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Discussione di una domanda di autorizzazione all'utilizzazione di intercettazioni di conversazioni telefoniche dei deputati Cicu, D'Alema e Fassino (Doc. IV, n. 9-A).
(Discussione - Doc. IV, n. 9-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione, ricordando che essa avrà luogo congiuntamente con riferimento alle diverse proposte contenute nella relazione della Giunta.
Ha facoltà di parlare il presidente della Giunta, deputato Giovanardi, relatore per la posizione del deputato Cicu.
CARLO GIOVANARDI, Relatore per la posizione del deputato Cicu. Signor Presidente, onorevoli colleghi, riferirò in ordine alla posizione del deputato Cicu, ma anche per ricapitolare i fatti sui quali l'Assemblea dovrà pronunciarsi.
La Giunta oggi riferisce in Assemblea su una domanda di autorizzazione all'utilizzazione di intercettazioni indirette di conversazioni di Salvatore Cicu, Massimo D'Alema e Piero Fassino avanzata dal GIP di Milano ai sensi dell'articolo 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003. Le intercettazioni di cui si chiede l'utilizzazione sono state effettuate lecitamente su utenze in uso a terze persone nel mese di luglio 2005.
La procura della Repubblica di Milano, come ampiamente noto, sta conducendo tre vaste indagini per fatti di manipolazione dei mercati e abuso d'informazioni privilegiate, di cui agli articoli 185 e 184 del Testo unico sulla finanza.
In una delle indagini gli indagati sono Giovanni Consorte, Ivano Sacchetti, Carlo Cimbri, Giampiero Fiorani e Gianfranco Boni. Nell'altra è indagato, tra gli altri, Stefano Ricucci.
Ometto la ricostruzione delle indagini (che però i colleghi interessati possono trovare nel fascicolo in distribuzione), per concludere che, in pratica, per quanto riguarda le telefonate intercettate tra l'onorevole Fassino, l'onorevole D'Alema e Giovanni Consorte, i pubblici ministeri contestano a Consorte di aver omesso di lanciare un'OPA regolare e di avere, invece, progettato il lancio della medesima offerta, solo qualora avesse avuto la certezza del successo dell'operazione. Egli avrebbe, altresì, pagato sul mercato il differenziale tra il 30 per cento e il 51 per cento (che egli dichiara al telefono nel luglio 2005 di detenere già, sia pure mediante prestanomi o «concertisti») a un prezzo inferiore a quello previsto dal predetto articolo 106. Inoltre, secondo il GIP Forleo sarebbe ipotizzabile a carico del Consorte anche il reato di rivelazione di informazioni privilegiate ex articolo 184 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF).
Quanto, invece, a Salvatore Cicu, l'accusa si basa su una telefonata con Stefano Ricucci, indagato nella parallela inchiesta sulla tentata acquisizione del gruppo RCS. La posizione di Cicu sarebbe ricompresa nell'inchiesta sulla fallita scalata al gruppo RCS a opera di soggetti che intendevano acquisirne il controllo. Secondo l'ipotesi accusatoria, l'intercettato in questa conversazione, parlando con Ricucci, avrebbe in qualche modo dimostrato l'esistenza di una vasta rete di rapporti dello stesso Ricucci con ambienti politici e finanziari molto estesi.
Veniamo, invece, alle questioni che hanno occupato così a lungo la Giunta, l'opinione pubblica e anche tanti giuristi che si sono esercitati su tali casi. La domanda di autorizzazione è pervenuta alla Camera in base all'articolo 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003.
Tale disposizione prevede che, nel caso in cui il GIP, d'ufficio o sollecitato dalle parti in un procedimento penale, ritenga rilevanti per i procedimenti intercettazioni di conversazioni di parlamentari non captate su loro utenze o su ambienti in loro esclusiva disponibilità, deve chiedere l'autorizzazionePag. 3all'utilizzo alla Camera competente, sentite le parti stesse nei termini e nei modi di cui all'articolo 268 del codice di procedura penale.
La Giunta per le autorizzazioni della Camera, fin dai primi tempi dell'entrata in vigore della citata legge, ha interpretato l'articolo 6, comma 2, come agganciato indissolubilmente alla disciplina del procedimento delle intercettazioni di conversazioni dettata dal menzionato codice di procedura.
Quando, infatti, l'articolo 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 prevede che, nel determinare la rilevanza per il procedimento delle intercettazioni, il GIP debba sentire le parti, individua come momento di tale determinazione l'interlocuzione prevista dal predetto articolo 268, comma 6. Tale ultima disposizione presuppone lo svolgimento degli atti e degli adempimenti previsti nei commi precedenti del medesimo articolo, i quali sono volti, da un lato, ad assicurare l'efficacia nella raccolta delle prove e, dall'altro, a offrire reali garanzie di contraddittorio e di difesa.
La Giunta ha sempre comunque ritenuto che le prerogative parlamentari non sono intaccate se l'autorità giudiziaria richiede l'autorizzazione all'utilizzo non più tardi del momento in cui decide l'acquisizione probatoria del materiale intercettivo al fascicolo del dibattimento. In materia, vi è una giurisprudenza consolidata. Su tali elementi, che la Giunta ha preso in esame in parecchie sedute (del 25, 26 e 31 luglio, del 1o e 2 agosto, nonché dell'11, 12, 19 e 26 settembre 2007) per approfondire la materia. La domanda di autorizzazione avanzata dalla dottoressa Forleo è stata largamente - forse anche inopportunamente - anticipata dalla stampa (questo i colleghi lo sanno) e alla Camera è pervenuta, successivamente alla pubblicazione sui quotidiani, il 25 luglio 2007.
È parso subito evidente che nell'atto potevano distinguersi due parti: l'una necessaria e rispondente ai requisiti legislativi previsti nell'articolo 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003; l'altra parte, sovrabbondante e a tratti giuridicamente opinabile, è costituita da un apparato di considerazioni che la dottoressa Forleo svolge nel motivare l'atto.
La Giunta evidentemente avanza all'Assemblea proposte relative al riscontro da dare alla prima parte, cioè quella che fa riferimento in maniera stringente alla richiesta pervenuta alla Camera stessa; diversi componenti della Giunta stessa, nel corso del dibattito, hanno sostenuto però che non si possa trascurare di rispondere a talune osservazioni del magistrato milanese.
Anzitutto, a molti degli intervenuti è parso fuori luogo che il GIP di Milano abbia espresso con tanta passionale certezza le sue impressioni sui comportamenti dei deputati coinvolti nella vicenda. Si tratta di persone che allo stato degli atti non sono indagate di alcunché, il cui comportamento è certamente possibile oggetto di apprezzamento o di critica pubblica (come lo è quello di chiunque in tutti gli ambiti); non spetta, però, al giudice delle indagini preliminari esprimere proprie valutazioni scritte in provvedimenti formali volti ad acquisire prove contro terzi.
In secondo luogo, quando il GIP mette per iscritto che solo l'autorizzazione all'utilizzazione delle intercettazioni in questione rilasciata dalla Camera consentirà la procedibilità penale a carico dei deputati interessati, incorre in due imprecisioni.
Infatti, dal 1993 non è più vero - i colleghi lo sanno - che la procedibilità penale dei parlamentari sia subordinata all'autorizzazione della Camera di appartenenza e, inoltre, non è vero che l'utilizzabilità investigativa (quindi, non quella probatoria in dibattimento) delle intercettazioni indirette sia subordinata all'autorizzazione. Proprio nel caso che ha condotto alla sentenza della Corte costituzionale n. 163 del 2005 si era avuto un caso di utilizzo a fini investigativi (per scoprire e sottoporre a misura cautelare in carcere due spacciatori di droga) di intercettazioni indirette di un deputato e, come si era inizialmente ritenuto, di un senatore a vita.Pag. 4
In sostanza, secondo molti tra gli intervenuti - e io do anche conto succintamente del dibattito che si è svolto nella Giunta per le autorizzazioni - non si può che stigmatizzare con fermezza queste considerazioni gratuite ed equivoche, che contrastano con i doveri di equanimità, sobrietà e continenza motivazionale che devono contraddistinguere il contenuto dei provvedimenti giurisdizionali e con il principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato. Ciò, devo aggiungere, si sarebbe dovuto riscontrare anche in momenti precedenti quando è emerso con chiarezza e per tabulas che l'onorevole D'Alema al momento delle intercettazioni non era deputato del Parlamento italiano, bensì parlamentare europeo, e nel momento in cui alcuni in interviste di stampa hanno dichiarato che erano a conoscenza del fatto che l'onorevole D'Alema non fosse deputato italiano, ma non lo hanno comunicato tempestivamente alla Giunta per le autorizzazioni.
Dal momento che sono anche relatore per la posizione dell'onorevole Cicu, concludo riferendo all'Assemblea quanto è emerso sulla posizione di quest'ultimo (in seguito i colleghi Vacca e Antonio Pepe riferiranno sui casi specifici degli onorevoli D'Alema e Fassino).
Per quanto riguarda l'onorevole Cicu devo sottoporre all'Assemblea una valutazione un po' complessa. Ci siamo soffermati, infatti, solo sulla valutazione di una telefonata nella quale, contrariamente a ciò che ha affermato il GIP trasmettendo gli atti alla Camera, non è l'onorevole Cicu ad informare Ricucci della presenza di un senatore a un pranzo di nozze, ma è proprio quest'ultimo ad informare Cicu; Ricucci, infatti, lo avverte che a quel pranzo di nozze sarebbe stato presente anche il tale. Quindi, anche il presupposto agli atti appare infondato.
Tuttavia, sebbene a parere della stragrande maggioranza della Giunta la telefonata in questione costituisca un elemento probatorio di nessuna rilevanza, poiché il deputato Cicu ha svolto un'accorata richiesta affinché venga concessa l'autorizzazione all'utilizzo della conversazione telefonica, onde non dare l'impressione che lo si voglia difendere da un'accusa che formalmente non gli viene mossa, la Giunta a maggioranza, anche se con le considerazioni che ha sottoposto all'Assemblea, propone di concedere, ai sensi del combinato disposto degli articoli 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 e 268 del codice di procedura penale, l'autorizzazione all'utilizzo probatorio delle intercettazioni.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il deputato Vacca, relatore per la posizione del deputato D'Alema.
ELIAS VACCA, Relatore per la posizione del deputato D'Alema. Signor Presidente, colleghi deputati, il presidente Giovanardi ha riassunto l'andamento dei lavori della Giunta relativamente alla richiesta autorizzativa nel suo complesso; a me è stata affidata la posizione dell'attuale Ministro degli affari esteri, deputato Massimo D'Alema, che non era deputato italiano all'epoca in cui le intercettazioni vennero effettuate.
La circostanza che l'onorevole D'Alema non fosse deputato italiano nel luglio del 2005 è emersa nel corso dei lavori della Giunta.
La relazione che inizialmente avevo potuto predisporre, e che prevedeva conclusioni analoghe a quelle cui si è pervenuti per colleghi Fassino e Cicu, ha necessitato di un approfondimento ulteriore in ragione di tale circostanza.
Poco importante è, in questa sede, verificare a chi spettasse rilevare e ricordare tale circostanza (sicuramente non a chi vi parla che, tra i molti interessi che ha, non coltiva le biografie di parlamentari e di deputati presenti, passati e spero neanche di quelli futuri). Mi sono perciò concentrato sull'interpretazione della norma di cui all'articolo 6, secondo comma, della cosiddetta legge Boato n. 140 del 2003, che effettivamente nella sua formulazione letterale si presta a qualche equivoco e a qualche interpretazione peculiare.
La norma esamina il caso delle intercettazioni cosiddette indirette, ossia dellePag. 5intercettazioni nelle quali incidentalmente, intercettando taluno che non rivesta la qualità propria di parlamentare, si incappi in una conversazione con un soggetto parlamentare. La norma prevede che l'autorizzazione debba essere richiesta alla Camera alla quale il deputato appartiene o apparteneva al momento dell'intercettazione.
Di questa norma sono state date due interpretazioni: la prima - credo di poterlo affermare per averlo appreso dalla stampa e perché, altrimenti, non si spiegherebbe neanche il tenore letterale dell'ordinanza della dottoressa Forleo - è stata resa dallo stesso GIP procedente, il quale ha affermato che, a suo giudizio, vi è una sorta di alternativa nella possibilità di inviare gli atti alla Camera cui il deputato attualmente appartenga ovvero a quella cui apparteneva al tempo delle intercettazioni.
Questa interpretazione, a mio avviso e ad avviso dei colleghi della Giunta per le autorizzazioni, non è da ritenersi esatta o preferibile, in quanto aprirebbe la porta - questa volta sì - ad un privilegio non solo inutile, ma anche incomprensibile. L'interpretazione di una norma per cui debba essere sempre e necessariamente inoltrata una richiesta alla Camera alla quale, nell'attualità della richiesta, il parlamentare appartenga ci suggerirebbe di dover chiedere l'autorizzazione all'uso delle intercettazioni di chi, essendo un semplice cittadino all'epoca in cui le intercettazioni venivano effettuate, per la sopravvenuta qualità di deputato o di senatore, godrebbe di una sorta di vaglio preliminare, che è quello riservato alla funzione parlamentare dalla legge Boato.
Faccio un esempio probabilmente un po' terra terra, ma che rende bene l'idea del motivo per cui tale interpretazione non possa essere accettata. Si immagini il caso di un boss mafioso, intercettato con il proprio consigliori (magari persona incensurata, professionista affermato e quant'altro), che scopra di essere stato intercettato e, quindi, entri nell'ordine di idee di determinare l'elezione di costui al Parlamento per vedere le proprie intercettazioni, per questo solo fatto, schermate.
Mi sembra un'interpretazione aberrante di una norma che già è sottoposta al vaglio della Corte costituzionale sotto il profilo della disparità di trattamento processuale per i terzi non parlamentari che parlino con parlamentari al momento delle intercettazioni. Immaginiamoci, dunque, quale conseguenza si produrrebbe se noi accedessimo ad un'interpretazione per cui la dizione «la Camera alla quale il parlamentare appartiene» fosse estesa alle conversazioni di chi parlamentare non fosse, allorché intercettato, e lo divenga successivamente.
È evidente, quindi, che l'interpretazione non può che essere quella per cui - come anche oggi il professor Grevi, ben più autorevolmente di chi vi parla, ha sostenuto dalle colonne del Corriere della Sera - laddove il parlamentare incidentalmente intercettato appartenga, nel momento della richiesta, alla stessa Camera alla quale apparteneva nel momento dell'intercettazione, si debba inoltrare la richiesta a quella Camera. Qualora, invece, il parlamentare - come è successo nel caso Ranieli esaminato dall'Assemblea qualche mese fa - abbia cessato l'ufficio parlamentare o sia passato da una Camera all'altra (dal Senato alla Camera dei deputati o viceversa), la richiesta deve essere inoltrata alla Camera alla quale il parlamentare apparteneva al tempo dell'intercettazione.
Sulle conclusioni della Giunta per le autorizzazioni si è detto di tutto da parte dei cultori delle materie giuridiche, degli studiosi e dell'opinione pubblica.
Sono rimasto sfavorevolmente colpito da un'interpretazione unilaterale - in senso quasi spregiativo - delle prerogative parlamentari, nel momento in cui si è affermato che la pronuncia di incompetenza della Giunta mirasse quasi a mettere sotto tutela l'onorevole D'Alema. Innanzitutto non è così perché la pronuncia della Giunta non mira a mettere sotto tutela nessuno, ma ad affermare i principi di diritto, a garantire il rispetto delle norme e ad evitare l'estensione di prerogative che,Pag. 6se irragionevolmente estese, diverrebbero privilegi. Inoltre, nel procedimento in questione (che - lo ricordo - è a carico di Giovanni Consorte e di altri), non si stanno processando l'onorevole D'Alema, l'onorevole Fassino e l'onorevole Cicu, ma si sta chiedendo di autorizzare l'utilizzo delle intercettazioni relative a conversazioni intercorse con costoro.
Ho espunto dalla mia relazione questa parte, ma ho preannunciato ai colleghi che l'avrei esposta in aula, perché ritengo che ciò valga anche a spiegare le ragioni per le quali la Giunta propone all'Assemblea che la Camera si dichiari incompetente. A mio personale giudizio, nel procedimento di cui si tratta (a proposito del quale ho letto che si prospetta la richiesta di un'autorizzazione all'Europarlamento per la posizione dell'onorevole D'Alema, che mi è affidata), non è necessaria alcuna autorizzazione, per la semplice ragione che l'articolo 10 del Protocollo sulle prerogative degli europarlamentari, nell'evocare il concetto di immunità (che ha un significato circoscritto e preciso, giuridicamente e nel lessico comune) può certamente ricomprendere tutto tranne l'immunità per i terzi interlocutori degli europarlamentari.
Credo che, nel chiedere il rinvio degli atti al giudice procedente, dobbiamo innanzitutto affidare al medesimo, a seconda delle decisioni che la magistratura ordinaria vorrà prendere, l'immediata possibilità di utilizzare quegli strumenti di prova nel procedimento in corso e, inoltre (a seconda del prosieguo del procedimento ed eventualmente a carico di altri soggetti), interessare le giunte competenti in relazione ai soggetti che dal procedimento venissero interessati.
Ritengo che a tutti noi componenti della Giunta - e sicuramente a me personalmente - il lavoro svolto, lungo, faticoso e, per certi versi, improbo abbia insegnato che la cosiddetta legge Boato necessita, evidentemente, di qualche ritocco e qualche revisione che ne renda più agevole e congrua l'interpretazione, nell'attesa del giudizio della Corte costituzionale sulla norma di cui all'articolo 6 della legge n. 140 del 2003.
Ci siamo trovati in imbarazzo sia perché l'onorevole Cicu si è presentato in Giunta per chiedere egli stesso che l'autorizzazione fosse data, sia perché, relativamente alle posizioni degli altri due deputati, abbiamo appreso più volte, tramite la stampa, che fosse desiderio dei colleghi interessati dal procedimento dare il via libera all'autorizzazione. Francamente, mi sembra singolare che una posizione che non attiene al plenum dell'Assemblea (come i casi relativi all'arresto, che non sono nella disponibilità del diretto interessato) e che riguarda l'utilizzabilità di un mezzo di prova in un processo non possa essere nella disponibilità di chi, da terzo interlocutore, ne è coinvolto. Abbiamo dovuto perfino votare in quest'aula l'autorizzazione all'intercettazione sull'utenza del deputato Ferrigno, il quale non aveva commesso alcun reato, ma era stato vittima egli stesso: ciò è avvenuto perché quel collega non aveva la disponibilità di consentire l'utilizzo delle proprie conversazioni. Poiché non penso a me stesso come possibile interlocutore di terzi in operazioni criminose, ma piuttosto, prima o poi, come molto spesso capita, mi potrebbe capitare di essere oggetto di telefonate minatorie o altro, mi dispiacerebbe, in quella circostanza, non poter dare l'autorizzazione all'utilizzo delle conversazioni. Ritengo, pertanto, che la norma, almeno sul punto, meriti una revisione.
In conclusione, non è stato facile lavorare in Giunta nel clima che si è creato sulla vicenda.
Tuttavia, credo che del lavoro che è stato svolto - non dal relatore che vi parla, ma da tutti i colleghi che, nella Giunta per le autorizzazioni, si sono sforzati di fornire un'interpretazione di tale norma senza considerare chi riguardasse, ma pensando soltanto ad agevolare il lavoro della magistratura e, contemporaneamente, a salvaguardare le prerogative del Parlamento - l'Assemblea possa dare conto anche materialmente con un voto favorevole, che sollecito, sulla proposta della Giunta.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il deputato Antonio Pepe, relatore per la posizione del deputato Fassino.
ANTONIO PEPE, Relatore per la posizione del deputato Fassino. Signor Presidente, onorevoli colleghi, spetta a me riferire sulla posizione dell'onorevole Fassino: i fatti sono noti, quindi non li espongo (peraltro, sono stati ampiamente esposti dal presidente Giovanardi e sono riportati nella relazione scritta, che è agli atti del Parlamento).
Il giudice ha chiesto l'utilizzabilità di alcune conversazioni telefoniche, ritenute penalmente rilevanti, intercorse tra Giovanni Consorte e l'onorevole Fassino dirette a provare alcune fattispecie di reato.
Ricordo che, dalle conversazioni intercettate, risulta che il Consorte dichiara all'onorevole Fassino di avere in corso operazioni relative all'acquisizione di quote BNL, riferisce di un incontro avuto con il Presidente della CONSOB e, durante la conversazione, risponde che l'Unipol avrebbe lanciato l'OPA solo quando avrebbe potuto effettivamente controllare il 51 per cento della Banca.
Inoltre, il Consorte contatta l'onorevole Fassino e gli dice che, prima dell'apertura mattutina della Borsa del 18 luglio 2005, l'Unipol e gli altri concertisti avrebbero avuto una quota del 51,8 per cento delle azioni BNL ed elenca gli altri protagonisti dell'operazione.
Il giorno dopo, durante un'altra telefonata intercettata, l'onorevole Fassino formula a Consorte la nota domanda: «Siamo padroni della banca?».
Ritengo che sarà l'autorità giudiziaria a stabilire se quanto emerge dalle intercettazioni possa integrare il reato di manipolazione di mercato o di ostacolo all'esercizio delle funzioni pubbliche di vigilanza da parte delle Autorità (in particolare, della CONSOB) o altre fattispecie di reato.
Di certo, dal punto di vista della rilevanza, si può affermare che le intercettazioni appaiono significative di una sorta di rivelazione o confessione del Consorte circa la condotta tenuta nel periodo maggio-luglio 2005.
Personalmente, ritengo che occorra valutare, caso per caso, fattispecie per fattispecie, se concedere o meno l'utilizzo ogni volta che siamo in presenza di intercettazioni indirette di parlamentari.
Nel caso di specie, l'interesse tutelato dall'articolo 6 della legge n. 140 del 2003, cioè la tutela della riservatezza e, quindi, della privacy del parlamentare e la protezione del parlamentare medesimo da indebiti accostamenti mediatici a fatti illeciti, è stato violato dalla notorietà e dalla pubblicità delle intercettazioni medesime, ormai di dominio pubblico.
Prevale, nel caso in esame, la tutela dell'interesse pubblico all'azione penale e la tutela dell'interesse di fornire sia al giudice, sia all'imputato, sia a tutte le parti del procedimento ogni mezzo di prova necessario per accertare la verità.
Concludo ricordando che la Giunta per le autorizzazioni, a maggioranza, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 e dell'articolo 268 del codice di procedura penale, ha proposto di concedere l'autorizzazione all'utilizzo probatorio delle intercettazioni in esame.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, a nome del gruppo DCA-Nuovo PSI offriamo il nostro contributo al presente dibattito.
Ovviamente, sembra che in questo Paese le vie giudiziarie al potere siano infinite: di normale e ricorrente, ormai, vi è solo il «giacobinismo nostrano», molto più crudo della rivoluzione francese. Il sangue delle ghigliottine viene sparso molto tempo prima sulla stampa, con una sorta di gusto alla tortura prima del misfatto.
Viene da chiedersi come un popolo come il nostro sia contro la pena di morte considerando le esecuzioni mediatiche che sono quotidianamente compiute: le famose stragi della prima pagina, cui non basterebbe la «patente a punti» per giornalisti.
Tuttavia, giudico la Forleo una persona intelligente e colta, amabile, anche carina,Pag. 8tra l'altro: è sufficientemente intelligente da comprendere esattamente il contesto sociale in cui cade la sua richiesta di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni telefoniche.
Lo dimostra il piccolo «trattatello» sulla ragion politica che accompagna maliziosamente la richiesta formale di autorizzazione. La sua ragion giuridica appare traballante, il codice stiracchiato fino all'inverosimile per individuare la consistenza di una fattispecie di reato tecnica molto simile a quella usata dal giudice delle veline e dei re d'Italia, che ha fatto del voyeurismo giudiziario e dello spionaggio telefonico una sua mission.
La sua sentenza morale è già stata depositata per la posterità. Chiunque nel mondo mediatico dell'antipolitica, dal semplice cittadino alla grande testata di giornale sponsor, ha già fatto il suo processo ed emesso la condanna. L'onorevole Cicu, l'onorevole Fassino e, soprattutto, l'onorevole D'Alema sono stati già ghigliottinati.
Per un socialista come il sottoscritto, per un liberale, per un democratico cristiano, è struggente parlare oggi di questo argomento e dei suoi protagonisti. «Struggente» è l'unico termine che ho in mente per definire uno stato d'animo che immancabilmente riporta agli anni Novanta della nostra Repubblica, quando il giudice Di Pietro, sicuramente meno intelligente e ampiamente meno colto del giudice Forleo, era diventato l'eroe nazional-popolare per l'affossamento mediatico della prima Repubblica. Anche allora certa stampa lo scelse e lo portò in vetta. Struggente è essere qui oggi e difendere coloro che devono le loro fortune politiche attuali principalmente a quel vuoto istituzionale voluto, o subito, che si era venuto a creare con Tangentopoli.
Tuttavia, esiste un dovere da Cassandra, che qualcuno deve assumersi e il nostro gruppo intende farlo qui, oggi, perché il sottoscritto, da socialista garantista, non può permettere che i giudici intervengano a gamba tesa sulla politica nazionale e che dettino - loro - le regole e i ritmi e che scelgano - loro - le persone.
Onorevoli colleghi, sarebbe miope ritenere che qui oggi siamo a discutere di una semplice autorizzazione a procedere. Sappiamo, come lo sa il giudice Forleo, quale sia la posta in gioco.
Il vero pericolo è, ancora oggi, come negli anni Novanta, non nel movimento spontaneo dell'antipolitica, ma in quei poteri forti, avulsi dalla democrazia, non istituiti dal voto e dal consenso, incontrollati e deresponsabilizzati, che mantengono immutato, da oltre un decennio, il proprio potere di influenza mediatica e coercizione giudiziaria, che rubano a destra e a manca. Si tratta dello stesso potere che ha spazzato via i partiti e che non è riuscito a prevedere, fortunatamente, il fenomeno Berlusconi, ma Silvio Berlusconi non può fare anche i miracoli!
Allora, vi è da chiedersi se anche voi, la maggioranza democratica del Parlamento, non avvertiate che la dissonanza tra poteri sia il maggior pericolo per la tenuta democratica dell'Italia.
Vi avviso, onorevoli colleghi. Non si creda di essere molto distanti dallo spettro degli anni Novanta. Non si creda di sottovalutare quello che oggi viene definito il movimento dell'antipolitica e, soprattutto, quello che sta dietro e lo cavalca. Se oggi, come allora, la risposta alla sfida in atto fosse solo «autorizzo o non autorizzo», dando sfogo ai piccoli interessi di bottega, ben presto dovremmo ipotizzare - c'è chi lo farà per noi - la terza Repubblica.
Queste sono le ragioni politiche del nostro «no» all'autorizzazione e alla decisione della Giunta per quanto riguarda tutti e tre i nostri colleghi.
Nella dichiarazione di voto cercherò di offrirvi anche le motivazioni giuridiche di quanto sta succedendo oggi in Italia, che ovviamente ci portano alla denigrazione dell'alto valore che ha questo Parlamento per la democrazia, la libertà e la giustizia (Applausi dei deputati del gruppo DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI).
PRESIDENTE. Il deputato Consolo ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori: debbo chiederle se il suo intervento attiene al punto oggetto dei nostri lavori.
GIUSEPPE CONSOLO. Sì, signor Presidente.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CONSOLO. Signor Presidente, devo rilevare e desidero che rimanga agli atti un protagonista emarginato di questo dibattito assai interessante. Mi riferisco al Governo. Potrà rispondermi che, trattandosi di interna corporis, non è prevista obbligatoriamente la presenza del Governo.
Ciò è vero e corretto, quindi la sua posizione sarebbe ineccepibile, signor Presidente, qualora mi rispondesse in questo senso. Però, dal punto di vista politico, è un'assenza assai grave, che deve intendersi come incuria verso i temi che il Parlamento dibatte e anche come dimostrazione di poco rispetto di un garbo istituzionale che, a mio avviso, sarebbe opportuno.
Si parla di autorizzazioni a procedere e di autorizzazioni all'utilizzazione di intercettazioni telefoniche nei confronti di colleghi, anche membri di Governo; quindi, il Governo medesimo avrebbe dovuto avere il buon gusto di essere presente e ascoltare, con l'attenzione dovuta a questo ramo del Parlamento, ciò che i colleghi stanno esponendo assai bene.
PRESIDENTE. Come ho già avuto modo di far notare, la questione in discussione non riguarda gli indirizzi di Governo, ma gli interna corporis dell'Assemblea. Quindi non è prevista in nessuna norma regolamentare la presenza del Governo e il Presidente non può che attenersi al Regolamento.
È iscritto a parlare il deputato Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, l'Italia dei Valori si è ispirata sempre agli stessi principi in materia di prerogative dei parlamentari. È inutile, quindi, soffermarsi troppo a lungo sul fatto che, quando ci esprimiamo, non lo facciamo sulla base della maglietta indossata dal parlamentare, sentendoci svincolati da ragioni tanto di amicizia quanto di schieramento in fronti politici diversi. Ci rifacciamo esclusivamente a questa regola anche nei casi dei colleghi Cicu, D'Alema e Fassino.
Quei principi riguardano la separazione dei poteri prevista dalla Costituzione: come i giudici non approvano le leggi, così i processi sono svolti dai giudici e non dal Parlamento, il quale non deve interferire sul lavoro investigativo, dovendo solo accertare se sussista o meno il cosiddetto fumus persecutionis.
Eventuali vizi da qualcuno ravvisati vanno trattati esclusivamente nell'ambito del processo e con gli strumenti endoprocessuali: il Parlamento, quindi, non è giudice dei giudici. Perciò ci siamo sempre opposti ad ogni «salvataggio» di carattere politico, in nome della politica, che tramutasse le prerogative in privilegi o le immunità in impunità.
Questo è il nostro orientamento anche nei casi in esame, in cui, peraltro, ciò è ancora più facile, perché i parlamentari sono solo indirettamente intercettati e non sono indagati.
Abbiamo quindi presidiato i seguenti principi: il primo secondo il quale il giudice della rilevanza delle conversazioni intercettate non è il Parlamento ma la magistratura che procede, la quale, nel momento in cui ha formulato la richiesta, ha già positivamente risolto il problema. Questo aspetto è determinante per quanto dirò sul caso Cicu.
Il secondo principio consiste nel fatto che la Camera deve decidere sulla richiesta nei suoi termini necessari e sufficienti, mentre eventuali vizi che taluno rilevasse non incidono sulla legittimità del procedimento. Perciò, abbiamo detto «no» all'irricevibilità dell'ordinanza e a censure o bacchettature nei confronti di alcuno, tanto meno dei giudici.
Per quanto riguarda la posizione del collega D'Alema, noi siamo stati contrari e lo siamo tuttora alla dichiarazione di incompetenza.Pag. 10È stato accertato che il collega era parlamentare europeo all'epoca delle intercettazioni. È stato giusto rilevarlo e ne abbiamo preso atto come di un dato di fatto. Ma da qui a declinare rapidamente la competenza, quasi che qualcuno volesse liberarsi dal peso di dover dire un «sì» o un «no», il passo è lungo.
Sappiamo che si tratta di una questione controversa e rispettiamo chi la pensa diversamente da noi, ma rifiutiamo di accettare l'equazione che chi vuole mantenere la competenza al Parlamento sia contro D'Alema, come peraltro rifiutiamo la posizione opposta.
Crediamo che la legge n. 140 del 2003, pur nella sua imperfezione, che imporrà una modifica - come diceva giustamente anche il collega Vacca - ponga un criterio di privilegio per la Camera alla quale il parlamentare appartiene.
Non siamo i soli a dirlo: a parte le sette astensioni in Giunta, motivate dall'incertezza della normativa che legittima anche la decisione di competenza della Camera ed a parte la magistratura milanese, che ha studiato la questione e ha deciso nel senso della competenza del Parlamento, ciò è stato affermato anche da illustri studiosi, da ultimo l'ex presidente della Corte costituzionale Piero Capotosti e, prima ancora, Franco Cordero. Pertanto, si sostenga pure, legittimamente, l'opinione opposta, ma non si dica che la nostra è peregrina.
Devo ringraziare un collega della Giunta per le autorizzazioni (da qualche tempo mi gratifica con una costante e garbata attenzione e la qual cosa mi fa onore), secondo il quale, se si sostiene la competenza della Camera di attuale appartenenza nei confronti di un parlamentare, anche nel caso in cui prima questi non lo fosse stato, si attribuirebbe un privilegio personale ad un cittadino; e me lo rimprovera, sostenendo che, così facendo, l'Italia dei Valori sarebbe in contrasto con la sua precedente declamazione di voler combattere i privilegi dei parlamentari.
Al di là delle diverse opinioni sull'interpretazione della legge n. 140 del 2003, vorrei rassicurare il collega che non abbiamo affatto rinunciato a combattere i privilegi dei parlamentari, quando non sono fondati su sole deposizioni giuridiche. Si tratta di una questione estremamente seria, su cui vorremmo invitare a non attribuirci posizioni inesistenti e lasciando a noi l'interpretazione autentica dei nostri valori.
Infatti, vorrei richiamare la differenza profonda che per noi esiste tra garanzie e privilegi: non siamo affatto contrari alla crescita delle garanzie di controllo, come quella di verificare la legittimità della richiesta su un parlamentare attualmente in carica. Al contrario, per privilegio, intendiamo l'uso politico della garanzia a fine di salvataggio personale. Su questo piano non temiamo concorrenza: non siamo stati noi ad aver salvato, in questa legislatura, tanti ex parlamentari o parlamentari in carica, che non cito per eleganza.
Dunque, le garanzie procedimentali per i parlamentari vanno rispettate e, se possibile, accresciute, ma vanno usate bene. Noi siamo impegnati a scovare e denunciare i tentativi di salvataggio politico dei parlamentari con un uso spregiudicato delle garanzie. Su questa linea di rigore e di coerenza accetteremo, eventualmente, rilievi, ma non sui principi; altrimenti, saremo costretti a richiamare altre loro incoerenze.
Garantire all'attuale deputato D'Alema la competenza della Camera a cui appartiene significa, comunque, assicurargli una garanzia. Abbiamo detto «sì» alla garanzia, per poi dire «sì» all'autorizzazione dopo il vaglio della Camera. Ci distinguiamo, quindi, da chi volesse dire «no» alla competenza, per non dover dire «no» all'autorizzazione.
Tutto ciò è pertinente al caso in esame. L'incompetenza, se da una parte libera la Camera dal peso di decidere, può lasciare il deputato D'Alema senza la garanzia del vaglio del Parlamento. Infatti, condivido pienamente la motivata e approfondita tesi - sostenuta anche dal relatore Vacca -Pag. 11secondo la quale, allo stato della normativa sulle immunità nel Parlamento europeo, non è prevista alcuna competenza di quella sede (perché, tra l'altro, non essendo il parlamentare indagato, non si tratta di immunità). In questo modo, la magistratura milanese ha assolto diligentemente il compito di investire la Camera di appartenenza (la quale ha declinato la competenza) e ben potrebbe decidere l'utilizzazione delle conversazioni intercettate senza dover più richiedere alcuna autorizzazione, tanto meno al Parlamento europeo, con il risultato che il deputato in carica presso questa Camera resterebbe privo di garanzie procedimentali, in questa sede come in quella.
Siamo stati anche contrari all'altra ipotesi del regalo boomerang, che consisterebbe nella trasmissione al Parlamento europeo, da parte della Camera, della notizia del procedimento in atto. Non vi è norma - né giuridica, né di galateo istituzionale - che imponga o consenta una tale procedura. Al contrario, potrebbe profondamente urtare l'interessato il fatto che si porti a conoscenza della sede europea l'esistenza di un procedimento autorizzativo che lo riguarda, tanto più che si tratta del Ministro degli affari esteri italiano in carica, al di fuori del suo investimento d'ufficio ed ex lege da parte dell'unico soggetto legittimato a farlo, cioè la magistratura procedente.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
FEDERICO PALOMBA. Sì, signor Presidente, continuerò il mio intervento in sede di dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Buemi. Ne ha facoltà.
ENRICO BUEMI. Signor Presidente, ritengo che su tale questione vi siano una serie di problematiche che si sono sovrapposte.
La prima questione riguarda il fatto che, sicuramente, la vicenda oggi al nostro esame impone a questa Camera una riflessione sull'attuale normativa prevista dall'articolo 68 della Costituzione e sull'effettiva validità delle prerogative in essa previste e se non sia il caso di superarle oppure di procedere ad una riscrittura più puntuale della norma.
La seconda questione è quella relativa all'articolo 101 della Costituzione, secondo il quale i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Signor Presidente, vorrei parlare proprio di questa norma che non costituisce soltanto un obbligo ed un ordine per i cittadini comuni, ma è anche l'unico strumento di riferimento dei giudici.
La nostra Costituzione non parla dei pubblici ministeri, ma dei giudici. Io vorrei parlare del giudice per le indagini preliminari di Milano perché, al di là delle questioni, che tratteremo nel merito, concernenti gli onorevoli colleghi chiamati in causa, si pone un problema preliminare relativo all'atto che il giudice per le indagini preliminari di Milano, dottoressa Forleo, ha inviato al Parlamento per l'autorizzazione all'utilizzabilità delle intercettazioni indirette dei nostri tre onorevoli colleghi.
Signor Presidente, la prima questione che vorrei porre è relativa all'unicità dell'atto. Le responsabilità eventuali in materia penale sono soggettive ed individuali. Pertanto, la trattazione complessiva unitaria della posizione dei diversi colleghi introduce ulteriori equivoci in un atto che di equivoci ne contiene già troppi. Successivamente parlerò del giudizio emerso anche nel corso della polemica politica e giornalistica di questi mesi e settimane.
Il giudice Forleo nel suo provvedimento afferma che, per quanto riguarda il processo relativo a Consorte ed altri, le fonti di prova utilizzabili, riportate nell'ambito dello stesso atto, appaiono sufficienti a suffragare l'ipotesi accusatoria riguardante taluni soggetti e già per esse indagati. Quindi, di fatto, il giudice di Milano ci dice che non ha bisogno delle intercettazioni indirette dei nostri colleghi.
In secondo luogo, tuttavia - questa è la parte più grave del provvedimento -, il giudice di Milano afferma che, a parere di questa autorità giudiziaria sarà proprio il placet del Parlamento a rendere possibilePag. 12la procedibilità penale nei confronti dei suoi membri, inquietanti interlocutori di numerose di dette conversazioni, soprattutto intervenute sull'utenza di uso al Consorte, consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata.
Signor Presidente, questo è il punto! Il giudice per le indagini preliminari di Milano non ci chiede l'utilizzabilità di queste intercettazioni indirette a carico di Consorte per il quale afferma che sono già sufficienti le prove acquisite, ma ci richiede l'autorizzazione, al fine di attivare un procedimento dei confronti di altri consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata!
È molto grave che in un ordinanza rivolta al Parlamento siano contenute affermazioni di questo genere, perché l'obbligo dell'azione penale nel nostro ordinamento compete al pubblico ministero, non compete certamente al giudice per le indagini preliminari.
Quindi, in tal modo si crea un equivoco ed una sovrapposizione dei poteri del pubblico ministero e del giudice, dal momento che la dottoressa Forleo si assume anche il compito di procedere, di annunziare il procedimento, anzi di sentenziare, poiché è già pervenuta alla conclusione e ciò risulta dall'affermazione: «consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata»!
Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono queste le ragioni sostenute in maniera esplicita da commentatori giuridici di grande fama e professionalità che definiscono il provvedimento della dottoressa Forleo illegittimo e sconcertante, in quanto, di fatto, esprime una sorta di giudizio preventivo. Altri sostengono che i contenuti del provvedimento rappresentano un passaggio sconcertante, perché per questa via il GIP, andando al di là dell'impostazione accusatoria finora seguita dal pubblico ministero, si è arrogato un compito che non appartiene alle proprie funzioni.
È il pubblico ministero che accusa e che, prima ancora, dispone l'iscrizione nell'apposito registro degli indagati; cosa che il pubblico ministero di Milano poteva fare senza l'autorizzazione di questa Camera. Come prevede, infatti, l'ordinamento vigente, non è necessaria l'autorizzazione nemmeno per l'utilizzo delle intercettazioni rese note in seguito a gravi passaggi dei verbali delle intercettazioni dal fascicolo processuale di Consorte alla stampa.
Esiste l'obbligo di informare il pubblico ministero se si acquisiscono notizie di reato: se, in questo caso, il giudice Forleo avesse acquisito, nell'espletamento della sua attività, notizie ulteriori avrebbe avuto l'obbligo, non di sentenziare nell'ordinanza inviata alla Camera, ma di comunicare al pubblico ministero per la sua competenza le notizie di reato eventualmente raccolte.
Un altro autorevole giurista ha affermato che la dottoressa Forleo non aveva titolo per scrivere nella motivazione dell'ordinanza emessa che le conversazioni intercettate erano rilevanti nel procedimento penale in corso in quanto consentivano di procedere penalmente nei confronti dei parlamentari intercettati, cioè che tali contenuti dell'ordinanza non erano necessari.
In conclusione, signor Presidente, noi parlamentari del gruppo de La Rosa nel Pugno riteniamo che tale atto, per i suoi contenuti, sia inficiato fortemente nella sua accettabilità da parte di questa Camera. In base al principio di leale e positiva collaborazione tra le istituzioni, al fine di evitare un conflitto di attribuzione tra istituzioni abbiamo proposto in commissione e riproponiamo in questa sede il rinvio al giudice delle indagini preliminari di Milano per una riformulazione più attinente a quella legge che tutti richiamano come unico riferimento, in particolare per i giudici. Ciò darà modo a questa Camera di valutare, nella sua completezza, un atto rispondente ai principi della legge, al principio della separazione dei poteri tra giudice e pubblico ministero e al principio della separazione tra poteri istituzionali.
PRESIDENTE. Deputato Buemi, concluda.
Pag. 13ENRICO BUEMI. Concludo, Presidente. L'accettazione di un atto così abnorme da parte di questa Camera significherebbe essere subalterni ad un'altra istituzione che non è superiore...
PRESIDENTE. Deve concludere.
ENRICO BUEMI. ... ma è allo stesso livello della nostra.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paniz. Ne ha facoltà.
MAURIZIO PANIZ. Signor Presidente, questa Camera nella seduta del 30 maggio scorso si è occupata di una vicenda assolutamente identica a quella che esamina oggi. Allora, si discuteva di intercettazioni che interessavano l'ex deputato Ranieli dell'UDC.
La proposta del relatore era stata quella di concedere l'autorizzazione per alcune, mentre la Camera si è espressa negativamente e lo ha fatto a ragion veduta. Essa ha, infatti, tenuto conto di un principio fondamentale che deriva dalla nostra Costituzione, un principio del quale noi, in quest'aula, non ci dobbiamo vergognare, perché non rappresenta l'esternazione di un privilegio di un parlamentare, ma di un diritto sacrosanto di chi ha l'onore di rappresentare il popolo italiano in questa sede. Il parlamentare può essere intercettato solo se interviene anticipatamente l'autorizzazione della Camera alla quale appartiene. Si tratta di un principio fondamentale che non è stato violato nel tempo e che noi non possiamo violare soltanto perché l'opinione pubblica o una parte della stessa che non conosce il contenuto delle norme e che si lascia fuorviare da messaggi di moda ci chiede di intervenire contro la legge.
Tutti i giorni, quando emettono un provvedimento, i magistrati dicono che sono asserviti alla legge, che quel provvedimento trova la propria matrice soltanto nel testo della legge e che quest'ultima deve essere rispettata. Perché allora noi non dovremmo invocare lo stesso tipo di principio? Perché non dovremmo intervenire, a nostra volta, rispettando la legge, vieppiù se questa legge è nientemeno che la Carta costituzionale, il principio normativo fondamentale sul quale si regge la sorte del popolo italiano?
Dire «sì», dire che si autorizza l'utilizzo di queste intercettazioni significa violare quel principio, significa andare contro la legge, significa dimenticarsi, una volta per tutte, che la Carta costituzionale prevede determinate prerogative in termini molto chiari per chi ha l'onore di essere parlamentare.
Il «sì» che viene proposto all'utilizzazione viene giustificato come determinato dal fatto che l'ordinanza del GIP di Milano prevede l'utilizzazione soltanto nei confronti di terzi - Consorte ed altri - ma così non è!
Basta leggere il testo dell'ordinanza per rendersi perfettamente conto che la dottoressa Forleo non ha limitato la richiesta di utilizzazione di queste intercettazioni a un procedimento che riguarda terzi. È stata molto chiara nella sua motivazione: ha detto in termini estremamente precisi che le intercettazioni costituiscono l'elemento di prova indiziario indispensabile non tanto e non solo nei confronti di Consorte e soci, per i quali già esistono, peraltro, altri elementi probatori negativi, quanto piuttosto per gli onorevoli D'Alema, Fassino e Cicu.
Lo ha affermato in termini chiari, invocando l'utilizzazione delle intercettazioni come strumento indispensabile per poter avviare l'azione penale nei loro confronti. Possiamo discutere certamente sul fatto che un GIP si arroghi un diritto che costituzionalmente spetta ad un'altra figura, il pubblico ministero. Giustamente è stato sottolineato anche in Giunta per le autorizzazioni da più di uno che vi è un'invasione nella sfera di competenza stretta del pubblico ministero, ma non è questa la sede per discutere di questo argomento.
Questa è la sede per discutere se le intercettazioni possano o non possano essere utilizzate nei confronti di parlamentari, e nei confronti dei medesimi, fra l'altro, si chiede l'utilizzazione proprio perPag. 14avviare l'azione penale. Nell'ordinanza della dottoressa Forleo non c'è un limite soggettivo all'utilizzazione delle intercettazioni, assolutamente no! Il testo è molto chiaro: si invocano le intercettazioni per avviare l'azione penale nei confronti di parlamentari.
Ed è qui e a questo punto che insorge Forza Italia, che è un partito che ha fatto della libertà e del rispetto delle regole la propria carta vincente. Non si vergogna a dire che si muove in difesa della libertà quale che sia il beneficiario.
Che il beneficiario appartenga a Forza Italia, ad un partito della Casa delle libertà o ad altri partiti a Forza Italia in questo momento non interessa! Forza Italia vuole invocare il rispetto delle regole, soprattutto, delle regole fondamentali di questo Stato: la Carta costituzionale.
Che ne benefici l'onorevole Fassino o l'onorevole D'Alema a noi non interessa! Siamo qui per invocare un diritto costituzionalmente garantito, per far sapere al Paese che a noi non interessa mai chi è il beneficiario: interessa, invece, che le regole siano rispettate.
Dire «sì» all'utilizzo di queste intercettazioni significa andare contro le regole, significa non rispettarle, significa piegarsi una volta di più al messaggio di piazza di coloro che gridano all'untore, secondo la vecchia immagine manzoniana, in un momento peculiare della storia del nostro Paese, significa dare a tutti costoro una soddisfazione di tipo mediatico, ma significa allontanarsi dal paradigma delle regole, che deve essere invece la nostra stella polare.
Questo è il tema giuridico che dobbiamo trattare in questa sede e solo questo! Diverso è il tema politico, ma a noi non compete valutarlo in questo momento e in questa sede. Il tema politico del «facci sognare» che l'onorevole D'Alema ha così chiaramente espresso è diverso. Non è questa la sede per valutarlo!
L'onorevole D'Alema risponderà ai suoi elettori dopo aver per anni, per decenni affermato che era lontano dalla valutazione dei poteri forti, che non gli interessava il predominio dell'una o dell'altra istituzione bancaria. Tutto questo esula dalle considerazioni che dobbiamo fare in questa sede.
In questa sede abbiamo un compito: decidere in termini giuridici se le regole vanno rispettate o non vanno rispettate. E non riguardano, queste regole, soltanto l'onorevole Fassino o l'onorevole D'Alema o l'onorevole Cicu, che accidentalmente viene inserito nel gruppo a seguito di una telefonata totalmente ridicola, priva di qualsiasi significato, come chiunque, leggendola, è in grado di valutare: è in ballo il ruolo del parlamentare, quale esso sia, è in ballo una prerogativa che noi non abbiamo inventato, che noi non abbiamo voluto e non abbiamo costruito, ma che affonda le sue radici nella storia costituzionale di questa Repubblica. Ed è per questo che Forza Italia grida forte la sua volontà di rimanere fedele al rispetto delle regole.
Sull'aspetto politico deciderà il cittadino quando sarà il momento. Sarà l'onorevole D'Alema ad andare sulle piazze a spiegare perché ha detto al suo interlocutore telefonico: «facci sognare», perché ha sperato di raggiungere un potere forte contro il quale si è sempre battuto quando era di fronte ai propri elettori. Ma questa non è la sede per fare quel tipo di valutazione: questa è la sede solo per decidere se le regole vanno rispettate o non vanno rispettate, quale ne sia l'interlocutore beneficiario.
L'interlocutore beneficiario può essere chiunque, può essere ciascuno di noi, nei confronti del quale le regole sono state in questo caso violate. L'ordinanza della dottoressa Forleo che chiede il diritto di poter utilizzare le intercettazioni abusivamente poste in essere, abusivamente raccolte nei confronti del parlamentare, non può essere accolta con un «sì»; dal punto di vista giuridico la risposta può essere una e una soltanto, il «no» e il «no» di Forza Italia è un omaggio al rispetto dei principi della libertà, al rispetto dei principi della democrazia, al rispetto dei principi della nostra Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, UDC (Unione deiPag. 15Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Lega Nord Padania - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Daniele Farina. Ne ha facoltà.
DANIELE FARINA. Signor Presidente, i colleghi sanno meglio di me che la questione delle prerogative e delle immunità parlamentari è antica, e oscilla costantemente tra il rischio dell'ingiustificato privilegio e le fondamentali esigenze di autonomia dei Parlamenti dagli Esecutivi come dalle pressioni esterne, comprese tra queste anche quelle di altri poteri dello Stato. Con la riforma per legge costituzionale n. 3 del 1993 l'istituto dell'immunità è stato ridimensionato e collegato strettamente all'esercizio della funzione di parlamentare e con ciò una più ampia irresponsabilità politica e giuridica collegata più stringentemente al mandato parlamentare e al suo tempo di esercizio.
Ecco perché ritengo corretta nello spirito, oltre che nella lettera, l'interpretazione data dalla Giunta dell'articolo 6 comma 2 della legge n. 140 del 2003, e la conseguente decisione a maggioranza di dichiararsi incompetente relativamente alla richiesta di utilizzo delle intercettazioni avanzata per il collega oggi, ma non allora, D'Alema, e di concederla invece per i deputati Fassino e Cicu, come peraltro - va detto - da loro auspicato.
Suona dunque, almeno per me, strano che il gruppo dell'Italia dei Valori si opponga alla dichiarazione di incompetenza e alla restituzione degli atti per il caso D'Alema, non accorgendosi di lavorare a ritroso nel tempo rispetto a quella riforma del 1993 verso un concetto di immunità, che suonerebbe oggi come intollerabile ripristino di un vero e proprio privilegio. Perché sia chiaro: dichiararsi competenti laddove palesemente non lo si è rappresenterebbe, rispetto a sentimenti diffusi nel Paese, giusti o sbagliati che essi siano, un segno di arroganza insostenibile.
Mi permetto di rivolgermi direttamente a lei, collega Palomba: le ricordo sempre garbatamente che la questione dell'infallibilità riguarda al più il Papa quando parla a divinis, non certo la magistratura. E che dunque la Camera dei Deputati ha tutto il diritto di utilizzare gli strumenti che la legge mette a sua disposizione.
Alcuni colleghi hanno argomentato il diritto, anzi il dovere della politica di occuparsi del fatto economico: e ci mancherebbe che così non fosse! Pure, non posso non rilevare che sul confine di questa relazione, soprattutto in tempi di una globalizzazione economica e finanziaria, ovvero sul limite della relazione tra politica e mercato, vi è lo spazio per il riapparire di quella che un tempo si sarebbe chiamata questione morale.
È un problema dei partiti di massa, non di chi usa preordinatamente la cosa pubblica e le istituzioni a vantaggio di questo o quell'interesse economico: è un problema delle forze democratiche (in altre circostanze si chiama infatti, tutt'al più, conflitto di interessi).
Vi è una domanda abbastanza comune che viene rivolta al medico: quante volte si può sacrificare a Venere, prima che la salute ne risenta? Allo stesso modo quanto disinvoltamente si può operare sul confine tra politica ed economia, prima che l'intreccio diventi vizioso e non virtuoso? Non è questo il caso probabilmente - ossia i casi dei colleghi che siamo esaminando -, però esso pone un interrogativo ed una riflessione che credo sia opportuno consegnare a tutti noi.
Per rimanere sul punto, non penso sia stata nel suo complesso una bellissima vicenda: magistrati fuori dai cardini del proprio ruolo, imputati smemorati, difensori sorprendenti e, in mezzo, un fiume di dichiarazioni, un'enciclopedia di interpretazioni giuridiche, la creazione di una nuova professionalità del giornalismo parlamentare specializzata nei lavori della Giunta.
Rimango convinto che, se vi fosse stata collaborazione leale tra i molti attori di questa vicenda, si sarebbe potuto decidere prima, evitando una dilatazione che ha consentito di dire tutto ed il contrario di tutto (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Ulizia. Ne ha facoltà.
LUCIANO D'ULIZIA. Signor Presidente, colleghi, il mio intervento sarà strozzato dai tempi del dibattito: chiedo quindi scusa, ma avrò appena due o tre minuti.
Signor Presidente, non possiamo estraniarci dal contesto che ci riguarda. Vedo che si formulano sofisticazioni sull'interpretazione della legge n. 140 del 2003. Nel caso al nostro esame, sappiamo tutti - perché le cronache ce lo hanno detto - come vengono interpretati i fatti: le cooperative volevano comprare una banca ed i politici di sinistra le hanno aiutate.
Si tratta, quindi, di un'accusa che noi - e la cooperazione - rimandiamo al mittente: le cooperative non sapevano nulla di tutto ciò; il movimento cooperativo non è stato coinvolto in tutto ciò; è stato coinvolto un certo Consorte, un personaggio, alla luce dei fatti, di dubbia moralità finanziaria, che ha compromesso la trasparenza della cooperazione.
Si dice che la cooperazione è «rossa» e si operano distinguo, ma alla fine si tende a colpire il movimento cooperativo italiano: noi rimandiamo al mittente tali accuse. Credo che i deputati e i politici che ci hanno dato una mano - o che pensavano di darci una mano e di aiutare il movimento cooperativo - lo hanno fatto in termini ideali. Signor Presidente, come dice anche il Santo Padre, non vi è un'unica via che porta al benessere delle persone, non esiste solo il neocapitalismo, ma vi è anche un'altra via, quella dell'economia sociale.
Quegli uomini politici, forse, sono rimasti invischiati in questa vicenda perché credono nell'altra via, quella della mutualità, della solidarietà, della partecipazione, della democrazia dell'uomo.
Quindi, noi dobbiamo essere una carta aperta, un libro aperto e trasparente: perché sostenere che non si può indagare su questi nostri colleghi? Non abbiamo niente da nascondere!
LUCA VOLONTÈ. Bravo!
LUCIANO D'ULIZIA. Lo abbiamo fatto per una fede politica, perché crediamo in una via diversa dal neocapitalismo che opprime e sopprime l'uomo, e per un grande ideale politico.
Non vogliamo essere messi sotto accusa per qualche cosa che non abbiamo fatto. I giudici indaghino e vedano! La nostra fede nel movimento cooperativo e nella solidarietà con l'uomo rimane intatta.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Paola Frassinetti. Ne ha facoltà.
PAOLA FRASSINETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'intervenire su un argomento così delicato voglio innanzitutto ringraziare il presidente Giovanardi e tutti i colleghi della Giunta per le autorizzazioni a procedere, che si sono cimentati in questi mesi nel difficile compito di cercare di dirimere tali argomentazioni, che hanno avuto un grande clamore e una grande attenzione nell'opinione pubblica.
Alleanza Nazionale, dall'inizio della discussione nella Giunta per le autorizzazioni, ha assunto una posizione chiara e decisa a favore dell'utilizzazione delle intercettazioni telefoniche. In seguito abbiamo visto come, con il passare del tempo, vi sono stati eventi nuovi, tra cui il fatto che l'onorevole D'Alema non fosse al momento deputato della Repubblica ma europarlamentare, sui quali tornerò nel prosieguo del mio intervento.
Inizio il mio discorso dichiarando l'adesione alla relazione dell'onorevole Pepe in merito all'onorevole Fassino e motivando, quindi, il voto favorevole di Alleanza Nazionale all'utilizzo delle intercettazioni. Le argomentazioni che ci hanno portato a tale decisione sono state complesse, ma sostanzialmente si estrinsecano in un fatto: l'utilizzazione delle intercettazioni, a nostro avviso, non lede la tutela della riservatezza dei parlamentari, in quanto tale lesione è già avvenuta all'inizio di questa vicenda, quando sulla stampa, sui mezzi di informazioni e su Internet, per giorni e giorni, in continuazione, le frasi intercettate sono state rese palesi a tuttaPag. 17l'opinione pubblica. Quindi, è venuto meno il diritto alla riservatezza, nei fatti e concretamente.
Riteniamo che vi sia invece un altro diritto, che a nostro avviso in questa sede debba essere garantito, ossia la tutela della giustizia. A tal proposito non aderisco ad alcune prese di posizione, senza volere entrare nel merito, sulla legittimità dell'ordinanza del GIP Forleo, in quanto questo non è nostro compito, a mio avviso, in qualità di componenti della Giunta. Nostro dovere è, invece, sottolineare ancora una volta che il giudice ha chiesto l'utilizzo di queste intercettazioni proprio in quanto significative, dirimenti, ai fini della risoluzione dell'indagine relativa a Consorte, in merito alla condotta da lui tenuta nel periodo maggio-giugno del 2005.
Quindi, riteniamo che il diniego all'utilizzazione delle intercettazioni telefoniche avrebbe giovato solo a Consorte e non certo all'onorevole Fassino, che peraltro già all'inizio di tale vicenda aveva espresso il desiderio che fosse dato un parere positivo all'utilizzo delle intercettazioni telefoniche.
La posizione dell'onorevole Cicu, che devo ringraziare per il coraggio e la volontà di trasparenza con cui ha affrontato la vicenda anche in Giunta, ci induce a manifestare un voto d'astensione perché egli ha chiesto espressamente che venisse autorizzata l'utilizzazione delle intercettazioni. Il nostro voto, diverso nella fattispecie, non ha, come è evidente a tutti, ragioni politiche. Infatti, analizzando la telefonata contestata all'onorevole Cicu, dobbiamo ammettere che la conversazione intercorsa con Ricucci è ininfluente e tale circostanza ci ha indotto a prendere questa decisione. Riteniamo che sia veramente irrilevante questo colloquio, anche se non è nostro compito entrare nel merito della vicenda.
Voglio anche soffermarmi - apro una parentesi aderendo alla richiesta dell'onorevole Consolo - sul fatto che oggi mi sembra alquanto strana l'assenza del Governo, in una discussione così importante che coinvolge anche un membro dello stesso Esecutivo. Come ho accennato, l'onorevole Consolo ha già stigmatizzato la situazione.
Per quanto riguarda l'onorevole D'Alema sono da svolgere, a mio avviso - e sarei pronta a farlo - le argomentazioni che all'inizio dell'intervento ho effettuato in merito all'onorevole Fassino.
Il problema della competenza, però, ci ha indotto ad un voto di astensione per i dubbi interpretativi, che la legge lascia proprio sul fatto procedurale e pregiudiziale della competenza, ma non nel merito perché esistono dei precedenti - nel caso, per esempio, dell'onorevole Bossi, che è stato analizzato dal Parlamento europeo pur non essendo all'epoca europarlamentare - quindi avremmo avuto anche la possibilità di avere esempi analogici, ma - lo ripeto - l'interpretazione della norma, in questo caso, ci fa propendere per l'astensione.
Avremmo preferito che fosse stata espressa proprio da parte dell'onorevole D'Alema una richiesta per far sì che le sue intercettazioni telefoniche venissero usate come quelle di Fassino.
Vedete, la decisione di Alleanza Nazionale di dire «sì» - ed entro nel merito dell'argomentazione attinente al merito: il voto favorevole all'utilizzo delle intercettazioni di Fassino - non deve sembrare, come si diceva prima, un piegarsi agli umori della piazza in questo momento. Ciò è lungi da noi; anzi, crediamo che la serietà con la quale la Giunta ha affrontato tali argomenti ci metta al riparo da simili critiche.
Inoltre, non vogliamo dare l'impressione che la nostra decisione si perpetuerà nel tempo in altri casi che avremo l'opportunità di esaminare. Alleanza Nazionale deciderà, di volta in volta, a seconda delle fattispecie che dovrà esaminare quindi non si tratta sicuramente di una posizione ideologica e preconcetta a favore della magistratura o della piazza che chiede determinate risposte, ma di una decisione presa con grande senso di responsabilità - lo ribadisco - avendo compiuto analisi anche inerenti alle prerogative parlamentari.Pag. 18
Con questa decisione siamo convinti di aver ottenuto un duplice risultato: non ledere, nella fattispecie, il diritto alla riservatezza dei parlamentari e, allo stesso tempo, aver tutelato gli interessi superiori della giustizia, che in questo momento, per quel che riguarda la vicenda e le modalità con le quali si è manifestata e con l'attenzione che ha avuto l'opinione pubblica, sono per noi sicuramente più importanti (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, colleghi della Giunta, colleghi deputati, i Verdi vogliono esprimere condivisione del lavoro che la Giunta ha svolto nel corso di questi mesi. Il collega Fundarò annuncerà il nostro voto favorevole.
Vorrei utilizzare i pochi minuti che ho a disposizione, signor Presidente, non per ripetere quanto altri colleghi hanno già detto (che in gran parte condivido), ma per ricostruire brevemente l'iter della legge n. 140 del 2003 di attuazione dell'articolo 68 della Costituzione e nello specifico dell'articolo 6 di questa norma, sul quale stiamo intervenendo in applicazione alle vicende che riguardano i tre deputati considerati.
Si tratta di una legge che ha avuto una storia lunga e complessa e che molti commentatori dimostrano, purtroppo, di non conoscere minimamente. Dopo la revisione costituzionale dell'articolo 68 della Costituzione, che avvenne nel 1993 nel clima di Tangentopoli, vennero approvati, da quel momento in poi ben sedici decreti-legge di attuazione del nuovo articolo 68 (dai Governi Ciampi, Berlusconi, Dini e Prodi).
Nella XIII legislatura, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1996 contro la reiterazione dei decreti-legge, presentai come proposta di legge a mia prima firma - ma firmata da molti colleghi del centrosinistra di allora - il testo dell'ultimo decreto-legge a firma Prodi (Presidente del Consiglio) e Flick (Ministro della giustizia e oggi giudice della Corte Costituzionale). I relatori furono l'onorevole Tonino Soda dei DS per la I Commissione e l'onorevole Enzo Siniscalchi, anch'egli dei DS, per la Commissione giustizia.
Il Senato, tuttavia, insabbiò la proposta di legge approvata dalla Camera, che quindi non completò il suo iter, come del resto avvenne in quella legislatura (la XIII) anche per la proposta di legge sul conflitto di interessi, di cui si parla ancora, approvata a suo tempo dalla Camera e bloccata dal Senato.
All'inizio della scorsa legislatura (la XIV) ripresentai subito la mia proposta di legge di attuazione costituzionale dell'articolo 68 nel testo approvato dalla Camera sotto la guida dei relatori Soda e Siniscalchi.
Vorrei ricordare che il testo da me presentato, di cui nella scorsa legislatura fui anche relatore per la Commissione affari costituzionali e che fu poi approvato da quest'Assemblea, non conteneva in questo ramo del Parlamento il cosiddetto lodo Maccanico, poi ripreso come lodo Schifani, il quale fu inserito invece come primo articolo durante l'iter legislativo al Senato. Vorrei anche ricordare che nel corso dell'esame del provvedimento in questa Camera, da parte - ahimè - dei Democratici di Sinistra di allora (e anche di qualche esponente della Margherita) ci fu una forte opposizione all'allora articolo 5, oggi articolo 6, sulle intercettazioni indirette di un parlamentare. Oggi molti colleghi dell'Ulivo (appartenenti ai Democratici di Sinistra e alla Margherita) ritengono che le prescrizioni dettate dall'articolo 6 dovrebbero essere più stringenti. Concordo anch'io sul punto, ma nella scorsa legislatura la posizione era stata opposta e i colleghi delle ricordate formazioni politiche avrebbero voluto sopprimere la disposizione citata. Eppure l'articolo 68 della Costituzione, come riformato nel 1993, tratta di divieto di intercettazioni se non autorizzate - lo ripeto - in qualsiasi forma: questo è il fondamento costituzionale di una garanzia, che altrimenti avrebbe potuto essere facilmente aggirata da qualche malintenzionato. Aggiungo che, quando laPag. 19proposta di legge che porta il mio nome tornò dal Senato con l'inserimento nell'articolo 1 del cosiddetto lodo Schifani, dichiarai in quest'aula che ritenevo tale norma incostituzionale, conseguentemente mi dimisi da relatore per protesta e votai contro quell'articolo 1, che poi effettivamente la Corte costituzionale dichiarò incostituzionale con una propria sentenza di poco successiva.
Ho voluto, signor Presidente, onorevoli colleghi, ricostruire la lunga storia parlamentare della legge n. 140 del 2003, la cui proposta porta il mio nome quale primo firmatario, perché in tal modo emerge chiaramente quanto risibili siano non tanto le critiche (sempre legittime), quanto gli insulti che mi ha rivolto qualche giornalista un po' paranoico nel suo inveterato giustizialismo e qualche presunto luminare del diritto processual-penalistico; il quale ultimo ha sostituito l'invettiva all'analisi critica, che dovrebbe essere propria di un docente universitario.
Nel condividere la relazione della Giunta, condivido anche i contenuti della pagina 5, prima colonna, in cui si esprimono forti rilievi critici riguardo non alla condivisibile richiesta del GIP di Milano, ma alle motivazioni assolutamente anomale e improprie con cui tale richiesta si conclude (sulle quali è tornato anche il collega Buemi e, per altri aspetti, mi pare anche il collega Paniz). È vero che la vicenda delle intercettazioni, di cui discutiamo, dal punto di vista politico e - se volete - anche da quello culturale non è certo entusiasmante. Ciò, tuttavia, non giustifica da parte di alcuno la violazione della legge e della Costituzione, in primo luogo da parte della magistratura, quando si ha a che fare con un giudice delle indagini preliminari e non con un pubblico ministero, essendo quest'ultimo il titolare esclusivo dell'esercizio dell'azione penale. Comunque, signor Presidente, onorevoli colleghi, noi voteremo a favore della proposta della Giunta, anche in uno spirito di leale cooperazione fra gli organi dello Stato, pure quando tale cooperazione non sempre è stata leale da parte di altri (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cicu. Ne ha facoltà.
SALVATORE CICU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei spostare la riflessione che riguarda la procedura e il merito di questa vicenda ed estrapolarla dal contesto in cui ci troviamo, quello istituzionale e politico. Vorrei raccontarvi molto brevemente come ho vissuto questa vicenda, trovandomi davanti ad un televisore e alla notizia riportata da tutti i telegiornali del Paese: «D'Alema, Fassino e Cicu complici di un medesimo disegno criminoso di ampia portata, che danneggia migliaia di piccoli e medi imprenditori e azionisti italiani». Sinceramente, mi sono sentito colpito da tale comunicazione e ho cercato immediatamente di capire cosa ci facessi in questo tipo di complicità. Sono andato nel mio studio professionale subito dopo che l'ordinanza del GIP Valentina Forleo era stata sottoscritta e depositata in una cancelleria di tribunale.
L'agenzia di stampa ANSA.it dopo poche ore già dava la possibilità di verificare e di conoscere esattamente il contenuto dell'ordinanza e logicamente io che faccio anche il leguleio di provincia ho cercato di capire dove fossero le mie intercettazioni.
Colleghi, invito tutti ad aprire il fascicolo che ci riguarda a pagina 59 per verificare le affermazioni del GIP Forleo con riferimento all'intercettazione e alla posizione del deputato Cicu, che personalmente ho potuto rintracciare con estrema difficoltà. Si tratta di tre righe che fanno riferimento all'8 luglio 2005, che non riportano la trascrizione integrale di una telefonata, ma individuano in una conversazione la dicitura che Cicu comunica a Ricucci che in serata sarebbero arrivati da lui Comincioli e Fiorani. Preciso che in quella data conoscevo solo Comincioli, in quanto senatore di Forza Italia; che non ho mai conosciuto Fiorani. L'8 luglio era la data precedente al matrimonio di Ricucci, che si sposava appunto il 9 luglio; ero tra gli invitati a quel matrimonio e non ero io che chiamavo Ricucci, ma quest'ultimo che chiamava me per chiedermi come stavo e se ci saremmo visti,Pag. 20per dirmi che all'indomani mi aspettava al suo matrimonio e comunicarmi che aveva sentito Comincioli, il quale sarebbe arrivato insieme a Fiorani al suo matrimonio. Sono stato inserito come complice di un medesimo disegno criminoso sulla base di tale intercettazione.
Passo ora al merito della questione e alla rilevanza giuridica di questa telefonata, con riferimento ai profili che mi riguardano. Per quanto riguarda il merito: nemmeno il GIP Forleo nella sua ordinanza si riferisce a Cicu come ad un complice di un medesimo disegno criminoso, perché fa riferimento solo ed esclusivamente alla questione Unipol. Colleghi componenti la Giunta per le autorizzazioni, ho colto che non è stata operata alcuna distinzione sotto tale aspetto e non ne comprendo la ragione, perché la differenza tra la mia posizione e quella degli altri colleghi andava rappresentata all'Assemblea; invece, vi siete trincerati solo ed esclusivamente dietro al fatto che ho svolto un'accorata richiesta di rilascio dell'autorizzazione. Certo! L'ho dovuto fare per difendermi, perché nel nostro Paese i processi non sono celebrati dai giudici e la difesa non viene svolta dal Parlamento; i processi sono celebrati dai mass media! È ciò che accade quando vieni sbattuto in prima pagina per mesi o per anni interi, come complice di un medesimo disegno criminoso, senza che la mia dichiarazione - così come afferma la Giunta e, se leggete tale dichiarazione, lo comprenderete, colleghi - abbia alcuna rilevanza, in quanto è estranea alla questione di cui trattasi.
Quando ci si riferisce all'ordinanza emessa dal GIP Forleo si rileva che vengo ad essere inserito nella vicenda come un supporter; il GIP mi considera come uno che, poiché ricopriva il ruolo di sottosegretario di Stato per la difesa e sicuramente aveva a che fare con i banchieri (non con i generali e i soldati!), si occupava di scalate bancarie e finanziarie! Il GIP Forleo ritiene che solo per questo aspetto avrei partecipato a certi collegamenti, rapporti e sostegni, ma di tutto ciò nell'intero faldone che riguarda Antonveneta, Unipol e RCS non esistono alcuna riferibilità, alcun collegamento e alcuna situazione. Allora è chiaro il motivo per cui ho chiesto e continuo a chiedere trasparenza e chiarezza: la politica di questo Paese è debole! Non lamentiamoci se poi esistono i Grillo e se si è determinata una situazione nel Paese, che ci vede incapaci di assumere il ruolo proprio della politica, per cui mentre in questa Camera «congeliamo» le indennità, al Senato invece le concediamo e in questo ramo del Parlamento parliamo dei costi delle barberie oppure emendiamo il discorso della ristorazione. È chiaro poi che il Paese reagisce e pensa che non vi è alcuna differenza, ma la differenza esiste! Se considerate le intercettazioni che riguardano D'Alema, Fassino e La Torre constaterete che sono decine, decine e decine.
Non voglio entrare nel merito della questione, ma in quelle decine di intercettazioni si parla di gestione, di meccanismi, di rapporti e di sostegno. Certamente non sta a me giudicare se le intercettazioni fossero legittime o non, lecite o non, tuttavia hanno una rilevanza ben diversa da quella relativa al mio caso. Quindi, pongo un quesito all'Assemblea, al di là della mia richiesta di rilascio, in quanto ho già pubblicato la mia intercettazione, infatti l'ho consegnata ai giornali il giorno dopo che è uscita la notizia. Tuttavia, mi chiedo se il ruolo del Parlamento e della Giunta per le autorizzazioni sia quello di essere accondiscendenti rispetto all'accorata richiesta di un collega, che per trasparenza e chiarezza domanda che venga concessa l'autorizzazione, oppure sia quello di rilevare le differenze e di affermare - se la Giunta per le autorizzazione e il Parlamento hanno un compito e un ruolo - una rilevanza in ordine a tale posizione, essendo poi il giudice a stabilire in quale misura vi sia rilevanza, oppure ancora ritenere, così com'è stato scritto, che non vi sia alcuna rilevanza e che la richiesta sia estranea del tutto alla vicenda di cui si parla.
Quindi, il quesito è se in questi casi, al di là della accorata richiesta che ancora faccio di concedere l'autorizzazione, il compito del Parlamento sia di concederla.Pag. 21Ciò significa, colleghi, che a fronte di qualsiasi telefonata che verrà inserita in qualsiasi contesto giudiziario - e si tratta di fumus persecutionis, in quanto l'istituto nasce con questo tipo di presupposto - qualsiasi magistrato potrà richiedere al Parlamento l'autorizzazione, essendo sufficiente ascoltare un amico che ti invita ad un matrimonio (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia e di deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Lega Nord Padania - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tenaglia. Ne ha facoltà.
LANFRANCO TENAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono d'accordo con i colleghi della Giunta per le autorizzazioni, che mi hanno preceduto e che hanno evidenziato il rilievo mediatico, le influenze e il clima esterno, che la vicenda in esame ha visto accompagnare i lavori della Giunta. Sono d'accordo, inoltre, nell'evidenziare che nessuna delle ricostruzioni strumentali realizzate all'esterno della Giunta si è riflessa sui lavori di quest'ultima. La Giunta per le autorizzazioni, infatti, ha lavorato in maniera ordinata e celere, anche a fronte di una questione molto complessa, che per la prima volta vedeva il Parlamento impegnato su tali temi.
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia.
LANFRANCO TENAGLIA. L'esclusiva finalità è stata giungere ad una decisione credibile, chiara e rispettosa della lettera, della ratio della legge e degli ambiti di intervento della Giunta stessa e dell'autorità giudiziaria. Abbiamo lavorato svincolati da qualsiasi logica di appartenenza e avendo come unico strumento il metodo della chiarezza, del rigore, del rispetto, della leale collaborazione e aggiungo - anche da parte del gruppo dell'Ulivo, ma non solo - della coerenza rispetto alle decisioni prese dalla Giunta in precedenti casi, non confermate dall'Assemblea, ma su cui il gruppo dell'Ulivo si è comportato con coerenza, ad esempio sul caso Ranieli.
Ricordavo il metodo della chiarezza nel fissare i confini e i rapporti istituzionali definiti il più possibile nel difficile equilibrio tra le esigenze di tutela delle prerogative parlamentari, intese non come privilegi soggettivi, ma quali presidio alla libera esplicazione del mandato elettivo e funzionale - dell'autonomia, quindi, del Parlamento stesso - e la necessità che l'esercizio della giurisdizione non trovi ostacoli, se non quelli espressamente previsti dalle norme costituzionali o processuali. Inoltre, il metodo seguito è stato quello del rigore interpretativo, esercitato esclusivamente sulla base delle regole istituzionali, degli orientamenti giurisprudenziali e dei precedenti dell'organo parlamentare. Infine, abbiamo avuto come riferimento il rispetto delle regole, ma anche dei diritti, poiché in questa vicenda i deputati coinvolti, non solo in quanto tali, ma prima ancora quali semplici cittadini, hanno visto gravemente lesi il loro diritto di difesa, essendo stati oggetto, in un provvedimento giudiziario pubblico, di ipotesi accusatorie e di apprezzamenti di colpevolezza, pur non essendo sottoposti ad indagine da parte del pubblico ministero e sebbene al di fuori di qualsiasi forma di contraddittorio.
Abbiamo avuto come riferimento anche il diritto alla riservatezza, perché le loro conversazioni, anche quando irrilevanti, sono state rese pubbliche da anni (e non da mesi), quando erano ancora coperte dal segreto investigativo e la cerchia dei soggetti responsabili del rispetto della segretezza era ristretta e confinata agli organi incaricati delle indagini, non essendo ancora caduto né il segreto rispetto alle parti processuali, né tantomeno quello esterno al processo. Attendiamo pertanto con fiducia, come abbiamo sempre fatto, l'opera necessaria della magistratura diretta ad accertare i responsabili di tali gravissime violazioni.
Abbiamo seguito il metodo della leale collaborazione, che comporta che, quando due organi distinti concorrono con poteri diversi all'esercizio di una funzione pubblicaPag. 22di rilievo costituzionale, sono tenuti a comportarsi secondo i principi della correttezza nei loro rapporti reciproci e nel rispetto sostanziale dell'altrui autonomo ruolo: abbiamo perciò preteso, nella motivazione, di rivendicare il nostro ruolo, ma anche la necessità che esso sia rispettato da chi esercita il proprio autonomo ruolo solo nei limiti di legge. Tali principi hanno imposto alla Giunta, da una parte, di dare risposta alle richieste del GIP Forleo di utilizzazione delle intercettazioni (ai sensi dell'articolo 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003) nei confronti di soggetti non parlamentari, ai quali soltanto peraltro - lo evidenzio - è riferita l'iniziativa e la richiesta del pubblico ministero; dall'altra, di prendere le distanze ed evidenziare altri contenuti della motivazione, nella parte in cui (al di fuori del principio di continenza motivazionale, secondo il quale il giudice ha l'obbligo di non inserire nei propri provvedimenti fatti non rilevanti ai fini dei provvedimenti stessi e lesivi dei diritti dei terzi, a prescindere dalla verità o no dei fatti stessi) estendono ai parlamentari ipotesi di responsabilità che non competeva al GIP formulare e laddove, ipotizzando l'utilizzabilità ai fini della procedibilità penale delle citate intercettazioni anche a carico dei parlamentari, ledono il corretto svolgimento dell'autonomo ruolo attribuito al Parlamento dalla legge. Seguendo, infatti, le argomentazioni e l'impostazione del GIP, non sarebbe tanto riesumato surrettiziamente l'istituto dell'autorizzazione a procedere - ormai abrogato dal 1993 - quanto, piuttosto, attribuito al Parlamento l'abnorme potere di sostituirsi al pubblico ministero nella fase di avvio dell'accusa.
Evidenzio altresì che per questa via il GIP, andando al di là dell'impostazione accusatoria finora seguita dal pubblico ministero nelle sue istanze (nel senso di non richiedere l'utilizzabilità delle conversazioni intercettate a carico dei suddetti parlamentari, anche in rapporto alla stessa struttura del reato addebitato a Consorte), si è arrogato un compito, che non appartiene alle sue funzioni che è tipico, invece, del pubblico ministero quale organo accusatore. Al GIP non compete, per contro, alcuna funzione d'accusa, ma soltanto l'obbligo di trasmettere al PM, se del caso, le notizie di reato di cui sia venuto a conoscenza. Queste parole non sono mie, ma rappresentano il sunto di un intervento del professor Grevi sul Corriere della sera: lo cito in quanto esso fotografa efficacemente la situazione e i principi che alla stessa possono applicarsi, sulla base di numerose sentenze della Corte di cassazione anche a sezioni unite. Non sono fra coloro i quali si appassionano a profili di rilevanza ulteriore, oltre quello della sede processuale propria delle circostanze appena evidenziate. In ciò concordo con l'onorevole Palomba, che nel suo intervento in Giunta ha evidenziato come esse non debbano riguardare la Giunta o il Parlamento, piuttosto altre istituzioni, che peraltro da tempo risultano informate dei fatti.
Per quanto riguarda il tema della competenza della Camera a pronunciarsi sull'onorevole D'Alema concordo pienamente sul contenuto della relazione, sulla decisione di incompetenza di questa Camera e sulla restituzione degli atti all'autorità giudiziaria richiedente.
Certamente ciò è frutto di una lettura coerente e costituzionalmente orientata dell'articolo 6 della legge n. 140 del 2003, perché la procedura ivi prevista si applica solo alle intercettazioni effettuate in costanza di mandato parlamentare, essendo irrilevante che la carica sia ricoperta in periodo successivo e che non possa in alcun modo ipotizzarsi la ricorrenza di fori alternativi. Si tratta di una normativa di stretta interpretazione, come la Corte Costituzionale ha più volte affermato, e qualsiasi altra interpretazione, come quella che autorevoli commentatori hanno evidenziato che va nel senso di un allargamento di tale prerogativa sarebbe, a mio avviso, gravemente incostituzionale. Ciò, infatti, porterebbe ad estendere la prerogativa a soggetti che, nel momento in cui erano intercettati, non rivestivano la carica parlamentare. Mi chiedo quale sarebbe stata la posizione dei succitati autorevoli commentatori se il ParlamentoPag. 23avesse seguito ciò che essi hanno sostenuto: in quel caso sì, che avrebbero dovuto stigmatizzare un privilegio e gridare la loro indignazione, mentre ora che ci accingiamo ad adottare una decisione giuridicamente e istituzionalmente corretta, che non estende privilegi ma fissa in maniera ristretta prerogative funzionali, è bene che riconoscano il loro errore.
Non avrei voluto affrontare anche un'ulteriore questione, ma siccome alcuni colleghi che mi hanno preceduto hanno introdotto l'argomento conseguente all'individuazione della nostra incompetenza e all'interpretazione dell'estensione del concetto di immunità, prevista dall'articolo 10, comma 1, lettera a) del Protocollo sulle immunità della Comunità europea, credo che bisogna dare atto che tale articolo contiene un rinvio alle normative nazionali.
Ripensando alla genesi dell'istituto - ricordiamo che il Parlamento europeo era in origine formato da parlamentari italiani - quel richiamo era inteso riguardo alla funzione; anche oggi tale richiamo deve essere inteso alla prerogativa e non alla funzione ricoperta personalmente. Pertanto, credo che, anche in questo caso, le prerogative che lo Stato nazionale garantisce al parlamentare nazionale debbano essere riconosciute a quello europeo italiano. Ritengo che questa sia l'interpretazione corretta. Credo che tale compito spetterà al Parlamento europeo, se e quando sarà investito della questione da parte dell'autorità giudiziaria alla quale, correttamente, sono stati rimessi gli atti, essendo titolare del potere di richiesta.
Desidero anche aggiungere qualche considerazione sulla parte di motivazione che fa riferimento all'utilizzo delle intercettazioni nei confronti dei deputati Fassino e Cicu. La richiamo perché credo che sia importante evidenziare che la legge, il suo contenuto e l'interpretazione che il Parlamento ha sempre dato di essa fa giungere a quelle conclusioni e non ad altre ricostruzioni, che sono pure circolate. Infatti, l'articolo 6 della legge n. 140 del 2003 e l'articolo 268 del codice di procedura penale costituiscono un sistema chiuso e compiuto, che si regge insieme. Il procedimento di cui all'articolo 6 della legge n. 140 del 2003 può essere avviato solo in quanto siano rispettati i principi e i diritti previsti e garantiti dall'articolo 268 del codice di procedura penale: con riferimento ai soggetti che hanno partecipato a quel determinato procedimento e ivi hanno potuto esercitare il loro diritto di difesa e di contraddittorio non vi è alcuna limitazione all'utilizzo. Questa - lo ricordo - è la conseguenza che la legge prevede.
È stata questa la decisione che la Camera ha costantemente assunto in tutti i casi precedenti; in particolare, richiamo il precedente Ranieli. Conseguentemente, spero che l'Assemblea deliberi nel senso di concedere l'autorizzazione.
Ho ascoltato le considerazioni di carattere politico svolte dai colleghi sui rapporti tra politica ed economia e sul concetto di conflitti di interesse, quando tali rapporti si concretizzino. Considerazioni di questo tipo, contenute nel provvedimento in esame, sono, a mio avviso, inserite surrettiziamente perché, nel caso in questione, non v'è nulla che riguardi i rapporti tra politica ed economia: nel merito, i reati contestati non attengono minimamente a questo aspetto, anzi il reato di aggiotaggio, per stessa ammissione del GIP, è stato integrato e compiuto interamente prima ancora dell'inizio dell'attività di intercettazione, in un periodo precedente a quello in cui le intercettazioni sono state effettuate. Noi siamo disponibili a qualsiasi confronto su questa materia, ma non lo siamo nel caso specifico perché siamo completamente fuori tema.
In conclusione, per noi non si poneva l'alternativa tra concedere o non concedere l'autorizzazione, ma desideravamo che si applicasse rigorosamente la legge; conseguentemente, rivendichiamo il principio della corretta separazione dei poteri.
Noi crediamo di aver fatto tutto ciò adottando una decisione credibile, seria e approfondita, che spero contribuisca a far aumentare la credibilità del Parlamento e a rasserenare i rapporti tra potere politicoPag. 24e potere giudiziario. Di tale necessità nel Paese siamo tutti consapevoli (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mormino. Ne ha facoltà.
NINO MORMINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, chi avesse assistito ai lunghi lavori svolti dalla Giunta per le autorizzazioni si sarebbe reso conto della contraddizione fondamentale che attraversava la discussione stessa e l'atteggiamento tenuto da ciascuno dei componenti della Giunta. Si trattava di decidere sulla base dei principi oppure di lasciarsi guidare da uno spirito di opportunità politica che rispondesse alle traversie e ai continui attacchi che il potere politico sta subendo dall'esterno, da parte dell'opinione pubblica.
Il Parlamento deve avere un sussulto di prestigio che lo porti a riaffermare le proprie prerogative che lo tutelano, almeno per quello che è rimasto dopo il massacro del principio costituzionale, che i padri costituenti avevano inserito nella nostra Carta fondamentale, vale a dire quello della tutela delle prerogative del parlamentare. La valutazione da farsi deve quindi rispondere, piuttosto che a spinte di carattere emotivo e formale, al rispetto dei principi che governano la nostra attività.
Se ci lasciassimo guidare da tale impostazione e da questo indirizzo, le conclusioni alle quali perverremmo non potrebbero che essere quelle assunte dal nostro gruppo, ovverosia una ferma opposizione alla richiesta dell'autorità giudiziaria circa l'utilizzazione delle intercettazioni che hanno interessato alcuni componenti di questo Parlamento. L'utilizzazione di tali intercettazioni deve essere valutata in termini di compatibilità con i valori tutelati dalle nostre norme. Esse riguardano, per un verso, la tutela della riservatezza dei parlamentari e, per l'altro, la facoltà dell'autorità giudiziaria di utilizzarle, in una convergenza di interessi che deve essere virtuosa e non, viceversa, attraversata da abusi, eccessi e sfondamenti dalle prerogative proprie di ciascun organo costituzionale. Il fine è quello della valutazione del valore prevalente da rispettare.
Colleghi, tra l'esigenza dell'affermazione, da me sostenuta, del principio costituzionale della riservatezza dei parlamentari e la necessità che si consenta il pieno sviluppo dell'attività giudiziaria e investigativa nell'ambito della giurisdizione ordinaria, la soluzione da adottarsi deve stabilire la prevalenza dei valori. Tale prevalenza si deve esprimere attraverso un giudizio che non può che essere di merito.
Se la decisione assunta dagli organismi parlamentari non fosse altro - come taluni pretendono di sostenere - che una ratifica di una richiesta avanzata dal giudice, ogni facoltà e compito di intervento dell'istituzione parlamentare si renderebbe vano. Non dovremmo fare altro che prendere atto delle richieste dell'autorità giudiziaria, anche quando esse esorbitassero dai propri poteri e, soprattutto, quando rappresentassero un fumus persecutionis. Nel rispetto del principio della leale collaborazione tra le istituzioni, è fondamentale che l'esercizio dell'attività giurisdizionale non sia ostacolato, ma allo stesso modo non si può tollerare neppure un'aggressione alle prerogative del parlamentare.
In questa vicenda la valutazione del merito della questione ci pone di fronte ad un evidente fumus persecutionis, che colpisce i parlamentari nei confronti dei quali è stata richiesta l'autorizzazione all'uso delle intercettazioni telefoniche. Il riferimento al principio dell'utilità e della funzionalità del dato processuale relativo alle intercettazioni al fine dell'accertamento della responsabilità è, in questo caso, assolutamente inesistente e frutto di un atteggiamento, da parte dell'unico interlocutore di questo Parlamento, il giudice per le indagini preliminari, che denota un evidente fumus persecutionis. Infatti, il GIP del tribunale di Milano non intende perseguire gli attuali indagati e utilizzare le intercettazioni nei loro confronti, ma intende utilizzarle - e lo dice esplicitamente - nei confronti dei parlamentariPag. 25per allargare la platea degli indagati nei due procedimenti che attengono alle scalate bancarie.
Tutto ciò non può che indurci ad assumere un atteggiamento rigoroso e fermo nel denunziare tale situazione, che emerge dall'impostazione stessa della richiesta, che va oltre quella formulata dal pubblico ministero al GIP. È il Parlamento a decidere se concedere o meno l'autorizzazione ai fini dell'utilizzazione delle intercettazioni che riguardano i parlamentari.
Tutto questo non è assolutamente ammissibile. Se si recedesse dalla facoltà e dalla prerogativa del Parlamento di intervenire nella valutazione sostanziale della richiesta, noi ci ritroveremmo, così come frequentemente accade, in balia di un altro dei poteri rispetto al quale non avremmo mai nessuna possibilità di tutela e di difesa.
Appare evidente dalla formulazione delle richieste, che esse non sono assolutamente funzionali all'accertamento.
Non ci occupiamo più della vicenda dell'onorevole D'Alema, rispetto al quale la Giunta per le autorizzazioni ha espresso la propria opinione e il gruppo parlamentare di Forza Italia si è astenuto sulla questione della competenza. Intendo, invece, sottolineare la posizione del collega Cicu, rispetto al quale il fumus persecutionis è assolutamente palese. Infatti nel suo caso viene indicata una sola intercettazione, che secondo la richiesta del giudice per le indagini preliminari di Milano - lo ha sottolineato anche il collega Cicu - dovrebbe servire per estendere la platea degli indagati.
Rispetto alle numerose intercettazioni - come riportato a pagina 61, vale a dire nelle conclusioni della richiesta - che riguardano l'indagato Consorte attengono alla scalata di Unipol, quelle che concernono il collega Cicu, che discute con Ricucci rispetto ad un'altra vicenda (la scalata alla RCS) non sono assolutamente funzionali e non coinvolgono la posizione del collega stesso in questa vicenda. Si manifesta, quindi, al riguardo, un fumus persecutionis evidente. Il collega Cicu ha una sola occasione di interlocuzione con Ricucci per un fatto di carattere esclusivamente personale - ossia, per l'invito al suo matrimonio - e non fornisce alcuna informazione, non si riferisce con alcun argomento al processo che porterà ad una scalata di carattere finanziario. Quest'ultima non è quella dell'Unipol, per la quale il GIP richiede l'autorizzazione all'utilizzazione delle conversazioni nei confronti dei parlamentari. Anche per questo motivo, l'inserimento all'interno di una richiesta complessiva è forzato - non voglio dire che essa sia servita al GIP per pareggiare gli schieramenti dei due campi: tre da una parte e tre dall'altra parte - non avendo chi altri prendere, se non Cicu, interessato da questa unica intercettazione.
Pertanto, se è vero - come ha concluso unanimemente la Giunta - che l'elemento probatorio che fa capo al deputato Cicu non è di alcuna rilevanza nei confronti dell'indagine giudiziaria, non possiamo abdicare al nostro compito di valutazione tecnica, giuridica e secondo i principi, nell'affermare che l'autorizzazione non può, né deve essere concessa neppure assecondando la corretta, onesta, leale e trasparente richiesta del collega Cicu, malgrado le esternazioni assolutamente comprensibili sul piano emotivo, morale e pubblico, che ha voluto presentarci in questa sede.
Non possiamo seguire, né essere vincolati da una richiesta di concessione dell'autorizzazione, perché non esistono né presupposti giuridici, né regole di principio che ci possano consentire di abdicare alla tutela delle nostre prerogative nei confronti di una richiesta assolutamente impropria, formulata dal giudice per le indagini preliminari, il quale vuole collocare il deputato Cicu nell'ambito di una situazione che non lo riguarda e non lo può assolutamente riguardare!
La decisione contraria del Parlamento non costituirebbe una violazione di quel principio della leale collaborazione, perché l'elemento è assolutamente irrilevante - come condiviso da tutti, maggioranza e opposizione - rispetto alla prosecuzionePag. 26dell'indagine giudiziaria che sta conducendo il giudice di Milano. Quest'ultima non ha altro senso che quello di una persecuzione personale nei confronti del deputato, il quale viene messo in mezzo ad una vicenda, alla quale egli non ha in alcun modo partecipato e rispetto alla quale non può, in alcuna maniera essere coinvolto.
Questa è la ragione, signor Presidente, della posizione del gruppo Forza Italia, che voterà contro non solo per quanto riguarda l'autorizzazione nei confronti dell'onorevole Fassino (astenendosi per quanto riguarda la competenza circa la posizione del deputato D'Alema, rispetto alla quale vi sono riserve sulla chiara interpretazione delle norme), ma soprattutto per quanto riguarda la posizione del collega Cicu, il quale ha diritto - come ciascun parlamentare - ad essere tutelato da un'aggressione assolutamente inaccettabile da parte di un altro organo dello Stato (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
Prendo atto che i relatori non intendono replicare.