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TESTO DELLE COMUNICAZIONI DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA CLEMENTE MASTELLA
CLEMENTE MASTELLA, Ministro della giustizia. Onorevoli colleghi, un anno fa, era per me la prima volta da Ministro, vi ho presentato il progetto che avevo in mente per operare una effettiva riforma della giustizia. Lo avevo fatto partendo da una descrizione senza reticenze dello stato di profonda crisi in cui essa versa da tempo, connotata da ritardi, gravi inefficienze, conflitti politico-istituzionali e, quindi, da una risalente e progressiva perdita di legittimazione e da un rapporto con i cittadini contrassegnato da crescente sfiducia.
Pur consapevole della estrema difficoltà di quella che alcuni reputano una missione impossibile, rifiutai allora, come rifiuto oggi, la pericolosa tentazione di chi vorrebbe indirizzare la giustizia italiana verso la palude della rassegnazione e dell'impotenza, suggerendo l'ineluttabilità di un disfunzionamento ormai cronico e irreversibile.
Dissi allora, essendone oggi ancor più convinto, che fronteggiare la complessiva crisi di affidabilità della giustizia non è solo una priorità per il Governo, ma un'urgenza ed una sfida per tutta la classe dirigente del Paese: una vera e propria questione nazionale.
Il sistema di giustizia è struttura fondamentale dello Stato, vero pilastro dell'ordinamento democratico per la difesa dei diritti individuali e la sicurezza dei cittadini, fattore decisivo per la competitività economica del Paese.
Le istituzioni tutte, la politica nel suo complesso, i diversi attori della vita pubblica, pur nella diversità dei rispettivi ruoli, devono insieme farsi carico di questo capitolo centrale del nostro vivere in comunità.
Troppo spesso ciascuno dei protagonisti del sistema giustizia rinvia alla responsabilità di altri, laddove di quel sistema è chiamato istituzionalmente a determinare gli esiti.Pag. 31
Passare dall'io al noi in materia di giustizia è necessario, renderlo possibile è responsabilità di tutti.
Non si tratta di buonismo di risulta o di furba ipocrisia, ma solo della realistica analisi di una vicenda istituzionale le cui coordinate essenziali sono ormai note. Fingere di ignorarle significa eludere una responsabilità collettiva al cui adempimento siamo tutti tenuti, pena il perpetuarsi di pesanti handicap per il Paese, per la sua vita democratica, per la sua crescita civile ed economica.
Sia chiaro. Il Ministro della giustizia ha il suo ruolo, che rivendico, e la sua propria responsabilità, alla quale non mi sottraggo.
Ma senza il superamento di logiche di casta, di gruppi e di corporazioni l'une contro le altre armate, semplicemente la giustizia italiana non si risolleverà dal conflitto perpetuo e dalla cronica inefficienza. Senza il riconoscimento di una reciproca legittimazione tra gli opposti schieramenti politici, senza il concorso dei diversi attori istituzionali e dei molteplici decisori pubblici, non realizzeremo l'interesse generale in questo ambito cosi prezioso, delicato e complesso della nostra società. In questo quadro, la convinzione della superiorità gerarchica degli eletti dal popolo rispetto ai magistrati nominati per concorso fa il paio con quella, altrettanto errata ed esiziale, di una pretesa superiorità morale dei secondi sui primi in base a giudizi etici sbrigativi ed infondati.
Entrambe sono foriere di derive nei comportamenti individuali e di indebite torsioni nell'esercizio di pubbliche funzioni e nella vita delle istituzioni. Entrambe, potenzialmente moltiplicabili in progressione geometrica per il numero dei soggetti politici, delle categorie professionali e degli attori del processo, costituiscono il velo culturale ed ideologico dietro il quale nascondere la radice del problema, comune del resto a tanti ambiti della vita pubblica: l'incapacità collettiva e politica di fare sintesi e realizzare le necessarie innovazioni su temi essenziali per il vivere civile.
Voglio qui affermare, con convinzione e senza riserve, il valore, fondamentale nel nostro assetto costituzionale, del principio della esclusiva soggezione del giudice alla legge.
Soltanto - sottolineo soltanto - alla legge, ma almeno alla legge. In mancanza di ciò, è la base stessa su cui poggia l'indipendenza della magistratura ad esser messa a rischio, salvo a non immaginare un ben più grave rischio per l'intero assetto delle nostre istituzioni democratiche. La soggezione del giudice solo alla legge, privata del muro di cinta costituito dal rispetto delle regole deontologiche, scolorirebbe fino a dissolversi, consegnando prima i singoli magistrati, e poi l'intero ordine giudiziario, non più alla garanzia indefettibile dell'autogoverno, ma alla perniciosa ricerca del consenso della piazza. Oltre questo confine non c'è più la giustizia quale noi conosciamo e vogliamo.
Se è assolutamente condivisibile che i detentori di responsabilità politiche non debbano sottrarsi ad un effettivo controllo di legalità del loro operato - così come sono sottoposti al sovrano giudizio degli elettori - allo stesso modo credo debbano valere per i magistrati le parole pronunciate da Platone, allorché ammoniva: «Quelli che abitualmente si dicono magistrati, io li ho chiamati servitori delle leggi. Non per uno stravolgimento nell'uso delle parole, ma perché sono convinto che in ciò sopra tutto sia tanto la salvezza di uno Stato quanto la sua decadenza. Infatti, uno Stato in cui la legge è esautorata e calpestata vede incombere la distruzione. E invece, per quello in cui la legge prevale sui magistrati e i magistrati ad essa si sottomettono, prevedo la salvezza e il godimento di tutti i beni che gli dei concedono agli Stati.»
La nostra capacità di sciogliere con equilibrio e saggezza tutti questi nodi determinerà in larga parte l'avvenire della giustizia nel nostro Paese. Esserne consapevoli è la base essenziale per valutare il cammino fatto ed affrontare i problemi che abbiamo di fronte.
Riprenderò questi temi, a mio parere fondamentali, nella parte conclusiva della mia relazione, dopo avervi esposto sinteticamente quanto, nel corso del 2007, si è Pag. 32verificato nell'amministrazione della giustizia e quanto, come Ministro responsabile e col concorso di tutto il Governo, ho proposto al Parlamento ed al Paese. Ad un più ampio documento scritto, corredato di dati statistici e proposto all'attenzione del Parlamento, riservo i maggiori dettagli.
LA RIFORMA DELL'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO
Atteso da oltre sessant'anni e terreno di «guerre di religione» e conflitti senza fine, il nuovo ordinamento giudiziario è legge dello Stato.
Il vecchio sistema ordinamentale e la stessa riforma immaginata con la legge n. 150 del 2005 apparivano infatti largamente inadeguati rispetto ai bisogni di una giustizia moderna ed efficace. Il nuovo assetto innova decisamente su tutti gli snodi essenziali del sistema ordinamentale: accesso, formazione iniziale e permanente, valutazione dei magistrati e loro progressione in carriera, attribuzione di incarichi direttivi, distinzione di funzioni nell'ambito di un'unica carriera. Cosi, l'ormai superato sistema di reclutamento del 1946 è stato sostituito da un ben più probante concorso di secondo grado.
È stato poi abbandonato un sistema di valutazione dei magistrati non più adeguato, in cui la professionalità veniva affermata per presunzioni in occasione di passaggi di qualifica troppo distanziati nel tempo. Ma si è evitato al contempo il ritorno al passato rappresentato dal bizantino sistema di avanzamento in carriera previsto dalla riforma sospesa dal Parlamento nel 2006, che non valorizzava adeguatamente la concreta attività dei magistrati, basando la progressione su esami e titoli teorici e formali, non conferenti con l'esperienza acquisita nella giurisdizione. La riforma votata dal Parlamento introduce invece stringenti valutazioni quadriennali. Esse si fondano su precisi elementi qualitativi e quantitativi, tratti essenzialmente dall'attività pregressa del singolo magistrato e come tali idonei a disegnare il suo effettivo profilo professionale. Da esse possono derivare anche conseguenze di rilievo economico e di carriera nel caso di riscontrata inadeguatezza.
Gli incarichi direttivi, attribuiti in passato senza riguardo alle concrete capacità organizzative dei candidati e a tempo indeterminato, ciò che aveva favorito spesso il formarsi di sacche di inefficienza e incrostazioni di potere incompatibili con una sana ed efficiente amministrazione della giustizia, sono ora temporanei e sottoposti a controllo di gestione e risultato al momento dell'unico possibile rinnovo.
La marcata separazione tra funzioni giudicanti e requirenti prefigurata dalla legge n. 150 del 2005 è stata sostituita da una rigorosa, ma equilibrata, distinzione delle funzioni, garantita da apposita formazione, da un giudizio di idoneità specifica e da limiti di incompatibilità: è stata cosi preservata l'unicità della carriera dei magistrati.
È stata istituita la Scuola superiore della magistratura, adeguando l'Italia alle più avanzate esperienze europee, nella consapevolezza del valore centrale della formazione iniziale e permanente per l'innalzamento della qualità complessiva del sistema giustizia.
Insomma, un intervento coerente con un disegno globale della giurisdizione fedele al dettato costituzionale ed insieme innovativo quanto ad esigenze professionali, modelli ordinamentali e forme di organizzazione della struttura giudiziaria.
Esso, concepito come il nucleo originario di una più ampia opera riformatrice, costituisce la prima pietra sulla quale edificare un sistema giudiziario più moderno, responsabile ed efficiente.
Credo che il Governo possa a giusto titolo rivendicare con orgoglio dinanzi al Parlamento ed al Paese il risultato raggiunto in un ambito cosi importante e in condizioni difficilissime di agibilità politica e parlamentare.
Ma il 2007 non è stato soltanto l'anno dell'adozione della riforma, ma anche quello dell'avvio della sua realizzazione.
Innovazioni così profonde scontano necessariamente tensioni e richiedono uno Pag. 33sforzo consistente a tutte le Istituzioni e a tutti i soggetti coinvolti. Il mio Ministero è direttamente coinvolto nelle fasi organizzative per l'attuazione del nuovo ordinamento, e nella predisposizione dei testi normativi di coordinamento, l'ultimo dei quali approvato dal Consiglio dei ministri l'11 gennaio scorso, volti a consentire, tra l'altro, il rinnovo dei consigli giudiziari e la costituzione del consiglio direttivo della Corte di cassazione. Mi riferisco in particolare al Consiglio superiore della magistratura, la cui collaborazione leale e fattiva voglio sottolineare con convinzione e gratitudine. L'organo di autogoverno ha contribuito concretamente all'attuazione della riforma, adottando tempestivamente atti amministrativi di fondamentale importanza, come l'elaborazione dei nuovi criteri per la valutazione dei magistrati, il conferimento di incarichi direttivi e la pubblicazione dei posti direttivi resisi vacanti a seguito delle disposizioni del nuovo ordinamento sulla loro temporaneità. In soli quattro mesi il Consiglio superiore ha esaurito ben 117 procedimenti di conferimento di incarichi direttivi, a fronte di un dato relativo allo scorso anno nel quale, in nove mesi, sono stati esauriti soltanto 72 procedimenti analoghi. Ancora molto resta da fare, basti pensare alla fase di avvio dell'attività della Scuola superiore della magistratura, ma questo esordio è di ottimo auspicio per il futuro, che potrà continuare a giovarsi di un clima consensuale e di concrete prassi collaborative instaurate con le strutture del mio ministero, migliore premessa per l'attuazione del nuovo ordinamento. Anche questo non mi sembra un risultato di poco conto rispetto al recente passato, nell'interesse del buon funzionamento delle istituzioni e dei cittadini al cui servizio esse sono chiamate ad operare.
LA GIUSTIZIA CIVILE
I dati statistici riferibili al 2006 ed il dato tendenziale annuo rilevato a giugno 2007 indicano una domanda globale di giustizia pressoché stazionaria rispetto all'anno 2005.
Le cause iscritte nell'anno 2006 (dato stimato in relazione alle informazioni ancora non del tutto disponibili) sono state 4.335.493 a fronte delle 4.330.305 iscritte nel corso del 2005.
La capacità di risposta del sistema si è mantenuta costante, tenuto conto della ulteriore diminuzione, di circa il 3 per cento, del numero di magistrati in servizio. Il numero di procedimenti definiti nel 2006 è stato di poco inferiore a quello registrato nel 2005, e un andamento analogo si è riscontrato anche nel primo semestre del 2007.
L'aumento della pendenza però non è omogeneo tra gli uffici giudiziari. Se, infatti, presso i tribunali si registra un minimo incremento, l'aumento delle pendenze finali è assai rilevante presso le corti di appello (+11,04 per cento) e presso i giudici di pace (+14,35 per cento), per un totale complessivo superiore ai cinque milioni (stimato in 5.127.450 al 31 dicembre 2006).
La giacenza media dei procedimenti civili varia da circa 980 giorni per la cognizione ordinaria di primo grado (ma occorre ricordare che quasi il 90 per cento dei procedimenti in primo grado finisce con la pronunzia della sentenza che non viene impugnata) a circa 758 giorni per i procedimenti civili in materia di lavoro.
La situazione è più grave in corte di appello dove la giacenza media di un procedimento di cognizione ordinaria è stato di circa 1.405 giorni nel 2006, mentre per le controversie di lavoro è stato di circa 814 giorni, durata che si va a sommare a quella già accumulata per il giudizio di primo grado.
Per il giudice di pace la giacenza media delle cause relative al risarcimento danni da circolazione stradale si è attestata a circa 545 giorni nel 2006 mentre per le opposizioni avverso le sanzioni amministrative in materia di circolazione stradale si è giunti nel medesimo periodo a 286 giorni.
Si tratta, evidentemente, di una situazione che necessita di interventi non ulteriormente procrastinabili al fine di invertire la tendenza e ripristinare parametri Pag. 34in linea con quelli europei, avendo diritto i cittadini e gli operatori economici che vivono ed esercitano la loro attività nel paese ad un trattamento che assicuri parità di condizioni nel vivere e nel competere sul mercato.
LA GIUSTIZIA PENALE
Nel corso del 2006 si è riscontrata una riduzione dell'1,5 per cento dei procedimenti iscritti contro noti e del 5 per cento di quelli contro ignoti, confermando l'andamento già riscontrato nel 2005. Nei primi sei mesi dell'anno 2007 tale andamento sembra essersi invertito, dal momento che si è constatato un incremento delle sopravvenienze pari al 5 per cento relativamente ai procedimenti iscritti contro noti e del 6 per cento per quelli contro ignoti.
Per quanto riguarda i procedimenti sopravvenuti dinanzi a tribunali si deve registrare una diminuzione nel corso del 2006 del 2,5 per cento per quelli collegiali e del 3 per cento per quelli monocratici.
Nel corso del primo semestre 2007 si è registrato, invece, un incremento del 7,5 per cento per i procedimenti da trattare innanzi al collegio ed una riduzione dello 0,5 per cento per quelli monocratici. Relativamente ai procedimenti innanzi al giudice di pace si è registrata una diminuzione del 5 per cento di procedimenti iscritti nel 2006 ed un incremento del 10 per cento in relazione a quelli iscritti nel primo semestre 2007.
Per quanto riguarda i giudizi di appello si è riscontrato un incremento dei procedimenti iscritti nel 2006 rispetto al 2005 del 4 per cento mentre si è registrata una diminuzione di circa il 9 per cento nel primo semestre del 2007.
Innanzi alle procure sono stati definiti più procedimenti rispetto a quelli iscritti relativamente ai procedimenti contro noti, mentre la definizione dei procedimenti contro ignoti si è rivelata inferiore al numero di quelli iscritti.
Per quanto riguarda i tribunali sono risultati definiti un numero di procedimenti di poco inferiore a quello dei sopravvenuti. Innanzi alle corti di appello nel 2006 sono stati definiti una quantità di procedimenti del 15 per cento inferiore a quella dei sopravvenuti, mentre il dato del primo semestre del 2007 appare più confortante, risultando definiti il 10 per cento in più di procedimenti rispetto a quelli iscritti. La positività del dato non va sopravvalutata, poiché deriva pressoché interamente dalla riduzione del 10 per cento dei procedimenti sopravvenuti.
Innanzi al giudice di pace nell'anno 2006 vi è stato un notevole peggioramento, in quanto malgrado la riduzione del 5 per cento delle sopravvenienze, il numero dei procedimenti si è ridotto del 20 per cento rispetto ai definiti dell'anno 2005, determinando un incremento delle pendenze a fine anno di circa il 30 per cento. Nel corso del primo semestre del 2007 le sopravvenienze sono aumentate del 10 per cento mentre le definizioni sono state del 20 per cento inferiori alle sopravvenienze, producendo la crescita della pendenze al 30 giugno 2007 di un ulteriore 10 per cento.
La giacenza media in giorni dei procedimenti è aumentata per tutte le tipologie di ufficio, tranne che per le procure della Repubblica ove per i procedimenti in cui l'autore è noto diminuisce dai 469 giorni del 2005 ai 457 giorni del 2006. La variazione più elevata si registra per le corti di appello ove la giacenza media passa dai 622 giorni del 2005 ai 681 giorni del 2006.
Notevole è risultata la variabilità tra il periodo di giacenza dei procedimenti tra i singoli uffici, che risente anche della collocazione territoriale e delle dimensioni. Nel caso delle corti di appello si passa, ad esempio, dai 260-270 giorni per le corti di Palermo e Catanzaro, agli oltre 1.300 giorni di Ancona e Venezia, a fronte della già ricordata media nazionale di 681 giorni.
Anche nel settore penale gli indicatori denunziano, tenuto anche conto della intervenuta riduzione del numero di magistrati in servizio, la necessità di interventi non più differibili per garantire la ragionevole durata del processo evitando che la Pag. 35vera sanzione sia costituita dalla pendenza del giudizio piuttosto che dalla pena conseguente al giudizio stesso.
LA GIUSTIZIA MINORILE
Il sistema penale minorile si pone come frontiera avanzata nella gestione dei complessi problemi derivanti dai fenomeni migratori, e dall'incontro-scontro di culture diverse nella vita di persone in via di formazione, rese permeabili ad ogni influsso negativo da condizioni sociali quasi sempre precarie.
La presenza di stranieri nel sistema è ancor più prevalente di quanto non sia per gli adulti (54 per cento degli ingressi in istituto penale e 40 per cento degli ingressi in comunità di accoglienza) ed è spesso complicata dalla presenza di minori non accompagnati, del tutto privi di riferimenti familiari noti.
Viene osservato un deleterio fenomeno di assimilazione, da parte dei minori stranieri, dei comportamenti devianti tipici delle società occidentali avanzate, come l'uso di sostanze tossiche; ed è più frequente la sinergia tra queste suggestioni del paese ospitante e altri comportamenti illeciti istigati o tollerati dagli adulti dell'originario nucleo affettivo.
Non sono affatto certo che l'abbassamento della soglia dell'età punibile sia un rimedio efficace per queste linee di tendenza, e non esistono studi teorici, né evidenze statistiche riprese da esperienze straniere, che dimostrino l'utile praticabilità di una stretta repressiva verso i minori di quattordici anni. Tuttavia non ho pregiudizi, e di fronte a posizioni serie, fondate su argomenti solidi e non sulla voglia irrazionale di esibire il braccio violento, non rifiuterei la discussione.
L'evidente relazione tra delinquenza minorile e immigrazione ci fa muovere invece con decisione verso politiche che mirano a responsabilizzare, quando possibile, i paesi di provenienza, e a coinvolgerli nel trattamento dei minori devianti. In questo senso è stato già sottoscritto un protocollo generale d'intesa con la Romania, e sono a buon punto i negoziati con quella nazione per un accordo che consenta il rimpatrio dei minori non accompagnati coinvolti in Italia in vicende penali.
LA MAGISTRATURA ONORARIA
Nei dati relativi al processo penale e civile spicca il trend negativo che interessa i procedimenti trattati dalla magistratura onoraria, evidentemente investita da una domanda di giustizia che per quantità e tipologia non è più dimensionata alla sua consistenza e alla sua vocazione professionale. Sono trascorsi ormai oltre undici anni dall'inizio della attività degli uffici del giudice di pace, e i tempi appaiono maturi sia per eseguire un serio bilancio della attività svolta, sia per operare i necessari correttivi diretti a potenziare la efficienza ed efficacia dell'azione ed al tempo stesso per accentuare la professionalità del magistrato onorario. Abbiamo pensato a misure che consentano un rapido riequilibrio della capacità di risposta degli uffici di primo grado alla domanda di giustizia, avendo cura di utilizzare tutte le risorse disponibili in un unico sistema coordinato, che rispetti il radicamento delle istituzioni giudiziarie nel territorio e tenga conto del fatto che le decisioni tendono a consolidarsi in primo grado in misura complessivamente pari al 90 per cento.
Il disegno di legge di riforma della magistratura onoraria, in attesa di approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, si muove su tre direttrici fondamentali.
La prima consiste nella creazione di uno status unitario dei magistrati onorari, accentuandone la professionalità mediante un sistema di selezione e aggiornamento professionale permanente unito ad un rigoroso sistema di valutazione della attività svolta.
La seconda consiste nell'unificazione presso il tribunale ordinario di primo grado delle competenze attualmente attribuite agli uffici del giudice di pace. Per effetto della introduzione dell'ufficio unico di primo grado le attività e l'utilizzazione Pag. 36di tutti i magistrati, ordinari e onorari, divengono oggetto dei provvedimenti di organizzazione tabellari che tengono conto della esigenza della conservazione della giustizia di pace prevista dall'articolo 116 della Costituzione; ciò consente d'altra parte di coinvolgere anche le Regioni nella complessa organizzazione, così da concorrere ad ottimizzare le prestazioni, potendo ciascun giudice essere addetto a più sedi in relazione alle concrete necessità.
La terza direttrice consiste nella individuazione di una organizzazione in grado di aggredire l'arretrato formatosi negli uffici giudiziari sia nel settore civile che in quello penale entro un periodo di tre anni, utilizzando nella definizione di tale contenzioso anche la magistratura onoraria, sulla base di progetti che tengano conto della tipologia di contenzioso cui gli stessi possono essere addetti.
LA POLITICA PENITENZIARIA
Nelle carceri italiane erano presenti, il 7 gennaio 2008, 48.788 persone detenute, quasi diecimila in più della cifra minima toccata nel settembre 2006, pari a 38.326. È un dato elevato, ma tollerabile dal nostro sistema, che non avrebbe invece potuto sopportare le oltre 72.000 presenze che oggi si registrerebbero se non si fosse adottato il provvedimento d'indulto. Al cui proposito voglio ancora rimarcare la strumentalità delle polemiche condotte a lungo, con argomenti faziosi, contro la maggioranza e contro il Ministro della giustizia. La situazione di oggi ci rende ancora ragione della indifferibilità di quella misura, mentre il tasso di recidivi presenti nelle carceri è pari al 42 per cento, contro il 48 per cento prima dell'indulto.
Nel corso del 2007 l'attività di recupero edilizio e ristrutturazione condotta dal DAP ha consentito l'acquisizione di 426 nuovi posti, e nel 2008 si conta di recuperarne altri 1980. La pianificazione del triennio 2009-2011 mira ad ulteriori 2.400 posti, e per il periodo ancora successivo a 2.579 posti, per un totale in incremento di 7.385 posti, che porteranno un aumento complessivo della capienza tollerabile di oltre 11.000 posti. Tuttavia, una visione meramente quantitativa dei problemi penitenziari sarebbe miope, e non funzionale al bene prezioso della sicurezza. Dopo la detenzione, che comunque ha un termine, non possiamo riconsegnare alla società la stessa persona, magari ancor più esacerbata e pericolosa.
È perciò che l'ampiezza delle prigioni non esaurisce l'impegno dello Stato verso il condannato, che deve allargarsi alla vigilanza e al trattamento rieducativo. D'altra parte, la prigione non è l'unico immaginabile modo di custodire e rieducare la persona, ma solo quello più dispendioso e più sofferto.
Consapevoli di ciò, stiamo attrezzando la nostra Polizia penitenziaria per gestire in proprio le fasi dell'esecuzione penale esterna, consistente in tutte quelle forme di trattamento alternative al carcere che obbligano il condannato all'osservanza di divieti o di comportamenti prescrittivi, e che quindi presuppongono la presenza di un'autorità vigilante, e controlli stringenti sul rispetto dell'esecuzione.
In materia di custodia domiciliare, sia a titolo cautelare che di espiazione di pena, sta partendo in questi giorni la sperimentazione di 400 braccialetti elettronici, che assicureranno continuativamente la localizzazione della persona interessata sul luogo di detenzione e renderanno impossibili i comportamenti elusivi. La garanzia di efficacia derivante da questo controllo permanente consentirà alla magistratura di utilizzare con maggiore fiducia, e migliore profitto per le esigenze di tutela della collettività, le misure alternative alla detenzione in carcere.
Nell'accostarci ai problemi del carcere, vediamo quanto essi siano inscindibilmente intrecciati a quelli della funzionalità dell'apparato giudiziario. La lunghezza dei processi penali articolati in tre gradi di giudizio si pone come causa di due fenomeni negativi: la presenza eccessiva di persone non condannate con sentenza definitiva, e un eccesso di ingressi in carcere con brevissimo turn-over. Il tutto è aggravato Pag. 37da un diritto penale di concezione ormai datata, che considera il carcere la sanzione preferenziale di qualsiasi comportamento illecito.
La prigione non reca così alcun beneficio al singolo in termini rieducativi, e non protegge la collettività, minandone la fiducia nella capacità punitiva del sistema penale.
La politica penitenziaria è perciò, per larga parte, politica del diritto e del processo penale.
LE PROFESSIONI
Intorno all'assetto di quelle che tradizionalmente chiamiamo professioni liberali è da tempo in corso un dibattito serrato, nel quale si confrontano opinioni anche molto distanti. Intanto, la direttiva comunitaria del 2005, attuata con decreto legislativo, ha conferito autonomo rilievo alle associazioni professionali, la cui figura si affianca agli ordini di categoria. Ritengo però che il sistema degli ordini professionali conservi una sua specificità, e che la sua nuova regolamentazione, proposta con apposito disegno di legge, sia l'occasione per trasformare le garanzie corporative in vincoli a favore della collettività. Deve essere accentuata la garanzia della qualità del servizio, devono essere ridotte le asimmetrie informative e i costi sociali recati da prestazioni non sempre adeguate. Solo con questo salto di qualità sarà possibile aprirsi al futuro e al mercato globale, con un potenziamento della qualità dell'offerta che potrà tutelare i professionisti italiani dalla concorrenza intracomunitaria.
La regola vale anche per la professione forense, che ci è cara tra tutte, perché è coessenziale al concetto di giustizia. Il suo malessere progredisce con quello dell'intero sistema giudiziario, dal quale si contagia, ed al quale propaga i malanni suoi propri. Abbiamo studiato con tutte le rappresentanze dell'avvocatura una riforma profonda del sistema d'accesso, che possa garantire agli utenti la qualità dell'apporto professionale, e al singolo professionista una maggiore serenità.
L'importante è mettere da parte qualsiasi egoismo di categoria e guardare avanti senza arroccamenti, con la consapevolezza che il futuro immediato eserciterà sul nostro sistema pressioni irresistibili verso la semplificazione amministrativa, l'efficienza, l'accelerazione delle decisioni giudiziarie, l'effettività delle pronunce.
Gli standard ai quali adeguarci non sono più elaborati in casa, ma negli organismi internazionali e comunitari, e nei mercati di tutto il mondo, che misurano l'efficienza del sistema-Paese attraverso i tassi di criminalità e l'efficacia della protezione dei diritti a contenuto economico.
Riguardo al notariato, altra storica collocazione del giurista, ho assecondato con convinzione la spinta riformatrice che viene dall'interno della professione, ed intendo accompagnarla con conseguenti atti amministrativi.
Mi riferisco in primo luogo alla revisione della tabella notarile, che è già stata definita utilizzando la percentuale massima di incremento delle spese di studio e che comporterà quindi un aumento complessivo degli organici di 960 unità.
Mi riferisco inoltre alla volontà di attuare tale misura mediante una rapida e progressiva copertura dei posti in organico, da realizzarsi con la messa a concorso dei nuovi posti in un breve lasso di tempo, quindi secondo cadenze serrate e per consistenze numeriche adeguate per ogni singolo concorso.
Intendo al riguardo bandire un nuovo concorso per almeno 400 posti entro i primi mesi del 2008.
Mi riferisco infine all'ampliamento territoriale delle attuali possibilità di esercizio della funzione.
Si tratta di provvedimenti di non poco conto perché costituiscono le premesse per rafforzare un notariato «aperto» alle esigenze del territorio e disponibile a ritoccare i suoi confini, che da «chiusi» diventano via via programmati, rimuovendo anche l'ultimo dei sospetti di corporativismo che hanno pesato così a lungo sulla categoria.
LE INIZIATIVE DEL GOVERNO
Come ho detto, nel 2007 il Governo ha determinato e proposto un quadro completo di coerenti iniziative legislative. Loro obiettivi fondamentali sono, da un lato, la riduzione dei tempi dei processi e il recupero di efficienza del sistema e, dall'altro, la sicurezza dei cittadini di fronte alla commissione di reati gravi e la tutela dei loro diritti.
Dunque, un anno fa vi avevo illustrato i miei propositi ed il mio progetto per la giustizia italiana e la soluzione dei suoi antichi e gravi problemi.
La scaletta era insieme semplice e molto ambiziosa. Indicai in primo luogo il prioritario impegno del Governo sulla riforma dell'ordinamento giudiziario, consentita dalla legge di sospensione già adottata, ed invocai l'impegno di tutte le forze politiche al fine di consentirne l'approvazione entro il successivo 31 luglio.
Sottolineai quindi l'urgenza degli interventi volti alla semplificazione e all'accelerazione dei processi civili e penali, da inquadrarsi in una prospettiva di più lungo periodo, in quanto preparatori dei successivi interventi di sistema ulteriormente risultanti dai lavori delle commissioni ministeriali da me istituite.
Prefigurai infine la necessità di innovative misure di organizzazione e razionalizzazione della macchina giudiziaria e la correzione delle cosiddette «norme ad personam».
Ebbene, il 2007 è stato l'anno della riforma dell'ordinamento giudiziario e della traduzione del complessivo progetto del Governo in precise iniziative legislative.
Voglio qui ricordare innanzitutto il disegno di legge sull'accelerazione del processo civile, presentato al Senato nello scorso mese di aprile 2007, che costituisce a mio avviso un provvedimento assolutamente prioritario per la semplificazione del rito e la velocizzazione delle procedure. Esso non ha l'ambizione di proporre l'ennesima riforma dell'intero processo, ma introduce meccanismi acceleratori concreti e immediatamente praticabili, fondati su pochi e chiari criteri guida: responsabilizzazione dei magistrati anche attraverso programmi di produttività; accentuazione del principio di lealtà processuale, così da responsabilizzare tutti i protagonisti dell'iter giurisdizionale; valorizzazione della conciliazione giudiziaria, con previsione di sanzioni per il rifiuto ingiustificato di proposte conciliative; concentrazione delle udienze e più accurata scansione dei tempi nel compimento di atti processuali, compreso l'espletamento di consulenze tecniche; semplificazione del regime delle nullità non incidenti sulla correttezza del contraddittorio; revisione delle questioni di competenza, unificando il rito e sopprimendo il regolamento necessario e facoltativo; sostituzione della sentenza con la più semplice e sollecita ordinanza quando il procedimento si chiude senza una decisione di merito; introduzione di un procedimento sommario non cautelare per il pagamento di somme e la consegna o il rilascio di cose; obbligo di indicazione specifica dei motivi d'appello a pena d'inammissibilità; da ultimo, sostanziale riduzione dei termini di sospensione del processo nel periodo feriale, che attualmente decorrono dal 1o agosto al 15 settembre e che, con la riforma, saranno ridotti di un terzo e andranno dal 1o al 31 agosto. I tribunali e le corti italiane garantiranno cosi l'ordinario servizio di udienza per l'intero mese di settembre.
Il disegno di legge sull'ufficio per il processo e la riorganizzazione del personale, all'esame della Commissione giustizia della Camera dei deputati, si propone un incremento di produttività con la creazione di una nuova unità organizzativa all'interno degli uffici giudiziari, destinata a compiti di collaborazione col giudice, e direttamente attinenti alla sua attività, come le ricerche giurisprudenziali e dottrinali, l'individuazione e celere trattazione delle procedure seriali, la gestione dei ruoli in base allo studio statistico dei flussi.
L'ufficio per il processo si varrà del personale degli uffici giudiziari, per il Pag. 39quale l'attribuzione di responsabilità più vicine all'esercizio della giurisdizione sarà un grande incentivo professionale, ma potrà essere integrato anche da praticanti avvocati, tirocinanti delle scuole di specializzazione nelle professioni legali e dottori di ricerca, previe opportune convenzioni e senza oneri per l'amministrazione. Pensiamo che il significato di questa novità vada oltre il contributo materiale apportato all'Amministrazione, e potrà rappresentare un'occasione per sperimentare tangibilmente la comune radice culturale delle professioni forensi, attorno alla quale esse dovranno presto o tardi ricomporre dei punti di vista condivisi.
Si prevede l'avvio dell'archivio digitale dei provvedimenti, gratuitamente accessibile agli avvocati, in tutti i tribunali e le corti d'appello; si introduce il modello telematico di comunicazione, con la previsione generalizzata della forma di processo telematico entro il 30 giugno 2010 per i decreti ingiuntivi, l'esecuzione immobiliare, le controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria.
È prevista una delega legislativa al Governo per gli aggiustamenti alla normativa in tema di notificazioni, comunicazioni, vendite giudiziarie, in modo da renderla compatibile con le nuove tecnologie.
Tra i principi stabiliti in sede di delega, figurano l'obbligo per ciascun avvocato e ciascun ausiliario del giudice di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificato e la previsione della forma telematica per ogni comunicazione e notificazione, ove sia possibile.
I pagamenti virtuali a mezzo di carte di debito o di credito diverranno lo strumento privilegiato (nel caso dell'imposta di registro sui provvedimenti giudiziari, il mezzo esclusivo) di pagamento di contributi, diritti e spese del processo civile e penale.
L'Amministrazione conta di incentivare i privati al prelievo di copie digitali invece che cartacee, differenziando opportunamente i diritti di rilascio.
Nel campo delle vendite giudiziarie saranno consentite forme di pubblicità più efficaci ed immediate, quali la ripresa fotografica dei beni pignorati e la pubblicità su siti Internet.
Il disegno di legge sull'accelerazione del processo penale anticipa i temi della riforma dei codici, introducendo correttivi processuali e sostanziali che tendono ad attuare il principio della ragionevole durata del processo attraverso una serie di accorgimenti, quali: l'obbligo per ogni ufficio giudiziario di dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata attraverso il quale non passerà soltanto la corrispondenza ordinaria, ma anche gli atti processuali, le memorie, le istanze delle parti e le richieste rivolte ad altra autorità giudiziaria; la semplificazione delle notificazioni, con l'abolizione di formalità che nulla aggiungono alle garanzie delle persone coinvolte nel processo, e la valorizzazione del difensore di fiducia come destinatario tendenzialmente esclusivo delle comunicazioni e notificazioni; la concentrazione obbligatoria delle questioni di competenza nella fase anteriore al dibattimento; la disincentivazione dei comportamenti oppositivi, che tendono a impedire la celebrazione del processo, mediante una disciplina della prescrizione che sterilizza le manovre dilatorie; la rivisitazione delle regole sulla contumacia, tendente ad assicurare a tutti l'effettiva conoscenza del processo e la reale possibilità di difesa; l'abolizione del processo contro gli irreperibili, che ci espone a censure in sede internazionale e determina un carico di lavoro al quale non consegue alcun reale risultato.
La domanda di certezza alla quale la giustizia deve rispondere è tra le più urgenti ed importanti, perché ha un valore generale e diffuso, riguardando la tutela di tutti i diritti e il rispetto di tutti i doveri.
Su questo piano, ci è parsa chiara l'esigenza di un riequilibrio del sistema, che in taluni settori è sbilanciato verso la tutela dei diritti e non sufficientemente rigoroso verso le violazioni dei doveri. In una prospettiva che guarda oltre le contingenze del presente, i quattro disegni di legge noti come «pacchetto sicurezza» intendono comporre un efficiente assetto Pag. 40del sistema di prevenzione e repressione dei reati. Di questi, tre attengono in modo diretto e prevalente al funzionamento della giustizia penale. Ne ricordo di seguito le principali previsioni: adesione al trattato di Prum, che stabilizza alcune utilissime forme di cooperazione transnazionale anche in materia di immigrazione illegale; inasprimento sanzionatorio per i delitti di omicidio colposo e lesioni colpose conseguenti a guida in stato di ebbrezza o di alterazione da stupefacenti; revisione della disciplina della prescrizione quale risulta dalla legge cosiddetta Cirielli, con introduzione di nuovi criteri di calcolo più compatibili con la necessità di rendere giustizia, e simultanea neutralizzazione ai fini prescrittivi dei tempi morti indotti da comportamenti dilatori dell'imputato; rivisitazione delle riforme del 2002 e 2005 in materia di reati societari (cosiddette leggi sul falso in bilancio), comportante l'eliminazione di fattispecie contravvenzionali e delle soglie di punibilità, il ripristino della perseguibilità d'ufficio e l'introduzione di aggravanti specifiche, oltre alla distinzione delle fattispecie relative alle società quotate in borsa; disciplina più rigorosa della custodia cautelare, con possibilità di valutare le risultanze desumibili dal costituendo archivio elettronico delle misure cautelari, e ampliamento delle tipologie di reato per le quali, in assenza di prova positiva dell'inesistenza di esigenze cautelari, deve essere applicata la custodia cautelare in carcere. Tale ultima ipotesi riguarderà l'omicidio, la rapina, il sequestro di persona a scopo di estorsione, l'induzione o sfruttamento della prostituzione minorile, la violenza sessuale aggravata, il favoreggiamento a fine di profitto dell'immigrazione clandestina, il furto in appartamento e quello mediante strappo; per gli stessi reati, si prevede l'impossibilità di ottenere la sospensione dell'esecuzione della pena.
L'inasprimento delle regole sulla custodia cautelare si accompagna all'introduzione di una nuova ipotesi di giudizio immediato, per consentire la celere trattazione delle posizioni degli imputati detenuti.
Con altro disegno di legge si è prevista una delega al Governo per il riassetto delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, che dovrà condurre alla redazione di un codice delle misure di prevenzione, nel cui disegno i meccanismi di aggressione e confisca dei profitti patrimoniali dei reati acquisiscono un ruolo sempre più centrale, quali strumenti elettivi di contrasto alle organizzazioni criminali Si dovrà superare il concetto di accessorietà della misura patrimoniale rispetto a quella personale, affidandola non più al giudizio di pericolosità della persona, ma a quello sulla pericolosità del bene, in ragione del suo vincolo di strumentalità con l'azione criminale.
La Camera dei deputati ha già approvato nell'aprile scorso il disegno di legge sulla nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche e ambientali, materia della quale troppo spesso si è nutrito il dibattito pubblico, assumendo come oggetto l'analisi di conversazioni intercettate nell'ambito di procedimenti penali. La mia posizione al riguardo è molto semplice. Le intercettazioni telefoniche sono uno strumento irrinunciabile nella lotta alla criminalità grave, tanto più nella lotta al crimine organizzato, ai grandi traffici illegali, al terrorismo. Rinunciare a quest'arma, o comprimerne l'uso fino a ridurne l'efficacia, sarebbe un gesto autolesionistico che non vogliamo commettere. Non possiamo tuttavia assistere inerti alle molteplici violazioni - non importa se colpevoli o incolpevoli - del diritto alla riservatezza di persone estranee alla commissione di reati e casualmente incappate in una qualche intercettazione.
La maggior parte di questi casi sono resi possibili da un regime giuridico complessivo sostanzialmente disinteressato alla tutela degli estranei al procedimento penale, e che comunque sacrifica oltre ogni ragione processuale la privacy delle stesse persone sottoposte ad indagine. Il disegno di legge approvato dalla Camera introduce robusti correttivi, svincolando la segretezza delle conversazioni intercettate dalle vicende processuali cui esse vanno incontro, e instaurando un regime di segreto Pag. 41efficacemente presidiato da un apposito sistema sanzionatorio. L'intercettazione delle conversazioni e comunicazioni private è un atto tra i più invasivi, e non può essere usata che per l'accertamento dei reati. Ad essa devono applicarsi i principi di proporzionalità e di sussidiarietà, e va accuratamente impedito che i loro risultati siano utilizzati - da chiunque - per fini diversi da quelli penali.
Non ho alcuna intenzione di mettere in discussione il ruolo fondamentale della libera stampa, necessaria struttura portante di ogni sistema democratico, né di impedire il dibattito su comportamenti degni di giudizio da parte dell'opinione pubblica. Ma è errato ritenere che la conversazione intercettata debba comunque costituire oggetto del diritto di cronaca, indipendentemente dalla sua rilevanza nel processo penale. In realtà una simile impostazione non è conforme alle norme di civiltà comunemente accettate e praticate nelle società democratiche, e non è autorizzata dal nostro diritto sostanziale. Nessuna norma del nostro ordinamento consente che l'onore e la reputazione di una persona che non ha commesso reati, e spesso non è nemmeno accusata di averli commessi, vengano impunemente vulnerati.
Il diritto di cronaca riguarda, tendenzialmente senza alcuna limitazione, i fatti dedotti nel processo e rilevanti per l'accertamento dei reati, ma non i fatti estranei al processo, e tantomeno il pettegolezzo o il gossip, laddove questi costituiscono un semplice cascame dell'indagine penale. È quindi nostro dovere proteggere la riservatezza dei singoli individui, quale che sia la loro qualifica e la loro professione, dalle dannose incursioni di una sterile curiosità che si fregia indebitamente del nobile titolo di diritto all'informazione.
La soluzione da me proposta, e da voi approvata, si muove decisamente in questa direzione, riservando la pubblicazione alle sole intercettazioni che confluiscono nel dibattimento. Tengo a sottolineare che questo criterio è ancora più permissivo di quanto non sia in certe esperienze straniere che ci vengono continuamente indicate a modello in altri campi, le quali escludono la stessa possibilità di intercettazioni giudiziarie - come nel Regno Unito - e vietano la pubblicazione del contenuto di atti processuali prima del contraddittorio dibattimentale.
L'ascolto attento della domanda di giustizia proveniente dal Paese e la necessità di anticipare alcuni degli interventi necessari a semplificare la macchina giudiziaria e ad accelerarne il passo, non ci hanno distratti dal bisogno di riforme globali dei codici penale e di procedura penale. Le commissioni ministeriali da me istituite e presiedute dall'avvocato Pisapia e dal professor Riccio hanno presentato le loro proposte, aventi rispettivamente ad oggetto la parte generale del codice penale e l'intero codice di rito. Intendo presentare nei prossimi giorni tali proposte all'esame del Consiglio dei ministri. È mia convinzione che se le direttive di delega saranno valutate ed arricchite dal Parlamento con animo libero e svincolato da posizioni ideologiche e se l'inderogabilità di riformare la giustizia non verrà contraddetta dai fatti, sarà davvero possibile fornire al Paese strumenti moderni, adeguati ai tempi, fedeli ai valori costituzionali.
Per quanto in particolare riguarda la parte generale del codice penale, tengo a sottolineare una profonda modifica del sistema sanzionatorio, nella prospettiva di quel «diritto penale minimo ma efficace», tanto auspicato nei convegni e nei dibattiti quanto eluso da una legislazione spesso contraddittoria. Nelle proposte di delega sono state previste diverse pene principali non detentive, soprattutto interdittive e prescrittive, in modo da rendere effettivo il principio per cui il carcere debba essere 1'extrema ratio, limitata ai reati di particolare gravità. Per condotte di minore allarme sociale può infatti spesso rivelarsi più dissuasiva l'effettiva applicazione di pene non detentive, che la riforma prevede non suscettibili di sospensione condizionale e quindi indefettibilmente destinate a certa esecuzione. Ne scaturisce un impianto normativo che fa perno sulla funzione rieducativa della pena, ma in grado Pag. 42al contempo di contrastare quel senso di impunità, purtroppo particolarmente diffuso, che costituisce spesso la premessa per la commissione di nuovi reati. Spero possa essere rapidamente avviata in Parlamento una discussione aperta e non strumentale su entrambe le proposte di riforma, e che, indipendentemente dalla condivisione o meno di singole scelte, ciò possa contribuire ad un confronto sereno e soprattutto costruttivo.
LA COOPERAZIONE EUROPEA E I RAPPORTI INTERNAZIONALI
Credo sia difficile anche per i più distratti negare una chiara riaffermazione del ruolo dell'Italia nel contesto delle politiche europee in materia di giustizia e, più in generale, in quello dei rapporti con le Organizzazioni sopranazionali e con gli altri Stati. Tale nuovo impulso si è tradotto in primo luogo nelle conseguenti iniziative di ratifica e trasposizione in diritto interno dei principali strumenti europei e internazionali in attesa di ratifica da anni. Solo per citare i principali: disegno di legge per la ratifica della Convenzione ONU di Merida contro la corruzione; disegno di legge per la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla corruzione; disegno di legge di ratifica del Secondo Protocollo alla Convenzione dell'Unione europea sulla protezione degli interessi finanziari delle Comunità europee; disegno di legge sulla ratifica della Convenzione di Varsavia sulla prevenzione del terrorismo; disegno di legge per la ratifica della Convenzione ONU per la repressione degli atti di terrorismo nucleare; schema di disegno di legge per la ratifica della Convenzione dell'Unione europea relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea adottata a Bruxelles il 29 maggio 2000; disegno di legge per la trasposizione della Decisione Quadro dell'Unione europea sulla costituzione di squadre investigative comuni.
A questa imponente proposta normativa, si è accompagnato il nuovo e più attivo ruolo svolto nell'ambito del Consiglio europeo dei Ministri della giustizia e degli affari interni. In questo quadro ricordo che la nuova posizione italiana ha sbloccato il negoziato sulla decisione in materia di razzismo e xenofobia e che l'Italia figura tra i Paesi proponenti di una decisione volta a rafforzare i poteri di Eurojust, nella prospettiva di un corrispondente rafforzamento dei rapporti di cooperazione giudiziaria tra magistrati europei in materia di criminalità organizzata, reati connotati da particolare gravità e terrorismo.
Nello scorso agosto sono stato all'origine di un documento per il rafforzamento dello spazio giudiziario europeo che, in forma di articolo, è stato pubblicato contemporaneamente su sei quotidiani europei, a firma mia e dei ministri della giustizia di Francia, Germania, Portogallo, Slovenia e Spagna.
Ho siglato intese con i miei omologhi romeno e tedesco per lo scambio di magistrati di collegamento e l'istituzione di squadre investigative comuni, particolarmente utili per far fronte alle diverse emergenze criminali. D'intesa col Ministro degli esteri, procederò alla nomina di un magistrato incaricato della cooperazione giudiziaria con gli Stati Uniti d'America presso la nostra ambasciata di Washington e analoga figura di esperto provvederò a mettere a disposizione presso la nostra rappresentanza permanente presso le Nazioni Unite. Il Ministero intrattiene inoltre, in una contingenza particolarmente delicata, rapporti assidui con il Consiglio d'Europa, sui quali intendo fornire in conclusione alcuni ulteriori dettagli. Il ruolo dell'Italia nel gruppo di lavoro sulla corruzione nelle transazioni internazionali ha consentito di ospitare a Roma nello scorso ottobre le cerimonie del decennale della relativa Convenzione. Infine, è stata firmata dal Presidente Prodi a Tirana una nuova Convenzione di assistenza giudiziaria con l'Albania, strumento questo predisposto dal Ministero della giustizia e di particolare importanza per gli uffici giudiziari italiani impegnati nella lotta al crimine organizzato.
L'AMMINISTRAZIONE DEL SISTEMA GIUDIZIARIO
L'attività del Ministero della giustizia si è pure rivolta a esplorare le possibilità di un recupero di produttività e di efficienza attraverso misure amministrative, o comunque di taglio organizzativo, sebbene da realizzarsi per via normativa.
Ci siamo dovuti confrontare anzitutto con la difficoltà del sistema giudiziario di rilevare e comunicare i dati conoscitivi e statistici necessari ad ogni programmazione a lungo termine. Stiamo cercando di porre rimedio a tale situazione. La Commissione da me istituita per la razionalizzazione organizzativa ha ultimato i suoi lavori sotto la guida del Presidente Mirabelli e proprio ieri ha presentato la sua Relazione finale.
Alla luce di questo lavoro ci pare urgentissima l'informatizzazione dei ruoli in materia civile, senza la quale non è possibile conoscere in maniera fine e aggiornata «in tempo reale» l'andamento dei flussi e della qualità del contenzioso, premessa per ogni consapevole intervento di gestione. Occorre poi instaurare un rapporto diretto con i grandi utenti del sistema giudiziario (INPS, INAIL, Ferrovie dello Stato, Poste, Assicurazioni, Banche, Avvocatura dello Stato, Amministrazioni Pubbliche, Patronati) per individuare le fonti di cause seriali e standardizzare in via informatica le relative procedure. È emersa pure la necessità di concentrare gli sforzi organizzativi nelle maggiori tre sedi del Paese (Roma, Milano e Napoli) presso le quali si concentra più del 30 per cento della domanda di giustizia del Paese e più del 30 per cento dell'intera produzione in civile e in penale.
In generale, crediamo che la tecnologia informatica sia il futuro immediato della giustizia italiana, per la quale stiamo realizzando un sistema integrato di informatizzazione che coinvolge tutte le sue fasi, e che potrebbe decollare in un tempo medio di circa cinque anni, se costantemente finanziato. Il fronte più avanzato del sistema è il processo civile telematico, già realizzato a Milano per le procedure routinarie di decreto ingiuntivo, sperimentato attualmente in altre tre sedi giudiziarie e che il disegno di legge sull'ufficio per il processo rende obbligatorio già dal 2010, previa verifica in sede locale dell'adeguatezza della struttura.
In sede penale, dovrà essere diffuso il modello introdotto di recente a Napoli, con l'acquisizione automatica delle notizie di reato, che verranno direttamente trasmesse dalle forze di polizia giudiziaria, con firma digitale, ad un portale delle procure, abilitato a riceverle per poi sistemarle automaticamente. Nei singoli distretti di corte d'appello si stanno già predisponendo delle sale server con requisiti di sistema idonei, mentre sono progettati, ma non finanziati, interventi per la realizzazione del fascicolo digitale delle indagini preliminari e l'archiviazione in digitale dei verbali d'udienza.
Di imminente realizzazione sono pure le banche dati delle misure cautelare reali e personali, il cui funzionamento condiziona, ad esempio, la riforma processuale riguardante la valorizzazione dei precedenti cautelari nelle decisioni sulle richieste di misura cautelare.
LA GIUSTIZIA COME RISORSA
Un'accurata verifica degli «angoli bui» dell'amministrazione ci ha portato a occuparci del recupero delle spese di giustizia, mettendo allo scoperto l'incapacità di riscossione di un credito virtuale di ammontare enorme, del quale attualmente si incassano percentuali irrisorie. D'altra parte questo stesso lavoro ci ha fatto scoprire che la giustizia non è soltanto un costo, ma l'occasione di entrate cospicue.
Basti pensare che solo per il contributo unificato, pagato per l'iscrizione di una causa civile, lo Stato ha incassato per il 2006 la somma di 257 milioni di euro, mentre non sono facilmente quantificabili, a causa delle modalità di riscossione, i diritti di copia percepiti per ciascuno dei milioni di fogli rilasciati alle parti dei processi penali e civili.Pag. 44
Una proiezione delle somme astrattamente recuperabili nel primo semestre del 2007 per pene pecuniarie e spese processuali parla di oltre 326 milioni di euro di pene pecuniarie e di oltre 56 milioni di euro di spese processuali, di cui sarebbero stati sinora recuperati meno del 3 per cento. I dati del 2006 sono più ottimisti, parlando di 24 milioni di euro recuperati, e comunque confermano che non si tratta di cifre marginali.
Vi è poi l'enorme flusso finanziario costituito dalle somme sequestrate o confiscate, sulla cui entità non ci si era mai concentrati prima d'ora. Abbiamo recentemente provveduto a una prima ricognizione riguardante i soli depositi giudiziari presso le Poste Italiane Spa. Ebbene, le somme che risultavano depositate alla data del 30 novembre scorso ammontano a euro 1.599.689.582,31 distribuite su 636.765 libretti di deposito. Non si tratta di una somma interamente disponibile, perché riguarda vari tipi di sequestri penali e civili, e perché non è agevole prevedere quale parte di essa potrà restare nella disponibilità dello Stato a seguito di confisca o per altri eventi processuali.
Non c'è dubbio, però, che un tale ordine di grandezze consente di ipotizzare la disponibilità nel breve periodo di una parte di questo forziere che, per quanto piccola in percentuale, non sarà mai modesta in cifra assoluta, e il suo reimpiego per finanziare il buon funzionamento e la modernizzazione degli uffici giudiziari. Nel corso del 2007 è stata acquisita allo Stato, nell'ambito di un solo procedimento penale per delitti economici, commessi in relazione alle note vicende della scalata alla Banca Antonveneta, la somma di 94 milioni di euro. L'amministrazione della giustizia si è potuta giovare di soli 24 milioni di euro di stanziamento aggiuntivo prelevati da tale ragguardevole cifra.
Vorremmo invece poter disporre di quanto riusciamo a produrre, specie quando si tratta di risorse aggiuntive di una certa consistenza; vorremmo che si facesse in questa direzione un passo avanti più lungo di quello che abbiamo ottenuto con l'ultima legge finanziaria, che istituisce un vincolo di scopo tra il finanziamento del processo telematico e le somme sequestrate e non rivendicate, che vengono acquisite dallo Stato.
Sono di imminente traduzione in disegni di legge le proposte organiche scaturite dal lavoro di un'apposita commissione di studio in materia, con lo scopo di semplificare la determinazione dei crediti per spese di giustizia, di incrementare significativamente il tasso di riscossione, e di centralizzare la gestione dei beni sequestrati e confiscati, abbassandone i costi e massimizzandone i profitti. Il senso di questa operazione non sarà soltanto economico, perché si dovrà porre come una delle condizioni di effettività delle pronunce giudiziarie, e della loro conseguente forza dissuasiva verso i comportamenti illegali.
L'AMMINISTRAZIONE VIRTUOSA E LA RIDUZIONE DELLA SPESA
Non c'è dubbio che anche la giustizia debba fare i conti con le risorse del Paese, e debba adeguarsi ai criteri generali di fissazione della spesa. In questo senso, nessuno può accusare il mio Ministero di prodigalità o di riluttanza ad adeguarsi ai noti vincoli di bilancio e di spesa. Posso affermare forte, e con cognizione di causa, che la giustizia è oggi un'amministrazione virtuosa: conformemente alle previsioni di legge, stiamo riducendo del 10 per cento i posti di direttore generale a livello centrale, siamo l'amministrazione che più di tutte ha ridotto le spese per il parco automobilistico, non abbiamo alcun rapporto di consulenza esterna, e nel solo anno 2006, realizzando un'accorta circolazione delle informazioni tra i diversi uffici deputati alla stipulazione dei contratti, abbiamo portato la spesa per intercettazioni telefoniche da 308 a 229 milioni di euro, malgrado l'incremento dei bersagli intercettati di oltre 11.000 unità, con un risparmio netto di quasi 80 milioni, in termini percentuali pari al 25 per cento.
Abbiamo ereditato una posizione debitoria al 31 dicembre 2006 di oltre 219 Pag. 45milioni di euro, e la presentiamo oggi al Paese con un'esposizione di poco più di 143 milioni di euro, in riduzione del 34 per cento in quota percentuale, e di quasi 76 milioni in cifra assoluta.
Altri consistenti risparmi verranno, già durante questo esercizio finanziario, dal sistema unico delle intercettazioni telefoniche, per la cui attuazione la legge finanziaria ha posto, su mia proposta, la necessaria base normativa.
Misure di razionalizzazione sono in avanzata fase di studio, e potranno trovare sbocco nell'iniziativa legislativa del 2008, anche per altre importanti fonti di spesa, come gli indennizzi per ritardi da irragionevole durata del processo. Oltre all'intervento strutturale costituito dal complesso delle riforme intraprese, che potranno drasticamente ridurre i casi di ritardo non ragionevole, occorre snellire le procedure previste dalla cosiddetta legge Pinto, che sono divenute esse stesse una fonte di sofferenza del sistema. Basti pensare che le 20.514 procedure d'indennizzo iscritte nel 2006 sono state il 14,43 per cento dell'intera sopravvenienza in materia civile dinanzi alle corti d'appello, e i dati tendenziali relativi al primo semestre del 2007 mostrano un ulteriore lieve incremento di questa percentuale.
Malgrado tutto ciò, la spesa del Ministero è stata qualificata, anche in documenti ufficiali, come poco razionale, o comunque scarsamente performante rispetto alla media dei Paesi europei. Questi giudizi scontano negativamente un approccio meramente aziendalistico, e talvolta poco consapevole della stessa natura dei dati sottoposti a comparazione. Non ha infatti molto senso paragonare le risorse giudiziarie italiane a quelle francesi, spagnole o inglesi, e stabilire che sono più o meno eguali, o lievemente a favore dell'Italia, in ciascuno dei tre casi. In realtà la sopravvenienza dei processi in materia civile (6.159 per 10.000 abitanti) è di poco inferiore a quella complessiva della somma degli altri tre Paesi (8.526 per 10.000 abitanti), nessuno dei quali prevede un sistema processuale così complesso come il nostro, mentre tutti selezionano l'accesso alla giustizia attraverso costi incomparabilmente più elevati a carico degli utenti.
Le stesse fonti propongono la modificazione delle circoscrizioni giudiziarie secondo criteri di economicità e di accorpamento. Credo di essere il primo Ministro della giustizia che di propria iniziativa sta effettivamente sopprimendo delle sedi giudiziarie, e in particolare ben 91 uffici del giudice di pace. Non ho quindi alcun timore di affrontare il tema, del quale devo però sottolineare la scarsa praticabilità, dal momento che la soppressione di uffici giudiziari di livello superiore al giudice di pace avviene con atti aventi forza di legge, e richiede perciò un consenso politico molto difficile da coagulare. Guardo con favore alla soppressione di pochissime sedi minori, la cui esistenza è effettivamente difficile da giustificare, mentre per tutte le altre rispetto alle quali si pone un problema di economicità occorre un atteggiamento più pragmatico. Prendiamo atto che la presenza di un'istituzione giudiziaria nelle piccole e medie città non è un semplice orpello. Ne deriva comunque un indotto economico, a volte consistente, e soprattutto completa la dimensione civica delle tante, e non grandi, collettività che fanno bella l'Italia, assicurando loro una sorta di ideale autonomia che tutte aspirano a mantenere e consolidare. Se è così, l'istituzione giudiziaria deve esser vista anche come patrimonio della comunità locale, che deve in parte accollarsene il costo, sollevando l'amministrazione centrale da oneri impropri che effettivamente ne appesantiscono la gestione. In questo senso abbiamo già stipulato accordi con alcune regioni (Friuli Venezia Giulia, Campania, Calabria, Lombardia) per garantire il funzionamento di determinati uffici anche mediante personale degli enti locali opportunamente comandato.
Questa tendenza ha trovato un ampio consenso, dal quale deriva la previsione della legge finanziaria, da me sollecitata, che consentirà quest'anno al Ministero della giustizia di coprire un certo numero di posti vacanti nell'organico amministrativo Pag. 46con l'attivazione delle procedure di mobilità del personale di altre Amministrazioni.
Nel nostro organico risultano vacanti 1'8,22 per cento dei posti di magistrato (835 su 10.151), e 6.320 posti di personale amministrativo, pari al 7,56 per cento del totale. Si tratta di carenze pesanti, perché incidono su un'organizzazione tutt'altro che sovradimensionata, e pressata da una tale mole di affari che, al di là di qualsiasi volontà di chi vi appartiene, lascia pochissimo spazio al disimpegno e al privilegio. In relazione al reclutamento di magistrati, abbiamo portato a termine un concorso precedentemente bandito, assumendo i 319 vincitori, e stiamo celermente conducendo le procedure di un altro concorso per 350 posti. Nel frattempo, abbiamo richiesto il parere del Consiglio superiore della magistratura su un nuovo bando per 500 posti, da coprirsi secondo le regole del nuovo ordinamento.
Ho cominciato la mia Relazione affermando che il recupero di efficienza e credibilità della giustizia è una questione nazionale assolutamente prioritaria, alla cui soluzione l'intera classe dirigente deve dedicarsi subito, responsabilmente e senza riserve.
In mancanza di questa collettiva assunzione di responsabilità, la pesante zavorra di una giustizia che non funziona è destinata a gravare ancora sul Paese, frenandone la crescita civile e il dinamismo economico in modo non dissimile da quanto avviene per il fardello del debito pubblico accumulato nei decenni scorsi.
Lo ripeto, rivendico il mio ruolo e non intendo sottrarmi alle mie responsabilità.
Lo dico a testa alta, dopo avervi illustrato l'insieme delle iniziative realizzate ed intraprese.
Lo dico con l'animo sereno di chi sa di aver adempiuto ai suoi doveri e di aver tenuto fede ai propositi pubblicamente enunciati, nei limiti consentiti dalle compatibilità politiche ed economiche che conoscete e che ho cercato di sottoporre di nuovo alla vostra comune riflessione, nell'interesse del Paese.
Consentitemi di aggiungere che il Ministro della giustizia non è il Commissario straordinario per l'emergenza giustizia. Egli non ha poteri in deroga alle leggi, ha quelli che gli affida la Costituzione, che trovano limiti ed equilibrio nei concorrenti poteri di altre istituzioni.
Alcuni esempi mi aiuteranno a chiarire il mio pensiero, ma altri potrei farne.
Mi interrogo quando leggo le grida di parlamentari che indicano al Paese la mia responsabilità rispetto alla decisione giudiziaria di concedere gli arresti domiciliari ad un pluriomicida e al contempo non si esaminano le norme da me proposte che impedirebbero il ripetersi di quella scelta e permetterebbero di sanzionare più adeguatamente quel tipo di reato.
E ancora. Ho letto con interesse e rispetto l'argomentato documento con il quale 70 giudici milanesi hanno posto qualche giorno fa, in modo civile e corretto, il problema di un sistema penale che si avvita su se stesso senza produrre risultati utili in termini di prevenzione generale e speciale. Al riguardo gli estensori del documento hanno sottolineato l'interazione negativa di tre problemi fondamentali: la mancata adozione di una legge di amnistia contestuale all'indulto; l'esistenza di termini di prescrizione dei reati troppo brevi in relazione ai tempi dei processi; la celebrazione di una moltitudine di dibattimenti a carico di persone, soprattutto stranieri, di fatto non compiutamente identificate e comunque irreperibili. Osservazioni legittime, problemi reali. Vorrei esaminarli con voi uno dopo l'altro.
Permettetemi dunque innanzitutto di indirizzarmi a voi e al Paese per ribadire, per l'ennesima volta, che indulto e amnistia - che nella storia della Repubblica non a caso sono sempre stati adottati con lo stesso provvedimento - sono misure legislative, entrambe riservate a decisioni sovrane del Parlamento, per le quali è indispensabile la maggioranza qualificata dei due terzi, ciò che si traduce nel necessario concorso di maggioranza e opposizione. Una classe politica che non si assume le sue responsabilità dinanzi al Pag. 47Paese scade nel piccolo cabotaggio della ricerca postuma del consenso basata sull'occultamento della verità.
Verità che definisce il provvedimento di indulto, votato dal Parlamento su iniziativa parlamentare, e non del Governo, come un atto necessitato e straordinario, senza il quale la popolazione carceraria sarebbe ora ben oltre le 70.000 presenze, cioè a livelli intollerabili, sia in termini di civiltà del trattamento dei detenuti e delle condizioni di lavoro degli addetti, sia in termini di sicurezza delle strutture.
Verità che disegna il tema del dimensionamento complessivo del sistema penitenziario come un problema complesso, non a caso comune alla maggior parte dei Paesi occidentali. Problema solo nel medio periodo gestibile unicamente con la costruzione di nuove carceri per decine di migliaia di nuovi posti, che richiede mezzi finanziari che il Paese deve essere disposto a investire e tempi necessariamente misurabili in lustri.
Problema che nel breve periodo può essere affrontato solo attraverso l'adozione di provvedimenti legislativi che, intervenendo in profondità sul sistema penale, evitino l'ingresso in carcere di una folla di soggetti, spesso stranieri in situazione irregolare, per periodi brevi o addirittura brevissimi, senza alcun risultato in termini di sicurezza dei cittadini e prevenzione della recidiva. Interventi legislativi che permettano di considerare il carcere come ultima ratio. Misura da applicarsi quando è effettivamente utile per la sicurezza dei cittadini e la credibilità complessiva del sistema, perché la gravità dei reati consente di creare la necessaria continuità, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, tra custodia cautelare ed esecuzione della pena definitiva, che deve essere a quel punto assolutamente certa.
Verità che assume come paradossale addossare al Ministro della giustizia, al contempo, l'adozione dell'indulto e la non adozione dell'amnistia, allorché entrambi i provvedimenti esulano dalla sua competenza e richiedono il concorso quasi unanime del Parlamento.
Sul tema della prescrizione e della riduzione dei tempi dei processi, vorrei invece garantire al Parlamento che sono all'ascolto di tutte le proposte e disponibile ad esaminare tutti gli apporti costruttivi. Ma vorrei anche ricordare ai magistrati milanesi ed al Paese che la funzione del processo non è solo quella di far eseguire una pena, ma anche quella di accertare fatti e responsabilità, con tutto ciò che ne consegue in termini di risarcimento del danno arrecato alle vittime.
Vorrei ricordare che il Governo in questi mesi non è rimasto con le mani in mano, ma ha messo in campo iniziative legislative precise e coerenti.
Il disegno di legge sull'accelerazione del processo penale contempla una serie importante di misure deflattive e di semplificazione, tra le altre, più moderni sistemi di notificazione e un nuovo regime delle nullità. Ma soprattutto, nello specifico, proprio la previsione di non svolgere, con congelamento dei tempi di prescrizione, i processi nei confronti di imputati irreperibili.
Vorrei ricordare che nel disegno di legge n. 3241/C inserito su mia proposta nel cosiddetto «pacchetto sicurezza», è prevista proprio la revisione della disciplina della prescrizione quale risulta dalla legge cosiddetta Cirielli, con introduzione di nuovi criteri di calcolo più compatibili con la necessità di rendere giustizia, e simultanea neutralizzazione ai fini prescrittivi dei tempi morti indotti da comportamenti dilatori dell'imputato.
Vorrei ricordare che nel disegno di legge n. 1877/S è prevista l'istituzione della banca dati del DNA e che la legge 29 novembre 2007, n. 222, ha finalmente finanziato, con i primi 20 milioni di euro, la realizzazione del casellario giudiziario integrato, nel quale confluiranno in tempo reale sentenze di condanna, dati relativi alle misure cautelari emesse ed ai processi pendenti nei confronti di ogni singolo soggetto. Tutto ciò consentirà non solo di identificare compiutamente gli imputati anche quando si nascondano, come attualmente avviene soprattutto per stranieri in situazione irregolare sul territorio dello Pag. 48Stato, sotto diversi alias, ma anche di valutarne appieno il profilo criminale al momento del giudizio e dell'irrogazione della pena. Insomma, si tratta di sostituire alla faccia feroce per categorie astratte ed alla sostanziale inefficacia di certe leggi vigenti, la concretezza del recupero di efficienza e di credibilità del sistema penale, al fine, tra l'altro, di distinguere il loglio dal grano tra gli stranieri che vivono nel nostro Paese e al nostro Paese apportano, nella grande maggioranza dei casi, un contributo positivo di integrazione e lavoro.
Altri esempi potrei fare di polemiche che non avrebbero ragion d'essere se solo l'analisi del «fatto» e del «da farsi» fosse costruttiva e, soprattutto, se l'agenda del Paese e del Parlamento desse finalmente alla giustizia la priorità che merita.
Conoscete le difficoltà che negli ultimi decenni il nostro Paese ha conosciuto nei rapporti con il Consiglio d'Europa circa l'irragionevole durata dei nostri processi.
Ebbene, le proposte messe in campo dal Governo, le innovazioni prefigurate sulla base della rigorosa e non indulgente analisi della realtà, ci hanno consentito ben altro apprezzamento rispetto al passato, anche recente.
In una lettera indirizzata il 30 ottobre scorso dal Direttore dei diritti umani e degli affari giuridici del Consiglio d'Europa ad esito di una visita di valutazione svolta due settimane prima a Roma, si dice testualmente: «La riunione di Roma ci ha in effetti permesso di misurare la dimensione del ventaglio di misure proposte, che vanno dalla riforma normativa delle procedure civile e penale alla riorganizzazione dei tribunali, alle modalità di reclutamento del personale, all'informatizzazione degli uffici e dei processi, alla diffusione di buone prassi e l'adozione di misure dissuasive o di conciliazione. È con grande interesse che abbiamo preso nota del fatto che l'insieme di tali misure mira al raggiungimento di obiettivi precisi e mirati quanto alla durata massima dei procedimenti dinanzi alle diverse istanze giudiziarie. (...). Ho fatto rapporto al Comitato dei Ministri, in occasione della sua riunione annuale consacrata al controllo dell'esecuzione delle decisioni della Corte (15-17 ottobre), sul contenuto del nostro incontro. Ho sottolineato il fermo impegno delle autorità italiane, al più alto livello politico, di risolvere il problema strutturale della lentezza della giustizia, il quale, come da Lei stesso rilevato, tocca, al di là dei diritti individuali degli utenti della giustizia, il principio dello Stato di diritto, nonché l'efficacia delle strutture dello Stato e la competitività economica del Paese. È con soddisfazione che posso assicurarle il sostegno espresso dal Comitato dei Ministri ai vostri sforzi. Le vostre iniziative testimoniano infatti di una reale volontà politica, la quale dovrà tradursi in risultati concreti. Manifestamente, e ne siamo tutti coscienti, ciò richiederà l'investimento di risorse appropriate.»
In definitiva, l'alto consesso europeo giudica pertinenti e credibili le nostre proposte e ci incoraggia nella loro realizzazione. Si tratta di un riconoscimento importante per la credibilità complessiva e per il prestigio del nostro Paese, al quale devono necessariamente conseguire decisioni politiche coerenti e responsabili.
Dell'accelerazione del processo penale e dei provvedimenti da prendere per un'incisiva riforma dell'intero sistema, nella prospettiva di un'accresciuta sicurezza dei cittadini e di un recupero di efficienza delle strutture ho già detto.
Al Senato va avanti il disegno di legge sull'accelerazione del processo civile, non possiamo permetterci tempi lunghi.
La legge consegnata da pochi giorni all'Aula della Camera sull'ufficio del processo consente in due anni l'assunzione di 2.800 laureati per le cancellerie di corti e tribunali. Il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche e ambientali, approvato dalla Camera, tuttora è all'esame della Commissione giustizia del Senato.
È venuto il tempo dell'assunzione collettiva di responsabilità. Nessuno può Pag. 49chiamarsi fuori. La giustizia è asse portante dello Stato, struttura decisiva per il Paese.
Nell'anno appena trascorso il Governo ha messo in campo un'iniziativa normativa globale e coerente, all'insegna dell'agibilità e della concretezza.
Il 2008 deve essere allora l'anno della realizzazione, della traduzione delle proposte in norme, e delle nuove norme in comportamenti virtuosi e responsabili di tutti gli attori del sistema giustizia.
Per questi interventi garantisco la piena disponibilità, mia e del Governo, all'ascolto, alla discussione, all'arricchimento della proposta ed alla sua eventuale modifica, nell'ambito sovrano del confronto parlamentare.
Non accetto però di lasciare incancrenire una situazione di crisi stratificatasi nei decenni ed alla quale la mia amministrazione sta cercando faticosamente di rispondere, con quotidiano impegno, in un contesto in cui ogni effettiva soluzione, in assenza degli opportuni correttivi di sistema, risulterebbe inadeguata e inefficiente.
Se ciò può servire a vecchi e nuovi conservatori, agli adoratori dello «statu quo», la cui unica ambizione è gridare alla luna sterili lamenti, tale atteggiamento contrasta con l'interesse generale del Paese.
Chiedo perciò espressamente - in questa occasione solenne - che alla giustizia sia riservata una apposita sessione parlamentare, dando priorità all'esame dei provvedimenti proposti dal Governo.
Assumo senza riserve la gravosa responsabilità politica e morale che dovesse derivare da un fallimento di quel che propongo. Non posso però accettare la preventiva dichiarazione di impotenza e di sconfitta insita nel sostanziale disinteresse, nell'inerzia e nell'immobilismo generati dai veti incrociati e da sterili e perenni conflitti.