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Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 15,36).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Rinvio dell'interpellanza urgente Sereni n. 2-00789)
PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Sereni n. 2-00789 è rinviato ad altra seduta.
(Iniziative volte a garantire il rispetto della legalità da parte delle comunità musulmane presenti in Italia con particolare riferimento al principio fondamentale della laicità dello Stato - n. 2-00773)
PRESIDENTE. L'onorevole Bodega ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00773, concernente iniziative volte a garantire il rispetto della legalità da parte delle comunità musulmane presenti in Italia con particolare riferimento al principio fondamentale della laicità dello Stato (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).
LORENZO BODEGA. Signor Presidente, signora sottosegretario, con questa interpellanza urgente intendiamo mettere in evidenza due casi che si sono verificati nel comune di Oggiono in provincia di Lecco e nel comune di Moncalieri in provincia di Torino.
L'interpellanza urgente in esame non vuole essere strumentale e fine a sé stessa, tuttavia consentitemi di svolgere alcune considerazioni di carattere generale. Sappiamo come l'aumento esponenziale del fenomeno dell'immigrazione proveniente dai Paesi di cultura islamica (e non solo da questi) abbia messo a dura prova le politiche di integrazione, facendo emergere problematiche di diversa natura, estremamente complicate e difficili da dirimere.
Sempre più spesso ci troviamo dinanzi a casi emblematici dove è facilmente riscontrabile, da un lato, il rifiuto, da parte delle comunità musulmane presenti in Italia, di rispettare le normative vigenti, di adeguarsi alle regole comportamentali e culturali del nostro Paese, e dall'altro lato,Pag. 42un atteggiamento - non esagero a dire superficiale - delle istituzioni che, a volte, non comprendendone i rischi, adottano soluzioni semplicistiche, mettendo conseguentemente in pericolo, secondo noi, la sicurezza dei cittadini.
Potrei elencarvi numerosi casi, non da ultimo quello del padre che, a Brescia, ha ucciso la figlia Hina, pakistana, perché questa ragazza voleva vivere all'occidentale. Posso citare anche un altro caso accaduto sulle sponde del mio lago - il lago di Lecco - dove si trovavano alcuni sommozzatori che si stavano allenando. Mentre questi ultimi si stavano spogliando, sulla spiaggetta erano presenti alcuni cingalesi che sono intervenuti anche violentemente nei confronti dei sommozzatori, perché questi ultimi si stavano cambiando alla presenza delle loro donne, davanti alle quali non si potevano spogliare. E si potrebbero citare tantissimi casi di mancanza di adeguamento e rispetto anche nei confronti delle nostre regole.
Per venire al fatto oggetto dell'interpellanza urgente, in occasione del periodo del ramadan, nel comune di Oggiono, l'amministrazione comunale - vale a dire l'istituzione più vicina ai cittadini, cioè il comune - ha concesso alla comunità islamica l'utilizzo della sala del Consiglio comunale (non una sala civica qualsiasi!) per due ore serali affinché i suoi membri celebrassero il ramadan. In sostanza, quindi, a questa comunità musulmana presente nel territorio è stato consentito l'esercizio di culto nella sala consiliare. È ovvio che, per quanto ci riguarda, il rilascio di tale concessione per un fine che definisco strettamente privato, come può essere quello di un incontro di preghiera, appare un paradosso inaccettabile.
Innanzitutto, vorrei far presente che il sindaco e l'amministrazione - così come quella del comune di Moncalieri - fanno parte della vostra maggioranza di centrosinistra (anche se ciò non vuol dire che anche in altri comuni governati dal centrodestra non possa accadere lo stessa cosa).
Tuttavia, se vi deve essere il rispetto delle regole - ho sentito riecheggiare più volte e ribadire in quest'aula la laicità dello Stato e delle istituzioni - a maggior ragione penso che non possa essere concessa la sala del consiglio comunale per l'esercizio di una attività religiosa, di qualsiasi tipo essa sia.
Inoltre, da notizie apparse sulla stampa locale risulta che queste persone abbiano tolto anche i simboli cristiani, quale ad esempio il crocifisso, il gonfalone del comune e abbiano spostato tavoli e sedie, stendendo i propri tappeti per svolgere la propria preghiera.
La giustificazione di un sindaco non può essere quella di affermare che il regolamento comunale lo consente! Oltretutto, vorrei anche evidenziare la discriminazione che si è verificata, anche perché l'accesso nella sala del consiglio comunale, in quelle ore serali, è stato riservato ai soli uomini, in quanto le donne non potevano partecipare alla preghiera.
Tale episodio estremamente grave, per quanto ci riguarda, deve trovare quanto meno da parte del Governo e delle istituzioni, un forte dissenso. Infatti, da ogni parte (destra, sinistra o centro che sia) abbiamo sentito ribadire la laicità delle istituzioni. Pertanto, abbiamo voluto evidenziare questo episodio, innanzitutto per denunciare tale accadimento e in secondo luogo per far sì che non si verifichi più.
Capisco perfettamente che, oggi, le autonomie locali siano libere di effettuare le proprie scelte. Tuttavia, a mio avviso, queste ultime in primo luogo devono ricevere un supporto democratico, civile, rispettoso delle regole e delle istituzioni e nulla può essere cambiato in una sala istituzionale come quella del consiglio comunale.
Veniamo al secondo episodio. Da settembre 2004, nel comune di Moncalieri (Torino), all'interno di uno stabile adibito a centro commerciale - siamo alle solite: vengono concessi spazi in aree industriali dismesse, piuttosto che in quelle commerciali - un locale accatastato come magazzino è stato adibito a moschea. Si tratta di una moschea abusiva anche perché il comune di Moncalieri, in un'ultima interpellanzaPag. 43presentata dai consiglieri di minoranza, ha risposto che tale attività, in quel luogo, è abusiva.
Sebbene siano trascorsi tre anni dall'esercizio dell'attività della moschea, dagli atti ufficiali dell'amministrazione comunale non risulta che vi sia stata ancora alcuna azione volta al ripristino della legalità.
La zona in cui al momento sorge la moschea abusiva versa, inoltre, in uno stato di degrado e abbandono ed è fortemente a rischio di emarginazione. Vi sono anche notizie, anch'esse riportate dai media (occorre comunque verificarne la fondatezza), secondo le quali tale comunità musulmana organizzata nel centro culturale islamico di via Pininfarina si sta attivando per realizzare la costruzione di una moschea che dovrebbe sorgere su una determinata area, di una certa metratura e sempre all'interno dello stesso edificio oggi occupato abusivamente.
Inoltre, tale comunità islamica, attraverso la diffusione di materiale informativo, sta cercando di sensibilizzare i fedeli o i simpatizzanti al fine di raccogliere fondi per l'acquisto di questo locale.
Nel territorio della provincia di Torino sorgono anche ben oltre otto moschee e centri islamici. Questo dato è di fondamentale importanza per mettere in evidenza, da un lato, l'assenza di una reale necessità di edificare nuove moschee per garantire l'esercizio del culto ai musulmani presenti in quel territorio, dall'altro il reale obiettivo di tali iniziative, cioè quello di perseguire la realizzazione del progetto politico culturale di islamizzazione del paese.
Concludendo, signora sottosegretario, abbiamo voluto denunciare questi fatti: il primo è grave perché in esso è coinvolta un'istituzione pubblica ed il secondo lo è ancora di più, perché comunque si è svolto nell'illegalità. L'abbiamo, pertanto interpellata (sapendo bene che le autonomie locali sono libere di decidere quello che vogliono fare sul proprio territorio e non entrando, quindi, in un conflitto di competenze tra istituzioni) per conoscere da lei quali provvedimenti il Ministro dell'interno intenda adottare nell'ambito delle sue competenze al fine di garantire, da un lato, la sicurezza dei cittadini, il rispetto della legalità da parte delle comunità musulmane presenti in Italia e del principio fondamentale della laicità dello Stato (che si manifesta, anche logicamente, nell'utilizzo delle sedi istituzionali esclusivamente quale luogo civile di rappresentanza di tutti i cittadini) e, dall'altro, il diritto all'esercizio del culto per tutte le confessioni religiose presenti nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Marcella Lucidi, ha facoltà di rispondere.
MARCELLA LUCIDI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, nel quadro delle iniziative finalizzate a garantire la sicurezza pubblica e la concreta osservanza del diritto alla libertà religiosa, il Ministero dell'interno ha da tempo attivato un costante monitoraggio al fine di rilevare, nelle modalità di espressione del diritto alla libertà religiosa in forma individuale o associata, l'intendimento delle comunità di svilupparsi secondo principi democratici e di integrarsi nel tessuto sociale pur mantenendo la propria identità.
I problemi del rischio di possibili infiltrazioni eversive all'interno delle comunità islamiche presenti nel nostro Paese sono già da tempo alla massima attenzione del Ministero dell'Interno che in questi anni, quando ne ricorrevano i presupposti di legge, non ha mancato di adottare i necessari provvedimenti di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato nei confronti di soggetti a vario titolo presenti nei luoghi di culto islamico di Torino, Como, Varese, Reggio Emilia, Trino Vercellese e Carmagnola.
Per quanto concerne la realtà islamica, occorre tener presente che le moschee esistenti sul territorio nazionale - per moschee dobbiamo intendere le strutture dotate di minareto, mihrab (nicchia inserita nel muro orientata in direzione dellaPag. 44Mecca) e cupola - sono soltanto due: quella di Roma e quella di Segrate a Milano. Gli altri luoghi destinati al culto islamico (generalmente indicati come moschee (lo ha fatto anche l'onorevole interrogante) sono semplici sale di preghiera aperte, in genere su iniziativa di comunità, associazioni islamiche e centri culturali col fine principale di conservare la propria cultura.
Il Ministro Amato già si è espresso in merito al fatto che la ipotizzata chiusura dei luoghi di culto islamico non farebbe altro che creare le premesse per accentuare ulteriori forme di radicalizzazione. Negare ad una minoranza i propri luoghi di culto significa negarle il proprio diritto di esistere e quindi mettere in conto una spinta verso la ricerca anche di un'esasperata identità alternativa.
Inoltre, occorre evitare di assimilare in valutazioni sommarie ed indistinte situazioni che sono fra loro molto diverse e che devono essere analizzate caso per caso, ferma restando la necessità di garantire il rispetto dei principi fondamentali di legalità, di sicurezza dello Stato e di tutela della libertà religiosa.
A tal fine, gli interventi di prevenzione e talvolta di repressione vanno affiancati con azioni positive volte a favorire l'integrazione degli immigrati, di qualsiasi gruppo e comunità facciano parte, e a facilitare la condivisione di quei principi e valori fondamentali che costituiscono la base indefettibile di una serena convivenza civile.
Con questi intenti il Ministero dell'interno, con provvedimento del 23 aprile 2007, ha adottato la Carta dei valori, della cittadinanza e dell'integrazione.
Questa Carta è stata realizzata attraverso una commissione di esperti, con la consultazione di comunità di immigrati e di comunità religiose. Invito a leggerla: si tratta di un documento molto importante, un'elaborazione, un dialogo svolto insieme tra soggetti che provengono da esperienze, culture e tradizioni diverse, intorno alla Costituzione italiana, a partire da essa, rimanendo nel quadro e nel contesto valoriale e normativo della Costituzione italiana.
L'obiettivo della Carta dei valori è quello di enunciare valori e principi validi per coloro che desiderano risiedere stabilmente in Italia nel pieno rispetto delle regole e delle leggi e secondo i principi della Costituzione italiana ed anche delle principali Carte europee ed internazionali dei diritti umani.
La Carta dei valori, nella parte relativa alla laicità e alla libertà religiosa, afferma l'impegno dell'Italia a favorire il dialogo interreligioso ed interculturale per far crescere il rispetto della dignità umana e contribuire al superamento di pregiudizi ed intolleranze.
Inoltre, la Carta condanna ogni forma di violenza o di istigazione alla violenza, comunque motivata dalla religione. Allo stato, l'assegnazione di aree per la costruzione di edifici di culto non può essere vincolata dalla stipula di intese, qualora la confessione stessa sia rappresentativa di una parte della popolazione di un territorio.
L'attuale assetto istituzionale di competenze in materia di urbanistica ed edilizia attribuisce le funzioni amministrative ai comuni, ai sensi della nuova formulazione dell'articolo 118 della Costituzione.
Per quanto riguarda il tema del finanziamento dei lavori per la costruzione di moschee, centri culturali ed altri luoghi di culto e ritrovo, esso si inserisce in un quadro più ampio già da tempo all'attenzione del Ministero dell'interno.
In tutti i casi, e quindi anche in quelli citati dall'interrogante, si tratta, da un lato, di evitare che elargizioni provenienti dall'estero possano influenzare impropriamente l'attività di questi centri, anche solo condizionandoli nella scelta degli imam, dall'altro, di vigilare affinché nei luoghi di culto islamici non si proceda a raccolte di fondi destinati, in tutto o in parte, a fini illeciti.
Gli interventi si inquadrano nella costante attività di prevenzione che viene condotta dalle forze dell'ordine verso i luoghi di aggregazione delle comunità musulmane,Pag. 45quali call center, Internet point, money transfer ed altri, in cui è possibile riscontrare l'eventuale presenza di stranieri gravitanti nell'area dell'integralismo islamico.
Dal 1o gennaio al 15 agosto 2007 sono stati controllati 2.600 obiettivi, identificati 10.259 stranieri, di cui 252 denunciati, 60 arrestati e sono state avviate 236 procedure di espulsione.
Inoltre, sono state irrogate 231 contravvenzioni per irregolarità amministrative nei confronti di gestori di call center, Internet point e money transfer.
Le diverse azioni giudiziarie condotte hanno permesso di accertare come, nell'ambito di taluni centri culturali islamici ubicati principalmente nel nord Italia, alcuni imam abbiano, nei loro sermoni, veicolato sentimenti anti-occidentali, diffondendo anche materiale audiovisivo di matrice jihadista. Si tratta, tuttavia, di una minoranza rispetto ad un orientamento, generalmente moderato, dei luoghi di culto islamici presenti sul territorio nazionale.
Per quanto riguarda la concessione, da parte dell'amministrazione comunale di Oggiono, della sala consiliare alla comunità di residenti di fede islamica a fini di preghiera in occasione della celebrazione del ramadan, l'aula consiliare del comune di Oggiono - va precisato - ha funzioni di sala civica del centro cittadino e in ottemperanza alle previsioni del regolamento comunale in materia viene ordinariamente concessa per lo svolgimento di attività di soggetti pubblici e privati. In tal senso, risulta che la sala sia stata già utilizzata in passato per lo svolgimento di altre manifestazioni di culto. In base a quanto riferito dalla locale prefettura, risulta che la richiesta di utilizzo di tale sala civica è stata motivata dalle anguste dimensioni del luogo di preghiera che i fedeli islamici avevano da qualche mese istituito in un bilocale. Nella sala consiliare, concessa dal sindaco del comune di Oggiono, si riunivano alla sera circa 60 fedeli che, ai fini della preghiera, adeguavano la sala alle esigenze liturgiche.
La notizia ha avuto vasta eco anche sui giornali, suscitando varie prese di posizione in particolare da parte dei consiglieri comunali di minoranza e da alcuni movimenti politici che hanno criticato la scelta del sindaco; quest'ultimo, al contrario, ha sempre difeso la scelta fatta, sostenendo che l'autorizzazione, rilasciata previa consultazione con la giunta comunale, era conforme al regolamento vigente.
Nella giornata del 2 ottobre, i rappresentanti della comunità islamica di Oggiono si sono presentati in comune per riconsegnare le chiavi della sala consiliare, rinunciando all'utilizzo della stessa fino alla fine del ramadan e utilizzando come principale luogo di culto il centro culturale di Costa Masnaga ed in misura minore la sala dall'associazione culturale La Rosa di Oggiono.
Per quanto riguarda il centro culturale islamico di Moncalieri sito in via Pininfarina 18, questo è stato costituito a il 4 ottobre 2003, con atto n. 4396 del registro delle associazioni presso la camera di commercio di Moncalieri ed è stato inaugurato il 19 settembre 2004.
Successivamente, il comune di Moncalieri ha contestato ai responsabili del centro la violazione da alcune norme del testo unico in materia di edilizia, per aver riscontrato la diversa destinazione d'uso (da pertinenze commerciali a luogo di culto, che al momento del controllo ospitava circa 40 persone) e la mancanza di certificazioni di agibilità. Il tentativo di ovviare ai problemi cui si è fatto cenno attraverso la presentazione di una richiesta di sanatoria non ha sortito effetto, poiché le relative istanze sono state presentate fuori termine.
Nonostante il controllo delle autorità locali e le intimazioni a non proseguire, il centro ha continuato di fatto ad operare sulla sola base delle richieste di condono presentate al comune di Moncalieri dal responsabile del centro, e per tale motivo in data 2 agosto 2007 la polizia municipale ha effettuato un ulteriore sopralluogo nel corso del quale è stato contestato il cambio di destinazione con la realizzazione abusiva di opere interne. Conseguentemente, l'amministrazione comunale, con specifica ordinanza, ha intimato al proprietarioPag. 46dell'immobile di demolire le opere realizzate in assenza di permessi e concessioni edilizie, e ripristinare l'originario stato dei luoghi. Ricordava l'interrogante che questo ripristino non è ancora stato realizzato: ci risulta che i termini concessi non sono tuttora scaduti.
PRESIDENTE. L'onorevole Allasia, cofirmatario dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
STEFANO ALLASIA. Signor Presidente, signora sottosegretario, non siamo assolutamente soddisfatti perché la risposta fornita sullo stato dei fatti di Oggiono, in provincia di Lecco, e a Moncalieri, in provincia di Torino, consiste esclusivamente delle fotocopie che molto probabilmente avete richiesto ai vari comuni.
Sappiamo già cosa hanno affermato gli amministratori locali e cosa si farà. Noi volevamo sapere quale era l'intenzione del Governo. Se mi permette di riprendere un po' il suo discorso sulla sicurezza pubblica, voi enunciate molto tale parola che è ormai di uso comune; dite che siete a favore della sicurezza pubblica e che attuerete un piano sulla sicurezza, ma lo stiamo ancora attendendo. Le devo dire - ma piuttosto le dovrei ricordare perché forse questo Governo non lo rammenta già più - che Violante era venuto a Torino nel lontano 1999 enunciando un piano sulla sicurezza provinciale, ma Torino ancora attende. Lo scorso inverno un rappresentante del Governo, il sottosegretario Minniti, è tornato ad enunciare lo stesso piano sulla sicurezza. Dopo sette anni è ritornato nel capoluogo subalpino e ha riproposto la stessa manfrina che ci aveva proposto Violante. Mi dispiace che questa volta non ci sono più i cittadini che furono allora così sciocchi da accettare quel piano sulla sicurezza e a riprova sono riusciti ad organizzare una manifestazione imponente, la scorsa settimana, contro il vostro Governo e a proposito del piano sulla sicurezza perché, mi dispiace affermarlo, ma a Torino la sicurezza è quasi del tutto assente.
A proposito della carta dei valori non ci deve invitare a leggerla. Mi dispiace ma, anche se siamo leghisti, sappiamo leggere e abbiamo studiato la Carta dei valori. Deve dire forse a qualcun altro di riprenderla, perché la carta dei valori ci sembra un po' inverosimile in quanto non stabilisce alcun diritto e alcun dovere, ma piuttosto toglie dei diritti ai cittadini italiani.
Abbiamo sempre parlato di reciprocità e di uguaglianza fra i popoli, però ci deve permettere di affermare che il confronto con l'Islam attualmente non è possibile perché è una necessità ineludibile alla quale peraltro l'Europa e in particolare l'Italia arriva debole, impreparata e con una buona dose di ingenuità. La reciprocità è come Cenerentola ma il principe azzurro, questa volta, ha altro a cui pensare. Forse non c'è un vero e proprio progetto elaborato a tavolino. Dico «forse» e lo ribadisco. Ma sicuramente esistono strategie per il rafforzamento dell'Islam nei Paesi in cui è già maggioritario e per la sua diffusione in alcune zone nevralgiche, come l'Africa subsahariana, l'Indonesia, la Malesia e ultimamente l'Europa. È un fatto che in questi anni alcuni Paesi guida, e in primo piano l'Arabia Saudita ma in misura minore anche l'Iran e il Pakistan, hanno stanziato ingenti somme per la costruzione di moschee, centri culturali, scuole coraniche e hanno formato e inviato dei religiosi all'estero. Una di queste moschee, centri o - come voi li definite - sale di preghiera è proprio quella di Moncalieri. L'Arabia Saudita si ritiene l'erede del califfato soppresso nel 1924 da Ataturk. Scusate per la pronuncia non proprio corretta.
KHALED FOUAD ALLAM. Non è proprio così!
STEFANO ALLASIA. Come tale è investita della missione di preservare e diffondere l'Islam. Questo scopo, sia ben chiaro, non viene perseguito con metodi terroristici ma con la costituzione di centrali di irradiazione dell'Islam che agiscono, al tempo stesso, sul piano religioso, sociale e politico. Si deve purtroppo constatare che i proventi ricavati dal petrolio,Pag. 47i cosiddetti petroldollari, vengono usati in minima parte per il sostegno economico dei musulmani indigenti che si trovano in emigrazione, mentre sono investiti con dovizia nella costruzione di luoghi simbolo dell'Islam, come è accaduto per la moschea di Roma, di Segrate e di altre capitali europee.
Bisogna chiarire un equivoco molto diffuso nel nostro Paese: la moschea non è una «chiesa musulmana». Per il musulmano è molto di più che un luogo di culto, è un ambito di aggregazione sociale, di rafforzamento della comune identità, di giudizio sulla società e di rivisitazione di quanto accade alla luce del Corano, spesso anche di trasmissione di parole d'ordine di tipo politico e, purtroppo, il più delle volte anche terroristico.
Studiando la storia dell'Islam s'impara che nella moschea sono state prese importanti decisioni o sono partite alcune rivolte contro le autorità (spero che non sia così nel caso italiano). Non è un caso che in molti Paesi le moschee vengano presidiate dalle forze dell'ordine in occasione della preghiera del venerdì, né va dimenticato che, secondo il pensiero islamico, un luogo reso sacro non si può più sconsacrare: in Egitto è accaduto che gruppi di fondamentalisti si siano recati di buon mattino su alcuni terreni della Chiesa, abbiano steso il tappeto e pregato, rendendo di fatto impossibile l'edificazione di una chiesa su quell'area, che con il loro gesto era stata resa sacra all'Islam. Pertanto, un gesto che, magari in buona fede, è mosso dalla solidarietà o dall'altruismo, viene vissuto da parte musulmana come resa, tradimento, implicita ammissione della loro superiorità, ingenerando pericolosi equivoci.
È una sfida lanciata dalla storia, ma viene vissuta secondo prospettive differenti. Uno chek musulmano molto autorevole di Beirut, lo sciita Fadlallah, durante un incontro con i cristiani sosteneva che il sistema democratico vigente in Europa rappresenta la chance migliore per la diffusione dell'Islam. In occidente c'è una situazione che permette ai musulmani di ottenere importanti riconoscimenti sul piano giuridico in nome della libertà e del pluralismo e un clima culturale favorevole: da noi è rinato l'interesse per proposte forti, che trasmettono insieme certezze e novità. Inoltre, si avverte indifferenza verso un cristianesimo disponibile a mille compromessi. Per dialogare servono certezze, non mercanteggiamenti, altrimenti tutto diventa ambiguo e finisce per prevalere chi è più consapevole della propria identità rispetto a chi è disposto a rinunciarvi, magari sventolando le insegne della cosiddetta società multiculturale.
L'occidente porta nel suo DNA valori che possono giovare al mondo islamico, dove ancora non hanno il posto che meritano: la dignità delle persone, l'uguaglianza di fronte alla legge derivante dal concetto di cittadinanza; la democrazia; la distinzione (non dico separazione) tra politica, religione e Stato. Dall'altra parte il mondo musulmano è portatore di valori che erano condivisi in Occidente, ma che la secolarizzazione ha fatto dimenticare: per esempio il fatto che la morale non può essere soggettiva (ma che esistono riferimenti oggettivi), l'importanza della comunità, la necessità di non dissociare la tecnica dall'etica e l'affermazione che il progresso tecnologico non significa necessariamente progresso dell'umanità. Sono convinto che bisogna esercitare la fatica del dialogo, ma insisto: i frutti si possono vedere solo quando i due partner hanno una visione chiara di cosa sono e di ciò che vogliono. Il dialogo in maschera è inutile.
Anzitutto vorrei sgombrare il campo da una falsità che continua a circolare: non è vero che in Arabia Saudita non si possano costruire chiese o celebrare funzioni religiose diverse da quelle musulmane soltanto perché quella sarebbe la «terra santa dell'Islam». La tradizione ricorda che quando Maometto entrò alla Mecca nel 630 e ordinò la distruzione di tutti gli idoli, vedendo una piccola icona della Madonna con Gesù, chiese di risparmiarla.
La seconda falsità è che fuori dall'Arabia Saudita non ci siano problemi: ricordo solo che in Egitto tra le dieci condizioni da rispettare per la costruzione di una chiesaPag. 48c'è l'assenza di una moschea nel raggio di mezzo chilometro. Ciò costringerebbe a edificare nel deserto, vista la concentrazione di moschee che si registra nelle città.
PRESIDENTE. Onorevole Allasia, la prego di concludere.
STEFANO ALLASIA. Molto probabilmente è più comodo a un certo mondo politico e ad alcuni Governi fare in modo che la differenziazione sia molto più spinta di quel che il semplice musulmano crede. Perciò, come sempre, un conto è l'idea e altro conto è l'attuazione. Ci sembra sempre più che i Governi (e la sinistra in Italia) stiano sempre più spingendo verso l'islamizzazione del Paese, ma mi dispiace per voi, questo non lo permetteremo mai.
PRESIDENTE. Onorevole Allasia, dovrebbe concludere.
STEFANO ALLASIA. Vede, il Papa, con cui tanti di voi non rinunciano a farsi vedere o fotografare insieme, non si stanca di chiedere la reciprocità quando incontra gli ambasciatori presso la Santa Sede.
Ma ciò non basta, sono gli Stati che dovrebbero premere nell'ambito di una più generale azione in favore dei diritti umani. Purtroppo, i nostri governanti sono totalmente occupati a concludere affari con i Paesi produttori di petrolio che finiscono per dimenticarsene.
(Chiarimenti sull'applicazione della normativa in materia di appalti pubblici di forniture - n. 2-00776)
PRESIDENTE. L'onorevole Ciocchetti ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00776, concernente chiarimenti sull'applicazione della normativa in materia di appalti pubblici di forniture (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).
LUCIANO CIOCCHETTI. Signor Presidente, illustro brevemente la mia interpellanza urgente per segnalare l'importanza dell'argomento sul quale verte, che incide su molte società di forniture di servizi delle amministrazioni pubbliche del nostro Paese. Registriamo un'errata interpretazione delle norme che si sono succedute, tra le quali, vi è la legge n. 109 delle 1994 - parzialmente abrogata successivamente dal decreto legislativo n. 163 del 2006: l'abrogazione non ha riguardato infatti l'articolo 8 - che prevedeva una serie di garanzie a corredo delle offerte che dovevano essere presentate alla pubblica amministrazione in caso di partecipazione a gare pubbliche per forniture di servizi, nonché la cauzione definitiva attinente all'eventuale aggiudicazione della gara.
Signor sottosegretario, dal momento che assistiamo a interpretazioni diverse delle norme e a comportamenti differenti da parte delle stazioni appaltanti, chiediamo che il Governo intervenga per chiarire, una volta per tutte, quale norma vada applicata e riteniamo, altresì, necessario precisare che gli appalti di lavori pubblici non possono essere considerati alla stessa stregua degli appalti di servizi. Tale meccanismo sta ingenerando gravi problemi ai fornituristi che, in un momento particolarmente difficile per il settore si trovano costretti a dover impiegare ingenti risorse economiche; anche considerati i tempi di pagamento dei fornitori delle amministrazioni pubbliche, la situazione ingenera difficoltà per il mantenimento stesso delle società e per la possibilità di partecipare liberamente alle gare, dando luogo, oltretutto, a una violazione della libertà di concorrenza e di mercato.
Ciò premesso, chiediamo, quindi, al Governo un chiarimento in merito.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le infrastrutture, Tommaso Casillo, ha facoltà di rispondere.
TOMMASO CASILLO, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture. Signor Presidente, il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, detta la disciplina per la cosiddetta cauzione provvisoria e la cosiddetta cauzione definitiva o garanzia fideiussoria, rispettivamente agli articoli 75 (Garanzie aPag. 49corredo dell'offerta) e 113 (Garanzie di esecuzione e coperture assicurative), entrati in vigore, ai sensi dell'articolo 257 del codice, il 1o luglio 2006.
L'articolo 75 del codice riproduce con alcune modifiche l'articolo 30, commi 1 e 2-bis della legge n. 109 del 1994 e l'articolo 113 riproduce le disposizioni dell'articolo 30, commi 2, 2-bis, 2-ter della citata legge, estendendo la disciplina per i contratti di lavori ai contratti di servizi e forniture.
Si rileva che, in punto di drafting normativo, a differenza della legge n. 109 del 1994, il codice disciplina la cauzione provvisoria e definitiva in due diversi articoli in luogo di un unico articolo.
L'articolo 75, comma 7, del codice applicabile ai lavori, ai servizi e alle forniture, prevede che la cauzione provvisoria è ridotta del 50 per cento per gli operatori economici ai quali venga rilasciata la certificazione del sistema di qualità conforme alle norme europee della serie UNI CEI EN ISO 9000 ovvero la dichiarazione della presenza di elementi significativi e tra loro correlati di tale sistema.
L'articolo 40 del codice, in tema di qualificazione per eseguire lavori pubblici, al comma 7, prevede che le imprese alle quali venga rilasciata la certificazione del sistema di qualità conforme alle norme europee della serie UNI CEI EN ISO 9000 ovvero la dichiarazione della presenza di elementi significativi e tra loro correlati di tale sistema, usufruiscono del beneficio che la cauzione e la garanzia fideiussoria, previste rispettivamente dall'articolo 75 e dall'articolo 113, comma 1, sono ridotte, per le imprese certificate, del 50 per cento.
Nell'articolo 113, applicabile a lavori, servizi e forniture, non si rinviene una previsione analoga all'articolo 75, comma 7, o all'articolo 40, comma 7, applicabile ai soli lavori.
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nella determinazione n. 7 dell'11 settembre 2007, con riferimento alle disposizioni del codice sopracitate, conclude che il codice «amplia l'applicazione dell'istituto delle garanzie previste dalla legge n. 109 del 1994 per i lavori anche a servizi e forniture e, nel contempo, non consente la riduzione del 50 per cento unicamente per questi ultimi, che precedentemente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 163 del 2006 godevano di obblighi meno restrittivi rispetto ai lavori».
Da quanto qui rappresentato, appare evidente che l'intervento normativo richiesto nell'interpellanza in esame comporta la necessità di prevedere adeguata copertura finanziaria, prefigurandosi oneri da quantificare per le stazioni appaltanti in conseguenza della riduzione del limite di garanzia per le imprese operanti nel settore dei servizi e delle forniture, per le quali non opera, peraltro, il sistema di qualificazione SOA, previsto invece per i lavori.
Pur confermando la disponibilità di questo Ministero a procedere a un riesame tecnico della questione, si ritiene di non poter esprimere un indirizzo definitivo, se non alla luce di un'azione di concerto con il competente Ministero economico.
PRESIDENTE. L'onorevole Ciocchetti ha facoltà di replicare.
LUCIANO CIOCCHETTI. Signor Presidente, non sono soddisfatto della risposta fornita dal rappresentante del Governo perché la mia interpellanza era rivolta sia al Ministero delle infrastrutture sia a quello dell'economia e delle finanze: c'è, infatti, tra tali Dicasteri una cointeressenza di responsabilità, così come il sottosegretario ha affermato nella parte finale della sua risposta.
Ritengo che vi sia un problema di interpretazione più generale. Ricordo, infatti, che il decreto legislativo n. 163 del 2006 non ha abrogato l'articolo 8 della legge n. 109 del 1994, che introduceva, con i commi 1 e 2, due depositi cauzionali definiti in gergo rispettivamente, «cauzione provvisoria» e «cauzione definitiva».
Attualmente alcuni soggetti appaltanti stanno continuando a interpretare le norme in tal senso, applicando cioè il 50 per cento anche per la cauzione definitiva; altri, invece, non lo fanno, mentre altri ancora pongono problemi di interpretazione.Pag. 50
Signor sottosegretario, parliamo di cauzioni. Lei ha affermato che vi è un problema di copertura economica e di aumento dei costi per le amministrazioni pubbliche. Tali cauzioni, però, sono svincolate al momento della conclusione della fornitura. Pertanto, non credo si tratti di un problema di aumento dei costi, ma, probabilmente, soltanto di un problema di interpretazione normativa. Sarebbe opportuno, eventualmente, approvare, con un provvedimento legislativo, una novella che consentisse di fare chiarezza su tale problematica.
Si tratta di una questione che interessa centinaia, migliaia di piccole imprese fornitrici delle amministrazioni pubbliche. Lei sa bene quante amministrazioni pubbliche si servono di fornitori di servizi: siamo di fronte non alle grandi imprese appaltatrici, ma a piccole imprese per le quali anche cinquantamila o centomila euro versati a titolo di cauzione pesano notevolmente nella gestione economica.
Conosciamo quali difficoltà, oggi, incontrano le amministrazioni pubbliche per svolgere una gara: trascorrono tranquillamente sette, otto mesi, un anno in qualche caso! Sappiamo quali sono i tempi per lo svincolo delle garanzie fideiussorie o delle cauzioni definitive corrisposte e sappiamo quanto tempo passi (anche due anni, più di seicento giorni) per il pagamento dei servizi prestati dai fornitori da parte delle amministrazioni pubbliche.
Signor sottosegretario, si tratta di un problema da non sottovalutare, che riguarda la tenuta stessa di un mercato importante che esiste nel nostro Paese. Ritengo, pertanto, che sia giusto chiedere al Governo di porre un'attenzione ulteriore su tale problema.
(Chiarimenti in merito alla decisione del Governo di impugnare davanti alla Corte costituzionale la legge della regione Lombardia n. 19 del 2007 - n. 2-00772)
PRESIDENTE. L'onorevole Aprea ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00772, concernente chiarimenti in merito alla decisione del Governo di impugnare davanti alla Corte costituzionale la legge della regione Lombardia n. 19 del 2007 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3).
VALENTINA APREA. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, su richiesta del Ministro della pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, nella seduta di venerdì 28 settembre 2007, il Consiglio dei ministri ha deliberato di impugnare la legge regionale della Lombardia del 6 agosto 2007, n. 19, davanti alla Corte costituzionale.
Con la legge n. 19 del 2007, la regione Lombardia ha costruito un sistema coordinato e unitario di istruzione e formazione professionale, delineandone l'architettura e le prospettive. La regione Lombardia muove dall'assunto - desunto dalla giurisprudenza costituzionale e suffragato dal quadro legislativo vigente (legge n. 53 del 2003 e relativi decreti attuativi) - che l'istruzione e la formazione professionale sia da intendersi come materia di competenza residuale regionale, ai sensi dell'articolo 117, comma 3, della Costituzione, che inserisce l'istruzione tra le materie concorrenti, con esclusione dell'istruzione e della formazione professionale, e che, in ragione di ciò, tale competenza venga sottratta alle norme generali sull'istruzione, pur rimanendo assoggettata ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Inoltre, essa viene considerata come un unicum non distinguibile in istruzione professionale, da un lato, e formazione professionale, dall'altro.
D'altra parte, anche dopo le riforme introdotte in questa legislatura, l'istruzione e formazione professionale fanno parte, a pieno titolo, del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione. Infatti, in base all'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 226 del 2005, così come modificato dall'articolo 13, comma 8-bis, della legge n. 40 del 2007, il secondo ciclo del sistema educativo diPag. 51istruzione e formazione è costituito dal sistema dell'istruzione secondaria superiore e dal sistema di istruzione e formazione professionale.
L'articolo 13 della legge n. 40 del 2007, riportando gli istituti professionali nell'alveo dell'istruzione secondaria superiore, conferma che il sistema di istruzione e formazione professionale è componente di pari dignità del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione. La legge regionale in questione, quindi, nulla dice sul sistema di istruzione secondaria superiore, in cui sono collocati gli istituti tecnici e gli istituti professionali, bensì disciplina la parte di sistema di istruzione e formazione professionale quale unicum di sua esclusiva competenza, nel rispetto dei livelli essenziali e, tra l'altro, in coerenza con il repertorio nazionale richiamato dall'articolo 23. Dunque, fermo restando che l'istruzione è, comunque, di competenza concorrente, all'interno della quale la regione ha ampie competenze, come affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 13 del 2004, la legge regionale non incide sull'ordinamento della materia concorrente, qual è appunto l'istruzione. Nonostante ciò, si apprende, da fonte giornalistica - perché non siamo ancora in grado di conoscere i termini del ricorso - che la più forte contestazione espressa dal Governo riguarderebbe il fatto che la regione Lombardia abbia legiferato in assenza della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che competono allo Stato.
Noi siamo fermamente convinti, al contrario, che l'assenza di tali atti da parte dello Stato non possa costituire un limite all'azione legislativa regionale, né che il ritardo nell'emanazione degli atti statali possa essere utilizzato per impedire alle regioni l'esercizio delle proprie competenze costituzionali ed, inoltre, che la legge regionale in questione sia, comunque, rispettosa dei livelli essenziali delle prestazioni poiché ne richiama esplicitamente il rispetto.
Credo, altresì, che non possa essere trascurato né sottovalutato il fatto che la legge regionale n. 19 del 2007 sia frutto di un lungo lavoro di confronto che ha coinvolto le parti sociali, datoriali, gli enti locali, le espressioni del mondo della scuola e della formazione (associazioni docenti, dirigenti scolastici, genitori, enti di formazione) e finanche gli uffici periferici del Ministero della pubblica istruzione, alla fine del quale si è registrato un ampio consenso.
Ritengo che questo Governo non possa trascurare né sottovalutare il fatto che la legge regionale n. 19 sia stata approvata dal consiglio regionale con una maggioranza trasversale, che ha visto convergere, attraverso un voto di astensione, i partiti de L'Ulivo verso le posizioni di tutta la Casa delle libertà, che governa quella regione con il presidente Formigoni, che la volontà del Governo di impugnare tale legge regionale crei un pericoloso vulnus nel mondo della formazione, così ricco di esperienze di successo come in Lombardia, e che rischi di mettere a repentaglio la possibilità di rispondere più puntualmente ai bisogni urgenti di quel territorio, mortificando, per l'ennesima volta, le naturali esigenze del nord, a tutto vantaggio di politiche centralistiche. Tutto ciò è fin troppo evidente.
Signor sottosegretario, le chiediamo di conoscere la posizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, Lanzillotta, il quale è impegnato a battersi e a spendersi per realizzare una reale sussidiarietà, soprattutto quella orizzontale, così difficile da realizzare ma così urgente specialmente in alcune realtà che si trovano in prima linea in ordine allo sviluppo del Paese, come appunto la regione Lombardia.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali, Pietro Colonnella, ha facoltà di rispondere.
PIETRO COLONNELLA, Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali. Onorevole Presidente, onorevole Aprea, onorevoli colleghi, il Ministro degli affari regionali e le autonomie locali, Linda Lanzillotta, nella seduta delPag. 52Consiglio dei Ministri del 28 settembre, su istanza del Ministro della pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, ha proposto l'impugnativa dinanzi alla Corte costituzionale della legge regionale della Lombardia n. 19 del 2007, deliberata appunto dal consiglio regionale medesimo.
La predetta legge regionale, concernente la disciplina del sistema educativo di istruzione e formazione professionale regionale, è stata ritenuta dal Governo invasiva della competenza riconosciuta al legislatore statale in materia di istruzione dall'articolo 117, commi 2 e 3, della Costituzione. I due richiamati commi riservano, rispettivamente, al legislatore statale l'individuazione delle norme generali sull'istruzione, attribuite alla sua competenza esclusiva, e l'individuazione dei principi fondamentali della materia. Residua pertanto alle regioni, nella materia, una competenza concorrente, nel rispetto dei principi costituzionali di cui all'articolo 33 della Costituzione, nonché della disciplina generale di principio dettata dallo Stato.
Nel delineato contesto, rientra pertanto nel potere-dovere del legislatore statale garantire che siffatti principi costituzionali siano uniformemente applicati sull'intero territorio nazionale, a partire dalla stessa previsione dell'obbligo di istruzione, che è al contempo espressione di un livello essenziale delle prestazioni, che non possono non essere uniformemente garantite su tutto il territorio nazionale.
Il Governo, nel corso dell'esame della normativa regionale, ha rilevato, sulla base dei rilievi formulati dal competente Ministro della pubblica istruzione, il contrasto di alcune disposizioni emanate dal legislatore regionale lombardo con le disposizioni statali contenenti norme generali e di principio, ma anche con il canone della leale collaborazione, che impone alla regione di emanare una disciplina conforme agli accordi intercorsi in materia tra Stato e regioni, in considerazione dell'intreccio inevitabile che in tale materia si realizza, nella pratica, tra competenze statali e regionali e che la stessa Corte costituzionale ha rilevato nella sentenza n. 279 del 2005.
Quanto alle specifiche censure mosse dal Governo, deve rilevarsi come già l'articolo 1, comma 2, della legge regionale e l'applicazione di esso, disposta dagli articoli seguenti, risulti in contrasto con la normativa statale vigente e in particolare con la legge n. 296 del 2006 e la legge n. 40 del 2007, poiché descrive un ambito di applicazione contrastante con i principi fondamentali riservati allo Stato in materia di istruzione.
Ulteriori censure riguardano l'articolo 10, concernente il sistema di certificazione delle competenze acquisite, che non considera l'esigenza di definire standard e modalità uniformi su tutto il territorio nazionale, e gli articoli 11 e 14, comma 2, che permettono ai giovani che hanno concluso il primo ciclo di iscriversi ai percorsi di istruzione e formazione professionale al di fuori degli elenchi predisposti dal Ministro della pubblica istruzione con l'assenso della Conferenza Stato-regioni.
È stato, quindi, oggetto di censura anche l'articolo 18 che concerne la formazione ai fini dell'abilitazione professionale, il cui esercizio compete allo Stato, come affermato dalla decisione n. 300 del 2007 della Corte costituzionale. Risultano, infine, impugnati l'articolo 24 che individua unilateralmente le istituzioni formative e l'articolo 28 che prevede un meccanismo automatico di determinazione delle risorse in base al criterio della quota capitaria in contrasto con l'articolo 137 del decreto legislativo n. 112, del 1998, che rimette allo Stato le funzioni relative alla determinazione e assegnazione delle risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato.
Occorre tuttavia rilevare come il Governo, prima di sottoporre la legge regionale al giudizio della Corte costituzionale, in coerenza con l'indirizzo intrapreso con la direttiva del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali del 26 giugno 2006, nello spirito di una leale collaborazione che deve permeare il rapporto tra Stato e regioni, abbia ricercato un'intesa con la regione Lombardia aprendo un tavolo di negoziazione al fine di comprendere le ragioni che stavano allaPag. 53base della scelta del legislatore regionale lombardo e individuare soluzioni atte ad armonizzare quelle scelte politiche con la disciplina generale e di principio dello Stato.
Sono, pertanto, intercorsi con la regione diversi incontri nell'intento di superare i contrasti e di trovare una soluzione condivisa che potesse evitare l'impugnativa. In questo contesto si inserisce l'incontro presso il Dipartimento per gli affari regionali tra qualificati rappresentanti della regione Lombardia e dei Dicasteri della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca in data 26 settembre 2007, dunque in epoca antecedente alla riunione del Consiglio dei ministri nella quale è stata deliberata l'impugnazione della legge regionale in oggetto.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 16,35)
PIETRO COLONNELLA, Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali. Tali iniziative, che in numerose altre circostanze hanno comportato un esito positivo anche con la stessa il regione Lombardia tanto da determinare in linea generale una sensibile riduzione del contenzioso di iniziativa statale dall'inizio dell'attuale legislatura ad oggi, non hanno purtroppo, nel caso in esame, condotto ai risultati sperati.
Preso atto dell'impossibilità obiettiva di addivenire ad una bonaria composizione il ricorso alla Corte si è, pertanto, reso inevitabile, anche in via cautelativa, attesa l'imminenza della scadenza del termine perentorio previsto dall'articolo 127 della Costituzione.
La scelta effettuata dal Governo, in ogni caso, non preclude la possibilità di addivenire in un futuro prossimo ad una composizione della vertenza prima che la Corte costituzionale si pronunci. La disponibilità da parte statale è rimasta inalterata; occorre tuttavia che ad essa si accompagni una analoga manifestazione di disponibilità da parte della regione Lombardia. Il confronto tra gli uffici può pertanto proseguire nel rispetto delle prerogative che la Costituzione riconosce allo Stato e alle regioni, ai fini della ricerca congiunta di soluzioni condivise il cui raggiungimento indurrebbe certamente il Governo a deliberare, eventualmente, la rinuncia all'impugnativa promossa dinanzi alla Corte costituzionale. Ciò è quello che noi auspichiamo, con reciproco impegno e comune volontà positiva, nello spirito di un nuovo federalismo sussidiario, cooperative e solidale.
PRESIDENTE. La deputata Aprea ha facoltà di replicare.
VALENTINA APREA. Signor Presidente, naturalmente, rimanendo la posizione del Governo quella di impugnare innanzi alla Corte Costituzionale il provvedimento indicato nell'interpellanza, la mia soddisfazione (Commenti)...
PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, la prego, so che è il suo compleanno e le faccio gli auguri, però non disturbi la collega che sta parlando.
VALENTINA APREA. Chiedo scusa. Mi sono trovata improvvisamente in una festa senza saperlo, ebbene auguri di buon compleanno!
Tornando all'argomento sul quale ci stiamo confrontando, signor sottosegretario, ho sicuramente avvertito una certa disponibilità nella decisione del Consiglio dei Ministri da lei comunicata. Naturalmente, prendo atto di questa apertura e ne sono lieta, e tutto ciò mi servirà anche per rassicurare la regione Lombardia e il presidente della giunta di tale regione, onorevole Formigoni, nonché il consiglio stesso, sul futuro della legge regionale n. 19 del 2007, ma soprattutto mi servirà per rassicurare le migliaia di studenti e di docenti che hanno visto in tale legge un'opportunità di formazione, di qualificazione professionale, e vi hanno riscontrato altresì la possibilità di raggiungere quel successo formativo che poi molte volte è anche indice di successo nella vita lavorativa che, oggi ai suddetti ragazzi, aiPag. 54suddetti giovani, è negato considerato il percorso classico tradizionale, che individua solo la scuola come luogo di formazione e solo lo studio come attività di preparazione.
Quindi, ho colto la predetta sfumatura e la ringrazio per questa apertura, signor sottosegretario, ma naturalmente la deliberazione d'impugnazione indicata resta come un macigno per tutti noi lombardi e anche per i molti deputati firmatari dell'interpellanza in esame, i quali avrebbero voluto un ridimensionamento del citato conflitto istituzionale. Quando il Governo centrale ricorre avverso una regione, nell'attuazione degli articoli della Costituzione, ciò non rappresenta mai un dato positivo. Come lei sa, nella scorsa legislatura ho ricoperto incarichi di Governo e anche a noi è capitato di presentare ricorsi della natura di cui si è parlato avverso altre regioni, chiamando quindi in causa la Corte costituzionale per un giudizio sulle leggi regionali. Tuttavia in tali casi eravamo di fronte ad una situazione completamente diversa, perché di fatto, stranamente, alcune regioni sembravano interpretare un ruolo opposto, in altre parole negavano le competenze che la nuova Costituzione prefigura per le regioni. Tutto ciò naturalmente metteva in difficoltà il Governo, ma dal versante opposto. Credo allora che i suddetti conflitti istituzionali non facciano bene e soprattutto non facciano progredire i sistemi educativi e formativi, soprattutto se tali conflitti colpiscono le regioni più avanzate - in questo caso, la Lombardia - che già hanno una responsabilità precisa, ovverosia promuovere lo sviluppo, e che quindi non possono permettersi il lusso di stare ferme ed aspettare tempi biblici per una regolamentazione nazionale di materie che peraltro riguardano competenze attribuite dalla Costituzione alle ragioni stesse. Per essere più precisa, risponderò almeno a due o tre punti, tra i molti da lei richiamati, signor sottosegretario, che saranno oggetto di studio e di considerazione da parte del gruppo Forza Italia, che ha voluto interrogare il Governo sul citato ricorso.
Lei ha richiamo l'istruzione obbligatoria per almeno dieci anni: l'articolo 1, comma 622, della legge finanziaria per l'anno 2007, non precisa nulla al riguardo - se tale obbligo debba essere assunto nel sistema di istruzione secondaria superiore o in quello di istruzione e formazione professionale - limitandosi a prevedere che l'assolvimento dell'obbligo debba consentire l'acquisizione dei saperi e delle competenze previste dai curricula relativi ai primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore. Ne deriva che l'obbligo di istruzione si attesta nel biennio successivo al primo ciclo; in ragione del principio di pari dignità, può essere assolto anche nel sistema di istruzione e formazione professionale e ha come unico requisito il rispetto dei curricula come individuati nel regolamento attuativo dell'obbligo. Si tratta di quelli che sono diventati gli assi culturali nel documento che il Ministero della pubblica istruzione ha poi varato con riferimento al primo biennio dell'istruzione secondaria superiore.
Se si esamina la legge regionale alla luce di tali principi, nulla in essa contraddice la necessità che il primo biennio dei percorsi di formazione professionale risponda a tali criteri, anzi la legge regionale li richiama esplicitamente, all'articolo 14, comma 2, laddove prevede che l'obbligo di istruzione sia assolto anche attraverso la frequenza dei primi due anni di percorsi di istruzione e formazione professionale e precisa altresì che proprio al fine di assolvere l'obbligo, tali primi due anni devono rispondere alle finalità di crescita delle competenze culturali fondamentali ai curricula definiti dal Ministero della pubblica istruzione, ai sensi del comma 622 dell'articolo 1 della legge finanziaria per l'anno 2007. Quindi, la legge regionale si è gia posta nell'ottica dell'assolvimento dell'obbligo di istruzione con le finalità e gli assi culturali individuati per tutti gli altri due ordini di scuole. L'osservazione ministeriale è inficiata da una lettura errata del combinato disposto dei commi 622 e 624 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006, laddove il Ministero della pubblicaPag. 55istruzione intende che l'obbligo si assolve, a regime, solo nelle istituzioni scolastiche o nei percorsi o progetti per la prevenzione e il contrasto della dispersione, mentre nei percorsi triennali di formazione professionale si assolve esclusivamente fino alla messa in regime dell'obbligo. Ma quest'ultima, di fatto, già esiste. A maggior ragione, se tali percorsi sono potuti sopravvivere anche con questo Governo, far uscire dalla precarietà istituzionale nelle regioni come la Lombardia o il Veneto - ma potrei fare l'elenco di molte regioni, tra cui anche la stessa regione Lazio - tali percorsi triennali, dove le regioni si sono fatte parte diligente e dove essi non solo vengono attivati, ma risultano efficaci ai fini del contenimento della dispersione dell'obbligo e ai fini della formazione professionale, credo sia non solo un diritto, ma anche un dovere delle regioni che finora hanno investito in tal senso.
Rispetto alla contestazione più forte, l'assenza dei livelli essenziali delle prestazioni, che impedisce l'esercizio della disciplina legislativa regionale: premesso che i livelli essenziali della prestazioni per il sistema di formazione professionale sono stati individuati sia in sede di Conferenza Stato-regioni sia nello stesso decreto legislativo n. 226 del 17 ottobre 2005, l'eventuale assenza di livelli essenziali delle prestazioni non può costituire limite all'azione legislativa regionale, bensì impedimento all'avvio delle attività formative. Perciò tale assenza non preclude l'esercizio dell'attività legislativa; eventualmente, potrebbe costituire un limite alla sua piena attuazione: la legge regionale, infatti, in più disposizioni richiama il rispetto dei livelli essenziali quale condizione per l'esercizio dell'offerta formativa. Ciò significa che si costruisce il contenitore man mano che lo Stato produrrà questi limiti ulteriori e la regione sarà già pronta a prendere atto di tali limiti e ad adeguarvisi. Quindi la casa, il contenitore, la legge è stata costruita prevedendo esattamente ciò che lei chiamava il rispetto della leale collaborazione tra i livelli e soprattutto il rispetto delle competenze, così come prevede il riformato Titolo V della Costituzione.
Per quanto concerne la certificazione e la sua spendibilità, non vi è dubbio che la disciplina dell'accesso all'università sia di competenza statale, tanto che la legge regionale è strettamente osservante delle disposizioni contenute nelle leggi: previsione di un quinto anno integrativo, di concerto con l'università, per l'accesso all'esame di Stato.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
VALENTINA APREA. Ciò vale anche per quanto riguarda le istituzioni formative trasferite e, soprattutto, la formazione regolamentata sulla materia delle professioni; per non parlare, poi, della quota capitaria, perché si tratta di finanziamenti che vengono, comunque, trasferiti alle regioni. Anzi, ritengo che porre in una legge in modo trasparente, definitivo ed univoco le modalità di redistribuzione di tali finanziamenti ai fini del rimborso delle agenzie che offrono tale servizio sia, ancora una volta, non solo...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
VALENTINA APREA. ...un esempio di buon Governo - concludo signor Presidente - ma anche una rassicurazione rispetto alla trasparenza che questi settori pubblici devono avere. Pertanto, mentre prendo atto dell'apertura fatta dal Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie locali, riferita solennemente in questa sede dal sottosegretario, la prego davvero di lavorare perché tale conflitto possa rientrare e si possa ridare serenità a chi lavora nei percorsi ricordati, agli studenti...
PRESIDENTE. Deve concludere.
VALENTINA APREA. ...che si sono iscritti e che, credo, abbiano il diritto di avere risposte dalla politica, sia nazionale sia regionale, che li possano aiutare e non farli fermare.
Pag. 56(Intendimenti del Governo con riferimento alla mancata creazione di aree di parcheggio gratuito da parte di numerosi comuni - n. 2-00780)
PRESIDENTE. La deputata Rossi Gasparrini ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00780, concernente intendimenti del Governo con riferimento alla mancata creazione di aree di parcheggio gratuito da parte di numerosi comuni (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, i sottoscritti chiedono al Governo di sapere quanto segue. Dopo aver preso atto da molte iniziative giornalistiche, ma non solo, in particolare da un'indagine giornalistica importante realizzata dalla redazione del Tg5 circa i rapporti fra i cittadini e i comuni per quanto riguarda il diritto a poter parcheggiare, risulta che in molti comuni italiani, soprattutto in quelli più grandi, le multe elevate contro gli automobilisti per infrazione del codice della strada rappresentano un incasso elevato e che, in alcuni comuni, tale incasso raggiungerebbe un importo addirittura superiore rispetto al valore totale delle entrate provenienti dalle imposte locali. Risulta, altresì, che la previsione di questi introiti venga persino inserita nelle previsioni di bilancio, a dimostrazione che simili entrate costituiscono, ormai, per numerosi comuni, una vera e propria voce di finanziamento delle proprie attività.
Da quanto premesso, sembrerebbe potersi dedurre la tendenza da parte degli automobilisti e dei motociclisti italiani a comportamenti spregiudicati e fortemente pericolosi per sé stessi e per gli altri. Analizzando i dati con attenzione, tuttavia, emerge che l'elevato valore economico delle multe è principalmente legato non a comportamenti rischiosi per la sicurezza stradale, bensì alla sosta a pagamento, laddove sia superata, anche di poco, l'ora di stazionamento pagata e al parcheggio in sosta non autorizzata. Ne consegue che, lungi dal contribuire a una maggior sicurezza delle nostre strade, le multe elevate contro gli automobilisti sono da questi ultimi vissute come vere e proprie vessazioni, soprattutto considerato che i cittadini già pagano, attraverso la tassazione, la costruzione, la manutenzione e la vigilanza delle strade. L'ingiustizia sociale avvertita dai cittadini è forte ed è tanto più evidente ove si consideri che automobilisti e motociclisti ricorrono all'uso dei mezzi privati per raggiungere il posto di lavoro e, non essendovi un servizio pubblico adeguato, questa rimane l'unica possibilità.
Pertanto, trovare spazi dedicati ad aree di parcheggio quasi risibili (e tutti, purtroppo, a pagamento) invece di spazi più ampi, porta ad una condizione di ribellione dei cittadini verso la politica amministrativa ma, soprattutto, nazionale.
Ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera f) del codice della strada, l'individuazione delle aree destinate a parcheggio a pagamento avviene fissando le relative condizioni e tariffe in conformità alle direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Con questa interpellanza urgente, si chiede se i Ministri interpellati e, in particolare, il Ministro delle infrastrutture, intendano adottare direttive - e se intendano farlo, quali - volte ad alleviare i cittadini da questa impropria e pesante pressione fiscale che, ad avviso degli interpellanti, costituisce un comportamento arbitrario da parte dei comuni che non investono, tra l'altro, le ricordate risorse nelle creazione di aree di parcheggio gratuito a disposizione degli utenti, ma anzi riducono tali spazi, espropriando di fatto gli stessi utenti di un servizio dovuto.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali, Pietro Colonnella, ha facoltà di rispondere.
PIETRO COLONNELLA, Sottosegretario di Stato per gli affari regionali e le autonomie locali. Signor Presidente, onorevole Rossi Gasparrini, onorevoli deputati, l'articoloPag. 577, comma 1, lettera f) del codice della strada dispone che i comuni possano stabilire nei centri abitati, con ordinanza del sindaco, previa deliberazione della Giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sosta, anche senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe in conformità alle direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le aree urbane. Allo stato attuale, a seguito della soppressione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la competenza in materia è incardinata presso il Ministero dei trasporti. Per quanto concerne il Dipartimento aree urbane, anch'esso soppresso, le relative competenze sembrano attribuite al Ministero delle infrastrutture, ai sensi dell'articolo 1, lettera c), del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 luglio 2006.
Tanto premesso, in via generale, giova ricordare i contenuti del citato articolo 7, primo fra tutti quello enucleato nel comma 7, il quale prevede che i proventi dei parcheggi a pagamento, in quanto spettanti agli enti proprietari della strada, sono destinati alla installazione, costruzione, gestione di parcheggi in superficie, sopraelevati o sotterranei, e al loro miglioramento e le somme eventualmente eccedenti ad interventi per migliorare la mobilità urbana. Si ricorda, inoltre, il principio enucleato dal successivo comma 8, il quale, sulla base di determinati presupposti, prevede che in prossimità delle zone destinate a parcheggio oneroso siano individuate zone a parcheggio libero. Tuttavia, non può sottacersi che, data la formulazione della lettera f) dell'articolo 7, in assenza dell'emanazione delle direttive ministeriali volte ad individuare condizioni e tariffe della sosta a pagamento, i comuni, di fatto, si ritengono, comunque, liberi di agire.
Proprio per tale motivo, è impegno di questa amministrazione provvedere all'elaborazione delle suddette direttive, al fine di ricondurre l'operato degli enti locali in materia di parcheggi onerosi ad uniformità e ragionevolezza. Certamente, onorevole Rossi Gasparrini, l'interpellanza urgente da lei presentata e sottoscritta da altri deputati costituisce, per il Ministero dei trasporti, uno stimolo positivo ad agire nel senso richiamato.
PRESIDENTE. La deputata Rossi Gasparrini ha facoltà di replicare.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, sono abbastanza soddisfatta della proposta che proviene dal Governo, di intervenire in materia, ricordando l'arbitrio cui sono sottoposti i cittadini.
Infatti, fa male sentire un sindaco dichiarare che il bilancio del proprio comune è triplicato perché vengono multati i cittadini. Per tornare alla difficoltà oggi esistente - che dobbiamo colmare - relativa al rapporto fra le persone e la politica. Si dice, in generale, che il Governo e il Parlamento siano da condannare, ma nella realtà lo sono gli abusi compiuti anche dalle amministrazioni, talvolta, forse in modo ingenuo - vorrei essere gentile -, contro i diritti dei cittadini.
Ricordo che lei ha citato l'articolo 7, comma 1, lettera f) del codice della strada, in cui è scritto che i comuni sono gli enti proprietari. Vorrei far presente che i proprietari delle piazze e delle strade sono i cittadini, non i comuni e che fin quando i sindaci penseranno di essere proprietari del proprio territorio, la democrazia nel nostro Paese avrà difficoltà ad essere amata.
Quindi, come gruppo Popolari-Udeur, saremo vicino al percorso da lei indicato, eventualmente anche predisponendo una proposta di legge in quest'ottica. Tuttavia, la nostra richiesta è di vigilare, affinché, in qualche modo sia noto che il Governo è contro tali abusi, in quanto quella che si sta verificando è una tassazione illecita.
Vorrei ricordare solo un paese, una cittadina italiana, che si chiama San Benedetto del Tronto. Presumo che perPag. 58essere alla moda abbia istituito delle aree di parcheggio onerose. Tuttavia a latere sono stati creati anche ampi spazi di parcheggio libero. In modo evidente, si è assistito ad una scelta da parte dei cittadini, perché le aree onerose si sono totalmente svuotate dal parcheggio, mentre le aree giustamente costruite per il parcheggio libero sono state occupate da chi di diritto: noi cittadini.
(Decisione del Ministero dell'università e della ricerca in merito agli esami per l'ammissione alle scuole di specializzazione per l'area medica per l'anno accademico 2007-2008 - n. 2-00784)
PRESIDENTE. Il deputato Barani ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00784, concernente la decisione del Ministero dell'università e della ricerca in merito agli esami per l'ammissione alle scuole di specializzazione per l'area medica per l'anno accademico 2007-2008 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
LUCIO BARANI. Signor Presidente, mi riferisco ai laureati, quei nostri giovani che hanno terminato il percorso formativo e che, ovviamente, per entrare nelle scuole di specializzazione, si trovano a dover sostenere un percorso ad ostacoli, oltre ai quiz che devono sostenere e al numero chiuso che noi, come socialisti riformisti del Nuovo PSI, non condividiamo.
Pertanto, chiediamo al signor sottosegretario che riferisca al Ministro e al Governo che è giunta l'ora di togliere il numero chiuso che non fa bene sicuramente ai nostri ragazzi, alle nostre università e ai futuri dirigenti del Paese.
Nello specifico dell'interpellanza urgente mi riferisco al bando emanato impropriamente il 4 maggio 2007, con il quale è stato indetto il concorso per titoli ed esami per l'ammissione al primo anno delle scuole di specializzazione di medicina e chirurgia, visto in particolare l'articolo 3, ove vengono declinati i requisiti per l'ammissione e considerato che viene richiesto quale requisito indispensabile il possesso dell'abilitazione alla professione di medico per la presentazione della domanda di partecipazione al concorso e che la sessione dell'esame di Stato per i laureandi è stata fissata per il 18 luglio 2007.
Quindi, il 4 maggio è stato emanato il bando di concorso, per il 18 luglio è stata fissata la sessione dell'esame di Stato e la scadenza del termine delle domande è stata prevista per il 4 giugno 2006: le date, ovviamente, non coincidono!
Sono date che danneggiano solamente i laureandi e le loro famiglie che non riescono a vedere coronato dal successo il loro percorso didattico; essi sono cioè obbligati a perdere, per legge, un anno. Non è previsto in nessuna parte del mondo che la legge dica a studenti che si sono laureati e che si stanno preparando all'esame di Stato che non possono iscriversi subito alle scuole di specializzazione, ma devono saltare un anno a causa degli errori nella pubblicazione delle date per l'iscrizione alle scuole di specializzazione.
Lo scorso mese di giugno, il sottoscritto ha già interpellato il Ministro dell'università e della ricerca, Mussi, che - proprio su mia sollecitazione - ha diffuso un documento nel quale comunicava di aver scritto una lettera al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali e al presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, nella quale affermava la propria volontà di far tenere alle università gli esami per l'ammissione alle scuole di specializzazione, per l'area medica, per l'anno accademico 2007-2008, entro il prossimo mese di novembre.
Nel medesimo documento - di cui ovviamente ho preso visione - il Ministro ha anche ricordato che il fabbisogno di medici specializzandi deve essere stabilito triennalmente ed ha invitato a utilizzare, per il prossimo anno accademico, il numero di cinquemila specializzandi (definito lo scorso 18 aprile in sede di Conferenza Stato-regioni).
In considerazione del fatto che il bando dovrebbe uscire almeno 60 giorni prima degli esami per l'ammissione alle scuole diPag. 59specializzazione medica e che ormai siamo già a metà del mese di ottobre - quasi alla fine - vorrei conoscere quali iniziative il Ministro intenda avviare al fine di mantenere fede all'impegno stabilito nel documento emanato lo scorso giugno.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca, Luciano Modica, ha facoltà di rispondere.
LUCIANO MODICA, Sottosegretario di Stato per l'università e la ricerca. Signor Presidente, come ricordato dall'onorevole interpellante, per l'anno 2007-2008 ossia quello appena iniziato, il ministro Mussi ha manifestato agli organismi istituzionali interessati alla questione la propria intenzione di anticipare lo svolgimento degli esami di ammissione alle scuole di specializzazione mediche rispetto alle date in cui gli esami si sono svolti negli anni precedenti.
Mi permetto di ricordare che negli ultimi dieci anni gli esami di specializzazione sono stati via via ritardati, fino ad arrivare alla situazione incredibile in base alla quale si svolgono alla fine del primo anno di corso e non prima del suo inizio. Quindi, l'impegno del Ministro Mussi è di riportare a normalità, esattamente come auspicato dall'onorevole interpellante, una situazione che negli anni è andata degradandosi.
In via preliminare, devo ricordare le procedure che si seguono per bandire tali esami di ammissione alle scuole di specializzazione mediche previste dall'articolo 35 del decreto legislativo n. 368 del 1999.
In base a questa norma il primo atto è rimesso alla Conferenza Stato-regioni che deve stabilire il fabbisogno nazionale di medici specialisti in ogni disciplina. Ciò è stato fatto - con ben nove mesi di anticipo rispetto all'ordinario - il 1o agosto del 2007: in quella data la Conferenza Stato-regioni ha approvato il fabbisogno dei medici specialisti a livello nazionale per l'anno accademico 2007-2008, quello che inizia il 1o novembre prossimo.
Sulla base di tale atto, con provvedimento di concerto tra il Ministro della salute, il Ministro dell'università e della ricerca e il Ministro dell'economia e delle finanze, è stato così determinato il numero globale degli specialisti per ciascuna tipologia di specializzazione, tenuto conto delle esigenze di programmazione delle regioni e province autonome con riferimento alle attività del servizio sanitario nazionale.
Tale provvedimento - già emanato - è stato inviato al controllo della Corte dei conti per la registrazione in data 22 settembre 2007 e quando sarà effettuata la registrazione esso sarà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.
Come è evidente, ci sono tempi tecnici per l'espletamento di queste procedure che sono stati necessari, anche perché si tratta di atti molto complessi di competenza di diversi Ministeri.
Dopo la pubblicazione di questo provvedimento, speriamo il più presto possibile, il Ministero dell'università e della ricerca provvederà all'emanazione del bando di concorso per l'ammissione alle scuole di specializzazione e ad indicare la data di inizio dell'attività formativa per quest'anno, che noi speriamo e ci impegniamo affinché sia prima del 1o gennaio 2008.
Subito dopo tali adempimenti, sarà fissata la data di svolgimento degli esami e sarà così rispettata l'intenzione del Ministro e del Ministero di anticipare lo svolgimento delle prove di ben otto mesi rispetto all'anno precedente.
PRESIDENTE. Il deputato Barani ha facoltà di replicare.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, ovviamente ringrazio il sottosegretario Modica e lo saluto. Ben ritrovato! D'altronde, è stato il magnifico rettore dell'università che mi ha visto studente e laureato, proprio in medicina. Non posso che accogliere il suo sforzo di sburocratizzare le nostre università.
Proprio ieri, la Camera ha votato un provvedimento per la modernizzazione della pubblica amministrazione, per la sburocratizzazione nei confronti dei cittadiniPag. 60e delle aziende e l'università è la principale azienda della cultura, che «sforna» i futuri dirigenti, i futuri laureati di questo Paese.
È ovvio che i bandi devono avere una scansione annuale fissa, perché è naturale. In queste nostre università non si riesce a dare loro una scadenza fissa, eppure dovrebbe essere pienamente pacifico, naturale.
È ovvio che non appare equo modificare le modalità di accesso senza prevedere strumenti giuridici compensativi. Anche questo è talmente naturale che non si riesce a capire perché le nostre università non lo facciano e non si comprende come la medesima amministrazione che calendarizza sedute di laurea, tirocini obbligatori ed esami di Stato non tenga coerentemente e logicamente conto di tali date nell'emanazione del bando di ammissione alle scuole di specializzazione e nelle relative scadenze.
Viene spontaneo dire, chiedere e invitare il Ministero a sforzarsi per far sì che le famiglie e i giovani non perdano un anno della loro vita di studenti per la preparazione alla professione.
Per molte famiglie un anno in più è un onere importante! Questo è un punto per il quale ci battiamo e al quale crediamo: siamo dei socialisti tradizionalisti e riteniamo che le università debbano essere aperte a tutti, senza numero chiuso, comprese le scuole di specializzazione, anche perché ci sono studi secondo cui basterebbe aumentare di un solo anno la scolarizzazione media in Italia per avere un punto di PIL in più all'anno nella nostra economia. Non è di poco conto!
Anche perché è un periodo di tempo che i nostri ricercatori e i nostri studenti, le nostre menti migliori, sono costretti ad andare all'estero; Mario Capecchi, il collega medico che è stato insignito del premio Nobel, ne è un esempio: è dovuto rimanere all'estero, anche per questioni familiari.
Lei, signor sottosegretario, è stato rettore di una delle più prestigiose università d'Italia: tutti i premi Nobel dello scorso secolo sono usciti dalla Normale di Pisa, dico tutti, senza nessuna eccezione; ciò significa che il Sant'Anna è una scuola che prepara, che seleziona, ma era libera e aperta a tutti quanti e ci poteva andare chiunque.
Noi che abbiamo avuto la fortuna di vivere quell'atmosfera, riusciamo a capirlo. Dico «noi» perché tra i miei compagni di università più fortunati c'erano il Ministro D'Alema e il Ministro Mussi. Questi sono usciti da quella università: hanno preferito, anziché conseguire la laurea, «buttarsi» sulla politica, e forse hanno fatto meglio. Io e molti altri che, in maniera silenziosa, abbiamo voluto, abbiamo dovuto continuare a studiare, riteniamo, nel momento stesso che rappresentiamo i nostri cittadini in questo ramo del Parlamento, di dover difendere i loro diritti e il diritto costituzionale allo studio e alla specializzazione, attività che adesso svolgono con grande difficoltà e col numero chiuso. Quando ci sono dei numeri chiusi non si è espletata appieno la democrazia e la libertà di studio, e secondo noi socialisti la Carta costituzionale non è ben attuata.
La ringrazio quindi, non posso non essere soddisfatto di quello che mi ha detto, perché anche lei si è reso conto, signor sottosegretario, che lo sforzo che state facendo è immane per cercare di impedire questi soprusi che vengono fatti ai nostri studenti e alle famiglie che li mantengono.
Auspico di non dover più presentare interpellanze su questa materia, il che significherebbe che effettivamente da gennaio si sarebbe ripristinata una normale scadenza dei bandi, e quindi la possibilità per i nostri studenti di adempiere allo studio. Vogliono andare a studiare, ad imparare, per cercare di portare quello che apprendono nella società, nella nostra collettività, e - perché no? - per poter avere in futuro dei premi Nobel che rimangono in Italia, lavorano in Italia, e portano sempre più in alto il prestigio delle nostre università e della nostra cultura.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
Sospendo la seduta, che riprenderà con le comunicazioni relative agli esiti della Conferenza dei presidenti di gruppo.
La seduta, sospesa alle 17,15, è ripresa alle 19,20.