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Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 17,16).
(Procedimento di estradizione di Benedetto Cipriani - n. 2-00637)
PRESIDENTE. Il deputato D'Elia ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00637, concernente il procedimento di estradizione di Benedetto Cipriani (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7).
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Maritati, a ben vedere la vicenda oggetto dell'interpellanza in discussione riguarda la coerenza e la credibilità del nostro Paese per quanto concerne i suoi atti e i suoi rapporti internazionali.
Molti di voi ricorderanno un altro caso, simile a quello in discussione, risalente a 11 anni fa. Si trattava della vicenda di un cittadino italiano. Il suo nome era Pietro Venezia, di origine pugliese; egli era fuggito dagli Stati Uniti dove era accusato di un omicidio ed era riparato in Italia. In quell'occasione, ci fu un lungo braccio di ferro fra le autorità statunitensi e quelle italiane, che alla fine non concessero l'estradizione. In realtà mi riferisco soprattutto a quanto deciso dalla Corte costituzionale, perché le autorità politiche, ossia il Ministero, allora come oggi, concesse invece l'estradizione. Ma, a seguito di una grande mobilitazione da parte nostra e di «Nessuno tocchi Caino» e da parte del senatore - ora scomparso - Alò, di Rifondazione Comunista, che si occupò molto di quel caso, l'estradizione non fu concessa, perché vi fu una sentenza della nostra Corte costituzionale che molti ancora giudicano storica e che ha fatto scuola, non soltanto nel nostro Paese, ma in tutto il mondo.
Il caso in esame è molto simile, anche se formalmente diverso (entreremo poi nello specifico). Si tratta sempre di un cittadino italiano, che è stato accusato, negli Stati Uniti, di un triplice omicidio avvenuto nello Stato del Connecticut, per il quale è stato formalmente incriminato per i reati di omicidio plurimo e conspiracy (associazione finalizzata a commettere omicidi) per cui non è prevista la pena di morte, ma la pena di 60 anni di reclusione. Tuttavia, i suoi complici (secondo l'accusa) sono tre portoricani, e sono stati accusati di capital felony, reato capitale che può comportare la pena di morte e che consiste nello stesso fatto (omicidio plurimo e conspiracy), per il quale è prevista la pena capitale.
Ci si chiede come mai, per lo stesso fatto, vi siano due reati diversi. Forse questa stranezza è spiegabile soltanto con il «caso Venezia». L'Italia non estrada non soltanto negli Stati Uniti, ma in qualsiasi paese del mondo dove sia prevista la pena di morte, quando vi sia il rischio, anche solo teorico, di un'applicazione della pena di morte (non solo di un'esecuzione, ma anche della sola imputazione e applicazione della pena di morte).
Perché allora tale diversa fattispecie di reato per lo stesso fatto? Mi sembra evidente: solo in questo modo le autorità degli Stati Uniti preposte al giudizio possono ottenere da un Paese in cui vi è stata una sentenza così netta e chiara che vieta l'estradizione nei confronti dei paesi che prevedono la pena di morte, un'estradizione altrimenti non ottenibile, cambiando parzialmente il capo di imputazione. Il fatto, tuttavia, è lo stesso.
Ritengo molto probabile - mi rivolgo al rappresentante del Governo e al Ministro della giustizia, Mastella - che, in corso d'opera, l'accusa possa cambiare (conPag. 74un'aggravante, o altro) per cui, una volta sotto giudizio, nelle mani delle autorità americane, possa essere tramutata in capital felony oppure in un'aggravante che possa comportare la pena di morte.
Inoltre, le autorità statunitensi, nelle note che hanno inviato al nostro Ministro della giustizia (immagino per le vie diplomatiche) non hanno mai escluso in modo chiaro e non equivoco tale eventualità. Nelle garanzie ed assicurazioni che hanno fornito hanno sempre richiamato gli impegni, ma non hanno mai escluso che l'imputazione di capital felony o di un'aggravante che possa comportare la pena di morte potesse essere estesa anche al Cipriani, come è stata dall'inizio applicata ai suoi coimputati.
Hanno anzi ammesso che, in base alla legge dello Stato del Connecticut, un concorrente nel reato è penalmente responsabile del delitto come se fosse il reale esecutore, ed hanno aggiunto che la perseguibilità del delitto in questione non è assoggettata a limiti di tempo.
Se capisco bene, può anche significare che per ora non siamo in presenza di quella fattispecie, ma che, non essendo assoggettata a limiti di tempo la perseguibilità del delitto, fra un anno, fra due mesi o fra chissà quanto, l'accusa potrà essere riqualificata.
Così come accaduto nel caso di Pietro Venezia, dopo la Corte d'appello, la Corte di cassazione e il Consiglio di Stato la Corte d'appello di Roma ha concesso l'estradizione. Infatti, secondo la Corte sussistono le condizioni per l'estradabilità del Cipriani, e si richiamano l'articolo 6 della Costituzione degli Stati Uniti (lo stesso fatto è avvenuto con Pietro Venezia) e il trattato bilaterale tra Italia e Stati Uniti del 1983. La Costituzione degli Stati Uniti stabilisce quello che tutti sappiamo, ovvero che i trattati che gli Stati Uniti firmano con altri paesi formano parte integrante del diritto comune, cioè della federazione, e sono vincolanti per tutti i tribunali degli Stati Uniti, indipendentemente da qualsiasi altra disposizione presente nelle leggi dello Stato. Il trattato bilaterale del 1983 precisa che una persona estradata non può essere detenuta, giudicata o punita all'interno dello Stato che ha richiesto l'estradizione, salvo che per il reato per il quale l'estradizione è stata concessa. Si parla di un reato, però possono esserci fattispecie diverse ed aggravanti.
È, tuttavia, interessante quanto rileva la Corte d'appello. Dopo aver richiamato la Costituzione e il trattato bilaterale, afferma che si deve ritenere - quindi non c'è neanche la certezza - che il Cipriani estradato non sarà giudicato che per omicidio plurimo e associazione, e non già per la fattispecie di capital felony. Tale «si deve ritenere» mi pare che sia tutto fuorché la certezza assoluta. Tale certezza non c'è, neppure in linea teorica.
Se dovessi scommettere un euro oggi, non scommetterei sul fatto che, estradato negli Stati Uniti, Cipriani non sarà condannato a morte. Tuttavia, non è questo in discussione. Infatti, abbiamo una sentenza della Corte costituzionale italiana che considera incostituzionale il sistema delle garanzie sufficienti. Tutto ciò equivale a dire, in termini politici, che la Consulta considera incostituzionale che ci sia un ruolo discrezionale dell'autorità politica, ovvero del Ministro della giustizia, che deve valutare se quello che viene dichiarato dalle autorità degli Stati Uniti è «a prova di bomba», ovvero se sia nell'ordine della certezza assoluta che non sarà irrogata la pena di morte
Il solo fatto che già la Corte d'appello si ponga il dubbio, dicendo che «si deve ritenere» - mi rivolgo al sottosegretario Maritati e, attraverso di lui, al Ministro Mastella - non offre garanzie. Sul punto si è espressa una prima autorità politica, l'allora Ministro della giustizia, Castelli, nel 2005. Poi il Ministro Castelli ha passato la mano, ma a seguito di una sentenza di primo grado della Corte d'appello, di una pronuncia della Cassazione che praticamente l'ha confermata, di una sentenza del TAR, che considera non correttamente e costituzionalmente fondate le ragioni per cui la Corte d'appello e la Corte di cassazione concedono l'estradizione, c'è opposizione del Ministro dellaPag. 75giustizia, poi si pronuncia il Consiglio di Stato. La legge prevede che l'estradizione debba essere eseguita entro quindici giorni dalla sentenza del Consiglio di Stato. Tale termine è trascorso, ma l'estradizione non è stata eseguita. Siamo in presenza di una deroga? Oppure c'è la consapevolezza, anche da parte del Ministro della giustizia, che forse è il caso di soprassedere?
Si configura una situazione nella quale tutto c'è fuorché certezza assoluta, come richiede la Corte costituzionale. Il sistema delle garanzie considerate sufficienti contempla un intervento discrezionale dell'autorità politica, che deve valutare le garanzie che ci giungono dagli Stati Uniti. Tutto ciò ci fa dire che non è assolutamente certo che, una volta estradato negli Stati Uniti, Cipriani sia condannato a pena diversa da quella capitale.
Perché mi riferivo alla coerenza e alla credibilità del nostro Paese, per quanto riguarda i suoi atti e le relazioni internazionali? Per quanto riguarda i suoi atti, il nostro Paese è impegnato in una campagna internazionale, leader riconosciuto nel mondo, per la moratoria universale delle esecuzioni capitali. In questi 13-14 anni l'Italia non ha fatto nient'altro che proiettare nei rapporti internazionali quello che è un principio acquisito nel diritto interno, vale a dire un «no» assoluto alla pena di morte. Uso spesso il termine «assoluto» non perché sia un fondamentalista, ma perché è la Corte costituzionale che censura il sistema delle garanzie ritenute sufficienti e pone la garanzia «assoluta» come vincolo coerente con il dettato costituzionale e con il diritto alla vita, oltre che con l'articolo 27 della Costituzione, che vieta la pena di morte.
Seppure in teoria, corriamo il rischio di una condanna capitale, proprio noi che siamo il Paese leader della campagna contro la pena di morte nel mondo! Il Governo si assume la responsabilità, seppure teorica, di correre questo rischio? Ebbene, io non lo correrei, per un motivo di cautela e anche di credibilità nei rapporti internazionali.
Si rompe un vincolo con gli Stati Uniti? Si manda in crisi la cooperazione giudiziaria o anche politica con gli Stati Uniti? Gli Stati Uniti rispettano tutti quei Paesi che operano nel contesto internazionale seguendo la regola prima, che non è quella della fedeltà, ma del rispetto dei propri principi e dei propri valori. Acquisiremmo credito nei confronti degli Stati Uniti se dicessimo che per ragioni di principio, oltre che per il rispetto della legge e della Costituzione, non possiamo accedere alla loro richiesta. Dimostreremmo forza e riceveremmo rispetto da quel Paese.
Pertanto chiedo al sottosegretario Maritati: perché correre questo rischio, perché perdere la credibilità che abbiamo conquistato a livello internazionale, con la nostra lotta per la moratoria? Il Ministro Mastella - la notizia è uscita su tutti i giornali - ha dichiarato ai suoi partner europei, ai ministri della giustizia, e lo abbiamo ringraziato per questo, che siamo impegnati nella lotta contro la pena di morte attraverso la moratoria, ottenendo il loro consenso. Non correrei questo rischio.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Alberto Maritati, ha facoltà di rispondere.
ALBERTO MARITATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, in risposta agli onorevoli interpellanti, preciso che il 12 novembre 2005, come è stato ricordato poc'anzi, il Ministro in carica, senatore Roberto Castelli, emise decreto di estradizione nei confronti di Cipriani Benedetto, accusato dalla Corte Superiore di Hardford (Connecticut) di omicidio e di associazione per commettere omicidio.
Nel decreto emesso viene precisato testualmente che, qualora il Cipriani sia condannato, non potrà essere eseguita nei suoi confronti la pena capitale. Contro tale decreto il Cipriani ha proposto numerosi ricorsi ai giudici ordinari ed amministrativi, i quali, tra le molteplici tematiche affrontate, hanno anche valutato - così come ricordato dagli stessi interpellanti e dall'onorevole D'Elia, che ha testé illustrato l'interpellanza - la questione relativaPag. 76all'eventualità che il Cipriani possa essere condannato alla pena capitale. Esauritisi i ricorsi, il decreto di estradizione nei confronti di Cipriani è divenuto esecutivo.
Ciò premesso, devo rilevare che proprio nei giorni scorsi, il 27 giugno, il Ministero della giustizia ha ricevuto una nota dall'ambasciata degli Stati Uniti d'America, in cui il Governo degli Stati Uniti precisa che i reati contestati al Cipriani non sono punibili con la pena di morte e che il Cipriani non corre, in concreto, alcun rischio di condanna a morte nel caso in cui venga estradato negli Stati Uniti. La lettera del Governo statunitense è all'attenzione del Ministro, il quale ne sta vagliando il contenuto. Per quanto attiene alla sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 1996 deve rilevarsi che essa riguarda l'ipotesi in cui la domanda di estradizione sia avanzata per un reato punibile con la pena capitale. La Corte ha escluso che in tal caso l'estradizione possa essere concessa a seguito di «sufficienti assicurazioni» dello Stato richiedente. Nel caso del Cipriani l'estradizione è stata, invece, domandata e concessa per un reato che, per l'ordinamento dello Stato richiedente, non è punibile con la pena di morte.
Va ricordato - proprio a proposito del punto approfondito poc'anzi, ovvero del pericolo che venga mutata la contestazione, anche lasciando inalterato il fatto, quindi con una sorta di aggravante - che, secondo il principio di specialità dell'estradizione, un individuo non può essere giudicato e detenuto per un reato diverso da quello che ha motivato l'estradizione. Dunque, un'eventuale modifica della sola imputazione renderebbe necessario un ulteriore provvedimento concessorio da parte dello Stato italiano.
A proposito della discrezione, che è stata poc'anzi lamentata, da parte del Governo, di valutare la certezza e la fondatezza delle assicurazioni degli Stati o dello Stato richiedente, rilevo che su questo aspetto si sono già pronunciati gli organi giudiziari competenti. Quindi, non credo che si possa parlare, in questo caso, di una forma di discrezionalità, non riconosciuta o non riconoscibile, all'organo politico di Governo, perché l'organo di Governo ha atteso doverosamente che si completasse l'iter giudiziario nell'ambito del quale, sia nell'area amministrativa che in quella ordinaria, è stata proprio vagliata la fondatezza dei presupposti di certezza che il cittadino italiano estradando non possa correre rischi relativi all'esecuzione della pena di morte. Quindi, ritengo che non ci sia il rischio che il Cipriani possa essere condannato alla pena capitale.
Quanto, infine, alla sentenza pronunciata dal TAR del Lazio, devo far presente che la stessa è stata annullata con sentenza del 12 giugno 2007 dal Consiglio di Stato, il quale, pronunciandosi definitivamente, ha respinto il ricorso proposto dal Cipriani. Pertanto dobbiamo prendere in considerazione, per quanto concerne la giustizia amministrativa, la sentenza definitiva del Consiglio di Stato, e non una sentenza che è stata annullata.
PRESIDENTE. Il deputato D'Elia ha facoltà di replicare.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, non sono soddisfatto della risposta, e le ragioni sono espresse nella mia illustrazione. Posso soltanto aggiungere che abbiamo a che fare con il sistema federale degli Stati Uniti. Ho richiamato l'articolo della Costituzione, secondo cui gli Stati federati sono impegnati anche a livello internazionale per il tramite delle autorità federali.
Non sono soddisfatto per le motivazioni con cui è stata avanzata la richiesta di estradizione. Come ho già accennato, la perseguibilità di quei fatti non ha limiti di tempo e, quindi, vi è una ragione per nutrire qualche perplessità. Inoltre, lo stesso Stato del Connecticut ci ricorda che, in base alla sua legge, un concorrente nel reato è penalmente responsabile del delitto come se fosse il reale esecutore. Insisto, dunque, e non so se su tale problema il Parlamento potrà ritornare, ma credo che se è questa la posizione del Governo, dovremo ritornarci, presentandoPag. 77un atto di indirizzo. Il Governo sta facendo a gara, e mi riferisco al Ministro della giustizia, perché non voglio coinvolgere il Governo nella sua totalità, con il precedente Ministro per chi dimostra più fedeltà e lealtà nei confronti dell'alleato americano.
Non va in crisi la cooperazione giudiziaria con quel Paese per una ragione molto semplice: in base al nostro codice penale i fatti di cui Cipriani è imputato negli Stati Uniti possono essere giudicati in Italia, come è successo nel caso di Pietro Venezia, condannato a 23 anni per l'omicidio di cui è stato ritenuto colpevole in Florida. Non vi è, quindi, impunità. Si può perseguire il reato senza correre il rischio che l'esito del processo sia quello fatale di una sentenza capitale. Pertanto, Cipriani verrà processato in Italia e la cooperazione giudiziaria con gli Stati Uniti verrà fatta salva. Gli Stati Uniti coopereranno con le autorità italiane, affinché sia dimostrata la colpevolezza di Cipriani e, quindi, che lo stesso sia condannato in Italia.
Peraltro, nel decreto di estradizione - non so se le risulta sottosegretario Maritati - è posta anche una clausola, che gli Stati Uniti non hanno accettato, in base alla quale Cipriani, una volta condannato negli Stati Uniti, come è successo in altri casi, può ritornare a scontare la pena nel suo Paese di origine. Questo è scritto nel decreto. Gli Stati Uniti hanno accettato questa clausola? A me non risulta. Se non l'hanno accettata, anche questa è una ragione per la quale si può decidere di non concedere l'estradizione.