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TESTO INTEGRALE DELLE DICHIARAZIONI DI VOTO FINALE DEI DEPUTATI PAOLA BALDUCCI, GRAZIELLA MASCIA, ANTONIO LA FORGIA E MAURIZIO RONCONI SULLA PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE N. 193-523-1175-1231-B.
PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di legge costituzionale relativa alla modifica dell'articolo 27, ultimo comma, della Costituzione Pag. 105torna alla Camera per la seconda deliberazione dopo essere stata approvata quasi all'unanimità da entrambi i rami del Parlamento in prima votazione, essendo già decorso l'intervallo di tre mesi dalla prima approvazione dell'Assemblea, ai sensi dell'articolo 138 della legge fondamentale che disciplina il procedimento di revisione costituzionale.
La proposta in esame è finalizzata a riformare l'articolo 27, ultimo comma, della Costituzione italiana, nella parte in cui stabilisce attualmente che «Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra»; prevedendosi la soppressione delle parole «, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra».
Su tale provvedimento, la Commissione affari costituzionali della Camera ha deliberato all'unanimità dei presenti in senso favorevole, conferendo mandato a riferire all'Assemblea all'onorevole Boato, al quale va il ringraziamento per lo splendido lavoro portato avanti in questi mesi, nonché parte consistente del merito per questo importante risultato che, finalmente, sembra a portata di mano.
Sono sicura che la Camera dei deputati vorrà dare un segnale di grande civiltà giuridica al mondo, facendo eco alla seconda risoluzione recentemente votata dal Parlamento europeo (26 aprile 2007) sulla moratoria della pena di morte, in cui si «incoraggia l'Unione europea a cogliere tutte le opportunità esistenti e invita gli Stati membri e l'Unione europea a presentare immediatamente, raccordandosi con paesi di altri continenti, una risoluzione per una moratoria universale della pena capitale nel quadro dell'attuale Assemblea generale delle Nazioni Unite».
L'Assemblea ha inoltre annunciato la partecipazione alla campagna mondiale contro la pena capitale e ha invitato tutte le istituzioni e il Consiglio d'Europa a proclamare, a partire da quest'anno, il 10 ottobre quale «giornata europea contro la pena di morte».
Una risoluzione, questa, davvero storica, in cui l'Europa ha condannato senza mezzi termini l'uso di una pena che si presta, nella realtà dei fatti - per quanto la si voglia rendere asettica, impersonale e indolore - ad essere un atto barbaro e disumano. Basterebbe ricordare le modalità dell'esecuzione dell'ex dittatore dell'Iraq, drammaticamente testimoniate attraverso crude ed inequivocabili immagini.
D'altronde, il rifiuto della pena di morte è una delle condizioni imprescindibili per ogni Stato che voglia aspirare ad entrare nell'Unione europea e oggi, in tutte le Nazioni che ne fanno parte, questa sanzione penale è stata espulsa definitivamente dal sistema delle pene legali. Ricordo che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea riconosce all'articolo 2 il diritto alla vita e prevede che «nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato».
L'esclusione della pena di morte dai paesi dell'Unione non può bastare ad esaurire l'impegno degli Stati che ne fanno parte, perché la morte di qualsiasi individuo, avvenuta nel più sperduto luogo del globo per mano di un boia, non può essere considerata un fatto privato del singolo paese in cui è comminata, ma rappresenta un'offesa all'intero genere umano.
Ricordo che la pena di morte era prevista nell'ambito del codice Rocco tra le pene principali, ma poi essa - dopo la caduta del regime fascista - fu soppressa e sostituita con l'ergastolo per i delitti previsti dal codice penale dal decreto legislativo luogotenenziale n. 224 del 10 agosto 1944 e, successivamente, abolita anche per i delitti previsti dalle leggi penali speciali diverse da quelle militari di guerra dal decreto legislativo n. 21 del 22 gennaio 1948.
I Costituenti, con grande lungimiranza, onde evitare il rischio che gravi fatti di cronaca potessero indurre il legislatore ordinario a reintrodurre la pena capitale, sancirono il divieto della pena di morte direttamente nell'articolo 27 della legge fondamentale, facendo però salvi i casi previsti dalle leggi militari di guerra.
Più di dieci anni or sono, il Parlamento italiano deliberò con legge ordinaria (articolo 1, legge 13 ottobre 1994, n. 589) Pag. 106l'eliminazione della pena di morte anche per gli illeciti previsti dalle leggi militari di guerra.
Ritengo che sia arrivato il momento di estromettere anche dalla Costituzione l'eccezione riguardante i casi previsti dalle leggi militari di guerra, proprio al fine di ribadire la condanna incondizionata a tale sanzione, che non dovrà mai più avere diritto di cittadinanza in ogni sistema giuridico che voglia definirsi moderno e umano.
Non si tratta di compiere soltanto un gesto compassionevole verso chi si rende autore di gravissimi fatti ma - a mio avviso - anche di adempiere a un preciso obbligo giuridico e di risolvere un potenziale conflitto con altri importantissimi principi costituzionali, posto che il comma 3 dell'articolo 27 dichiara che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità» e che «devono tendere alla rieducazione del condannato».
Ora, cosa c'è di più disumano e di irreversibile della pena di morte? Come si fa ad applicare il finalismo rieducativo ad un condannato a morte? La pena di morte va quindi espulsa dal nostro sistema - anche se da tempo non fa più parte del diritto positivo - perché è una pena non solo barbara, ma anche incoerente e incompatibile con gli altri principi generali che informano il sistema penale italiano. Né va dimenticato che gli studi criminologici, come pure l'esperienza di alcuni Paesi fautori della pena capitale, hanno concretamente dimostrato come la pena di morte sia uno strumento inefficace di controllo della criminalità.
In conclusione, il tasso di civiltà di un Paese non si valuta soltanto dal suo livello di benessere economico e dal suo livello tecnologico, ma anche e soprattutto sul piano dei diritti e dei valori. Il numero dei Paesi che ammettono la pena di morte è in costante calo, ma resistono ancora grandi Stati che applicano la pena capitale. Per questo dobbiamo dare testimonianza all'intero mondo dell'impegno dell'Italia verso la moratoria della pena di morte anche attraverso il voto favorevole a questa legge di revisione costituzionale.
Annunzio così il voto favorevole dell'intero gruppo dei Verdi sul provvedimento.
GRAZIELLA MASCIA. Il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione contro la pena di morte e chiesto alla Presidenza dell'Unione europea la massima urgenza sulla proposta di moratoria universale all'Assemblea generale ONU (uniche eccezioni l'estrema destra e gli euroscettici).
Tale iniziativa fa seguito ad un analogo voto, due mesi fa, su pressione del Governo italiano: passi avanti sono stati compiuti a sostegno pieno della proposta italiana all'ONU, sede in cui l'Europa non si erge a giudice censore della civiltà di altri paesi (la pena di morte è prevista in paesi molto diversi fra loro per tradizione, storia politica e orientamenti religiosi), ma vuole sviluppare un confronto per affermare il diritto universale al rispetto della vita umana. Anche per questo sentiamo la responsabilità di far sì che questa modifica possa arrivare a compimento in modo positivo. Una responsabilità che rende ancora più importante la nostra discussione, per il merito naturalmente, ma anche per quello che può determinare dal punto di vista simbolico sul piano più generale, sul piano europeo ma soprattutto internazionale.
Come è stato detto, questa modifica eliminerebbe in modo definitivo, ed io spero irreversibile, la pena capitale nel nostro ordinamento e porrebbe finalmente fine ad una contraddizione presente nell'articolo 27 della Costituzione laddove, da una parte, si proclama il principio della finalità rieducativa della pena e di come essa non possa consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e, dall'altra, si prevede, sia pure nella sola ipotesi dei casi previsti dal codice penale militare in tempo di guerra, la possibilità della pena capitale.
Abbiamo più volte rilevato come considerazioni di carattere etico, morale, giuridico e pratico conducano a ritenere inammissibile la pena di morte in uno Stato democratico. Tale pena corrisponde ad una concezione della giustizia primitiva Pag. 107e vendicativa. La giustizia non può mai essere confusa con la vendetta e la pena non può avere uno scopo esclusivamente punitivo, ma deve tendere alla rieducazione, come dice la nostra Costituzione, e dare, quindi, la possibilità ad ogni persona che abbia subito una condanna di reinserirsi nella società.
Non è, del resto, un caso che il nostro Paese si sia battuto con successo affinché lo statuto istitutivo del Tribunale penale internazionale escludesse esplicitamente la possibilità di comminare la pena di morte.
L'intendimento di espungere definitivamente la pena di morte dall'articolo 27 della Costituzione - è stato sottolineato - è di tutte le forze politiche presenti in quest'aula e fa riferimento - molti colleghi lo hanno richiamato - ad una civiltà giuridica che già fin dalla fine del XIX secolo, riprendendo l'insegnamento di Cesare Beccaria, ha negato il diritto dello Stato di condannare i cittadini alla pena capitale.
Questa scelta contro la pena di morte, come è stato giustamente detto, accomuna molti paesi e molte organizzazioni a livello internazionale. In questo senso si muovono le politiche delle Nazioni Unite e dell'Unione europea. Infatti, il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali costituisce uno tra gli obiettivi generali della politica estera e della sicurezza comune e, quindi, anche gli accordi stipulati coni paesi terzi vanno nella direzione dell'abolizione della pena di morte. Si è parlato della dichiarazione allegata al Trattato di Amsterdam, della Carta di Nizza in cui si prevede che nessuno possa essere estradato verso uno Stato in cui esiste il rischio di condanna a morte o di tortura o di altre pene o di trattamenti inumani o degradanti; tuttavia, vi sono ancora moltissimi - troppi - paesi del mondo in cui viene comminata la pena di morte (mi pare ottantasei).
Bisogna ribadire che non vi è emergenza alcuna che giustifichi la violazione dei diritti umani e, quindi, discutere oggi di una moratoria delle Nazioni Unite significa affrontare anche questi temi. La modifica dell'articolo 27, di valore giuridico per un problema che noi non avvertiamo come concreto, ma con una valenza simbolica, può avere, sia rispetto alla cultura generale nel nostro Paese sia rispetto al dibattito internazionale, un'enorme importanza tanto più se si considera che la tortura è stata posta quale tema all'ordine del giorno sul piano internazionale di fronte all'emergenza terrorismo.
È capitato che a volte, in presenza di reati tra i più efferati, la popolazione di fronte alle paure ricorra a invocazioni di luoghi comuni come soluzione di problemi complessi; la pena di morte o l'aggravamento delle pene spesso sono tra questi, come se essi potessero ridurre o risolvere i problemi della sicurezza. A maggior ragion penso che le istituzioni abbiano anche il dovere di informare e dire la verità facendo ragionare sulla concezione della pena. Tutti i dati e le statistiche del mondo mostrano che le strategie a tolleranza zero sono fallite e che, al contrario, sono proprio quelle politiche che tendono al reinserimento - vi sono esempi molto significativi e interessanti nel nord Europa - e che considerano il carcere l'ultima ratio per situazioni di estrema pericolosità sociale a dare i risultati più positivi e importanti per la sicurezza di tutti.
A volte è difficile poter sostenere queste tesi, perché è più facile fare demagogia e annebbiare le paure dentro i luoghi comuni. Ritengo che questa occasione possa essere utile anche in questo senso. Veniamo da un dibattito acceso sulla questione dell'indulto, ci sono state polemiche e disinformazione. Anche in questo caso le statistiche dicono molto chiaramente che si torna a delinquere quattro volte in meno quando vi sono delle misure alternative. Sono proprio l'idea della concezione della pena, non solo il fatto che lo Stato possa togliere la vita che è incompatibile nel rapporto tra Stato e cittadini, il valore della vita in sé e la giustizia intesa non come vendetta che possono essere posti all'ordine del giorno, anche attraverso la modifica dell'articolo 27 della Costituzione, per ribadire appunto che la sicurezza non dipende dall'aumento delle Pag. 108pene o da una maggiore penalizzazione carceraria, ma, al contrario, da politiche sociali che cercano di prevenire.
Arrivo a dire che se questa modifica, come tutti auspichiamo, giungerà finalmente a compimento in questa legislatura, in seguito dovremo avere il coraggio di affrontare il tema dell'ergastolo. Molti hanno scritto in questi anni: fine pena mai. Eppure, occorre lasciare sempre un margine, una speranza a chi ha commesso dei reati. Chi è stato condannato deve sempre avere la possibilità di reinserirsi nella società.
Credo che, coraggiosamente, il compito di coloro che siedono negli scranni più importanti delle istituzioni debba essere quello di introdurre delle modifiche legislative, ma, insieme a questo, anche quello di fare cultura politica e cultura civile.
Penso che un paese senza ergastolo - sicuramente senza la pena di morte, che non può esistere in uno Stato democratico -, sarebbe un paese più civile; non voglio dire più sicuro, ma sicuramente non meno sicuro.
ANTONIO LA FORGIA. Signor Presidente, onorevoli deputati, prendo la parola per annunciare il voto favorevole del gruppo dell'Ulivo a questa proposta di modificazione dell'articolo 27 della nostra Costituzione.
Un voto convinto e, vorrei dire, particolarmente convinto perché mosso da un'ispirazione culturale e morale oltre che - come è proprio di quest'aula - da un'ispirazione politica.
La decisione che ci apprestiamo ad assumere, per altro, e senza nulla togliere al suo specifico valore, si inserisce nel contesto di una più ampia iniziativa tesa al compimento della civilizzazione, della umanizzazione, vorrei dire, dello Stato di diritto. Una iniziativa che ha trovato qui, recentemente, ulteriore conferma e slancio con l'approvazione in questa Camera, unanime, della mozione che rinnova l'impegno italiano presso le Nazioni Unite in favore di una moratoria universale delle esecuzioni capitali in vista della abolizione completa della pena di morte nel mondo. Su questo giustamente insisteva il relatore Onorevole Boato enumerando anche quante, e quanto insistite e molteplici, siano state e siano le azioni intraprese dall'Unione Europea, dal suo Consiglio e, da ultimo, ancora dal suo Parlamento e volte appunto a far regredire sino alla definitiva abolizione il ricorso alla pena di morte in ogni paese del mondo.
Null'altro dunque vi sarebbe da aggiungere per motivare un voto con il quale confermiamo l'Italia quale parte, e parte protagonista, di un ampio movimento teso al perseguimento di un obiettivo di straordinario valore civile e morale.
E tuttavia proprio queste due parole mi spingono ad un'ulteriore, rapidissima, considerazione per indicare la ragione più profonda che, a mio giudizio, motiva la nostra scelta.
Certo sarò scusato se, per dirla, userò parole non mie ma di un grande scrittore.
Albert Camus in un lungo racconto - Lo Straniero - narra di un funerale, di un assassinio e di un processo. A tutto ciò il protagonista - quasi un ossimoro - partecipa estraniato; straniero, appunto, ai fatti, al mondo ed a se stesso. Il funerale è quello di sua madre. Egli è indubitabilmente colpevole di omicidio e suo è il processo. E tuttavia solo l'ascolto della sentenza e solo l'attraversamento dei giorni che lo separano dall'esecuzione lo portano a riprendere contatto con se stesso e con la realtà e gli consentono di vedere ciò che, anche per il lettore, è folgorante come una rivelazione.
Ecco la pronuncia della sentenza: «Quando il campanello ha squillato ancora e la porta della gabbia si è aperta, è il silenzio dell'aula che è salito verso di me, il silenzio e la sensazione strana che ho provata vedendo che il giovane giornalista aveva voltato altrove lo sguardo. Non ho guardato dalla parte di Maria. Non ne ho avuto il tempo perché il presidente mi ha detto in una forma strana che mi sarebbe stata tagliata la testa in una pubblica piazza in nome del popolo francese. Mi è parso allora di riconoscere il sentimento che leggevo su tutti i volti: credo proprio che fosse del Pag. 109rispetto. I gendarmi mi guardavano con molta dolcezza. L'avvocato ha posato la mano sul mio polso.»
Ed ecco poi, nella cella in cui attende l'alba del giorno in cui sarà condotto alla ghigliottina, in un lungo monologo interiore: «Malgrado la mia buona volontà, non potevo accettare questa certezza insolente. Perché insomma c'era una sproporzione ridicola fra il verdetto che l'aveva creata e il suo svolgersi imperturbabile a partire dal momento in cui quel verdetto era stato pronunciato. Il fatto che la sentenza fosse stata letta alle ore venti piuttosto che alle ore diciassette, il fatto che avrebbe potuto essere completamente diversa, che era stata deliberata da uomini che cambiano di biancheria, che era stata messa a carico di una nozione così imprecisa come il popolo francese (o tedesco, o cinese), tutto questo mi pareva proprio che diminuisse di molto la serietà di una simile decisione.»
Ora, con parole mie: nel momento in cui la sentenza è ormai pronunciata l'imputato, il colpevole di omicidio - noi lettori lo abbiamo visto uccidere, sappiamo la sua colpevolezza più e meglio della Corte che l'ha condannato - l'assassino diviene vittima e la condanna capitale si spoglia di ogni giustificazione morale e si riduce a nuda espressione astrattamente burocratica. Che cosa è accaduto? È riemerso, io credo, il carattere assoluto del divieto di uccidere.
Un divieto che è tale per i credenti nelle sacre scritture e che lo leggono scolpito nelle tavole della legge. E che è tale, assoluto, anche per quanti, pur privi dell'esperienza della fede, lo sentono scritto in una interna legge morale. Naturalmente, purtroppo, il divieto di uccidere non impedisce che si uccida. Ma impedisce, dovrebbe impedire, che si possa uccidere senza che alcuno voglia o debba assumersene la colpa, che si possa uccidere - diciamo così - impersonalmente.
Ecco ciò che appare moralmente insostenibile, intollerabile, nella previsione giuridica della pena capitale! La pretesa, intendo, di violare il divieto assoluto ad uccidere sottraendosi all'assunzione della colpa e persino diluendone la responsabilità. La pretesa, in altre parole, che si possano immaginare ed organizzare forme impersonali di violazione della legge morale.
Questa pretesa si è affermata più volte ed in più luoghi nel corso del secolo che abbiamo appena lasciato e con questa nostra decisione contribuiamo a tenerne viva la lezione.
MAURIZIO RONCONI. Onorevoli colleghi, siamo giunti alla seconda deliberazione su questo importante provvedimento che, dopo ripetuti tentativi nelle passate legislature, sembra giunto finalmente alla sua approvazione definitiva con una condivisione unanime del Parlamento. Il voto finale, peraltro, giunge proprio in coincidenza con il dibattito presso l'Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla risoluzione per la moratoria universale sulla pena di morte e si inserisce nel solco di una produzione di atti approvati da tutte le istituzioni europee (l'ultimo, il 1o febbraio scorso, dal Parlamento europeo) per l'abolizione della pena di morte.
Su questo tema il gruppo che rappresento ha dimostrato una innegabile coerenza di comportamenti e posizioni, convinti come siamo che la difesa della vita costituisca, oltre ad una tutela della civiltà, la salvaguardia di una tradizione e di una cultura radicate nelle nostre coscienze.
Con il voto di oggi ci presentiamo, dunque, con le carte in regola per poter svolgere una missione di proselitismo presso le altre nazioni e le istituzioni internazionali; licenziando questo provvedimento, cioè, vincoliamo il Governo ad una conseguente responsabilità di azioni non solamente simboliche. La presentazione di una risoluzione in ambito ONU è quindi la prima iniziativa concreta che il Governo deve intraprendere per dare seguito alla unanime volontà espressa oggi in quest'Aula e a cui dovrà seguire un'analoga azione in ambito europeo.
Dobbiamo, cioè, invertire il percorso che il ministro D'Alema aveva tracciato nel momento in cui ha precisato che il Governo si sarebbe mosso presso l'ONU solo Pag. 110ed esclusivamente un minuto dopo aver chiarito e raggiunto un'intesa con i partner europei. In determinati frangenti della vita di un paese e su particolari temi occorre avere coraggio e fare da apripista, come spesso è accaduto nella storia italiana. Ci auguriamo che questo Governo dimostri altrettanta sensibilità e coraggio.
L'eliminazione di quest'ultimo riferimento, seppur limitato alle leggi militari in tempo di guerra, dalla nostra Carta costituzionale sembrava quasi un passaggio inutile perché scontato, ma esso rende ora coerente un testo tutto improntato ai principi contenuti nella Carta dei diritti umani.
Ovviamente non è così in molti angoli del nostro pianeta, dove l'istituto della pena di morte gode, purtroppo, di ottima salute; una salute che sembra non permeabile a quelle spinte provenienti dalla società civile e dall'opinione pubblica internazionale che in molti casi hanno costretto i Governi ad abrogare la pena di morte, così come, parimenti, occorre fare attenzione anche a quelle pressioni e tendenze opposte che, sull'onda emotiva di fatti particolarmente dolorosi ed efferati, potrebbero determinare tragici passi indietro.
Mi rivolgo quindi al Governo sollecitandolo ad un maggior coraggio e rassicurandolo che, su questo tema, vedrà tutte le forze politiche prestare il loro appoggio. È una ghiotta occasione per riaffermare il nostro prestigio in ambito internazionale, che alcune recenti avventate decisioni hanno purtroppo incrinato. Concludo, quindi, dichiarando il voto favorevole del gruppo UDC sul provvedimento.