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Informativa urgente del Governo sul gravissimo incidente sul lavoro occorso presso l'acciaieria ThyssenKrupp di Torino che ha causato la morte di quattro operai, oltre a diversi feriti (ore 15,12).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo sul gravissimo incidente sul lavoro occorso presso l'acciaieria ThyssenKrupp di Torino che ha causato la morte di quattro operai, oltre a diversi feriti.
Avverto che, dopo l'intervento del rappresentante del Governo, interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per sette minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.
(Intervento del Ministro del lavoro e della previdenza sociale)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, Cesare Damiano.
CESARE DAMIANO, Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con riferimento a quanto accaduto presso le acciaierie ThyssenKrupp, desidero intanto esprimere tutto il mio cordoglio, anche a nome del Governo, alle famiglie degli operai coinvolti nell'incidente avvenuto presso le acciaierie torinesi.
Si tratta di una vera e propria strage del lavoro, una strage di persone innocenti. A Torino, venerdì scorso, il mio sgomento è dipeso dalla constatazione che l'incidente è avvenuto in una grande impresa, una multinazionale tedesca, una grande impresa sindacalizzata, con la presenza dei delegati responsabili della sicurezza, non in un'impresa invisibile del sottoscala o del lavoro nero. Ciò accresce il nostro allarme su questi episodi.
È evidente che in questa situazione forse ha giocato anche il fatto che ci siamo trovati di fronte ad una fabbrica che chiuderà i battenti, che è in dismissione, che può avere abbassato il livello di guardia sotto il profilo della tutela della sicurezza e dell'integrità fisica e psichica dei lavoratori. Naturalmente, come tutti sapete, dobbiamo premettere un doveroso riserbo su questi fatti, che è dovuto ogni qual volta siano in corso accertamenti di carattere penale, come nel caso di questo tremendo episodio.
Come sapete, tutte le indagini in corso sono affidate alla competente procura, che ha proceduto a nominare due consulenti tecnici con il compito di ricostruire l'effettiva dinamica dell'incidente. Allo stato attuale, le principali ipotesi ricostruttive dell'evento, descritto «come un'onda di fuoco che si è rovesciata sui lavoratori», riconducono la causa alla rottura di un flessibile, che ha causato la fuoriuscita di olio sotto pressione, un piccolo focolaio alimentatosi con l'acqua. AttualmentePag. 15sono in corso accertamenti su tutta l'impiantistica presente nello stabilimento, salvo la linea interessata dall'incendio che è posta sotto sequestro.
Noi siamo in attesa dell'esito delle indagini in corso da parte della magistratura e della competente ASL, e si è stabilito, in quell'azienda, il fermo produttivo dello stabilimento. Ogni possibile ripresa delle attività produttive è, dunque, subordinata agli esiti del negoziato sindacale delle parti. Anche questa era una precisa richiesta dei lavoratori, ossia di riprendere l'attività soltanto nel caso in cui fosse accertata la messa in sicurezza dell'intero stabilimento.
Come sapete, a Torino si è anche recata, guidata dal senatore Oreste Tofani, la Commissione parlamentare d'inchiesta sugli infortuni sul lavoro. Noi aspettiamo anche l'esito del verbale degli incontri promossi presso la prefettura di Torino. Anche in questa occasione, vogliamo stigmatizzare un fatto: a quel tavolo della prefettura l'azienda non si è presentata.
Tutti questi elementi ci portano a svolgere ancora una considerazione, quando siamo in presenza di simili eventi, che richiamano drammaticamente in causa la condizione dei lavoratori: il richiamo ad una discussione sul lavoro, alla sua perduta centralità, che ormai dura da decenni, che è seguita a poderosi processi di trasformazione dell'impresa e al suo rapporto con il mercato, che ha portato a livello globale, non solo in Italia, ad una logica nella quale le ragioni della competitività schiacciano inesorabilmente le ragioni del lavoro e della condizione umana. Tutto ciò ha portato - non possiamo non coglierlo nel Parlamento e nelle istituzioni - ad un'invisibilità del lavoro, ad una sua solitudine, soprattutto quando si tratta di lavoro operaio.
Questo richiama tutte le parti in causa e tutti noi al fatto che, quando consideriamo la qualità dello sviluppo di un Paese, non possiamo non riconoscere il fatto che la qualità dei prodotti è legata in modo stretto alla qualità della risorsa umana e che la qualità della sicurezza non deve essere vista come un costo che grava sulle imprese, ma come una chiave del successo della stessa impresa nella competitività globale. Se non compiremo tale passaggio culturale, che impegna tutti - le istituzioni, la politica, il mondo della cultura, il sistema delle imprese, il sindacato e i cittadini - non riusciremo a dominare questa situazione e a combattere la piaga delle morti e degli incidenti sul lavoro.
Voglio riportare alcuni dati statistici che ci fanno comprendere quale sia l'intensità di questo fenomeno, partendo da anni lontani: se pensiamo - mi riferisco ai dati storici dell'INAIL - al 1963 (eravamo nell'Italia del boom economico), notiamo che in quel periodo furono ben 4.644 i morti sul lavoro. Se ritorniamo ad anni più recenti il dato è sicuramente più ridimensionato, ma non per questo meno drammatico: ancora nel 2002 registravamo 1.481 morti sul lavoro, nel 2006 ben 1.302. Premesso il fatto che per noi anche un solo morto sul luogo di lavoro rappresenta un evento drammatico per quella comunità, per quelle famiglie e per l'intera cittadinanza, è evidente che, se vogliamo intervenire su tali argomenti e se vogliamo porre un freno a tale situazione, dobbiamo dimostrare concretamente, con l'azione politica e con l'azione sociale, la capacità di invertire la rotta.
Il Governo, come sapete, su tali temi ha provveduto ad elaborare un intervento organico, che ha coinvolto in primo luogo il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, il Ministero della salute, le regioni, le parti sociali e la stessa opposizione, per quanto riguarda la definizione di materie su cui insistono molte competenze e necessitano di una maggiore organicità.
Abbiamo cercato di riportare al centro della nostra azione una problematica non sempre affrontata con la dovuta decisione, sovvertendo anche quel senso di rassegnazione, talvolta di accettazione fatalistica, che si è spesso registrato in occasione delle cosiddette «morti bianche».
La sensibilità e la profonda attenzione del Presidente della Repubblica su tale tema costituiscono un conforto ed un impulso nella direzione nella quale tutti ci dobbiamo muovere. Capisco che nella sedePag. 16istituzionale in cui ci troviamo possa apparire perfino superfluo riconsiderare gli interventi normativi adottati, ma ritengo che sia opportuno richiamarli, anche per riportare ad azione e a concretezza le nostre iniziative.
Abbiamo cominciato ad agire su questi argomenti già nel 2006 con la legge n. 248 contenente misure urgenti per il contrasto del lavoro nero e per la promozione della sicurezza nei luoghi dei lavori. Perché contrasto al lavoro nero? Perché contrasto alla precarietà? Perché come tutti sanno, ed è statisticamente provato, vi è un nesso, un legame diretto fra presenza di lavoro nero e precarietà ed infortuni e morti sul lavoro. Vi è un nesso molto stretto che dimostra come questi infortuni gravino in particolare sui più giovani, sugli extracomunitari, su coloro che hanno meno cultura del lavoro accumulato. Per questo noi, in quanto Ministero del lavoro e della previdenza sociale, abbiamo cominciato ad agire per la nostra specifica ed esclusiva competenza sui cantieri dell'edilizia attraverso una norma che ha consentito, già nell'agosto del 2006, di varare un provvedimento di sospensione dei cantieri dell'edilizia in caso di impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari al 20 per cento. Abbiamo adottato, inoltre, sempre nel settore dell'edilizia, una tessera di riconoscimento, che i lavoratori sono tenuti ad esporre, e l'obbligo della comunicazione antecedente a quella dell'instaurazione del rapporto di lavoro per i datori di lavoro dell'edilizia. Questa norma può apparire secondaria ma in realtà è una norma di forte civilizzazione. Dei circa 180 morti sul lavoro per quanto riguarda l'edilizia ben il 15 per cento, ci dicono le statistiche, risultava assunto nel giorno del decesso: erano assunzioni post mortem. Questa norma, quindi, ha consentito, almeno da questo punto di vista, di impedire un simile atteggiamento che francamente dobbiamo assolutamente combattere. Abbiamo previsto, altresì, anche l'inasprimento delle sanzioni per le omesse iscrizioni ai libri obbligatori dei lavoratori e la reintroduzione di una norma semplice come l'indennità di trasferta a favore del personale ispettivo, abrogata con la legge finanziaria del 2006.
Tutte queste norme, tengo a sottolinearlo, sono state il frutto di un confronto con le parti sociali, con il sindacato unitario dei lavoratori, con i sindacati che rappresentano le imprese, a partire dai sindacati delle imprese delle costruzioni che hanno voluto, insieme al sindacato dei lavoratori e al Governo, combattere il lavoro nero per ottenere un triplice risultato. Il primo risultato è stato quello di avere una trasparenza retributiva; il secondo di non comprimere i costi della sicurezza sui quali, quando vi è il lavoro nero, si cerca di risparmiare, con conseguenti danni che derivano ai lavoratori. Il terzo risultato è stato quello di combattere la concorrenza sleale tra le imprese perché, come tutti sanno, quando c'è lavoro nero c'è concorrenza sleale e il paradosso è che l'impresa sana e trasparente viene messa fuori mercato dall'impresa che non è né sana, né trasparente e utilizza il lavoro nero.
Di fronte ai provvedimenti la domanda che ci facciamo sempre tutti - e che io certamente mi faccio - è se si tratta di provvedimenti utili soltanto sulla carta o di provvedimenti efficaci che cambiano in qualche modo, anche se gradualmente la situazione. Posso portare, al riguardo, un consuntivo che a mio avviso è molto importante: in quattordici mesi dall'entrata in vigore di quel provvedimento, cioè dall'agosto del 2006 all'ottobre del 2007, possiamo dire che il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale ha effettuato sui cantieri più di 33 mila accessi e sono state trovate aziende irregolari per il 57 per cento dei casi. Tutto ciò dimostra la drammaticità della situazione con la quale dobbiamo fare i conti. In quattordici mesi abbiamo sospeso ben 2.829 aziende dell'edilizia che risultavano irregolari. Questo ha significato la revoca di questi provvedimenti per il 40 per cento di queste imprese e ha portato a un risultato occupazionale molto importante. In primo luogo, secondo i dati dell'INAIL nello stesso periodo, sono diventatiPag. 17noti all'istituto ben 189.806 lavoratori dell'edilizia, il 55 per cento dei quali stranieri, il 60 per cento degli stranieri rumeni, e la metà di questo totale è rappresentata da lavoratori che hanno meno di trent'anni.
Vi è stato un impulso positivo all'occupazione nel settore a seguito di queste regolarizzazioni. Sempre in questi quattordici mesi abbiamo un saldo positivo di lavoratori occupati nell'edilizia, pari a 138 mila unità, e un saldo contributivo di più 57 milioni di euro per quanto riguarda l'INPS, dovuto a contributi versati aggiuntivi rispetto al periodo precedente. Nello stesso senso abbiamo agito con la legge finanziaria per il 2007, ad esempio, con l'immissione di 300 unità di personale ispettivo risultato idoneo al concorso pubblico. Abbiamo esteso a tutti i settori produttivi il documento unico di regolarità contributiva, nato nel settore dell'edilizia dopo il terremoto dell'Umbria, che quindi - lo ripeto - è stato esteso a tutte le attività. Abbiamo quintuplicato le sanzioni amministrative già previste per la violazione di norme in materia di lavoro, legislazione sociale, previdenza e tutela della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Abbiamo introdotto gravose sanzioni in caso di omessa vidimazione e istituzione dei libri obbligatori. Abbiamo previsto misure di emersione dal lavoro nero e di stabilizzazione del lavoro precario per favorire la trasformazione in lavoro subordinato del lavoro a progetto, con un risultato di 22 mila stabilizzazioni soltanto nel settore dei call center. Come previsto infine dai commi 1175 e seguenti dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007 è stato emanato, il 24 ottobre del 2007, il decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale relativo alla modalità di rilascio e di contenuti del documento unico di regolarità contributiva. Inoltre, nel luglio del 2007 il Ministero ha provveduto a determinare l'importo destinato al Fondo di sostegno per le famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro.
Infine, vorrei ricordare un atto legislativo molto importante. L'atto legislativo n. 123 del 2007, recante «Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia», è stato il frutto di un'azione molto rapida da parte di questo Governo, di confronto con le parti sociali e con l'opposizione. Ciò è dimostrato dal fatto che al momento del voto - rimarco tale circostanza sempre in modo positivo - si è registrata, oltre all'adesione di tutta la maggioranza, anche un'importante astensione dell'opposizione; ciò anche a segnalazione del fatto che quelli della salute, della sicurezza e dell'integrità psicofisica dei lavoratori non sono temi di parte ma devono riguardare l'insieme delle forze politiche e sicuramente la coscienza di un'intera nazione.
Questa legge, composta da dodici articoli, si divide in un primo articolo che prevede un successivo provvedimento d'attuazione della delega, ed altri undici articoli che sono già esecutivi. Su che cosa si eserciterà la delega? La delega si eserciterà intanto estendendo il campo di applicazione della normativa sulla salute e sicurezza sul lavoro, sia in senso oggettivo (riferendosi quindi a tutti i settori di attività) sia in senso soggettivo in virtù dell'estensione di tale legislazione a tutti i lavoratori e le lavoratrici, autonomi e subordinati - si tratta di un importante progresso - nonché ai soggetti ad essi equiparati, indipendentemente quindi dalla qualificazione del rapporto di lavoro (cioè ai lavoratori parasubordinati).
In secondo luogo, la delega prevede la semplificazione degli adempimenti formali in materia di salute e sicurezza, nel pieno rispetto dei livelli di tutela, con particolare riguardo alle piccole e medie imprese, anche andando incontro a quelle richieste di semplificazione burocratica che debbono badare alla sostanza della tutela della sicurezza dei lavoratori. Vi è nella delega la riformulazione, in un'ottica di razionalizzazione, dell'apparato sanzionatorio amministrativo e penale, anche al fine di assicurare maggiore corrispondenza tra l'infrazione e la sanzione corrispondente, tenendo conto dei ruoli di ciascun soggetto obbligato nonché della natura della violazione.Pag. 18
Nella delega sono inoltre previste: la maggiore efficacia della attività di vigilanza da ottenere mediante la razionalizzazione e il coordinamento degli interventi ispettivi; la formazione, intesa come strumento di prevenzione, attraverso la promozione e la divulgazione della cultura della salute e della sicurezza sul lavoro nell'ambito dell'attività scolastica e universitaria; la revisione, infine, della normativa in materia di appalti, con la previsione di strumenti in grado di valutare l'idoneità delle aziende in relazione all'osservanza delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, che diventa requisito indispensabile per accedere ad agevolazioni, finanziamenti e contributi pubblici.
Per quanto riguarda lo stato di attuazione degli altri punti che sono operativi, va anche qui rimarcato il fatto che, ad esempio, per la prima volta nell'articolo 3 è stata introdotta la previsione che il datore di lavoro committente, in caso di affidamento dei lavori a impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, promuove la cooperazione e il coordinamento per l'elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi, da allegarsi al contratto di appalto e d'opera. Si tratta di un fatto innovativo. Tale disposto facilita la realizzazione e il controllo delle misure di sicurezza proprie di ogni lavorazione, responsabilizzando tutti i soggetti coinvolti nel singolo appalto.
Nei contratti di somministrazione, di appalto e di subappalto devono, infine, essere indicati specificamente i costi della sicurezza. A tali dati possono accedere il rappresentante per la sicurezza e le organizzazioni sindacali dei lavoratori. Il datore di lavoro, quindi, è tenuto a consegnare al rappresentante per la sicurezza, su richiesta, copia del documento di valutazione dei rischi aziendali nonché del registro degli infortuni sul lavoro.
Il ruolo dei lavoratori nella elaborazione e gestione della sicurezza in azienda è rafforzato dalla possibilità per il rappresentante territoriale o di comparto dei lavoratori per la sicurezza, di esercitare le attribuzioni disposte dall'articolo 19 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, su tutte le unità produttive del territorio o del comparto di rispettiva competenza. Anche tale previsione allarga ad una sfera di controllo le unità di più piccola dimensione e consente lo svolgimento di un controllo di carattere territoriale.
Nell'articolo quattro si prevede che dall'anno scolastico 2007-2008 siano avviati progetti sperimentali in ambito scolastico nei percorsi di formazione professionale volti a favorire la conoscenza delle tematiche sulla tutela della salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Si promuove in sostanza un'ampia fase di coinvolgimento culturale sulla sicurezza, rivolta soprattutto alle giovani generazioni.
L'articolo 5 estende a tutti i settori imprenditoriali le misure per contrastare il lavoro irregolare previste per il solo settore dell'edilizia a partire dall'agosto del 2006, nel caso in cui venga riscontrato l'impiego di personale al nero superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori regolarmente occupati, ma anche nel caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro o di riposo giornaliero o settimanale.
Inoltre, viene prevista la possibilità di adottare il provvedimento interdittivo anche nel caso in cui vengano riscontrate gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
All'articolo 6 si estende la normativa della tessera di riconoscimento a tutti i lavoratori, di qualsiasi settore, compresi i lavoratori autonomi.
Inoltre, l'articolo 8 modifica l'articolo 86 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, prevedendo che, nell'aggiudicazione di un appalto pubblico, gli enti appaltanti valutino la congruità di un'offerta non solo sulla base del costo del lavoro ma anche di quello della sicurezza, che va indicato in maniera specifica. In sostanza, da una lato, lo scorporo del costo della sicurezza dal valore dell'appalto e, dall'altro, la questione della fissazione delle tabelle di retribuzione, disposta periodicamente dal Ministero delPag. 19lavoro sulla base degli accordi stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, sono la risposta concreta al tentativo, nell'appalto al massimo ribasso, di ridurre e comprimere sia il costo del lavoro sia quello, della sicurezza.
Infine, nell'articolo 9 sono introdotte apposite sanzioni pecuniarie e interdittive per le persone giuridiche i cui dirigenti siano responsabili dei reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro.
Come si vede, tutte queste misure, già operative dal mese di agosto scorso, rappresentano un primo passo importante nella direzione del potenziamento delle misure per la salvaguardia e la sicurezza nei luoghi di lavoro.
In conclusione, noi crediamo, come Governo, che non si tratti di promulgare nuove leggi emergenziali, ma che ci si trovi di fronte ad un complesso legislativo - come il decreto legislativo n. 626 del 1994 e la legge n. 123 dell'agosto 2007 - estremamente avanzato e qualificato, fra i più qualificati in Europa. Le leggi vi sono e vanno applicate.
Per quanto riguarda il Governo, nel corso del recente Consiglio dei ministri, si è comunque deciso di procedere ad una forte accelerazione dell'applicazione della delega e tale valutazione è concorde dell'intero Consiglio dei ministri. Riteniamo che entro il mese di gennaio si potrebbe completare la definizione delle deleghe. Si tratta di un iter che ha una sua complessità. Vorrei ricordare che sulla materia della sicurezza non solo vi è una competenza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e di quello della salute, ma vi è una competenza concorrente per quanto riguarda le regioni che esprimono, attraverso le ASL, la loro capacità di intervento e di controllo.
Il Governo ha già provveduto, nei giorni scorsi, ad inviare alle parti sociali un primo documento per la realizzazione di una prima parte della delega. Vi sarà un incontro già il 17 dicembre (lunedì prossimo) e, in base all'esito, siamo impegnati a portarne i risultati in sede di Consiglio dei ministri per un timing di realizzazione dell'intera delega. Allo stesso modo, porteremo al Consiglio dei ministri due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.
Il primo provvedimento riguarda il tema del coordinamento delle attività che è, come sapete, di competenza delle regioni e, soltanto nel caso in cui vi sia non applicazione o negligenza, si prevede un intervento sostitutivo da parte del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e di quello della salute.
Il secondo provvedimento ratifica l'accordo già intervenuto il 1o agosto fra il Governo e le regioni, al fine di aumentare le ispezioni a cura delle ASL dalle attuali settantamila all'anno alle previste duecentocinquantamila nel corso del 2008.
Analogamente, sarà nostra cura prevedere, sulla base della sollecitazione avvenuta nella discussione, la possibilità di inserire nell'ambito della delega l'esclusione dalle lavorazioni a rischio di quei lavoratori a termine, di lavoro temporaneo, che non devono essere esposti alla possibilità di incidenti, anche gravi, sui luoghi di lavoro. Questi sono i punti di riferimento ai quali guardiamo con molta attenzione.
Io ritengo - e concludo - che questa discussione e l'attenzione da parte delle istituzioni siano molto importanti. Ribadisco un punto essenziale: è necessario che nel nostro Paese prenda corpo concretamente e fattivamente non solo una forte collaborazione istituzionale, ma una forte capacità di riportare all'attenzione di questo Paese una vera e propria cultura della sicurezza. Ciò significa una nuova comunicazione, una nuova cultura, una nuova capacità di passare da una descrizione dell'irreale alla discrezione del reale, del quotidiano, della fatica di portare a termine la propria vita di lavoro, di arrivare a fine mese, della fatica della retribuzione, della fatica della prestazione, dei rischi e dei problemi di sicurezza che vi sono nei posti di lavoro. Ciò si può fare se sapremo anche rivalutare socialmente il lavoro - soprattutto quello operaio e manuale - ePag. 20se saremo in grado di affermare il principio che i costi della sicurezza non sono un onere che grava sull'impresa, ma una risorsa di investimento che qualifica il sistema produttivo, la vocazione sociale dell'impresa e la possibilità di tutelare adeguatamente l'integrità psicofisica di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-L'Ulivo e Verdi).
(Interventi)
PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei rappresentanti dei gruppi.
Ha chiesto di parlare il deputato Marcenaro. Ne ha facoltà.
PIETRO MARCENARO. Signor Presidente, ringrazio il Ministro del lavoro e della previdenza sociale per la sua comunicazione come al solito seria, precisa e dettagliata. Ho ancora nelle orecchie quelle parole «giustizia, giustizia» gridate lunedì mattina dai familiari e dai compagni delle vittime.
Giustizia, in primo luogo, significa accertamento delle responsabilità e dei responsabili, per quello che è capitato. Se anche solo una parte di quanto è stato detto e denunciato a proposito delle condizioni nelle quali si lavorava alla ThyssenKrupp di Torino risultasse provato, ci troveremmo di fronte a responsabilità molto gravi che andrebbero perseguite con il rigore che la legge prevede.
Questo accertamento delle responsabilità è anche un atto dovuto alle vittime, a coloro che non possono più parlare e che qualcuno, con un atteggiamento vergognoso, tenta già di far passare per i colpevoli. Noi ci attendiamo che la magistratura dia rapidamente, con serenità e chiarezza, le risposte che sono necessarie.
Ma quel grido «giustizia» non era rivolto solo ai tribunali. Esso denuncia un'ingiustizia più profonda, parla della nostra società e del lavoro. Morire in una fabbrica destinata a sparire tra pochi mesi è, se possibile, ancora più ingiusto e inaccettabile, e contribuisce a rendere ancora più duro quello che è successo.
Qui vi è una responsabilità sociale, delle imprese e anche - visto che in questa sede discutiamo e parliamo - delle istituzioni e della politica. Questa responsabilità, naturalmente, comincia dal problema della sicurezza e della lotta contro gli infortuni.
Questo Governo - Cesare Damiano, in particolare, ne ha parlato ampiamente - e anche questo Parlamento, con il testo unico sulla sicurezza hanno dato all'Italia, dopo molto tempo, un quadro legislativo tra i più avanzati in Europa. Noi siamo d'accordo con questa decisione del Governo: non si tratta di introdurre nuove norme in nome dell'emergenza, ma di applicare con rigore e serietà quelle leggi e di mettere a disposizione le risorse necessarie per farlo.
Voglio solo dire, a questo proposito, due cose.
In primo luogo, per essere efficace, l'azione della sicurezza deve assumere l'obiettivo «infortuni zero». Non ci si può rassegnare neppure ad una quota modesta di rischio. L'obiettivo di azzerare le morti sul lavoro è un obiettivo realistico: ne esistono tutte le condizioni tecniche ed è possibile costruirne le condizioni sociali.
In secondo luogo, la sicurezza - come la salute - è un bene pubblico e spetta al pubblico presidiarlo. È giusto spingere alla collaborazione e alla concertazione tra imprese e lavoratori, tra imprese e sindacati, ma il principio di sussidiarietà non può spingersi a negare il ruolo pubblico quale garante della sicurezza e della salute.
È un punto che, in particolare, va sottolineato nel confronto col sistema delle imprese, che spesso ha visto con fastidio - quasi come un'interferenza inutile - l'intervento pubblico su tale problema e il presidio da parte delle strutture pubbliche su questo aspetto.
Chi deve svolgere questo ruolo - come ha ricordato il Ministro - è il sistema sanitario che, attraverso le aziende sanitarie locali, ha il compito di organizzare la prevenzione e la verifica delle condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro. Qui vi è un problema che riguarda direttamente iPag. 21piani sanitari regionali e le scelte politiche e di uso delle risorse che, a questo fine, vengono destinate. Tuttavia - ripeto - non è solo un problema di risorse, ma anche di volontà politica, di impostazione e di cultura.
In conclusione, vorrei dire che per noi - per la sinistra riformista - questa vicenda ripropone in modo serio e profondo la questione del lavoro industriale.
Essa testimonia che abbiamo bisogno di un'analisi critica della società e dei rapporti di produzione, perché il lavoro industriale è ancora un luogo fondamentale di produzione della ricchezza, ma rappresenta il punto dove la sfida per i riformisti è più difficile, il luogo dove la contraddizione fra costrizione e libertà, fra lavoro e vita, fra concentrazione del potere e bisogno di democrazia e di partecipazione è più largo e più difficile da ricomporre.
Chi voglia affrontare tali temi, non può farlo semplicemente considerando i lavoratori come oggetti bisognosi di tutela e di protezione, non perché naturalmente sottovalutiamo tale bisogno, ma perché solo riconoscendo i lavoratori come soggetto sociale e politico di una battaglia che non si può vincere senza la loro partecipazione, si apre una fase nuova, si può rispondere a queste domande e si possono affrontare obiettivi così difficili e ambiziosi, se non si vuole rassegnarsi a vivere come nella profezia contenuta nell'opera di Wells La macchina del tempo, in un mondo diviso tra i Morlock costretti a vivere nelle caverne sottoterra, dove si produce, e gli Eloi che vivono illusi nel festoso mondo del consumo.
È con questo animo che, a nome del gruppo del Partito Democratico, esprimo, insieme all'augurio più affettuoso a quanti ancora combattono una difficile battaglia e una difficile lotta per la vita, il nostro dolore, la nostra partecipazione e il nostro impegno ai familiari e ai compagni delle vittime di questa tragedia (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-L'Ulivo, Verdi, Popolari-Udeur e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Osvaldo Napoli. Ne ha facoltà.
OSVALDO NAPOLI. Signor Presidente, Forza Italia è vicina alle famiglie che stanno vivendo un momento difficile per il lutto che le ha colpite e, certamente, anche alle famiglie degli operai che ancora oggi lottano contro la morte.
Inoltre, signor Presidente, i parlamentari piemontesi, insieme a tutta Forza Italia del Piemonte e al suo coordinatore regionale Guido Crosetto - che sarebbe voluto intervenire, ma i tempi della discussione in Assemblea non lo consentono - hanno ritenuto di partecipare concretamente a questo lutto attraverso un contributo economico che Forza Italia Piemonte ha voluto donare.
Ebbene, signor Presidente ho ascoltato attentamente quanto è stato detto poc'anzi, sia dall'onorevole Marcenaro, sia dal Ministro prima. Il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, è stato eluso e vi sono tante responsabilità, dell'azienda, dei sindacati (Ministro, lei stesso nello svolgere la sua relazione, un attimo fa, ha affermato che i sindacati erano parte integrante del controllo e che, forse, anche a loro sono da riferire delle mancanze in relazione a quel tipo di controllo), delle RLS: nessuno è esente da responsabilità.
È ovvio che il Governo non abbia responsabilità. Tuttavia, certamente ve ne sono - vorrei fare riferimento all'onorevole Marcenaro - quando si parla di politica. É stato fatto un lungo elenco. Lei, Ministro, ha fatto un elenco attento di quanto il Governo dovrebbe fare: aveva anche la possibilità di fare qualcosa! La legge è stata approvata in Parlamento e la mancata emanazione dei decreti va considerata certo in termini politici, non in termini concreti. Come ho già detto poc'anzi, il Governo non può avere responsabilità del genere, ma la mancanza dei decreti - in relazione a quanto da lei stesso elencato - è certamente una responsabilità del Governo.
Vi sono anche altri aspetti. Signor Ministro, lei ha fornito al Parlamento un quadro non esatto delle condizioni delPag. 22lavoro in Italia. Lamentarsi, come lei ha fatto, che vi siano pochi controlli in materia di sicurezza, mi permetta, signor Ministro, francamente, è grottesco!
Lei ci ha parlato soltanto del settore dell'edilizia e non ci ha detto che tra i settori certamente più colpiti il primo è l'edilizia, il secondo è quello dei lavoratori domestici, il terzo quello degli agricoltori. Lei non ci ha fornito altri dati.
Il Governo conosce le statistiche totali sugli incidenti sul lavoro? Lei, signor Ministro, conosce quali sono le aree geografiche e quali settori sono più funestati dagli incidenti? Quante sono le ispezioni effettuate dall'INAIL? In che percentuale le imprese hanno violato le norme sulla sicurezza?
Quali sanzioni sono state applicate nei loro confronti? Quanti contratti aziendali o nazionali si sono adeguati ai protocolli di garanzia in materia di sicurezza del lavoro?
Ritiene opportuno, il Ministro Damiano, che la sicurezza sul lavoro sia materia da ricondurre alla diretta ed esclusiva competenza dello Stato sottraendola da quella specie di limbo che è la legislazione concorrente Stato-regioni? Marcenaro, proprio in quanto ex consigliere regionale, ha posto il problema del controllo sulle ASL competenti per il controllo sulle aziende.
In assenza di risposte certe ed in attesa di smentite, si può soltanto affermare che certamente, signor Ministro, il Governo brancola nel buio e lei, questo buio, ce l'ha trasmesso, quest'oggi, facendo una relazione espressamente burocratica.
Avviandomi alla conclusione, faccio notare che i problemi, peraltro, sono anche altri; in Italia non vi è la cultura della sicurezza, lei ci ha detto quest'oggi quanto farà, sotto questo aspetto, vi è anche una mancanza di formazione su tale problema e noi riusciremo a vincere la battaglia se sapremo formare.
È vero che la formazione è competenza delle regioni, ma faccio riferimento a quanto osservato dianzi: il Governo non ritiene importante intervenire sulle regioni perché questa formazione avvenga realmente? Ebbene, tutto ciò, signor Ministro e signor Presidente, suscita in me personalmente e nel gruppo di Forza Italia l'impressione che si predichi bene, ma si razzoli male.
Il Primo Ministro Prodi ha incolpato, in televisione e su tutti i giornali, gli imprenditori senza avere il coraggio, però, di fare un minimo di autocritica.
Credo che sarebbe stato necessario trasmettere anche un'espressione di autocritica, autocritica che è anche mia personale - in quanto rappresentante delle istituzioni -, non soltanto del Governo. Un'autocritica che coinvolge tutti, non soltanto il Governo stesso, e che concerne quanto si è fatto e quanto ritardo si è registrato in questo settore.
Aggiungo, signor Ministro che, oltre all'elenco da lei fornitoci, nel disegno di legge finanziaria non vi è un solo punto in cui si stanzino finanziamenti per la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Direi, signor Ministro, che dalle parole è necessario passare ai fatti: se offriamo la dimostrazione alla gente all'esterno, agli operai, ai lavoratori che ciò avviene, daremo concretezza e fiducia nelle istituzioni. Nella sua relazione certamente questo non c'è (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, la solidarietà commossa e fraterna del gruppo di Alleanza Nazionale alle vittime di questa sciagura e alle loro famiglie deriva da un'antica e convinta coerenza della mia parte politica. Essa, in tutte le manifestazioni di solidarietà, consacrate anche nei suoi reiterati documenti, ha espresso vicinanza verso coloro che immolano la propria vita o che involontariamente la vedono sacrificata, sia che difendano la comunità con le divise delle forze dell'ordine, sia che contribuiscano alla ricchezza, al benessere e al progresso nazionale con la propria tuta, con il proprioPag. 23camice di lavoro, con tutti coloro che costruiscono la ricchezza, il benessere e la civiltà della nostra convivenza.
Abbiamo ascoltato dunque, con attentissima cura, quanto ci ha riferito il Ministro; una relazione che definirei persino onesta negli intendimenti - non ho difficoltà a darne atto - ma, mi si consenta, non per preconcetto di oppositore, alquanto al di sotto del livello della complessità e della drammaticità del problema.
Il Ministro ha fornito qualche dato che dall'ormai lontano 1963 ad oggi incoraggerebbe a sperare per la diminuzione rilevante del numero degli incidenti mortali, evidentemente frutto di un impegno che non è certo da ascrivere ad un solo Governo, ma ai molti Governi che si sono succeduti e, più che altro, al mettersi al passo con la tecnica, con le innovazioni che, da questo punto di vista, culturalmente avanzano.
Questa strage, però, per modalità e gravità, non può essere accettata sicché bisogna affondare di più il coltello nella piaga delle responsabilità affrontando la situazione di emergenza.
Su alcuni aspetti possiamo essere d'accordo, onorevole Ministro.
Anzitutto, il fallimento - lei non lo ha definito in questi termini, ma io lo chiamo tale! - del sistema delle ASL e delle regioni, regioni che sono avamposti di responsabilità a questo riguardo e che hanno, salvo lodevolissime ma poche eccezioni, fallito completamente sotto tale profilo.
La legislazione concorrente o, addirittura, primaria ha fatto registrare risultati assolutamente inadeguati e chi le parla, onorevole Ministro, è un rappresentante elettivo del popolo umbro. Se volessi speculare sulle parti politiche, quanto mi sarebbe facile!
Abbiamo berciato chissà quanto sulla sensibilità e sulla centralità del lavoro. Ebbene, la regione che mi esprime elettoralmente, l'Umbria, che pure è governata dalla sinistra rosa, da quella rossa e da quella ultrarossa, per non parlare di quella bianca, questa piccola regione, a nostra vergogna, è in testa nelle graduatorie nazionali per infortuni, anche mortali, sul lavoro.
E quando parliamo della ThyssenKrupp - e al riguardo rivendico sempre questa mia qualifica di rappresentante, anche territoriale, dell'Umbria -, sia ben chiaro: anche al colosso ThyssenKrupp, al cui destino, pure, è legata la sorte economica di un grande e vasto territorio, le sorti occupazionali, economiche e sociali di un vastissimo territorio, non abbiamo mai fatto sconti sotto il profilo della sicurezza, che abbiamo anteposto ad ogni altra valenza.
Se consideriamo che oggi quanto viene dismesso nel torinese verrà accorpato nel ternano, vediamo che, anche da un punto di vista dimensionale, il problema sarà ancora più delicato ed incisivo di quanto non sia già oggi.
A fronte di ciò, vedete, non siamo molto interessati, almeno in questo momento, che è di grande lutto, soltanto alla polemica. Sarebbe troppo facile! Vogliamo dare indicazioni, in ipotesi critiche, ma indicazioni ribadite e forti, in positivo.
Vi diciamo che bisogna stangare (non usiamo giri di parole) le medie e grandi imprese - che avrebbero le risorse e le possibilità tecniche e tecnologiche o, addirittura, scientifiche, in qualche caso, per poterlo fare - che non ottemperano agli standard di sicurezza.
Ma non con luoghi comuni! Sono belle frasi, onorevole Ministro, e non le pronuncia solo lei: dobbiamo convincere le imprese che la sicurezza non è un costo, ma una risorsa... Belle frasi, ma la sicurezza è un costo! È un costo - le chiacchiere stanno a zero -, ma è un costo doveroso.
Essa richiede, più di ogni altro fattore del processo produttivo, che vi siano investimenti congrui e proporzionati allo sforzo produttivo e quantitativo che le imprese vogliono darsi. È un costo - non usiamo perifrasi demagogiche o eleganti - che deve essere affrontato.
Occorre stangare quelle imprese, ma anche assistere le imprese, in particolare medie e piccole, in cui la figura dell'ispettorePag. 24non deve essere soltanto quella dell'ispettore che fiscalmente rileva le deficienze. Le imprese medio-piccole, che sono il tessuto fondamentale del nostro sistema e, come tutti ci ricordiamo l'un l'altro, della nostra capacità produttiva, hanno spesso risorse e tempi inadeguati per potersi mettere al passo. Dobbiamo svolgere un'azione anche di consulenza nell'ottica della prevenzione e questo lo abbiamo detto tante volte.
È qui con me il collega Lo Presti, capogruppo del mio partito, nella passata legislatura rappresentante di gruppo della mia forza politica in Commissione lavoro, che avevo l'onore di presiedere; ebbene, quante volte abbiamo cercato di stimolare il Ministero e le organizzazioni periferiche perché la rete ispettiva svolgesse anche questo compito di supporto nei confronti del sistema delle piccole e medie imprese.
E la campagna della sicurezza! Lo ha detto il Ministro, in verità, ma deve essere una campagna reale, signori del Governo! Non ce la possiamo cavare - stavo per dire all'italiana, ma non voglio usare più questa espressione, ahimé troppe volte abusata a nostra vergogna - con una giornata della sicurezza. Facciamo un rituale, la cerimonia, la consegna di due bei diplomi, più o meno pergamenacei. Non è così che si fa una campagna di informazione, che è educazione quotidiana, quasi un parametro di tutte le nostre decisioni, dei momenti formativi.
Quanto al sistema delle ispezioni, noi prendiamo atto con piacere, onorevole Ministro, che con i provvedimenti di questi giorni si immetterebbero ulteriori 300 unità nell'organico del potenziale ispettivo di cui disponiamo: noi siamo pronti a dare atto di misure che vanno nella direzione giusta sotto questo profilo; ma quali risorse accompagnano tutto ciò? O vogliamo ripetere - ahimè, facile previsione! - quanto è accaduto con le forze dell'ordine, di cui magari incrementiamo in piccola misura l'organico ma senza dare né risorse per la benzina - neppure per effettuare pronti interventi - né strumenti essenziali per poter agire ed adempiere ai propri compiti? E dove sono i denari, le risorse perché questo sistema possa funzionare? E dov'è lo sforzo di razionalizzazione? Anche qui faccio appello e ricorso alla mie esperienze, anche parlamentari da questo punto di vista: questa selva di competenze che si intersecano, aziende che vedono inutilmente sovrapporsi quattro ispezioni, che tormentano i più adempienti e spesso tralasciano coloro che sono inadempienti!
E poi ancora premere e formare i lavoratori, perché essi sono corresponsabili nella propria sorte! Le imprese debbono stare ai loro doveri, e i lavoratori debbono essere fortemente responsabilizzati, perché ciascuno ha un dovere di sicurezza anche verso se stesso nell'applicazione delle misure, sia detto senza demagogia. La mia forza politica, che da sempre si batte per il principio plurivalente della partecipazione dei lavoratori all'interno delle imprese, non è favorevole soltanto alla partecipazione agli utili prodotti o alle più vaste decisioni di strategia aziendale, ma lo è anche e soprattutto in settori che riguardano il morale e il fisico del lavoratore e la sua preservazione. E quindi, partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori direttamente là dove, invece, i sindacati hanno largamente parlato e poco concluso.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. E ancora il contrasto al lavoro nero e all'immigrazione irregolare, che sono fonti di queste disgrazie. Ed infine la difesa dalla concorrenza sleale dei Paesi dell'est, i quali non applicano alcuna misura di sicurezza e immettono sul mercato beni che recano contrasto alle nostre imprese che con fatica...
PRESIDENTE. Deve concludere.
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. ...debbono parametrarsi ai livelli di sicurezza.
Su tutti questi temi noi vi sfidiamo, signori del Governo, a dare con fatti, e non con nuove, inutili o ridondanti leggi, un segno di vera solidarietà in prospettiva aiPag. 25lavoratori italiani e alla loro sicurezza (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Rocchi. Ne ha facoltà.
AUGUSTO ROCCHI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi e colleghe, penso che il modo migliore di esprimere la partecipazione e la solidarietà ai familiari delle vittime di quel tragico incidente sia compiere il nostro dovere, il nostro dovere di varare leggi, fare scelte, compiere interventi che incidano concretamente perché fatti cotali non accadano più.
Per affrontare un problema come questo, bisogna avere il coraggio di guardare in faccia la sofferenza di quel padre che gridava in faccia a tutti noi la solitudine e la perdita di valore sociale di cui si sentivano vittime. Per troppi anni, tanti anni si è cercato di diffondere e si è diffusa in questo Paese l'idea che la centralità dell'impresa fosse al di sopra di tutto; che, anzi, i diritti, le conquiste, le tutele dei lavoratori e delle lavoratrici fossero un orpello rispetto alla possibilità dell'impresa di dispiegare appieno la sua potenza sui mercati e la sua capacità produttiva. Ciò ha portato in tutti questi anni a una distruzione metodica di quell'azione, di quel potere collettivo di difesa dei lavoratori, distruzione di tutela e di conquiste. Vengo da una città come Sesto San Giovanni, in cui ricordo di avere letto il primo volantino, quello di un'organizzazione sindacale che recava la scritta: «La salute non si paga». Era il segno di lavoratori e lavoratrici che avevano acquisito che non si poteva monetizzare tutto, e che la difesa della loro salute e della loro condizione era un bene primario. Possiamo tentare di sostenere, come ho sentito dire anche in Aula da qualcuno, che c'è qualche corresponsabilità di lavoratori e lavoratrici, qualche forma di disattenzione, di sottovalutazione di questi problemi?
Non è invece vero che in tutti questi anni si è costruita ed è divenuta dominante una cultura per la quale i diritti che quei lavoratori rivendicavano a tutela della loro salute vengono dopo la competizione sui costi e sui prezzi e dopo le scelte che l'impresa fa per essere competitiva e produrre profitto? Ne sono derivati turni massacranti, aumento dei carichi di lavoro e molte volte addirittura irrisione nei confronti delle rivendicazioni delle rappresentanze sindacali o dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Qualcuno qui tra noi sa come ha funzionato fino ad oggi il sistema della sicurezza (e speriamo che ciò cambi con il testo unico approvato in luglio)? Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza veniva chiamato dall'impresa e gli si mostrava, in ipotesi, un volume di 500 pagine (vale a dire, il piano della sicurezza sul lavoro), e gli si diceva di guardarlo: ma se il rappresentante domandava di prenderlo per conoscerlo e studiarlo, si rispondeva che non si poteva, perché vi era il segreto aziendale, e il testo doveva quindi restare depositato in quel posto. Non vi era neppure il diritto di comprendere quel documento, perché non c'era la formazione necessaria per poterlo conoscere e per poter intervenire!
Questa cultura ha non solo determinato la perdita di valore del lavoro nella società: ha anche portato con sé un fatto dirompente di modifica culturale più generale. Quanti tecnici ed ispettori della ASL si sentono oggi di svolgere pienamente il loro compito nell'effettuare le ispezioni (fino al punto, se necessario, di fronte a gravi inadempienze, di mettere in discussione o fermare un ciclo produttivo che metta a rischio la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici)? Persino nella magistratura del lavoro si è assistito in questi anni ad un'evoluzione che è stata conseguente alla perdita di valore del lavoro (in particolare di quello manuale e operaio) nella nostra società.
Occorre dunque affrontare una battaglia più generale, con la capacità di individuare strumenti che rispondano a questa situazione. Poco tempo fa, è morta una lavoratrice di ventinove anni, schiacciata da una pressa: quella lavoratrice aveva un contratto interinale. Ebbene, per parlarePag. 26di aspetti concreti sui quali intervenire, dobbiamo cominciare stabilendo per legge che nessuna forma di lavoro precario possa essere utilizzata per le lavorazioni pericolose o che implichino rischi: in tali casi, infatti, per i lavoratori e le lavoratrici non vi è alcuna formazione né vi è sedimentazione di conoscenze.
In secondo luogo, dobbiamo stabilire per legge non che non vi siano politiche di sostegno allo sviluppo delle imprese (ci mancherebbe altro!), ma che non si possa dare un euro alle aziende che non dimostrino di applicare tutte le norme sulla sicurezza e di non aver subito né condanne né giudizi per fatti legati a morti o ad incidenti gravi. Insieme a ciò, dobbiamo stabilire che - a fronte dei molti che in quest'Aula hanno parlato del peso della pubblica amministrazione e della necessità di tagliare e smaltire gli organici di ruolo - sia potenziato il ruolo dell'azione preventiva sul territorio da parte degli enti competenti al coordinamento territoriale.
Ancora, ed insisto su questo punto, dobbiamo rendere l'elezione degli RLS (i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) un fatto di grande civiltà e partecipazione democratica in questo Paese, in modo che essi possano incidere seriamente e con un potere reale nelle scelte dell'impresa.
Queste sono tutte scelte concrete. Certamente, Ministro, io credo - lo dico senza dubbio alcuno - che la legge sulla sicurezza sul lavoro che abbiamo prodotto in luglio sia stato forse il patto più avanzato che questo Governo ha realizzato. Ma per dare ad esso coerenza e applicazione, sono necessarie anche altre scelte: anticipare i tempi della delega e dare vita agli strumenti che prima richiamavo attraverso interventi legislativi anche urgenti e paralleli alla legislazione per rendere efficace questa azione.
Contemporaneamente, occorre agire su tutti gli altri terreni, fare della lotta alla precarietà attraverso gli strumenti legislativi il faro di guida della nostra azione, fare del rinnovo dei contratti di lavoro, della valorizzazione ed anche del riconoscimento salariale del lavoro un punto d'identità politico-sociale di questo Governo e di questa maggioranza. Sono tutte scelte importanti che dobbiamo adottare, ma chiedo che si compia anche un gesto in più: vogliamo finalmente stabilire, anche attraverso l'istituzione di un Fondo nazionale di sostegno ai familiari delle vittime degli incidenti del lavoro, un riconoscimento economico che li sostenga e fornisca loro uno strumento, a volte essenziale, di sostentamento?
PRESIDENTE. Deputato Rocchi, la invito a concludere.
AUGUSTO ROCCHI. Vi sono fondi ingenti - concludo - che dovrebbero essere utilizzati per risarcire gli infortuni sul lavoro (mi riferisco al famoso avanzo dell'INAIL). Credo che potremmo destinare proficuamente tali risorse al riconoscimento di quei tanti e quelle tante che hanno subito ingiustamente - da questa società e da questo modello del lavoro e di sviluppo - un'offesa alla loro vita a causa di incidenti o, addirittura, con la morte (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Partito Democratico-L'Ulivo, Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, Italia dei Valori, La Rosa nel Pugno, Comunisti Italiani e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Vietti. Ne ha facoltà.
MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, anche da parte del gruppo dell'UDC esprimo il cordoglio alle vittime e la solidarietà ai familiari, ai parenti e ai lavoratori ancora in cura e a quelli in via di guarigione (auspicabilmente). Desidero esprimere solidarietà se permettete - lo dico da torinese - anche alla città colpita da questa tragedia, una città che, con la chiusura della ThyssenKrupp, vede tramontare un'orgogliosa tradizione di industria siderurgica, che l'aveva connotata nei decenni passati, e purtroppo la vede tramontare in tale modo, certamente triste. Stiamo parlando di una città - credo vadaPag. 27ricordato - che non è certamente tra le ultime, anzi è tra le prime, quanto a cultura per la sicurezza, forse proprio perché, provata nel passato da eventi tragici di tale genere, si era attentamente attrezzata per un rispetto generalizzato delle norme sulla sicurezza del lavoro. Ha detto il Ministro - non possiamo che convenire con lui - che le responsabilità penali sono oggetto degli accertamenti della magistratura, e ci auguriamo che essi intervengano tempestivamente, dando dimostrazione di selettività nelle priorità dell'esercizio dell'azione penale. Certamente non possiamo non registrare che l'atteggiamento della società tedesca non si è caratterizzato per il massimo di sensibilità anche quanto a tempismo nelle reazioni. Probabilmente non basta solo un nome tedesco per dare garanzia di sicurezza: se è vero ciò che hanno diffuso i mezzi di informazione, le inadempienze erano state rilevate dalla ASL, le prescrizioni erano rimaste inevase e purtroppo - dobbiamo ricordarlo - questo evento tragico si colloca a pochi anni di distanza da uno precedente che già aveva colpito, per fortuna senza vittime, lo stesso stabilimento. Il collega Marcenaro ha ricordato che durante la manifestazione svoltasi a Torino lunedì le vittime ed i lavoratori hanno contestato la presenza dei politici e dei sindacalisti.
Credo che sia nel giusto il Presidente della Camera allorché invita ad ascoltare ed a tacere per riflettere. Penso che non sarebbe opportuno approfittare di un tale evento per compiere strumentalizzazioni che scelgano la via dello scaricabarile in ordine alle responsabilità. Il Presidente del Consiglio, con il suo noto tempismo, è riuscito a diffondere sui mezzi di informazione uno slogan per cui la colpa ricade sulle imprese. Sono rammaricato del fatto che il Ministro Damiano si sia soffermato un po' troppo a lungo nel suo intervento sul tema del lavoro nero, che è certamente rilevante, importante, serio e grave, ma che francamente è del tutto estraneo a quanto accaduto in questa vicenda. Allo stesso modo, il collega di Rifondazione Comunista ha ampiamente parlato del tema del precariato. Le vittime dell'incidente non erano né lavoratori in nero, né lavoratori precari, ma lavoratori subordinati e a tempo indeterminato, in condizioni normali, e pertanto non cerchiamo alibi per parlare d'altro.
Certamente vi sono responsabilità che ciascuno deve assumersi. Vi sono quelle delle imprese, quelle degli amministratori, dei politici e dei sindacalisti. Credo che sia stato onesto il segretario della FIOM di Torino a sostenere - lo scorso lunedì - che l'azione del sindacato non è stata sufficiente. Ritengo che piuttosto che attribuire colpe gli uni agli altri sia invece conveniente fare nostro il monito del Presidente della Repubblica, il quale ha affermato che è necessario un impegno comune di tutte le componenti che concorrono a dare vita al mondo del lavoro. Francamente, ritengo fuori tempo e molto obsoleta una visione ideologica e vetero-classista che compia un ragionamento di contrapposizione di classe basandosi su tali eventi. Il punto è che ciascuno deve fare la sua parte e il settore pubblico deve interpretare il ruolo del controllore. Certamente, la imprudente riforma delle competenze, con la devoluzione alle regioni che ha introdotto nell'ambito di cui si tratta la concorrenza regionale, determina qualche confusione e il coordinamento dei controlli delle ASL e degli ispettorati probabilmente andrebbe registrato meglio. Così si potrebbe discutere non solo delle morti e degli incidenti sul lavoro nel settore industriale o - come il Ministro Damiano ci ha ricordato - di quelli avvenuti nei cantieri in cui la percentuale di irregolarità è molto alta, ma si potrebbe avere la consapevolezza che vi sono vittime in tanti altri settori. Penso a quelle nel settore della sanità e forse sarebbe opportuno che si affrontasse anche tale problema. Infatti, in tale ambito assistiamo ad una situazione contraddittoria, poiché le ASL sono al tempo stesso i controllori e i controllati e spesso applicano a se stesse criteri di controllo molto diversi rispetto a quelli che applicano ad altri soggetti. Forse sarebbe opportuno discutere anche in ordine alla diversaPag. 28misura del rigore del controllo che si applica al piccolo imprenditore, a cui si chiede conto di tutto, mentre forse il controllo è meno rigido qualora si rivolge al grande imprenditore, nei cui confronti talora sussiste una sorta di timore reverenziale.
Signor Ministro temo di aver colto nel suo intervento una sorta di contraddizione inevitabile - o almeno percepita come tale - tra la globalizzazione, la competitività e la sicurezza. Non credo che tale contrapposizione vi sia o perlomeno dobbiamo lavorare perché che non vi sia. La globalizzazione è un dato di fatto così come la competitività sul mercato globale e dobbiamo far sì che tale situazione sia assolutamente compatibile con la sicurezza. Ci riconosciamo in una tradizione di pensiero che ritiene che la ricchezza non sia solo la distribuzione degli utili agli azionisti, ma sia costituita anche da comportamenti virtuosi i quali si traducono nella dignità e nel rispetto del lavoro [Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Allasia. Ne ha facoltà.
STEFANO ALLASIA. Signor Presidente, signor Ministro, il gruppo Lega Nord Padania fa le condoglianze ed esprime solidarietà alle famiglie colpite, ma questo non è un atto dovuto o ipocrita. La Lega Nord, da quando la ThyssenKrupp è entrata in crisi, ha svolto la propria azione politica, sia a livello parlamentare sia a livello territoriale. Dal primo momento, la Lega Nord si è resa conto che vi era una situazione di discrasia tra enti locali, parti sociali, sindacati, Governo e proprietà. Da ciò, sfortunatamente la scorsa settimana è scaturito un incidente terribile.
Signor Ministro, su una tragedia del genere lei ha svolto una relazione sterile, ha fatto solo propaganda. Infatti, ha parlato per l'ennesima volta di contratti interinali, di precariato e di tutte le situazioni che da sempre voi di sinistra state portando avanti contro le politiche di cui realmente il nostro Paese ha bisogno. Si dovrebbe vergognare parlando, proprio nella sua relazione, di saldo positivo e in attivo della vostra politica sul lavoro e sulla sicurezza. Mi hanno colpito enormemente la situazione e le sue parole sui procedimenti penali. La procura ha sicuramente aperto un fascicolo, andranno avanti la procedura e l'iter della giustizia, ma purtroppo, come abbiamo constatato negli scorsi decenni, in Italia tali procedimenti saranno vanificati dalle tempistiche e dalle lungaggini burocratiche. Inoltre, lo scorso anno, come primo atto, avete compreso nell'indulto l'omicidio colposo per infortuni sul lavoro, perciò tale reato è stato ulteriormente «depenalizzato». Pertanto, ha ben da lavorare la procura di Torino sulle cause che hanno portato all'incidente. Infatti, poi tali lavori saranno vanificati da un eventuale vostro indulto o dall'inefficacia della giustizia a causa delle predette lungaggini. Quindi, nel suddetto atto non vediamo nulla di buono.
Da quando è successo l'incidente, ci è parso molto strano che il livello mediatico si elevasse così ad alto spettro, forse per nascondere i veri colpevoli o per evitare di ricordare le migliaia di persone che ogni anno muoiono sul lavoro, direttamente o indirettamente. Nella sua relazione, signor Ministro, ha portato alla luce un gran numero di dati sui morti sul lavoro, però le ricordo che nel 2006, con il suo Governo, gli incidenti sul lavoro sono aumentati notevolmente. Tali incidenti sono dovuti anche alla vostra politica sull'immigrazione, mi perdoni la digressione. Infatti, facendo introdurre sul nostro territorio immigrati comunitari o extracomunitari che non hanno alcuna coscienza della sicurezza che si impone sul nostro territorio, inevitabilmente gli incidenti aumenteranno. Dal primo momento dopo l'incidente, la Lega Nord si è domandata le motivazioni per cui si è arrivati ad un disastro del genere.
Personalmente ho svolto subito alcune riflessioni e ho posto alcune questioni da portare all'attenzione dei lavoratori e di questa Assemblea. Sicuramente parte della colpa è degli enti locali perché ricordo benissimo che nel 2005 la regione, laPag. 29provincia e il comune di Torino, governati e amministrati dalla sinistra, hanno regalato 72 milioni di euro alla FIAT; perché tali somme non sono state investite nel settore della sicurezza sul lavoro, dato che lei, signor Ministro, ha anche ricordato che si tratta di una competenza regionale? Perché proprio gli enti di controllo regionali (l'ARPA, l'ASL o l'INAIL) non hanno effettuato i controlli e non hanno messo i sigilli alla fabbrica prima che avvenisse il disastro? La domanda sorge spontanea: cosa intende fare il Governo? Signor Ministro, lo dica a noi e non solo ai lavoratori della ThyssenKrupp, ma anche alle migliaia di lavoratori che attendono le vostre leggi sulla sicurezza del lavoro.
Secondo noi, parte attiva di questo disastro sono i sindacati, perché negli ultimi decenni abbiamo osservato che i sindacalisti hanno iniziato a far politica e hanno smesso di tutelare il lavoro e i lavoratori; pensano, piuttosto, a venire a sedere sugli scranni più alti delle due Camere o dei Ministeri e non pensano più ai lavoratori che ormai sono ostaggio dei padroni (come li chiamate voi), ma ancor di più della globalizzazione. Proprio sul tema della globalizzazione anche gli enti locali sono stati latitanti perché hanno consentito che si iniziasse una delocalizzazione verso altre città, in questo caso italiane, della ricordata multinazionale. Dai giornali di oggi abbiamo appreso che proprio i lavoratori scampati al disastro avevano segnalato - lo hanno affermato anche altri colleghi intervenuti prima di me, che forse hanno più coscienza di lei, Ministro, della situazione del lavoro italiano in fabbrica - che da anni nella fabbrica di cui si tratta la sicurezza latitava e avevano denunciato l'inadempienza dell'azienda alle ASL, agli altri organi competenti e ai propri sindacati.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
STEFANO ALLASIA. Ma i sindacati cosa hanno fatto? Nulla, perciò noi continuiamo a ribadire che avete lasciato morire quei lavoratori! Una soluzione ci potrebbe essere e, come è già stato affermato, è relativa ai Fondi di investimento dell'INAIL, che si aggirano intorno ai 12 miliardi di euro e che, ogni anno, sono attribuiti al Ministero dell'economia e delle finanze. Occorrerebbe, invece, sottrarre queste somme a tale Dicastero, per consentire al Ministero competente di riappropriarsene, al fine di reinvestirle nella formazione e nella cultura della sicurezza perché, come si è sottolineato, manca in Italia, nel Bel Paese, la cultura della sicurezza (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Gloria Buffo. Ne ha facoltà.
GLORIA BUFFO. Ciò che è accaduto a Torino è atroce e sono atroci tutte le morti sul posto di lavoro, dove ci si reca per guadagnarsi da vivere e non per morire, come sanno bene le famiglie, gli amici e i colleghi delle vittime e dei feriti, ai quali esprimiamo tutta la nostra solidarietà. Noi però, in questa Assemblea, sapevamo tutto ciò che gli italiani hanno appreso, in molti casi per la prima volta, dalla televisione, ossia che spesso si lavora in condizioni infernali, che se si guadagna poco, si fanno troppi straordinari, che la paura di restare senza lavoro fa accettare condizioni e rischi inaccettabili e, inoltre, che la sicurezza è sulla carta, ma spesso non è nella fabbrica, né nel cantiere.
Poiché lo sapevamo tutti - naturalmente con responsabilità diverse, perché non siamo tutti uguali - chi lavora oggi si sente solo ed esprime una rabbia giustificata. Il Ministro ha affermato che quella di Torino non è un'impresa del sottoscala. È il lavoro che nel nostro Paese, in questi anni, è finito nel sottoscala e a noi spetta, se vogliamo agire in modo serio, di farlo tornare al piano nobile, per il bene dell'Italia.
A noi spetta impedire che questa e tutte le altre vicende che accadono tutti i giorni finiscano all'italiana. Alla legge, che in questa materia è buona, segue una pessima pratica. All'ondata di emozione e di indignazione seguono molte parole e poi il solito tram tram.Pag. 30
Noi di Sinistra Democratica sappiamo bene che il buco nero non sta anzitutto nelle norme in materia di sicurezza. Sui cantieri si è cominciato ad agire molto positivamente in questa legislatura. La normativa generale sulla sicurezza, costituita dal decreto legislativo n. 626 del 1994, doveva essere migliorata e aggiornata, nonostante fosse buona, e il Parlamento lo ha fatto. Inoltre, poiché occorre emanare i decreti attuativi, è bene farlo presto e bene, rafforzando le scelte giuste. In particolare, chiediamo di rendere operative al più presto l'esclusione dei lavoratori precari e degli apprendisti dalle mansioni considerate pericolose nei primi tre mesi di lavoro, l'assunzione di un numero congruo di ispettori delle ASL e del Ministero del lavoro, norme che impongano di indicare i costi della sicurezza in modo distinto nelle gare d'appalto, nonché il rafforzamento del ruolo dei rappresentanti della sicurezza sul lavoro.
Sappiamo bene che non è solo dalla legge su questa materia che dipendono la sicurezza e la salute sul lavoro. Esse dipendono dall'orario. Occorre subito una legge che definisca l'orario massimo giornaliero, oltre che settimanale e mensile. Gli italiani sono rimasti ammutoliti, quando hanno appreso dai telegiornali quante ore lavoravano gli operai della ThyssenKrupp. Sapevamo di aver recepito la norma europea sull'orario di lavoro, senza specificare la necessità di un limite giornaliero.
Ho trovato poco morale che qui qualcuno abbia provato a scaricare sui sindacati responsabilità che non hanno. Signor Ministro, non le nascondo che dai banchi in cui siedo abbiamo giudicato male e contrastato le norme volute dal Governo per favorire gli straordinari. È una scelta che va nella direzione sbagliata, perché non aiuta a redistribuire il lavoro e a qualificarlo.
Comunque, noi lavoriamo costruttivamente, affinché sull'orario di lavoro si approvi un provvedimento impegnativo in tempi rapidi.
Bisogna spingere anche nella direzione di un aumento dei salari e delle retribuzioni, attraverso i contratti da rinnovare, tramite la restituzione del fiscal drag (e bene si è fatto a prenotare l'extragettito del prossimo anno in questa direzione) e chiedendo, in un Paese dove da molti anni i profitti sono molto cresciuti e i salari molto calati, che le imprese, oltre a pretendere gli incentivi, facciano la loro parte sul piano della redistribuzione della ricchezza.
Inoltre, bisogna subito introdurre la responsabilità sociale di impresa verso i lavoratori esternalizzati. Mi riferisco ad una norma della legge n. 30 del 2003. La responsabilità di impresa è un tema moderno, di cui in Italia si discute poco. Si discute moltissimo di tasse, ma pochissimo di responsabilità sociale delle imprese. In questa sede, sarebbe poco dignitoso entrare in polemica sulla legge n. 30 del 2003, ma non sfugge a nessuno che le regole del mercato del lavoro nel nostro Paese non vanno nella direzione giusta. Esse non scoraggiano a sufficienza il contrasto agli incidenti e non si occupano di promuovere adeguatamente la qualità del lavoro, oltre che la dignità delle persone. Allo stesso modo, è nemico dei lavoratori il ritmo massacrante e, come affermavo prima, l'orario senza limiti chiari, perché ciò rende più debole anche la contrattazione.
Per tagliare le gambe alle morti bianche bisogna aprire un'altra stagione in cui porre al centro la condizione di lavoro, la salute e la qualità, messe in secondo piano da anni di deregulation ma anche di timidezza del centrosinistra e di subalternità diffusa, per esempio nei mezzi di comunicazione, ad una cultura dove la competitività consisteva e consiste ancora nello «stringere» il lavoro, anziché investire in un sistema produttivo e della conoscenza degni di un Paese moderno.
Quando parliamo di tutela e dignità del lavoro, valori assoluti e beni pubblici, non stiamo parlando di qualcosa di diverso dal «caso italiano», perché il declino passa anche da qui: un ruolo residuale dell'Italia nell'economia internazionale e in quella europea è anche figlio del trattamento misero riservato al lavoro.Pag. 31
È positivo il fatto che il Consiglio dei Ministri abbia discusso le proposte avanzate dai Ministri della Sinistra Arcobaleno. Vorremmo sapere se quelle proposte diventeranno fatti - riguardo all'orario, ai rami d'azienda, agli straordinari - perché ciò gioverebbe all'Italia, non ad una parte politica.
Per voltare pagina occorre un salto visibile, che resti e produca frutti.
Infine, esprimo una notazione amara: Mediaset ha interamente dedicato una trasmissione al tema (mi riferisco alla trasmissione di Matrix); la RAI ha promesso, annunciandolo anche nei telegiornali, un'intera puntata di Ballarò, che nei fatti, ieri sera, per tre quarti si è concentrata sul chiacchiericcio politico di giornata (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo).
Il servizio pubblico, di cui siamo editori, è chiamato a ben altro ed il Parlamento dovrebbe ricordarglielo. Anche ciò rientra nei nostri doveri (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pedica. Ne ha facoltà.
STEFANO PEDICA. Signor Presidente, anche il gruppo Italia dei Valori esprime la propria solidarietà ai familiari e il cordoglio per le vittime. Ringrazio il Ministro per l'attenta esposizione.
Oggi ci troviamo a discutere e a confrontarci sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, a seguito dell'ennesima tragedia che ha colpito alcuni lavoratori nel nostro Paese.
Purtroppo non è la prima volta che accade e se non vogliamo che il dettato costituzionale, secondo il quale l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, diventi una formula per un vacuo esercizio di pura retorica, è giunto il momento di agire presto ed in maniera efficace.
Ritengo doveroso riportare in quest'Aula alcuni brevi e significativi estratti di una lettera dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dell'acciaieria della ThyssenKrupp di Torino, inviata al nostro partito, Italia dei Valori, e pubblicata nel nostro sito www.Italiadeivalori.it, che sintetizza egregiamente la questione.
Onorevoli colleghi, chiedo di riflettere su quanto sto per leggere: è una lettera autografa e ci deve far riflettere, tutti, su quanto non abbiamo fatto, considerato che proviene dai lavoratori.
Cito testualmente per estratto: «Sappiamo che questi operai lavoravano ininterrottamente da dodici ore e che la fabbrica era in dismissione, anche se vi lavoravano ancora duecento operai. La cosa ancora più grave è che, in uno stabilimento di un'azienda come la ThyssenKrupp, vi fossero tre estintori vuoti, gli idranti rotti, e che non funzionasse nemmeno il telefono interno per l'emergenza. Ci chiediamo: ma dove sono i controlli?». La lettera continua: «Noi lavoratori lo andiamo ripetendo da tempo, peccato che nessuno ci ascolti: mancano i controlli, perché i tecnici della prevenzione delle ASL sono meno di duemila in tutta Italia...». Signor Ministro, lo scrivono gli operai! «...E con tante aziende da controllare manca la cultura della sicurezza del lavoro; manca la formazione e l'informazione ai lavoratori; manca la certezza della pena».
Un collega prima ha fatto riferimento a volumi di cinquecento pagine secretati: questa è un'altra vergogna che bisogna mettere davanti ai nostri occhi, come egli ha sostenuto.
«Concordiamo pienamente» continuano a scrivere «con il discorso del Capo dello Stato: "Non basta fare le leggi ma occorre che le norme vengano applicate. Conta molto anche l'impegno delle imprese, dei sindacati e degli stessi lavoratori che devono essere sufficientemente in grado di difendere se stessi dai rischi sul lavoro". Lo andiamo dicendo da tempo che non basta solo la legge n. 123 del 2007 per risolvere i problemi della mancata sicurezza sul lavoro che ci sono nelle aziende. Concludiamo con questa proposta: perché, per iniziare, non si sbloccano le assunzioniPag. 32dei tecnici della prevenzione così da poterne assumere degli altri? Attendiamo risposte».
Questa è una lettera che sicuramente sarà arrivata anche al signor Ministro. È una lettera, signor Ministro, che non ha bisogno di commenti ma che ci deve impegnare tutti. Nessun partito si deve sentire escluso da questa responsabilità e ci dobbiamo sentire partecipi di queste disgrazie se non variamo una legge che preveda delle tutele. Ha fatto bene il Governo a riferire immediatamente in Aula sull'accaduto ma ovviamente ciò non basta e non deve bastare. Il rispetto, onorevoli colleghi, per il mondo del lavoro ci impone una responsabilità che deve unire tutti i rappresentanti delle istituzioni al di là degli schieramenti politici, sia i rappresentanti dei Governi di oggi sia quelli del passato; deve unire sia l'attuale opposizione che la maggioranza per recuperare il ritardo accumulato in materia di sicurezza sul lavoro che è indegno in un Paese civile. Su questo aspetto è necessario compiere ogni sforzo nella direzione dell'affermazione di una piena legalità. Vanno svolti controlli e vanno controllati i controllori, perché purtroppo alcuni si fanno pagare, si fanno corrompere e questo rappresenta un altro disastro.
Quante morti sul lavoro conosciamo? Troppe! Ma quante non sono mai, né mai verranno conosciute, signor Ministro? Onorevoli colleghi, ricordo che abbiamo votato in fretta la legge sulle morti bianche per farla applicare subito e per inviare gli ispettori a controllare immediatamente l'applicazione delle misure di sicurezza. Oggi, inoltre, apprendiamo positivamente la notizia dei 200 o 300 ispettori in più. Malgrado ciò, gli ispettori sono pochi, sono troppo pochi per le tante aziende che lavorano. Noi vogliamo che questi ispettori vengano a controllare immediatamente l'applicazione delle misure di sicurezza. Oggi, invece, siamo qui a constatare che proprio l'assenza di questi ispettori e la mancata applicazione della legge ha provocato quest'ultima strage che segue quella di Cassino, di pochi giorni fa, quella precedente di Mantova e innumerevoli altri episodi. Noi stiamo piangendo dei morti e le condoglianze rappresentano sempre un atto di vergogna che ci dobbiamo responsabilmente accollare sulle nostre spalle. È necessario mettere in campo una serie di controlli di cui è fondamentale accettarne i costi: la vita dei lavoratori non è una questione di compatibilità economica. Dai controlli deve seguire l'accertamento delle responsabilità e successivamente l'applicazione di sanzioni e pene severe ma soprattutto certe. Avevo invocato l'intervento in Parlamento del Governo e registro - lo ripeto - con soddisfazione il suo pronto intervento, onorevole Ministro, ma abbiamo bisogno, l'Italia, il nostro Paese ha bisogno urgentemente, da subito, da ieri, da sempre, di più ispettori che diano un senso alla legislazione che ritengo adeguata e che deve solo essere applicata. Tutto ciò è quello che dobbiamo alle vittime del lavoro, ai loro familiari, alla collettività di un Paese che vuole ritenersi civile (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Turci. Ne ha facoltà.
LANFRANCO TURCI. Signor Presidente, signor Ministro, il gruppo de La Rosa nel Pugno si associa, innanzitutto, al cordoglio per le vittime dell'incidente sul lavoro alla ThyssenKrupp di Torino ed esprime solidarietà alle famiglie, ai compagni di lavoro. Anche noi, tuttavia, non vogliamo sottrarci ad illustrare alcune considerazioni avviate con l'introduzione del Ministro Damiano. Si potrebbe dire in prima battuta che siamo di fronte ad un altro grano di quel rosario infinito di vittime del lavoro che ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, dobbiamo elencare nei nostri bollettini più tristi.
In questo senso si potrebbe anche fare una considerazione storica - come ci ha proposto il Ministro Damiano - valutando i dati storici dei morti sul lavoro, dagli oltre 4.600 del 1963 ai 1.303 del 2006. Tuttavia, si tratta sempre di una tragica e triste statistica a cui non possiamo rassegnarci, perché, se è vero che in quel caloPag. 33storico dei morti sul lavoro vi è il segno di un progresso sociale, civile e anche tecnologico, è pur vero che, ancora oggi, il numero di morti è assolutamente inaccettabile, date le possibilità che vi sono in termini tecnologici, sociali e legali per contenere in modo molto più significativo questo dato che accompagna la nostra vita economica e sociale.
Ciò che ha colpito, più di ogni altro aspetto, nella vicenda di Torino è il contesto in cui questo incidente si è svolto. Torino è per tutti noi, per tutti gli italiani la capitale storica dell'industria moderna italiana anche se certamente la stessa ha vissuto la trasformazione in una città prevalentemente terziaria, e vi sono stati tutti i cambiamenti che conosciamo. La ThyssenKrupp è un gruppo a livello mondiale tra i più forti nella produzione dell'acciaio che vanta di posizionarsi sulla frontiera più avanzata della tecnologia in tale settore (basti vedere il sito Internet di questo gruppo multinazionale). Per di più il Ministro Damiano ci ha ricordato che l'impianto di Torino non è, appunto, il sottoscala dove si producono, magari in nero, prodotti di lusso per i grandi marchi della moda mondiale, e non è neanche uno dei tanti cantieri edili sui quali meritoriamente il Governo, il Ministro e il Ministero del lavoro e della previdenza sociale hanno svolto un'attività proficua nell'ultimo anno sulla base dei dati che ancora oggi sono stati ricordati.
Non è così. In questo caso si tratta di un'azienda e di un'impresa storica torinese sindacalizzata, con lavoratori non in nero e con lavoratori non precari; tuttavia, in questo contesto, è avvenuto un incidente così drammatico che, per alcuni aspetti, per la sua dinamica, nonché per le inadempienze che ha messo in evidenza è assolutamente inaccettabile e incredibile.
In questo bel contesto che abbiamo ricordato e dietro questi nomi così altisonanti vi è un capannone industriale che per molti aspetti ci ricorda più un'azienda cinese, di quelle che vediamo quotidianamente nei documentari sulla vita industriale del miracolo economico cinese di questi anni, piuttosto che un'azienda di quelle che dovrebbero essere classiche nell'industria storica e tradizionale dell'Italia, dell'Europa, in particolare di quella moderna.
Come è possibile tutto questo? Mi viene in mente di parafrasare un vecchio titolo: La Cina è vicina. Ma quello era il titolo di un film con aspirazioni rivoluzionarie, mentre qui non stiamo evocando la Cina della rivoluzione, ma quella della sua rivoluzione industriale con dati così gravi in termini di libertà sindacali, di condizioni del lavoro e di vita delle masse popolari di quel Paese. Pertanto, credo che - per commentare questa situazione, colleghi - il problema non si risolva continuando a scrivere pagine di letteratura sulla scomparsa della centralità del lavoro, in particolare di quello dipendente, e del lavoro industriale. Questo è un dato di fatto che ha che fare con i cambiamenti sociali, con il passaggio dal secondario al terziario, e con tutte le condizioni che conosciamo. Difficilmente evocando quella letteratura, degli anni Settanta e Ottanta, possiamo trovare una risposta a questi problemi.
La questione, al di là della centralità o meno del lavoro e del lavoro industriale, ha a che fare, forse in termini più modesti ma più significativi, con il problema della responsabilità d'impresa. Non possiamo accettare che le imprese si misurino unicamente sul valore e sulla produzione del valore per i loro investitori, per i loro azionisti e sugli stipendi multimiliardari che si pagano ai loro manager. Un'impresa, prima di tutto, ha una responsabilità sociale verso coloro che la animano e che vivono all'interno di quell'impresa e che la fanno vivere e produrre. È significativo che, per esempio, oggi sui giornali noi possiamo leggere questa stessa valutazione dal punto di vista di due autori fra di loro molto diversi. Da un lato il professor Gallino, un critico notoriamente di sinistra della realtà industriale e sociale del nostro Paese, che ci ricorda però che l'aspetto centrale della questione ha a che fare con la cultura manageriale, tecnica e dirigenziale, e con la sensibilità o meno della suddetta nei confronti dei temi dellaPag. 34sicurezza sul lavoro. Un altro commento, nel quale troviamo gli stessi concetti espressi con parole diverse, proviene da un autore diverso come Cipolletta, che è cresciuto nel mondo della Confindustria. Egli tuttavia offre una valutazione davvero analoga a quella appena illustrata, quando oggi, per esempio, dichiara: «Abbiamo una legislazione che appare adeguata, abbiamo organi di controllo, abbiamo la capacità di elaborare procedure per la prevenzione degli incidenti, ma non vi è abbastanza cultura nel testare queste procedure, che spesso non sono prese sul serio come si dovrebbe. In altre parole in Italia è carente la cultura di avversione al rischio, spesso considerato un prodotto del caso più che un prodotto dei comportamenti umani».
Credo che, se ci concentriamo su tali valutazioni, abbiamo la chiave per rispondere ai problemi drammatici che la vicenda di Torino sta evocando e che ci richiama alla nostra sensibilità e anche alla nostra responsabilità.
Voglio ricordare che il gruppo Thyssen, il 4 dicembre scorso, ha fornito i dati di bilancio dell'ultimo anno. Ebbene la ThyssenKrupp, nell'ultimo anno, ha aumentato del 27 per cento i suoi profitti e dell'8 per cento il giro d'affari. Bisogna capire quante situazioni come quella di Torino sono celate dietro questi dati. Spero che siano poche; ma anche se fosse l'unica situazione di questo genere, è inaccettabile.
È inaccettabile che un'azienda, solo perché è destinata ad essere traslocata, viva gli ultimi anni della sua vita trattando i suoi lavoratori e gli stessi impianti come lo strofinaccio per lavare i piatti. Non è assolutamente accettabile in termini di civiltà del lavoro e di civiltà di impresa.
È ciò che dobbiamo ribadire con forza e con nettezza alla luce della tragedia di Torino per esprimere non solo la solidarietà morale e anche materiale dovuta alle vittime di quell'incidente, ma anche per cercare tutte le vie d'uscita, chiamando in causa prima di tutto le responsabilità sociali relative.
Bene fa il Ministro Damiano a dare attuazione anche più tempestiva alla recente legge di riordino di tutte le norme sulla sicurezza del lavoro, ma chiamiamo in causa le responsabilità, prima ancora dei controlli pubblici, e le responsabilità imprenditoriali e dirigenziali che si manifestano in casi come questo (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Vacca. Ne ha facoltà.
ELIAS VACCA. Signor Presidente, la rabbia dei lavoratori e dei parenti delle vittime è stata indirizzata non soltanto verso l'impresa che scelleratamente ha consentito che quelle morti e quei ferimenti si verificassero, ma è stata indirizzata anche al sistema della politica e alle rappresentanze degli stessi lavoratori. Quella protesta e quella rabbia dimostrano che la misura è colma e che si sta rompendo qualcosa anche nel rapporto tra i lavoratori e chi ne ha la rappresentanza nella sede politica e nella sede sindacale.
Adesso non è pensabile che dai banchi dei Comunisti Italiani giunga un intervento limitato al cordoglio ed al rammarico per la strage consumata alla ThyssenKrupp di Torino. Non è pensabile che accada né sarebbe conseguente alla nostra azione in questo anno e mezzo di partecipazione all'azione di Governo.
Mentre altri, anche all'interno della stessa maggioranza - dando conto e seguito a ciò che mediaticamente appariva sui provvedimenti che hanno dato il massimo della popolarità al Governo e alla maggioranza stessa - si occupavano del progressivo spostamento dell'attenzione dai temi del lavoro salariato e del lavoro nelle fabbriche a quelli della tutela del consumo, si andavano costruendo i presupposti per tragedie come quella di Torino.
Mentre la politica, inseguita o forse alimentata dal sistema mediatico, si preoccupava un po' troppo delle ricariche dei telefonini, si andava costruendo la tragedia che è accaduta a Torino. Si costruiva passo dopo passo, nella iniquità di norme:Pag. 35alcune proposte per fortuna - come dirò - non giunte ad approvazione, altre lasciate galleggiare nel brodo di coltura di una società che si preoccupa molto e sempre di più di come si debba disciplinare la spendita del denaro e molto meno si preoccupa del sudore e anche del sangue versato per guadagnare quel denaro.
Ci si è preoccupati, ad esempio, di detassare lo straordinario: vorrei ricordare che gli operai che sono morti erano alla quarta ora di straordinario, cioè alla dodicesima ora di lavoro in quella giornata. In questo modo l'impresa potrà assumere meno lavoratori e potrà far lavorare di più quelli che ha in forza, i quali, a loro volta, saranno felici di poter arrotondare un salario il cui potere di acquisto è ridotto quasi della metà rispetto a un decennio fa.
Arrotonderanno il salario lavorando oltre i limiti della ragionevolezza e oltre i limiti dell'umanamente possibile per sopravvivere e per cercare di impedire che i loro figli debbano vivere il loro stesso destino. Svolgeranno quel lavoro a rischio - tutto a loro carico - della loro salute e della loro vita nel tentativo di rendere migliore il destino dei loro figli o di renderli semplicemente orfani.
Come gruppo dei Comunisti Italiani abbiamo operato nel concreto. Vorrei ricordare, per esempio, che con il concorso di tutti i deputati delle forze della sinistra vi abbiamo indotto a modificare radicalmente una norma: l'articolo 19, al Capo II recante Ulteriori misure per le imprese, del cosiddetto decreto Bersani-bis, dove si prevedeva perfino che la possibilità di attestare la conformità e la sicurezza di impianti fosse affidata ad un professionista e all'autocertificazione dell'impresa. Cosa avremmo da dire oggi se avessimo approvato quella norma di fronte alla tragedia della ThyssenKrupp? Che l'impresa era stata particolarmente affidabile nell'autocertificarsi la sicurezza degli impianti o che si erano serviti di qualche professionista particolarmente illuminato?
Noi ci siamo sempre opposti a questo tipo di cose e lo abbiamo fatto in tempi non sospetti, quando le tragedie ancora non si erano consumate. Abbiamo denunciato il pericolo insito nell'affidamento ai privati di tale potere di certificazione; abbiamo operato anche sul Protocollo welfare per cercare di non limitare il diritto al prepensionamento dei lavoratori usurati; abbiamo chiesto più risorse per gli ispettori del lavoro e per gli ispettori tecnici del lavoro; abbiamo lavorato con tutta la maggioranza per giungere al punto più alto - come ha già affermato qualche collega prima di me - e cioè all'approvazione della legge che contiene anche deleghe al Governo in materia di sicurezza sul lavoro.
Noi abbiamo fatto di questi temi la cifra della nostra azione politica. Quante cose i Comunisti Italiani hanno dovuto ingoiare (come si dice in questi giorni), pur di portare al centro dell'attenzione le tematiche relative al lavoro! In ogni occasione opportuna, abbiamo portato al centro dell'agenda politica il tema delle condizioni materiali dei lavoratori. E il tema legato al loro salario e alle condizioni materiali della loro vita è legato anche a quello della sicurezza, perché non è accettabile che una questione sia legata all'altra in termini di proporzionalità inversa. Vuoi avere più soldi per campare i tuoi figli e la tua famiglia? Devi accettare di fare quattro ore di straordinario! Devi accettare che la tua impresa, che non vuoi che chiuda, operi in condizioni di insicurezza! Devi accettare le condizioni di lavoro che in quell'impresa ti sono imposte! Puoi anche lasciare le mani sotto la pressa, ma questo evidentemente fa parte delle regole del gioco!
A proposito di regole del gioco: considerato che, a fronte di un incremento dell'8 per cento del volume d'affari - come ricordava poc'anzi il collega Turci - vi è stato un incremento del 27 per cento dei profitti, sarei proprio curioso di sapere se questo incremento dei profitti è stato investito per caso in pubblicità, piuttosto che in sicurezza, e a quali logiche di mercato certe aziende devono rispondere.
Anche personalmente, ho sempre contestato la definizione di «datore di lavoro» in capo a chi fa impresa avvalendosi del lavoro. Anche appropriarsi in questoPag. 36modo selvaggio del linguaggio è un cattivo servizio al mondo del lavoro. Nella nostra cultura politica di comunisti, il lavoro lo danno gli operai, gli altri lo prendono, lo organizzano e lo utilizzano per produrre profitti in un sistema di mercato. Gli operai danno il lavoro e sono gli stessi operai che, quando la politica si distrae e non realizza le condizioni cogenti per l'impresa, insieme al lavoro, purtroppo, qualche volta danno anche la loro vita.
Vi è, evidentemente, un conflitto di interessi forte e pesante nella nostra società e il Governo e il Parlamento devono assumersi la responsabilità di ristabilire condizioni che, prima della legge n. 30 del 2003, erano previste costituzionalmente ed applicate con legge ordinaria. La legislazione sul lavoro, quella in materia di turni, di orario di lavoro, di straordinario, infatti, è sottratta - e deve essere sottratta - alla disponibilità dei lavoratori e della contrattazione. Non esiste una contrattazione vera, non è un mercato vero, perché vi sono una parte forte e una debole. E la parte forte, a volte, impiega lavoratori immigrati - che hanno, in questo modo, l'unica possibilità di garantirsi il soggiorno in Italia - e crea un mercato del lavoro distorto, in cui la gente è disposta a lasciare le mani sotto le presse sempre di più, perché queste sono le condizioni e il rapporto fra il mondo dell'impresa e il mondo del lavoro in questo Paese.
Noi non accettiamo in alcun modo di limitarci al semplice cordoglio. Svolgiamo semplicemente un rilievo e un'osservazione: esistono modi, anche a seguito dell'approvazione di quella legge, attraverso i quali il Governo può fare più in fretta e deve fare più in fretta.
Lo ricordo perché, in questi giorni, stiamo valutando il cosiddetto «pacchetto sicurezza»: un immigrato rumeno uccide una donna e si attuano le espulsioni di massa dei rumeni presenti in questo Paese; nelle fabbriche muoiono una o più persone al giorno ma, evidentemente, questo non è altrettanto motivo di urgenza. Noi non siamo in questo Governo né in questa maggioranza per tollerare questo stato di cose (Applausi dei deputati dei gruppi Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pellegrino. Ne ha facoltà.
TOMMASO PELLEGRINO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, a nome dei Verdi esprimo cordoglio alle famiglie degli operai coinvolti negli incidenti di Torino e la nostra vicinanza ai feriti, ai quali auguriamo una pronta guarigione. Ringrazio il Ministro per la puntuale relazione.
Si tratta dell'ennesima strage sul lavoro di persone innocenti. Ci troviamo di fronte all'ennesima violazione criminale delle norme. Il fenomeno degli incidenti sul lavoro raggiunge, in Italia, livelli elevati e drammatici. I morti sul lavoro sono circa 1.300 l'anno (774 solo nei primi nove mesi di quest'anno), mentre gli inabili al 100 per cento - a causa di infortuni avvenuti in anni precedenti - sono quasi 8.000. Viaggiamo, insomma, ad una media di tre morti sul lavoro ogni giorno.
Sono d'accordo con lei, signor Ministro: dobbiamo aprire una seria riflessione sul ruolo della centralità del lavoro e soprattutto della qualità della sicurezza nei luoghi di lavoro. Il Parlamento ha approvato leggi importanti in materia di sicurezza sul lavoro, ma evidentemente non sono state sufficienti o, quanto meno, ci dobbiamo preoccupare maggiormente di far rispettare quelle leggi che tante e troppe volte vengono eluse.
Tutto questo perché il tema della sicurezza sul lavoro, per molte aziende, non rappresenta una priorità, ma soltanto una voce di costo e un investimento economico eccessivo. Bisogna intensificare i controlli perché occorre far radicare, nella mentalità delle aziende, la cultura della tutela del lavoratore. Tale tutela non può più essere discrezionale, ma dev'essere un dovere, un impegno e, soprattutto, una certezza per il lavoratore. Trovo inaccettabile che il personale delle ASL, addetto al controllo della sicurezza sul lavoro, abbia la possibilità - come purtroppo accade -Pag. 37di avere contratti di consulenza con le stesse imprese che dovrebbe controllare.
Signor Ministro, le chiedo che il Governo si adoperi immediatamente per eliminare questo vergognoso fenomeno. Penso che sia arrivato il tempo di essere concreti e coerenti, soprattutto sui temi che riguardano la tutela dei lavoratori. Basta con l'arroganza di talune grandi aziende come la ThyssenKrupp! Nel mondo del lavoro esistono diritti che non possono essere discrezionali e il rispetto di questi diritti dev'essere sacrosanto! Basta con la logica del profitto, che mette in secondo piano il rispetto della persona umana e il rispetto dei diritti del lavoratore.
Non possiamo far finta di nulla di fronte all'arroganza e alla minaccia di perdere il lavoro per tanti giovani e tanti cittadini, che si trovano costretti ad accettare tutto. Il nostro dovere - in qualità di istituzioni - dev'essere quello di aiutare questi giovani, questi cittadini, per far sì che i diritti fondamentali non continuino ad essere calpestati.
Tutto questo, chiaramente, dev'essere accompagnato anche dalla certezza del lavoro, che non significa nient'altro che avere certezze per il proprio futuro. Trovo assurdo che, nonostante in passato si siano verificati incidenti simili, la ThyssenKrupp sia rimasta completamente indifferente, senza investire nulla - lo ripeto: nulla! - per la sicurezza dei lavoratori.
Certamente, questo Governo si sta muovendo con molta determinazione per mettere un freno a questa inaccettabile strage continua: è aumentato il personale ispettivo, così come i controlli, e si sta lavorando in modo concreto per l'emersione del lavoro nero. Tuttavia, è necessario muoversi in tempi più rapidi e in modo più incisivo, in quanto è evidente che tutto ciò che finora è stato messo in campo, è ancora insufficiente.
Bisogna costringere le imprese ad investire in sicurezza. Servono maggiori risorse finanziarie ed umane. È indispensabile inasprire le sanzioni in presenza di criminali violazioni delle norme. Bisogna rafforzare e rendere più capillari i controlli nei luoghi di lavoro, occorre combattere il lavoro nero e la precarietà del lavoro, così come è indispensabile rivedere tutta la normativa sugli appalti e sui subappalti, che consente di aggirare le norme contrattuali e quelle sulla sicurezza.
Questo Governo e questa maggioranza hanno compiuto un passo decisamente importante con l'approvazione del Testo unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. La legge è strutturata con norme in parte già operative e in parte rinviate ad una delega al Governo. Si rende necessaria un'azione per accelerare e rendere operative le parti rinviate alla delega.
In particolare, occorre introdurre una norma tesa ad escludere i lavoratori apprendisti e precari da tutte le mansioni considerate pericolose entro i primi tre mesi di lavoro; rendere operative le attività di coordinamento e controllo attraverso l'assunzione di ispettori delle ASL e l'ulteriore assunzione, laddove necessario, di ispettori del Ministero del lavoro; occorre l'istituzione di un coordinamento di tutti i soggetti che operano sul territorio in capo ai presidenti delle province, in materia di prevenzione e repressione, al fine di razionalizzare e rendere efficienti le attività di controllo; occorre rendere operativa, quanto prima, la norma relativa alla disciplina sugli appalti che impone l'indicazione dei costi della sicurezza in modo distinto e trasparente all'interno della gara; occorre rendere immediatamente operativo il sistema sanzionatorio, rafforzare il ruolo e la competenza dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, stabilire l'incompatibilità, per i medici, tra compiti di vigilanza e consulenza per le aziende.
È necessario, altresì, che il Governo vari un provvedimento che definisca l'orario massimo di lavoro su base giornaliera, settimanale e mensile. In assenza di misure in materia, le parti sociali impegnate nella contrattazione lavoreranno molto per porre dei limiti e, di conseguenza, intervenire sul rapporto tra orari e sicurezza.Pag. 38
È, inoltre, eccessiva la precarietà e la deregolamentazione dei rapporti di lavoro che comporta inevitabilmente la poca preparazione e professionalità del personale, in quanto molte volte, non adeguatamente formato e informato.
Indubbiamente, la precarietà e il lavoro nero rappresentano un terreno fertile per gli incidenti sul lavoro. Ecco perché in Italia bisogna intensificare il contrasto al lavoro precario e al lavoro sommerso. Queste, per noi, rappresentano priorità per poter affrontare la piaga degli infortuni sul lavoro e delle morti bianche.
Il nostro auspicio è che la magistratura faccia chiarezza, al più presto, sulle responsabilità dell'accaduto. Per chi viola le leggi in materia di sicurezza sul lavoro, bisogna adottare delle pene severe. Il nostro impegno deve essere quello di adoperarci, tutti, affinché non si verifichino più tali tragedie e contemporaneamente, realizzare interventi a sostegno delle famiglie delle vittime, che non devono in alcun modo sentirsi abbandonate dalle istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo Verdi - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Capotosti. Ne ha facoltà.
GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, certamente, a nome del mio gruppo, Popolari-Udeur, non posso che associarmi alle dichiarazioni di cordoglio per le famiglie delle vittime e al senso generale di frustrazione e impotenza che, oggi, mi sembra serpeggiare e accomunare un po' tutti in quest'Aula, in presenza di un fenomeno luttuoso di siffatte proporzioni.
Ringrazio il Governo per la relazione oggettivamente puntuale e precisa, che mi permetterei di collegare, in un certo qual modo, all'ultimo rapporto del Censis sullo stato socioeconomico del Paese e che ritengo debba essere letta in una prospettiva più ampia.
Oggi, viviamo in un Paese difficile, in cui la finanza guadagna somme immense, la privatizzazione dei servizi pubblici locali si è trasformata, anch'essa, semplicemente in un'operazione di finanza (con un aggravio di costi a carico dei cittadini e dell'utenza di oltre il 30 per cento, senza nessuna maggiore efficienza, anzi). Viviamo una realtà sociale in cui un artigiano, dopo quarant'anni di lavoro usurante (qualsiasi cosa possa dirsi, conosco tanti muratori e si tratta di un lavoro usurante), va in pensione con 750 euro; viviamo una realtà in cui il lavoro per i giovani è spesso visto - come afferma lo stesso rapporto - semplicemente come un ostacolo alla spinta principe, una realizzazione sociale che si può determinare mediante fenomeni diversi. Abbiamo assistito al cosiddetto fenomeno dei «furbetti del quartierino» e viviamo la grande spinta verso alcune prestazioni televisive - esprimiamoci così - che garantiscono grandi possibilità finanziarie.
È dunque evidente che viviamo in una realtà in cui c'è una distonia profonda tra capitale e lavoro, tra finanza e produzione. Il tema è caro anche alla letteratura cattolica; ricordo che San Tommaso, ad esempio, risolveva il problema in modo molto semplice: vietando il prestito di denaro (e quindi vietando che la finanza, di per sé, fosse remunerativa) costringeva il capitale ad impiegarsi nella produzione e quindi faceva in modo che profitto e guadagno fossero la stessa cosa.
Certamente non possiamo tornare al Medioevo, però, dobbiamo guardare, alla luce delle considerazioni e dell'esperienza che ci viene dal passato, a ciò che stabilisce la Carta costituzionale. Essa celebra il lavoro come fenomeno e mezzo per l'elevazione - liberazione, direi - del soggetto, per la sua piena realizzazione e per una libera esistenza dignitosa per sé e per i propri familiari.
È allora evidente che dobbiamo fare un'operazione radicale nel recuperare giustamente quella che viene definita una cultura del lavoro, un riposizionamento, direi, ontologico nel sistema per stabilire che il lavoro è l'unico effettivo quadro,Pag. 39perno, cardine del nostro sistema; l'unica modalità che consenta alle persone di liberarsi.
Dunque non credo si tratti - lo dico con una discreta cognizione di causa: vengo da Terni, città sede della ThyssenKrupp; quindi, conosco bene la dirigenza e la situazione della multinazionale - di cedere all'onda emotiva oggi e magari, tra tre o quattro giorni, dimenticarsi della vicenda. Occorre piuttosto prendere atto di un fenomeno, non tanto seguire l'onda punitiva, atteso che abbiamo una legislazione che penso sia ormai tra le più puntuali e anche severe d'Europa; non si tratta di punire, ma di prevenire e ciò deve avverarsi mediante un recupero di funzione.
L'apprendistato non è un peccato mortale, è solo una modalità con la quale i giovani vengono avvicinati al lavoro. È evidente che si presta a doppie interpretazioni perché può essere sfruttato, o in chiave economica per lucrare, o correttamente, in chiave sociale, per avviare un soggetto al lavoro e per insegnargli a destreggiarsi tra difficoltà e rischi.
Si tratta di un piccolo esempio di ciò che vorrei intendere con il concetto di recupero della centralità del lavoro. Tutto il nostro sistema è costruito sul tema della libertà e della solidarietà; le persone si liberano realizzandosi nel lavoro, conseguendo, quindi, anche una dimensione sociale ed economica diversa.
È evidente che dobbiamo, quindi, riportare nei fatti la finanza alla produzione e, in quell'ambito virtuoso, recuperare una giusta soddisfazione economica anche per i dipendenti.
Non credo, signor Ministro, che il problema riguardi in larga parte le multinazionali: l'85 per cento della forza economica nazionale è rappresentata, infatti, da un sistema di piccole e medie imprese. Conosco le multinazionali, so che hanno bilanci organizzati e vedremo cosa deciderà la magistratura, ma non credo esista un peccato originale tale da far sì che un consiglio di amministrazione di un'azienda di dimensione ultra nazionale decida di risparmiare 50 euro su un estintore o su quant'altro.
Il pensiero, però, va a quell'insieme gigantesco di piccole e medie imprese in cui non esiste un consiglio di amministrazione, un addetto alla sicurezza, un capo del personale, la sindacalizzazione, la struttura fissa. Se possono accadere tragedie come questa a questo livello, cosa può mai accadere a livelli meno garantiti? Quindi, insisto: non si tratta di punire ferocemente dopo, ma, atteso che le responsabilità vanno appurate dalla magistratura e che esiste una legge severa che va applicata senza sconti (ci mancherebbe!), si tratta di recuperare una funzione gioiosa del lavoro, una funzione di libertà.
Ho letto che la stragrande maggioranza degli incidenti sul lavoro si verifica di lunedì.
È evidente che tale dato significa che la domenica si avverte la necessità e l'esigenza quasi di stordirsi, per dimenticare qualcosa cui si torna il lunedì in condizioni difficili. Si tratta di spie di un sistema in difficoltà, orientato diversamente rispetto agli orizzonti fissati dalla Carta costituzionale.
Ringrazio ancora il signor Ministro per l'ottima relazione, che condivido assolutamente. Lo invito a prendere atto di tutti gli elementi che compongono il sistema nazionale e del fatto che occorre assolutamente, per conseguire un risultato efficace, rimettere in discussione i criteri intorno al fenomeno del lavoro.
Non è possibile che il sogno dei diciottenni sia fare il «furbetto del quartierino», anziché realizzarsi nel lavoro. Grazie per l'attenzione e buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Ministro, a differenza dei miei colleghi non mi associo al ringraziamento per la buona relazione che ha fatto. Ha reso un'informativa che giudico insufficiente, che «boccia», di fatto, questo Governo proprio nel campoPag. 40della prevenzione, perché la prevenzione non va confusa con leggi repressive. È tutt'altra cosa!
Lei ha ragione su un punto, signor Ministro, quando dice che occorre la cultura della prevenzione. Ma quest'ultima non si impone ritenendo tutti uguali, con l'abbassamento dei livelli lavorativi in Italia, ma va vista proprio attraverso l'innalzamento e la diversificazione, favorendo la meritocrazia, la professionalità, gli aggiornamenti, l'attitudine al singolo lavoro.
Non ci scandalizziamo per le ore di straordinario, quando sono necessarie, se fatte da personale competente e capace professionalmente. Ci scandalizziamo quando si fanno fare a degli incompetenti e a degli incapaci delle ore di straordinario con le quali mettiamo a rischio la loro salute ed incolumità.
Guardi, signor Ministro, che questo Governo, nel momento stesso in cui, anche tramite il Ministro Di Pietro, afferma che tutte le gare di appalti pubblici devono essere fatte al massimo ribasso, espone i lavoratori al rischio. E guardi che il rischio non emerge solo da quanto rappresenta la punta dell'iceberg ovvero dalle morti: vi è anche quel milione di infortuni che vengono denunciati ogni anno all'INAIL. È questo il grosso «tumore», che esiste, della mancanza di prevenzione in Italia.
Se invece le gare di appalto venissero svolte sulla base di un capitolato serio, basato sulla prevenzione, che premiasse chi presenta il progetto di prevenzione migliore, questo sì vorrebbe dire avere una cultura della prevenzione.
Gli stipendi dei lavoratori e degli operai andrebbero diversificati, in modo che chi si aggiorna, sta attento, si adopera a rispettare nei processi lavorativi le norme e le leggi, e quindi non mette a rischio la sua incolumità e quella dei compagni di lavoro, sia premiato anche da un punto di vista salariale.
Invece, chi disattende le norme abitualmente, non solo va ripreso, ma va retrocesso, anche dal punto di vista economico; analogamente, con riferimento a tutte quelle imprese e aziende che hanno troppi infortuni sul lavoro, non vanno inflitti soltanto una semplice multa o anni di reclusione al datore di lavoro. Proviamo a impedire a tali aziende, dopo un certo numero di infortuni, di partecipare a gare pubbliche e proviamo, quindi, ad attribuire loro degli indici negativi per partecipare alle gare di appalto.
In questo modo, signor Ministro, si radica la cultura della prevenzione, che è diversa. Signor Ministro, lo sa che tutti gli studenti italiani sono considerati lavoratori dal decreto legislativo n. 626 del 1994?
E lei lo sa che questi «lavoratori» che sono i nostri figli, lavorano ovvero studiano in scuole non idonee, l'80 per cento delle quali dovrebbero essere chiuse? È quindi addirittura lo Stato che si concede le deroghe per permettere agli studenti di continuare a frequentare quel tipo di istituti che sono, potrebbero essere causa di danno per la mancanza delle più elementari misure di sicurezza. Quindi è lo Stato stesso che dovrebbe essere condannato e additato per non avere cultura di prevenzione; e come fa lo Stato e questo Governo, che non hanno questa cultura, a dire alle aziende che devono averla? Ma basterebbe fare applicare il decreto legislativo n. 626 del 1994! Signor Ministro, sono specialista in medicina del lavoro, e gli ispettori del Ministero e le ASL non applicano il decreto legislativo n. 626 da nessuna parte, è inapplicabile! È inapplicabile perché manca questo tipo di cultura, e chi ha una cultura massimalista non può capire la cultura riformista di prevenzione tipica della mentalità socialista, riformista e liberale, che cerca di diversificare nel senso di valorizzare i meriti e i bisogni! È in questo che noi riteniamo di dover contribuire in questo momento. Certo, proviamo dolore per le famiglie che hanno subito i quattro decessi, ma anche per le famiglie che devono aspettare con ansia il famoso diciottesimo - circa - giorno, perchè le morti da incidente di questo tipo, si hanno nelle quarantotto ore o dopo quindici-diciotto giorni.Pag. 41
Noi siamo vicini a queste famiglie. Ovviamente, non vogliamo fare di ogni erba un fascio, ma diciamo che va portata avanti la cultura della prevenzione. Le dico, signor Ministro, che se in quel momento, quando è successo l'incidente, ci fossero stati tutti gli estintori funzionanti, se in quel momento ci fossero stati i vigili del fuoco con le pompe pronte per spegnere l'incendio, l'incidente, che è stato causato da un tubo flessibile rotto che ha avuto un getto di fuoco, di olio minerale, sarebbe successo ugualmente. Bisognava quindi verificare perché quel tubo si fosse rotto, eppure al controllo per la prevenzione erano presenti anche le organizzazioni sindacali, che dovevano controllare. Quindi, ciò significa che si è trattato veramente di un incidente che doveva essere evitato, ma da una prevenzione condotta sul materiale, sul ciclo lavorativo, sull'ammodernamento degli impianti. E allora i fischi alle organizzazioni sindacali, la marcia di operai e lavoratori con la rabbia e la disperazione per le vittime sono da ritenersi propedeutici, per chi deve recepirli, a che si riconosca di dover cambiare marcia e di non doversi adagiare solamente sulle semplici parole di cordoglio senza varare leggi di prevenzione vere e senza applicare quelle esistenti. Si deve cercare di favorire in ogni modo, anche dal punto di vista salariale, tutti coloro che rispettano le normative e le disposizioni, e punire, anche dal punto di vista salariale, anche col licenziamento, coloro che non rispettano questo tipo di disposizioni. Altrimenti, è poi inutile piangere: è meglio essere impopolari - ma sapere che si è tutelata la sicurezza sul lavoro dei nostri padri, dei nostri fratelli, dei nostri figli - che non poi fare dei cortei e piangere ed essere disperati.
È questo il contributo che noi socialisti del gruppo DCA-Democrazia Cristiana per le Autonomie-Partito Socialista-Nuovo PSI le abbiamo voluto dare, perché non ci vogliamo piangere addosso ma la invitiamo a compiere tutti gli step, ad assumere tutte le iniziative normative per portare avanti una cultura della prevenzione.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
LUCIO BARANI. Quindi, se Rifondazione Comunista, signor Ministro, l'ha rimandata a gennaio per la verifica, noi invece la «bocciamo» subito nel campo della prevenzione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Salerno. Ne ha facoltà.
ROBERTO SALERNO. Signor Presidente, La Destra si unisce al dolore delle famiglie, dei parenti e degli amici dei lavoratori della fabbrica torinese. Essa «boccia» la relazione del Ministro, il quale - ahimè! - con tale relazione ha assunto un altro mestiere: anziché quello del Ministro, quello del giornalista. Noi non abbiamo bisogno di sentirci dire quali sono i problemi ampi e globali della mondializzazione del lavoro: abbiamo bisogno, invece, che il Ministro risolva i problemi concreti dei lavoratori.
Da qualsiasi angolazione la si guardi, la strage di Torino non può passare come una fatalità o una disgrazia: i lavoratori sono morti per circostanze che potevano e dovevano essere evitate e prevenute; sono morti per responsabilità che - lo vedremo - saranno gravi e rilevanti. Non è accettabile che vi siano notizie secondo le quali gli estintori erano vuoti e le bocchette antincendio non erano collegate all'acquedotto: ciò è straordinariamente vergognoso. La Destra chiede e vuole giustizia.
Come al solito, ciò ci porta a rilevare un dato quasi endemico in Italia. Quei lavoratori, signor Presidente, erano gente umile: e molto spesso tale umiltà colloca queste persone nel dimenticatoio, poiché esse non contano nulla o contano poco (le sarei grato, signor Presidente, se mi prestasse attenzione, perché parlo di lavoratori caduti sul posto di lavoro). E se così è, purtroppo anche le tutele, la dignità e quindi le sicurezze divengono solamente un fatto formale.
La Destra ha presentato in proposito un'interpellanza urgente che chiediamo venga trasformata in interrogazione a risposta immediata: vogliamo sapere se iPag. 42controllori erano anche consulenti dell'impresa, se erano amici degli amici degli amici, se - come si suol dire - hanno chiuso un occhio. Poiché, signor Presidente, noi non ammettiamo che si possa morire in questa maniera così inaccettabile.
Concludo con una riflessione molto amara. L'acciaieria ThyssenKrupp si trova nel pieno centro di Torino (lei lo sa perché è venuto a visitarla, signor Presidente); è straordinario collegare questa fabbrica ad una città che da sempre è governata dai comunisti e dai post-comunisti, in una provincia che da sempre è governata dai comunisti e dai post-comunisti, in una regione anch'essa governata dai comunisti e dai post-comunisti. Mi chiedo per quale ragione simili realtà totalmente amministrate da queste forze politiche siano quelle che vedono sempre la povera gente e i lavoratori non avere la dignità e alla fine pagare anche con la vita questa mancanza di attenzione.
Infine, un messaggio, signor Presidente. Ho letto una dichiarazione di un esponente del Partito Democratico il quale avrebbe lanciato un appello affinché venga conservato o dato un lavoro alle vedove di questi lavoratori. Mi domando come non ci si vergogni a rilasciare tali dichiarazioni; dopo che hanno pagato un prezzo umano così enormemente alto, si pretende anche di mandare al lavoro le vedove! Si vergogni, questo esponente, e ritiri quello che ha detto, lui e magari tutto il Partito Democratico!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Spini. Ne ha facoltà.
VALDO SPINI. Signor Presidente, come istituzioni dobbiamo sentirci sfidati: il Presidente della Repubblica si è mosso in modo molto autorevole; si è mosso lei, Presidente Bertinotti; il ministro Damiano ha compiuto atti conseguenti. Ciononostante, siamo nella situazione per cui in una fabbrica moderna mancano gli estintori e le bocchette dell'acqua non sono collegate.
Di fronte a questa sfida che viene lanciata nei confronti delle istituzioni, noi dobbiamo reagire incrementando non soltanto i nostri interventi legislativi e normativi, ma anche la nostra presenza. So benissimo che le fabbriche sono domicili privati, ma domando: perché le nostre Commissioni parlamentari non vi intensificano le visite? Perché non suonano il campanello? Perché non creano un clima di vigilanza su questo aspetto? L'Italia ha una Costituzione che non solo presenta un articolo 1 che recita «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», ma ha anche un articolo 35 che comincia con «La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni». Ebbene, è evidente che siamo di fronte ad una clamorosa violazione della Costituzione, la legge fondamentale che ci deve regolare.
Sappiamo molto bene che se non si impone e non si afferma una cultura della sicurezza anche le leggi perfette possono diventare «grida». Ma siamo di fronte anche ad un altro dato: quanto si dice e quanto si sottolinea circa l'inviolabilità della vita umana e la difesa della vita, ma poi ci si trova di fronte a fenomeni che mettono in difficoltà ed in pericolo la stessa ed uccidono dei lavoratori! Esse devono costituire veramente un elemento di grandissima priorità per tutti noi. Credo allora che questo dibattito certamente ha senso proprio se partiamo da ciò che concretamente è avvenuto. Non è pensabile che in una città industriale come Torino, presso un'acciaieria che ha il nome celebrato e noto della ThyssenKrupp, mancassero e non fossero in efficienza i più elementari momenti di prevenzione e di intervento antinfortunistico.
Dobbiamo allora affermare con molta chiarezza - lo dico con franchezza, anche se certamente ciò è impopolare - che vanno benissimo il decentramento ed il federalismo, ma occorre allora anche la capacità di assumersi le responsabilità da parte delle autorità decentrate e delle autorità locali. Per carità, non rimpiango i vecchi enti nazionali di protezione infortuni, ma vorrei sapere con chi prendermela quando avvengono eventi simili, ePag. 43vorrei anche che il Governo non avesse soltanto il potere delle parole o dell'iniziativa normativa, ma anche quello di controllo sostitutivo che si possa affermare in condizioni e situazioni di emergenza di tal genere. Credo veramente che oggi, in quest'Aula, dobbiamo sapere che ogni volta che ripetiamo un dibattito di questo genere esso certamente diventa meno credibile. Vorrei allora che tale dibattito non fosse un rituale, ma che da parte nostra attivassimo tutti gli strumenti di conoscenza, di controllo e di intervento sul territorio che producano veramente quella scossa che anche lei, signor Ministro, chiedeva.
PRESIDENTE. Deputato Spini, deve concludere.
VALDO SPINI. È in qualche modo paradossale che un Ministro debba chiedere l'affermazione di una cultura della sicurezza: la cultura della sicurezza deve scaturire dalla base del nostro Paese e responsabilizzarci tutti. Forse anche come Camera dei deputati dovremmo porci il problema, nell'ambito delle nostre possibilità e delle nostre attribuzioni, di farci sentire sul territorio, di fare di più e di affermare anche noi il nostro contributo alla cultura della sicurezza.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.