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TESTO INTEGRALE DELLA DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE DEL DEPUTATO SABINA SINISCALCHI SUL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 3116
SABINA SINISCALCHI. Nel campo della cooperazione allo sviluppo l'Europa è il donatore più importante. Fin dalla sua costituzione - già con il Trattato di Roma - l'Unione Europea ha stabilito relazioni molto forti con i paesi in via di sviluppo, molti dei quali erano sue colonie. Relazioni regolate da convenzioni molto importanti che avevano come principale finalità quella di aiutare questi paesi nel cammino verso lo sviluppo e la democrazia.
I paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico guardavano all'Europa come a un grande partner politico, che li potesse aiutare a non essere schiacciati dalle due superpotenze che dominavano la Guerra fredda. Guardavano all'Europa come ad un alleato nel processo di decolonizzazione e nell'ancora più difficile processo diPag. 66costruzione del loro sistema politico, economico e sociale. Sulla carta l'Europa non ha mancato questa promessa: i testi degli accordi fin qui stipulati, quali la convenzione di Yaoundè, quella di Lomè, fino al trattato in vigore, quello di Cotonou, sono - oserei dire - quasi perfetti.
Come mai, allora, i paesi ACP versano ancora in così gravi difficoltà? Certamente i loro governi hanno gravi colpe, ma grandi responsabilità pesano anche sull'Europa.
Data la ristrettezza del tempo che mi è concesso, mi limiterò ad indicare alcune pesanti contraddizioni: un commercio internazionale sfavorevole a questi paesi che sono produttori di materie prime, spesso in regime di monocoltura, i cui prezzi sono altalenanti e tendenti al ribasso; la mancata soluzione della crisi del debito, alla cui base ci sono anche i prestiti concessi dall'Europa a governi corrotti e non democratici; una politica di cooperazione scarsamente coordinata e poco efficiente; un commercio di armi, fabbricate anche in Europa, che alimenta i conflitti che devastano il sud del mondo; infine, gli interessi geostrategici dei paesi membri che hanno avuto la meglio rispetto a una politica estera e di cooperazione comune.
Dunque, nonostante gli accordi dell'Europa e gli aiuti concessi (che comunque non sono così copiosi come si pensa), l'Africa e gli altri paesi ACP non ce la fanno. Le loro popolazioni sono povere, analfabete, affamate, malate di tubercolosi, malaria e AIDS.
Noi crediamo che l'Unione europea, proprio perché ha delle responsabilità passate e presenti verso queste popolazioni, debba svolgere verso il sud del mondo un ruolo di alto valore politico ed etico. Ecco perché voteremo a favore della ratifica dell'accordo di Cotonou modificato e del deciso rifinanziamento del Fondo europeo di sviluppo. Votiamo a favore perché nei testi si indicano con chiarezza tra gli obiettivi fondamentali la lotta alla povertà, lo sviluppo durevole e sostenibile, il raggiungimento degli obiettivi del millennio.
Tuttavia, l'articolo 18 dell'accordo suscita la nostra preoccupazione. In base a tale disposizione l'Europa intende mettere da parte l'approccio finora adottato che concedeva ai paesi ACP un sistema di relazioni commerciali non reciproche proprio in ragione della loro minor forza economica rispetto ai paesi dell'Unione.
Oggi l'Europa non intende più riconoscere tale trattamento di favore, intende abolire il cosiddetto sistema delle preferenze generalizzate, ed esige dai paesi ACP piena reciprocità, facendo proprio il diktat dell'OMC che peraltro i paesi industrializzati non rispettano (tanto è vero che i negoziati dell'OMC sono in stallo).
I paesi ACP vengono buttati nell'arena commerciale senza alcuna forma di protezione.
Di fronte a questa scelta, i parlamenti e la società civile di questi paesi da diversi mesi esprimono viva preoccupazione: in Commissione esteri abbiamo avuto delle audizioni in proposito: con la rete dei contadini dell'Africa occidentale, il Presidente della Camera ha incontrato parlamentari africani accompagnati da una importante ONG internazionale.
Tutti osservano che non ci può essere concorrenza leale tra partner tanto diversi per forza economica e tecnologica. Si teme che nei paesi ACP (molti dei quali sono paesi poverissimi) milioni di piccoli produttori e l'industria nazionale che è ancora infant, ancora debole verranno spazzati via dalle grandi imprese europee. I nuovi accordi impediscono anche forme di collaborazione regionale tra paesi in via di sviluppo perché non consentono accordi preferenziali tra paesi in via di sviluppo. Inoltre l'abbattimento dei dazi e di altre tariffe doganali farà perdere ai paesi ACP cifre ingenti che ÌUNECA (la commissione dell'ONU per l'Africa) ha calcolato in 9,2 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni.
Dunque con una mano si dà e con l'altra si toglie.
Come gruppo PRC-SE condividiamo queste preoccupazioni, se non altro per ragioni di buon senso: non si possono mettere in competizioni partner così diseguali.Pag. 67
Vorremmo evitare il disastro sociale che già si è prodotto in Africa con le ricette di risanamento economico imposte da BM e FMI dopo la crisi debitoria: dopo vent'anni di privatizzazioni e di tagli alla spesa pubblica per sanità e istruzione (mai per la difesa) le popolazioni dei paesi debitori (che fanno parte del gruppo ACP) sono stremate, i loro diritti fondamentali calpestati.
Noi crediamo che i diritti dei popoli e dei cittadini siano più importanti degli interessi commerciali, più vitali dei profitti delle grandi imprese; ecco perché vorremmo che il Governo italiano adottasse la linea della prudenza, dell'attenta valutazione dell'impatto dei nuovi accordi sulle popolazioni dei paesi ACP, adoperandosi perché i parlamenti e la società civile dei paesi ACP finora tenuta fuori dalla porta dei negoziati venisse ascoltata come del resto prevede uno dei cinque pilastri dell'accordo di Cotonou che prevede l'ampliamento degli approcci partecipativi (con l'apertura alla società civile, al settore privato e agli altri organismi non statali).
Questo il succo dell'ordine del giorno che abbiamo predisposto insieme alla relatrice - che ringraziamo per l'apertura e la dedizione - e che siamo certi che il Governo vorrà accogliere.