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Si riprende la discussione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Bosi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00143. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, in queste ore e in questi minuti si parla di sicurezza: desidero porre all'attenzione Pag. 13dell'Aula e del Governo le questioni riguardanti la sicurezza in senso più vasto, ossia la sicurezza anche a livello internazionale, garantita dal ruolo delle Forze armate. Come tutti i colleghi ben sanno, nelle Forze armate rientra anche l'Arma dei carabinieri, che svolge funzioni preminentemente rivolte alla sicurezza interna.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 11,25)
FRANCESCO BOSI. La mozione che mi accingo ad illustrare parte dalla constatazione della grave crisi che attraversano le nostre Forze armate, che è una crisi finanziaria, economica, organizzativa e di prospettiva: essa è dovuta al fatto che abbiamo approvato - nel tempo e negli anni - provvedimenti che hanno stabilito che l'organico complessivo delle Forze armate ammontasse a 190 mila unità; ciò presupponeva e presuppone maggiori stanziamenti da parte del Governo per le Forze armate medesime.
Voglio ricordare a tutti colleghi... se è possibile parlare...
PRESIDENTE. Colleghi, prego di non disturbare il collega che sta parlando.
FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, stiamo parlando delle nostre Forze armate, e credo che tutti conveniamo sul fatto che esse siano un simbolo dell'unità nazionale e rappresentino l'Italia con onore in tutti i contesti internazionali. Quindi, quando parliamo delle nostre Forze armate, credo che dovremmo abbandonare il solito rituale del confrontarsi, talvolta, anche in maniera strumentale, e farci tutti carico dei loro problemi, perché essi sono anche i problemi dell'Italia e del mondo, considerato il ruolo che esse esercitano.
Infatti, desidero anche sottolineare il collegamento molto forte tra la nostra politica estera e le Forze armate. È stato ripetutamente affermato che le Forze armate costituiscono uno strumento importante per la politica estera e che definiscono il livello di ambizione di una nazione nei confronti del processo di mondializzazione in corso. Dunque, si tratta di un problema che deve riguardare tutti da vicino.
In una trasmissione televisiva, il Presidente del Consiglio Prodi, alla domanda su cosa lo rendesse maggiormente orgoglioso del proprio lavoro al Governo, ha risposto: la missione internazionale in Libano. Poi, alla domanda su quale fosse, invece, la cosa di cui si pentisse, ha risposto: moltissime, senza specificare. Il nostro ruolo internazionale svolto in Libano, con il voto di tutti, credo sia uno dei momenti più belli per l'Italia.
Dunque, credo che per le nostre Forze armate, delle quali andiamo orgogliosi per quanto hanno fatto e stanno facendo in Libano, in Afghanistan e nei Balcani, recando all'Italia prestigio, per l'impegno al servizio delle parti più deboli, contro la violenza, il terrorismo e la sopraffazione, dobbiamo, come parlamentari, come classe dirigente del Paese e come esponenti di Governo, cercare di andare oltre questo tipo di considerazioni, che ci trovano quasi sempre tutti uniti, e cominciare ad assumere impegni concreti, se vogliamo che il nostro Paese possa avere l'ambizione di svolgere un ruolo sulla scena internazionale ed essere al passo con gli altri Paesi europei.
Signor Presidente, da una «tabellina», che tutti possono visionare, allegata anche agli atti forniti dal Ministero della difesa in occasione dell'esame del disegno di legge di bilancio, risulta che in Italia vi sia una spesa pro capite destinata alla difesa di 246 euro, contro i 494 della Francia, i 345 della Germania e i 724 della Gran Bretagna.
L'Italia è la Cenerentola in Europa per la spesa nell'ambito del sistema difesa. Credo che tutto ciò abbia le sue ragioni storiche, e non faccio certo di questo un appunto al Governo in carica. Dobbiamo, tuttavia, ricordarci che siamo partiti da dati di spesa superiori all'1 per cento del PIL e siamo scesi allo 0,94 per cento rispetto all'1,73 della Francia, all'1,20 della Germania e al 2,20 della Gran Bretagna. Pag. 14Voglio ricordare inoltre che abbiamo un impegno in ambito NATO che vincola i Paesi aderenti a rimanere al di sopra dell'1,20 per cento del PIL, mentre noi siamo ben al di sotto dell'1 per cento.
Aggiungo che non si tratta solo di una questione di maggiori stanziamenti, ma si tratta del problema di cosa vogliamo fare di Forze armate che hanno cambiato nel tempo la loro definizione. È stata eliminata la leva obbligatoria, abbiamo Forze armate interamente professionalizzate ma vi è una distorsione di questo sistema: il costo del personale incide sempre di più rispetto alle spese di esercizio, di investimento e a quelle di tipo logistico, e quindi la struttura comincia a soffrire. Per rientrare nei parametri di bilancio (precedentemente descritti), di recente si è iniziato a ridurre progressivamente il reclutamento, l'addestramento e la spese della formazione del personale, ma quando si recluta e si addestra sempre meno si hanno Forze armate sempre più vecchie, meno specializzate e meno addestrate.
È venuto allora il momento di un chiarimento. Speravo che in questa occasione intervenisse il Ministro della difesa. Mi rivolgo al sottosegretario presente in Aula: occorre - se è possibile parlare almeno con il sottosegretario - prendere coscienza di questo problema.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 11,35)
FRANCESCO BOSI. Si è coscienti che il meccanismo così come si presenta oggi, con questa spirale rivolta al continuo invecchiamento e alla dequalificazione, è la logica conseguenza della riduzione del reclutamento, delle scuole e della formazione, e del numero sempre minore di ufficiali che viene immesso nelle Forze armate? Tale riduzione, ad un certo momento, è destinata a produrre - non succederà quest'anno, non succederà l'anno prossimo, ma nel giro di alcuni anni - una sorta di black out nel sistema di funzionamento delle Forze armate. Queste ultime sono una macchina organizzativa che deve possedere determinate regole. Non possiamo mandare sul campo delle missioni rischiose anziani marescialli che non possiedono più l'addestramento dei giovani, che invece hanno una formazione più specialistica e un grande addestramento. Tutto ciò riguarda la conduzione delle unità navali, il nostro apparato di aeronautica e, in modo determinante, l'esercito.
Che fare, dunque? Ebbene, o si aumenta lo stanziamento per la difesa portandolo a livelli europei o, altrimenti - secondo quanto riporta anche la stampa con riferimento a ipotesi lumeggiate dal Ministro della difesa e dal Consiglio supremo di difesa -, si procede alla riduzione degli organici complessivi delle Forze armate, diminuendone l'attuale consistenza di 190 mila unità. Se quest'ultima è l'intenzione - rispetto alla quale noi ci troviamo in disaccordo -, si abbia perlomeno il coraggio di dichiararla apertamente. Voi state realizzando uno strisciante ridimensionamento degli organici - siamo già scesi a 185 mila unità, violando le norme di legge che ne prevedono 190 mila - senza aver teorizzato alcun piano al riguardo, semplicemente incidendo sulla parte più vitale del settore, quella del nuovo reclutamento, delle scuole, dei nuovi quadri, dell'addestramento e della formazione: così condannate le nostre Forze armate a subire nel tempo un calo di funzionalità e di efficacia della propria azione e, tra l'altro, sprecate risorse, le quali verranno destinate ad un assetto scarsamente funzionale.
Noi vogliamo ricevere dal Governo risposte chiare. Cosa volete fare delle nostre Forze armate?
Dobbiamo anzitutto fare riferimento agli impegni internazionali.
L'Italia è uno dei partner fondatori della NATO, nel cui ambito abbiamo assunto precisi impegni: vogliamo rispettarli o no?
L'Italia ha stretto accordi di cooperazione bilaterali con numerosi Paesi in via di sviluppo che hanno bisogno della nostra cooperazione: vogliamo mantenere questi impegni oppure no? L'Italia ha assunto Pag. 15impegni in ambito ONU, ad esempio nei Balcani: li vogliamo rispettare o no? Se intendiamo mantenere tutti gli impegni assunti e vogliamo svolgere questa funzione in campo mondiale e internazionale non possiamo diminuire il numero delle unità presenti nelle nostre Forze armate. Altrimenti ciò comporterebbe automaticamente un «taglio» per gli impegni internazionali che l'Italia ha assunto dal dopoguerra ad oggi.
Se non vogliamo ridurre gli organici delle Forze armate - del resto, il Governo non lo ha mai dichiarato -, allora cosa fare nei confronti di questa crisi, che coinvolge proprio la linfa vitale rappresentata dal nuovo reclutamento, dai nuovi ufficiali e dai nuovi volontari in forma prefissata?
O decidiamo di incrementare gli stanziamenti oppure si decide, ad esempio, come trattare il personale in esubero, che si è determinato dopo l'eliminazione della leva, considerato che al momento, in merito, non si è deciso nulla. Noi chiediamo questi chiarimenti e nel contempo ribadiamo con forza e con determinazione la necessità che l'Italia non si ripieghi su se stessa mancando agli impegni assunti, e che non si autocondanni, per l'inerzia delle decisioni, a Forze armate non più funzionali, le quali potrebbero diventare nel tempo un costo inutile per il sistema Paese.
Ritengo, signor Presidente, che tutti dobbiamo tali chiarimenti, non solo, separatamente, la maggioranza o l'opposizione, ma il Parlamento e l'Italia, anche in omaggio alla nostra storia e alla nostra tradizione, al valore che le Forze armate hanno dimostrato in questi difficili anni in tutti i luoghi del mondo dove sono state chiamate ad operare [Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ascierto, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00259. Ne ha facoltà.
FILIPPO ASCIERTO. Signor Presidente, da alcuni anni siamo passati dal sistema della leva al modello professionale delle Forze armate. Quest'ultimo è un assetto adatto a rispondere meglio alle mutate esigenze dello scenario internazionale. Il criterio della leva, che consacrava il sacro dovere a difendere e a servire la patria, è stato sostituito dall'esigenza primaria dello Stato di reclutare volontari che scelgano di intraprendere una professione e, quindi, di servire la Patria sia presidiando i confini nazionali sia fuori dal nostro Paese.
Proprio questa è stata la ratio della legge n. 331 del 2000, anche perché era necessario inserire le nostre Forze armate nel più generale contesto europeo e nello scenario mondiale. Infatti è giusto che un Paese moderno e proiettato verso importanti traguardi internazionali, possa avere Forze armate che siano sullo stesso livello di altri Paesi con storie e tradizioni diverse dalle nostre come l'Inghilterra e la Francia e - perché no? -, fuori dall'Europa, gli Stati Uniti.
Tale esigenza di disporre di Forze armate preparate sotto il profilo professionale ha messo in moto un nuovo meccanismo con l'adozione di un modello italiano di difesa differente rispetto al passato. Purtroppo, per poter raggiungere questo obiettivo, ci eravamo avvalsi di tecnici che avevano studiato un modello mentre poi se ne è adottato uno totalmente differente.
Voglio ricordare tal Saragozza - che poi non so che fine abbia fatto - che, verso la fine degli anni Novanta, studiava il modello italiano da poter inserire in un contesto europeo. Ebbene, devo dire che in realtà potevamo risparmiarci gli studi di questo tecnico e questa consulenza, risparmiando soldi; oggi, infatti, nella prospettiva del futuro, quel modello non è più attuale.
Anzi, aggiungo che è necessario ancora studiare il modello scelto, perché gli assetti della difesa si devono basare sulle infrastrutture e sulla modernizzazione dei mezzi ma anche, elemento essenziale e importante, sugli uomini. Senza gli uomini, non si muove nulla e non si possono sviluppare i progetti. Dunque, è importante capire come gli uomini, all'interno di Pag. 16questa nostra istituzione così importante, possano trovare spazio e prospettive future.
Si era pensato a modelli della consistenza di circa 200 mila unità o poco più. Oggi, con il decreto legislativo n. 215 del 2001, abbiamo stabilito che, per far funzionare la difesa, occorrano 190 mila unità.
Era stato, altresì, stabilito un percorso che favorisse l'inserimento nelle Forze armate dei migliori tra i giovani italiani. Per invogliare i ragazzi, si era anche pensato a percorsi alternativi e a incentivi. È stato detto, infatti, ai nostri giovani, che le Forze armate avrebbero dato loro una prospettiva futura e che li avrebbero fatti crescere sotto il profilo non solo culturale, ma anche professionale; che, qualora fossero entrati nelle Forze armate, avrebbero potuto scegliere il proprio futuro, decidendo se restare in esse, entrare nelle forze dell'ordine dopo un certo periodo o, dopo alcuni anni, trovare un collocamento nel mondo privato e della società civile. Infatti, rappresentando la parte migliore del Paese che ha servito lo Stato, essi avrebbero avuto la priorità nei concorsi e nel mondo produttivo delle industrie.
Oggi ci rendiamo conto di aver preso in giro questi ragazzi. È vero che nelle forze dell'ordine vi è questo percorso facilitato - o meglio, un percorso stabilito, più che facilitato - ma tutto il resto non esiste. È svanito nel nulla! Per la prima volta, nelle Forze armate e nelle forze dell'ordine ad ordinamento militare, abbiamo creato i precari di Stato. Tutto ciò stride e chiede vendetta ai lumi della coscienza.
Se si prendono alcune migliaia di ragazzi e si dice loro che esiste tale prospettiva, è necessario anzitutto sapere che solo una piccola parte riesce, poi, ad entrare nelle forze dell'ordine. In quest'Assemblea, infatti, con la scorsa legge finanziaria, si è fatto un grande sforzo ingegneristico: sono state previste assunzioni nelle forze dell'ordine solo per centocinquanta unità per ogni forza di polizia. Immaginate, quindi, migliaia di ragazzi appartenenti alle Forze armate, che concorrono per accedere a cento posti nelle forze di polizia: a quanti non vi entrano, cosa facciamo fare?
Questo percorso predefinito nelle forze di polizia, quindi, è stato ostruito dalla poca lungimiranza di questo Governo e dalla maggioranza, che ha ridotto le assunzioni nelle forze di polizia. Per fortuna, un po' di luce si è vista nella vostra mente nell'attuale disegno di legge finanziaria: 4.500 unità rappresentano un segnale, non del tutto positivo ma, comunque, un segnale.
Inoltre, ci troviamo di fronte ad un'ulteriore questione: le Forze armate non possono avere personale di una certa età. Infatti, come nelle forze di polizia, anche nelle Forze armate vi sono esigenze e sollecitazioni (molto fisiche oltre che tecniche) a cui bisogna dare delle risposte. Abbiamo bisogno di giovani, ma quelli che sono stati chiamati, poi, li abbandoniamo perché, in realtà, vi è un «contenitore anziano», a cui non sappiamo dare un'adeguata risposta. Lo ha affermato anche il generale Di Paola in una recente audizione presso la Commissione difesa.
Il Capo di Stato maggiore della difesa ha affermato che, poiché si è passati da un sistema di leva obbligatoria ad uno professionale in tempi abbastanza brevi (la sospensione della leva, infatti, è avvenuta in cinque anni: era prevista per il 2007, ma è stata anticipata al 2005), è stato previsto un periodo transitorio e, quindi, una stabilizzazione dei ruoli, che prevedono un eccesso di 42.000 unità, soprattutto tra i marescialli. Il generale Di Paola ha asserito che fosse quindi necessario trovare il modo di fare accedere immediatamente 10.000 unità di giovani nelle Forze armate, per poter rispondere alle esigenze rappresentate oggi dalle missioni internazionali di pace.
Pertanto, di fronte a questa esigenza, fino ad oggi, non avete risposto in modo molto chiaro. La legge finanziaria dell'anno scorso, di fatto, bloccava le assunzioni. Ci troviamo, quindi, da una parte, con le promesse che abbiamo fatto a questi ragazzi, a questi giovani italiani. Abbiamo detto loro: venite nelle Forze Pag. 17armate, farete un percorso e poi sarete inquadrati nelle forze di polizia, ma si tratta di un'affermazione falsa, fino ad oggi, perché solo poche unità sono andate nelle forze di polizia, ossia solo qualche migliaio, rispetto alle decine di migliaia di questi ragazzi.
Abbiamo detto loro: vi raffermeremo, vi faremo passare dalla ferma prefissata al servizio a tempo indeterminato. Altra falsità! Poi, abbiamo detto: non vi preoccupate, vi inseriremo nel mondo del lavoro. E invece no: voi pensate a inserire nel mondo del lavoro gli extracomunitari, non i precari italiani, neanche quelli delle Forze armate! Dunque, cari colleghi della maggioranza e caro signor Presidente, occorre un impegno serio di questo Governo in materia di difesa ma, soprattutto, in materia di tutela degli uomini in divisa.
Desidero inoltre far pesare, nella discussione odierna, la situazione incredibile in cui si trova il personale delle Forze armate e anche quello delle forze dell'ordine sotto il profilo dei trattamenti economici stipendiali. È impossibile essere d'accordo con il Governo, con il Dipartimento della funzione pubblica, di fronte agli stanziamenti previsti per questi ragazzi, i quali servono il Paese in ogni parte del mondo, sviluppando processi di democrazia e libertà, e rendendo onore all'Italia sotto il profilo della solidarietà. Ebbene, come vengano retribuiti questi ragazzi?
Come sono i loro miglioramenti stipendiali? C'è da vergognarsi a vedere l'ultimo contratto stipulato presso il Dipartimento della funzione pubblica, ma c'è da vergognarsi ancora di più nel momento in cui il Governo Prodi sottoscrive impegni a favore di militari e poliziotti, per poi rinnegarli all'interno della legge finanziaria, come avete fatto proprio in queste ultime ore e la vergogna si concluderà, da qui a breve, al Senato!
Non potete aumentare lo stipendio di Forze armate e polizia di cinque euro: è una vergogna! Ieri un militare mi ha fatto vedere la busta paga del dicembre 2005 a raffronto con quella del dicembre 2007: ebbene, quest'anno c'è una differenza - in negativo - di 50 euro! In due anni avete ancora di più «affamato» e messo in crisi il personale delle Forze armate e delle forze dell'ordine.
Occorrono, dunque, stanziamenti maggiori: vi rendete conto che in questa manovra finanziaria non avete stanziato alcun fondo per il rinnovo contrattuale? Speriamo che nella prossima finanziaria ci pensi un Governo diverso dal vostro a tutelare gli uomini in divisa! Tuttavia, detto ciò, bisogna soprattutto valorizzare questi uomini, rispettarne la dignità e, soprattutto, fare in modo di rispettare gli impegni assunti nei loro confronti.
Dunque, sotto il profilo dei numeri, non ci siamo; sotto il profilo della dignità della retribuzione, neppure; sotto il profilo dell'ammodernamento, vi inviterei a visitare le caserme per vedere in quali condizioni sono costretti a vivere; sotto il profilo delle tecnologie, ormai le prendiamo in affitto in ogni parte d'Europa! Pertanto, diciamolo chiaro: se questa è la linea che dobbiamo seguire in materia di difesa, da qui a qualche anno il fallimento è sicuro!
E allora invertiamo questa tendenza: facciamo in modo che, per costruire un carro armato o un aereo, non si debba vendere tutto il patrimonio; facciamo in modo che vi siano stanziamenti per la ricerca, che vi siano stanziamenti - adeguati e sempre costanti nel tempo - per l'innovazione tecnologica. Solo così possiamo competere realmente a livello europeo.
Non possiamo competere a livello europeo con i pezzi di carta, senza avere la rispondenza degli uomini. Pertanto, signor sottosegretario, so che anche lei condivide il fatto - come più volte è stato accennato in Commissione - che, passo dopo passo, bisogna compiere un percorso di rinnovamento e soprattutto, adeguato nell'ambito della difesa, perché destinare l'1 per cento del PIL per le Forze armate, rappresenta il livello più basso di attenzione che il Paese possa avere nei loro confronti. Al di sotto dell'1 per cento vi è il fallimento e noi, signor Presidente, ci siamo quasi vicini. Allora, dobbiamo iniziare a pensare alle strategie per il futuro. La mozione in Pag. 18discussione vuole porre l'attenzione - come ho già detto - su una serie di problemi (uomini, mezzi e infrastrutture) e, soprattutto, rappresenta il mio personale impegno nei confronti degli uomini.
Ho indossato una divisa e so cosa significa, avere ogni giorno la responsabilità, il rispetto delle gerarchie e la prospettiva istituzionale di essere al servizio dello Stato e dei cittadini. Pertanto, occorre uno sforzo ulteriore. In questo momento vi è anche una serie di figure professionali all'interno delle Forze armate che, al di là di ciò che è stato detto, chiedono per quale motivo non sia stata ancora prevista, così come era sancito nella legge finanziaria dell'anno scorso, la stabilizzazione di alcune importanti figure professionali, non solo i volontari in ferma prefissata (VFP1), ma anche alcuni ufficiali, che sono stati utilizzati dalle Forze armate in modo adeguato sotto il profilo funzionale, creando situazioni di sviluppo dell'attività. Ebbene, a distanza di un anno, ancora non vi è stata l'attuazione di tale disposizione: non sono stati emanati i decreti attuativi, si è navigato a vista, secondo un termine anche militare, ma non si è fatto nulla per stabilizzare, ad esempio, gli ufficiali in ferma prefissata.
A tal proposito vorrei anche collegarmi ad un altro aspetto della difesa, che riguarda l'Arma dei carabinieri. Gli ufficiali in ferma prefissata dell'Arma dei carabinieri sono stati una grande risorsa per questa istituzione, sono stati formati in strutture per l'addestramento di grande spessore, come la scuola ufficiali e successivamente inseriti nel contesto operativo, in alcuni contesti anche molto delicati come, ad esempio, in Sicilia, nella lotta contro la mafia. Nell'arco di questo tempo il loro sforzo è stato inutile, per il semplice motivo che al termine dei mesi prefissati, tali persone sono state poste in congedo, al di là delle prospettive iniziali e della legge sulla professionalizzazione delle Forze armate, che inizialmente, doveva prevedere sbocchi futuri. Ebbene, non si possono immettere nuovamente nel circuito del mondo del lavoro o della società uomini che hanno servito la patria e hanno svolto missioni così importanti. È giusto prevederne il collocamento all'interno delle stesse Forze armate. Vorrei ringraziare il presidente della Commissione difesa per la sua sensibilità: insieme, in Commissione, abbiamo approvato alcune risoluzioni in merito. Il comma 519 dell'articolo unico della precedente legge finanziaria, prevedeva proprio la possibilità di stabilizzare i ricordati ufficiali, ma mancano le leggi attuative.
Quest'anno tali ufficiali possono essere collocati al di fuori dei numeri previsti per i loro ruoli, quindi extra-organico. Speriamo che anche questa soluzione (che può essere di beneficio per le stesse istituzioni o, meglio, facilitare le stesse istituzioni a trovare una soluzione) possa trovarsi nell'attuazione dei ricordati decreti. I ragazzi di cui ho parlato, però, devono essere tenuti nelle Forze armate: non possiamo spendere fondi per formarli professionalmente e poi congedarli creando, quindi, ulteriore precariato. Lo abbiamo detto più volte e vogliamo ribadirlo in modo estremamente chiaro: combatteremo questa battaglia perché i predetti ragazzi rimangano! Vogliamo, inoltre, trovare un punto di incontro con voi per pensare al futuro, per capire come risolvere, ad esempio, il problema dei marescialli e degli ufficiali in esubero. Anche a tal proposito voglio fare un appello, una raccomandazione a lei, signor sottosegretario, dato che al Senato si sta discutendo il disegno di legge sul welfare. Non è possibile modificare il sistema pensionistico delle Forze armate e delle Forze di polizia perché, se è vero ciò che afferma il Capo di stato maggiore della difesa ossia che c'è la necessità di giovani, non possiamo prolungare l'età pensionabile degli attuali ruoli delle Forze armate e delle Forze dell'ordine. Ciò significherebbe, infatti, occupare gli organici e creare un maggiore scollamento tra i giovani e le Forze armate, tra la produttività di un'istituzione e la funzionalità, che deve essere adeguata.
In conclusione il pensiero va a tutti gli uomini oggi in divisa che servono la Patria nel Paese e fuori dai nostri confini e che Pag. 19ogni giorno, con il loro lavoro e con il loro spirito di attaccamento alle istituzioni fanno in modo che bambini vengano curati in varie parti del mondo e che si formino strutture che si apprestano all'esercizio della democrazia. Dunque, le nostre Forze armate, con grande orgoglio per l'Italia, rappresentano il nostro spirito di solidarietà e di libertà nel mondo. Al loro sacrificio e al loro impegno va sicuramente la nostra vicinanza e con ciò penso di interpretare, quantomeno, il sentimento di tutti voi. Penso inoltre che occorra fare di più per loro in Parlamento sotto il profilo stipendiale e per ammodernare i mezzi e le infrastrutture, ciò al fine di rendere più moderna un'istituzione e soprattutto, in una prospettiva futura, per fare in modo che la predetta istituzione possa essere strumento efficace di confronto con le altre forze armate europee e internazionali. Tale è l'auspicio ed il senso di questa mozione: aiutiamo i nostri giovani ad essere stabilizzati nelle Forze armate, trattiamo meglio i militari ed i poliziotti sotto il profilo delle retribuzioni perché essi rappresentano il meglio dell'Italia. Se amiamo l'Italia non possiamo non amare loro (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Duranti. Ne ha facoltà.
DONATELLA DURANTI. Signor Presidente, il Ministero della difesa, negli ultimi dieci anni è stato oggetto di un profondo processo di trasformazione, che è tuttora in corso. Tale processo è derivato dalla necessità di adeguare lo strumento militare alle linee guida tracciate dal nuovo modello di difesa e dall'adesione ai nuovi principi costitutivi della NATO. Si tratta di principi radicalmente modificati dal nuovo concetto strategico varato dalla NATO stessa nel vertice dell'aprile del 1999 a Washington, che non è stato sottoposto ad alcun tipo di verifica e di controllo parlamentare. Tale modifica intendeva trasformare la NATO da alleanza difensiva a presidio militare del nuovo ordine mondiale.
Abbiamo più volte affermato e dichiarato la nostra contrarietà a tale modifica: la nostra posizione in questo senso è assolutamente nota. Il nuovo modello di difesa, che viene varato nel 1991 anche nel nostro Paese e che si sviluppa nel corso del successivo decennio, si concretizza come adattamento del mezzo militare italiano alle mutate condizioni geopolitiche: sposa cioè la filosofia del nuovo concetto strategico della NATO affermando «la necessità della tutela degli interessi nazionali» - cito testualmente - «nell'accezione più vasta di tale termine, ovunque sia necessario». A tale scopo, vengono ridefinite le funzioni delle Forze armate del nostro Paese, professionalizzate con la legge n. 331 del 2000, funzioni che vanno dalla difesa delle linee di rifornimento strategico, alla difesa degli interessi culturali, economici e politici italiani in Paesi terzi, dalla salvaguardia dell'indipendenza nazionale, all'inviolabilità dei confini. Come si nota e si comprende facilmente, vengono cioè equiparati due concetti che sono assolutamente differenti, quello di interesse nazionale e quello di sicurezza (noi crediamo invece che la difesa e la sicurezza agiscano in ambiti completamente differenti, e in ambiti differenti debbono rimanere), trasformando così, di fatto, le nostre Forze armate in strumento di politica di sicurezza. Voglio ricordare a questo proposito anche cosa ebbe a dichiarare il generale Angioni: disse che la politica della difesa diventa appunto uno strumento della politica di sicurezza, e quindi della politica estera.
Quanto sopra fu ulteriormente chiarito nella nota aggiuntiva allo stato di previsione per la difesa del 2006, in cui si diceva: «Con tali orientamenti» - riferito ovviamente agli obiettivi strategici - «si intende in concreto proseguire nella trasformazione dello strumento militare, per adeguarlo alle nuove realtà; dotarlo di capacità non più circoscritte alla difesa nazionale» - quindi non più circoscritte solo alla difesa del nostro Paese - «in modo che risulti idoneo a tutelare globalmente gli interessi nazionali, a garantire ed esportare dinamicamente stabilità e Pag. 20sicurezza, ad assicurare alla nazione protezione anche da minacce non convenzionali e asimmetriche, calibrando la capacità di intervento in relazione alle molteplici e talvolta contemporanee necessità operative». Quindi, come si può constatare, si tratta di uno stravolgimento del nostro modello di difesa.
Le trasformazioni e gli adattamenti conseguenti al nuovo modello di difesa, che di fatto si è concretizzato nel nostro Paese ancorché il Parlamento non abbia mai potuto discutere a fondo delle sue linee, hanno determinato, negli anni, una progressiva crescita del bilancio della difesa, relativamente ai finanziamenti destinati alle spese militari e ai settori a questa collegati, armamenti e missioni; e un progressivo depauperamento delle risorse indirizzate alle attività di supporto civile e ai settori non direttamente collegati alle missioni all'estero e all'impegno nei teatri di conflitto. A questo proposito, voglio sottolineare come l'organico dei dipendenti pubblici della difesa, negli ultimi anni, sia passato da 42 mila unità a meno di 37 mila e come le loro condizioni di lavoro siano molto peggiorate. Soprattutto, con i tagli continui all'esercizio è stato, a mio avviso, di fatto allentato il ruolo del pubblico nel settore strategico delle manutenzioni, che potrebbe portare alla rinuncia ad esercitare il controllo democratico sugli apparati che perseguono le politiche della difesa, e portare a favorire l'attività della lobby dell'industria delle armi.
Pensiamo che la conseguente crescita dell'impegno del nostro Paese nell'ambito delle missioni internazionali determini la necessità di definire un quadro di riferimento più adeguato, che connetta cioè tali impegni in modo preciso con i vincoli costituzionali - intendo della nostra Costituzione - e il diritto internazionale, in modo da garantire un più incisivo controllo parlamentare all'interno di quella ridefinizione del modello di difesa che noi consideriamo ormai stringente e non più rinviabile. Allo stesso modo, la professionalizzazione delle Forze armate pone l'esigenza di fornire elementi per la loro modernizzazione democratica: vanno cioè previsti, secondo noi, strumenti in grado di garantire ai militari diritti (ma diritti veri, a partire da quello di aderire a libere associazioni sindacali: in materia abbiamo depositato una nostra proposta di legge), così come vanno tenute in grande considerazione e risolte alcune criticità, a partire dalla questione della stabilizzazione degli ufficiali volontari delle Forze armate, lavoratori precari che, dopo anni di servizio, si vedono negato il diritto al lavoro. Infine, ma ovviamente non per ultimo, è necessario (e anche ciò lo ripetiamo da tempo) definire procedure per il controllo da parte del Parlamento della spesa del Ministero della difesa e di tutti gli stanziamenti ad esso destinati.
Come si può constatare - mi avvio alla conclusione - le questioni della funzionalità e della operatività delle Forze armate affrontate dalle mozioni di cui stiamo discutendo intrecciano procedure, temi e decisioni fondamentali di contesto che meritano un'altra discussione, che affronti il problema del modello di difesa del nostro Paese, della sua collocazione internazionale, della qualità e della quantità della spesa per la difesa e, ovviamente, anche dei diritti del personale della difesa (militare e civile). Credo dunque che sia da questo punto di vista che dobbiamo affrontare la tematica oggi posta, e preannunzio che il nostro gruppo giudica le due mozioni assolutamente irricevibili.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nardi. Ne ha facoltà.
MASSIMO NARDI. Signor Presidente, credo che le due mozioni, al di là della loro stretta formulazione testuale, abbiano un merito importante: portano infatti all'attenzione di quest'Aula la necessità di prendere in considerazione l'ipotesi di dare più fondi alla difesa. Dare più fondi alla difesa è un problema sul quale dividerci fra militaristi e antimilitaristi? È un problema che deve far dividere il Parlamento fra guerrafondai e pacifisti? Non deve essere così: dobbiamo invece riflettere sulla funzione della difesa, su cosa significa avere una difesa funzionale e un Pag. 21Paese che sia in grado di difendersi da solo in tutte le situazioni che si possono determinare e verificare. Si tratta di situazioni che possono essere molto pericolose: in proposito, devo dire che invidio quei colleghi che hanno tante certezze e che pensano che il nostro sia un mondo tranquillo e che si possa fare a meno di strumenti di dissuasione, di prevenzione, o comunque di difesa rispetto a ciò che ci circonda. Quanto è accaduto in passato in Jugoslavia, quanto è accaduto in Libano molti anni fa e, nuovamente, più di recente, ciò che è accaduto nel Mediterraneo, e poi l'ingerenza iraniana e le problematiche legate al Medio Oriente: tutto ciò sta avvenendo, è avvenuto e, in qualche misura, potrebbe ancora esplodere non a migliaia di chilometri o ad anni-luce dal nostro territorio nazionale, e non è così lontano da permetterci di non preoccuparci delle possibili conseguenze di una nostra disattenzione. Tutto ciò - credo - sia infinitamente vicino a noi, si trovi a ridosso della nostra madrepatria: sono dunque preoccupazioni che ogni cittadino italiano deve avere.
Noi ci troviamo in una fase di evoluzione tecnologica particolarmente avanzata, nella quale gli strumenti di distruzione - anno dopo anno, momento dopo momento - diventano sempre più sofisticati ed efficienti. Viviamo in un momento in cui dobbiamo in qualche modo cercare di capire se sia o non sia utile, per esempio, avere il controllo del nostro territorio nazionale. Credo che se convenissimo su tale considerazione - e cioè sulla necessità di avere il controllo del nostro territorio nazionale rispetto ad eventuali rischi di minaccia -, dovremmo già muovere dal presupposto che bisogna potenziare la nostra macchina di difesa.
È singolare - cito un esempio - che noi disponessimo in passato di duecento F-104, mentre oggi in termini di prospettiva, nella migliore delle ipotesi, avremo, quando saranno disponibili, centoventuno Aero Fighters. Pochi o tanti che siano - e vedo qualcuno dei colleghi che sembra dire che non sono pochi affatto -, il problema è il seguente: il controllo aereo del territorio nazionale è importante o non lo è? Rispetto a quanto è successo in passato e a ciò che è successo non lontano da noi, è o non è importante? La vicinanza con Paesi che si trovano in condizioni di forte fibrillazione può metterci nella situazione di correre rischi significativi in questo senso? E allora, avere il controllo aereo attraverso una macchina che sia numericamente anche capace di coprire gli spazi, e non soltanto dal punto di vista prettamente nominalistico, è o non è importante?
Noi riduciamo la nostra capacità di presenza dal punto di vista aereo, ma non basta, la riduciamo anche per quanto riguarda il controllo delle nostre coste: passiamo, infatti, da venti fregate ad una decina di Frem, che peraltro non sono ancora disponibili né si capisce quando lo saranno a pieno. Anche a tale riguardo, il controllo dei mari è un elemento importante, o non lo è?
Noi abbiamo una costa estesa in maniera incredibile e permeabile da tutti i punti di vista, come dimostrano - se mai ne avessimo una qualche necessità di conferma - i continui sbarchi da parte di extracomunitari e di persone che, ovviamente, arrivano da noi illegittimamente: è o non è importante, quindi, avere una certa copertura del nostro territorio nazionale? Semmai non fosse sufficiente, basterebbe capire ciò che capita ogni giorno sulle nostre coste.
È o non è importante, inoltre, disporre di un esercito da impiegare, quando occorra, nella molteplicità degli scenari? Mi riferisco ovviamente, in primis, alle posizioni che stiamo ricoprendo all'estero con un mandato di cui credo dovremmo essere tutti onorati, e cioè quello di andare all'estero non per fare la guerra, non per fare del colonialismo, né per andare ad occupare territori (come qualche volta si ascolta dire in quest'Aula).
Noi andiamo all'estero - come dimostrano i fatti - per rappresentare l'Italia nel miglior modo possibile, ossia come una nazione di pace, capace di portare in quei contesti il proprio modo di intendere la legittimità, il proprio modo di impostare la Pag. 22giustizia, il proprio modo di essere credibili rispetto ai cittadini ed alle popolazioni presso le quali ci si trova ad operare.
I nostri soldati sanno fare molto bene tutto ciò. Non è un caso, cari colleghi, che i nostri soldati quando vanno all'estero siano molto stimati, ben più di quanto forse capita ad altri nostri alleati. Ma ciò capita perché il nostro soldato non è un soldato di guerra, bensì è un soldato che parla con la gente, ricostruisce ponti e costruisce strade; è un soldato che in qualche misura dà un'ampia dimostrazione della sua professionalità e della sua umanità. Per tali ragioni, il nostro soldato è credibile e, nella stragrande maggioranza dei casi, è considerato capace di riportare la serenità nei territori in cui essa è difficile o si è persa del tutto.
Ma allora, se siamo consapevoli di tale aspetto e se siamo consci di quale compito spetti ai nostri militari, soprattutto nei momenti in cui si trovano ad agire all'estero, come possiamo non considerare le ristrettezze in cui stiamo costringendo ad operare queste persone? Come non si può non capire che li mandiamo ad esercitare le funzioni che poco fa ho descritto, non dico allo sbaraglio, ma comunque in condizioni di difficoltà oggettiva?
Per tali motivi le mozioni in esame, a mio giudizio, hanno importanza, al di là del merito e del contenuto. Esse mettono in evidenza una necessità. È particolarmente importante che il Parlamento abbia nei confronti della difesa una propria capacità di attenzione, che trovi i fondi per rimpinguare le risorse che al momento rendono difficile il semplice mantenimento dello stato attuale della nostra efficienza.
Intendo rivolgere un plauso al Ministro della difesa, l'onorevole Parisi. Questi ha avuto il coraggio, in Commissione difesa, di ammettere con estrema franchezza: «Cari colleghi, purtroppo non siamo in condizione di mantenere ciò che avevamo né di garantire l'efficienza che avevamo. I nostri standard si stanno abbassando. Non riusciamo a dare la dovuta garanzia di efficienza ai nostri macchinari. Dovremmo sostituire delle macchine, cominciando dalle jeep, dai cingolati e da altre ancora, ma non riusciamo a farlo. Dovremmo esercitare una sorta di professionalizzazione del personale nuovo che viene utilizzato nelle missioni di pace ma non siamo in grado di finanziarlo». Ha avuto il coraggio di dire tutto questo! Ho apprezzato il suo coraggio e in tale occasione gli ho risposto: «Caro Ministro, non sono del suo partito, sono della Democrazia Cristiana per le Autonomie, un partito che sta all'opposizione rispetto alla sua parte politica e che spesso non condivide le sue considerazioni o le sue proposte. Ma oggi voglio dire che lei è un uomo onesto e che rappresenta con dignità il nostro Paese. È stato capace di ammettere, dinanzi alla Commissione e pubblicamente, che il nostro Paese non sta pensando ai propri militari».
Concludo il mio intervento affermando che se le mozioni in esame possono, anche un po', concentrare l'attenzione di ognuno di noi in ordine alla necessità del settore della difesa e sul fatto che debbano essere compiuti maggiori interventi, non solo esprimeremo voto favorevole ma le sosterremo fino in fondo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.
ENRICO BUEMI. Signor Presidente, prima di affrontare le questioni di merito delle mozioni in esame vorrei richiamare l'attenzione dei colleghi in ordine ad un aspetto che continua a rappresentare una questione particolarmente condizionante dello sviluppo della dialettica politica nel nostro Parlamento. Credo che su argomenti come quelli che stiamo trattando questa mattina si debba compiere uno sforzo per preservarli da ogni strumentalizzazione politica. Infatti, l'argomento presenta una così grande rilevanza dal punto di vista degli interessi generali del Paese che su di esso dovrebbero convergere gli sforzi dell'unanimità del Parlamento e mi pare assolutamente inopportuno che si sviluppino strumentalizzazioni e dialettiche forzose.
Sicuramente la situazione è all'osso. Tale circostanza è stata ammessa dal Ministro Pag. 23della difesa, ma è sufficiente leggere gli stanziamenti disposti in bilancio per rendersi conto della difficoltà che anche questo settore della nostra organizzazione pubblica vive. D'altra parte dobbiamo registrare una difficoltà, colleghi, per il Paese intero. Le notizie di stamattina danno il nostro Paese ormai retrocesso dietro la Spagna.
Cari colleghi dell'opposizione, ci dobbiamo convincere - non posso essere tacciato di aver cambiato opinione - che è necessario un altro rapporto dialettico: non possiamo continuare con la solita logica che, quando siamo al Governo, siamo perfetti e, quando siamo all'opposizione, sono sbagliati gli altri! Voi state riproponendo questo stesso schema, che è lo stesso che il centrosinistra aveva contro di voi nella scorsa legislatura e verso il quale inutilmente noi socialisti ci siamo battuti!
LUCA VOLONTÈ. Di che cosa stai parlando? Avete posto la fiducia sul Protocollo sul welfare!
PRESIDENTE. Onorevole Volontè, la prego di lasciar proseguire l'intervento del collega.
ENRICO BUEMI. Al capogruppo Volontè voglio dire con estrema franchezza che non vedo neanche la convenienza, per una forza politica come la sua, di diventare particolarmente esasperanti nel confronto politico.
LUCA VOLONTÈ. Ma cosa stai dicendo! Avete posto quattro questioni di fiducia in due mesi!
ELISABETTA GARDINI. Parla ai tuoi!
ENRICO BUEMI. Dobbiamo essere consapevoli che il Paese attraversa un momento difficile, sia dal punto di vista istituzionale, sia da quello della situazione economica e sociale. Non può essere accettata l'accusa che la responsabilità è di un Governo in carica da diciotto mesi, dopo che il Governo del centrodestra è stato in carica per ben sessanta mesi. Non voglio scaricare le responsabilità neanche su quel periodo, in quanto ci sono situazioni che derivano da lontano, ma nello stesso tempo non può essere richiesto a questo Governo e a questa maggioranza di risolvere con una bacchetta magica i problemi del Paese! Certo è che vi sono difficoltà e debbo dire con estrema onestà che vi è difficoltà da parte del centrosinistra, almeno nella sua interezza, di affrontare queste problematiche. La storia, l'esperienza di cinquant'anni e più di democrazia pesano ancora fortemente nell'approccio su tale materia.
Nello stesso tempo, voglio dire che, se facciamo uno sforzo per uscire dalle strumentalizzazioni, anche questi problemi si possono risolvere. Quindi, la situazione è difficile non solo per le Forze armate, ma per il Paese. Siamo consapevoli della funzione straordinaria e strategica delle Forze armate, sia in termini di difesa degli interessi nazionali, sia dal punto di vista militare, ed anche della politica estera, non per esportare visioni obbligatoriamente e in maniera coercitiva, ma per concorrere alla distensione internazionale e promuovere i cambiamenti positivi in Paesi che si trovano in maggiori difficoltà.
Nello stesso tempo, siamo assolutamente consapevoli della funzione trainante dell'industria militare, non tanto perché siamo un Paese guerrafondaio, ma perché abbiamo bisogno anche in quel campo di non essere l'ultimo fanalino di coda. Tuttavia, l'industria militare si regge anche con investimenti che in questo momento mancano.
Vi è poi la necessità di garantire un'adeguata formazione del personale militare, soprattutto per il personale impiegato in funzioni di particolare rischio ed anche la necessità di garantire al personale militare che tende a collocarsi nella seconda metà della propria carriera le condizioni affinché possa essere utilizzato positivamente in altri settori dello Stato, in particolare quelli della sicurezza interna, che hanno sicuramente bisogno di una maggiore presenza.Pag. 24
Credo che tutto ciò possa avvenire se - come dicevo all'inizio - usciamo dalla strumentalizzazione. Vi è bisogno di affrontare i problemi nella loro essenzialità. Quindi, in questo senso lo dico al capogruppo Volontè, presentatore insieme all'onorevole Bosi della mozione n. 1-00143, e anche al collega Ascierto, che nelle loro mozioni vi sono punti condivisibili. Pertanto se, invece di promuovere iniziative unilaterali, ci muovessimo, almeno in questo campo, in una visione più unitaria e non ci mettessimo d'accordo - lo dico ad altri, ovviamente non a noi - soltanto per fare leggi elettorali che sottraggono democrazia e cercassimo di fare uno sforzo unitario per trovare soluzioni ai problemi reali del nostro Paese, senza nasconderci dietro le strumentalizzazioni di parte, daremmo un grande contributo. Infatti, come vediamo, sul merito delle questioni ci sono maggiori convergenze di quelle che ci possono essere nella dialettica strumentale e pretestuosa.
Volevo richiamare brevemente l'attenzione dei colleghi su un tema che già altri colleghi nella loro illustrazione hanno posto, che è quello relativo al personale in ferma prefissata, che attende certamente una stabilizzazione.
Credo che, come accade in altri settori della nostra organizzazione pubblica - mi riferisco ai magistrati onorari e ai giudici di pace - che, pur svolgendo una funzione pari a quella degli altri funzionari pubblici, come i magistrati togati, dal punto di vista economico, vengono trattati in maniera sostanzialmente diversa, lo stesso problema si ponga, con riferimento alle carriere, per gli ufficiali e i sottoufficiali che, pur svolgendo all'interno delle Forze armate funzioni essenziali, equiparabili a quelle di altro personale di ruolo, sono sottoposti a questi limiti, non solo di carriera ma anche di impegno temporale. Ritengo che verso tali soggetti occorra avere maggiore attenzione e senso di responsabilità, perché qui si gioca anche con la vita delle persone, con la loro possibilità di avere una prospettiva seria di lavoro, in particolare nel settore che hanno condiviso nei primi anni della loro esperienza professionale. La stessa considerazione vale per coloro che vogliono lasciare dopo un certo periodo, ai quali è necessario garantire una formazione che sia utile anche per un loro impegno nella società civile.
Colleghi, credo che non sia peregrina la necessità di una riflessione sul reclutamento di leva, perché il nostro Paese oggi sconta grandi difficoltà nel ricondurre la collettività giovanile verso obiettivi, valutazioni e condizioni di responsabilità civile e civica che progressivamente vengono meno. Ritengo che la leva militare, come altre grandi istituzioni pubbliche del nostro Stato, abbia svolto una grande funzione formativa. Non credo sia opportuno riproporre lo schema precedente, ma penso che valga la pena far rientrare nel nostro dibattito parlamentare una riflessione volta a recuperare gli aspetti positivi di quell'esperienza.
Svolgo un'ultima considerazione sul rapporto tra le nostre Forze armate e quelle degli altri Paesi. Non possiamo pretendere di essere al livello dei grandi Paesi che non sono sottoposti ai condizionamenti storici e strutturali che, purtroppo, limitano il nostro Paese in termini di bilancio e di costo della spesa pubblica. Nello stesso tempo, però, non possiamo perdere la nostra capacità di essere presenti con un'altissima qualificazione, sia sotto il profilo della strumentazione tecnologica sia sotto quello del personale qualificato. Sono del parere che in questo settore debbano essere privilegiate le qualità alle quantità e da questo punto di vista occorre fare uno sforzo. Credo che le nostre Forze armate potranno essere all'altezza del nostro Paese soltanto se avranno alle spalle la politica, la società e le istituzioni, unite nel sostenere la loro azione nel momento in cui saranno chiamate ad essere impegnate ovunque lo riterremo necessario (Applausi dei deputati del gruppo Socialisti e Radicali-RNP).
PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Cossiga ed altri n. 1-00260, il cui testo è in distribuzione, che, vertendo su materia analoga a quella Pag. 25trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà discussa congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
È iscritto a parlare l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, intervengo nella fase della discussione sulle linee generali delle mozioni presentate, ma ne approfitto per esprimere contestualmente una dichiarazione di voto: il gruppo della Lega Nord Padania voterà a favore delle mozioni Bosi e Volontè n. 1-00143, Ascierto ed altri n. 1-00259 e Cossiga n. 1-00260.
Tali mozioni muovono dalla constatazione che l'attuale modello di difesa a 190 mila unità non appare più sostenibile alla luce degli attuali livelli di bilancio della difesa, almeno per le parti che concernono le spese per il personale e le cosiddette spese di funzionamento, entro le quali ricadono voci delicatissime, come l'addestramento degli uomini e la manutenzione dei mezzi. Poiché l'argomento affrontato è proprio questo, è evidente che le mozioni dovevano essere calendarizzate - tenuto conto anche dello spirito di chi le ha presentate all'Assemblea - prima della sessione di bilancio.
Signor Presidente, è inutile parlare adesso, quando di fatto il disegno di legge finanziaria ha già ricevuto il vaglio della Camera e oggi è al voto definitivo al Senato. Non abbiamo avuto la possibilità di intervenire sulla questione, né di dare voce non solo alle istanze di chi, in questo momento, sta operando nelle forze di sicurezza, nelle Forze armate, nella polizia e quant'altro, ma anche alle istanze dei settori della pubblica amministrazione e dei vertici dell'esercito, i quali sono venuti in Commissione a chiedere finanziamenti più cospicui.
I nostri uomini, infatti, nelle missioni di pace nel mondo e per garantire la sicurezza sul territorio hanno sempre bisogno di maggiori risorse, che il Governo gli nega. Ricordo, infatti, che il miliardo stanziato con la finanziaria nel corso del 2007 è stato ampiamente esaurito già nei mesi precedenti a settembre-ottobre, a seguito degli impegni che il Governo ha deciso di assumere inviando più uomini e più mezzi nelle missioni di pace, soprattutto in Afghanistan.
Voglio ricordare ciò anche ai colleghi di Rifondazione Comunista, dei Verdi, dei Comunisti Italiani, i quali fanno finta di non sapere che i nostri uomini in questo momento sono in Afghanistan in un teatro pericolosissimo, in quanto combattono e sostengono delle vere e proprie missioni di combattimento insieme agli americani. È chiaro che la quotidiana esposizione al rischio che devono affrontare i nostri uomini deve essere supportata anche da risorse importanti, necessarie per garantire loro la sicurezza. Ciò significa mezzi affidabili e la possibilità di ricevere finanziamenti in grado di supportare questa azione in teatri così difficili, dove il terrorismo internazionale di matrice islamica sta nuovamente prendendo possesso di grandi aree, soprattutto in Afghanistan.
Quindi è evidente che ci troviamo a discutere la mozione troppo tardi. Ormai il bilancio è stato deciso, e anche per il prossimo anno sarà stanziato un misero miliardo di euro, che non è sufficiente a garantire le necessità che le Forze armate e di polizia hanno sul nostro territorio.
Il risultato è che le Forze armate e quelle di polizia sono prive del necessario: dai carburanti ai fondi per la stabilizzazione dei precari, alle risorse per l'ordinaria amministrazione, per lo sviluppo professionale (dunque per l'addestramento) e per il mantenimento dei mezzi, ai risarcimenti per i militari colpiti dalle patologie derivanti dall'amianto e dall'uranio impoverito, di cui tanto si è discusso in Parlamento.
È sempre più difficile, dunque, chiedere ai nostri militari, ai carabinieri, agli uomini della Polizia di Stato e perfino a quelli delle Capitanerie di porto di continuare ad assolvere i compiti che il Paese gli chiede e che sono loro affidati. Mi riferisco alle missioni di pace all'estero, al contrasto alla criminalità organizzata, alla sicurezza dei confini e alle emergenze di protezione civile.Pag. 26
È inaccettabile che agli uomini in divisa si chieda tanto senza riconoscere loro il minimo necessario. Oggi discutiamo in un Parlamento ormai quasi vuoto (si avvicina il Natale), ma i nostri uomini ogni giorno rischiano la loro vita a casa nostra, sul nostro territorio e nelle missioni di pace. Il Governo, tuttavia, non fa nulla per aiutarli.
Evidentemente, voi del Governo vi siete chiusi a chiave nel palazzo del potere, non vi confrontate con il territorio e, quindi, non riuscite a vedere questi aspetti. La gente, però, è sempre più delusa da questo Stato, in quanto è uno Stato che blocca ogni processo di riforma federalista, è sempre più centralista ed assistenzialista (lo abbiamo visto con questa finanziaria) e non fa nulla per garantire più sicurezza sul territorio (lo abbiamo visto con il decaduto decreto-legge sulla sicurezza).
Lo Stato e il Governo scatenano i loro prefetti e i loro magistrati contro i sindaci della Lega Nord, i quali cercano di mantenere un minimo di qualità della vita sul territorio, adottando ordinanze per regolare, ad esempio, il fenomeno dell'immigrazione nelle loro città. Si tratta, quindi, di uno Stato latitante, che preferisce dare la caccia ai sindaci della Lega Nord invece che ai delinquenti. È uno Stato che, di fatto, non fa nulla per contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, per la quale è in atto un'altra sanatoria. Si stanno sanando, infatti, più di 500 mila clandestini presenti oggi nel nostro Paese, perché da quando siete al Governo nessuno ha più applicato la legge Bossi-Fini.
Ricordo che si tratta di una legge dello Stato in vigore, che prevede l'espulsione per chi entra illegalmente nel nostro Paese: questo Governo, da quando è in carica, non ha adottato alcun provvedimento di espulsione nei confronti di cittadini extracomunitari. È una vergogna (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Dovete parlare con la gente e confrontarvi con i cittadini: vedrete che la gente non ne può più. Sono troppi gli extracomunitari presenti sul nostro territorio: sono gli africani, i marocchini, gli albanesi e gli slavi venuti a casa nostra pensando di fare quello che vogliono e di non rispettare le nostre regole. Per quanto ci riguarda, ciò è inaccettabile!
Signor Presidente, concludo: è giusto parlare di determinate questioni e cercare di aprirvi gli occhi, altrimenti dovremo affrontare insieme gli eventi che si verificheranno sul territorio per la ribellione della gente che non ne può più. La gente che identifica questo Stato nel Governo Prodi - che di fatto lo rappresenta - lo vede sempre più come uno Stato nemico. Il tricolore - la bandiera tanto difesa in quest'Aula - viene vista al nord, in Padania, come una bandiera nemica, che rappresenta uno Stato che non garantisce gli interessi dei cittadini onesti, che pagano le tasse e chiedono risorse e sicurezza sul territorio (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, confesso subito che, quando ho letto la mozione Bosi n. 1-00143, non ho potuto non comprendere e non condividere la preoccupazione in merito alle questioni economiche e finanziarie che, nell'ambito delle Forze armate, riguardano soprattutto i lavoratori delle stesse. Dopo aver letto, però, le mozioni Ascierto ed altri n. 1-00259 e Cossiga ed altri n. 1-00260, la sensazione di essere di fronte a documenti un po' pretestuosi e strumentali è andata crescendo. Nella fase di illustrazione delle mozioni, Bosi ha addirittura attaccato il Presidente Prodi, all'indomani di un indubbio successo della diplomazia italiana, ottenuto in sede ONU con l'approvazione della moratoria sulla pena di morte. Va richiamata, tra l'altro, l'azione di queste settimane e di questi mesi: penso non soltanto al Libano, ma, ad esempio, all'iniziativa politica e diplomatica per evitare che nel Kosovo si arrivi ad una crisi. Ho ascoltato la retorica militaristica, antistorica e fuori luogo che non giova al ruolo di Forze armate che operano in teatri difficili ma come protagonisti di pace (non giova, pertanto, ai nostri ragazzi impegnati in missioni di pace).Pag. 27
Di fronte a tutto ciò, pur considerando l'importanza e riconoscendo la giusta attenzione che deve essere prestata alle questioni economiche e finanziarie delle Forze armate, ricordo la delicatezza della materia e le difficoltà oggettive della gestione economica di tale settore, insite tanto nel retaggio del passato quanto nell'attuale frangente. Non c'entrano niente il tema dell'immigrazione e le scelte dei sindaci della Lega Nord.
Quanto al bilancio del Ministero della difesa - che, è vero, si mantiene di poco al di sotto dell'1 per cento del PIL (è pari allo 0,938 per cento per il 2007 e allo 0,948 per cento per il 2008) - sembra opportuno sottolineare che le critiche al processo di razionalizzazione del personale delle strutture delle Forze armate tendono ad essere ridimensionate, alla luce delle stime e dei dati presenti già nella legge finanziaria per il 2007 e poi in quella per il 2008. Ricordo che, già lo scorso anno, al capitolo di spesa per il personale fu indirizzato ben il 71 per cento degli stanziamenti, al capitolo dell'esercizio il 16 per cento e a quello di investimento il 22, con una crescita complessiva, rispetto al 2006, del 2,7 per cento. Quest'anno, pur restando quasi invariata la percentuale di spesa sul PIL, le previsioni si orientano verso una crescita del 5,4 per cento rispetto al 2007, mantenendo la ripartizione dei tre capitoli di spesa in linea con quella dello scorso anno.
È da registrare, dunque, che, a ridosso della presentazione delle mozioni in esame, lo stesso Ministero della difesa ha lamentato il rischio di una quasi irreversibile inefficienza, da imputarsi maggiormente ai tagli operati nella scorsa legislatura.
Si pensi che nel 2006, quindi con previsione di bilancio realizzata nel 2005, si era arrivati a disporre di appena 1.837 milioni di euro per l'esercizio e di appena 1.511 per l'investimento, a fronte dei circa 2.500 milioni di euro per l'esercizio e 3.600 milioni di euro per gli investimenti previsti per il 2008.
Si tratta di un trend negativo, che, paradossalmente, al di là del solito scaricabarile, è stato il risultato di un Governo, quello di centrodestra, particolarmente interventista e militarista. È chiaro, quindi, che se, da un lato, possiamo ammettere la necessità di un progressivo miglioramento nella spesa e nella gestione delle Forze armate, fermo restando anzitutto il rispetto per il personale militare, dall'altro non possiamo esimerci dal ricordare che questa problematica non può essere affrontata in tempi brevi, né tanto meno attraverso interventi ad hoc, adatti più a rispondere superficialmente ai rumor e alle lamentele di categoria che a risolvere concretamente e complessivamente la questione.
Per questi motivi, preannunzio, fin da ora, il voto contrario del gruppo dell'Italia dei Valori sulle tre mozioni presentate.