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Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,10).
(Orientamenti del Governo sull'ipotesi di liberalizzazione del sistema scolastico - n. 2-00070)
PRESIDENTE. L'onorevole Baldelli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00070 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, innanzitutto ringrazio il ministro Fioroni della sua presenza in aula.
L'interpellanza in esame prende spunto da un'intervista rilasciata, in data 16 luglio, dal cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia.
I motivi che sottendono la presentazione di interpellanze urgenti possono essere diversi: vi può essere un fine speculativo-politico, un fine polemico, un fine di approfondimento serio e rigoroso per conoscere davvero l'intendimento del Governo su un determinato tema. Ritengo che quest'ultimo sia il fine che caratterizza questa interpellanza in tema di liberalizzazione del sistema scolastico.
La finalità del presente atto di sindacato ispettivo è sostanzialmente quella di chiarire un punto che il cardinale Scola pone in maniera seria e anche laica visto che, al di là del fatto di essere uomo di chiesa, è anche una persona di grande cultura che dà il via ad una riflessione sul nostro sistema scolastico in una prospettiva tutt'altro che clericale, tutt'altro che religiosa, tutt'altro che ideologizzata.
In particolare, il cardinale Scola solleva la questione del superamento del «mito della scuola unica», aggiungendo che in Italia questo elemento culturale non soltanto è presente in maniera evidente, ma che esiste anzi un modello unico di scuola pubblica. Pertanto, ritengo che interrogarsi se questo modello di scuola debba essere superato sia un dato assolutamente naturale e fisiologico in una società che si guarda intorno, che avverte nuove esigenze da affrontare.
Signor ministro, in una prospettiva laica - io, infatti, sono un laico, anche se di formazione cattolica - credo si debba procedere verso il superamento del dualismo tra Stato e Chiesa e del dualismo tra pubblico e privato. Credo si debba iniziare ad immaginare una competizione virtuosa tra il sistema pubblico e quello privato.
In questa fase, nella quale il suo Governo - signor ministro - vara un provvedimento come il decreto Bersani, diretto, almeno in linea teorica, alla liberalizzazione di alcuni settori, non è giunto forse il momento di cominciare ad immaginare una liberalizzazione anche del sistema scolastico? Su questo tema vogliamo confrontarci, ammesso e non concesso che il Governo riesca ad avere una visione unica e coerente.
Liberalizzare il sistema scolastico significa venire incontro a tanti elementi utili e virtuosi che possono essere inseriti nel nostro panorama; significa cominciare ad immaginare le famiglie e gli studenti non solo come fruitori di un servizio pubblico, ma anche come consumatori, come persone che hanno il diritto ad una formazione di qualità.
Dice Monsignor Scola: potrebbero esserci dei vantaggi importanti da questa liberalizzazione, tra cui una maggiore creatività pedagogica, maggiore libertà quanto ai programmi, ai contenuti e aiPag. 12metodi di insegnamento, una sana e controllata emulazione, la capacità di non escludere l'elemento del rigore nel perseguire l'eccellenza. Quanto c'è bisogno di perseguire l'eccellenza del sistema italiano! Lo rileva anche in un bellissimo libro dal titolo: Fardelli d'Italia il direttore de Il Messaggero, Napoletano. E inoltre: maggior duttilità nell'assorbire fenomeni di meticciato e un miglior nesso col mondo del lavoro.
Tutte queste esigenze, certamente, di fronte ad una prospettiva di liberalizzazione del sistema scolastico, vengono incontrate dal sistema scolastico stesso attraverso il meccanismo dell'accreditamento rigoroso e attraverso un altro tema, che può essere discusso con grande serenità e che, di recente, i movimenti giovanili di Forza Italia e della Lega Nord, i giovani padani, hanno posto con grande intelligenza al centro del dibattito culturale, ossia quello dell'abolizione del valore legale del titolo di studio.
Su questi temi, signor ministro, crediamo che si debba essere disposti ad un confronto politico serio e costruttivo, che dia al paese una prospettiva di crescita. E la prospettiva di crescita, anche dal punto di vista della competitività, ha uno dei suoi elementi più forti e principali nella formazione del capitale umano e, quindi, nel sistema dell'istruzione e della formazione.
Certo, per discutere di questi aspetti e confrontarsi, è necessario che si conoscano le rispettive posizioni. Questo è il fine dell'interpellanza urgente che ho appena illustrato. Quindi, ascolteremo con interesse la sua posizione, signor ministro, augurandoci che sia una posizione condivisa dal Governo, ma anche deideologizzata, facendo appello, alla sua sensibilità, signor ministro, alla sua «laicità» nell'affrontare un tema importante come quello della scuola e anche alla competenza che ella saprà dimostrare.
Certo, non ci illudiamo che possa rappresentare una maggioranza coesa, visto che, probabilmente, questo non è nei fatti e nelle cose della politica, e lo si dimostra ogni giorno in quest'aula. Ci attendiamo, però, una risposta seria e volenterosa.
PRESIDENTE. Il ministro dell'istruzione, Giuseppe Fioroni, ha facoltà di rispondere.
GIUSEPPE FIORONI, Ministro dell'istruzione. Signor Presidente, onorevole Baldelli, anche io, come molti altri, sono rimasto colpito dall'intervista rilasciata dal cardinale patriarca di Venezia, Angelo Scola, sui temi della libertà dell'educazione. In queste parole ho letto quell'ansia educativa che è essenziale per la Chiesa, ma ritengo non lo sia meno per chiunque abbia a cuore le sorti della nostra società. Per questo, non ho sottovalutato l'implicita carica di suggestione che essa induce in chi si ponga a considerare il quadro più generale dell'istruzione e che deve meritare, da parte nostra, momenti di pacata e seria riflessione.
Voglio svolgere, comunque, alcune rapidissime considerazioni. Non credo sia appropriato, nel nostro dibattito politico, continuare a parlare di scuola unica o di scuola di Stato. Ciò non risponde alla verità della scuola italiana, nel cui scenario vedo soltanto, in maniera forte e ribadita, la presenza di una unitarietà del diritto all'istruzione, che lo Stato, le regioni e la comunità nazionale devono garantire ai cittadini, ovunque siano nati e prescindendo dai soldi che hanno in tasca.
In questa unitarietà del diritto, in questo unico diritto che deve essere tutelato dallo Stato, prescindendo dalla fortuna di dove si nasce e dalle capacità economiche e finanziarie della famiglia, risiede il significato di funzione pubblica dell'istruzione ed è il motivo per il quale ho voluto ripristinare il nome di «pubblica istruzione» al Ministero.
Spetta allo Stato garantire questo unico diritto all'istruzione in maniera appropriata ed uniforme su tutto il territorio nazionale.
Credo che la classe dirigente di questo paese, sia maggioranza sia opposizione, debba portare sempre più rispetto, ma soprattutto porsi in sintonia con il comune modo di sentire degli italiani.
Gli italiani partecipano ai referendum quando li ritengono opportuni, e questoPag. 13dibattito ha coinvolto sia la maggioranza sia l'opposizione. Lo abbiamo constatato quando hanno scelto di non partecipare al referendum sulla legge n. 40 del 2004, nonché quando hanno scelto di partecipare al referendum sulla devolution, al di là di una scarsa mobilitazione per la sensibilizzazione da parte di tutte le forze politiche. Ciò, proprio perché gli italiani hanno ritenuto che, dopo sessant'anni, la Carta costituzionale resta indubbiamente, nel suo complesso, il valore più amato e ancora oggi rappresenta la freschezza della nostra unità nazionale. Soprattutto, quei due valori garantiti dallo Stato - l'istruzione e la salute pubblica - rappresentano un forte collante cui gli italiani non vogliono rinunciare.
Ricordiamo che, nel nostro paese, questa unitarietà del diritto all'istruzione è garantita attraverso un sistema universale e solidaristico, nel cui ambito ciascuno di noi, in base a ciò che ha, contribuisce a pagare non la propria scuola, bensì quella di tutti. Ciò consente allo Stato di garantire livelli appropriati di diritto e di equità, di accesso, di opportunità ed eccellenza per tutti. Al riguardo, dobbiamo ancora percorrere molta strada e ne parlerò nella parte conclusiva della mia risposta.
L'obiettivo è una scuola pubblica in un sistema universale e solidaristico, dove l'accesso è garantito a tutti e la possibilità dell'eccellenza alla portata di tutti: una scuola di tutti e per tutti. Ritengo che la scuola italiana debba essere considerata sempre più una splendida comunità scolastica, che offre il migliore spaccato della nostra comunità nazionale: una società fatta di famiglie, di studenti, di docenti, di personale non docente, che al proprio interno sa trovare risorse, capacità e spinta propulsiva per garantire l'istruzione, lo sviluppo e la crescita appropriata dei nostri ragazzi.
A me preoccupa l'ipotesi di trasformare questa comunità scolastica in un'azienda. A me preoccupa non la partecipazione attiva della società civile all'istruzione dei nostri giovani, bensì l'apertura della scuola al mercato, in un sistema di unitarietà del diritto di pubblica istruzione e di bilancio dell'istruzione di alcuni centinaia di milioni di euro. Aprire al mercato significa, per quanto mi riguarda, rispondere non alla logica della competizione sull'eccellenza, ma alla logica ferrea dell'azienda, in cui si configura il rapporto tra costi e benefici.
Allora, domando a me stesso: rispetto ad una scuola aperta al mercato, nei 7 mila comuni italiani con meno di 5 mila abitanti, nelle zone montane, sismiche, disagiate, degradate, a chi sarà affidata la responsabilità dell'apertura degli istituti e della comunità scolastica? Molto probabilmente, aprire una scuola privata con una forte spinta all'eccellenza al centro di Roma, a Venezia, a Torino, a Napoli incontra interessi privati. Molto probabilmente, la scuola dei comuni...
SIMONE BALDELLI. Ministro, in questo paese gli interessi privati non sono illegali!
GIUSEPPE FIORONI, Ministro dell'istruzione. Esprimo una mia opinione sull'apertura della scuola al mercato. E mi domando quanti privati apriranno la scuola nei 7 mila comuni che hanno meno di 5 mila abitanti, quanti apriranno scuole per l'infanzia, scuole elementari, scuole medie inferiori o scuole comprensoriali del secondo ciclo nei comuni montani, nelle zone degradate, nelle zone sismiche. Mi domando quanti daranno risposta ai bambini diversamente abili o ai figli dell'immigrazione, quanti riterranno che, nell'ambito di un rapporto costi-benefici, si possa dare risposta ai figli dei Rom e quanti riterranno che la formazione continua dell'adulto sia un elemento da perseguire.
Allora, credo che il rischio reale dello smembramento del sistema universale e solidaristico secondo una logica del mercato e non della società civile esponga la comunità scolastica ad un rischio: affidare allo Stato, cui verranno sottratte in questo sistema universale e solidaristico le risorse maggiori, la possibilità di garantire a tutti equità ed eccellenza. Rischieremmo di ritornare ad una visione in cui lo StatoPag. 14garantisce, con quel poco di cui dispone, il minimo che può ai meno abbienti, ai poveri, agli sfortunati e agli svantaggiati, lasciando l'eccellenza come meccanismo accessibile solo a coloro che possono.
Allora, ritengo che, in questo contesto, una riflessione potremmo farla (non vuole essere una provocazione). Perché ho criticato, anche se soltanto dal punto di vista teorico, il precedente Governo per non avere previsto nuovamente il finanziamento del bonus scuola per il prossimo anno scolastico? Perché ciò risponde ad una certa logica. In particolare, dividere in parti eguali fra soggetti diversi non crea l'equità; garantire a tutti la stessa cifra non consente la libertà di scelta della scuola e realizza la possibilità, per la famiglia italiana, non di scegliere la scuola che vuole, bensì quella che può permettersi. Questo è un rischio che deve essere evitato.
Immaginatevi questo meccanismo all'interno di una logica di mercato - dove si investe per ottenere il profitto - e di un sistema universale e solidaristico che deve garantire non l'unicità della scuola bensì l'unicità della fruizione del diritto di cui lo Stato è garante rispetto ai cittadini.
Vorrei svolgere un'ulteriore considerazione. La nostra scuola vanta una ricchezza sulla quale dobbiamo puntare a fondo: quella dell'autonomia scolastica, che non a caso abbiamo voluto nella Carta costituzionale e che i cittadini hanno riconfermato non accettando modifiche di sorta. Le autonomie scolastiche sono poggiate sull'esistenza delle autonomie locali. Ritengo che nessun cittadino italiano, prima ancora di dirsi italiano ed europeo, si dimentichi mai della propria appartenenza al paese, alla città, al campanile in cui è nato. È proprio questa appartenenza che dobbiamo generare anche nell'autonomia scolastica. Proprio quest'ultima può rappresentare per ciascun cittadino, attraverso la propria scuola, il proprio comune, un'anima profondamente laica.
Sono convinto che non esista una pedagogia di Stato: sono fermamente convinto che occorra invece più governo e meno gestione da parte dello Stato. Ciò significa che l'autonomia scolastica non può essere affidata a discorsi teorici ma, al contrario, deve essere ricondotta a fatti estremamente concreti: mi riferisco, in particolare, all'autonomia scolastica delle risorse.
Ritengo che non si possa andare avanti, come è stato negli anni precedenti, con un'autonomia scolastica che non è finanziata. L'autonomia scolastica va finanziata affidando alle scuole le competenze che sono loro proprie. È ridicolo ritenere che le supplenze brevi debbano essere gestite dalla sede centrale del Ministero e ritengo che sia altrettanto ridicolo ipotizzare che i consumi intermedi siano gestiti dal Ministero tramite l'erogazione alle direzioni regionali.
Penso, insomma, che queste risorse possano afferire, oltre che a risorse autonome, all'autonomia scolastica, un' autonomia didattica che cammina con le gambe di queste risorse, ma anche a una terza parte dell'autonomia, cioè quella dell'innovazione e della ricerca, che non è stata mai applicata perché mai le nostre scuole sono state poste in condizioni di poterla applicare.
Ripeto: la nostra scuola è tutto fuorché una scuola unica. Sarebbe come dire che le autonomie locali italiane sono uniche e, allo stesso tempo, di Stato. C'è una grande pluralità, un grande pluralismo delle nostre istituzioni educative e non credo che la scuola italiana possa essere semplicemente ricondotta ad una laicità di una indifferente neutralità, né credo che nelle nostre scuole si viva oggi un'egemonia. Credo, invece, che nelle nostre scuole vada potenziato, ogni giorno di più, il dialogo fra le culture.
Poc'anzi l'onorevole Baldelli ricordava la quotidianità del meticciato che stiamo vivendo. Il rischio vero del nostro meticciato è che sia tale da non creare comunicazione, interconnessione e integrazione. La scuola che crea e genera, nell'autonomia scolastica, attraverso le diecimila scuole italiane, un dialogo fra culture è non una laicità indifferente e neutra bensì la base per far sì che il meticciato acquisiscaPag. 15una comune anima laica e di appartenenza (che è in comunicazione tra loro).
Ritengo anche che la nostra scuola non abbia mai rischiato - né rischi soprattutto in questi anni - di essere una scuola di classe. Insieme a molti altri colleghi, sia nel centrodestra sia nel centrosinistra, abbiamo mosso i primi passi nell'impegno politico e sociale grazie alla vicenda della partecipazione delle famiglie degli studenti alla vita degli organi scolastici.
Se, quindi, c'è un appello da lanciare a questo Parlamento questo è che sono maturi i tempi per la revisione degli organi collegiali. Se non rivediamo tali organi collegiali, non vi saranno gli strumenti per garantire all'autonomia scolastica di poter camminare secondo le responsabilità, gli oneri e la partecipazione che le sono necessari.
In questo contesto, credo anche che, per garantire il pluralismo delle istituzioni educative, vada rimesso in discussione il meccanismo del nostro bilancio.
Per quanto riguarda il bilancio della pubblica istruzione, nel corso degli anni non è stato improntato (credo sia l'unico elemento di riforma fondamentale) al modello educativo, agli standard di sapere che vogliamo affidare ai nostri studenti, ma affidato alla spesa storica, con qualche incremento in più realizzato ogni anno. Occorre adeguarsi allo standard di sapere individuale e alle prestazioni appropriate, con l'individuazione della quota pro capite per ogni studente. Un bilancio realizzato in questa maniera consente di dare risposte all'autonomia scolastica, ma di essere anche il requisito per applicare in maniera corretta la legge n. 62 sulla parità; una legge dello Stato che non solo intendo attuare, ma anche completare.
Certo, mi trovo qualche volta in sensibile imbarazzo rispetto ai colleghi che rammentano l'importanza della parità scolastica e vorrei fare loro una promessa. Vorrei evitare, come accaduto troppe volte nel passato, che vi sia un'abissale differenza tra i principi che vengono enunciati ed i fatti che vengono realizzati. Credo debba esistere una corrispondenza, anche nelle difficoltà quotidiane in cui versa la situazione economica del nostro paese, tra i principi che vogliamo enunciare, le parole che esprimiamo e la sostanza che vogliamo perseguire.
Per quanto riguarda la parità scolastica, al di là delle parole, non vi è stato un proporzionale incremento di nessuna risorsa nella legge sulla parità scolastica. L'unico risultato è stato un taglio di 167 milioni di euro, che mi auguro il Governo ed il Parlamento, in questa drammatica situazione economica, riescano a recuperare. Quei 167 milioni di euro garantiscono la sopravvivenza della parte più consistente delle scuole paritarie del nostro paese, le scuole dell'infanzia, che, senza questo finanziamento (è stato tagliato dal precedente Governo), rischiano di non essere più in grado, non di sopravvivere come scuole, ma di contribuire, in maniera piena e sussidiaria, al diritto alla scuola dell'infanzia nel nostro paese, che potrebbe essere messo a repentaglio.
Il primo obiettivo dovrà, pertanto, essere quello di ripristinare i 167 milioni di euro per fornire una risposta.
Certo, è una cosa singolare; avrei preferito iniziare ad assolvere i miei impegni come ministro della pubblica istruzione dando attuazione al principio della parità, senza dover ripristinare ciò che faticosamente era stato consolidato nel 1999 dal Governo di centrosinistra.
Ritengo anche che, sulla strada della parità, si debba approfondire la questione dei diritti degli studenti, anche con riferimento all'accesso, dei problemi dei diversamente abili, ma anche del diritto del personale docente. Ritengo anche che, nell'ambito della pubblica istruzione e con riferimento alle responsabilità di Governo, di pertinenza dello Stato e della regione, la programmazione sia l'elemento fondamentale per cogliere le possibilità di integrazione e di collaborazione, anche in termini di vera e profonda sussidiarietà, con la società civile impegnata nel mondo dell'educazione scolastica.
Ribadisco che, anche in questo campo, si evidenzia una differenza abissale - non perché il business o il profitto non sia legale - tra chi si occupa dell'educazionePag. 16dei nostri figli in modo no profit e chi ritiene che l'istruzione sia un meccanismo legato al profit.
Anche le vicende di questi giorni ci dimostrano l'abissale differenza in questo contesto. Non sfugge a nessuno che si avverte la necessità di rilanciare la nostra scuola e di far acquisire competenze ai nostri ragazzi. Con riferimento a quest'ultimo aspetto, l'istruzione continua degli adulti rappresenta un elemento trainante. Non so quanta parte di privato interessata al profit sia sensibile al tema dell'istruzione dell'adulto che, se ha un tasso di scolarità basso, penalizza profondamente i ragazzi.
Basti pensare che il 40 per cento dei «sufficienti» o degli «insufficienti» della scuola media inferiore viene da famiglie che hanno un basso tasso di scolarizzazione.
Credo che il test PISA, sulla base del quale è valutato il grado di competenza dei nostri ragazzi, debba essere affiancato da un test di valutazione delle nostre scuole che sia funzionale non soltanto ad accreditare le competenze dei nostri ragazzi, ma anche quel quid di fantasia e creatività che abbiamo. Nell'osservare gli andamenti del test PISA, mi preoccupa registrare, in primo luogo, un rapporto direttamente proporzionale tra le competenze ed il disagio giovanile o addirittura il suicidio giovanile.
Forse, ha ragione Dahrendorf quando sostiene che l'istruzione e la formazione non devono essere impostate solo sulle mutevoli e complesse richieste della professione, ma anche su altre esigenze della vita. Devono essere trovati nuovi mezzi e nuove strade per strutturare l'esistenza degli uomini o, piuttosto, per mettere gli uomini nella condizione di dare senso ai loro giorni, ai loro anni, alla loro vita. Si tratta di quella umanizzazione delle nuove generazioni a cui la scuola deve comunque continuare a partecipare con forza e con slancio.
Ripeto che l'intervista del cardinale Scola, ovviamente, mi ha colpito ed aggiungo che, per quel che mi riguarda, non può essere archiviata come una semplice provocazione: continuerò, continueremo ad interrogarci sui contenuti e sulle suggestioni che, evidentemente, essa ha suscitato in noi e che, in questo spirito, potranno trovare un ulteriore confronto.
Ho apprezzato l'interpellanza perché ci ha offerto l'occasione di confrontarci tra noi, ma devo ricordare che sono al lavoro come ministro della pubblica istruzione da poco più di un mese. Se le convinzioni espresse nell'atto di sindacato ispettivo fossero state così forti e così persuasive, forse, si sarebbe potuto mettere zelo nel realizzarle, nei precedenti cinque anni, anziché nell'interpellarmi al riguardo adesso.
PRESIDENTE. La deputata Aprea, cofirmataria dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
VALENTINA APREA. Signor Presidente, signor ministro, nell'associarmi ai ringraziamenti dell'onorevole Baldelli per la sua presenza, per l'attenzione manifestata e per la lunga risposta che ha voluto dare, in questa sede, alla nostra interpellanza, le dichiaro la nostra completa insoddisfazione.
Signor ministro, noi le abbiamo posto un solo quesito, che era, poi, quello posto anche da sua eminenza il cardinale Scola: è possibile superare la scuola di Stato per approdare alla scuola della società civile?
Inoltre, avevamo sottolineato un passaggio di natura politica: è possibile favorire una politica delle liberalizzazioni - che questo Governo si vanta di voler favorire in altri settori e promuovere nel paese - anche nel sistema scolastico, anche nel settore dell'educazione dei giovani? Questo era l'argomento! Si può immaginare di passare da una scuola di Stato ad una scuola della società civile? È utile? È possibile?
Dopo averla ascoltata, signor ministro, mi sento rafforzata nelle mie convinzioni. Signor ministro, è più importante garantire, e pagare, una uniformità del sistema che diventa omologazione, che crea - ed ha creato! - dispersione scolastica, disagio giovanile, come ha ammesso anche lei, chePag. 17non è riuscita, in questi cinquanta o sessanta anni, a favorire la mobilità sociale, ovvero è possibile organizzare il sistema educativo in modo diversificato e più libero, con maggiori responsabilità da parte di chi stabilisce i criteri del governo della scuola (quindi, da parte dello Stato e da parte di chi eroga il servizio scolastico educativo)? Questo è il tema oggi!
Non possiamo semplicemente dire che abbiamo una scuola di Stato che garantisce tutto e tutti, che abbiamo il finanziamento pubblico per tutti, che il problema non ci interessa e che respingiamo al mittente tutte le altre ipotesi di organizzazione scolastica. Signor ministro, lei sa meglio di me - ne abbiamo già discusso in Commissione cultura - che la situazione politica e storica e anche le nostre leggi (finanche parte della Costituzione) sono diverse dalla cornice giuridica del secolo scorso. Intanto, potremmo anche dire che una scuola della società civile recupera lo spirito autentico della nostra Costituzione, perché non è vero che la nostra Carta costituzionale parla di scuola statale. Sappiamo come è andata dal punto di vista storico. In realtà l'Italia presenta un ordinamento per certi versi napoleonico e per altri fascista. La nostra organizzazione scolastica rimanda a questi due tipi di concezioni della cosa pubblica e, nel nostro caso, della scuola pubblica.
Tutti gli altri settori pubblici del nostro paese hanno subìto riforme e sono stati modernizzati con gestioni molto più democratiche. Solo il sistema scolastico è rimasto fermamente ancorato a burocrazie statali. Non è lo Stato, bensì la burocrazia che governa la scuola. Sono le corporazioni a governare la scuola. Quindi, burocrazia e corporazioni, signor ministro, ricordi questo! Sono questi i soggetti con cui lei avrà a che fare. Nei loro confronti in questi giorni lei ha già dimostrato debolezza perché ha firmato l'applicazione di un articolo del contratto che ha fatto prevalere le corporazioni rispetto alle leggi della Repubblica, anche se varate da un altro Governo.
Lei ha ragione, perché in qualità di nuovo ministro della pubblica istruzione può sicuramente mettere in discussione quelle scelte e quelle leggi. Lei invece ha accettato che fossero le corporazioni a dire il da farsi, suggerendo la disapplicazione di norme votate dal libero Parlamento della nostra Repubblica. Le pare che sia questa una scuola di Stato da sostenere? Si tratta di una scuola che, di fatto, viene governata dalle burocrazie e dalle corporazioni. Altro che autonomia delle scuole, altro che libertà degli studenti, altro che libertà delle famiglie!
Quindi, non si tratta di mettere in discussione soltanto il principio cardine, ovvero se la governance debba risiedere in mano pubblica o privata. Si tratta di chiedersi se sia possibile immaginare per il nostro paese, così come dite, una scuola davvero dalla parte degli studenti e delle famiglie e non nelle mani delle burocrazie e delle corporazioni. Su questo aspetto abbiamo presentato la nostra interpellanza. Possiamo attenderci dal Governo, ed in particolare da lei, signor ministro, la prosecuzione del processo di sburocratizzazione che noi avevamo favorito?
Esistono due parole magiche: sussidiarietà e autonomia. So che si tratta di parole che esercitano un certo fascino anche su di lei, per la sua storia, per la sua provenienza cattolica, politica e personale. Peccato che il Parlamento e il nostro paese non riescano a dare sostanza né alla sussidiarietà né all'autonomia.
Partendo dal criterio di sussidiarietà, affermo che non abbiamo mai messo in discussione, neppure quando eravamo al Governo, i meriti della scuola pubblica, intesa come scuola statale. Tutti riconosciamo che nel secolo scorso, solo grazie alla scuola statale - ed in questo senso scuola pubblica - è stato possibile superare momenti difficili e dare sostanza all'unità d'Italia con la conoscenza della lingua italiana da parte di tutti i cittadini, con la possibilità di superare fenomeni quali l'analfabetismo. Nell'immediato secondo dopoguerra, la scuola statale ha favorito la ricostruzione del paese - allora sì! - tramite i titoli di studio (geometri, ragionieri, periti).Pag. 18
Ed allora, il valore legale del titolo di studio e l'uniformità che non consente il successo educativo di tutti gli studenti?
Veda ministro, fino agli anni Settanta il problema era quello di favorire il diritto allo studio e l'accesso di tutti all'istruzione. Oggi, invece, il problema è il successo educativo per tutti ed il modo in cui recuperare quel 10, 15, 20 per cento - a volte il 30 per cento - di dispersione scolastica e far sì che ogni ragazzo abbia, ancorché in una cornice nazionale, la possibilità di realizzare le proprie capacità, i propri talenti o superare le proprie difficoltà.
Lei è molto sensibile. Abbiamo avuto modo di verificarlo in più occasioni rispetto ai problemi del disagio giovanile, dell'integrazione dei soggetti portatori di handicap, dei figli dell'immigrazione. Sono tutti problemi reali, ma richiedono una differenziazione della proposta educativa. Abbiamo trascurato, per richiamare un esempio, la valorizzazione dei talenti. Ma lei crede che possiamo tornare ad essere un paese competitivo se, anche di fronte ad un ragazzo, mi consenta il termine, talentuoso, prospettiamo un'offerta formativa omologata per tutti?
PRESIDENTE. La prego...
VALENTINA APREA. Sicuramente, non abbiamo bisogno di omologazione, né di quella che lei ha definito uniformità. Non abbiamo paura della libertà, ministro. Perché lei ha paura della libertà, la libertà anche di organizzare scuole?
Quella che le chiediamo è di allentare i vincoli, le regole, quelle superflue, quelle che impediscono la vera libertà e la vera qualità, non soffocando l'autonomia. Lei ha parlato dell'autonomia didattica. Guardi, poiché, come è noto, ho trascorso gli ultimi cinque anni della mia attività politica al ministero, so bene cosa, in tale sede, si pensa sull'autonomia delle scuole: l'autonomia viene ridotta alla possibilità di ideare progetti all'interno delle scuole o di utilizzare gli insegnanti, fermo restando che i docenti, i finanziamenti e gli orari devono essere tutti stabiliti dal «centro», neanche a livello regionale.
PRESIDENTE. Onorevole, la prego di concludere.
VALENTINA APREA. Sì, signor Presidente.
L'organizzazione della scuola deve essere tutta ancora centralizzata.
Ministro Fioroni, non possiamo dichiararci soddisfatti perché lei, di fatto, ha ribadito che l'unico modello possibile per la scuola italiana è quello statalista e che l'unico gestore deve essere lo Stato (ribadendo con ciò il monopolio statale) e ha parlato di possibilità di finanziamento alle scuole paritarie. Non intendo, però, entrare in tale questione perché, come ha detto bene il cardinale Scola, non si tratta di concedere finanziamenti ad una scuola che deve copiare il modello statale...
PRESIDENTE. Onorevole, mi dispiace, ma ha superato di gran lunga il tempo a sua disposizione.
VALENTINA APREA. La ringrazio, signor Presidente.
Al ministro vorrei rivolgere un invito che già gli ho rivolto in Commissione: si rilegga non solo don Milani ma anche don Sturzo!
La prego, signor Presidente, di farmi concludere con le parole di don Sturzo, il quale non solo diceva che finché la scuola non sarà libera gli italiani non saranno liberi ma, ad un amico che era stato negli Stati Uniti e gli scriveva preoccupato perché non aveva trovato un ministero dell'istruzione, lui, negli anni Cinquanta, rispondeva: «Vedi, caro amico, non ti devi stupire. Il popolo americano è un popolo libero. Siamo noi che non siamo liberi».Pag. 19
Signor ministro, continui a fare ciò che noi abbiamo tentato faticosamente di realizzare: anziché bloccare le libertà, le aumenti, e se farà ciò, saremo dalla sua parte. Diversamente, mi spiace, saremo contro di lei in tutti i modi (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento di interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
Sospendo la seduta, che riprenderà al termine della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, convocata per le 12,15.
La seduta, sospesa alle 10,45, è ripresa alle 13,35.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI