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Discussione del disegno di legge: S. 741 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale (Approvato dal Senato) (A.C. 1475) (ore 12,15).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale.
Avverto che, in data 28 luglio 2006, il Senato della Repubblica ha inviato alla Presidenza della Camera dei deputati la seguente rettifica di un errore materiale contenuto nel messaggio relativo al disegno di legge di conversione del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (atto Senato n. 741):
All'Elenco n. 1, Ministero dell'economia e delle finanze - Tesoro - 03.01.01.00, in luogo della cifra: «1.521.491» deve leggersi la seguente: «1.512.491».
Conseguentemente, lo stampato atto Camera n. 1475 deve intendersi corrispondentemente corretto alle pagine 36 e 205.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1475)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni V (Bilancio) e VI (Finanze) si intendono autorizzate a riferire oralmente.Pag. 2
Il relatore per la V Commissione, onorevole Milana, ha facoltà di svolgere la relazione.
RICCARDO MILANA, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, informo preliminarmente che chiederò alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di parte della relazione che mi accingo a svolgere, a favore dell'economia dei nostri lavori e del dibattito.
Mi corre l'obbligo, tuttavia, di illustrare il provvedimento al nostro esame soffermandomi particolarmente sul primo e sul secondo titolo del decreto-legge in questione, lasciando alla collega relatrice per la Commissione finanze, per competenza, l'intera parte relativa al terzo titolo.
Il provvedimento di cui si inizia l'esame nell'odierna seduta riveste la massima importanza ed ha suscitato in queste ultime settimane, in occasione dell'esame in prima lettura al Senato, un ampio confronto, ricco di spunti stimolanti e non privo di qualche momento di tensione e di conflittualità, anche al di fuori delle aule parlamentari.
Siamo in presenza di un decreto-legge sul quale sono stati espressi giudizi diversi, tuttavia ritengo che tutti noi, sia maggioranza, sia opposizione, possiamo convenire sul fatto che si tratta di un provvedimento di ampia portata e di grande rilievo politico; vorrei personalmente aggiungere che si tratta di un decreto-legge destinato a marcare l'attività sia del Parlamento, sia del Governo nel corso di questa legislatura.
Il decreto-legge n. 223 del 2006, infatti, costituisce la prima concreta traduzione degli indirizzi di politica economica e finanziaria che il Governo ha più diffusamente enucleato nel Documento di programmazione economico-finanziaria e che dovranno ispirare i provvedimenti legislativi che si intendono assumere nel corso della legislatura.
Non siamo in presenza di un mero provvedimento correttivo dei saldi di finanza pubblica, assimilabile ai numerosi decreti-legge adottati negli scorsi anni in presenza di scostamenti più o meno rilevanti degli andamenti rispetto alle previsioni iniziali. Certamente, il decreto-legge in esame risponde in parte anche a tali esigenze; tuttavia, gli effetti correttivi sull'esercizio in corso sono limitati, prevedendosi ben più consistenti effetti di correzione negli esercizi finanziari successivi. In particolare, nel testo trasmesso dal Senato, vengono quantificati effetti migliorativi netti, per quanto concerne il saldo netto da finanziare, nell'ordine di appena 93,8 milioni di euro nell'anno in corso, ma di oltre 5.330 milioni di euro nel prossimo anno, 4.738 milioni di euro nel 2008 e 7.045 milioni di euro nel 2009. Il Governo ha ritenuto che fosse preferibile impostare una manovra suscettibile di produrre effetti migliorativi in un arco temporale non circoscritto all'anno in corso, vale a dire porre in essere interventi di carattere strutturale e non meramente congiunturali.
Voglio anche sottolineare come tale provvedimento introduca, rispetto agli anni passati, la novità di non prevedere una tantum. Tale scelta è stata avallata dalle autorità comunitarie, che hanno preso atto della serietà del Governo nella volontà di rispettare gli impegni concordati in sede europea per il rientro dell'indebitamento.
La manovra delineata nel decreto-legge in esame, che può essere ulteriormente rafforzata, ove lo si ritenesse necessario, in occasione della sessione di bilancio, risponde all'esigenza di porre in essere misure destinate a produrre effetti nel tempo. Il Governo ha, infatti, impostato un provvedimento che, coerentemente alle indicazioni del DPEF, traduce gli obiettivi di politica economica di promuovere l'apertura dei mercati e la liberalizzazione di alcuni comparti in cui più forti appaiono le barriere e le resistenze all'entrata, nonché di un contenimento delle spese e di un riequilibrio del carico tributario volto a perseguire una maggiore equità nella distribuzione degli oneri.
A questo specifico riguardo, occorre evidenziare con la massima chiarezza che,Pag. 3lungi dal rispondere a presunti e del tutto infondati intenti persecutori, le misure recate dal provvedimento, come risultanti dalle modifiche migliorative e dalle correzioni apportate al Senato, traggono origine da una constatazione il cui fondamento è francamente difficile mettere in discussione. Si tratta del fatto che, come alcuni clamorosi episodi di cronaca hanno ampiamente dimostrato, è emerso in maniera inequivocabile che, per cause in parte riconducibili a difetti della legislazione e in parte a comportamenti degli operatori, la distribuzione del carico fiscale è apparsa molto lontana dalla logica di equità che dovrebbe ispirare la normativa fiscale. In particolare, a fronte di una tassazione che rimane tuttora elevata sul fattore lavoro, si è registrata una drastica attenuazione dell'onere a carico delle rendite o comunque dei redditi connessi al comparto immobiliare. Si è quindi verificato l'assurdo per cui ad un'impennata della redditività degli operatori del settore immobiliare, connessa alla crescita dei valori di mercato, non ha fatto riscontro un proporzionale aumento del gettito tributario ma un allargamento dell'area dell'elusione, che ha favorito comportamenti opportunistici.
Le correzioni apportate rispondono pienamente alla logica di una più giusta distribuzione del carico tributario e non sono ispirate a pregiudizi ideologici, come del tutto pretestuosamente è stato da qualcuno affermato. Analoghe considerazioni valgono per quanto concerne le misure recate dai primi articoli del provvedimento, volte a promuovere la concorrenza in alcuni comparti. Anche in questo caso, occorre essere molto chiari per evitare polemiche pretestuose che non aiutano l'opinione pubblica né le categorie interessate a valutare con la necessaria consapevolezza misure che non intendono certo umiliare o penalizzare comparti produttivi importanti nella realtà italiana, ma introdurre alcune modifiche ad una situazione che presenta forti elementi di rigidità a scapito, in primo luogo, dei consumatori e, in secondo luogo, delle prospettive di crescita e sviluppo degli stessi comparti.
In un paese come il nostro, bloccato da un sistema ancora in gran parte dominato dalle corporazioni, si vogliono ridurre i privilegi di alcune categorie anche in relazione alle inefficienze che generano. Inefficienze e disservizi che subiamo tutti quanti nella quotidianità. Oltre all'inefficienza, poi, la mancanza di aperture alla concorrenza ha generato costi eccessivi per i consumatori: si cambia un sistema per il quale i taxi non ci sono, le assicurazioni costano troppo, le banche sono poco trasparenti nella proposta dei loro servizi, i farmaci da banco sono i più cari rispetto agli altri paesi europei, i passaggi di proprietà delle auto si pagano dal notaio. Aprire un esercizio commerciale impone procedure tortuose e poco chiare. Da ora si cambia e si avvia quell'indispensabile modernizzazione della società italiana che proseguirà con i prossimi provvedimenti.
Il provvedimento in esame è suddiviso in tre parti. La prima parte è dedicata alle liberalizzazioni. In particolare, all'articolo 2, relativo ai professionisti, il testo costituisce un punto di mediazione fra diverse esigenze.
In sostanza, si tende a recuperare l'istituto della tariffa professionale unicamente per le ipotesi in cui la totale eliminazione della medesima avrebbe potuto determinare problemi applicativi.
In particolare, le modifiche sono volte a consentire al giudice di provvedere alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, sulla base della tariffe professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio; a permettere alle pubbliche amministrazioni di assumere come riferimento nelle procedure di evidenza pubblica le tariffe professionali; a precisare la questione delle tariffe obbligatorie e l'ambito delle attività di pubblicità, che deve rispondere a criteri di trasparenza e veridicità; a stabilire le modalità con cui si interviene in materia di società di persone e associazioni tra professionisti, prevedendo la necessitàPag. 4della forma scritta, a pena di nullità, per i patti di quota-lite tra avvocati e clienti.
L'articolo 3, riguardo al commercio, introduce norme atte a tutelare la concorrenza nel settore della distribuzione commerciale, compresa la somministrazione di alimenti e bevande: sono state abrogate alcune condizioni limitative con un emendamento che si colloca prevalentemente nel solco della riforma del commercio, voluta ed attuata nel 1998 con il decreto legislativo n. 114. Infatti, si precisa in maniera più corretta l'ambito di applicazione della norma facendo esplicito riferimento alle attività commerciali individuate dal decreto Bersani del 1998.
Non devono limitare lo svolgimento del commercio, anche alimentare, le seguenti condizioni: l'iscrizione a registri abilitanti ed il possesso di requisiti professionali soggettivi per l'apertura di esercizi commerciali, con esplicita esclusione del settore alimentare e della somministrazione degli alimenti e bevande; il rispetto delle distanze minime tra medesime tipologie di commercio; le limitazioni quantitative all'assortimento merceologico offerto, fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non; il rispetto dei limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub-regionale; i divieti generali di vendite promozionali, restando validi quelli prescritti dal diritto comunitario, e le autorizzazioni preventive e le limitazioni temporali alle vendite promozionali all'interno degli esercizi. Viene fatta salva la disciplina che regola i saldi di fine stagione e le vendite sottocosto. In deroga alla disposizione introdotta, si stabilisce che le autorizzazioni sono necessarie per le vendite promozionali da effettuare nei periodi immediatamente precedenti i saldi di fine stagione per i medesimi prodotti. Infine, si elimina il divieto o la necessità di autorizzazioni preventive per il consumo immediato di prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda, con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie.
All'articolo 4, relativamente ai panifici, il decreto abroga la legge n. 1002 del 1956, che assoggettava i nuovi panifici all'autorizzazione della camera di commercio, sentita una commissione che accerta l'opportunità del nuovo impianto di produzione in relazione alla densità dei panifici esistenti ed al volume della sua produzione. D'ora in poi, per aprire un panificio basterà presentare una dichiarazione di inizio attività al comune. La dichiarazione dovrà comunque essere corredata anche dal nominativo del responsabile dell'attività produttiva, che assicura l'utilizzo di materie prime di qualità e il rispetto delle norme igienico-sanitarie e di sicurezza dei luoghi di lavoro. Inoltre, ai panifici si consente la vendita dei prodotti di propria produzione per il consumo immediato, con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione.
Infine, attraverso un decreto del Presidente della Repubblica, da emanarsi entro dodici mesi dall'entrata in vigore del disegno di legge di conversione del decreto, si intendono tutelare quelle imprese di panificazione che svolgono l'intero ciclo di produzione del pane, riservando loro la denominazione di «panificio» e il prodotto finale e riservando la denominazione «pane fresco» esclusivamente al pane prodotto con un processo di produzione continuo, ossia senza interruzioni finalizzate al congelamento o alla surgelazione o alla conservazione prolungata delle materie prime.
Con riguardo alle disposizioni dell'articolo 5, relative ai farmaci, si inserisce l'obbligo di comunicazione al Ministero della salute e alla regione in cui ha sede l'esercizio da parte degli esercizi commerciali che vogliono effettuare la vendita di farmaci da banco. Si rafforza il ruolo del farmacista per le vendite di farmaci negli esercizi commerciali, che potranno avvenire solo con la loro presenza e la loro assistenza personale e diretta al cliente.
L'articolo 5, comma 6, consente il superamento della disciplina relativa all'acquisizione, a titolo di successione mortis causa, di una partecipazione in una società di gestione di farmacie private, e diPag. 5una titolarità di una farmacia privata, da parte di aventi causa non in possesso dei requisiti stabiliti per accedere a tale successione, disponendo semplicemente un'abrogazione dei commi 9 e 10 della legge n. 362 del 1991.
All'articolo 6, concernente i taxi, l'intesa tra il ministro per lo sviluppo economico e i tassisti ha portato a sostanziali modifiche delle disposizioni inserite nel decreto finalizzate, in particolare, alla liberalizzazione delle licenze. L'accordo, che prevede la soppressione della deroga al divieto di cumulo di più licenze da parte di un medesimo soggetto ed il parziale ritorno al principio «un'auto, una licenza», va, comunque, monitorato da parte dei comuni.
Sono introdotte le licenze stagionali o temporanee per eventi straordinari. Ma anche in questo caso, si prevede che il servizio venga svolto in «prevalenza» dalle cooperative esistenti.
Vi è un prolungamento di orario, ma tutta la vicenda è rimandata alle normative comunali (già a Roma, in questi giorni, un accordo tra l'amministrazione e le organizzazioni ha portato ad un forte potenziamento del servizio dei taxi).
Per quanto riguarda l'articolo 8, concernente le clausole anticorrenziali in tema di responsabilità civile auto, il nuovo testo propone che i preventivi e le polizze indichino chiaramente il premio di tariffa, la provvigione dell'intermediario, nonché lo sconto riconosciuto al sottoscrittore. Inoltre, per l'offerta di contratti relativi all'assicurazione RC auto, l'intermediario deve rilasciare preventiva informazione al consumatore sulle provvigioni riconosciutegli dall'impresa o distintamente dalle imprese per conto di cui opera. L'informazione deve essere affissa nei locali in cui l'intermediario opera e deve risultare nella documentazione rilasciata al contraente.
Nel rapporto con le banche vengono azzerate le spese di chiusura dei conti correnti e modificata la parte relativa all'adeguamento automatico dei tassi di variazione stabiliti dalla Banca centrale europea, prevedendo che le variazioni dei tassi di interesse, conseguenti a decisioni di politica monetaria, riguardino sia i tassi debitori sia quelli creditori e si applichino con modalità tali da non recare pregiudizio ai clienti. Inoltre, le banche devono comunicare con evidenza al cliente la variazione unilaterale del contratto ed avvisarlo che altre banche potrebbero avere variato i tassi.
Per quanto riguarda i servizi pubblici, l'articolo 13 introduce norme che non riguardano gli enti erogatori dei servizi pubblici, ma le società con cui gli enti hanno esternalizzato alcune attività tipicamente di mercato ed a cui la disposizione in oggetto impone limiti all'attività, disponendo che tali società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi in favore dell'attività di tali enti, debbano avere oggetto sociale esclusivo ed operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti e non possano svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati o partecipare ad altre società o enti.
Le società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista dal decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società od enti. I contratti difformi dalla nuova disposizione conclusi dopo il 4 luglio, data di entrata in vigore del decreto, sono nulli, mentre restano validi, fatte salve le prescrizioni contenute nel comma 3 dell'articolo in oggetto, che dispongono un piano di adeguamento per le società alla nuova normativa, i contratti difformi conclusi dopo l'entrata in vigore del decreto, ma in esito a procedure di aggiudicazione bandite prima del 4 luglio.
È importante però segnalare come nel dibattito di queste settimane sia passato in secondo piano il fatto che la manovra si è resa indispensabile per evitare che il paese, in qualche modo, si fermasse.
Il titolo II del provvedimento, infatti, introduce una serie di norme necessarie per impedire (ricordiamo le polemiche di cui hanno dato conto i giornali) la chiusuraPag. 6dei cantieri dell'ANAS e delle Ferrovie. In particolare, vengono stanziati, per l'anno 2006, 1.800 milioni di euro per gli interventi relativi al «Sistema alta velocità/alta capacità» e 1.000 milioni di euro in favore dell'ANAS.
L'articolo 17-bis contiene, invece, un incremento di 30 milioni di euro per il 2006 e di altri 30 milioni di euro per il 2007 a favore delle autorità portuali.
L'articolo 18 contiene uno stanziamento di 50 milioni di euro per il Fondo unico per lo spettacolo. Nel triennio 2006-2008, tale stanziamento ammonta complessivamente a 150 milioni di euro. È importante ricordare che il taglio effettuato dal precedente Governo Berlusconi fu di 87 milioni di euro e che, probabilmente, per questo settore sarà importante intervenire anche in sede di legge finanziaria.
Di 30 milioni di euro è l'ampliamento del Fondo nazionale per il servizio civile, mentre 300 milioni di euro vanno ad integrare il Fondo per le politiche sociali (nel triennio 2006-2008, la cifra diventa di 900 milioni di euro). In parte, viene recuperato il taglio, che tante polemiche ha generato, operato dal precedente Governo al Fondo per le politiche sociali.
L'articolo 18-bis contiene disposizioni per il contrasto degli incendi boschivi ed autorizza, per le esigenze operative del Corpo forestale dello Stato, la spesa di 4 milioni di euro per l'anno 2006 e di 10 milioni di euro per l'anno 2007.
L'articolo 19 prevede stanziamenti per le politiche della famiglia, per le politiche giovanili e per le pari opportunità.
Come si vede, il titolo II introduce misure indispensabili per il funzionamento del sistema paese - stanziando fondi che la legge finanziaria per il 2006 non aveva previsto e permettendo ad interi comparti, a quello dei trasporti innanzitutto, ma anche ai settori sociali e culturali, di continuare lo sforzo necessario per rendere il nostro paese più competitivo dal punto di vista strutturale e più impegnato a sostenere quella domanda di cultura che rappresenta uno dei motori del nostro sistema turistico -, ma anche per dare vita ad un paese più solidale in un periodo di grandissimo disagio.
Le disposizioni contenute nel capo III del titolo II saranno illustrate dalla collega Fincato, relatore per la VI Commissione.
Desidero sottolineare che l'ampio dibattito svoltosi in Commissione ci ha permesso di chiarire tanti aspetti del provvedimento, tra cui quello della correttezza delle coperture, soprattutto con riferimento ad alcune domande sorte a seguito dell'esame da parte del Servizio bilancio della Camera. Le risposte fornite dal Governo in Commissione sono apparse esaurienti e, pertanto, il provvedimento appare regolare sotto il profilo contabile.
In conclusione, il provvedimento in esame affronta tanti temi cruciali dell'organizzazione del nostro sistema economico. In particolare, le liberalizzazioni costituiscono il primo passo per l'apertura del sistema produttivo alle nuove generazioni e, riducendo il potere di alcune corporazioni, vanno incontro alle esigenze del cittadino consumatore, il quale dovrà ricevere vantaggi notevoli anche dalla dinamica dei prezzi. Insomma, il titolo II del provvedimento contiene le misure per il rilancio dell'economia e per la tenuta di un sistema produttivo che rallentava fino a provocare il fermo dei cantieri dell'alta velocità e di quelli per la costruzione di strade.
Sottolineo l'importanza del titolo III, contenente norme per l'ampliamento della base imponibile e la riduzione dell'area dell'elusione. Si tratta di condizioni indispensabili per ridurre il carico fiscale ai contribuenti che compiono interamente il loro dovere.
In conclusione, signor Presidente, il provvedimento va nella giusta direzione e, nei prossimi giorni, merita di essere esaminato con attenzione e di essere approvato celermente, per il bene del paese e per svolgere un'azione di rinnovamento economico e sociale che dovrà essere proseguita anche nei prossimi anni (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
Signor Presidente, come già anticipato all'inizio del mio intervento, chiedo che laPag. 7Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative della mia relazione.
PRESIDENTE. Onorevole relatore, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
La relatrice per la VI Commissione, onorevole Fincato, ha facoltà di svolgere la relazione.
LAURA FINCATO, Relatore per la VI Commissione. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, il dibattito sul declino dell'Italia non è forse giunto a conclusione definitiva, ma certamente illustra un paese dolorante, dove a chiazze di crescita si sommano vaste pianure di difficoltà, e ciò non tanto in senso territoriale, quanto piuttosto in termini sociali. Non è questo il momento delle analisi, che hanno fin troppo accompagnato la dialettica delle campagne elettorali, senza venire a capo di un percorso univoco, ma certamente individuando aree di sofferenza. Oggi occorre prendere coraggiosamente il capo di un filo che, dipanandosi rapidamente nell'economia del paese, porti all'aggiustamento e poi alla crescita dell'economia italiana. Siamo tutti convinti, maggioranza e opposizione, che i problemi oggi sono di assai varia natura e percorrono soprattutto i diritti della persona e del mondo circostante. Tuttavia, tra questi diritti, la sussistenza economica è davvero centrale, poichè si dipana di giorno in giorno, in un contesto che tutto pervade, dalla psicologia alla salute fisica, al consumo del necessario, alla cultura e al futuro dei propri cari.
È, quindi, con vera partecipazione che svolgo questa relazione, per illustrare i dati salienti del decreto che deve essere fatto proprio dal Parlamento, affinché diventi linea di comportamento, in attesa che la visione programmatoria del DPEF trovi sviluppo in atti normativi, a cominciare dalla prossima legge finanziaria. Non è il dato tecnico il contributo maggiore di questo testo: esso sta viceversa nella capacità di entrare nei problemi della società italiana con una lettura più egualitaria e meno futuribile di quanto sia avvenuto negli anni precedenti. Riconosciamo al ministro Tremonti qualche merito gestionale, ma lamentiamo ancora una volta la sua lettura di una società tutta appoggiata sulle punte emergenti dell'economia e mai, invece, costituita dal tessuto generale, rappresentato da 58 milioni di italiani. Qui invece stiamo arrivando a questa rappresentanza generale, sia nell'individuazione dei nodi di privilegio che frenano il percorso verso una società più dinamica per tutti, perché non rallentata da alcuni, sia nell'aggiustamento del principale rapporto tra Stato e cittadini, l'attuazione dell'articolo 53 della Costituzione, che chiede a tutti di contribuire alla spesa pubblica in ragione della propria capacità contributiva, senza nasconderla o mascherarla, mettendola al servizio dell'equilibrio e della crescita del paese.
È noto lo stato di estrema costrizione dei nostri conti pubblici, in un vicolo assai stretto tra i parametri di Maastricht e gli investimenti per lo sviluppo. Non voglio certo ripetere la stanca e monotona affermazione che la responsabilità è dei predecessori; l'abbiamo già troppe volte sentita fino all'ultimo giorno della precedente legislatura, quando davvero non era più legittimo invocare il passato per giustificare un gramo presente. Ma davvero bisogna dire che il meccanismo avviato da Giuliano Amato nel 1992, per utilizzare un avanzo positivo tra spese di funzionamento della macchina pubblica ed entrate totali dei bilanci delle pubbliche amministrazioni, ai fini di iniziare a pagare il servizio del debito pubblico e senza ulteriore indebitamento, cessando così di indebitare il paese solo per pagare gli interessi del debito precedente, si è consumato come una candela negli ultimi cinque anni, lasciando alla fine una debolissima fiammella di avanzo primario del 2005, di pochi decimi di punto del PIL. Andando avanti così, si sarebbe tornati quest'anno all'epoca, non lontana, nella quale si creava debito nuovo per pagare debito vecchio. Oggi, gli interventi di cui dirò limitano questo rischio, ma la vera svoltaPag. 8ci attende nei prossimi mesi, per riportare la barra dello sviluppo verso un recupero finanziario accettabile e capace di indurre quello sviluppo che l'Italia sta perdendo rispetto all'Europa.
Colleghi, oggi è in discussione il disegno di legge già approvato dal Senato, di conversione, con modifiche, del decreto-legge n. 223 del 2006, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale. Il decreto-legge che si componeva nel testo originario di 41 articoli, ha subito numerose modifiche nel corso dell'esame il Senato, a seguito dell'approvazione dell'emendamento 1.1000 del Governo, sul quale è stata posta la questione fiducia, che ha portato le dimensioni del testo a 52 articoli.
Questo provvedimento si inserisce come ponte tra il DPEF che abbiamo esaminato e votato e la legge finanziaria per il 2007, che arriverà all'esame alla ripresa dei lavori. Non è una discussione generica ed astratta quella che compiremo nelle prossime ore, «a prescindere» dalle reali condizioni del paese, perché questo provvedimento realizza un intervento economico e perché si porta dentro una situazione che conosciamo e che è una situazione data e compromessa.
Certo, la manovra - che è appunto «ponte» - è perfezionabile; essa è un inizio di liberalizzazione, di lotta all'elusione e all'evasione, di contenimento dei consumi intermedi, ed è per questo che, dopo un'ampia discussione nelle Commissioni riunite V e VI - ed approfitto per ringraziare tutti i colleghi, che sono intervenuti in maniera intelligente, i funzionari e il personale tutto -, credo ci debba essere disponibilità ad approvare quanto può servire a dare a questa manovra correttiva, di portata limitata, maggiore certezza per effetti benefici e permanenti.
Il ministro Bersani ha affermato, in sede di audizione: «Siamo alla soglia della riforma strutturale, non dentro; ci sarà lo spazio per l'inquadramento delle norme nei settori e, superata questa fase, ci sarà estrema attenzione ad inquadrare le novità nell'organizzazione». Come per il ministro Bersani, così per il viceministro Visco, riassumo l'intervento distinguendo la ratio del provvedimento in una prima parte, di natura tributaria, per la manovra correttiva necessaria e in una seconda, contenente misure di contrasto all'evasione fiscale.
Quindi, affrontiamo con questo decreto le politiche della concorrenza - dalla parte del cittadino consumatore, risparmiatore e utente - e quelle per un fisco più equo, per la redistribuzione, per la lotta all'evasione e per la riduzione del costo del lavoro.
Questa è la lettura della parte in particolare contro l'evasione dell'IVA nella filiera degli appalti dove, lungo la catena, sparisce il gettito IVA, creando corresponsabilità fra il committente e l'appaltatore; contro il lavoro nero, per la tracciabilità del compenso dei professionisti e verso le monete virtuali; per la trasmissione telematica; per la sostituzione dei registri di cassa; per un ruolo chiaro nella intermediazione (con deduzione parziale di quanto pagato a chi svolge le pratiche per le assicurazioni che spesso lo fa in nero); per la trasmissione dati dei conti correnti all'anagrafe tributaria (si tratta di anti evasione quando ci sono 30 mila società fantasma che fatturano 7 mila euro ed hanno un'IRAP negativa!).
A fronte della crescente complessità dell'attività economica, è ormai necessaria una chiara gestione delle regole giuridico-fiscali e, soprattutto, una politica per contrastare l'evasione che ha così pesanti effetti - creando disuguaglianze - tra le attività economiche, oltre che tra i cittadini.
Le disposizioni del decreto non comportano oneri per la finanza pubblica, bensì da esse si attendono benefici effetti per la competitività del sistema produttivo e, quindi, per lo sviluppo economico, con possibili riflessi positivi per la finanza pubblica. Esso va nella direzione di dare una forte scossa all'economia italiana. Anche con le modifiche che ci apprestiamo a varare in sede definitiva, il decreto conservaPag. 9quegli effetti benefici strutturali sul piano produttivo di cui il nostro paese ha bisogno. Appare evidente che le misure adottate costituiscono solo l'inizio di un più ampio disegno di riforma, tenuto conto che il provvedimento è limitato solo ad alcuni settori all'interno dei quali si è cercato di migliorare il livello di competitività.
Il decreto riguarda ben 12 ambiti differenti: libere professioni, banche, assicurazioni, farmacie, class action, notai, taxi, trasporto locale, commercio, servizi pubblici locali, rafforzamento di poteri antitrust. Esso si muove nell'ambito del pieno esercizio della delega esclusiva che la Costituzione riserva allo Stato in materia di tutela e promozione della concorrenza. Col decreto si riscrivono le regole della competizione e ci si muove nella direzione della crescita di un mercato regolato, strumento efficiente per ottenere maggiore equità.
Auspico che, in futuro, l'intervento in materia di liberalizzazione, nella prospettiva di una maggiore tutela dei consumatori, sia esteso anche ad altri settori che sono più strategici per lo sviluppo dell'economia e, quindi, per la capacità competitiva del sistema paese e sia orientato a rimuovere rendite non produttive. Si deve continuare: ci sono professioni da riformare, oltre 800 municipalizzate ancora protette, il nodo dell'energia.
La direzione è giusta e gli italiani hanno dato a questa maggioranza il mandato perché questo percorso sia quello contenuto nelle 281 pagine del programma «Per il bene dell'Italia».
Sotto il profilo della concorrenza, in sede di pratica attuazione, le nuove disposizioni dovranno presentare carattere di definitività, conferendo certezza alle categorie direttamente interessate e divenendo esaustive dell'intervento di questo Governo per i settori già disciplinati dal decreto-legge. Il decreto-legge si pone obiettivi condivisibili che si inseriscono nell'attuazione delle linee per l'occupazione definite dal Piano di Lisbona, ossia ridurre i prezzi, rendere le offerte di maggiore economicità il più possibile pubbliche, introdurre incentivi di comportamento o forme di controllo, per evitare che il ribasso dei prezzi si traduca in un peggioramento del servizio offerto al cittadino.
Liberalizzare ha un senso se si contrasta la rendita e si aumenta l'efficienza del sistema economico. Con il provvedimento in questione si interviene in quei settori nei quali si annidano rendite improprie e inefficienze. Questo sforzo si accompagna al rafforzamento dei poteri dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Con questo provvedimento, si contrastano le rendite monopolistiche e corporative, si migliora la qualità ed il prezzo per i consumatori, si garantiscono fondamentali clausole sociali per gli operatori, si promuovono investimenti per la crescita dell'occupazione.
L'ostacolo più grande che il decreto cerca di superare è quello della riduzione delle asimmetrie informative che dominano il mercato produttore-consumatore. La conseguenza è che il consumatore, non disponendo di informazione a sufficienza o di capacità nel leggere l'informazione, non riesce a capire se lo sconto è reale oppure no, perché poco si comprende di ciò che si acquista. Il decreto si pone l'obiettivo di ridurre le asimmetrie informative. Ne costituisce un esempio la vendita di medicinali da banco per i quali è prevista la figura del farmacista, il cui ruolo è quello di spiegare gli effetti di diversi farmaci, orientando così il cliente.
Il diverso approccio rispetto al Governo precedente è già contenuto nel decreto per quanto riguarda le misure di contenimento del deficit, che si persegue attraverso l'adozione di interventi strutturali rispetto alla logica del passato di «fare cassa» con entrate una tantum, come i condoni. In sostanza, l'obiettivo della manovra fiscale è quello di avviare un valido percorso di contrasto all'evasione e all'elusione, anche mediante un maggiore utilizzo dei controlli in via telematica, con una politica di maggiore rigore ed equità nel prelievo. Una lotta efficace all'evasione si compone di due momenti: un momento repressivo e uno caratterizzato da interventiPag. 10miranti a disinnescare il circolo vizioso della sfiducia reciproca tra cittadini e Stato. Il decreto li contiene, in parte, tutti e due.
Infine, il decreto ci consente di sintonizzarci positivamente con l'Unione europea perché cancella quattro procedure di infrazione che riguardano i tariffari sugli ordini professionali, la titolarità delle farmacie ed il controllo sui prezzi dei medicinali (articoli 2 e 5).
Il dibattito al Senato, come quello alla Camera, è stato ampio e garantito e non sono stati messi in discussione né il principio del provvedimento né l'obiettivo, che è rimasto quello di garantire in diversi settori una offerta adeguata e prezzi giusti.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, per quanto attiene all'elencazione e alla spiegazione dei singoli articoli e dei commi, rinvio alla parte seconda ed integrante del mio intervento. D'altra parte, così numerosi sono gli articoli e i commi, che credo farei torto alla intelligibilità del testo se ne dessi una lettura affrettata, visto il poco tempo che resta a disposizione.
Chiedo dunque che la Presidenza autorizzi la pubblicazione del testo integrale del mio intervento in calce al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. Onorevole Fincato, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritta a parlare l'onorevole Armosino. Ne ha facoltà.
MARIA TERESA ARMOSINO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, per esaminare il provvedimento al nostro esame si rendono necessarie una serie di considerazioni.
Innanzitutto, il fatto che questo decreto, impropriamente definito Bersani-Visco, sia da leggersi come un provvedimento Visco-Bersani, che trova il suo presupposto - ovviamente, si tratta di una lettura di parte - nell'esigenza di fornire risposta ad un preteso e conclamato «buco» nei conti pubblici che avrebbe lasciato il Governo Berlusconi.
È necessario ripartire da tale elemento, perché altrimenti non potremmo giustificare in linea teorica (vedremo, poi, che ciò non è possibile neanche in linea pratica) lo strumento scelto per questa manovra, ossia il decreto-legge, che per sua natura presuppone l'indifferibilità e l'urgenza, che in questo caso non può essere che quella di fare cassa. Di ciò non ci stupiamo. Anche noi, quando eravamo al Governo, abbiamo creato manovre in cui le leggi finanziarie erano appoggiate da decreti-legge, perché avevamo bisogno di entrate che arrivassero immediatamente nelle casse dello Stato. Ciò al fine di non fare quella che definivamo «macelleria sociale», sottraendo risorse alla sanità o all'assistenza in un'epoca in cui l'economia non era estremamente brillante.
Partendo dal preteso «buco», è stata la stessa analisi svolta dal Governo attraverso la commissione Faini - all'uopo istituita - a dimostrare che non c'era l'esigenza di quella manovra correttiva che - se non sbaglio - veniva indicata in misura non inferiore a 15 miliardi di euro. La commissione Faini affermò che, pur non tenendo conto di un ormai certo incremento del PIL all'1,5 per cento (rispetto all'1,3 per cento stimato), forse, anziché una quota del 3,8 per cento, quest'anno si sarebbe raggiunto un incremento del 4 per cento. Intendiamo ricordare quell'incremento dello 0,2 per cento, che è ormai storia documentata, per arrivare a conclusioni successive sia sulla scelta dello strumento sia sulla portata del provvedimento in discussione.
Non c'era l'esigenza di realizzare una manovra correttiva di grande rilievo. Tuttavia, il Governo ha ritenuto di attuare una manovra di grandi entrate. Per questo motivo - non a torto -, il decreto-legge in discussione viene da taluni definito il provvedimento di Visco.
Ma la fretta è stata una cattiva consigliera, perché il grosso di questa manovra era fondato su un cambiamento del regime fiscale (dall'IVA all'imposta di registro) perPag. 11gli immobili. Relativamente a ciò, abbiamo assistito a un rimpallo di responsabilità e siamo venuti a sapere da organismi del Governo - questi sì ufficiali -, ossia dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalla Ragioneria generale dello Stato, che l'effetto indotto da quel provvedimento sarebbe stato non di 168 milioni di euro, ma di 30 miliardi di euro. Il Governo ha dovuto repentinamente fare retromarcia, ma ha dovuto farlo insorgendo lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze. Infatti, se quel provvedimento avesse visto la luce - peccato che per qualche giorno l'abbia vista e ci spiegherete voi quali saranno le misure tampone per questo disastro! - sarebbero saltate tutte le operazioni in corso dello Stato italiano. Sto parlando, ad esempio, di tutte le attività di cartolarizzazione e di tutti i fondi patrimoniali in corso, per i quali si stanno facendo dismissioni o sono stati emessi titoli che devono essere rimborsati.
Si dice che questo errore sarebbe da attribuire agli uffici. Io credo che sia una situazione simile a quella in cui il titolare di uno studio dice a un cliente, di cui è stato dichiarato inammissibile un appello, che la responsabilità è del suo collaboratore: nella fattispecie il cliente gli girerebbe letteralmente la scrivania sulla faccia! Allora, l'addebitabilità politica non può che essere del Governo e dei ministri che hanno fatto ciò.
Mi sia concessa un'altra osservazione: ho letto sui giornali di venerdì o sabato che sono stati confermati sia il direttore del Ministero dell'economia e delle finanze sia il Ragioniere generale dello Stato. Chiaritevi, allora, nel corso di questa attività schizofrenica, decidendo almeno di dare conseguenza a ciò che pretendete di affermare.
Passando allo strumento utilizzato, ho già avuto modo di dire, ma lo ribadisco anche in questa sede, e probabilmente la mia è una tesi minoritaria, che non ho paura delle fiducie, né mi sgomento di fronte ad esse. Quelli che siedono in quest'aula, a qualsiasi gruppo appartengano, sanno che la fiducia diventa spesso lo strumento per far approvare un provvedimento. A me fa paura, invece, lo strumento che avete scelto: il decreto-legge. In questo caso, non si tratta di porre la fiducia su un disegno di legge portato all'esame di Commissioni parlamentari - parliamoci chiaro, tutti sanno che in Assemblea non si cambia niente -, nel corso del cui esame si può ragionare, prima di giungere ad una eventuale richiesta di fiducia. Voi avete voluto affrontare il tema delle pretese liberalizzazioni con lo strumento del decreto-legge.
Dall'avvio di questa legislatura ho capito una cosa. A noi veniva addebitato di non concertare; probabilmente, noi dicevamo la stessa cosa in un modo diverso. Ai sindacati noi dicevamo: vi ascoltiamo e vi ascolteremo, ma alla fine decideremo noi. Voi lo esprimete con un concetto molto più aulico; cito ciò che è stato detto da autorevoli esponenti della maggioranza: la decisione è l'obiettivo e la concertazione il metodo per raggiungerlo. Noi lo dicevamo e praticavamo in un modo diverso. Accusati di non ascoltare le forze sociali, le ascoltavamo e poi decidevamo. Voi avete prima deciso e, solo dopo, avete ascoltato le forze sociali. Non può essere un caso che ciò sia accaduto con quelle parti sociali che non hanno rappresentanze sindacali costituite nella sacrosanta triplice, sulla quale siete schiacciati. Non è un caso che il vostro Governo sia arretrato di fronte alla protesta dei tassisti e abbia fatto orecchie da mercante nei confronti dei farmacisti e dei professionisti. Mi sorge il dubbio che a voi faccia profondamente paura l'alta professionalità e la qualificazione e che ancora una volta si tratti di un gioco al ribasso.
Vedete, lo dico a modello 740 esibibile, io sono entrata in Parlamento dieci anni fa, all'età di quaranta anni, e la mia dichiarazione dei redditi dei trentanove anni era di gran lunga superiore al mio modello unico di oggi, cinquantenne non più professionista. Non ho quindi paura della lotta all'evasione, anzi credo che essa debba essere fatta, ma io, come cittadina che ha sempre pagato le tasse e che guadagnava di più svolgendo una professione rispetto a quando ha fatto il deputatoPag. 12ed il sottosegretario, mi sento profondamente indignata nel non poter pagare con la moneta. Non mi piace vivere in un paese dove, nel momento in cui l'Europa cambia i limiti di tracciabilità, portandoli da 12.500 a 15.000 euro, viene stabilito che occorre indicare tutte le transazioni che vengono realizzate a partire da 1.500 euro. Non mi piace vivere in un paese dove non posso utilizzare la carta moneta. Mi sorge il dubbio che anche questa sia una misura per far tacere quelle stesse banche a cui fornirete la possibilità di conseguire un grande incremento degli utili grazie all'aumento del numero delle operazioni che occorrerà fare.
Ciò a meno che l'ABI - ma quando ho rivolto la domanda al suo presidente non mi ha dato questa risposta - non ci dica che per contribuire alla moralizzazione del paese farà gratuitamente tutte le operazioni a mezzo assegni, carte di credito o titoli equivalenti.
Vorrei rivolgere ancora una domanda al ministro di Bersani. Leggo la sua dichiarazione in sede di replica al Senato relativamente alle farmacie: il clou dell'operazione consiste nel fatto che un farmacista può aprire un negozio di farmaci da banco con l'aggiunta di tutte le merceologie che vuole in quattro e quattr'otto, grazie alla riforma di otto anni fa che ha semplificato le procedure per l'apertura di un piccolo esercizio commerciale dove ha chiuso un negozio di merceria. Così un giovane che si laurea in farmacia può fare un nuovo mestiere. Scusatemi, ma per far vendere acciughe a mio figlio devo mantenerlo fino a 27 anni e pagargli anche le tasse di iscrizione scolastica? Ma voi sapete qual è il limite di redditività di uno spazio in cui si vendano i prodotti che volete mettere in vendita? Io lo so, avendo un marito che lo fa di mestiere: sono 40 metri quadrati dedicati. Altrimenti, non c'è redditività neanche per una sola persona.
Vi siete indignati a sentir dire al Senato, da colleghi che vengono dalle regioni rosse, che forse il fiato delle cooperative lo sentono sulla loro pelle e sulla loro possibilità di lavorare anche nelle professioni, che è evidente che questo mira a favorire un'altra categoria di interesse: le cooperative, i grandi centri commerciali. Se voi aveste voluto liberalizzare l'aspirina, se questa fosse liberamente vendibile, come io ritengo, ce la dovreste far trovare al bar, in un distributore a fianco dei profilattici: questa è liberalizzazione! L'altra è vessazione, è dire, ad onta e vergogna di un neolaureato in farmacia, che adesso potrà vendersi farmaci che non hanno obbligo di prescrizione medica insieme alle acciughe. Grazie, manderemo i nostri figli da voi, voi metterete i capitali per aprire loro le attività, voi darete loro i denari per il deposito!
Vogliamo parlare degli avvocati? Qualcuno di voi sa quant'è il costo aziendale di uno studio all'ora? Mi riferisco ad uno studio di cento metri quadrati con una segretaria ed un collaboratore, le utenze, tutti gli strumenti informatici e tutti i collegamenti necessari. Ne avete idea o no? Io suppongo di no, altrimenti non vi verrebbe in mente di pensare che con questo provvedimento possano trovare sbocco i nuovi avvocati o i nuovi commercialisti.
Una cosa è vera: non riuscite più a dare risposte nel pubblico ed in altre attività a questa enorme quantità di laureati. Allora, cosa li mandiamo fare? Li mandiamo a fare i professionisti che in cinque, in 60 metri quadrati, gestiscono, come possono, un'attività. E quello che accadrà della loro attività? Beh, questo è un problema del dopo.
Vedete, quando ho iniziato a fare l'avvocato mi hanno insegnato due cose: non tenere mai denaro di clienti e non essere mai socio dei clienti. Sono principi fondamentalmente stravolti da quella che voi chiamate liberalizzazione. Ho avuto un onore nel fare la professione, quello di essere il tutore di diritti anche contro lo Stato e non di vedermi irrigidimentata da una decisione dello Stato che vuol spiegare ai professionisti che cos'è la concorrenza. Qualcuno di voi è arrivato a fine mese a pagare dipendenti e collaboratori in uno studio? Qualcuno di voi sa quante decinePag. 13di migliaia di nuovi iscritti si registrano ogni anno all'albo? Questa che cos'è secondo voi, se non concorrenza?
Ho ancora qualche considerazione da fare, in parte già affrontata, che mi inquieta. In occasione della richiesta di arresto di un nostro collega in quest'aula, in dieci anni ho vissuto uno dei momenti più alti, quando ci siamo posti tutti di fronte ad una situazione che può toccare ciascuno di noi, quella derivante da intercettazioni «allegre»: allora, non si può non pensare al significato della tracciabilità fiscale. Mi rivolgo agli avvocati e ai magistrati di quest'aula, ma anche ai commercialisti: quanti clienti avete avuto sotto processo o sotto indagine perché risultava documentata un'operazione e, di conseguenza, si verificava se quell'operazione era iscrivibile ad un fatto illecito? Questo è lo stravolgimento del diritto. Noi non possiamo consentire ciò e non possiamo sentirci pregiudicati nella vita di onesti cittadini.
Ho sentito ancora dire, posto che questo decreto avrà effetti fiscali dal 2007, che ci fosse l'esigenza di intervenire sui tassisti quando ogni comune poteva ampliare le licenze o liberalizzare le professioni in questo modo. Ebbene, in questo modo stiamo veramente stravolgendo tutto e, se l'avessimo fatto noi, saremmo finiti in galera in ordine alfabetico a partire dalla A! Questo decreto servirà dal 2007 e allora ci dovete spiegare perché il decreto, perché il Presidente della Repubblica ha autorizzato questo strumento e perché lo avete scelto, non avendo quei benefici che, invece, potreste conseguire.
Fin qui è il dato della critica, ora passiamo al dato della proposta.
Non appartengo, per stile e per modalità di vita, a chi non cerca di trovare una soluzione. Credo che in quest'aula, nei banchi dell'opposizione, ci siano molte persone disposte a trovare soluzioni anche restando all'opposizione. Vedete, c'è una differenza: noi non troviamo «sexy» questo continuo tentativo che non arriva a conclusione, ma lo troviamo mortificante e frustrante per il paese. Noi crediamo che questo paese abbia bisogno di profondi cambiamenti, che interessino e tocchino interessi corporativi, e siamo disposti a collaborare. Adattate però anche a quelle parti che non stanno sotto l'egida della «triplice» almeno il metodo che avevamo noi: ascoltavamo e, poi, parlavamo. Da voi abbiamo imparato che prima si decide, poi si ascolta e, successivamente, poiché non riuscite a reggere la vostra maggioranza, dite che prima andate a vedere cosa accadrà e, dopo, deciderete.
Ma questa volta ciò non è stato fatto solo in relazione alla scelta di intraprendere un'opera da una parte o dall'altra, ma con riferimento al tessuto sociale di questo paese e dicendo ai farmacisti, laureati da cinque anni: ragazzo, laureati che poi puoi vendere le acciughe (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo ai sensi degli articoli 8 e 11 del regolamento della Camera (in particolare, secondo l'articolo 8, il Presidente sovrintende alle funzioni dei membri dell'ufficio di Presidenza, mentre l'articolo 11 riguarda le funzioni dei segretari di Presidenza), per rilevare che in aula non sono presenti i segretari di Presidenza, che dovrebbero essere seduti al suo fianco.
Potremmo, pertanto, cogliere l'occasione per sospendere la seduta, aspettare che i segretari di Presidenza giungano in aula e, quindi, riprendere i nostri lavori dopo pranzo.
PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, i segretari di Presidenza si trovano nei pressi dell'aula, ma li farò chiamare immediatamente, anche se hanno già sovrinteso alle loro competenze specifiche. È presente, comunque, l'onorevole D'Elia.
SIMONE BALDELLI. Dovrebbero essere due, Presidente!
Pag. 14ELIO VITO. Sospendiamo!
PRESIDENTE. Provvederò a farli chiamare immediatamente!
È iscritto a parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.
GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei svolgere due premesse al provvedimento.
In primo luogo, saremo un paese civile quando vareremo leggi fiscali, come quella in esame oggi, senza bisogno di scrivere l'odiosa frase «in deroga allo statuto del contribuente».
Lo statuto del contribuente regola e tutela i diritti dei contribuenti. I contribuenti sono i cittadini di questo paese. Ogni volta che deroghiamo con una legge fiscale allo statuto del contribuente, stiamo derogando ai giusti diritti dei cittadini italiani! Non è una cosa di poco conto! Le associazioni dei consumatori si sono affrettate ad esprimere un giudizio positivo su tale provvedimento, ma basterebbe questo per fargli cambiare idea.
Lo dico anche a futura memoria, sperando che il Governo faccia tesoro di questa raccomandazione e che i provvedimenti fiscali rispettino da oggi in poi lo statuto del contribuente, altrimenti lo dovremmo abrogare, perché disporre del medesimo senza poterlo applicare è quanto di peggio possiamo fare.
La seconda premessa è la seguente: è passata in secondo piano una parte importante di questo provvedimento e mi riferisco alla famiglia, alle pari opportunità ed ai giovani.
Contesto l'esiguità della cifra stanziata nei confronti di questi settori (tre milioni per ciascuno) e la genericità dello stanziamento dei fondi (non si capisce quali siano gli interventi che si intende porre in essere a favore di famiglie, donne e giovani). Contesto anche un'altra misura che ho riscontrato nel DPEF: negli atti di questo Governo è sparita completamente la parola «sussidiarietà». Vi cito alcuni esempi: nel DPEF degli scorsi anni la parola «sussidiarietà» compariva tre, quattro volte, ogni qual volta si parlava di servizi rivolti alla famiglia.
Nel decreto-legge attuale la sussidiarietà orizzontale sparisce dal gergo di questo Governo. Sarei curioso di sapere se si tratta di una dimenticanza e, allora, sarebbe una cosa estremamente grave o se si tratta di una scelta politica, e sulle scelte politiche è giusto che quest'aula discuta.
Sono fra coloro che pensa che la sussidiarietà orizzontale stia alla base dell'erogazione dei servizi per la famiglia, sia a livello centrale sia a livello locale.
Entrando nel dettaglio del provvedimento al nostro esame, sono d'accordo con chi sostiene che la parte predominante di questo decreto-legge sia la seconda, ossia quella che riguarda il viceministro Visco, sulle liberalizzazioni. Per quanto riguarda le liberalizzazioni, entreranno nel merito in modo più particolareggiato i miei colleghi, ma voglio svolgere solo una considerazione al riguardo: dico che se si voleva veramente attuare una politica di liberalizzazioni nel paese, non si doveva partire dai taxi, dai panificatori e dalle farmacie. Ho una famiglia numerosa e penso di avere un reddito più elevato della media del paese. Pensate che io mandi i bambini, la mattina, a scuola con il taxi? Pensate che io possa, nonostante un reddito elevato, con quattro figli, spendere molto in farmaci da banco? No, non ho queste possibilità.
Questa manovra inciderà sulla famiglia in misura molto, molto limitata. Se veramente si fosse voluto fare una liberalizzazione per incidere sui conti e sui bilanci delle famiglie, si sarebbe dovuto iniziare da altri settori, che voi conoscete meglio di noi: il settore dell'energia, il settore del gas ed il settore dei rifiuti. Sono queste le spese che incidono, oggi, sul bilancio di una famiglia. Per fare quelle liberalizzazioni ci vuole più coraggio che per fare le false liberalizzazioni inserite in questo provvedimento. Ci vuole coraggio, perché bisogna veramente toccare settori sindacalmente protetti. Per fare una politica di liberalizzazione dei servizi delle multiutilities bisogna incominciare a vendere le municipalizzate a livello locale, bisogna che i comuni dismettano le proprie partecipazioni nelle multiutilities a livello locale.Pag. 15È vero, privatizzare non vuol dire liberalizzare, ma non esiste alcuna liberalizzazione di questi settori che non passi attraverso una privatizzazione. Ed allora, bisogna che si cominci ad andare all'interno di questo ganglo, di questo settore specifico se veramente si vuole parlare di liberalizzazione. Altrimenti, si utilizza una foglia di fico per depistare l'attenzione dell'opinione pubblica su queste false liberalizzazioni.
Capisco molto ed apprezzo ciò che ha detto la collega Armosino, prima di me. Sono un libero professionista, faccio il commercialista e debbo dire che non ho notato nel mio settore, dopo venti anni di professione, quel corporativismo e quell'assenza di concorrenza che oggi si vorrebbe far credere, con questo provvedimento. Ci sono migliaia di giovani che si iscrivono all'ordine ogni anno ed ai vari ordini professionali ed è giusto che abbiano opportunità di sviluppare la propria professione.
Attenzione: parte dei servizi resi dalle professioni sono socialmente importanti. Nei mesi scorsi abbiamo affrontato il problema di «Bancopoli», della Parmalat, ed abbiamo dato un giudizio negativo sulle grandi società di revisione, che non svolgevano il proprio mestiere. Sapete qual è la causa principale per cui tali società non svolgevano il proprio mestiere? Per la grande concorrenza che si era scatenata all'interno di quei settori, dove non esistevano tariffe minime, e la grande concorrenza, in tali settori, ha portato alla dequalificazione dei servizi. Dobbiamo sapere che quando togliamo le tariffe minime togliamo professionalità a settori importanti nel controllo dei conti delle grandi società ed anche nel controllo dei conti delle piccole società. Ciò si riverserà in maniera negativa su tutto il settore.
Per quanto riguarda la seconda parte del provvedimento, ho avuto una discussione, l'altro giorno in Commissione, con il sottosegretario Grandi, che sosteneva che in questo decreto-legge non vi sarebbero aumenti di tassazione. Non è vero. Questo provvedimento, nella seconda parte, aumenta la tassazione ed aumenta la burocrazia per le imprese. Aumentare la tassazione e la burocrazia per le imprese vuol dire aumentare i prezzi per il consumatore finale, perché questa è l'economia: nel momento in cui un'azienda è costretta a pagare più imposte ed a spendere più in burocrazia riversa tali maggiori costi sul prodotto finale. Allora, l'aumento di costo sul prodotto finale neutralizzerà - anzi, peggiorerà lo stato attuale - i pochi benefici che otterremo per effetto delle liberalizzazioni.
Abbiamo due modi, sottosegretario Grandi, per aumentare le imposte. Il primo, ed il più eclatante, è aumentare le aliquote. Ma ve n'è un altro che, poi, non è nemmeno così nascosto: diminuire la detrazione per alcuni cespiti nei bilanci delle imprese.
Con questo decreto-legge, si diminuisce la detraibilità di terreni, auto e marchi. Tutto questo vuol dire un aumento di tassazione per le imprese. Infatti, nel momento in cui per una impresa il costo del terreno non è più detraibile, di fatto, si sono aumentate le imposte per quella stessa impresa; se non si permette più ad una impresa di effettuare un ammortamento anticipato sulle auto - che, oltretutto, corrisponde alla durata utile del bene - si aumentano le imposte per la medesima impresa; infine, nel momento in cui si permette di dedurre i marchi in 18 anni, invece che in 10, si aumenta l'imposta. Quindi, siamo in presenza di un forte aumento della tassazione per le imprese. Altrimenti, visto che i conti, nella vita ma anche nei bilanci, devono sempre tornare, non si capirebbe come questo decreto possa aumentare il gettito per lo Stato. Il gettito aumenta in quanto sono maggiormente tassate le imprese.
Per quanto riguarda la trasformazione dell'IVA nel campo immobiliare - altro aumento di imposte abbastanza rilevante - svolgerò una sola osservazione: mi ha stupito, in negativo, il dilettantismo di questo Governo. Non è possibile scrivere - come è stato scritto nella prima stesura - che il decreto-legge, così com'era stato emanato, avrebbe portato alle casse dello Stato un miliardo e 400 milioni quandoPag. 16due giorni dopo si è capito che, nella realtà, avrebbe portato 30 miliardi. Si tratta di una stima pari a 25 volte quella iniziale. Capisco che una stima possa essere sbagliata del 10 o 20 per cento ma non capisco un errore di queste dimensioni. Quell'errore ha creato un pasticcio sul mercato ed ha fatto perdere, in borsa, alle imprese che operano in quel settore, in due giorni, un miliardo e 500 milioni, una cifra enorme per il mercato mobiliare. Voglio dire al sottosegretario Sartor che non è vero che in quella cifra non siano compresi anche i risparmi dei contribuenti. Ormai, infatti, i «cassettisti», cioè i risparmiatori che acquistano un titolo per tenerlo, non ci sono quasi più sul mercato. Non è il termine ad esser diventato desueto - per far riferimento al dibattito che si è svolto in sede di Commissione - ma lo strumento. Oggi, anche il piccolo risparmiatore ricorre al risparmio gestito, amministrato da professionisti, perché questo gli permette anche alcuni vantaggi fiscali. I professionisti che gestiscono i risparmi, anche quelli del piccolo risparmiatore, hanno investito in quei titoli e, quindi, le famiglie hanno perso denaro a causa dell'errore di questo Governo.
Penso che, in questa sede, debba esserci una assunzione di responsabilità da parte dell'esecutivo per quanto è accaduto in questo settore, perché non riguarda soltanto il mondo produttivo o pochi operatori immobiliaristi o società immobiliari. Riguarda, infatti, i consumatori e i risparmiatori che hanno investito in quelle società. Non è possibile che si sbagli un provvedimento in misura così eclatante.
Ci sono, nel decreto-legge in esame, anche norme che comportano un aumento di burocrazia. A mio avviso, c'era un elemento in comune nei programmi del centrodestra e del centrosinistra, vale a dire che, per la ripresa di questo paese, fossero indispensabili minore tassazione e minore burocrazia. Una minore tassazione, come abbiamo visto, non c'è. Quanto alla burocrazia, si è verificato il contrario, cioè un suo aumento. Nel momento in cui si obbliga un cittadino che va dal medico, e spende 200 euro, ad effettuare il pagamento tramite Bancomat, bonifico bancario o assegno non soltanto si aumentano i costi per il cittadino ma si accresce la burocrazia. Quando si obbliga anche il piccolo commerciante di provincia a trasmettere, per via telematica, tutti i corrispettivi della settimana, costringendolo, quindi, a dotarsi di un computer, di procedure informatiche adeguate, di un accesso Internet e di personale che sia in grado di fare tutto questo, si sta aumentando la burocrazia. Prevedendo la tracciabilità per importi superiori a millecinquecento euro si aumenta la burocrazia. Tutto ciò si traduce in costi ancora maggiori per le imprese. A mio modesto parere, inoltre, non avranno alcuna rilevanza nella lotta alla elusione e alla evasione fiscale, non daranno quei risultati che si crede, e si scrive, possano dare.
Il viceministro Visco ha avuto, alla metà degli anni Novanta, la grande intuizione - di cui gli do atto - di avere puntato sugli studi di settore. Tutti i paesi europei più avanzati, per combattere l'evasione, hanno puntato sugli studi di settore. Allora, se vogliamo davvero portare avanti una battaglia contro l'evasione fiscale dobbiamo continuare a credere negli studi di settore. Tutti quegli orpelli che stiamo mettendo intorno non faranno altro che aggravare la situazione, con la conseguenza che gli uffici difficilmente riusciranno a gestire tutta questa massa di dati e così non colpiremo la vera evasione. Pensate, per quanto riguarda l'elenco clienti e fornitori, che nel 1994 avevamo deciso tutti insieme di archiviarlo, perché eravamo certi della non positività di simili strumenti. Oggi invece li stiamo reintroducendo. Pertanto io dico che dobbiamo puntare sugli studi di settore, che rappresentano l'unico strumento che ha dimostrato di funzionare, anche negli altri paesi europei.
Un'ultima riflessione riguarda la fretta; peraltro domani proporremo l'esame, in apertura di seduta, di una questione pregiudiziale sulla mancanza dei presupposti di urgenza per questo decreto. Rimando quindi il relativo dibattito a domani mattina.Pag. 17Dico però che la fretta con la quale stiamo approvando questi provvedimenti, che sono importanti perché avranno una grossa incidenza sulla vita dei cittadini e delle imprese nei prossimi anni, è cattiva consigliera. Lo dimostrano i fatti: la presenza di due errori palesi nella norma. E noi non siamo in grado di porvi rimedio, in questa Assemblea, perché abbiamo la fretta di dover convertire in legge questo decreto.
Un errore è contenuto nell'articolo 13 e riguarda gli enti locali. Nessuno ha ancora spiegato perché le società costituite a maggioranza dagli enti locali non possano da domani operare più sul mercato. Questo è un controsenso. Se un comune costituisce una società per azioni bisogna che essa risponda pienamente alle regole del codice civile. Non può rispondere a regole limitate, perché, trattandosi di uno strumento di diritto privato, deve essere libera di agire, secondo regole valide per tutti. Ogni qual volta andiamo a limitarne la portata e l'attività, creiamo un vulnus nel sistema e così questo non funziona più. Ma non solo. Se veramente si crede che le società costituite dagli enti locali, che operano in servizi diversi da quelli pubblici locali, possano limitare la concorrenza, bisogna spiegarne la ragione. Infatti è vero che limitano la concorrenza, però la limitano a monte, nel momento in cui l'ente locale può dare in house, cioè affidare direttamente il servizio, a quella società; non dopo, a posteriori, quando questa società, opera sul mercato.
Pensate che quella norma si prefigge come obiettivo, da una parte la liberalizzazione, dall'altra il contenimento dei costi, quando invece i costi aumenteranno, perché quella società non potrà raggiungere quelle economie di scala che gli permettono di ridurre i costi.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 13,33)
GIAN LUCA GALLETTI. L'altro errore, che è ancora più palese di questo, è quello contenuto nel secondo comma dell'articolo 36. In quella disposizione normativa, si dice che le aree sono considerate edificabili, ai fini IVA, imposta di registro ed ICI, dal momento in cui il comune adotta il proprio strumento urbanistico, ancor prima che questo venga validato dalla regione. Ciò creerà una massa di contenziosi enormi, perché capita spessissimo che a seguito della delibera del Consiglio comunale non ci sia l'approvazione da parte della regione: ma intanto io ho già pagato le imposte come se quel terreno fosse edificabile e quindi devo avviare una procedura di rimborso ed aprire un contenzioso, verso il comune per riavere l'ICI e verso lo Stato per riavere l'IVA. Approveremo dunque un decreto che contiene questa norma, che è naturalmente sbagliata e che non potrà che creare ulteriore contenzioso.
Ritengo dunque che da parte del mio gruppo vi siano tutte le motivazioni per votare contro questo decreto. Mi aspetto anche che da parte del Governo vi siano delle risposte adeguate (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Trepiccione. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE TREPICCIONE. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento in discussione rappresenta il primo provvedimento di politica economica del Governo e della legislatura, l'avvio di un processo virtuoso di correzione dei conti pubblici e contestualmente di liberalizzazione e di concorrenza nei mercati. Anche se il suo impatto sull'indebitamento netto della pubblica amministrazione è tutto sommato contenuto (circa 7 miliardi di euro, ossia mezzo punto del prodotto interno lordo), è comunque un provvedimento importante e coraggioso. Intanto perché non si può non apprezzare il fatto che è una manovra strutturale, nel senso che tutte le misure in essa contenute hanno carattere strutturale e non vi è alcun ricorso ad interventi una tantum;Pag. 18poi perché ai tradizionali interventi di riduzione della spesa e di incremento delle entrate, tipici delle cosiddette «manovrine», come quelli importanti finalizzati al contrasto dell'evasione fiscale e al recupero della base imponibile, si affiancano misure innovative, da molto tempo auspicate, come quelle sulle liberalizzazioni nel settore dei servizi. Misure che contribuiranno a tutelare maggiormente i consumatori e ad abbassare i costi finali di molti di quei servizi interessati dal decreto, favorendo l'apertura dei mercati e l'auspicabile maggiore interesse dei giovani nel mondo del lavoro. Ovviamente, queste disposizioni sono soltanto un primo segnale, al quale dovrà seguire un processo più organico di riforma.
Si tratta di interventi che, sebbene abbiano prodotto contestazioni da parte di alcune delle categorie toccate dal provvedimento, contestazioni peraltro prevedibili visti gli interessi e i privilegi che si sono andati a toccare, erano comunque attesi dalla stragrande maggioranza dei cittadini e sono stati raccolti positivamente, in modo assolutamente trasversale, seppur con normali e legittimi distinguo, da gran parte del mondo del lavoro e produttivo, dagli utenti, dalle associazioni di difesa dei consumatori, dalla pubblica opinione, nonché recentemente dalla stessa Banca d'Italia: penso alle norme sulle farmacie e sui farmaci, più volte auspicate dalla stessa autorità garante della concorrenza; alle disposizioni relative alle condizioni contrattuali dei conti correnti bancari, (anche in questo caso l'antitrust aveva espresso motivate critiche al sistema vigente); a quelle concernenti l'assicurazione RC Auto, che viene ora adeguata ai principi comunitari; all'introduzione di elementi di liberalizzazione nella concessione delle licenze di taxi.
Come ben sappiamo, quest'ultima norma è stata in parte modificata durante l'esame del decreto al Senato, accogliendo alcune rivendicazioni della categoria, ma ritengo che abbia comunque mantenuto buona parte della sua efficacia. Il Governo è riuscito a mantenere la sua rotta. Uno degli scopi delle misure decise dal Governo era quello di definire un meccanismo certo, per aumentare il numero delle vetture di taxi in circolazione, e ciò è stato ottenuto, demandando ai comuni le valutazioni sui casi concreti. Il problema della mobilità, specialmente nelle grandi città, è infatti molto sentito dai cittadini e dall'opinione pubblica e questi interventi di liberalizzazione devono essere valutati come un primo passo, un inizio di soluzione. Nel prossimo futuro, si dovrà probabilmente intervenire ancora, migliorarli, renderli più efficaci, ma certamente non si potrà né si dovrà tornare indietro.
Inoltre, valutiamo positivamente le misure relative al settore agro-alimentare e, in particolare, le misure per il sistema informativo sui prezzi dei prodotti di questo comparto, un primo importante passo verso la tracciabilità dei prezzi. Ricordo che, specialmente in questi ultimi anni, è aumentata la forbice dei prezzi a danno degli agricoltori e dei consumatori finali, troppo spesso a vantaggio della grande distribuzione.
Gli interventi strutturali in materia di fiscalità e di contrasto all'evasione e all'elusione sono da noi condivisi. È in questo ambito che dovranno essere trovate parte di quelle risorse necessarie per le politiche di crescita, di equità, di intervento sociale.
Nel decreto trovano inoltre spazio importanti interventi di maggiore spesa. Penso alle maggiori risorse per il fondo per le politiche sociali e per i fondi per l'ANAS e le ferrovie. Ricordiamoci che non più di un mese fa il consiglio di amministrazione dell'ANAS aveva dato mandato al presidente Pozzi di avviare le procedure per la sospensione dei lavori in corso, perché non vi erano più soldi. Insomma il precedente Governo di centrodestra aveva varato un piano per le infrastrutture e messo in piedi tanti cantieri con risorse assolutamente insufficienti. Questo provvedimento mette in condizione ANAS e ferrovie di non dover chiudere i cantieri ed è una prima immediata risposta, seppur con risorse finanziarie non ingentissime, al rischio del blocco lavori più volte denunciato.Pag. 19
Come Verdi non possiamo che valutare con soddisfazione l'introduzione, durante l'esame del decreto-legge al Senato, della norma contenuta nell'articolo 22, che prevede l'esclusione degli enti parco dalla riduzione del 10 per cento degli stanziamenti per l'anno 2006 a carico degli enti pubblici non territoriali. Contemporaneamente, però, non possiamo che valutare con un certo allarme gli ulteriori tagli stabiliti con gli articoli 27 e 29 (che vanno a sommarsi con quelli pesanti già effettuati dal Governo Berlusconi) del 10 per cento per spese di studi, consulenze e convegni e del 30 per cento per le spese di organi collegiali e di altri organismi. Tutte queste riduzioni di risorse, sempre a proposito degli enti parco, si riflettono gravemente sulle potenzialità di funzionamento degli organi di direzione politica degli enti, perché incidono sul loro bilancio, già magrissimo e insufficiente.
Voglio ricordare che i finanziamenti destinati ai parchi nazionali hanno già subito drastiche riduzioni con le ultime leggi finanziarie, mentre sarebbe necessario un segnale di discontinuità con il passato, avviando un'efficace azione di rilancio dei parchi naturali. L'occasione - ci auguriamo e ci batteremo per questo - dovrà essere costituita dalla prossima legge finanziaria.
Comunque, sono le politiche di tagli orizzontali delle risorse a disposizione degli enti pubblici che non ci convincono pienamente e che non possono che destare qualche preoccupazione. Si tratta di tagli troppo spesso eccessivamente penalizzanti, tanto da mettere a rischio lo stesso funzionamento degli enti, anche se ci rendiamo conto che rientrano nelle misure complessive di risparmio.
Nel suo complesso, comunque, noi Verdi riteniamo questo decreto-legge un buon decreto, un primo passo dell'azione di questo Governo per far ripartire lo sviluppo e la crescita del nostro paese e che si inserisce pienamente nel quadro indicato dal DPEF appena approvato e nelle linee programmatiche del Governo e della coalizione che lo sostiene.
Le accuse lanciate dall'opposizione a questo decreto, che lo hanno disegnato come uno strumento di pressione fiscale, non stanno né in cielo né in terra e risultano realmente incomprensibili. Tentare di rimuovere le rendite di posizione o i sovracosti, che, quasi sempre, il consumatore o l'utente paga ingiustificatamente, è l'esatto contrario della pressione fiscale.
Per concludere, questo provvedimento rappresenta un primo chiaro segnale di discontinuità e di cambiamento di rotta circa le priorità e gli obiettivi su come rilanciare la nostra economia: crescita economica più equa, razionalizzazione della spesa, concorrenza e lotta all'evasione e all'elusione fiscale (Applausi dei deputati del gruppo dei Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gianfranco Conte. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO CONTE. Signor Presidente, credo che stamane ci si debba interrogare, anche alla luce degli interventi che sono stati svolti finora, se non sia mancata non solo la concertazione con le parti sociali e con le categorie interessate, ma soprattutto la concertazione con il Parlamento.
Noi ci troviamo oggi in una situazione piuttosto singolare e credo, a memoria - sono alla mia quarta legislatura -, non sia mai successo che un provvedimento arrivasse in aula senza alcuna discussione, con poche modifiche al Senato, e, soprattutto, senza nessun dibattito nell'ambito della Commissione di merito, la quale si è limitata a prendere atto delle proposte del Governo, senza effettuare un esame compiuto di tutta la normativa prevista dal decreto stesso.
Oggi stiamo ragionando di liberalizzazioni e di riduzione della spesa. Per la verità, ci sono alcuni segnali piuttosto deboli all'interno di questo decreto-legge in relazione alla riduzione della spesa, che, peraltro, proseguono il percorso già avviato dal precedente Governo. Ma non è certamente singolare se, proprio oggi, il presidente della Confindustria, Montezemolo, in una intervista al Wall Street Journal,Pag. 20sostiene: «In questi due mesi non ho visto un solo reale sforzo di riduzione della spesa e, allo stesso tempo, le tasse sulle imprese sono aumentate. Credo che, a causa delle divisioni interne di questo Governo, sarà molto difficile portare avanti le liberalizzazioni più importanti».
D'altra parte, è di questo che stiamo ragionando. Si è letto sui giornali che voi avete avviato processi di liberalizzazione; avete sostenuto, inoltre, di essere intervenuti in settori cruciali della nostra economia. Permettetemi di dissentire. Come hanno già affermato altri colleghi intervenuti prima di me, vorrei osservare che le politiche di liberalizzazione andavano realizzate in ben altri settori.
Perché avete compiuto proprio questo tipo di liberalizzazioni? Sapevate di essere in difficoltà sul Documento di programmazione economico-finanziaria e su tutto il vostro programma per l'attuale legislatura, ed allora avete gettato un po' di fumo negli occhi.
Mi sono chiesto il motivo per cui siano stati liberalizzati alcuni settori piuttosto che altri, ed allora mi sono tornate in mente alcune questioni che hanno agitato, nei mesi scorsi, i mercati finanziari. Mi sono domandato, ad esempio, il motivo per cui sia stata realizzata la liberalizzazione del settore dei panifici. Si trattava di una misura davvero necessaria e sentita? Mi è successivamente venuto in mente che esistono strane coincidenze. Sui mercati internazionali, infatti, si evidenzia da tempo la questione Barilla-Kamps. Perché si deve intervenire, attraverso processi di liberalizzazione, proprio sui panifici? Forse per fare un favore alla Barilla? Forse perché la Barilla non riesce, attraverso l'operazione condotta assieme alla Banca popolare italiana, a chiudere la cosiddetta vicenda Kamps? Per i non addetti ai lavori, ricordo che la Kamps produce pane. Essa opera nell'ambito di un sistema di franchising molto forte in Germania e la Kamps, stranamente, non è mai entrata in Italia. Dico «stranamente» perché era vigente una sorta di blocco all'apertura dei panifici. Oggi voi state facendo un favore alle grandi industrie, per fare entrare in Italia, in questo settore, produttori che, per l'appunto, hanno qualche difficoltà ad importare un sistema che, al contrario, in altri paesi funziona.
Questa è la vostra liberalizzazione: è questo il motivo per cui siete intervenuti in tale settore! Vorrei evidenziare che lo avete fatto anche per quanto riguarda i prodotti farmaceutici, dal momento che avevate subito pressioni da parte delle cooperative.
Mi domando allora, come peraltro ha già fatto la collega Armosino: per quale motivo non avete affrontato seriamente il problema delle liberalizzazioni? Perché continuate ad agire colpendo settori deboli, che non riescono a difendersi, e favorendo, invece, la grande industria, l'ABI e tutti i poteri forti del nostro paese? Non vi è liberalizzazione nella vostra attività: esiste, semplicemente, la voglia di intervenire qua e là, attraverso provvedimenti che vi fanno evidentemente andare sui giornali. In questo modo, dimostrate di essere forti con i deboli e deboli con i forti!
Non sono affatto convinto che proseguirete con le politiche di liberalizzazione; non ne sono convinti, tra l'altro, né il presidente della Confindustria, Montezemolo, né tantomeno i mercati. Ciò perché non riesco ad immaginarvi prendere posizione contro l'ABI e non vi ritengo assolutamente capaci di resistere alle pressioni che voi, continuamente, ricevete!
Avete intrapreso questa politica di liberalizzazioni, ma non intendo addentrarmi in argomenti che sono stati già ampiamente discussi dai colleghi che mi hanno preceduto; tuttavia, vorrei svolgere assieme a voi un ragionamento riferito soprattutto alla struttura del vostro intervento.
Numerose domande, infatti, rimangono ancora inevase. Avete varato, ad esempio, un progetto di riduzione della spesa della pubblica amministrazione. Ricordo che illustri esponenti della vostra coalizione hanno avanzato proposte che meritano di essere approfondite. Si può ridurre la spesa dei ministeri senza dequalificare il personale che vi opera?
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 13,50)
GIANFRANCO CONTE. Si può continuare a ragionare come il viceministro Visco, il quale pensa ad una struttura dell'amministrazione finanziaria in grado di funzionare e di sostenere una politica «occhiuta» ed attenta, soprattutto, ad incrementare gli obblighi gravanti sulle spalle dei contribuenti?
Voi avete avuto - tutto il paese ha avuto - negli anni passati un grande aiuto dalla categoria dei commercialisti, categoria che ha sostituito integralmente l'attività svolta dalle agenzie delle entrate dando un notevole contributo, altrimenti impossibile da ottenere. Dico ciò perché nel nostro paese quando si parla di elusione e di evasione fiscale si devono anche tenere presenti le strutture fiscali esistenti e la loro capacità di incidenza attraverso verifiche ed accertamenti, accertamenti che, curiosamente, continuano a diminuire, in termini di quantità e di volume.
Riusciranno le agenzie delle entrate ha sostenere l'urto di tutte le modifiche fiscali introdotte con questo decreto-legge? Io sono convinto di no! Per fare un esempio, voi avete previsto in questo provvedimento un introito, in capo alla società Riscossione Spa, di circa 100 milioni per il 2006 e di 300 milioni di euro per il 2007. Ma voi credete veramente che tale società, che terminerà di esperire entro il prossimo mese di ottobre le procedure di acquisto dai concessionari attuali, sarà in grado di svolgere un'azione di accertamento così determinata, tale da garantire in soli tre mesi 100 milioni di euro? Ve lo auguro, ma credo proprio di no, così come tale società non sarà in grado di garantire introiti per 300 milioni di euro per il prossimo anno.
In una parte del provvedimento in esame voi vi siete soffermati anche sul settore dei giochi. Un settore, quest'ultimo, lo ricordo, in grande sviluppo ma anelastico: gli interventi operati su una determinata categoria di giochi comportano, a loro volta, una riduzione delle entrate per un'altra categoria di giochi. Ciò, quindi, avrà delle conseguenze sulle previsioni fatte. Previsioni che scontano, e ciò sarà uno degli aspetti su cui dovremo discutere in Commissione finanze, le previsioni consistenti contenute nei numerosi provvedimenti varati nel corso di questi anni, che dubito si siano avverate. Nonostante ciò, ancora oggi nel settore dei giochi si prevedono entrate per diverse centinaia di milioni di euro. Ma siete veramente convinti di realizzarle? A questo proposito, ricordo che quando ministro era l'onorevole Visco e si iniziò a parlare in questa sede, sempre nell'ambito del settore dei giochi, di Bingo - i presupposti di allora sono gli stessi di oggi, d'altra parte se uno è abituato ad operare in un certo modo, non si smentirà negli anni - fu fatta una previsione di incassi straordinaria pari a mille 200 miliardi di lire (tale previsione faceva riferimento agli introiti che si sarebbero conseguiti durante il primo anno di istituzione del Bingo). All'epoca sostenni, in questa sede, che probabilmente più di 50 miliardi non si sarebbero potuti ottenere. Mi sono sbagliato: quell'anno si ottennero 54 miliardi di lire, ma comunque non certo i mille e 200 miliardi di cui si parlava.
Noi riteniamo che le questioni contenute in provvedimenti come quello in esame debbono essere affrontate in questa sede. Noi siamo il Parlamento! Noi siamo i rappresentanti del popolo! Conseguentemente, noi abbiamo il diritto di affrontare seriamente tutte le questioni che sono rappresentate all'interno di questo disegno di legge di conversione. In particolare, nel provvedimento, soprattutto per quanto concerne la parte fiscale, ci sono, a nostro parere, molti errori di valutazione e qualche sottostima.
Noi e voi, com'è noto, ci troviamo su due posizioni diverse. Voi avete una visione dello Stato e della società che vi conduce ad adottare una politica da «Grande fratello» e, quindi, a guardare nelle tasche dei contribuenti. Noi, invece, in questi anni abbiamo portato avanti una politica diversa. In particolare, noi abbiamo ritenuto che gli studi di settorePag. 22fossero fondamentali per avere un rapporto corretto con i cittadini. Conseguentemente, abbiamo ritenuto che le categorie professionali potessero dare una mano sostanziale per instaurare un rapporto più equo tra contribuente e fisco. Voi, invece partite da altri presupposti.
Vi faccio molti auguri - anche se sono convinto che il capitolo delle elusioni e delle evasioni non si affronti semplicemente, come è stato fatto, aggiungendo qualche comma qui e là, né modificando qualche articolo - perché gli effetti di queste vostre iniziative saranno molto difficili da conseguire. Voi continuate - ahimé! - a scontare un'amministrazione finanziaria incapace di leggere tutta la messe di dati che arriveranno continuamente. A tale proposito, faccio l'esempio dei registratori di cassa, ai quali volete adesso dare una sostanziale credibilità attraverso il trasferimento dei dati per via telematica. Una simile operazione non si fa a costo zero: non basta trasferire i dati, bisogna avere anche qualcuno che li legga, che abbia la capacità di verificarli, e questo mi pare difficile senza l'aiuto degli studi di settore.
Avete sostanzialmente cambiato l'approccio da noi seguito verso il contribuente; avete demolito la parte riguardante la pianificazione fiscale, che pure era un modo attraverso cui riallineare il gettito fiscale.
In quest'aula, ma anche al di fuori di essa, molti hanno sempre criticato la politica fiscale del Governo Berlusconi, dicendo che avrebbe portato nel contribuente la convinzione che un condono tira l'altro e che sarebbe aumentata l'evasione. E allora - e lo dico al sottosegretario Sartori -, come spiegate l'aumento del gettito tributario in questi mesi? Non è forse l'effetto indotto di una politica che porta i contribuenti ad aderire sempre più agli studi di settore, ad avvicinarsi al presunto reddito dei vari comparti? Credo che anche in questo, attraverso la vostra visione di un fisco che permea tutto, che passa attraverso le scritture contabili e l'anagrafe tributaria, vi stiate avviando ad una sconfitta nel campo dell'elusione e dell'evasione.
Basterà che la gente cominci a riprendere confidenza con il rapporto che deve instaurare con voi: avevate promesso di non intervenire sull'aumento della pressione fiscale. Da questi primi interventi, in realtà - lo dice anche Confindustria -, ci sembra che la pressione fiscale aumenti, cosa prevista, d'altra parte, anche nel DPEF. L'aumento della pressione fiscale però comporta anche effetti indotti, e cioè il possibile calo dei consumi - tant'è che lo scontate anche voi -, una diminuzione della crescita per l'anno prossimo, una diminuzione della crescita del PIL. E questo è solo l'antipasto di ciò che intendete fare e portare avanti, anche se io personalmente sono convinto - lo dico oggi in quest'aula - che il ministro dell'economia, Padoa Schioppa, se è la persona intellettualmente onesta che conosciamo, non arriverà nel Governo alla fine di quest'anno, trovandosi di fronte ad una congerie di partiti, ognuno dei quali teso a difendere le proprie personali convinzioni; d'altra parte, se siete riusciti a scrivere nel DPEF che farete la manovra finanziaria, aggiungendo quattro collegati, relativamente tra l'altro agli enti locali, alla spesa sanitaria, al pubblico impiego, credo che questo dimostri che non siete convinti di riuscire ad arrivare a Natale!
Vi auguro di rivedere la vostra personale convinzione e la vostra politica, perché abbiamo bisogno di uno Stato più leggero ed efficiente, nonché di vere liberalizzazioni: ma voi probabilmente non sarete capaci di portare avanti questo progetto e allora toccherà a noi tornare a governare (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.
MAINO MARCHI. Signor Presidente, colleghi deputati, con il decreto-legge n. 223 del 2006 il Governo ha avuto la capacità di trasformare tre livelli di emergenzaPag. 23in altrettante opportunità, in riferimento ai tre obiettivi definiti nel DPEF: crescita, risanamento ed equità.
Il decreto-legge in esame si pone come ponte tra DPEF e finanziaria e, poiché affronta alcune emergenze del paese, è pienamente motivato il ricorso a tale strumento.
La prima emergenza è sul versante dello sviluppo. La bassa crescita fino allo sviluppo zero del 2003 e del 2005, il rischio che il paese si fermi, causa carenza di fondi per tenere aperti i cantieri di FS e ANAS, congiuntamente alle raccomandazioni e ai pareri dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, oltre alle numerose infrazioni delle norme comunitarie in materia, richiedevano provvedimenti urgenti che sono stati accompagnati anche da provvedimenti di altro genere, come disegni di legge e disegni di legge delega sui servizi pubblici locali, la class action, le assicurazioni e l'energia.
Nel DPEF uno degli assi di intervento per una crescita superiore più solida e in aumento costante rispetto a quella tendenziale è l'asse delle liberalizzazioni e dei diritti dei consumatori. Con le misure del decreto-legge si sono già ottenuti risultati importanti. Penso all'accordo per l'aumento dei taxi a Roma, che senza il decreto non si sarebbe raggiunto.
È evidente che ogni intervento nel campo delle liberalizzazioni tocca interessi consolidati, ma se non si tocca nulla, questo paese non cambia e pagherà sempre più per le sue arretratezze. Questi interventi sollecitano un maggior dinamismo complessivo dell'economia e hanno possibilità di crescita della domanda interna, dei consumi negli stessi settori interessati dal decreto-legge. I fondi per gli investimenti di FS e ANAS e quelli per le autorità portuali sono segnali importanti per le infrastrutture, elemento decisivo per lo sviluppo.
La seconda emergenza riguarda la finanza pubblica. L'avanzo primario ed il rapporto debito-PIL sono indici di una situazione peggiore del 1992 e che resta tale, anche se la correzione dei conti sul 2006 è solo dello 0,1 per cento. Sarebbe stata maggiore senza la necessità degli interventi per FS e ANAS. Tuttavia, trattandosi di interventi strutturali, produrrà una correzione dei conti del 6,5 per cento del PIL del 2007, quando con la finanziaria ci aspetta una manovra pesante: si tratta di interventi strutturali che avviano il percorso del risanamento che vede nella lotta all'evasione fiscale un pilastro di un'azione molto rilevante nel decreto-legge n. 223, pur se non ancora contabilizzata.
C'è un segnale nell'articolo 30 del provvedimento al tempo stesso contraddittorio e di indicazione coerente con l'intenzione di un nuovo patto di stabilità per gli enti locali, basato sui saldi e non sui tetti di spesa: contraddittorio, perché inasprisce le sanzioni della finanziaria del 2006 basata sui tetti. Comprendo però l'esigenza di ridurre i rischi segnalati dalla commissione Faini, almeno fino a quando non si sarà costruito un quadro nuovo.
L'emendamento approvato al Senato, che dà più autonomia agli enti locali virtuosi, quelli con l'avanzo di bilancio negli ultimi tre esercizi, va nella direzione giusta. Occorre corresponsabilizzare, dare vera autonomia agli enti locali e alle regioni. Nella mia regione, l'Emilia Romagna, e nella mia provincia, Reggio Emilia, le autonomie locali sono state un fattore di sviluppo di finanza pubblica sana. Penso possa avvenire così in tutto il paese.
La terza emergenza è sul piano dell'equità. Penso agli interventi contro l'evasione e l'elusione fiscale non invasivi della sfera privata, ma utili per l'obiettivo che tutti dovremmo condividere, e gli interventi per le politiche sociali sono coerenti con questa priorità.
Concludo, richiamando l'esempio evidenziato dal ministro Bersani in seno alle Commissioni V e VI riunite (riunite, tra l'altro, per un lungo dibattito). Le norme per i farmaci non permettono di vendere i farmaci da banco solo nei supermercati, ma in tutti gli esercizi commerciali.
Si dirà: quale negozio può permettersi un farmacista? Ma con queste norme, considerate anche quelle in materia di commercio, un giovane farmacista può aprire un negozio in cui vendere questoPag. 24tipo di farmaci, i prodotti non farmaceutici che si vendono nelle farmacie, ed altro. È un caso emblematico, un'opportunità vera, che finora non è stata data.
In campagna elettorale, il leader del centrodestra ha accusato il centrosinistra di volere che i figli degli operai abbiano le stesse opportunità dei figli delle persone benestanti. È vero, noi crediamo nell'articolo 3 della Costituzione: la sinistra ed il centrosinistra esistono proprio per dare più opportunità a tutti, per aprire porte chiuse ai giovani, per dare a costoro più strumenti per costruirsi il futuro che sognano. Il decreto-legge in esame va in questa direzione e, per questo, merita il nostro convinto sostegno (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mazzocchi. Ne ha facoltà.
ANTONIO MAZZOCCHI. Onorevole Presidente, la ringrazio di avermi permesso di intervenire, anche se in coda a questo dibattito antimeridiano; non vorrei approfittare, dunque, della sua cortesia e cercherò di impiegare meno di trenta minuti.
Chi vi parla, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, è stato, nella XIII legislatura, relatore di minoranza sul disegno di legge sulle liberalizzazioni n. 1238. Per la verità, ogni volta che Bersani e Prodi si mettono insieme (anche nel 1998 Prodi e Bersani erano nel Governo) danno l'avvio a liberalizzazioni che nulla hanno a che vedere con il concetto stesso di liberalizzazione. I provvedimenti in materia dovrebbero guardare a due elementi: la qualità ed il prezzo. Se noi guardiamo bene, sia nel provvedimento sulla liberalizzazione del commercio sia nell'ultimo decreto-legge (pure presentato, tra gli altri, dal ministro Bersani) non vengono garantiti né la qualità né il prezzo.
Ricordo ancora ciò che dissi in questa sede sul disegno di legge Bersani del 1998 (il primo provvedimento sulla liberalizzazione). Dissi cose che, forse, si possono ripetere oggi. Dissi che la liberalizzazione del mercato era una mistificazione: non erano previste regole di qualificazione e professionalizzazione dei commercianti; non veniva tutelato il consumatore; non erano posti precisi limiti per un sistema integrato dalla grande distribuzione e del commercio tradizionale; inoltre, non affidare alle regioni il compito di controllo e di indirizzo, in vista di una programmazione volta gradualmente a qualificare ed associare, anche con incentivi, i piccoli operatori, significa mettere in atto una deregulation che, immancabilmente, non porta ad una riqualificazione della rete esistente, ma sicuramente provoca la polverizzazione degli esercizi commerciali ed una desertificazione dei centri storici, con il risultato di un sicuro vantaggio per la grande struttura di vendita.
Nessuno poteva prevedere che quanto avevo previsto si sarebbe verificato. In soli due anni, 300 mila piccoli negozi al dettaglio sono stati chiusi e la grande distribuzione si è allargata, mentre il famoso concetto fondato su qualità e prezzo sicuramente non ha trovato pratica attuazione. Basta analizzare gli indici ISTAT di questi ultimi anni per vedere come le grandi reti di distribuzione, che si sono impossessate del mercato, abbiano, di fatto, controllato i prezzi non al ribasso, ma al rialzo.
Scherzando, ieri sera, nel corso di una riunione, qualche ex ministro ha detto che Visco è il Dracula del fisco... Scusatemi, ma poiché non mi sento molto bene, rinuncio a proseguire il mio intervento.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Mazzocchi.
Sospendo la seduta fino alle 15.
La seduta, sospesa alle 14,10, è ripresa alle 15,10.