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Informativa urgente del Governo sul sequestro e la liberazione di due militari italiani in Afghanistan (ore 17,15).
(Intervento del Ministro della difesa)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro della difesa, Arturo Parisi.
ARTURO MARIO LUIGI PARISI, Ministro della difesa. Signor Presidente, colleghi deputati, l'episodio del quale con la presente informativa intendo dare conto ha coinvolto - a partire dalla giornata diPag. 2sabato 22 settembre, l'altro ieri - quattro persone, delle quali due italiani e due afgani.
I due italiani sono militari inquadrati nel Servizio, al momento ancora denominato Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, e, in quanto tali, istituzionalmente preposti a garantire la cornice informativa e di sicurezza necessaria al successo della nostra azione in Afghanistan.
Più nel dettaglio, i nostri operatori erano incaricati di mantenere e sviluppare dei rapporti con la popolazione civile e le autorità locali per individuare le migliori forme di collaborazione e convivenza, nonché di raccogliere informazioni utili a tutelare la protezione del contingente dalla minaccia terroristica.
Tale attività - che prevede l'effettuazione di lunghe missioni al di fuori della cornice di sicurezza garantita alle nostre unità militari in teatro e che, quindi, implica l'assunzione dei conseguenti rischi -, ha consentito, nei diversi anni di permanenza in area del contingente, di evitare numerosi attacchi terroristici non solo alle truppe nazionali, ma a tutta la forza ISAF.
Se nei giorni appena trascorsi non si è inteso divulgare la loro effettiva posizione è stato solo nell'intento di proteggere, nel migliore dei modi, la loro incolumità. Anche ora, ritengo sia doveroso mantenere l'assoluta discrezione sulla loro identità, per la serenità loro e dei loro cari, che ovviamente sono stati sempre e tempestivamente informati degli eventi.
Ma credo sia chiaro a tutti che stiamo parlando di personale di eccezionale valore, dotato di un altissimo senso dello Stato, che lo spinge a rischiare personalmente - anche molto, anche la vita - per l'interesse della Repubblica.
Venendo alla descrizione degli eventi, nel corso di una missione informativa nella provincia di Herat i due italiani, assieme ad un interprete e ad un accompagnatore afgano, sono stati fermati e sequestrati nella mattinata (ora locale) di sabato 22 settembre vicino a Shindand da un gruppo afgano di uomini armati.
A seguito del mancato collegamento radio con il comando di appartenenza hanno avuto inizio le operazioni di ricerca. Il comandante del Regional command west attuava tutte le predisposizioni necessarie mettendo in allerta gli assetti disponibili e, in particolare, il velivolo predator (aereo da ricognizione senza pilota), la componente elicotteri CH47 e A129 mangusta e le forze ISAF presenti nell'area delle operazioni, al fine di essere in condizione di fornire, con rapidità, ogni tipo di sostegno possibile in relazione allo svilupparsi della situazione informativa sulla sorte dei quattro ostaggi.
Quindi, veniva instaurato uno stretto raccordo con il comandante italiano delle Forze speciali ISAF operanti nella regione ovest, al quale veniva affidata la responsabilità di gestire lo sviluppo della situazione e di pianificare, avvalendosi anche di altri assetti alleati disponibili, un eventuale intervento per liberare gli ostaggi, ove se ne fossero presentate le condizioni. Pertanto, veniva tenuto in volo, con continuità, un velivolo senza pilota predator per monitorare l'area di possibile presenza degli ostaggi e venivano ridislocati, nella base di Farah, assetti elicotteristici nazionali ed alleati (un CH47, quattro A129 mangusta e due elicotteri spagnoli per supporto logistico). Nel frattempo, con il concorso degli elementi informativi messi a disposizione da tutti gli alleati - in particolare, voglio ricordare il contributo specifico fornito dagli inglesi, dai tedeschi e dagli Stati Uniti - nonché grazie ad elementi di intelligence Humint ottenuti dai nostri servizi in teatro, si veniva delineando un quadro informativo che individuava, con buone probabilità, la presenza degli ostaggi nella parte meridionale della regione ovest, distretti di Shindand e Farah.
Nel primo pomeriggio del 23 settembre, cioè ieri, a seguito della localizzazione dei rapitori e della successiva monitorizzazione dei loro movimenti, le forze ISAF hanno ricevuto, da chi vi parla, in accordo con il Presidente del Consiglio, con il quale è stato mantenuto in queste ore un contatto costante, l'autorizzazione a pianificarePag. 3ed eventualmente condurre un'operazione militare per la loro liberazione, qualora si fossero presentate le condizioni ambientali necessarie per un positivo intervento.
In tale circostanza sono state impartite direttive chiare ed essenziali. In primo luogo, l'obiettivo di una eventuale operazione di liberazione doveva tendere alla salvaguardia della vita di tutti e quattro gli uomini rapiti. Si doveva, inoltre, ridurre al massimo il rischio di coinvolgimento dei civili afgani. Pertanto, sulla base di queste indicazioni, l'operazione è materialmente scattata alla prima e verosimilmente ultima occasione che si è resa disponibile.
Avendo localizzato, nelle prime ore della giornata di oggi, due veicoli ruotati riconducibili ai rapitori che si dirigevano dalla provincia di Farah verso il sud dell'Afghanistan, si è deciso di intervenire. L'azione è stata pianificata e condotta insieme da forze speciali ed elicotteri italiani e britannici e ha portato alla liberazione degli ostaggi. Al pari della copertura informativa assicurata dall'intelligence, anche l'azione diretta ha visto il coinvolgimento sia di unità italiane, sia di reparti alleati, tutti facenti parte dell'ISAF. Nell'ambito dell'alleanza, infatti, esistono procedure e meccanismi di coordinamento e di intervento appositamente predisposti per le varie circostanze.
Questi meccanismi sono entrati regolarmente in funzione anche in questa circostanza, dimostrando l'assoluta validità operativa della cooperazione tra alleati.
L'azione di liberazione purtroppo è stata cruenta, giacché i criminali si sono dimostrati assolutamente risoluti a reagire con le armi fino alle estreme conseguenze.
Uno dei nostri militari rapiti è stato gravemente ferito; al termine di approfonditi esami, l'equipe medica sta, in queste ore, valutando la possibilità di procedere a un intervento chirurgico.
L'altro militare, anch'egli ferito, ha riportato la frattura della spalla e della clavicola sinistra; è stato operato presso l'ospedale militare britannico di Camp Bastion. Le sue condizioni non destano preoccupazioni. Dei due afgani facenti parte del gruppo rapito, uno è deceduto e l'altro ha riportato ferite alla gamba destra.
Nell'azione di fuoco che si è prodotta al momento dell'intervento e secondo le prime informazioni disponibili, sarebbero rimasti uccisi nove rapitori. Della presenza di un possibile decimo rapitore non si hanno conferme certe.
Da parte delle forze ISAF non si sono registrati feriti, né vi sono stati civili coinvolti a conferma della professionalità degli operatori che hanno condotto l'azione e della correttezza delle scelte operative e tattiche effettuate dalla catena di comando ISAF.
Onorevoli colleghi, questi che ho descritto sono i fatti, così come risultano al meglio delle nostre conoscenze attuali, che ho ritenuto doveroso portare al più presto alla vostra attenzione, pur tenendo conto dell'esigenza di riservatezza sugli aspetti prettamente militari e di intelligence riguardo all'evento, poiché va sempre tenuta a mente la necessità imprescindibile di salvaguardare, con responsabile riservatezza, la sicurezza dei nostri militari e di quelli alleati operanti in un teatro non certo facile.
Debbo ribadire e riconoscere che, durante questi giorni, l'Italia ha potuto godere della totale solidarietà dei nostri alleati, dal Governo afgano, al Segretario generale delle Nazioni Unite, di cui abbiamo avuto testimonianza anche durante l'incontro, ad alto livello, sull'Afghanistan svoltosi ieri a New York.
Anche in questa circostanza si è dimostrato quanto sia indispensabile la coesione della comunità internazionale e la gestione collettiva di un problema, quello della nostra sicurezza, che non presenta più i tradizionali limiti territoriali che abbiamo ereditato dalla nostra storia.