si concluse la vicenda iniziata con l'uccisione della sua scorta, è sicuramente un momento drammatico della storia del nostro Paese, dal quale si può far partire tutto ciò che in seguito è successo di positivo in termini di reazione al terrorismo. La strage di piazza Fontana poteva rappresentare una data emblematica, così come l'uccisione di Alessandro Floris: vi sono ragioni a sostegno dell'una opzione, così come dell'altra. Certamente pensare ad Alessandro Floris come una vittima rappresentativa, non di qualcuno che conti, ma di un uomo del popolo, ha una valenza, ma a me sembra che sia una valenza lievemente demagogica. La strage di piazza Fontana è un momento particolare; tuttavia, non è collegato ad un uomo di Stato e, soprattutto, non ha visto la forte reazione al terrorismo e l'individuazione e la cattura dei terroristi.
Tutto ciò che riguarda la reazione, da parte dello Stato, ad uno dei momenti più terribili della nostra Repubblica, ben può essere collocato nella memoria di chiunque, ma soprattutto nella memoria di chi Pag. 86ha vissuto quei momenti e, ancor di più, in quella dei giovani, che non devono dimenticare la storia della nostra Repubblica e come quest'ultima si sia dimostrata forte e grande nella reazione e nella lotta al terrorismo.
Questo è il tipo di ricordo che noi di Forza Italia riteniamo più adeguato, senza voler fare, però, una classifica delle situazioni più negative o più significative. Il 9 maggio, giorno dell'uccisione di Aldo Moro e della sua scorta, è un momento fortemente significativo, per le ragioni di fondo che sono state già espresse e che, in poche parole, ho voluto ribadire.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Garagnani. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, svolgo solo qualche breve considerazione, perché condivido pienamente quanto affermato dai colleghi Santelli e Boscetto. Desidero, però, precisare, anche con riferimento ad alcuni interventi di esponenti di Rifondazione Comunista, che l'istituzione di questa giornata, che dovrebbe unire tutti gli italiani nel ricordo delle vittime della violenza terroristica e nella comune riflessione sui valori della democrazia, è stata considerata in modo profondamente diverso da alcuni partiti. Credo opportuno ribadirlo in questa sede, anche in considerazione del fatto che Forza Italia - ma anche Alleanza Nazionale, Lega Nord e UDC - ha espresso un parere contrario a tale proposta di legge, dal momento che la relazione di maggioranza partiva, nella definizione delle vittime del terrorismo, dalla strage di piazza Fontana, privilegiando determinate vittime a scapito di altre.
Ciò ha innescato una discussione sul terrorismo nero e sul terrorismo rosso, che ha fuorviato il dibattito, inducendo molti di noi ad esprimere parere contrario nei confronti di una relazione parziale, che volutamente dimenticava alcuni aspetti della storia italiana, che noi, invece, crediamo doveroso riproporre e difendere in questa sede.
Mi preme ribadire, quindi, che, nel momento in cui esprimo, con i colleghi del mio gruppo che hanno già parlato, un voto favorevole a tale proposta di legge, tendo a fare chiarezza sulle diverse motivazioni che ci hanno indotto in Commissione ad esprimerci in un certo senso.
Il ricordo che vogliamo porre in evidenza in questa sede è adeguato e doveroso per un Paese democratico come il nostro. Senza nulla togliere alle vittime della violenza politica e del terrorismo, credo che il riferimento preciso al 9 maggio - anche perché definito dal punto di vista giuridico e politico - segni il punto più alto della strategia della tensione e delle difficoltà di uno Stato democratico, che si è trovato a misurarsi con l'eversione e con i problemi connessi all'uccisione del più autorevole esponente governativo in quel momento: mi riferisco alla figura di Aldo Moro ed al sacrificio della sua scorta. Questo significato non può essere sottaciuto, senza nulla togliere ad altre vittime della violenza estremista.
Vorrei però dire con pacatezza, ma con chiarezza, che - visto che i colleghi dell'estrema sinistra in questa sede hanno ribadito tutta una serie di luoghi comuni sulle vittime del terrorismo, citandoli ad ogni piè sospinto e facendo anche una verifica numerica delle vittime dal dopoguerra ad oggi - se ci incamminiamo su questa strada, fatalmente prevarranno le divisioni e la necessità di riconoscere, al di là della solidarietà che esprimiamo in questa sede alle vittime del terrorismo, le motivazioni con cui esprimiamo la solidarietà, ma soprattutto la considerazione della storia italiana, che è profondamente diversa.
Su questo punto, credo che occorra fare chiarezza, proprio perché si è fatto riferimento alle vittime della violenza terroristica degli anni Sessanta. In questa sede - ed è stato fatto riferimento alla Repubblica italiana nata il 2 giugno 1946 - vorrei ricordare anche all'onorevole Tranfaglia che nel 1948 ci sono state nella mia regione, l'Emilia Romagna, tante vittime della violenza di sinistra, alle quali non è mai stato riconosciuto nemmeno un Pag. 87ricordo, una riflessione o almeno la percezione delle motivazioni per cui furono brutalmente uccise. Ciò in quanto si voleva instaurare in quelle realtà un regime di segno particolare, per cui coloro che erano visti come avversari dal punto di vista culturale, sociale e politico sono stati massacrati senza tergiversare. Dico ciò perché l'acme di questa violenza si raggiunse dopo il 18 aprile 1948, quindi ben due anni dopo la nascita della Repubblica e tre anni dopo la fine della seconda guerra mondiale e della Resistenza.
Se vogliamo ricostruire, quindi, la storia d'Italia, dobbiamo citare anche questi episodi, ai quali i libri di storia non accennano. Occorre menzionare tutta una serie di fatti che hanno inciso gravemente sul clima politico e che ancora oggi sono presenti nel tessuto sociale e familiare di molte realtà del nostro Paese e, per quanto mi concerne, della mia regione, l'Emilia Romagna. Vi sono persone che chiedono ancora la sepoltura dei propri cari, di sapere dove poter collocare un fiore, dove poter rivolgere una preghiera agli stessi.
Tornando alla considerazione che è stata fatta all'inizio, credo che occorra molto più rispetto della storia del nostro Paese e della realtà. Evitiamo di fare demagogia e politica su un argomento come questo, che in altri paesi avrebbe provocato un coro unanime di consensi da parte di tutte le forze politiche. Evidentemente, la battaglia e il sentimento ideologico di una parte sono ancora prevalenti e portano la stessa a considerare gli avversari come nemici e a definire la storia del nostro Paese soltanto all'insegna di un determinato martirologio.
Pertanto, a fronte di ciò, credo che occorra ribellarsi in nome delle vittime, di una concezione della storia e soprattutto di fronte ad alcuni fatti significativi.
Fino agli anni Settanta, checché se ne dica, la realtà democratica del nostro Paese era messa in discussione da un partito, come il partito comunista (Commenti dei deputati del gruppo Comunisti Italiani), che si richiamava a modelli e a realtà profondamente antidemocratiche e diverse da quelle in cui credeva la maggior parte del popolo italiano. Non a caso il riferimento al modello del socialismo reale era presente in ogni atto costitutivo di quel partito e di gran parte della sinistra. Pertanto, credo che, quando si affronta questo argomento, bisogna tener presente anche che l'Italia era una democrazia «zoppa», poiché al suo interno era presente un forte partito comunista che, in modo diretto o indiretto, manteneva collegamenti con il terrorismo internazionale, perché tale era il terrorismo dei paesi dell'est europeo (Vivi commenti dei deputati del gruppo Comunisti Italiani - Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia), in quanto l'Unione Sovietica e i paesi dell'est europeo foraggiavano, alimentavano culturalmente e idealmente il partito comunista italiano.
Negli anni Settanta, nei consigli comunali dell'Italia del nord, si sentivano esponenti del partito comunista esaltare la superiorità morale del comunismo dell'est europeo.
Ciò va ricordato dal momento che voi per primi avete richiamato certi modelli, certi esempi di strage (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Commenti del deputato Venier). Soprattutto, mi sento in dovere di dirlo per rispetto alle centinaia di persone che sono state ricordate solo dal libro di Pansa e che anche in questa sede - mi riferisco ai morti della violenza comunista dal 1945 al 1948 -, meritano un ricordo.
Si è parlato giustamente di tutti e della necessità di una ricomposizione; credo che anche queste persone siano vittime della violenza politica, anche se spesso non sono citate o ricordate e ritengo che almeno in Parlamento lo debbano essere (Commenti dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
Colleghi della sinistra, vi chiedo una maggiore modestia, una maggiore riflessione e una consapevolezza della nostra storia! Vi chiedo una riflessione adeguata riguardo alla vostra realtà, su ciò che ha determinato anche una sorta di reazione di terrorismo che va condannato in modo drastico, ma soprattutto riguardo alla mentalità profondamente antidemocratica di quei settori del nostro Paese che hanno Pag. 88reso l'Italia, fino a metà degli anni Settanta, una «democrazia protetta», non perché c'erano gli americani o perché c'era la NATO, ma perché c'era una parte consistente del nostro Paese, lo dimostrano anche le relazioni...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
FABIO GARAGNANI. ...con i servizi segreti dell'Unione Sovietica, che di fatto identificava la propria storia nell'Unione Sovietica, non nell'Italia post-risorgimentale, nell'Italia di Forza Italia (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Burgio. Ne ha facoltà.
ALBERTO BURGIO. Signor Presidente quando si istituisce un anniversario è necessario scegliere una data simbolica. Ciò in questo caso ha reso inevitabile una determinata interpretazione del terrorismo, o meglio, dei terrorismi che hanno insanguinato per decenni il nostro Paese.
Sulle interpretazioni si può legittimamente discutere, ma quello che appare indiscutibile è che il terrorismo in Italia cominci ben prima del 9 maggio 1978. Come ha ricordato l'onorevole Tranfaglia, comincia il 1o maggio 1947 con una strage di lavoratori e sindacalisti per mano di una banda criminale armata dai servizi segreti americani e coperta - onorevole Giovanardi -, come dimostrano documenti declassificati di archivi statunitensi, anche da settori delle forze di Governo.
CARLO GIOVANARDI. E da De Gasperi e dal Papa...!
ALBERTO BURGIO. Il terrorismo in Italia, come hanno ricordato prima di me gli onorevoli Acerbo e Russo, conosce un nuovo e ancor più tragico inizio con la strage fascista di piazza Fontana del 12 dicembre 1969.
Onorevoli colleghi, avere dimenticato questi precedenti...
LUCA VOLONTÈ. Non dimentichiamo niente noi! Non siamo come voi!
ALBERTO BURGIO. ...configura una omissione a cui credo che il Parlamento dovrà porre rimedio.
È un'omissione grave, non solo perché amputa questa storia, promuovendo una rappresentazione fuorviante, ma anche per il carattere essenzialmente diverso degli atti terroristici che colpirono lavoratori e cittadini comuni, inermi e inconsapevoli.
È stato detto in alcuni interventi che queste nostre osservazioni condurrebbero ad irricevibili classifiche. Non lo credo affatto. Penso, al contrario, che nel prevedere l'istituzione del giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi, se si fossero veramente volute evitare classifiche, si sarebbe potuta indicare una doppia data: si sarebbero potute indicare sia la data del 9 maggio, sia la data del 12 dicembre.
Questa è una richiesta che noi rinnoviamo per una ulteriore riflessione in vista di un altro provvedimento.
In ogni modo, ritengo che, escludendo una di tali date, si sia persa un'occasione e si sia mancato anche di rispetto a molte vittime innocenti del terrorismo nel nostro Paese. Per questo motivo annuncio il mio voto di astensione su questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non credo che le polemiche possano servire ad approfondire i termini del problema, ad entrare con spirito di verità nella comprensione di ciò che è accaduto. Oggi dovremmo avere la consapevolezza di approvare un provvedimento al quale è necessario conferire un senso profondo.
Non è semplice ricordare. Il ricordo può diventare una liturgia che nel tempo perde significato e si trasforma in esteriore Pag. 89cerimonia o in querelle. Ricordare, certo, significa rivisitare continuamente il passato senza dogmi, penetrare nel solco profondo della storia, scrutarne gli angoli oscuri e farne brillare le luci. Il ricordo è uno scavo continuo che verifica e accerta, che coinvolge ed emoziona. Vi è qualcosa di sacro nel ricordare. Non si ricorda veramente se non ci si avvicina con sentimento tragico, e dunque religioso, ad avvenimenti che hanno sconvolto la nostra storia repubblicana, messo a rischio la nostra libertà e democrazia, che era stata riconquistata con altre tragedie, quelle della guerra e del conflitto civile post-bellico.
Il ricordo aiuta a vincere l'indifferenza, che è il male oscuro del nostro tempo che rischia di diventare un tempo senza storia. Troppa fretta nel seppellire culture, ideologie, partiti, guide profetiche e morali, senza ripercorrere le tappe e gli itinerari delle logiche e delle scelte fatte in un determinato periodo, nell'illusione di chiudere rapidamente con il passato, per pervenire all'auspicata «memoria condivisa».
Ma a me non sembra che questa sia la strada giusta; è piuttosto l'altra, quella cioè di immergersi in ciò che è accaduto per capire ed individuare le radici di una follia omicida che si illuse di rigenerare con la più infame e vile delle azioni, quella del terrorismo. La memoria deve aiutare a comprendere l'errore che ha generato discordia e versato sangue innocente. Solo così la memoria può contribuire a purificare e a preparare il futuro, poiché questo è il vero compito della memoria: non dimenticare.
Ma per costruire la memoria, quella che può accomunare tutti e rendere unitario il sentimento del popolo verso la tragedia che lo ha diviso, è necessario svolgere la ricerca con spirito di verità. Non possiamo rassegnarci alla tesi che non ci sono fatti ma solo interpretazioni. È una tesi che sfocia in una cattiva storicizzazione, in un giustificazionismo che, con la pretesa di spiegare, finisce per assolvere.
I fatti degli «anni di piombo» esistono e parlano di sangue versato. La memoria non è certo un tribunale, ma non può rinunciare ad una verità storicamente accertata sui fatti accaduti e sulle loro conseguenze sulla libera e pacifica vita di un popolo. La memoria, per essere tale, deve essere anche la ricomposizione di una coscienza comune, come molti colleghi hanno detto: comune, dettata dalla pietas per tutte le vittime. I morti non possono e non devono dividere; ma è proprio per un dovere verso di loro che, oltre a tenerne viva la memoria, non possiamo non continuare ad indagare e a distinguere tra il frutto di ottusa e sanguinaria violenza settaria che genera morte e il pacifico conflitto politico e sociale che promuove e trasforma la vita del popolo.
A causa del tempo trascorso, scrisse un poeta antico, vi è talvolta la tentazione di porre una pietra sul passato, anzi si inclina perfino a trasformare in maestri di vita, se non in eroi che hanno sbagliato, chi predicò perversi messaggi e seminò lutti e dolore, che sono ancora vivi. Oggi vi è stata la grande testimonianza di Olga D'Antona. Abbiamo avvertito la sua profonda sofferenza, ma accanto a lei quella dei suoi colleghi, di Tarantelli, di Biagi e delle migliaia e migliaia di vittime che sono cadute sotto la crudeltà terroristica.
Dimenticare le vittime e mettere sotto la luce dei riflettori i carnefici non può dirsi memoria, né purificazione del passato. La memoria è tale se è catarsi, che si raggiunge attraverso la sofferenza ed il riscatto di ciò che noi vivemmo nella lunga stagione degli «anni di piombo».
A distanza di anni, quegli eventi possono apparire perfino lontani, rischiano di diventare perfino muti per le nuove generazioni; ma seppellire le emozioni di una stagione di violenza che tentò di sovvertire lo Stato, rinunciare a giudicare storicamente quel periodo come perversione politica ed etica, non realizza il senso della memoria. Certo, non rivalsa, non vendetta, non risentimento, ma neppure autoindulgenza, autoinganno, rimozione psicologica e storica di fatti che sono accaduti e che narrano delitti e viltà di uomini e donne Pag. 90ubriacati da misture ideologiche e odi sociali, che vanno sempre contrastati con ferma e democratica energia.
Non ricordare, non emozionarsi per ciò che è accaduto, significa far riemergere i demoni della violenza, persino giustificarne la violenza e la presenza come motore della storia, in una confusa commistione di perversi utopismi e logiche di potere.
Si è molto discusso, in questi ultimi giorni, anche a seguito della dissennata espressione di solidarietà ai rigurgiti del brigatismo, sulle radici antiche della violenza in Italia. Non è certo questa la sede per affrontare un tema che, comunque, resta centrale nel dibattito storico e politico dell'Italia.
All'esercizio della libertà, alla pratica della democrazia, è intrinseco il rigetto della violenza. La memoria, quella che vogliamo instaurare anche con questa deliberazione, quella che ha un senso, che respinge l'oblio come alba del futuro - come ha sottolineato ancora Olga D'Antona - deve esercitare l'arte maieutica di educare ad estirpare il germe della violenza dal contesto di culture e movimenti politici, che pure ambivano ad una fondazione umanistica della società.
L'esaltazione della violenza come volontaristico strumento dell'azione politica è il grande errore teorico e politico delle ideologie del diciannovesimo e del ventesimo secolo, che provocò guerre, genocidi, olocausto e terrorismo.
La memoria, se vuole guadagnare un senso di rigenerazione, deve indurre a ripensare teorie e pratiche politiche, per cancellare quel nucleo che è stato all'origine delle grandi mattanze di esseri umani. Ciò vale anche per il pacifismo, che contraddice se stesso, immaginando di imporsi con la violenza.
Signor Presidente e colleghi, con la deliberazione che stiamo per assumere non dobbiamo immaginare di dare vita ad un evento pallidamente celebrativo. Dobbiamo piuttosto pensare ad un atto fondativo, nella comune volontà di difendere sempre e comunque la nostra democrazia e la serena convivenza sociale del nostro popolo, che deve, con civiltà, affrontare nuove sfide, come quella dell'integrazione di bibliche emigrazioni.
Il provvedimento legislativo prevede una data. Non dovrebbe esservi polemica su di una data per ricordare le vittime del terrorismo. Essa evoca nella nostra memoria il culmine della tragedia terroristica. Certo, vi sono stati altri eventi luttuosi, anche terribilmente significativi e potrebbero essere punto di riferimento. Ma, come è stato già detto - ed io ho vissuto quel periodo - quella data, quel terribile 9 maggio, che vide il corpo martoriato di Aldo Moro - la figura più alta e nobile del tempo, il lucido interprete del sottosuolo in fermento della nostra società, il fermo costruttore di una democrazia compiuta - quel povero corpo abbandonato senza pietà nel bagagliaio di un auto non segnava la sconfitta democratica, che appunto i brigatisti volevano, ma si levava come un urlo di condanna e di vergogna contro i brigatisti che avevano cancellato ogni residuo di umanità. Non si può con l'arroganza dei posteri, riformulare ipotesi, riconsiderare scelte e comportamenti, perché allora mirarono a difendere la nostra democrazia. Non fu, come si è detto, la ragione di Stato a guidare le scelte, ma la consapevolezza che la Repubblica correva un pericolo mortale. Bisognava difenderla ad ogni costo perché era costata sangue e guerra civile.
In quel tempo, un grande poeta italiano, Mario Luzi, aveva angosciosamente scritto: «Muore ignominiosamente la Repubblica, ignominiosamente la spiano i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti, arrotano ignominiosamente il becco i corvi della stanza accanto». Contro i corvi, contro i bastardi, contro gli assassini, quella Repubblica andava comunque difesa. Ce lo aveva insegnato Aldo Moro che così l'anno precedente ci aveva ammonito: «È la nostra coscienza democratica e la nostra trepidazione per le istituzioni e la nostra incomprimibile speranza dell'avvenire di libertà, di giustizia, di pace del popolo italiano che ci sollecita la reazione morale e politica e la difesa dello Stato che deve essere tutore della libertà».
PRESIDENTE. Onorevole Bianco, la prego, deve concludere.
GERARDO BIANCO. Concludo, Presidente. La Repubblica non morì e proseguì il suo cammino, forse proprio in quella data e da quella data. Ma quella data riassume in sé anche tutte le altre tragedie del terrorismo che si consumarono in quegli anni...
PRESIDENTE. Onorevole Bianco, la prego deve concludere; non mi costringa ...
GERARDO BIANCO. Presidente, con la memoria di quel triste passato, noi siamo sollecitati continuamente ad interrogarci sulla nostra Italia, che è stata grande quando ha seguito le vie della pace.
Un voto, che io avrei sperato unanime su questo provvedimento, può rappresentare il suggello di una comune volontà di ricordare il passato, per costruire il futuro e gettare le fondamenta di un nuovo umanesimo che per essere tale non può lasciare spazio al terrorismo (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Forza Italia, UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), La Rosa nel Pugno e di deputati di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.