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TESTO INTEGRALE DELLA DICHIARAZIONE DI VOTO DEL DEPUTATO GIOVANNI CREMA SUL DOC. IV, N. 6-A
GIOVANNI CREMA. Il terzo comma dell'articolo 68 della Costituzione richiede un'autorizzazione della Camera (competente) per «sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi, forma, di conversazioni o comunicazioni»; è evidente che la norma si riferisce alle intercettazioni disposte direttamene sull'utenza telefonica del parlamentare, o in ambienti da lui, normalmente utilizzati: in altri termini, considera le situazioni in cui è il parlamentare stesso la fonte dalla quale si vogliono acquisire le dichiarazioni.
La lettera della norma non si riferisce invece, a rigore, alle intercettazioni indirette, disposte su un'utenza o in luoghi diversi dai predetti, e nelle quali il parlamentare sia accidentalmente incappato per aver comunicato con 1a persona sottoposta all'azione investigativa.
In tali casi la domanda sulla sorte e sull'utilizzabilità del risultato delle intercettazioni si presta teoricamente a tre tipi di risposta.
La prima, facendo leva sull'eccezionalità della deroga prevista dall'articolo 68 della Costituzione ad un generale potere di accertamento dell'autorità giudiziaria, ritiene che le intercettazioni siano pienamente utilizzabili, purché effettuate con il rispetto delle norme previste dal codice di procedura penale ed in conformità alla procedura indicata dall'articolo 6 della legge n. 140 del 2003.
La seconda ritiene, a contrariis, che l'immunità parlamentare sia essa stessa un valore universale, limitabile solamente attraverso l'autorizzazione prevista dalla Costituzione e che, pertanto, non essendo possibile ipotizzare un'autorizzazione preventiva per le intercettazioni indirette, tali intercettazioni siano sempre ed in ogni caso precluse e, ove effettuate, ne siano inutilizzabili i risultati.
La terza soluzione sostiene invece che tali intercettazioni siano effettuabili senza bisogno di una (in concreto impossibile) autorizzazione preventiva, ma che debba essere invece autorizzato a posteriori il loro impiego processuale, qualora «l'eletto» casualmente ne venga coinvolto, verificando puntualmente la «parlamentarità» del contenuto delle comunicazioni intercettate, tenendo anche debito conto di quella riconducibilità al rapporto funzionale proprio (così come più volte indicato dalla giurisprudenza costituzionale) e verificando puntualmente che la procedura utilizzata sia effettivamente rituale e immune da maliziosi aggiramenti della prerogativa parlamentare.
La più accreditata dottrina parlamentare sostiene che solo l'ultima delle soluzioni sia coerente con lo spirito e con la lettera dell'articolo 68 della Costituzione, così come esplicitata dalla legge attuativa n. 140 del 2003.
Infatti, poiché è previsto che l'intercettazione diretta contro il parlamentare possa essere autorizzata dalla Camera di appartenenza, ciò significa che vi sono delle situazioni nelle quali l'attività investigativa a carico del parlamentare è legittima, vale a dire che vi è certamente uno spazio (la cui ampiezza non rileva) in cui anche l'attività in oggetto, sebbene insidiosa, è comunque considerata giustificata.
Se così è, non si può sostenere che l'attività indirizzata contro un'altra persona non sia mai utilizzabile nei confronti del parlamentare, posto che non è configurabile un'autorizzazione preventiva: ciò significherebbe accordare alla prerogativa parlamentare un'ampiezza maggiore proprio laddove è minore l'invasività dell'azione giudiziaria nei confronti del parlamentare.
Reciprocamente, non appare ugualmente corretto ritenere che l'intercettazione indiretta (cioè disposta sull'utenza di un terzo, sottoposto ad indagini) sia sempre utilizzabile nei confronti del parlamentare, una volta verificata la rilevanza rispetto all'astratta ipotesi accusatoria e l'utilizzabilità processuale (mancanza di illegittimità o nullità), giacchè in questo caso il Parlamento si arrogherebbe valutazioniPag. 100di competenza dell'autorità giudiziaria da esprimersi nelle sedi processuali previste (tribunale della libertà, cassazione, eccetera), andando ad esercitare una funzione (ed una verifica) che l'ordinamento costituzionale non gli assegna.
Ed allora, conclusivamente, si dovrà quindi valutare di volta in volta se, nella singola fattispecie, sia concedibile l'autorizzazione ex post. I criteri in base ai quali effettuare la valutazione dovranno essere riferiti essenzialmente: 1) alla assenza di furbizie o artifici che in qualche modo valgano ad aggirare la prerogativa parlamentare (se parliamo di intercettazioni indirette o «casuali» - come le definisce la Corte Costituzionale -, anche il numero delle disposte intercettazioni e l'arco temporale nel quale sono state eseguite dovranno essere opportunamente valutate); 2) alla «parlamentarità» del contenuto delle intercettazioni (intesa anche come riconducibilità astratta del contenuto delle conversazioni all'esercizio della ordinaria vita di relazione del parlamentare); 3) al rapporto funzionale oggettivo e/o soggettivo con l'attività parlamentare (l'interlocuzione del parlamentare con un soggetto istituzionalmente compatibile - ad esempio funzionario di una Commissione -, piuttosto che con un pluripregiudicato, determineranno, chiaramente, effetti e valutazioni notevolmente differenti).