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Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1475)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Ricci. Ne ha facoltà.
ANDREA RICCI. Signor Presidente, colleghe e colleghi deputati, fin dal momento della sua approvazione in Consiglio dei ministri, l'atto che stiamo esaminando ha assunto un significato ed una portata particolari e significativi, ben al di là dei contenuti specifici del provvedimento in esame. Infatti, il decreto-legge n. 223 del 2006 rappresenta il primo, concreto provvedimento di politica economica del nuovo Governo, che in quanto tale ha assunto nell'opinione pubblica e nel paese i contorni di un annuncio di quella che potrà essere la nuova fase della politica economica italiana. Esso, per parte nostra, è coerente in linea di massima con l'impianto programmatico che l'Unione si è data e che ha presentato, nel corso della campagna elettorale, agli elettori e alle elettrici italiane. Infatti, in questo provvedimento, noi riscontriamo effettivamente l'adozione pratica di quei tre principi ispiratori della nuova politica economica del Governo: risanamento, sviluppo e equità. Per questo, il decreto in esame merita il nostro apprezzamento di fondo, pur se alcune misure in esso contenute meriterebbero di essere corrette nel prossimo futuro ed altre necessiterebbero di essere ulteriormente sviluppate.
Naturalmente, per valutare nei termini esatti la manovra, occorre collocarla nel contesto dato e non giudicarla sulla base di astratte considerazioni. L'attuale situazione economica e sociale del paese, come già abbiamo avuto modo di discutere in sede di esame del Documento di programmazione economico-finanziaria, è caratterizzata da un deterioramento preoccupante dei conti pubblici e, al contempo, da una situazione ormai duratura e strutturale di stagnazione economica, accompagnata da una dilagante e crescente diseguaglianza sociale. Allora, in un contesto come quello siffatto, la prima misura di politica economica del Governo doveva di necessità assumere la veste di una manovra di carattere strutturale, in grado di incidere durevolmente sui tre fronti della crisi generale del paese. Sarebbe infatti stato sbagliato predisporre una tradizionale, consueta «manovrina» estiva, di pura correzione dei conti pubblici, magari moltiplicando ancora una volta le misure una tantum, come il precedente Governo nella scorsa legislatura ha ripetutamente fatto. Tra le altre cose, un atteggiamento di questo tipo, di pura correzione dei conti pubblici, avrebbe avuto molto probabilmente ripercussioni negative sulla ripresa congiunturale in atto e avrebbe potuto deprimere l'andamento favorevole dei principali indicatori economici del paese.
Sul fronte della politica del risanamento, in questo provvedimento apprezziamo in modo particolare il fatto che l'aggiustamento strutturale di bilancio, che a regime sarà pari a 0,5 punti percentuali del PIL (circa 6,5 miliardi di euro), pesi prevalentemente sul fronte delle entrate tributarie piuttosto che su quello dei tagli di spesa, attraverso misure di allargamento della base imponibile.
I maggiori introiti tributari che, grazie a questo provvedimento, deriveranno alle casse dello Stato non discendono da un inasprimento del carico fiscale sul contribuente; infatti, la revisione puntuale di alcuni aspetti specifici della normativa sull'IVA, il potenziamento dei poteri di controllo e di accertamento fiscale, la nuova regolamentazione tributaria del mercato immobiliare sono alcuni esempi contenuti nel provvedimento di interventi tesi a ridurre gli spazi di elusione fiscale presenti nella precedente normativa ed essi contribuiranno, senz'altro, a far diminuire l'anomalia, tutta italiana, di un livelloPag. 26di evasione fiscale che supera il quarto del reddito annuo prodotto nel paese.
Entrando in alcuni aspetti specifici e particolari del provvedimento, noi riteniamo molto positivo l'inserimento avvenuto al Senato dell'articolo 36-bis, che contiene significativi interventi per contrastare il lavoro sommerso e per tutelare meglio la sicurezza e la salute dei lavoratori. Quelli relativi alle condizioni e alle tutele di cui i lavoratori godono nel momento della produzione sono provvedimenti indispensabili per riequilibrare una situazione grave come quella evidenziata dall'aumento continuo e costante, negli ultimi anni, degli incidenti, degli infortuni nei luoghi di lavoro.
Pensiamo, inoltre, che sia importante - anche se ovviamente di effetto limitato sul piano dell'entità finanziaria - l'introduzione di una nuova normativa fiscale sulle stock option; nel provvedimento, infatti, questa tipologia di remunerazione, che si è estesa nel corso degli ultimi anni ai manager delle grandi aziende private e pubbliche, viene ricondotta all'interno del suo alveo naturale, che è quello dell'imposizione diretta e progressiva sul reddito delle persone fisiche. Noi riteniamo che questa misura rappresenti un'ampia anticipazione di quello che, già a partire dalla prossima legge finanziaria, dovrà essere fatto per dare un contenuto di maggiore equità al nostro sistema fiscale ed anche per promuovere un nuovo tipo di sviluppo, basato sul riequilibrio del carico fiscale, eliminando quei privilegi irrazionali di cui la rendita finanziaria gode nel nostro paese.
Infine, sono oggetto del nostro apprezzamento sia l'abrogazione dell'ultimo dei tantissimi condoni fiscali operati dal precedente Governo e sostenuti dall'allora ministro dell'economia Tremonti, sia l'eliminazione della programmazione fiscale e dell'adeguamento dei redditi dei periodi di imposta precedenti previsto nella legge finanziaria 2006.
Per quanto riguarda il fisco, pensiamo che questa sia la strada da battere con maggiore intensità nel prossimo futuro; infatti, la lotta all'evasione fiscale è un requisito fondamentale, non solo per il risanamento, lo sviluppo e l'equità, ma anche per una rifondazione etica e civile del patto che lega lo Stato ai cittadini.
Le misure contenute in questo provvedimento sono soltanto un primo assaggio; infatti, la dimensione del livello di evasione fiscale nel nostro paese è tanta e tale che sarà necessario fare ancora molto strada per far sì che il nostro sistema fiscale torni in una condizione di normalità e di civiltà.
Dal nostro punto di vista, più dubbia appare invece la parte relativa ai tagli di spesa. Ed è sempre così quando si incide sulle spese dello Stato e delle amministrazioni pubbliche, che rappresentano la fonte dell'erogazione dei servizi ai cittadini. Riconosciamo che nel Governo vi è stato un tentativo di minimizzare gli effetti negativi sui servizi resi ai cittadini. Tuttavia, riteniamo che questo tentativo sia riuscito soltanto in parte. Da questo punto di vista la questione più rilevante e più preoccupante riguarda senza dubbio il taglio alle spese per consumi e beni intermedi, previsto nell'ordine del 10 per cento per l'anno in corso per le università e gli istituti di ricerca.
Le università nel nostro paese già vivono in situazioni di allarmante difficoltà, a seguito del continuo restringimento di risorse a loro disposizione che vi è stato negli anni precedenti. Invece, le università rappresentano una delle principali fonti per ricostruire su nuove basi la rinascita economica del paese, sia dal punto di vista della formazione dei giovani, degli studenti, sia dal punto di vista della promozione di nuove ed importanti attività di ricerca che possono costituire la base per la ripresa durevole della produzione e dell'economia nel nostro paese. Pertanto, ci attendiamo che il Governo assuma, in sede di dibattito parlamentare, un impegno chiaro e preciso per quanto riguarda le università e gli istituti di ricerca, in linea, tra l'altro, con l'enfasi che il programma dell'Unione attribuisce a tali enti e alla loro funzione per lo sviluppo delPag. 27paese. Occorre recuperare questo errore - se di errore si tratta - già con la prossima legge finanziaria.
Apprezziamo, invece, sul fronte dei maggiori stanziamenti di spesa, l'aumento di 300 milioni di euro per il fondo sociale accanto ad altri aumenti e all'istituzione di nuovi fondi per le politiche del welfare su altri settori. Infatti, il precedente Governo aveva selvaggiamente tagliato le risorse a disposizione degli enti locali per l'erogazione dei servizi sociali e ciò aveva causato gravissime sofferenze per i comuni, ma anche e soprattutto per i cittadini del nostro paese.
E ancora più grave è stato l'atteggiamento del precedente Governo, che aveva ripetutamente promesso che il taglio al fondo sociale, il dimezzamento delle risorse stanziate a questo scopo, sarebbe stato soltanto di natura provvisoria e sarebbe stato rapidamente superato. Nel corso dei due anni trascorsi non è stato così.
Il fatto che il nuovo Governo ristabilisca, sia pure parzialmente e in modo ancora insufficiente, l'entità del fondo sociale a disposizione degli enti locali per le politiche del welfare rappresenta un segnale nella giusta direzione, verso un modello di relazioni sociali e di intervento pubblico nel settore fondato su una maggiore equità.
La terza parte del provvedimento, oltre a quella riguardante le entrate tributarie e il contenimento della spesa, è relativa al fronte dello sviluppo. Su tale tema, gli interventi contenuti nel decreto-legge si concentrano prevalentemente sulle cosiddette liberalizzazioni.
Faccio precedere la parola «liberalizzazioni» dal termine «cosiddette» non per dare un senso negativo o, addirittura, spregiativo alle misure in esse contenute. Anzi, la gran parte delle misure nel capitolo dedicato allo sviluppo sono da noi condivise pienamente.
Il fatto è che, nel nostro paese, del termine «liberalizzazioni» si è fatto spesso abuso, ed esso è stato sovente adoperato in maniera impropria. Infatti, al solo evocare questa parola, nell'opinione pubblica scatta ormai un riflesso condizionato che fa assumere ad essa, in modo quasi magico, un significato positivo ad indicare il procedere verso situazioni di maggiore efficienza economica. Ciò discende da un approccio fortemente ideologico che, nel corso degli ultimi anni, si è diffuso in tutto l'Occidente. Un approccio ideologico che considera il mercato come una istituzione naturale ed astorica, i cui meccanismi di funzionamento eterni e immutabili garantiscono di per sé benessere e prosperità.
La liberalizzazione è intesa, quindi, come eliminazione di ogni intervento pubblico e sociale sul mercato, tant'è vero che in passato nel nostro paese si è fatto spesso confusione tra il termine liberalizzazione e il termine privatizzazione. In qualche modo, l'elemento della distruzione di ogni intervento pubblico nell'economia è stato assunto come linea guida fondamentale della politica economica del paese. Così si sono fatte le privatizzazioni, in maniera massiccia, ma di liberalizzazioni, a causa di questa confusione, se ne sono viste poche.
Questo approccio ideologico non ci appartiene, non appartiene a Rifondazione Comunista e alla sinistra europea. Noi, infatti, riteniamo che il mercato non sia un'istituzione di carattere naturale, bensì un'istituzione di carattere sociale, frutto di una costruzione artificiale della collettività e della sua emanazione giuridica, cioè lo Stato. In questa prospettiva, i mercati per esistere debbono per loro natura essere regolamentati, vigilati e controllati dallo Stato o dalle altre forme che la collettività si dà.
Allora, un approccio di questo tipo ci conduce ad assumere un atteggiamento di tipo pragmatico. Di volta in volta, occorre valutare concretamente gli effetti di una nuova e diversa regolamentazione di specifici mercati, alla luce di considerazioni di efficienza e di benessere sociale.
In questa ottica, il nostro giudizio sul complesso degli interventi previsti è in larga misura positivo. Infatti, la precedente regolamentazione, in alcuni comparti del settore dei servizi e delle professioni,Pag. 28risultava ormai anacronistica. Essa era diventata priva di obiettivi di benessere generale e spesso rispondeva soltanto alla difesa di interessi e di privilegi corporativi.
Sappiamo tutti che una delle principali anomalie sul terreno della struttura sociale del nostro paese, rispetto a paesi con analoghi livelli di sviluppo, è rappresentata dal peso notevole che assumono le categorie professionali e le corporazioni. In passato, il crescere della dimensione di queste particolari tipologie di stratificazione sociale è anche derivato dall'esistenza di uno scambio politico tra questi ceti e le forze di Governo. Questa situazione generava in alcuni settori particolari, specifici, puntuali - alcuni dei quali individuati nel decreto, altri ancora da individuare - indebiti vantaggi, e creava rendite di posizione ingiustificate, che aumentavano i costi per i cittadini e per le imprese e assorbivano quote eccessive del reddito prodotto annualmente nel paese, spesso a danno del mondo del lavoro. La rimozione di alcuni di questi privilegi corporativi andrà, se attuata correttamente, a beneficio della efficienza complessiva del sistema economico ed anche del potere reale di acquisto dei consumatori e contribuirà a sostenere la domanda interna, nell'ottica che noi riteniamo necessaria per cui, per far riprendere il cammino perduto all'economia italiana, occorrono non soltanto interventi di ristrutturazione dell'offerta, ma anche di sostegno selettivo della domanda interna dal punto di vista della redistribuzione del reddito.
Questi interventi presenti nel decreto-legge n. 223 noi riteniamo non siano ispirati da alcun intento punitivo per le categorie interessate. La riduzione di protezioni artificiali potrà al contrario stimolare lo spirito imprenditoriale all'interno di questi importanti comparti della nostra economia e potrà consentire l'accesso ad essi di nuove energie giovani e creative. Naturalmente, occorreranno ulteriori interventi lungo la strada intrapresa, in modo particolare nel settore del credito e delle assicurazioni e nel settore delle professioni.
Nel programma dell'Unione è presente l'obiettivo di una riforma dell'ordinamento generale delle professioni; essa dovrà avvenire all'interno di un disegno organico di nuova regolamentazione del settore. Per giungere a ciò occorrerà mettere in campo un nuovo metodo: non saremo più di fronte alla necessità di interventi urgenti e straordinari, ma di fronte al disegno di una nuova struttura, che dovrà durare nel tempo, delle categorie in oggetto e, allora, il metodo dovrà necessariamente essere quello del confronto preventivo con i soggetti sociali interessati, pur mantenendo la fermezza degli obiettivi da raggiungere. Un metodo di questo tipo, di confronto, di dialogo, fermo restando il raggiungimento degli obiettivi, potrà consentire di far emergere all'interno delle categorie interessate le tante forze sane ed innovative che dentro di esse esistono.
Gli aspetti meno convincenti, invece, dal nostro punto di vista, all'interno di questa parte, sono quelli che riguardano le aziende pubbliche. In modo particolare noi non condividiamo - e crediamo che debba essere sottoposto ad attenta verifica - l'articolo 12 del provvedimento, quello che si riferisce al trasporto pubblico locale e alla possibilità per i comuni di affidare, senza oneri per il settore pubblico, alcune tratte del trasporto pubblico locale a soggetti privati. Riteniamo che in questo modo si possa immettere nel sistema dei trasporti un meccanismo di concorrenza sleale nei confronti delle aziende pubbliche, che, oltre ad assicurare il trasporto nelle tratte più remunerative, devono necessariamente farsi carico anche di assicurare il diritto alla mobilità per tutti i cittadini nelle tratte meno remunerative e in deficit. Anche l'articolo 13, pur apprezzando le modificazioni che sono state fatte nel dibattito al Senato, dal nostro punto di vista contiene un'impropria penalizzazione delle società pubbliche che operano sul mercato. Non bisogna ripetere l'errore del passato, quando appunto le privatizzazioni, come totem ideologico e come strumentoPag. 29di ben concreti interessi materiali, hanno occupato l'intero orizzonte della politica economica e strutturale del nostro paese.
Nei settori caratterizzati da un monopolio naturale o da un prevalente interesse pubblico, infatti, la soluzione migliore da ogni punto di vista è e continua ad essere quella dell'azienda pubblica, pure all'interno di meccanismi di vigilanza e di controllo necessari per impedire le degenerazioni spesso viste nel passato.
Per concludere, riteniamo che le politiche per lo sviluppo, positive in questo decreto-legge, non si esauriscano, tuttavia, nella promozione della concorrenza. Essa è un aspetto, importante ma forse minore, di ciò che ci vuole per rilanciare lo sviluppo nel nostro paese. A questo atto ed alle sue future estensioni, allora, occorre anche affiancare l'avvio di una nuova politica industriale pubblica, fondata sul metodo di una nuova programmazione democratica, in grado di riorientare complessivamente il comportamento dei soggetti economici, pubblici e privati, verso obiettivi di migliore qualità della nostra produzione. Senza di ciò, infatti, se ci si limitasse soltanto alla politica della concorrenza e delle liberalizzazioni, la strategia di politica economica sarebbe monca.
Dunque, ci attendiamo che il Governo sul tema della nuova politica industriale pubblica sia altrettanto deciso e solerte come lo è stato sul terreno delle cosiddette liberalizzazioni. Ci aspettiamo pertanto, che presto il Parlamento sia chiamato a discutere di nuovo intervento pubblico, di nuova politica industriale e di nuova programmazione democratica nell'economia per raggiungere quegli obiettivi di sviluppo, di equità e di risanamento che il programma dell'Unione contiene.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fitto. Ne ha facoltà.
RAFFAELE FITTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, penso che in riferimento al decreto-legge oggetto della nostra discussione ci sia bisogno di una premessa di carattere generale sulle modalità di discussione, come altri colleghi del mio gruppo e della mia coalizione hanno poc'anzi sottolineato. Mi riferisco sia alla rilevanza degli argomenti inseriti all'interno del provvedimento, sia al fatto che il provvedimento fa emergere evidentissime contraddizioni che, a distanza di pochi mesi, vedono alcuni protagonisti della vita politica ed istituzionale del nostro paese modificare totalmente e diametralmente le proprie posizioni politiche nel rapporto con il Governo. Penso che ciò vada evidenziato e sottolineato perché uno degli aspetti peggiori che può esservi in questo momento nel nostro paese è che rappresentanti di interessi legittimi, che in passato hanno avuto posizioni fortemente rigide, oggi assumano posizioni concilianti in una specie di dialogo che ieri era una forte protesta.
Mi spiegherò nel merito dopo avere, però, posto una questione che sarà oggetto di un' apposita discussione: si tratta della pregiudiziale di costituzionalità, che domani sarà oggetto di votazione, che penso riguardi elementi di merito oggettivamente indiscutibili. Non si tratta solamente del richiamo che tutti hanno fatto all'articolo 77 della Costituzione rispetto ai contenuti della decretazione di urgenza; penso infatti sia utile fare alcuni esempi di merito oggettivamente indiscutibili, che ci lasciano molto perplessi rispetto alle modalità ed ai contenuti dello stesso decreto-legge.
Il riferimento specifico è ad alcune norme inserite nel provvedimento: a tale proposito vorrei fare la prima considerazione politica. Anche per la mia esperienza personale ricordo infuocate posizioni da parte del sistema delle autonomie locali, ricordo riunioni della Conferenza Stato-regioni ed incontri con il Governo nei quali le regioni non arretravano di un solo millimetro, anzi, rivendicavano con estrema forza i legittimi interessi e le legittime competenze costituzionali. In questo decreto legge, invece, vediamo un'entrata a gambe unite - non c'è altro termine per definirla - da parte del Governo nei confronti delle competenze costituzionali.Pag. 30
Non mi soffermo a fare ragionamenti di carattere generale e cito due esempi, che sono oggettivamente indiscutibili perché sugli stessi sono intervenuti dei recenti pronunciamenti della Corte costituzionale su materie di competenza esclusiva delle regioni. Nell'articolo 3 di questo decreto-legge si parla di commercio. È assolutamente imbarazzante e curioso leggere all'interno di tale articolo che si fa riferimento in modo specifico, come competenza e motivazione di intervento da parte del Governo, alle lettere e) ed m), utilizzando sostanzialmente la tutela della concorrenza e il riferimento alle garanzie dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti addirittura i diritti civili da garantire sull'intero territorio nazionale. Parliamo di una materia, quella del commercio, nella quale, poi, la lettura dello stesso articolo 3 ci porta a vedere come, in modo dettagliato e specifico, il Governo entri nel merito di competenze che il comma 4 dell'articolo 117 della Costituzione attribuisce in via esclusiva alle regioni, sapendo che oggi nel nostro paese esistono delle programmazioni frutto di questa competenza costituzionale, per cui le diverse regioni hanno organizzato ed immaginato una loro programmazione.
Cosa accade oggi? Accade che il Governo ridiscute tutto questo e la cosa singolare è che tutto questo accade nel silenzio delle regioni. Dove sono andate a finire le regioni e i loro presidenti? Dove sono coloro i quali, oggi, dovrebbero avere l'onere di rivendicare le proprie competenze? Tali soggetti, fino a qualche mese fa, quando il Governo era di un colore politico diverso, hanno fatto grandi battaglie per molto meno ed oggi tacciono su una competenza esclusiva che li riguarda, sulla quale questo Governo «entra» in modo evidente senza nemmeno ascoltarli, se è vero, come è vero, che il parere della Conferenza unificata del 19 luglio è molto ossequioso, quasi imbarazzante da leggere. Infatti, le regioni sottopongono all'attenzione del Governo alcune questioni dicendo: se proprio non avete altro da fare, potreste darci un minimo di attenzione, noi ci siamo e vi segnaliamo tali questioni. Non un solo articolo sui giornali, non una sola manifestazione, non un solo problema posto rispetto a questo tipo di problematiche.
Un secondo elemento, ancor più imbarazzante del primo, è quello collegato ad una sentenza della Corte costituzionale, non più ad una valutazione di merito sulle competenze costituzionali. I commi 1 e 2 dell'articolo 19 di questo decreto-legge istituiscono dei fondi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri riguardanti le politiche sociali e le politiche giovanili. Comprendiamo politicamente, pur non condividendolo, che, avendo creato le condizioni per il proliferare dei ministeri, oggi si debbano creare inevitabilmente le condizioni per mettere in condizione gli stessi ministri di poter operare. Allora, istituiamo il fondo per i Ministeri delle politiche per la famiglia e delle politiche giovanili, che, non avendo avuto udienza ed esistenza fino ad oggi, devono avere un minimo di organizzazione per poter funzionare. Tuttavia, questa esigenza politica non può piegare delle condizioni oggettive, che derivano da dati non discutibili, non dati del centrodestra rispetto a quelli del centrosinistra. Infatti, la sentenza n. 118 della Corte costituzionale dichiara illegittimo un articolo della legge finanziaria del 2005 che istituiva, con la stessa modalità, questi fondi. Allora, vorrei capire come è possibile che, in presenza di dati così oggettivi, si continui regolarmente a procedere ed anche su questo non ci sia la rivendicazione da parte di quanti, fino ad oggi, hanno sempre fatto grande rumore rispetto alle questioni che li riguardavano.
Anche questi sono elementi di seria riflessione che, poi, ci possono portare ad una considerazione collegata anche al merito del provvedimento. Sul merito del provvedimento - ho ascoltato il collega Ricci che mi ha preceduto, il quale, proprio collegandosi all'articolo 19, ringraziava il Governo per avere ripristinato le risorse nell'ambito delle politiche sociali -, penso che sia importante ed utile verificare la situazione di partenza e fare un confronto con la situazione esistente negli anni precedenti. Il Governo ha ripristinato,Pag. 31e nemmeno per intero, il valore complessivo delle risorse inserite nelle precedenti leggi finanziarie nell'ambito delle politiche sociali perché esattamente con l'aggiunta di 300 milioni di euro il Fondo per le politiche sociali diventa di 900 milioni di euro, mentre nel 2005 era pari a 900 milioni di euro e nel 2004 ad un milione di euro. Allora, basta leggere le domande che vengono dalle regioni, basta leggere - se qualcuno non è convinto, glielo posso fornire - il documento della Conferenza unificata delle regioni del 19 luglio, dove si chiede di ripristinare il milione di euro rispetto a quella previsione, così come era stata fatta dal precedente Governo.
C'è scritto nel documento! Non l'ho scritto io, ma lo afferma la Conferenza dei presidenti delle regioni, la stragrande maggioranza delle quali sono governate dal centrosinistra.
Oggi non si può sostenere una cosa così palesemente falsa, a fronte di documenti che possono dimostrare esattamente il contrario. Sono elementi che ci devono far riflettere, perché non possiamo dimenticare - si tratta di una considerazione politica - che, quando in passato ci siamo confrontati su tali aspetti, l'attuale maggioranza polemizzava con il Governo, creando le condizioni per una polemica costante e quotidiana, così come avviene oggi.
In particolare, leggendo l'articolo 22 - è un'altra considerazione politica -, laddove si riducono del 10 per cento i fondi per la spesa ordinaria di una serie di enti, sarebbe utile chiedersi dove sono i rettori del nostro paese. I rettori, infatti, per provvedimenti e motivazioni analoghe, hanno consegnato le chiavi delle università al Governo. Tutti i rettori del nostro paese si dimisero, perché in polemica con il precedente Governo.
Oggi il presidente della conferenza dei rettori ha inviato una lettera molto garbata che sollecita il ministro; il ministro, in modo intelligente dal punto di vista politico, accenna alle dimissioni, gesto in questi giorni troppo utilizzato, quindi privo anche di valore istituzionale e politico. Comunque, viene anticipato il rischio di dimissioni, l'ipotesi di un confronto; viene assunto un impegno per intervenire successivamente sul merito della questione. È stato, così, superato un problema che, fino a qualche mese fa, scatenava manifestazioni, sit-in di giovani delle università, di rettori che minacciavano le dimissioni, occupazioni nelle aule, assemblee permanenti nelle università, esattamente con le stesse modalità.
Allora, questo provvedimento ci pone anche un problema politico, che dobbiamo sollevare in quest'aula, ma anche fuori. Vi è bisogno di serietà da parte di chi è impegnato nelle istituzioni, perché le posizioni non possono essere piegate in funzione degli interessi politici. Se un rettore o un presidente di regione deve difendere i legittimi interessi del proprio ente, deve avere il coraggio di farlo con serietà e dignità sia quando vi è un Governo che non gli piace, sia quando, permanendo le stesse condizioni alle quali ho fatto riferimento, vi è un Governo che gli piace. È una discriminazione fondamentale che emerge nel provvedimento.
Vorrei svolgere, inoltre, un'ultima considerazione più propriamente politica in riferimento alle modalità con le quali questo decreto-legge giunge alla nostra attenzione.
È vero, è stato ricordato da alcuni colleghi e lo vorrei ribadire anch'io, esiste all'interno di questo Parlamento una condizione di disagio, perché abbiamo discusso rapidamente del DPEF e, nel corso del suo esame, mentre il ministro dell'economia ci illustrava alcune previsioni relative al provvedimento, parallelamente si avviava l'iter di un decreto-legge che ne stravolgeva totalmente i contenuti, svuotandone il merito e ridimensionandone complessivamente la portata. Ciò, a causa di un provvedimento che, con i presupposti dell'urgenza, si propone di fornire delle risposte che, sinceramente, hanno solamente l'obiettivo di coprire alcune difficoltà politiche.
Non mi venite a parlare di liberalizzazioni sui temi che sono stati oggetto della nostra discussione! Sono state individuatePag. 32due o tre categorie, che sono state colpite ben bene. Non sono state nemmeno convocate per spiegare loro come la loro vita sarebbe prossimamente cambiata. Quindi, cosa fanno coloro che ci hanno sempre spiegato quanto fosse fondamentale la logica della concertazione e, quindi, quanto fosse gravissimo immaginare di poter calare dall'alto un provvedimento? Pongono in essere un provvedimento che entra subito in vigore, perché dotato dei requisiti necessari per la decretazione d'urgenza, cambiando la vita e l'organizzazione quotidiana di intere categorie di questo paese, che non vanno difese fino alle estreme conseguenze, ma rispettate nel merito. A queste categorie non vengono spiegati nemmeno gli obiettivi che il Governo vuole perseguire per tentare di individuare delle soluzioni che possano essere condivise. Non si vuole nemmeno tentare di ascoltarle, anche se da ciò potrebbe derivare un «no», per poi procedere direttamente.
Abbiamo assistito a manifestazioni di protesta di intere categorie, che hanno ottenuto un grande risultato: essere ascoltate! La manifestazione di protesta non è servita a modificare i provvedimenti, è servita ad ottenere, ripeto, un grande risultato, ossia essere ascoltati dal Governo. Siamo in questa condizione! E tale situazione penso emerga in modo ancora più chiaro laddove, all'interno di questo provvedimento, si individuano, come dicevo, alcune categorie che sono colpite senza una logica, parlando impropriamente di liberalizzazioni e creando le condizioni perché si avvii nel paese un grande dibattito su qualcosa che non c'è. Infatti, stiamo discutendo con autorevolissimi esponenti, in editoriali sui grandi quotidiani del paese, di un tema che, sì e no, è stato accennato per alcune categorie che sinceramente non penso possano cambiare le sorti dell'economia del nostro paese, né stravolgerla nell'ambito della sua organizzazione. È un modo per buttare fumo negli occhi ai cittadini, creando le condizioni per poter parlare della questione, senza affrontare il merito delle questioni con risposte concrete.
Dunque, su tali questioni penso sia molto utile cercare di avviare, invece, una fase di riflessione profonda, sperando che, alla vigilia dei prossimi appuntamenti parlamentari, quando discuteremo ad esempio della legge finanziaria, le regioni ritrovino la voce. Sicuramente queste ultime, infatti, hanno avuto problemi: o sono vacanza o hanno perso la voce. Ci auguriamo che i rettori delle università italiane ritrovino anch'essi la voce, perché anche loro o sono vacanza o hanno perso la voce. Tutti coloro i quali hanno condotto negli scorsi anni grandi battaglie per molto meno, ed oggi invece non sono più presenti nella discussione, nel paese, tornino a farsi sentire. Diversamente, è nostro compito cercare di portare anche fuori dal Parlamento questi temi, per evidenziare argomenti che non hanno nulla in termini di prospettiva ma vengono veicolati in modo forte, tentando di costruire un percorso che porta in sé enormi contraddizioni. Infatti, ho ascoltato diversi interventi questa mattina e sul tema delle liberalizzazioni, dei servizi pubblici locali, sulle scelte che questo Governo deve compiere, ho sentito all'interno della stessa coalizione di Governo tutto e, contemporaneamente, il contrario di tutto.
Dunque, se liberalizzazioni devono essere, se riforme serie devono essere attivate, non cerchiamo di farle con blitz estivi, senza ascoltare coloro i quali poi devono attuare tali riforme; non cerchiamo di farle calpestando la dignità ed il ruolo di questo Parlamento. Cerchiamo di farle con un confronto serio, aperto e costruttivo, nel quale ognuno può esprimere le sue opinioni ed all'interno del quale ognuno può portare anche evidenti e legittimi interessi di categoria. Infatti, in quest'aula, ognuno può avere una funzione politica tesa a garantire questa o quella categoria. L'importante è che ciò lo si faccia alla luce del sole e che non si individuino alcuni obiettivi che possono essere oggetto di un'azione mirata senza una prospettiva reale all'interno dello sviluppo e della crescita economica del paese.
Abbiamo di fronte un momento non semplice e penso che su ciò vi sia bisognoPag. 33di maggiore serietà e, soprattutto, di quel confronto che purtroppo in questa fase, così importante, sta venendo meno. Se questo Governo inizia il suo percorso politico sulla base di una totale mancanza di confronto con gli interessi reali del paese e con un'azione che mira, in modo evidente, a contrastare ed a non consentire a questa parte di paese - che legittimamente siede nel Parlamento e vuol dire la sua - di esprimere le proprie opinioni in modo forte e di partecipare lealmente e realmente, anche con ipotesi di modifica, a questo provvedimento, sicuramente si parte con il piede sbagliato e oggi non ci sarà consentito - perché la logica è di non modificare più il provvedimento in esame - di approvare alcun emendamento, a prescindere dal merito dello stesso.
Sappiamo che saremo costretti ad assistere ad una votazione nella quale, per principio, si rifiuta il confronto, per logiche politiche, per un'incapacità sostanziale di far tornare il provvedimento al Senato, per un'urgenza che nessuno ha ben compreso. Infatti, né i farmacisti, né i tassisti, né qualsiasi altra categoria professionale che ha un interesse in questo provvedimento avvertono la fretta o l'urgenza che sia varato questo tipo di provvedimento. Credo, pertanto, che sia utile ed importante cercare di modificare complessivamente l'atteggiamento che è stato assunto.
Ecco perché il nostro voto e la nostra posizione in merito al provvedimento in esame non possono che essere fortemente negativi [Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, mi sia consentito esprimere preoccupazione e perplessità rispetto al decreto-legge che siamo chiamati a convertire.
Il provvedimento in esame ha una valenza molto estesa. Mi soffermerò soltanto su alcuni suoi aspetti ed implicazioni, quelli relativi alle disposizioni ed innovazioni di carattere fiscale, che mi appaiono particolarmente inquietanti. Il collega del mio gruppo, onorevole Galletti, nel corso del suo intervento, già ha affrontato in modo ampio e qualificato diversi aspetti di questa normativa. In seguito, interverrà il collega D'Agrò sul tema delle liberalizzazioni, mentre l'onorevole Peretti analizzerà i riflessi del provvedimento sulla finanza pubblica.
Quanto a me, vorrei limitarmi - come dicevo - ad alcuni aspetti delle normative fiscali contenute nel decreto-legge in esame, aspetti che ritengo assai allarmanti proprio perché evidenziano il tipo di ideologia e di cultura di questa classe di Governo. Ritengo che tali aspetti delle disposizioni fiscali possano arrecare pregiudizio alla ripresa economica, contrariamente a quanto si afferma in merito a questo decreto-legge, e possano disincentivare l'inizio e la continuazione di attività imprenditoriali o, comunque, di lavoro autonomo, soprattutto nell'ambito delle piccole e medie imprese, essenziali per la tenuta del nostro sistema economico e produttivo.
Il provvedimento in esame, infatti, nella parte relativa alla lotta all'evasione e all'elusione fiscale, sembra ispirato da una visione ideologica e culturale tendenzialmente ostile all'iniziativa privata, all'attività individuale ed autonoma ed all'intento del privato di partecipare ai processi produttivi. Sotto questo profilo, la sinistra italiana, dando vita, attraverso i suoi referenti istituzionali, a questo decreto-legge, sembra rimasta quella di diversi decenni fa, sembra essere tornata indietro. Le tanto sbandierate evoluzioni liberali ed aperture centriste, necessarie per conquistare il potere, appaiono proprio in questa occasione quanto mai fittizie e forzate, in virtù di contesti storici contingenti. L'operatore privato, in questo provvedimento, appare oggetto di continuo pregiudizio, di perenne sospetto, è sottoposto a capillari adempimenti, verifiche e controlli nella presunzione - sembrerebbe - di una sorta di inidoneità ad una collaborazione volontariaPag. 34e responsabile con lo Stato e con il fisco, quasi fosse animato da una costante volontà di sottrarsi ai doveri di correttezza e di trasparenza. Una sorta di posizione da vigilato speciale, da controllato a vista: obbligo di comunicazione telematica dei corrispettivi giornalieri incassati; obbligo di tenuta degli elenchi dei clienti e dei fornitori; obbligo di trasmissione telematica di tutti i dati identificativi dei soggetti con i quali hanno mantenuto rapporti durante l'anno; obbligo di transazione bancaria per incassi e compensi; indicazione degli intermediari negli atti di compravendita immobiliare (peraltro, questa è una delle diverse disposizioni che rischiano di piegare ancora di più e di comprimere l'attività edilizia ed immobiliare, attività che ha un ruolo trainante, in questo momento, dell'economia e delle attività industriali); obbligo di tenuta di appositi conti correnti per la gestione delle attività professionali; obbligo di incassare compensi mediante bonifico bancario, carte di credito, POS, bollettino di conto corrente postale; e via dicendo. Ci sono già stati segnalati da operatori, associazioni professionali e ambienti produttivi gli effetti di rallentamento e di rinuncia agli investimenti produttivi e immobiliari, proprio in virtù delle attese negative suscitate da questo decreto-legge.
È difficile comprendere, dunque, in che modo con tale normativa ci si possa addirittura proporre di incentivare la ripresa e lo sviluppo. Relativamente a questo tipo di disposizioni, il provvedimento in esame sembra ispirato da una pregiudiziale sfiducia verso l'attitudine degli imprenditori e lavoratori autonomi alla responsabilizzazione nei confronti dello Stato, sul piano del prelievo fiscale. Si indicano cifre di evasione ed elusione molto elevate. Da quanto sentiamo dire continuamente, addirittura ammonterebbero ad un terzo del prodotto interno lordo. Queste cifre sarebbero poste alla base della presunzione di un costume generalizzato, tendente all'evasione e all'elusione, che verrebbe in qualche modo imputato a quelle categorie del lavoro autonomo ed imprenditoriale proprio perché, come si sa, i lavoratori dipendenti subiscono le ritenute alla fonte e dunque non possono evadere le imposte.
Questo pregiudizio nei confronti del lavoro autonomo io non l'ho mai condiviso. Non credo che comportamenti antigiuridici dolosi debbano ritenersi diffusi in un'area rilevante della popolazione. Non credo, onorevoli colleghi, di vivere in un paese di disinvolti ed avidi evasori, che, lucidamente e a soli fini di avidità, e nel disinteresse per le necessità finanziarie dello Stato e delle amministrazioni territoriali, cercano di frodare il fisco. Non credo di vivere in un paese di furbi.
Credo, invece, che chi lavora, produce, eroga servizi alla luce del sole, desideri generalmente vivere in pace, pagando ciò che è giusto, concorrendo equamente, in base alle proprie possibilità, alle necessità della collettività organizzata di appartenenza. Se evasione ed elusione appaiono oggi così diffuse, occorre ricercarne le ragioni nelle irrazionalità e negli anacronismi del nostro sistema fiscale, nella sostanziale iniquità di alcuni aspetti del prelievo, nella difficoltà, che spesso si riscontra, a capire il senso della norma fiscale e a rendere compatibile l'esigenza di mera sopravvivenza delle singole imprese ed attività con questo tipo di pressione fiscale.
In generale, non sono state trovate ancora le forme adeguate di armonizzazione tra i meccanismi di detrazione, di deduzione dei costi e quelli di prelievo. A tale riguardo, il mio partito, nella recente campagna elettorale, aveva proposto il meccanismo del contratto di interessi: la possibilità di portare in detrazione anche fatture relative a costi inerenti a spese di carattere privato e familiare. Questo meccanismo, incentivando la richiesta della fattura, avrebbe consentito più facilmente l'emergere di attività che eventualmente, prima, fossero state svolte in nero, fossero state sommerse. Avrebbe consentito quindi di combattere evasione ed elusione, ma attraverso un meccanismo incentivante, volontaristico, non attraverso la repressione e lo Stato di polizia.
In questo provvedimento noi troviamo, invece, il controllo statale sul cittadinoPag. 35ancora più esteso, marchingegni polizieschi invasivi della sfera privata, enorme mole di oneri di comunicazione a carico dell'imprenditore e del contribuente, il privato che sembra diventare egli stesso una pubblica amministrazione. Questa normativa espone il contribuente, e soprattutto l'imprenditore, il professionista, a continui accertamenti, verifiche e richieste di chiarimenti, impone oneri vessatori difficilmente sostenibili per chi svolge un'attività già impegnativa e stressante, come quella richiesta dalle attività commerciali, dalle attività che si svolgono sul mercato. Accentua la diffusione di una burocrazia autocertificativa invasiva e la sensazione diffusa di essere sempre soggetti a sospetto e a sanzioni. Il cittadino si sentirà sempre esposto - anche per errori a volte difficilmente evitabili con una serie di adempimenti imposti così capillari - alla sanzione e alla repressione. Quindi, si troverà in una condizione di continua soggezione nei confronti di un'Agenzia delle entrate che viene quasi eretta ad una sorta di Grande Fratello!
Un provvedimento di questo tipo disincentiva gli investimenti produttivi e le nuove iniziative imprenditoriali, ma anche le vecchie, perché molti alla fine, gravati da troppi adempimenti, da troppi rischi, da troppe difficoltà, preferiranno, se hanno qualche soldo da parte, accantonare la propria attività produttiva. Ma pensiamo anche ai giovani, oggi un po' per loro natura spaventati dall'idea di grandi responsabilità, dall'idea di promuovere nuove imprese e sempre più alla ricerca di posti fissi sempre più improbabili, che si troveranno di fronte a queste ulteriori difficoltà poste alle attività imprenditoriali. E dire che noi sosteniamo che andrebbero incentivate le nuove imprese, che i giovani andrebbero incoraggiati a diventare imprenditori di sé stessi, a creare nuove attività produttive in proprio, a creare quindi nuovi posti di lavoro anche per i loro coetanei!
Non so come tutto questo possa favorire una ripresa, un maggiore sviluppo, una maggiore creatività e un maggior coraggio nella discesa sui mercati. Oltre a frenare e scoraggiare gli imprenditori, un provvedimento vessatorio e repressivo come questo accentuerà, a mio giudizio, anziché favorirla, la carenza di collaborazione tra il contribuente e il fisco, incentiverà ancora di più il lavoro nero e la creazione di aree di percezione di reddito completamente sconosciute al fisco. Ancor più, temo, si svilupperà la tendenza a sottrarsi alla collaborazione con una amministrazione fiscale le cui pretese e la cui oppressione saranno ritenute insostenibili (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Suppa. Ne ha facoltà.
ROSA SUPPA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto oggi in esame pone all'attenzione dell'Assemblea temi di grande rilevanza, che travalicano la stessa disciplina di dettaglio che il provvedimento reca. L'urgenza e l'ineludibilità dei problemi posti dalla situazione economica del paese, quale pervenuta all'esito della legislatura testé conclusa, ha imposto soluzioni drastiche, atte ad indurre, in ragione del loro contenuto fortemente innovativo, il rapido avvio di un circuito virtuoso, che può e deve funzionare da volano per l'intera economia nazionale. Sono queste le ragioni d'urgenza, onorevole Fitto, che hanno imposto e consentito il ricorso alla decretazione.
La centralità di tale obiettivo ha reso inevitabile una accelerazione, che ha comportato una fuga in avanti e qualche sacrificio, se non sull'an certo sul quomodo delle scelte operate, sacrificio che spero venga recuperato al più presto con il coinvolgimento dei mondi interessati e degli stessi consumatori; ma, anche quando sarà intervenuto un consenso più diffuso nelle materie in esame e sulle scelte nelle quali essa si sostanzia, non dovranno venire meno le ragioni di un ulteriore e più radicale approfondimento sui temi generali sottesi, sui quali si dovrà ritornare non solo e non tanto in quest'aulaPag. 36parlamentare, ma prima e più ancora nel mondo culturale e politico.
Certamente, l'urgenza dei temi economici, che ha imposto, come ho detto prima e come lo stesso decreto espone, di regolare una pluralità di rapporti con disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, è inevitabilmente disancorata dal pur pregiudiziale scioglimento di nodi teorici di ben più ampia portata, che involgono addirittura scelte di civiltà storica e giuridica in ordine alle quali sussiste un dibattito tanto ampio quanto, purtroppo, ancora distante dal pervenire ad affidabili conclusioni.
La brevità del tempo concessomi mi impedisce di tentare anche solo sommarie enunciazioni di tali nodi e mi limiterò, quindi, solo a richiamare brevi flash.
Il primo attiene al recente ingresso dei principi di economia nel diritto, che pone l'irrisolto interrogativo se sia cosa buona e giusta la centralità che l'economia ha assunto nei termini attuali. Si è assistito ad una vera irruzione che sta avendo conseguenze di portata epocale, delle quali sono interamente note e chiare quelle demolitorie, mentre hanno purtroppo contorni ancora imprecisi e confusi quelle costruttive.
Probabilmente, l'incipit di questo avvio può trovarsi nella legge n. 241 del 1990, che introduce criteri di economicità nell'attività amministrativa, enunciando, magari in modo non del tutto consapevole, l'adozione generalizzata da parte dei servizi pubblici di moduli privatistici.
Ma vi è di più: la stessa distinzione tradizionale tra diritto pubblico e privato è diventata irrimediabilmente datata e sopravviene il tempo dell'amministrazione privata di diritto pubblico. Ancora, senza dilungarmi, vorrei ricordare gli effetti dell'esaltazione dell'intonazione economica nella pubblica amministrazione che si è varata con la Costituzione europea.
La sfida, comunque, è tutta lì: competitività, economia e concorrenza, che dovranno e che devono essere coniugate con i termini di giustizia e di equità. Vi dovrà essere, dunque, l'impegno per il raggiungimento di una larga condivisione sui valori, che devono essere immanenti all'economia, preferendo la via del ragionevole al razionale, perché la ragione è mercante e calcolatrice.
Siamo ancora in attesa del pronunciamento della Corte costituzionale sul concetto di economia, introdotto nel Titolo V della nostra Costituzione, e se esso vada considerato un principio e un valore.
Se è vero che l'Italia ha bisogno di più libertà, è anche vero che il fine dovrà essere quello di liberare le risorse per valorizzarle. È questo l'asse sul quale muoversi. Ma, ora che il Governo ha definito la sua strategia, non può non fare proprie le preoccupazioni che sono pervenute dai mondi interessati e, in particolare, dal mondo dei professionisti, che non sono solo dei potenziali evasori (Commenti del deputato Armani), ma vogliono contribuire allo sviluppo e sono pronti a raccogliere la sfida della modernizzazione e a porsi sul mercato con nuove modalità, però hanno anche il timore di vedere i propri giovani ancora più esclusi dal mondo del lavoro e sono convinti che l'abolizione dei minimi tariffari possa incidere sulla qualità della prestazione, specie nei confronti degli enti pubblici.
Nel condividere e richiamare pienamente il parere della Commissione giustizia, auspico comunque, a breve, una legge di più ampio respiro, che dovrà riguardare l'assetto normativo di tutte le professioni ed il futuro degli ordini professionali, che possono ancora svolgere un ruolo fondamentale per promuovere, nell'interesse pubblico, la qualità delle prestazioni e la tutela dei cittadini, contemperando la libertà del mercato con gli obblighi di garanzia dei servizi.
Mi auguro, quindi, che questo Governo continui a fare della ricerca dell'interesse generale la propria strategia politica (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vacca. Ne ha facoltà.
ELIAS VACCA. Signor Presidente, nel disaminare questo provvedimento a nome dei Comunisti italiani, credo di dover direPag. 37innanzitutto che, dal nostro punto di vista e dall'angolazione dalla quale ci rivolgiamo rispetto alla società, pensare che l'interesse dei contribuenti, dei consumatori, l'interesse dei cittadini dabbene, possa essere garantito attraverso un provvedimento che viene definito di liberalizzazione, o somma di liberalizzazioni, francamente mi pare un po' fantasioso, oltre che antinomico.
La verità è che, rispetto a questo provvedimento, gli organi di stampa hanno voluto incentrare la loro attenzione particolarmente sul lato e sulla fase delle liberalizzazioni, mentre esso contiene ben altro.
Esso contiene norme di lotta seria all'elusione e all'evasione fiscale, che, come Comunisti, non possono che trovarci d'accordo, e una serie di misure rivolte effettivamente alla tutela dei ceti sociali, che noi ci prefiggiamo di difendere. Infine, esso contiene anche una serie di norme volte, nel solco delle prescrizioni che derivano dalla nostra appartenenza all'Unione europea, a rimuovere alcune condizioni di pregiudizio e di asfissia del mercato delle professioni e del commercio, che nel nostro paese, da un po' di tempo a questa parte, si facevano sentire.
Nella parte in cui il provvedimento in esame incide sulla situazione di alcuni ordini o di alcune associazioni professionali, esso rivela come, in questo paese, per troppo tempo essi siano rimasti insensibili, per non dire quasi impermeabili a tutto ciò che veniva deciso a livello comunitario e che difficilmente, ad onta della previsione di cui all'articolo 10 della nostra Costituzione, riusciva a penetrare nel nostro paese.
Perfino nella giustezza di alcune osservazioni che sono state mosse dagli ordini professionali ho riscontrato il disagio di chi, per troppo tempo, non ha saputo parlare al paese e neppure alla politica, se non in termini di difesa ad oltranza di alcune condizioni obiettivamente antistoriche. Mi riferisco alla difficoltà di chi tendeva, e tende tuttora, a rivendicare condizioni anche giuste ed a proporre elementi di riflessione concreti, ma che, in questo momento, trova difficilmente ascolto non solo nelle sedi della politica, ma, ancor di più, presso i nostri concittadini.
Come stavo dicendo poc'anzi, il provvedimento in esame risulta decisamente interessante nella parte in cui si prefigge di condurre una seria lotta all'evasione e all'elusione fiscale. Ciò perché credo che non soltanto noi, Comunisti Italiani, ma qualsiasi persona si approssimi alla programmazione della propria attività commerciale, imprenditoriale o professionale debba riconoscere che la peggior forma di concorrenza sleale è quella che viene praticata da chi non rispetta le regole nei confronti di chi, invece, le osserva.
La peggior forma di concorrenza sleale, infatti, avviene innanzitutto tra chi assume i dipendenti garantendo una regolare posizione contributiva e pagando regolarmente le tasse e chi non lo fa. Questa, a mio avviso, è la forma di concorrenza sleale che deve essere in primo luogo rimossa e mi sembra che, sotto questo profilo, il provvedimento in esame si muova lungo la giusta direzione.
Ritengo ineludibile, inoltre, svolgere una riflessione sul fatto che, nel nostro paese, il sistema ordinamentale delle professioni non è omogeneo. In Italia, infatti, esistono professioni alle quali si accede attraverso il conseguimento di un titolo di studio ed il superamento di un esame di abilitazione professionale. Un avvocato o un dottore commercialista, tanto per portare qualche esempio, una volta abilitati, possono aprire il loro studio affiggendo una targa al di fuori di un immobile e spendendo, all'interno di tale struttura, quanto hanno da offrire alla loro potenziale clientela.
Vorrei segnalare, tuttavia, che altre professioni non prevedono lo stesso percorso. Allora, diventa sempre più difficilmente comprensibile - non solo alla politica, ma addirittura ai cittadini - la ragione per cui esistano professioni nelle quali si facciano sentire maggiormente sacche di «resistenza» rispetto alle esigenze avvertite dalla collettività. Mi riferisco a quella che considero a metà stradaPag. 38tra la professione scientifica e quella commerciale, vale a dire quella di farmacista; oppure alla professione notarile, che risulta una via di mezzo tra l'attività scientifica e quella di pubblico ufficiale.
Oggi è molto difficile far comprendere ai nostri concittadini, che magari si recano all'estero e trovano alcuni articoli parafarmaceutici o certi farmaci cosiddetti da banco in vendita nei grandi magazzini, quale sia la ragione per cui, nel nostro paese, ciò non accade. Quando i nostri concittadini realizzano che, parallelamente a tale condizione, la situazione dei prezzi in quegli Stati è ben diversa dalla nostra, allora diventa ancor più difficile spiegare loro la ragione per cui gli articoli per i neonati presentano tali costi.
Vorrei ricordare che questo è il paese delle mamme, ed è altresì lo Stato nel quale ci si lamenta molto spesso dell'invecchiamento della popolazione, nonché del crollo verticale delle nascite e dell'assenza di adeguate politiche a favore della famiglia. Tuttavia, diventa sicuramente molto difficile spiegare il motivo di tale situazione quando i pannolini, i medicamenti per i bambini più diffusi o le «pappine» vengono venduti, nei paesi esteri, a prezzi che, il più delle volte, risultano essere inferiori di oltre la metà rispetto a quelli praticati in Italia!
Non sono un esperto del settore e non sono in grado di dire se esistano condizioni di mercato che giustifichino questa situazione, ma, evidentemente, proprio per il consumatore che legge il contingentamento dell'attività commerciale dedicata allo smercio di quei prodotti e osserva qual è il regime dei prezzi, un intervento in questo settore era proprio necessario.
Nel corso dell'audizione del ministro Bersani presso le Commissioni riunite V e VI della Camera, ho chiesto, a nome dei Comunisti Italiani, se e quando fosse intendimento del Governo entrare nel merito di quella che viene definita come pianta organica di quel tipo di esercizi commerciali. A mio avviso, probabilmente, sarebbe il caso di verificare quando il Governo vorrà mettere mano, con un disegno di legge organico, a tutte le professioni «protette», quanto alla possibilità di estrinsecare in esse un meccanismo concorrenziale.
Ritengo che vi sia stato, in un certo senso, un forte equivoco in merito alla vertenza aperta con i tassisti. Con questo decreto-legge, il Governo si era infatti posto solo ed esclusivamente il problema di come si potesse garantire in questo settore una maggiore concorrenza. E ciò non tanto per giungere ad un abbattimento dei prezzi o perché qualcuno potesse, mettendo insieme un numero notevole di licenze, esercitare in forma industriale tale professione, che è ancora svolta nel nostro paese in maniera artigianale, ma piuttosto perché in questo settore mancano le condizioni che rendono la domanda uguale all'offerta. In tale settore sono rinvenibili molteplici situazioni. Una è quella che tutti viviamo in questa città quando abbiamo la necessità di quel mezzo di trasporto, ma ve ne sono anche altre come, ad esempio, quelle di alcune località turistiche, nelle quali in certi periodi dell'anno non è possibile trovare un nolo con conducente o un tassista perché sono tutti impegnati, mentre in altri periodi non c'è abbastanza domanda da consentire agli operatori di campare. Si tratta, quindi, di situazioni per le quali occorreva un rimedio.
Con il presente provvedimento, il Governo si sta muovendo nella giusta direzione. Alcune parti di esso meritano, come evidenziato da altri colleghi, alcune riflessioni più puntuali e, soprattutto, più organiche. Come gruppo dei Comunisti italiani, ci è assolutamente indifferente l'affermazione secondo la quale - trattasi di affermazione che non va ascritta all'inventiva del Governo, ma discende da prescrizioni imposte a livello comunitario - un più ampio accesso allo strumento pubblicitario dovrebbe venire incontro alle esigenze dei consumatori. Noi non riteniamo che il fatto di rendere più ampia la possibilità di pubblicità agevoli qualcuno. Siamo piuttosto preoccupati - e preannuncio fin d'ora che presenteremo un apposito ordine del giorno - che l'estensione della possibilità di pubblicità nonPag. 39vada proprio a favore dei consumatori, che sono i soggetti che attraverso questo provvedimento miriamo a difendere.
Noi riteniamo, infatti, che il veicolo pubblicitario sia talvolta il sistema con il quale si porta a conoscenza dei consumatori l'esistenza di un determinato servizio o di un determinato prodotto; talaltra, come accade ad esempio in tema di tariffe telefoniche, che esso costituisca un modo, nella giungla pubblicitarie delle offerte, per confondere il consumatore. Che ciò possa avvenire per le tariffe telefoniche costituisce già di per sé un elemento di riflessione; se ciò poi avviene con riferimento a professioni che definisco delicate, quale quella legale e quella sanitaria, allora è necessaria un'ulteriore riflessione.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 16,25)
ELIAS VACCA. Si tratta, infatti, di settori nei quali non sempre la migliore offerta economica o la prospettazione di titoli accademici, di risultati processuali o sanitari, rappresenta un indubbio vantaggio per il consumatore. Bisogna, quindi, stare molto attenti e vigilare, affinché in questi settori la pubblicità sia fatta in modo tale da non andare a detrimento della possibilità per il consumatore di verificare quali siano veramente i servizi offerti, quale sia il giusto valore da attribuire ad essi e quale sia il ventaglio di professionisti ai quali ci si può affidare per la risoluzione di un determinato problema.
Vorrei dire, inoltre, quanto alla materia dell'evasione ed elusione fiscale, che abbiamo posto una particolare attenzione sulla norma di cui all'articolo 35, una delle più travagliate del presente decreto-legge.
Ho avuto modo di leggere quanto è accaduto al Senato e quali osservazioni sono state formulate presso la Commissione giustizia, come pure in altra sede. Si è osservato in modo pertinente che, se è vero - mi permetto di definirla con espressione forse un po' fantasiosa - che la moneta «controllata», e quindi il ricorso sempre più raro ai contanti, inibisce l'evasione e l'elusione fiscale, lo è pure il fatto che attuare in un determinato modo il controllo del passaggio delle somme di danaro potrebbe rivelarsi sotto certi profili un rimedio peggiore del male.
Mi domando, proprio nell'interesse dei ceti sociali cui faccio riferimento, se sia opportuno e corretto in ogni caso imporre ai consumatori che essi siano dotati di un conto corrente, o comunque di un sistema che è oneroso sia per chi riceve il pagamento sia per chi deve farlo (ed è in alcune aree del nostro paese ancora difficile da realizzare), se questo cioè sia l'unico modo in cui quel tipo di controllo possa essere effettuato.
Credo si possa pensare, temporaneamente, ad un controllo intermedio, come è stato fatto, ad una franchigia che renda obiettivamente attuabile il sistema. A tale proposito, rispetto alla modifica che ha previsto mille euro per il primo anno, 500 per il secondo e 100 per il terzo, devo dire che, mentre per un verso i mille euro del primo anno possono essere anche una cifra generosa, il fatto di stabilire una franchigia alla fine un po' più alta per quel tipo di pagamenti non preclude niente sotto il profilo dell'accertamento fiscale, ma aiuta quelle persone che ritengono, del tutto rispettabilmente, di non dover intrattenere necessariamente rapporti con le banche, o con le poste che diventano banca, e consenta che venga rispettato il diritto alla privacy per alcuni tipi di prestazioni.
Mi riferisco, per fare un esempio, alle prestazioni presso psichiatri o psicanalisti, che il più delle volte vengono pagate seduta per seduta, al fatto che non è molto simpatico che il direttore della locale filiale, postale o bancaria, sappia che il deputato Elias Vacca va dallo psichiatra tutte le settimane e che paga 100 euro a seduta. Vi sono quindi alcuni punti che si possono correggere.
Al contempo, a nome dei Comunisti italiani, invito il Governo ad adottare altri provvedimenti che vadano nella direzione di un migliore accertamento delle entrate dei professionisti e dei commercianti.Pag. 40Come si può fare? Poco fa, un collega di una parte non certamente molto vicina alla nostra - mi pare il collega Forlani - ha parlato di un argomento che in altri paesi, non certamente comunisti, è già all'ordine del giorno, cioè del fatto di trasformare i cittadini in controllori dei professionisti, dei commercianti attraverso un meccanismo che renda il consumatore controinteressato sotto il profilo fiscale rispetto a chi eroga la prestazione.
Solo per citare un esempio, probabilmente rozzo, in questo paese, nel quale a volte l'attività legale è un «accidente» che si scarica sui nostri concittadini, visto il numero di norme che esistono sia in materia giudiziaria stretta sia in materia fiscale, sopravvivere senza far ricorso agli avvocati e ai commercialisti diventa un'impresa difficilissima, posto che esiste un sistema, ed una legislazione, che impedisce, anche ai più istruiti di noi, di compilare correttamente la dichiarazione dei redditi; ebbene se costruiamo un sistema nel quale chi deve fare ricorso a tali prestazioni abbia, come cittadino (come già ha) e anche come singolo contribuente, un controinteresse rispetto a chi eroga la prestazione, sarà più facile la lotta all'evasione.
Infatti, se un cittadino, per esempio, imputato in un procedimento penale, potesse dedurre, anche soltanto pro quota, in ragione della metà, ciò che ha speso nella propria difesa, se potesse avere, quindi, un incentivo per obbligare il professionista al rilascio della fattura, dal punto di vista del cittadino che chiede la fatturazione, avremmo, da una parte, un soggetto con un'aliquota fiscale più bassa che usufruisce anche soltanto per il 50 per cento in termini di detrazione della spesa che ha effettuato e, dall'altra, un professionista con un'aliquota fiscale indubitabilmente più alta e che sarebbe obbligato al rilascio di una fattura sulla quale si potrebbe attuare il meccanismo della ritenuta. Avremmo, quindi, un cittadino consumatore che, nell'interesse del suo paese, controlla che i professionisti ed i commercianti facciano le fatture e paghino le tasse. A nostro giudizio, questa sarebbe una svolta importante e significativa.
Vorrei spendere qualche altra parola su una modifica, che ho apprezzato, apportata all'articolo 21. Tutti ci siamo resi conto che la revoca immediata della delega a Poste italiane avrebbe comportato una stasi pericolosissima nei procedimenti giurisdizionali. Infatti, chi frequenta le cancellerie da professionista, da dipendente o da cittadino sa bene che non poter far ricorso a quel tipo di anticipazione significa bloccare le notifiche, in sede penale e civile, allungare mostruosamente il costo dei procedimenti e non far funzionare il sistema. È stato apprezzabile che, sulla scorta dei pareri resi, il Governo abbia ritenuto di modificare l'articolo 21 (al riguardo, preannuncio la presentazione di un ordine del giorno da parte dei Comunisti italiani). Credo che su ciò occorra fare un'altra verifica, nell'interesse non dei professionisti, ma dei cittadini e, particolarmente, della povera gente.
L'articolo 21 prevedeva l'anticipazione anche per le spese relative ai procedimenti giudiziari che fossero valutati con il patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti. È fatto noto che al patrocinio per i non abbienti accedano persone che hanno un'effettiva difficoltà economica e che, molto spesso, quei procedimenti siano trattati da professionisti che sicuramente non sono ai vertici della scala gerarchica che abitualmente si costruisce nelle professioni.
Allora, togliere quella delega e portare nella contabilità ordinaria dello Stato quel tipo di spesa può essere un esperimento pericoloso. L'ordine del giorno invita il Governo a monitorare sugli effetti in termini di tempi rispetto all'effettiva erogazione di quella spesa. Non vorremmo, infatti, che il dover attendere tempi troppo lunghi rappresentasse un disincentivo anche per questi giovani professionisti ad occuparsi di quella materia e che la difesa dei meno abbienti venisse gradualmente allontanata e scartata con sdegno dai professionisti.Pag. 41
L'ultima considerazione riguarda l'apertura, in questi giorni, di un grande e corposo dibattito con alcuni ordini professionali su un'importante modifica apportata al regime delle tariffe. Questa modifica attiene all'abolizione della tariffa minima sulla quale, obiettivamente, l'Unione europea ha messo in mora lo Stato italiano, con riferimento alla maggiore difficoltà che incontra il professionista straniero che volesse stabilirsi ed esercitare in Italia o rispetto alla scelta da parte del cliente straniero tra un professionista italiano ed uno straniero, ritenendo che una tariffa predeterminata, sia pur nei minimi, costituisca un ostacolo. Per altro verso, è stato introdotto il cosiddetto patto di quota lite, abolendo il relativo divieto.
Credo che questi argomenti che oggi il Governo, attraverso la decretazione d'urgenza, porta alla nostra attenzione meritino di essere monitorati.
Proprio a causa della distanza che per troppo tempo ha separato gli ordini professionali dai cittadini e dalla politica, è difficile un'interlocuzione che abbia luogo dopo reiterate messe in mora da parte dell'Unione europea. Credo, tuttavia, che la situazione meriti in qualche modo di essere monitorata.
So che alcuni colleghi hanno presentato o stanno per presentare proposte di legge volte al riordino complessivo delle professioni (ho avuto occasione di leggere quella presentata dal collega Mantini e ritengo che essa costituisca un tentativo compiuto e molto interessante). Ebbene, credo che esse permetteranno al Governo di rivalutare questi fenomeni mediante un meccanismo di concertazione con gli ordini professionali.
Il disegno di legge sulla class action è uno strumento che, già importantissimo, diventa ancora più importante a seconda di come si pensi di dare realizzazione al nuovo istituto. Ritengo che coinvolgere in tali azioni esclusivamente le associazioni dei consumatori ed i grandi gruppi, le associazioni bancarie ed assicurative sia limitativo rispetto a ciò che vogliamo ottenere per i nostri concittadini. Ho già sentito, al riguardo, l'opinione di alcuni colleghi dell'opposizione. Anch'io credo che il meccanismo possa essere decongestionato valutando un maggiore ventaglio di possibilità rispetto a quello costituito dalla sola class action.
Appare molto convincente la disposizione volta a contrastare, in materia di servizi assicurativi relativi al ramo della responsabilità civile, il mandato di distribuzione in esclusiva. La ratio è stata esposta dal ministro ed io la ritengo persuasiva (peraltro, da questo punto di vista, la norma è di facile lettura). L'Italia è il paese in cui esiste l'assicurazione obbligatoria RC auto: per legge, tutti la dobbiamo obbligatoriamente stipulare dal 1969. L'Italia è anche il paese in cui, fino a questo momento, nessun rimedio ha portato all'abbattimento delle tariffe assicurative. Credo che questa valutazione non richieda grandi elucubrazioni (tutti possediamo un'automobile e stipuliamo una polizza per l'assicurazione della responsabilità civile): ogni anno, ci stupiamo del fatto che, ad onta delle annunciate diminuzioni, il costo della polizza aumenta. Non so quali elementi facciano lievitare i premi - tasso di sinistrosità, introduzione del danno biologico, compensi erogati per spese e competenze legali -, ma il dato è che i premi aumentano.
Noi siamo anche gli assicurati più fidelizzati (misteriosamente, sebbene il costo della polizza aumenti, noi siamo sempre più affezionati alla nostra compagnia). Evidentemente, qualcosa non funziona sotto il profilo dell'offerta. Un'analisi ha messo in risalto che ci affidiamo più all'agente che alla compagnia. Siamo persino renitenti a verificare on line quali compagnie ci farebbero risparmiare: non ci fidiamo di tale mezzo e, per cultura latina, siamo ancora condizionati dall'idea del rapporto intuitu personae con l'agente. È evidente che, quanto più ampliamo la possibilità per lo stesso agente di fare offerte diverse e rendiamo trasparenti le percentuali, gli aggi che spettano agli agenti sulle singole polizze, tanto più avremo la possibilità di ottenere significativi risparmi.Pag. 42
Per chiudere con una valutazione sul complesso del provvedimento, è evidente che esso non può contenere tutto: il provvedimento contiene ciò che di maggiormente urgente vi era. Vi sono state - e le ho apprezzate, perché così si ritorna al metodo della concentrazione - significative aperture del Governo nella direzione in precedenza indicata. Allora, io sono convinto che il rapporto tra il Governo, il sistema politico in generale e le associazioni dei consumatori, i singoli consumatori, gli ordini professionali, le associazione dei commercianti ed anche quelle delle banche e delle assicurazioni non si potrà misurare (non ha senso che si misuri) su un provvedimento adottato nella forma del decreto-legge (perché l'Unione europea ci ha messi in mora). La possibilità di riprendere l'interlocuzione e di intervenire significativamente nella materia si aprirà, a nostro avviso, in autunno, quando verranno presentate le proposte di legge alle quali facevo riferimento; quando il Governo potrà dimostrare se vi sia effettivamente la volontà di interlocuzione anche con gli ordini professionali; quando finirà il tempo della pur giustificabile e comprensibile agitazione e tornerà il tempo del dialogo. Credo che, con la ripresa del dialogo, ciascuno potrà convincersi del fatto di non essere soltanto farmacista, ma anche farmacista che poi usufruisce del servizio taxi e di quello degli avvocati; dunque, tutti cesseranno di pensare di essere soltanto quello che, come diceva Guicciardini, nel loro «particulare» sono, e si ricorderanno di essere tutti cittadini italiani. Probabilmente, un parlarsi più franco ed una più marcata disponibilità, non solo ad interessarsi della propria categoria, ma a vedere quali sono le ricadute sul sistema complessivo, potrà riaprire una stagione di concertazione e di dialogo anche con il Governo. Preannuncio con questo - lo diranno altri colleghi dopo di me - che, come Comunisti Italiani, voteremo a favore della conversione in legge del decreto in esame.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ossorio. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE OSSORIO. Signor Presidente, in modo molto essenziale voglio intervenire sui tre punti che riguardano il decreto-legge in discussione. Intanto, devo dire che si è contestata l'assenza del requisito di urgenza, necessario per il ricorso allo strumento della decretazione, nell'adozione delle misure di liberalizzazione previste dal decreto Bersani. Invece, io mi dichiaro d'accordo con la replica del sottosegretario Giaretta, in occasione di una seduta nella Commissione bilancio al Senato, il quale afferma che l'introduzione di misure di liberalizzazione dei mercati e l'incentivazione della concorrenza e della trasparenza nel meccanismo di formazione dei prezzi sono obiettivi che figurano al primo punto del piano per l'innovazione, la crescita e l'occupazione, piano sottoscritto dall'Italia in ambito comunitario. Da ciò, la necessità e l'urgenza di offrire un segnale forte all'Unione europea, attraverso l'emanazione di questo decreto, circa l'impegno dell'Italia a dare piena attuazione agli accordi presi. Quindi, mi sembra opportuno e necessario che sia emanato un decreto-legge; non sono d'accordo con i colleghi che invece negano questa necessità.
In secondo luogo, si è contestata al ministro Bersani la portata limitata dell'intervento sulle liberalizzazioni, affermando che questo si è concentrato su aspetti marginali della nostra economia. Il ministro ha risposto - e a mio avviso bene, non ho motivo di non riconoscergli la volontà di perseguire concretamente la strada delle liberalizzazioni - che questo è solo il primo passo verso un processo di liberalizzazione molto più ampio. Devo rilevare che il ministro Bersani ha già presentato un disegno di legge ed un disegno di legge delega sui servizi pubblici locali nonché un disegno di legge delega sui problemi dell'energia, e questo secondo punto non mi pare di poco conto.
Condivido l'inversione di tendenza impressa dalle previsioni contenute nel decreto-legge Bersani e rimango quindi fermamente convinto della necessità che ogni ulteriore processo di liberalizzazione e di incremento della concorrenza sia ponderatoPag. 43con l'obiettivo di un duraturo rilancio del sistema economico e non affrettato da contingenti necessità di cassa. In tal senso, ritengo che bisogna guardare con interesse non tanto e non solo alla cosiddetta «agenda Giavazzi», ma anche al tentativo di introdurre un forte tasso di liberalizzazione nel settore dell'economia italiana. Purtroppo, in Italia si giunge con notevole ritardo in questa fase, se si pensa che la propensione alla liberalizzazione è ormai passata ed è nella storia delle economie dei paesi anglosassoni. Proprio la mancanza di un'ottica di lungo periodo, nel passato, ha fatto sì che le privatizzazioni realizzate negli anni Novanta non abbiano pienamente raggiunto i risultati attesi.
Spingiamo, invece, spingiamo con forza perché oggi la regolamentazione e la riorganizzazione dei settori chiave della nostra economia ancora in mano pubblica, così com'è sono resi soggetti operanti sul mercato in concorrenza con gli altri operatori, si compiano senza ricorrere a dismissioni poco ponderate che, già in passato, si sono tradotte nella creazione di monopoli privati in sostituzione di quelli pubblici. Questo, mi sembra che sia un punto essenziale del ragionamento che noi dovremmo condurre in quest'aula; infatti, lo stesso ministro dell'economia Padoa Schioppa, in occasione dell'audizione presso le Commissioni riunite finanze di Camera e Senato, ha sostenuto l'inopportunità dell'ingresso di capitale privato in ENI ed Enel perché sarebbero sottoposti - come giustamente rileva il ministro - ad un rischio OPA, proponendo una nuova strategia in grado di accrescere la qualità e le performance delle società a partecipazione privata.
Entriamo, quindi, brevemente nel merito di alcune considerazioni a favore delle principali liberalizzazioni che - secondo me - rappresentano soltanto un primo passo verso questo orizzonte.
La liberalizzazione della vendita dei farmaci offre maggiore possibilità di reperimento dei farmaci da banco sul territorio e maggiori sbocchi professionali per farmacisti al momento disoccupati. In Europa - voglio ricordarlo, ma a voi tutti è noto; quindi, lo ricordo soltanto a me stesso e affinché rimanga agli atti - accanto a paesi come l'Italia e la Francia, in cui la vendita è consentita solo all'interno delle farmacie, ne esistono altri con regole più permissive: nei paesi anglosassoni e in quelli scandinavi la vendita si effettua anche al di fuori delle farmacie, anzi è ammessa anche quella via Internet e per posta; la legislazione della Spagna prevede che in alcuni supermercati esistano i reparti farmacia - questo lo sappiamo perché l'abbiamo letto più volte sui giornali - e lo stesso possiamo dire della Germania; il Portogallo, la scorsa primavera, ha deciso di prendere la strada della liberalizzazione dei farmaci; in Gran Bretagna la legge permette al supermarket e in altri negozi simili di vendere medicinali da banco.
La liberalizzazione delle vendite dei medicinali da banco era già stata oggetto di discussione lo scorso 26 gennaio in occasione di un incontro tra i vertici di Federfarma e il Presidente dell'antitrust, Antonio Catricalà e, in tale occasione, era stato raggiunto un accordo di massima relativo ad alcune questioni sollevate dall'Antitrust: quelle riguardanti i farmaci generici e le confezioni monodose.
Occupiamoci ora dei taxi : su ciò si è letto di tutto e di più. Le riforme apportate in materia di gestione delle licenze per i tassisti, anche considerando le modifiche apportate dal Governo a seguito del confronto con la categoria - confronto giusto e opportuno che sarebbe stato sbagliato non fare - presentano una grande opportunità di miglioramento dei servizi offerti agli utenti. In generale, il principale problema riscontrato non è stato quello di una complessiva insufficienza delle vetture, ma il fatto che, durante alcuni picchi di domanda, le auto disponibili non riescono a soddisfare tutte le richieste.
Tuttavia devo rilevare che sarebbe estremamente negativo se l'annuncio delle liberalizzazioni dovesse concludersi solo ed esclusivamente in questi due settori che - diciamocelo con grande franchezza - non rappresentano la vera sostanza del problema; quindi, è stato giusto ed importantePag. 44iniziare, ma non sono questi i due settori nevralgici dell'economia italiana. Bisogna convenire, con molta onestà intellettuale, che finora le privatizzazioni si sono tradotte in veri e propri monopoli che irrigidiscono il libero mercato e hanno procurato nell'esperienza italiana delle sacche di rendite finanziarie che si sono tradotte in una generale diseconomia.
Voglio ricordare l'intervista rilasciata a Il Sole 24 Ore dal ministro Bersani, nella quale il ministro ha fatto cenno ai fondi di sostegno, che considero un fatto positivo. Rientrano in tale capitolo le disposizioni per il finanziamento dell'ANAS e delle Ferrovie dello Stato. Appaiono rilevanti anche i tre fondi per il sostegno ai tre settori individuati nell'articolo 19. Ritengo dunque che in tal senso il Governo stia lavorando con solerzia, con forza, pur comprendendo di giungere in ritardo a questo appuntamento rispetto all'economia generale degli altri paesi.
Occorre inoltre evidenziare alcuni aspetti riguardanti le misure di contenimento e di razionalizzazione della spesa pubblica. Tali articoli prevedono la riduzione di spesa con riferimento ai seguenti settori: la Presidenza del Consiglio, le spese di giustizia, gli enti e gli organismi pubblici non territoriali, i comitati e le commissioni, gli enti locali.
Genera allarme la previsione di ulteriori tagli per spese di funzionamento a carico delle università e degli enti di ricerca. So bene di trovare grande sensibilità nel Governo e, in particolare, nei rappresentanti dell'esecutivo oggi presenti in aula, ma vorrei sottolineare che i tagli in generale ammontano ad una riduzione delle spese per consumi intermedi pari al 10 per cento degli stanziamenti per l'anno 2006 e comportano l'obbligo di una spesa non superiore all'80 per cento di quella iniziale dell'anno 2006, durante il triennio 2007-2009. Tali enti - tra i quali rientrano anche le università - sono già stati oggetto di interventi per il contenimento della spesa negli ultimi due anni e a tal proposito noi del centrosinistra dicemmo già al Governo Berlusconi che stava sbagliando, in quanto ciò significa accelerare la fine di luoghi esclusivi nei quali vi è la necessità, viceversa, di un impegno molto forte. Ebbene, tale contenimento - 120 milioni di euro con la finanziaria 2005 e 180 milioni di euro con il decreto-legge n. 203 - è negativo. La norma ha provocato sconcerto nel mondo universitario.
Vorrei ricordare la bella intervista rilasciata dal professor Guido Trombetti - presidente della Conferenza dei rettori, nonché rettore dell'università Federico II - a Il Mattino di Napoli, nella quale afferma che questi ulteriori tagli, misurabili in non meno di 200 milioni di euro, dall'anno prossimo avranno conseguenze devastanti sulla qualità della didattica e della ricerca, poiché incidono su costi ormai incomprimibili.
L'incomprimibilità di tali spese non è un semplice slogan; infatti lo stesso Servizio studi della Camera ha messo in dubbio i dati presentati nella relazione tecnica di accompagnamento. Il dossier del Servizio studi prevede che questo continuo far carico agli enti pubblici non territoriali di obiettivi di risparmio sempre sulla stessa categoria di spesa porta a dubitare dell'effettiva conseguibilità degli importi di minore spesa ipotizzati dalla relazione tecnica.
Aggiungo - se me lo consentite - che tali importi sono calcolati in base ai risultati ottenuti dai precedenti tagli, sui quali - come afferma il Servizio studi della Camera - appare pertanto necessario un chiarimento da parte del Governo.
Nello stesso dossier è sempre possibile, inoltre, leggere che, poiché, comunque, le riduzioni in questione possono incidere negativamente sulla funzionalità degli enti interessati, andrebbe precisato se eventualmente e in che misura tale effetto possa riflettersi sul perseguimento delle missioni istituzionali degli enti medesimi (e io alludo sempre alle università). La stretta fiscale applicata a tali enti risulta ulteriormente aggravata se poi l'articolo 22 del provvedimento viene letto in combinato con le disposizioni contenute nell'articolo 26. Quest'ultimo introduce un meccanismo sanzionatorio per le ipotesi di mancato rispetto della regola sul contenimentoPag. 45delle spese da parte degli enti pubblici non territoriali. Vi risparmio il resto, perché è a voi noto. Ma è un grido d'allarme che lancio nei confronti delle università, che mi sembrano essere tra le pochissime risorse valide nel nostro paese, cui dobbiamo prestare molta attenzione. Chi vi parla è stato nel centrosinistra negli anni scorsi e ha combattuto contro il Governo Berlusconi, sia pure a livello periferico, quando ha visto decurtare finanziamenti importanti per gli enti di ricerca e per le università. Si inserisce, quindi, un meccanismo sanzionatorio automatico che non ripeto, perché non mi sembra opportuno. Un simile intervento lascia, quindi, perplessi. Tra gli enti individuati dal decreto-legge, infatti, oltre alle università - lo ricordo a me stesso - vi sono l'ENEA, l'Icram, il CNR. È inutile continuare in questo senso.
Ho affermato che nel cosiddetto decreto-legge Bersani vi sono luci ed ombre. Ho fatto riferimento all'ombra sulle università; ora, vorrei citare le luci ed illustrarle agli onorevoli componenti la nostra Assemblea.
Risulta pienamente condivisibile la strategia di riduzione della spesa indicata dalle previsioni contenute nell'articolo 29 del provvedimento (a tal proposito sono perfettamente d'accordo) relative al contenimento della spesa per commissioni, comitati ed altri organismi. In tal caso, pur stabilendo un taglio del 30 per cento della spesa ad essi destinata, si individua contemporaneamente un percorso di riduzione caratterizzato dalla riorganizzazione sia strutturale sia funzionale: questo è un fatto positivo.
Infine - e mi avvio alla conclusione - vorrei discutere brevemente sul titolo III. A mio giudizio, sono apprezzabili - e le condivido tutte - le misure introdotte dal Governo per la lotta all'evasione e all'elusione fiscale. Si condivide sia la scelta di introdurre una sanzione dai sei mesi ai due anni per l'omesso versamento IVA e per l'utilizzazione di compensazioni di crediti non spettanti o inesistenti, sia la previsione di alcune disposizioni specifiche. In particolare, risultano condivisibili le norme relative alla non detraibilità dell'IVA e deducibilità dell'IRES per gli acquisti di veicoli che possono essere destinati anche ad altro uso, nonché quelle che definiscono limiti all'ammortamento anticipato di tali veicoli.
Positiva è, a mio avviso, la scelta di considerare interamente imponibili tutti gli utili provenienti da società residenti in paesi esteri - lo sottolineo: è un fatto molto importante - e quella relativa all'esclusione dell'applicazione delle disposizioni in materia di deduzioni per oneri di famiglie cosiddette «no tax area».
Considero poi particolarmente utili le disposizioni volte a creare un sistema di incentivi per l'emersione di talune attività. Rientrano in quest'ambito le previsioni che subordinano l'applicazione delle agevolazioni per recupero del patrimonio edilizio alla condizione che il costo della manodopera sia riportato distintamente nella fattura da quelli che consentono la detrazione parziale, nella misura del 19 per cento, dei compensi pagati ad intermediari immobiliari.
Molto dibattuta è stata la nuova disciplina che prevede un'intensificazione dei controlli da realizzarsi anche mediante la raccolta di un maggior numero di informazioni da parte dell'anagrafe tributaria e dall'Agenzia delle entrate. Lungi dal voler sottovalutare l'importanza del diritto alla privacy dei cittadini, si è consapevoli del fatto che, nella lotta all'evasione ed all'elusione fiscale, le informazioni relative ai contribuenti rappresentano un supporto fondamentale nell'azione di controllo. In ogni caso, si tratta di informazioni che entrano nella disponibilità di pubbliche amministrazioni che hanno tutte adottato per legge un codice del trattamento dei dati personali.
Tuttavia, da un punto di vista finanziario, genera in me qualche perplessità, signor rappresentante del Governo, quanto previsto dai commi 33 e 35 dell'articolo 37 del decreto-legge in esame, disposizioni che entrano in vigore dal 1o gennaio 2007. Qualche difficoltà a comprendere l'effettiva portata di questa parte mi sovviene e devo porgerla con forza.Pag. 46
Nel corso dell'esame del provvedimento presso la Commissione bilancio del Senato è stato, inoltre, approvato un emendamento che istituisce un credito d'imposta in favore dei contribuenti che effettuano l'adeguamento tecnico dei misuratori fiscali finalizzato all'invio telematico dei corrispettivi. In base a quanto segnalato dal Servizio studi della Camera - e concludo veramente - il problema risiede nel fatto che non è prevista alcuna quantificazione degli oneri derivanti da tale credito, né la sua copertura finanziaria. Inoltre, sembra che il Governo dia per scontato che l'Agenzia delle entrate riuscirà a gestire questa maggiore quantità di dati ricevuta con l'utilizzo delle risorse umane ed informatiche già a sua disposizione senza incorrere in ulteriori costi. Per mia esperienza professionale, signor rappresentante del Governo, ciò sarà molto, ma molto, difficile.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Ossorio, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare il deputato Cota. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo provvedimento giunge all'esame della Camera dopo un travagliato iter caratterizzato anche da una protesta nel paese da parte delle diverse categorie produttive. La prima considerazione che vorrei svolgere è legata ad un equivoco che si è creato anche grazie all'utilizzo di mezzi di informazione che su questo punto definirei decisamente compiacenti.
Questo decreto-legge è stato presentato come un provvedimento sulle liberalizzazioni. È stato scientificamente presentato in questo modo per cercare di creare un consenso perché, obiettivamente, sulle liberalizzazioni, non dico tutti, ma in molti sono d'accordo in riferimento al principio. Peccato che il provvedimento non rechi affatto liberalizzazioni in taluni servizi, ma vada nel senso esattamente contrario: non solo non crea liberalizzazioni, ma in settori che erano sostanzialmente liberalizzati crea situazioni di nuovi monopoli o di nuovi oligopoli.
Questo lo vediamo chiaramente con riferimento alle categorie professionali che, per esempio, oggi sono scese in piazza (i farmacisti, gli avvocati, i tassisti, i panificatori). Oggi abbiamo un sistema che, con riferimento, per esempio, alla professione legale, è basato su tanti avvocati, su tanti piccoli e medi studi, soprattutto nelle realtà di provincia (e su questo punto ho una competenza diretta). Il provvedimento vuole - ad esempio, abolendo i minimi tariffari, il divieto di pubblicità e il divieto di patto di quota lite - soppiantare il meccanismo basato sui piccoli studi, cioè su una pluralità di professionisti, e sostituirlo con un altro meccanismo, basato, invece, sui grandi studi. Questi ultimi si impianteranno nelle grandi città secondo un modello americano, creando un sistema di nuovo oligopolio mai esistito fino ad oggi nella professione forense, con il risultato che i nostri avvocati, soprattutto i giovani, dovranno andare a lavorare a libro paga per i grandi studi multinazionali e la nuova situazione di oligopolio creerà dei danni soprattutto ai consumatori. Infatti, si creeranno i cartelli tra i grandi studi, l'esercizio dell'attività di consulenza e di assistenza legale sarà svolta secondo meccanismi che assomigliano molto a quelli che, per esempio, si sono instaurati nei rapporti banca-cliente, facendo venir meno quel rapporto di tipo fiduciario che oggi esiste. Comunque, scordiamoci di avere una diminuzione delle tariffe ed un miglioramento della qualità dei servizi!
Lo stesso possiamo dire con riferimento ai farmacisti. Sappiamo che cosa vuol dire la vendita dei farmaci da banco all'interno dei supermercati. Sappiamo che ci saranno supermercati e grandi catene di distribuzione che si specializzeranno nella vendita di farmaci ed anche qui, insieme allo sconto dichiarato, ci sarà, invece, la creazione di nuovi oligopoli.Pag. 47Senza contare, signor Presidente, signori rappresentanti del Governo - mi dispiace che non ci sia il ministro Bersani - che anche un bambino di cinque anni, di fronte a questo tipo di provvedimento, capirebbe quali appetiti si scateneranno; anche un bambino di cinque anni capirebbe come il sistema delle cooperative rosse già si sta scatenando per poter gestire il gigantesco business dei farmaci venduti all'interno dei supermercati!
Lo stesso meccanismo riguarda i tassisti. Anche se il provvedimento è stato in qualche modo temperato - se nel corso dell'intervento avrò tempo a disposizione, cercherò di fare alcune osservazioni più puntuali in merito -, l'impianto e il disegno sono gli stessi. Superare il meccanismo di una licenza - una macchina, un taxi, un tassista - e dare la possibilità di creare delle concentrazioni farà sì che nelle grandi città ci saranno una o due cooperative di tassisti; ovviamente, decideranno loro i prezzi o, quantomeno, i prezzi saranno decisi dal comune, ma in futuro essi avranno sicuramente un potere contrattuale in questo senso.
Quindi, per cortesia, smettete di dire che questo è un provvedimento di liberalizzazione; smettete di prendere in giro i cittadini e di utilizzare economisti che raccontano qualsiasi cosa pur di sostenere il potere e di essere compiacenti nei confronti del Governo! Questo non è un provvedimento di liberalizzazione, mentre noi sulle liberalizzazioni saremmo assolutamente disponibili a discutere, a confrontarci anche con coerenza, e a votare determinati provvedimenti, se fossero nell'interesse dei consumatori!
Questo provvedimento, se non è finalizzato a promuovere la liberalizzazione, a cosa è finalizzato? Signori rappresentanti del Governo, si tratta di un provvedimento che va contro non solo i cittadini - e per questo lo riteniamo profondamente sbagliato -, ma anche alcune categorie produttive. È una dichiarazione di guerra del Governo nei confronti di alcune categorie e non si tratta di persone che meritano di essere colpite perché si trovano in una situazione di privilegio. Si tratta di categorie di persone che lavorano. I tassisti sono persone che lavorano! Gli avvocati sono persone che lavorano! I farmacisti sono persone che lavorano! I panificatori sono persone che lavorano! Si tratta, quindi, di categorie produttive. Gli imprenditori sono persone che lavorano, soprattutto i piccoli e medi imprenditori, nei confronti dei quali vi è un aggravamento burocratico che si insinua nelle pieghe dei vari articoli sulle modifiche fiscali che avete inserito.
Le norme più negative che abbiamo individuato fanno riferimento alla vicenda degli avvocati. Vi è il rischio che la professione forense diventi un far west; se la professione forense viene trasformata in una professione imprenditoriale e se non vengono poste delle regole nell'esercizio della stessa attività, si rischia veramente di schiacciare il più debole ed il più debole in questo caso è il cittadino che si rivolge un domani non più al singolo avvocato, ma ai grossi studi legali.
Pensate cosa vuol dire togliere il divieto di patto di quota lite! Un domani, un cittadino responsabile di un incidente stradale, dopo essersi recato in un grosso studio, può firmare un documento senza conoscerne i contenuti; poiché lo stesso non ha i soldi per provvedere alla difesa, gli si dice che pensa a tutto lo studio. Molti di noi, quando per esempio si recano in banca e firmano i contratti per aprire i conti correnti, non sanno esattamente cosa firmano nella miriade di clausole. Allora, vogliamo trasformare l'esercizio della professione legale, anche con riferimento alla tutela dei diritti, in questo far west (perché ritengo che non sia un qualcosa di positivo, bensì di assolutamente negativo)?
È, altresì, devastante, sempre con riferimento alla professione dell'avvocato, ma lo è ancor più nei confronti dei cittadini, la norma che avete previsto all'articolo 21, con la quale avete escluso l'anticipazione, da parte degli uffici postali, delle spese di giustizia.
Perché è stata introdotta questa norma? Tutti noi lo sappiamo. Questa norma è stata introdotta perché le poste sono debitrici nei confronti dello Stato di moltissimiPag. 48milioni di euro. Lo Stato ha speso troppo in spese di giustizia, perché, con riferimento a quel capitolo, che dovrebbe servire ad anticipare le spese di giustizia (tanto per essere chiari, quelle che attengono al gratuito patrocinio, alle parcelle degli avvocati per la difesa del gratuito patrocinio) non ci sono più i soldi, visto che sono stati spesi per le intercettazioni telefoniche!
Nel 2005, signor Presidente e colleghi, sono stati spesi 307 milioni di euro per le intercettazioni telefoniche e le inchieste, dalle quali è emerso - come abbiamo appreso dai giornali - che il principe Vittorio Emanuele di Savoia aveva delle amanti e che vi sono state particolari frequentazioni di alcuni dirigenti della RAI, sono costate al contribuente più di cinque milioni di euro.
Allora, per soddisfare questo tipo di «appetiti», che interessano molto di più i giornali e, forse, molto di meno le esigenze della giustizia, il risultato è che non ci sono più soldi per pagare il gratuito patrocinio. Su ciò una riflessione dovremmo farla. Abbiamo presentato un emendamento a questo provvedimento per ripristinare le anticipazioni, ma anche per regolamentare le spese per le intercettazioni telefoniche. Il principio dovrebbe essere semplice, tuttavia non si capisce perché i discorsi semplici non si possano fare. I magistrati, i pubblici ministeri ed il giudice per le indagini preliminari, sono cittadini come gli altri, che hanno responsabilità pure importanti e, come tutti cittadini che sono demandati ad una responsabilità pubblica - considerato che tengono molto a tale tipo di approccio e di qualificazione -, atteso che spendono denari pubblici, debbono essere responsabili e devono avere un budget. Se uno fa il sindaco di una grande città ha un bilancio che deve rispettare quando amministra i suoi cittadini. Il Presidente del Consiglio ha un bilancio dello Stato, capitoli di bilancio che presiedono alle sue attività. Ed è così a tutti i livelli, arrivando ai direttori generali e agli amministratori delegati delle diverse aziende. Dunque, non si capisce perché un procuratore della Repubblica non debba avere un budget per poter disporre le intercettazioni telefoniche e non debba quindi programmare entro tale budget il suo lavoro e provvedere alle esigenze di investigazione. Si può capire che vi siano spese di carattere eccezionale; per carità, non si vogliono limitare alcune inchieste che possono essere particolarmente delicate: per questo tipo di inchieste si potrà «sforare» tale budget e si chiederà l'autorizzazione al procuratore generale della Repubblica. Noi tale meccanismo l'abbiamo previsto, con un emendamento che abbiamo presentato. Ciò per dire che bisogna sempre cercare di essere costruttivi e cercare di prospettare soluzioni.
Onorevoli colleghi, l'articolo 21 del provvedimento in esame è davvero completamente sbagliato, ed ho ascoltato anche il collega Vacca ribadirlo. Perché è completamente sbagliato? Se voi bloccate le anticipazioni delle spese del gratuito patrocinio, mettete in ginocchio la categoria degli avvocati, soprattutto quella dei giovani avvocati che, quando esercitano l'attività, soprattutto nel penale, utilizzano molto il gratuito patrocinio. Vi sono avvocati che sono organizzati proprio per adempiere a tale funzione. Con il blocco delle anticipazioni, di fatto, non verranno mai pagati. Si parla, infatti, di sette-otto anni per poter ricevere i compensi professionali. Se gli avvocati non verranno pagati, dunque, chi ne farà le spese, oltre agli stessi avvocati - che sono una categoria, per carità - saranno anche i cittadini, perché proprio i cittadini meno abbienti avranno un diritto di difesa che non sarà effettivo. Infatti, quando uno si rivolge ad un avvocato che in realtà non è pagato, per carità, vi potrà essere tutta la disponibilità del mondo di tale avvocato, ma ciò inciderà sull'effettività del diritto di difesa. Pertanto su ciò bisogna intervenire.
Cercate di essere seri: ve lo dico con tutta onestà, senza fare polemica più di tanto, malgrado il nostro ruolo sia quello di opposizione. Voi dite che vi sono alcuni aspetti che non vanno ed altri su cui bisogna riflettere. Io dico che si tratta di aspetti che debbono essere cambiati,Pag. 49perché il citato articolo 21 è insostenibile. Ma cambiatelo questo decreto-legge! Infatti, non possiamo, anche su questo provvedimento, per vostre beghe interne, perché voi non avete la maggioranza e non siete in grado di portare i provvedimenti in Parlamento, sentirci dire «sì, avete ragione», per poi magari farci approvare qualche ordine del giorno di indirizzo! Con la mano destra approviamo una legge sbagliata e con la mano sinistra diciamo che è sbagliata attraverso l'ordine del giorno d'indirizzo che votiamo lo stesso giorno in cui votiamo la legge. Siamo già stati abituati a questo modo di fare.
Allora, siate seri nei confronti del paese: se non avete la maggioranza parlamentare e non riuscite a gestire i provvedimenti in Parlamento, prendetene atto! Infatti, in questa sede, assisteremo - immagino -, su questo punto, come su altri, ancora una volta al balletto per cui ammettete di aver sbagliato, ma non avete neanche la capacità di correggere i provvedimenti! Infatti, so che al riguardo tutto il mondo dell'avvocatura è in rivolta e so, altrettanto per certo, che tutti voi siete ben al corrente di quanto sbagliato sia il provvedimento.
Questo provvedimento colpisce, come ho ricordato, le categorie dei tassisti e dei farmacisti. Riguardo ai tassisti, vorrei dire soltanto che l'accordo intervenuto, che è contenuto in un emendamento, è migliorativo rispetto alla situazione di partenza, in quanto prevede che prima di ricorrere al rilascio di licenze straordinarie ci si rivolga direttamente ai tassisti per chiedere di aumentare i turni di attività. Su questo punto noi presenteremo un ordine del giorno, perché questa norma non diventi lo strumento per realizzare surrettiziamente quanto avevate già in mente. Voglio essere chiaro: prima di rilasciare le licenze straordinarie bisogna avere esperito ogni possibilità di ampliamento dei turni dei tassisti che sono già in attività. Altrimenti, il rilascio di nuove autorizzazioni diventerebbe un modo troppo comodo per non regolamentare e non chiarire questo problema: basterebbe dire che non c'è alcuna possibilità di ricorrere ad un ampliamento dei turni per procedere ad una «infornata» di nuove licenze, ottenendo il risultato che voi volevate ottenere, disgregando il sistema esistente.
Per quanto riguarda sia le libere professioni sia il rapporto tra professionisti e clienti, vorrei stigmatizzare l'assurdità del fatto che tutti i versamenti a professionisti di importo superiore a 100 euro debbano essere effettuati con assegno o tramite bonifico bancario. Mi chiedo, francamente, in che mondo viviate. Probabilmente, i vostri amici sono soltanto i grandi imprenditori ed i grandi capitalisti. Abbiamo visto, nel corso della campagna elettorale, di quali appoggi goda, certamente, la sinistra. Ma vi rendete conto di quale sia il mondo delle persone normali? Vi rendete conto di quale sia il mondo dei pensionati che si rivolgono all'avvocato o a qualunque altro professionista o al medico? Vi rendete conto di come sia il mondo composto da queste persone, persone normali che non ricorrono, normalmente, ai bonifici bancari e che non richiedono prestazioni per migliaia o centinaia di migliaia di euro? Pensate che questa disposizione tenga? Essa aumenterà l'evasione fiscale, la favorirà, la indurrà! La vecchietta che andrà dal dentista e non vorrà fare un bonifico bancario si presenterà con la banconota da 100 euro e, ovviamente, pagherà in nero. Così si finirà, dove volete che si vada a finire! Avete introdotto una disposizione che è fuori dal mondo e che non solo non raggiungerà l'intento, ma stimolerà e favorirà l'evasione fiscale.
Inoltre, ho trovato, francamente, molto negativo e anche un po' deprimente il fatto che questo Governo stia cercando di raschiare il fondo del barile, ricorrendo anche ad alcune strategie che lasciano a desiderare dal punto di vista etico. Ricorrere al gioco d'azzardo per turare le falle e i «buchi» nei conti dello Stato è moralmente sbagliato. Voi avete previsto, con questo decreto-legge, la realizzazione di almeno 7 mila nuovi punti vendita di giochi d'azzardo e di almeno 10 mila nuovi centri per le scommesse ippiche. Vi farà introitare qualche soldo, ma non è certamente questo il modo di governare laPag. 50politica dei redditi e la politica dei risparmi delle famiglie. Abbiamo bisogno di incentivare il risparmio delle famiglie, soprattutto in un momento come questo. Andate a parlarne con i direttori di banca! Voi parlate soltanto con i banchieri, probabilmente; io mi riferisco, invece, ai direttori delle agenzie, cioè alle persone comuni. Vi diranno - se uscirete dal Palazzo, dai centri del potere - che è aumentato moltissimo il credito al consumo: cioè le famiglie si indebitano per comprare i televisori, per andare a fare le vacanze e via dicendo.
Dunque, c'è una situazione in cui il risparmio si sta progressivamente assottigliando, mentre andrebbe favorito. E voi come lo favorite, il risparmio? Incentivando il gioco d'azzardo? Peraltro, questo tipo di pratica rischia di prendere piede soprattutto nelle famiglie meno abbienti, perché sono queste a recarsi a giocare con le slot machine oppure a fare le scommesse veloci nei vari botteghini che volete aprire! Questo è certamente un dato estremamente negativo, che vogliamo stigmatizzare e che dimostra come uno Stato nei momenti di decadenza, per cercare di colmare le proprie falle, decida non solo di raschiare il barile ma di andare oltre.
Insomma, quello al nostro esame non solo non è un provvedimento di liberalizzazione, ma penalizza alcune categorie e i cittadini in generale. È un provvedimento che contiene tante nuove tasse, che rende più difficile l'esercizio dell'attività imprenditoriale e di quella professionale, oltre ad inserire termini macchinosi per l'esercizio dell'attività e a creare confusione, per esempio, per quanto riguarda la presentazione della dichiarazione dei redditi.
Su questo punto, mi piacerebbe conoscere il parere del presidente della Commissione attività produttive, Capezzone - ma non lo vedo in aula -, il quale ha scritto a tutti i deputati una lettera, dicendo che lui si fa paladino della semplificazione burocratica e della semplificazione legata all'inizio di una nuova attività d'impresa, rivolgendosi quindi soprattutto ai giovani imprenditori. Ma l'ha letto questo provvedimento o non lo ha letto? Questo provvedimento va esattamente nella direzione contraria. Esso esprime la concezione di uno Stato diffidente nei confronti dei propri cittadini, di uno Stato incombente, di uno Stato minaccioso, di uno Stato che vuole entrare nella vita della gente, nella vita degli imprenditori, nella vita dei professionisti, per controllarli e colpirli, soprattutto a tradimento!
Per questi motivi, noi svolgeremo un'attività parlamentare certamente di opposizione, presentando anche diverse proposte emendative, perché vogliamo evidenziare, punto per punto, i tanti gravi errori che sono stati commessi con l'approvazione di tale provvedimento. Questo atteggiamento lo dobbiamo, per rispetto alla nostra gente, verso la quale questo Governo ha aperto le ostilità con una vera e propria dichiarazione di guerra (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lulli. Ne ha facoltà.
ANDREA LULLI. Alcuni deputati dell'opposizione hanno contestato i caratteri di urgenza del decreto in esame. Voglio replicare soltanto con poche parole, perché questo certamente è un punto che deve essere chiarito. L'urgenza, cari colleghi, è data semplicemente dal disastro dei conti pubblici.
L'avanzo primario è passato dal 3,2 per cento nel 2001 allo 0,5 per cento nel 2005. Esso era dell'1,8 per cento nel 1992, anno certamente molto difficile per il nostro paese. Il debito nel 2005 è tornato a crescere, per la prima volta dal 1996, a causa della riduzione delle entrate correnti e del contestuale aumento delle spese correnti al netto degli interessi. Sarebbe interessante capire dove 2,5 punti percentuali di prodotto interno lordo siano finiti nelle spese del Governo centrale.
Questi sono i dati di una situazione che vede la pressione fiscale praticamente stabile. Oggi siamo allo stesso livello del 2001: una crescita che da qualche anno è ormai pari allo zero. Sarebbe interessante verificare - oltre al motivo per il quale ilPag. 51fiscal drag non è stato più restituito ai lavoratori dipendenti e la pressione fiscale rimane stabile - quella che è stata la politica di tagli fiscali del Governo della destra. Sicuramente scopriremmo che vi è stata una distribuzione delle risorse inversamente proporzionale al reddito: chi aveva meno ha avuto di meno, chi aveva di più ha avuto di più. Senza contare i tagli ad ANAS, Ferrovie e via dicendo, settori che con questo decreto sono stati rifinanziati, altrimenti si sarebbero fermati i cantieri che sono stati messi in attività.
Penso poi ai tagli al Fondo sociale. Vorrei dire all'onorevole Fitto che non è permesso giocare al gioco delle tre carte, rimproverando a questo Governo di non aver raggiunto i livelli di finanziamento al Fondo sociale di mille milioni di euro nel 2004 e di 950 milioni nel 2005, visto e considerato che il taglio a 600 milioni per il 2006 è stato operato dal Governo delle destre. Una tecnica di gestione dei conti furbesca, che nasconde le troppe polveri sotto al tappeto e che fa il paio con tutte quelle una tantum che hanno provocato una falla seria nella credibilità del nostro paese e dei suoi conti pubblici presso i partner europei, quella credibilità che faticosamente era stata ricostruita ai tempi dell'ingresso nell'euro. Lo ricordate lo scetticismo verso l'Italia, che si sosteneva non avrebbe centrato quei parametri?
Oggi siamo di nuovo in difficoltà; si può anche ironizzare sulla mancanza di urgenza di questo decreto, ma questo vuol dire non prendere atto della realtà e cercare di indicarne una virtuale che non esiste.
Uno dei problemi più grossi che abbiamo è quello di continuare a negare la realtà, di non prendere atto che i problemi vanno affrontati per quelli che sono, cercando di ricostruire fiducia nel paese. Se non ricostruiamo fiducia, difficilmente potremo vincere la sfida della competizione e, soprattutto, difficilmente potremo indicare la strada ai giovani, che oggi possono guardare più fiduciosi al futuro anche grazie alle misure di liberalizzazione che sono contenute in questo decreto, che sono solo la prima parte di un processo che deve andare avanti fino in fondo.
Questo è un paese ingessato, dove non si può cambiare niente e dove non è possibile per nessuno riuscire a mettere in gioco se stesso, guardare avanti e mettere in questione le proprie idee, la propria volontà, la propria ambizione a costruire qualcosa di importante per sé e per il paese.
Credo che questo sia un punto importante e decisivo. Capisco perfettamente che di fronte alla situazione data sia più comodo rifugiarsi nella continuità, in quello che c'è già. Ho sentito che avremmo colpito i piccoli gestori delle libere professioni, gli avvocati; certo, nessuno dice che una norma può essere la panacea di tutti i mali, però vorrei ricordare che oggi gran parte dei giovani avvocati ha un rapporto di lavoro precario, che spesso è costretta ad essere sottopagata negli studi professionali e non ha nessuna chance di guardare avanti, nel rinnovamento della propria professione, nella messa a frutto di quello che ha magari imparato all'università (se ha trovato una buona università), nell'inventarsi mestieri nuovi.
Credo che questa sia una opportunità che diamo, pensando alle società interprofessionali. Pensiamo a quanto c'è bisogno di dare servizi all'artigiano che vuole reinventare la sua azienda. Pensiamo a quanto c'è bisogno di assistenza alla piccola impresa: non basta più il commercialista, così come è stato fino ad oggi, perché essa ha bisogno di essere accompagnata nel processo di internazionalizzazione e di globalizzazione, che è assolutamente inedito e che richiede conoscenze che non possono stare tutte dentro alle imprese. C'è bisogno, da questo punto di vista, di liberare le nostre risorse intellettuali e di dare una prospettiva ai giovani, offrendo la possibilità di coniugare colui che sa fare il proprio mestiere (l'artigiano o il piccolo imprenditore che conosce bene il proprio mestiere) con le professioni liberali, che possono apportare valore aggiunto, crescita, penetrazione dei mercati e assistenza. Se non lo facciamo, non c'è futuroPag. 52per queste professioni. Dove mettiamo le decine di migliaia di laureati giovani? Dove li mettiamo? A fare i precari a vita negli studi?
Inoltre, permettetemi di dire una cosa. Può darsi che sia un po' provocatorio, ma sarebbe interessante fare un'indagine su quanti davvero rispettano le tariffe minime e su quanti applicano già la quota-lite nella professione di tutti i giorni. Sarebbe molto interessante.
Sarebbe interessante anche svolgere un ragionamento sulla pubblicità. Magari non è pubblicità diretta, ma quella del carrozziere che pubblicizza il fatto che può fornire assistenza legale al cittadino che cos'è, se non una forma di pubblicità occulta? È ora di finirla in questo paese con tali ipocrisie, che nascondono solo l'interesse dei ceti conservatori!
Ho sentito autorevoli esponenti del centrodestra affermare che questo decreto-legge interviene in materie che competono esclusivamente alle regioni, come il commercio. Niente vi è di più sbagliato, perché la tutela della concorrenza compete allo Stato e non è accettabile che le regioni adottino regolamenti che impediscano la libera concorrenza nei settori commerciali.
Possiamo ragionare quanto vogliamo, ma voglio parlare di un'esperienza territoriale, perché forse l'Italia non sarà uguale in tutte le sue zone, ma non credo neanche che vi siano tutte queste differenze. Mi riferisco al fatto che in realtà dove una liberalizzazione di settori commerciali è avvenuta, seppure temperata sul fronte della grande distribuzione, fino a un certo punto, fintanto che i consumi hanno retto - certo, quando c'è un calo dei consumi, perché c'è una crisi, è chiaro che ci può essere un ripiegamento -, in tutti questi anni, dal 1998 ad oggi, abbiamo assistito ad un aumento del numero delle imprese commerciali di vicinato, pur in presenza dello sviluppo della grande distribuzione. Sì, cari colleghi, se stimoliamo la fantasia, se stimoliamo ad investire sulla qualità e i servizi alla persona, si può creare lavoro, si può creare valore aggiunto. All'inverso, se tutto deve restare bloccato, non si va da nessuna parte. Credo che questo sia un elemento di grande importanza.
Ho sentito una cosa francamente comica da parte dell'onorevole Armosino, ossia che questo decreto sarebbe a favore dei banchieri. Vorrei che ci si ricordasse che, negli ultimi cinque anni, il costo dei servizi bancari in questo paese è aumentato del 20 e del 25 per cento rispetto alla Francia e alla Germania. Vorrei capire su questa base che cosa è stato fatto. Che cosa è stato fatto per introdurre elementi di concorrenza? Cosa è stato fatto per cercare di invertire la tendenza degli istituti bancari ad una politica che ha scaricato molte contraddizioni sui costi per la clientela?
Quindi, ritengo che, anche sotto questo punto di vista, le disposizioni in esame siano assolutamente importanti, poiché lanciano un segnale: si tratta di misure sicuramente parziali ma che, tuttavia, rappresentano - ripeto - un segnale rilevante in questa direzione.
Credo, in sostanza, che noi, caro ministro Bersani, dobbiamo proseguire lungo la strada delle liberalizzazioni. Dobbiamo rimuovere, in particolare, le «ingessature» che bloccano il nostro paese e che creano frustrazione sia in ampi settori dei nostri giovani, sia in chi vuole scommettere sulle proprie capacità ed ambizioni.
Non c'è dubbio che vi sia ancora molto da fare; tuttavia, occorre attivare un circuito virtuoso, procedendo verso la liberalizzazione del settore energetico, affrontando il nodo dei servizi pubblici locali - dove si annida, per davvero, molto conservatorismo! -, introducendo anche in Italia la cosiddetta class action e toccando molte altre importanti questioni che non intendo qui elencare.
Occorre rimettere al centro degli interventi il consumatore e far sentire che la politica è amica del cittadino, di chi vuole intraprendere e di chi vuole scommettere sul futuro. Inoltre, vi è indubbiamente bisogno di un'incisiva opera di semplificazione.
Non intendo dilungarmi sul piano fiscale; tuttavia, vorrei osservare che c'èPag. 53ancora molto da fare in tale campo. Vi è bisogno, infatti, di un fisco amico dei contribuenti, in grado di garantire certezze e continuità. Anche se occorre sicuramente lavorare molto in tale direzione, vorrei rilevare che uno dei principali nemici di un processo di rilancio dell'economia, nonché dell'innovazione e della riorganizzazione delle nostre imprese rimane l'evasione, sia fiscale sia contributiva. Essa, infatti, penalizza l'imprenditore che lavora onestamente e che tenta di costruire un'impresa più forte, più redditizia e anche più funzionale ai bisogni del proprio paese.
Non occorrono molti giri di parole: si possono svolgere innumerevoli ragionamenti e si può perfino giungere a discutere sull'opportunità o meno di sollevare conflitti d'interesse sulle questioni di natura fiscale, al fine di rendere più efficace la lotta all'evasione. Esiste, tuttavia, un punto dirimente: l'evasione fiscale non può essere giustificata, perché rappresenta un nemico mortale dell'innovazione e dello sviluppo dell'impresa, nonché del nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giudice. Ne ha facoltà.
GASPARE GIUDICE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, vorrei preliminarmente evidenziare alcuni dati che ritengo particolarmente eloquenti. Nelle pochissime settimane da quando questo Governo è divenuto operativo, dopo una lunga serie di adempimenti istituzionali, la Camera dei deputati si trova per la sesta volta - sottolineo per la sesta volta - ad esaminare un disegno di legge di conversione di un decreto-legge.
Questo triste primato (perché è già un primato) è aggravato dal fatto che i provvedimenti d'urgenza concernono questioni di primaria rilevanza politica. Su temi di tale portata, per la terza volta in questo breve scorcio iniziale di legislatura, la Camera dei deputati si trova a dover svolgere un mortificante ruolo di mera ratifica di decisioni assunte altrove.
Vorrei rilevare che anche quest'ultimo decreto-legge investe temi che hanno sollevato vaste reazioni di diverso segno sia presso le categorie sociali in diverso modo interessate, sia da parte dell'opinione pubblica. Il Parlamento ha il dovere di dibattere e di approfondire, di cercare soluzioni meno discutibili e di ascoltare le ragioni di tutti. Il decreto-legge estivo di cui ci stiamo occupando, invece, costringe tutti ad un moto tanto frenetico e gravoso quanto assolutamente inutile.
Siamo tutti consapevoli che, in questa sede, siamo chiamati esclusivamente ad approvare un testo i cui contenuti sono, evidentemente, immutabili. Secondo un copione ormai consueto, infatti, il Governo conduce le proprie politiche legislative attraverso decreti-legge sottoposti prima all'esame del Senato, dove vengono approvati soltanto in forza della posizione della questione di fiducia, e quindi ratificati dalla Camera dei deputati per forza di cose ed a causa delle scadenze temporali.
La situazione è del tutto analoga a quanto è già accaduto per il provvedimento di «spacchettamento» dei ministeri ed a quanto si è verificato, ancor prima, in occasione dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge sulla proroga dei termini, approvato dal governo Berlusconi in un testo addirittura laconico nella sua semplicità, che è poi diventato un provvedimento omnibus nel quale sono state inserite perfino disposizioni di delega. Allo stesso modo una vera e propria delega legislativa al Governo è stata prevista nel già citato provvedimento di «spacchettamento» dei ministeri, di cui si è moltiplicato il numero.
Cari colleghi, si registra un salto di qualità nelle dimensioni del fenomeno. Se ad esso si presta un minimo di attenzione, non possono non rilevarsi fondati e altissimi motivi di preoccupazione. Si è innescato un meccanismo costante e perverso: il Governo presenta i provvedimenti di urgenza al Senato, li riscrive mediante la presentazione di maxiemendamenti e pone su di essi la questione di fiducia e procede addirittura ad inserire al loro interno norme di delegazione legislativa, ovveroPag. 54strumenti che trasferiscono ulteriormente la potestà legislativa dal Parlamento all'esecutivo.
Un simile modo di operare, per la molteplicità di distorsioni che accumula, segna un netto peggioramento anche rispetto ai peggiori esempi del passato e, per di più, assume caratteristiche di preoccupante regolarità. Tutto fa pensare che si tratti non di quella eccezionalità in cui spera il Presidente della Camera - lo ha detto in occasione del provvedimento cosiddetto mille proroghe - ma, invece, di un atteggiamento stabile per superare in via permanente, attraverso un grave peggioramento della prassi legislativa, la precarietà della maggioranza che voi avete al Senato.
Il concorso di questi fattori rischia di esautorare completamente l'istituzione parlamentare, contro tutto l'assetto della Costituzione e ben al di là dei peggiori timori suscitati dalla parte avversa alla riforma costituzionale che introducemmo noi del centrodestra.
Sono consapevole che una simile prassi non nasce con questo Governo; anche in passato abbiamo registrato la combinazione del voto di fiducia con il decreto-legge ma, in molti casi, il testo sottoposto a fiducia nasceva o era fortemente influenzato dalla discussione parlamentare. Neppure voglio sottovalutare il significato di alcune prese di posizione dei Presidenti delle Camere e di qualche, isolato, rappresentante del Governo, che avevano dato la disponibilità ad affrontare concretamente tale questione.
Sicuramente ho avuto modo di apprezzare gli impegni assunti in I Commissione dal presidente Violante, come anche del ministro Chiti nel corso di una recente audizione, improntati all'esigenza di dare risposta alle problematiche inerenti la produzione di normativa di origine governativa. Devo anche dare atto al Governo di avere accettato, in relazione al decreto-legge cosiddetto mille proroghe, gli ordini del giorno votati da tutta l'Assemblea presentati dal sottoscritto, dal presidente del Comitato per la legislazione, onorevole Franco Russo, e da altri colleghi, che richiamavano l'esecutivo ad un uso più congruo della decretazione d'urgenza e della propria potestà legislativa. Ma tutto questo rischia di rimanere un desiderio velleitario, se non si accompagna ad una precisa azione per rimuovere le cause e i calcoli politici che sono alla base di questo comportamento in funzione di precise convenienze che sacrificano l'essenza dell'istituzione parlamentare.
Mi domando: saprà il ministro Chiti resistere alle pressioni e mantenere fede all'impegno assunto accettando questi ordini del giorno? Lo attendiamo, con grande attenzione, al varco delle prossime scadenze dopo la pausa estiva. Nel frattempo, questo decreto-legge all'esame dell'Assemblea, anche se non contiene deleghe, aggrava tutte le preoccupazioni cui facevo riferimento in ordine alla tutela della posizione costituzionale della Camera dei deputati e delle prerogative politiche dei gruppi parlamentari e di ogni singolo deputato.
La Camera si trova, subito prima della pausa estiva, a dover ratificare in tempi ridottissimi un decreto-legge di enorme portata, che incide profondamente sul tessuto economico e sociale del paese, senza poter dare seguito al dibattito che si è svolto al suo interno in queste settimane e alle sollecitazioni che giungono da ogni parte, nonostante la maggioranza - e in qualche caso lo stesso Governo - sia ad esse sensibile, e non possa non esserlo, per la loro oggettiva evidenza.
Tutto questo lo abbiamo ascoltato anche negli inviti oggi rivolti dai banchi della maggioranza, che non riesco più a comprendere dove sia seduta. In queste condizioni la Camera è umiliata, costretta ad abdicare completamente al suo potere e dovere costituzionale, che è quello di ascoltare e contribuire al miglioramento delle leggi.
La procedura parlamentare, così solenne e impegnativa nelle forme, diventa un'inutile funzione senza tracce di esame effettivo dei singoli provvedimenti che analizziamo.
L'ordine del giorno - l'ho detto anche in Commissione - è rimasto l'unico, debole,Pag. 55spesso finto e velleitario strumento che consente alla Camera di dire qualcosa a semplice commento dei provvedimenti sottoposti al proprio esame.
Tutto ciò nasce da un atteggiamento di comodo e di superficiale sottovalutazione della rilevanza delle procedure, che a sua volta deriva da ignoranza o - permettetemi - da arroganza.
Sarebbe sufficiente un maggiore equilibrio nella presentazione dei provvedimenti di maggiore rilevanza, che alternasse nelle due Camere la prima lettura: basterebbe questo per consentire alla Camera di pronunciarsi in prima lettura su qualcuno di essi, attraverso un esame vero e propositivo.
Credo che, anche da parte della Presidenza della Camera, occorra una chiara presa di posizione su questo punto e che non si possa accettare una modificazione tacita dell'equilibrio tra le due Camere attraverso il ripetersi della prassi di presentare i disegni di legge di conversione solamente al Senato.
Per di più, anche in questo decreto-legge non sembrano essere tenute in debita considerazione le regole minime che presiedono al corretto svolgimento dell'attività di produzione normativa.
Mi permetto di formulare simili affermazioni anche in qualità di vicepresidente del Comitato per la legislazione - il sottosegretario Giaretta ha partecipato alla seduta in cui si è affrontato il provvedimento in esame - che, trovandosi costretto a prendere atto delle circostanze concrete in cui si sarebbero inserite le proprie indicazioni, ha in buona parte abdicato alle proprie funzioni. Infatti, si è concordato, in quella sede, di non inserire nel parere condizioni che sarebbero apparse mere «grida manzoniane», prive di alcun effetto, stante l'impossibilità pratica di modificare il testo. Ci si è così limitati a semplici osservazioni e ad una raccomandazione, nella speranza che, in un futuro non remoto, possano trovare accoglimento.
Nell'ottica del funzionamento delle istituzioni parlamentari è questo però un punto che merita la massima attenzione: l'unico organo posto, in ambito parlamentare, ad esclusivo presidio della qualità della legislazione si autolimita - come peraltro la Camera stessa - su provvedimenti che è costretta a ratificare.
Non entro nel merito: lo hanno fatto brillantemente i colleghi che mi hanno preceduto; rilevo però che di modifiche, in questo caso, se ne dovrebbero apportare, anche senza scendere sul piano del merito, semplicemente per rendere il testo conforme alle regole elementari di una corretta legislazione; regole che non sono vacui tecnicismi, come forse qualcuno ritiene, ma che hanno una fondamentale valenza democratica. Esse assicurano la certezza del diritto e consentono la fruibilità del testo da parte dei destinatari, cioè dei cittadini, che sono le prime vittime di una cattiva legislazione.
Mi preme in questa sede segnalare che - pur in relazione a pochi provvedimenti esaminati in questa legislatura - si è di fronte ad un quadro allarmante di una produzione legislativa che non riesce mai a rispondere ai principi ed alle regole basilari per rendere più armonioso il nostro ordinamento.
Il parere del Comitato su questo provvedimento, ma anche sui precedenti, è assolutamente eloquente: basta che li leggiate. I rilievi formulati sono tanti ed alcuni di estrema rilevanza, in quanto attengono ad un modo di legiferare che è sempre più impetuoso e disordinato, privo di meditazione e razionalità; impetuoso per come nasce, per come si sottopongono gli atti appena adottati a continue vorticose modifiche che tolgono certezza agli operatori. Lo stesso Governo fa e disfa continuamente quello che ha realizzato e sono certo che adotterà presto un nuovo decreto-legge per rimediare agli errori riscontrabili in quello che oggi stiamo esaminando.
Il disordine regna e dilaga, perché si raccolgono in provvedimenti omnibus disposizioni afferenti a più settori, peraltro senza assicurare il necessario coordinamento, perché si incide con legge su fonti secondarie. Si tratta di un modo di legiferare, nel caso di specie, che suscitaPag. 56anche gravi rilievi in merito ai profili costituzionali. Basti pensare all'osservazione della Commissione affari costituzionali sui commi 1 e 2 dell'articolo 19 che viene attenuata solo per ragioni di convenienza politica ma è tuttavia eloquente nella sua oggettività.
Il decreto Bersani presta il fianco a rilievi critici di ogni genere rispetto all'osservanza delle regole vigenti, da tutti riconosciute valide e ribadite da leggi recenti, quali l'assenza delle relazioni sull'analisi di impatto e tecnico-normativa o, ancora, la mancata osservanza delle prescrizioni in merito alla novellazione delle fonti. Anche questi aspetti sono sintomatici di un modo patologico di legiferare che si ripete in questa legislatura in ogni testo di iniziativa governativa senza ragione politica, solo come espressione di disattenzione ed incuria verso le regole di una corretta tecnica di produzione normativa.
A tutto questo si può porre rimedio soltanto restituendo effettività alle norme del nostro regolamento che resta un punto molto avanzato nel panorama nazionale. Mi riferisco all'articolo 79 sull'istruttoria legislativa delle Commissioni, oltre che all'articolo 16-bis, relativo al ruolo del Comitato. Ma, soprattutto, occorre richiamare il Governo, protagonista ormai assoluto dell'iniziativa e dell'intero processo di produzione normativa, ad un maggiore rispetto del Parlamento e, quindi, inevitabilmente, anche ad un maggior rispetto dei cittadini.
Per questi motivi, signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, Forza Italia voterà contro questo provvedimento, se non si vorranno ascoltare ed accogliere gli emendamenti migliorativi proposti.
Non desideriamo proporci come coloro che votano contro per una questione di principio. Desideriamo partecipare in maniera positiva a tutto ciò che può essere utile al paese e a tutto ciò che può essere utile ai cittadini. Lo abbiamo dimostrato con il nostro responsabile voto nelle missioni italiane in Iraq e in Afghanistan e con il nostro leale e convinto «sì» all'indulto, ma non possiamo accettare di essere corresponsabili di un modo di legiferare che non ha precedenti nella storia del nostro paese.
In occasione del referendum confermativo delle riforme istituzionali del centrodestra, avete dato sfogo ad ogni sfrenata demagogia: la destra vuole delegittimare il Parlamento, la Lega ricatta i suoi alleati per mortificare il bicameralismo, Berlusconi vuole il suo potere assoluto. Oggi, con questo modo di legiferare, avete dimostrato di voler governare con arroganza, mortificando l'istituzione principale del nostro paese, che è il Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Padania - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pellegrino. Ne ha facoltà.
TOMMASO PELLEGRINO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento di politica economica del Governo al nostro esame rappresenta in modo concreto ed efficace un vero processo di modernizzazione del nostro paese. Si tratta di un provvedimento liberale che tiene in grande considerazione le tante esigenze sociali. Mi fa particolarmente piacere sottolineare l'attenzione riservata alle famiglie, alle donne ed ai giovani.
La famiglia rappresenta un momento centrale della nostra società e va tutelata in ogni stadio della sua evoluzione: dalla sua formazione, garantendo che il diritto alla maternità delle donne non sia mortificato dalle esigenze del mercato del lavoro, al suo sviluppo, fino all'assistenza agli anziani.
Per ciò che concerne le donne, abbiamo un obiettivo importante: quello di formare una sentita e consolidata cultura delle pari opportunità piuttosto che imporla per legge.
Da giovane, non posso non apprezzare i segnali positivi che questo Governo ha subito voluto riservare proprio ai giovani, dall'istituzione del Ministero delle politiche giovanili, all'adozione del piano nazionale per i giovani (preannunciato dalPag. 57ministro Melandri), fino alla realizzazione, mediante il decreto-legge in esame, di diverse possibilità di lavoro per tanti giovani. Liberalizzare il mercato rispettando il ruolo dei professionisti e andando ad indebolire alcuni centri di potere consolidati rappresenta sicuramente per tanti giovani una possibilità di lavoro concreta.
Con soddisfazione, mi fa piacere sottolineare l'incremento del Fondo nazionale per le politiche sociali e l'incremento di 30 milioni di euro per il servizio civile, che rappresenta un'importante risorsa per il nostro paese e, inoltre, una valida palestra formativa per tanti giovani.
Non possiamo non sottolineare il coraggio con il quale si è giunti all'adozione del decreto-legge. I cittadini italiani hanno bisogno di risposte immediate, di risposte concrete. È vero: probabilmente, è mancata una qualche concertazione con le diverse categorie coinvolte; ma questo Governo e questa maggioranza avevano - ed hanno - il dovere di voltare pagina subito, di intraprendere un cammino diverso, in cui siano protagonisti i cittadini, in cui non vengano fatti prevalere gli interessi personali e quelli degli amici. Basta con i provvedimenti ad personam! Basta con le leggi che tutelano gli interessi di pochi o di singole lobby!
Il decreto-legge al nostro esame rappresenta il modo migliore per cominciare un percorso diverso che abbia come obiettivo le esigenze della gente comune, che soddisfi i bisogni e le aspettative di tutti i cittadini. Certamente, l'impegno del Governo, e il nostro impegno di parlamentari, in futuro, dovrà essere quello di migliorare ed ampliare alcuni aspetti del provvedimento, avviando anche un percorso di condivisione e partecipazione delle diverse categorie coinvolte. Là dove è stata possibile, la concertazione non è avvenuta certamente per gli episodi di prepotenza e di violenza a cui abbiamo assistito; anzi, tali episodi hanno rallentato un processo di miglioramento del decreto-legge. Questa concertazione non ha prodotto né vincitori né vinti: semplicemente, si è riusciti a trovare alcuni punti di equilibrio, con il risultato di avere, da qui ad un anno, nella sola città di Roma, circa tremila taxi in più. Quindi, più servizi per i cittadini e più possibilità di lavoro. Gli episodi ai quali abbiamo assistito in questi giorni, dall'aggressione al ministro Mussi all'occupazione, a Napoli, di piazza del Plebiscito da parte dei tassisti, rappresentano momenti bui ed inqualificabili, non accettabili in un paese civile come il nostro.
Con il decreto-legge in esame si interviene finalmente sui servizi, riducendo i costi finali e rendendo alcuni servizi maggiormente fruibili dai consumatori. Un aspetto emerge in modo chiaro: si dice basta ai privilegi di alcune categorie. In questi giorni, sono state tante le manifestazioni di consenso da parte di cittadini comuni, di associazioni, di consumatori, di utenti e di tanti giovani. Alcune resistenze, alle quali abbiamo assistito, ci fanno capire che, sebbene gli utenti dei servizi siano numericamente superiori, la capacità di organizzazione di alcuni gruppi di interessi, che forniscono i servizi medesimi, è stata maggiore. E consentitemi di dire che è stato veramente triste vedere alcuni rappresentanti di questo Parlamento mettersi a capo della protesta di talune categorie, dopo che essi non avevano fatto assolutamente nulla, nei cinque anni precedenti, per migliorare la condizione dei lavoratori protagonisti della contestazione!
Con questo decreto vengono riconosciuti più diritti ai cittadini: penso alle norme riguardanti le banche, per effetto delle quali i cittadini avranno diritto ad una maggiore trasparenza, risparmiando sui tassi e sulle spese di chiusura del conto. I cittadini avranno più possibilità di scelta e più tutela: penso alle norme riguardanti le polizze assicurative, con l'indennizzo diretto e la possibilità di scegliere tra più polizze. I cittadini avranno inoltre la possibilità di risparmiare sui prodotti di consumo primario: penso al provvedimento che determina la liberalizzazione sulla produzione del pane. Ancora, i cittadini potranno accedere in modo più semplice ai servizi, risparmiando:Pag. 58penso all'abolizione dei passaggi di proprietà di auto e moto e alla liberalizzazione dell'attività commerciale.
Sicuramente, un momento importante e significativo di questo decreto è rappresentato dall'intervento sulla distribuzione dei farmaci da banco negli esercizi commerciali. Questo provvedimento consentirà ai cittadini un risparmio su molti prodotti di uso comune. La presenza obbligatoria del farmacista, oltre a dare più possibilità di lavoro ai neolaureati, servirà anche da garante e da filtro per il cittadino all'acquisto del farmaco. Il decreto non comporterà né aumento della spesa farmaceutica nè rischi per la salute pubblica, in quanto il farmacista continuerà a svolgere lo stesso ruolo che da sempre svolge nelle farmacie private. Mi fa anche piacere sottolineare come i farmacisti non titolari abbiano espresso un orientamento favorevole nei confronti delle norme del decreto che riguardano il settore farmaceutico e, con altrettanta soddisfazione, apprezzo l'intervento del ministro Livia Turco che ha messo fine all'agitazione dei titolari di farmacie.
Tuttavia, alcune osservazioni riguardanti il settore farmaceutico vanno fatte: in Italia il 72 per cento dei comuni ha una popolazione al di sotto dei 5 mila abitanti, il che significa che una parte consistente della popolazione italiana non potrà beneficiare dei vantaggi del decreto o ne potrà godere soltanto in piccola parte. La grande distribuzione non avrà la possibilità di impiantare grandi supermercati in luoghi a bassa densità di popolazione; dunque, questi cittadini non potranno beneficiare degli sconti consentiti dal decreto. Nei piccoli comuni, quando è presente, c'è solo una farmacia che, ovviamente, può decidere quali prezzi praticare e che tipo di sconto fare. Agli abitanti dei piccoli comuni viene negata anche la facilità di accesso al farmaco, perché quando la farmacia è unica o chiusa per ferie o quando è sprovvista di un farmaco, devono spostarsi al paese vicino, spesso percorrendo molti chilometri per poter accedere al farmaco.
Per evitare che una parte cospicua della popolazione resti esclusa dai vantaggi del decreto, si può pensare ad una rivisitazione del quorum per l'assegnazione delle sedi farmaceutiche. Nel decreto al nostro esame è auspicabile anche una rivisitazione dell'articolo 5, rispetto ai punti riguardanti la gestione societaria delle farmacie; al riguardo, bisogna evitare fenomeni di concentrazione societaria per cui prevarrebbero i gruppi finanziari più forti, a discapito delle farmacie che operano nelle realtà territoriali e democratiche più deboli, farmacie rurali o operanti nei piccoli comuni. L'auspicio, inoltre, è che le farmacie sempre più diventino un presidio sanitario sul territorio, una struttura di primo soccorso alla quale il cittadino si possa rivolgere non solo per l'acquisto del farmaco, ma anche per ricevere informazioni e servizi. Quindi, farmacie moderne ed efficaci che dovrebbero svolgere un ruolo di collegamento tra il cittadino, le ASL e gli ospedali, fornendo al cittadino il servizio di assistenza di cui ha bisogno.
Un paese che vuole investire sui giovani non può prescindere da due momenti importanti: la scuola e l'università. È lì che si forma la futura classe dirigente, la futura classe lavorativa nonché la struttura sociale di un paese. Per questo, l'auspicio è che il Governo concentri la massima attenzione nei confronti della scuola e dell'università, anche e soprattutto in termini d'investimento economico. Al riguardo, ringrazio il ministro Mussi e il Presidente della Conferenza dei rettori, professor Guido Trombetti, per il loro intervento autorevole e deciso nel momento in cui si è prospettata una riduzione dei fondi per l'università. Ritengo anche necessaria la salvaguardia delle piccole e medie imprese, soprattutto nella gestione delle attività operative e organizzative quotidiane. Ritengo che in futuro sarà necessaria un'azione di concertazione e di coinvolgimento, a partire dalla Confcommercio, dalla Confederazione italiana dei pubblici esercizi e da tante altre associazioni di categoria.Pag. 59
Infine, voglio svolgere alcune osservazioni in materia di professioni. Sicuramente, il rispetto ed il riconoscimento delle professionalità deve essere alla base di qualsiasi riforma delle professioni: con l'abbattimento delle tariffe minime, coloro che maggiormente potrebbero non beneficiarne sono proprio - purtroppo - i giovani professionisti, in quanto soggetti contrattualmente deboli, molte volte tutelati proprio dalla disciplina dei minimi tariffari.
In alcuni casi la concorrenza al ribasso potrebbe rischiare di squalificarne la professionalità; allora, è indispensabile pensare ad alcune forme di tutela e di valorizzazione dei giovani professionisti, troppo spesso mal pagati e poco coinvolti nell'attività della pubblica amministrazione.
Nel suo complesso, noi Verdi esprimiamo sicuramente un giudizio positivo sul decreto in esame e riteniamo che la strada intrapresa da questo Governo e da questa maggioranza potrà segnare una svolta storica di efficienza e di modernizzazione del paese.
PRESIDENTE È iscritto a parlare il deputato Leo. Ne ha facoltà.
MAURIZIO LEO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, negli interventi che mi hanno preceduto si è trattato nello specifico delle problematiche della liberalizzazione. Io, invece, non interverrò su questo tema, che sarà approfondito in seguito da altri colleghi.
Vorrei, invece, soffermarmi sulla seconda parte del provvedimento, che è altrettanto importante, perché affronta le questioni fiscali. Ritengo che il Governo abbia affrontato questa problematica con leggerezza, con pressappochismo, senza valutare adeguatamente le conseguenze e gli effetti che da queste tematiche scaturiscono. Al riguardo, partirei subito da una considerazione riguardante l'entrata in vigore dei provvedimenti e delle disposizioni fiscali. Se leggiamo il testo, constatiamo che le norme si applicano dal giorno stesso della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto - quindi dal 4 luglio -, ma sappiamo che queste norme vanno a toccare una serie di imposte d'atto, di imposte da operazione come l'IVA e l'imposta di registro, ossia contributi che colpiscono la singola operazione. I contribuenti, quindi, il 4 di luglio avrebbero dovuto osservare delle norme che non conoscevano; infatti, queste ultime risultano dalla Gazzetta Ufficiale del 4 luglio che è in distribuzione, per prassi consolidata, il giorno successivo, cioè il giorno 5.
Potrebbe sembrare che si tratti di un rilievo meramente tecnico, ma così non è perché da tale situazione sono scaturite importanti conseguenze. Pensiamo, ad esempio, ad una categoria di imprese che si occupa della vendita di prodotti di pasticceria e cioccolatini (di solito, quando si pensa al cioccolato si evoca una sensazione piacevole: invece, i cioccolatini questa volta hanno lasciato l'amaro in bocca ai tanti contribuenti): costoro fino al 4 luglio pagavano un'aliquota del 10 per cento, mentre dal 4 luglio, intervenuta la modifica normativa, l'aliquota è passata dal 10 al 20 per cento. Ora, in sede di dibattito parlamentare, al Senato si modifica nuovamente l'aliquota e si ritorna al 10 per cento; quindi, si è partiti da una aliquota del 10 per cento, c'è stato un «interregno» del 20 per cento, poi si è ritornati ad un'aliquota del 10 per cento! Potrebbe sembrare che si tratti di cose di poco conto, ma vediamo cosa succede nel lasso temporale che va dall'entrata in vigore del decreto-legge alla legge di conversione. Sappiamo tutti che quando il Parlamento apporta delle modifiche ai testi normativi le stesse spiegano efficacia dal giorno successivo a quello di pubblicazione della legge di conversione in Gazzetta Ufficiale; quindi, quando sarà convertito il provvedimento, la norma dell'aliquota del 20 per cento tamquam non esset, cioè sarà come se non fosse mai esistita nel nostro ordinamento. Che cosa faranno gli imprenditori che in questo lasso di tempo hanno, invece, applicato l'aliquota del 20 per cento? Dovranno adottare un meccanismo che è conosciuto dagli studiosi del diritto tributario, cioè la nota diPag. 60variazione; quindi, tutti coloro che hanno venduto pasticcini, cioccolatini e via dicendo - ovviamente non i consumatori finali, ma altri imprenditori - dovranno porre in essere migliaia e migliaia di note di variazione, «infestare» tutta la contabilità aziendale per recuperare l'IVA non dovuta. Tutto ciò ha provocato conseguenze nefaste nei confronti dei cessionari, di chi ha acquistato questi cioccolatini, questi pasticcini perché essi hanno detratto un'IVA del 20 per cento, invece che del 10 per cento.
Questo è il quadro che devono affrontare i contribuenti; per questo dico che, quando si introducono norme fiscali, bisogna avere l'accortezza di sapere quali sono le conseguenze che da queste norme scaturiscono, soprattutto quando si parla di imposte d'atto.
Una situazione ancora più allarmante si registra in ordine alle norme relative alla fiscalità immobiliare. L'intervento governativo era teso soprattutto ad evitare - così afferma il viceministro Visco - manovre elusive connesse al fatto che un imprenditore, potendo applicare i meccanismi dell'IVA, attraverso una serie di trasferimenti di immobili, poteva ritrarne vantaggi economici e fiscali. Con la norma viene bloccato tutto il settore.
Innanzitutto, occorre verificare le stime, le valutazioni economiche alla base di tale intervento. Dalla relazione tecnica emerge che l'intervento doveva produrre un gettito per le casse statali di 480 milioni di euro; invece, le associazioni di categoria - l'Assoimmobiliare e tante altre - affermano che tale intervento produce circa 30 miliardi di gettito aggiuntivo per le casse erariali. Quindi, passiamo da quasi 500 milioni di euro a 30 miliardi. Mi sembra che il divario non sia di poco conto.
Come possiamo affrontare la prossima finanziaria con leggerezza, con serenità? Come possiamo considerare affidabili le cifre contenute nelle relazioni tecniche, se sussiste un divario di queste proporzioni? A tutto concedere, non saranno 30 miliardi, saranno 15 miliardi, ma sussiste un divario di circa 14 miliardi e 500 milioni!
Il problema non è da sottovalutare, in quanto ha colpito soprattutto i risparmiatori. Quanti risparmiatori avevano acquistato partecipazioni in società che si occupano prevalentemente di immobili e quanti risparmiatori, per effetto di queste norme, hanno visto calare notevolmente le valutazione dei propri titoli? Si parla di circa un miliardo e mezzo di perdite in borsa; quindi, non parliamo di cifre minimali. Occorre dire ai lavoratori dipendenti, ai pensionati, ai lavoratori autonomi, ai cassettisti, che hanno perso in borsa un miliardo e mezzo perché il Governo non ha saputo fare i calcoli, perché il Governo non ha saputo apprezzare le conseguenze e le ricadute che da questi provvedimenti derivano. Parlerei proprio di scarsa o inesistente conoscenza del diritto tributario.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 18,20)
MAURIZIO LEO. Si sa bene che quando si passa da un regime di imponibilità ad un regime di esenzione dall'IVA vi è un recupero di quest'ultima sugli acquisti fatti in precedenza e questa imposta deve essere riversata in un unico momento. Ecco il vero problema! Ecco la situazione allarmante che si è venuta a creare!
La situazione è allarmante anche per l'economia nazionale. Infatti, molti immobili sono gestiti dalla struttura finanziaria del fondo immobiliare, alla quale partecipano investitori esteri ai quali è stato detto di non venire più in Italia in quanto in tale paese vi sono solo situazioni dannose. Così, gli investitori esteri non investono più in fondi immobiliari; pensate che situazione deprecabile si è verificata!
Tale situazione non è stata risolta neanche dagli emendamenti approvati al Senato, che ingenerano ancora più confusione. Infatti, si attribuisce al contribuente la possibilità di optare o per l'IVA o per l'imposta di registro. Chiaramente, il contribuente farà la scelta per lui più vantaggiosa; quindi, a seconda della scelta, ilPag. 61gettito che deve derivare da tale manovra sarà un po' altalenante. Pertanto, consentire ai contribuenti di compiere una scelta non è un buon operare, perché in questo modo le ricadute in termini di flusso finanziario non saranno sicuramente agevoli da calcolare per l'erario.
Secondo tali norme, se un imprenditore vende o dà in locazione un immobile a qualcuno che è soggetto all'imposta sul valore aggiunto e che ha un pro-rata, una tecnicalità ed un meccanismo di detrazione dell'IVA inferiore al 25 per cento, questa operazione può essere assoggettata all'imposta sul valore aggiunto. Tuttavia, per realizzare tale operazione, ossia per applicare l'IVA o l'imposta di registro, bisogna acquisire elementi con riferimento agli atti posti in essere nel corso dell'anno. Se, oggi 31 luglio, un imprenditore vende un immobile, deve sapere qual è il pro-rata del soggetto cessionario, ossia come quest'ultimo applicherà le detrazioni. Ma il pro-rata si conoscerà soltanto a fine anno, il 31 dicembre 2006. Quindi, come fa il cedente a sapere se si applica l'IVA o l'imposta di registro? Ecco la confusione mentale di chi predispone queste norme fiscali!
Ancora: queste norme sono in netto contrasto con le direttive comunitarie. L'imposta sul valore aggiunto non è un'invenzione del legislatore italiano. Tale imposta deriva dalla VI direttiva comunitaria, secondo cui, su una stessa base imponibile, possono gravare l'IVA o l'imposta di registro: l'una o l'altra, non entrambe. Invece, nel provvedimento si dice che sulla cessione o sulla locazione dell'immobile graveranno sia l'IVA sia l'imposta di registro, ossia entrambi i tributi. Ebbene, la Comunità europea dirà che abbiamo creato un meccanismo per cui, sulla stessa base imponibile, sulla stessa cifra di affari, gravano due imposte.
Si ripete la stessa situazione che si è verificata per l'IRAP. Sappiamo tutti che, tra qualche giorno, ci sarà un intervento al riguardo da parte della Corte di giustizia (vedremo quali saranno le determinazioni finali). Ma se si afferma che l'IRAP è un duplicato dell'IVA e, come tale, non ha diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento, non possiamo pensare che un'analoga situazione si venga a determinare con riferimento a questa norma? Come vedete, ci troviamo in un campo in cui non aver soppesato bene le questioni che derivano dal comparto immobiliare potrà provocare conseguenze a dir poco aberranti per il sistema.
Vorrei affrontare altre questioni che riguardano più da vicino le imprese. Sono state apportate moltissime modifiche con riferimento alla determinazione del reddito assoggettabile all'imposta sulle società che, in buona sostanza, determinano un incremento di tassazione. Lo ha detto molto bene il collega Galletti: la tassazione può aumentare sia per effetto di elevazione di aliquote sia per effetto di ampliamento della base imponibile. Ciò si è fatto con questo provvedimento, ancora una volta in modo casuale e sciatto. Facciamo degli esempi: addirittura, si è pensato di far diventare soggetto passivo di imposta in Italia un soggetto estero. Nel corso dell'audizione che si è svolta qualche giorno fa, il viceministro Visco ha affermato che, attraverso le società estero vestite, attraiamo a tassazione in Italia i redditi di queste società. Comprendiamo bene cosa si intende per società estero vestite. Una società è estero vestita quando è controllata da una società italiana oppure il consiglio di amministrazione è composto per la maggior parte da soggetti italiani. Questi fenomeni sono già conosciuti dall'ordinamento tributario e sono conosciuti nei paesi con regimi fiscali privilegiati. Esistono già alcune disposizioni tese ad evitare meccanismi elusivi: le cosiddette norme sulle CFC, che evitano che certi soggetti italiani creino uno schermo all'estero costituendo società fittizie in paradisi fiscali e producendo utili e redditi all'estero che riportano in Italia con trattamenti agevolati. Ma, quando la società estera risiede nell'Unione europea (ad esempio, una società francese o spagnola), il legislatore può stablire manu militari che questa società diventi soggetto residente in Italia?Pag. 62
Come reagisce l'ordinamento estero? L'amministrazione finanziaria italiana fa un avviso di accertamento, innesca procedure di riscossione coattiva, invia i concessionari della riscossione in Francia per dire che doveva pagare le tasse in Italia quando il soggetto è residente in Francia? Agire in questo modo significa invadere la sovranità di altri Stati: una cosa del genere non è assolutamente pensabile. Voglio vedere quale sarà la reazione da parte dell'Unione europea di fronte a norme di questo tipo, perché è un'invadenza necessaria che si viene a verificare nell'ambito di ordinamenti sovrani quali sono quelli degli altri Stati, in particolare quelli dell' Unione europea.
Inoltre, si pone in essere un intervento sulle auto: l'impresa che ha auto aziendali non può più fare su queste gli ammortamenti anticipati. Quasi tutte le imprese hanno un'auto aziendale di cui deducono le spese di manutenzione e le quote di ammortamento ed il sistema dava una sorta di sostegno alle imprese concedendo, in aggiunta all'ammortamento ordinario, l'ammortamento anticipato. Con il decreto-legge l'ammortamento anticipato non esiste più; quindi, le imprese possono dedurre solo le quote di ammortamento ordinario. Questa misura potrebbe, in linea di principio, essere anche comprensibile, ma come si coordina con quello che sta avvenendo a livello di Unione europea? Vi ricordo solo un particolare: siamo in presenza di una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea per quanto riguarda l'IVA sugli autoveicoli. Riconosciamo in detrazione solo una parte dell'IVA sostenuta, mentre la restante parte non viene assolutamente resa deducibile. L'Unione europea ci ha detto che ciò non si può fare perché l'IVA è un tributo che deve rispecchiare le stesse regole sia in Italia, sia in Francia, sia in Spagna, sia negli altri paesi dell'Unione europea. Agire con misure di questo tipo significa contrastare con le regole comunitarie. Quello che è avvenuto per l'IVA potrà avvenire in materia di ammortamenti perché anche in questo caso le regole devono uniformarsi.
Inoltre, per continuare sulle violazioni delle regole comunitarie, lo Stato italiano si dovrà presentare di fronte all'Unione europea e rispondere di tutto quanto è previsto nei testi normativi. Come spiegheremo all'Unione europea quanto avvenuto per le cosiddette società di comodo? Si tratta di quelle società che hanno il patrimonio prevalentemente investito in immobili, in partecipazioni. Queste società hanno una redditività riferita ai beni immobili pari almeno al 6 per cento. Ecco, chiamerei qualsiasi analista finanziario e gli chiederei se è possibile che su un immobile acquistato di recente - quindi non parlo di immobili iscritti in bilancio a costi storici - ci possa essere una redditività del 6 per cento. Sono cose che non stanno né in cielo né in terra! Eppure, nella nostra normativa troviamo scritto che la redditività di un immobile acquistato nel 2005 è pari al 6 per cento. Sfido chiunque a fare investimenti di questo tipo perché sicuramente ne ha un vantaggio economico notevolissimo.
Si dice che, se c'è un credito di IVA, non sarà più riportabile in avanti, oltre a non essere rimborsabile. Anche in questo caso c'è una violazione delle regole dell'Unione europea. Non posso arbitrariamente ed unilateralmente dire che l'IVA non si può più riportare. Anche in questo caso devo uniformarmi a tutte le regole dell'Unione europea.
Come vedete, tante e tali sono le illogicità e le incongruenze del provvedimento per cui invito il Governo a rimeditare su tali formulazioni. Un'occasione propizia può essere quella della finanziaria: rimettiamo mano al provvedimento perché, altrimenti, rischiamo continue procedure di infrazione.
Vorrei concludere con due altre questioni, quelle che toccano più da vicino tutti i cittadini, i contribuenti. Credete davvero che si faccia la lotta all'evasione, soprattutto per quanto riguarda il comparto professionale, chiedendo ai professionisti di farsi regolare le prestazioni professionali rese con POS, con assegni bancari, con bonifici? Sfido a vedere se un cittadino extracomunitario è in grado diPag. 63regolare la prestazione che riceve utilizzando assegni di conto corrente, bonifici o quant'altro. Nessuno avrà possibilità di fare questo e, come è stato ricordato, si incentiverà ancora di più l'evasione perché il professionista si farà regolare in contanti la prestazione, quest'ultima non transiterà nelle scritture contabili e verrà sottratta a tassazione: è un fatto inevitabile. Quindi, in questo modo l'evasione non si contrasta, ma la si incentiva.
Un altro caso a dir poco esilarante riguarda gli scontrini e le ricevute fiscali. Nel provvedimento si dice che si faranno sparire gli scontrini e le ricevute fiscali, però i contribuenti, entro un certo lasso temporale di 10-15 giorni, dovranno comunicare all'amministrazione finanziaria in via telematica tutti i corrispettivi conseguiti 15 giorni prima.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 18,30)
MAURIZIO LEO. Quindi, ad esempio, se in un ristorante romano vengono serviti quindici coperti, mentre oggi verosimilmente il ristoratore fa o dovrebbe fare tutte le quindici ricevute fiscali, con la nuova normativa non dovrà più emettere le ricevute fiscali, ma dovrà comunicare entro 15 giorni i quindici pasti che sono stati consumati. Voi pensate che il ristoratore, che sarà sicuramente obbediente alle norme fiscali, dopo 15 giorni comunicherà l'esatto numero dei pasti somministrati nella sua azienda? Io penso di no. Quindi, non è una misura di contrasto all'evasione fiscale, ma di incentivo alla stessa perché tutti i contribuenti non dichiareranno quello che hanno effettivamente conseguito, ma delle cifre casuali, arbitrarie; poi, se si rientra negli studi di settore va tutto bene, ma, a fronte delle effettive prestazioni rese, non ci saranno le indicazioni analitiche dei corrispettivi.
Queste e tante altre sono le situazioni che ci troveremo ad affrontare e mettiamoci, poi, nei panni dei professionisti. È stato ricordato da chi mi preceduto che soprattutto i professionisti economico-contabili hanno dato un sostegno notevole all'amministrazione finanziaria. Con l'avvento della telematica, il professionista ha rappresentato la cinghia di trasmissione tra amministrazione finanziaria, da una parte, e contribuente, dall'altra. Senza i professionisti (dottori commercialisti, ragionieri commercialisti, consulenti del lavoro e quant'altri) l'amministrazione non avrebbe ottenuto i grossi risultati che è riuscita ad ottenere. Ebbene, a queste categorie si dice che cancelliamo tutto e che, da oggi in poi, devono essere vessati: come?
Quando avranno adempiuto a tutti gli obblighi di versamento per i contribuenti, dovranno inviare la dichiarazione dei redditi all'amministrazione finanziaria in tempi rapidissimi, non più entro ottobre ma entro il 31 luglio: questa mi sembra solo una norma odiosa ed oppressiva. Sappiamo tutti che l'amministrazione finanziaria non esamina subito le dichiarazioni dei redditi ma a distanza di un anno. Allora, perché dobbiamo penalizzare i professionisti e far loro inviare la dichiarazione in via telematica entro il 31 luglio - ricordiamo che a giugno effettuano i pagamenti - all'amministrazione? Diamogli un po' più di tolleranza, come fa la normativa oggi vigente, che consente di inviare la dichiarazione in via telematica entro il 31 ottobre: no, deve essere inviata entro il 31 luglio e, quindi, gli studi professionali si troveranno aggravati di questo onere.
Inoltre, i versamenti dei contribuenti si debbono fare in via telematica con il modello F24, ma non è una facoltà, come era previsto nella legge finanziaria per il 2006, perché si deve fare obbligatoriamente. Quindi, è un'ulteriore vessazione per i professionisti, che obbligatoriamente devono effettuare i versamenti telematici per i contribuenti. A questo si aggiunga che si reintroducono gli elenchi clienti e fornitori, che nel 1994 il Governo di centrodestra aveva giustamente eliminato perché si trattava di un inutile orpello, che non rappresentava uno strumento di effettivo contrasto all'evasione fiscale.Pag. 64
Quindi, elenchi clienti e fornitori, versamenti obbligatori, dichiarazioni anticipate ed appesantimenti continui.
Ma sono, queste, misure efficaci? L'amministrazione finanziaria, quando avrà immagazzinato questa massa enorme di dati, cosa ne farà? Dovrà compiere degli atti di accertamento attraverso dei provvedimenti amministrativi. Come viene esternata la pretesa fiscale? Solo attraverso atti di accertamento e, sappiamo tutti che si tratta di provvedimenti amministrativi che devono essere dotati di motivazione. Il funzionario dell'amministrazione finanziaria deve acquisire questi dati, li elabora, scrive una motivazione ed evidenzia la pretesa tributaria.
Quant'è la capacità operativa degli uffici finanziari? Quanto gli uffici finanziari possono fare per lottare contro l'evasione fiscale? In quasi tutti i paesi dell'Europa e anche del mondo non si va oltre il 2-2,5 per cento delle dichiarazioni presentate. Questa è la capacità operativa degli uffici. Pertanto, ci troviamo di fronte ad una situazione abnorme: i contribuenti dovranno affaticarsi a produrre dati, elementi, anche attraverso i professionisti e gli intermediari.
L'amministrazione finanziaria si ingolferà a causa di tutti questi dati, e tutto ciò produrrà un'attività di accertamento pari al 2-2,5 per cento; ma vale la pena fare tutto ciò? Se vogliamo contrastare l'evasione fiscale, vi sono altri strumenti. Andiamo a verificare bene quali sono i dati alla base degli studi di settore perché - lo possiamo dire con serenità - anche nel mondo degli studi di settore vi è una fetta significativa di evasione, ma non tanto per l'applicazione dello studio di settore, quanto perché, in taluni casi, i dati che vengono immessi per la ricostruzione degli studi di settore non sono veritieri.
Gli studi di settore si basano su dati contabili ed extracontabili e spesso accade che qualche contribuente dimentichi quali sono i dati extracontabili che servono per ricostruire il reddito. È un'attività che può svolgere l'amministrazione finanziaria; sono attività semplici ed elementari. Facciamogli fare questo! Pensiamo seriamente ad introdurre la misura del contrasto di interessi, anche se in modo graduale, anche se parzialmente, attraverso il quale il soggetto che riceve la prestazione, il consumatore, può in parte detrarre il costo che sostiene.
Queste sono misure che, a mio modo di vedere, rappresentano strumenti efficaci di contrasto all'evasione fiscale. Di esse si sarebbe dovuto parlare nel provvedimento in esame, che reca misure di lotta all'evasione e all'elusione fiscale. Spero che se ne possa parlare in sede di legge finanziaria. Adesso, invece, ci troviamo di fronte ad un sistema caotico non più governabile, con mille interventi normativi, che non è più sistema. Gli studiosi del diritto tributario, e mi riferisco a Cosciani, a Visentini, a Einaudi, a De Viti de Marco, tutti quanti hanno fatto in modo di dare un assetto ordinato al sistema tributario. Attraverso misure di questo tipo, il sistema tributario non ha più il nome, la qualifica di ordinamento, ma un solo nome, una sola qualifica: quella di barbarie tributaria (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Biasi. Ne ha facoltà.
EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor ministro, le misure economiche e fiscali per il rilancio economico e sociale di cui stiamo discutendo rispondono ad esigenze profonde del paese. Esse non sono solo un insieme di provvedimenti in sé coerenti e, nella generalità, adeguati a ridare impulso all'economia.
A mio avviso, questa manovra è ispirata da una cultura politica, da una filosofia politica, economica e sociale che tende a liberare energie e risorse, a favorire uno scatto nella capacità di impresa, ma soprattutto - ed è ciò che riguarda da vicino le materie di carattere culturale, formativo e della comunicazione - aiuta, attraverso le liberalizzazioni, a far partire un nuovo dinamismo sociale.
Ritengo che vi sia un versante etico nelle liberalizzazioni, quello di ristabilire oPag. 65per molti versi stabilire per la prima volta nel nostro paese i termini di un corretto rapporto tra Stato, impresa e mercato, attraverso il superamento di quell'impresa protetta che è stata alla base di una parte della questione morale in Italia.
La libera concorrenza è, infatti, cosa ben diversa dal liberismo pagato dal pubblico. Ben vengano, dunque, tutti i provvedimenti che, come questo, consentono di scrivere una pagina di libertà. Non vi è dubbio, infatti, che la nostra sia una società bloccata, in cui censo, famiglia d'origine, provenienza territoriale contano molto più delle capacità e dei meriti delle persone. Questo elemento, associato al permanere di caste, di oligarchie opache e di corporativismi, è di impedimento al dispiegarsi di pari opportunità tra le persone e, innanzitutto tra uomini e donne. La necessità di individuare nuove regole, di agire in trasparenza e in rispetto dell'autonomia e della deontologia professionale degli individui appare quale presupposto indispensabile al riconoscimento dei talenti e delle capacità che, a mio avviso, è la strada maestra della modernizzazione sociale e civile del paese.
Siamo immersi nella società della conoscenza, eppure i laureati appartengono alle stesse classi sociali di quarant'anni fa. Sul sapere quale leva di inclusione sociale pende il rischio di un aumento della dispersione e dell'abbandono scolastico. La scienza e le tecnologie offrono una straordinaria opportunità di progresso, ma occorre sviluppare la ricerca, clamorosamente penalizzata negli anni recenti. È un lavoro immenso, che richiede risorse economiche, umane, nuove finalità dell'intervento pubblico e nuove definizioni del rapporto tra pubblico e privato nel campo della cultura e del sapere, con la coscienza che, anche in questi campi, solo un intervento pubblico di qualità può garantire una presenza privata di qualità.
Un primo elemento di grande positività della manovra è l'integrazione per il triennio di 50 milioni di euro per il Fondo unico per lo spettacolo, una misura che inverte la tendenza rispetto ai tagli dello scorso quadriennio e, in particolare, dell'ultima legge finanziaria, che ha ridotto di 87 milioni di euro l'ammontare del FUS. Ripristinare tali fondi è una scelta significativa per lo sviluppo culturale ed economico del paese, nella direzione dello spettacolo dal vivo, che richiede sostegni legislativi di riordino del sistema e nuovi parametri di valutazione che sappiano premiare la qualità, valorizzare la territorialità e restituire valore all'intervento pubblico nel campo della cultura.
Penso che la prossima finanziaria dovrà vedere un impegno particolare nel campo della cultura, del sapere, dell'università e della ricerca, dell'edilizia scolastica e dell'editoria. Infatti, non vi è dubbio che sia necessaria una politica di contenimento e riduzione della spesa pubblica, ma ritengo che vi siano alcuni settori che hanno bisogno di aumento e non di contenimento della spesa, nei consumi intermedi, come nelle scelte di sviluppo. Ritengo pertanto che sia necessario individuare le risorse per incrementare i finanziamenti per l'edilizia scolastica, l'università e la ricerca, per i beni archivistici ed architettonici, che continuano a vivere una difficoltà talmente grande da pregiudicare qualità del lavoro, risultati e professionalità.
Il rilancio economico e sociale ha bisogno del sapere e della conoscenza. Come possiamo pensare di competere nel mondo globale, se non puntiamo sulla capacità di produrre know how, di valorizzare i nostri «cervelli», di rendere l'università davvero di massa, con un'adeguata politica di diritto allo studio? Come possiamo immaginare un paese moderno e liberale, senza un intervento deciso ed irreversibile sulla diffusione delle eccellenze del sapere in tutto il territorio nazionale e senza la possibilità di aprirci al mondo con adeguate relazioni e partnership internazionali tra università? E come possiamo fare tutto ciò, se il rischio è quello di non poter comprare le matite? Si potrebbe continuare con le argomentazioni dei miei colleghi Tessitore e Tocci. Rimando ai loro interventi in Commissione per ulterioriPag. 66considerazioni, a partire dalla necessità di rendere possibile l'autonomia universitaria.
Infine, vorrei segnalare un'urgenza immediata, che riguarda il settore dell'editoria. Parlo di urgenza perché l'editoria è un settore staticamente in crisi, che richiede l'approvazione di una legge di riordino del settore medesimo e nuovi criteri trasparenti ed equi per la distribuzione dei contributi. Sono consapevole delle difficoltà e, tuttavia, mi sento di insistere sulla necessità di individuare fondi che servono alla sopravvivenza ed allo sviluppo di molte piccole e medie imprese del settore della carta stampata, per dare avvio ad un processo di cambiamento culturale volto a dare, tra l'altro, rilievo e promozione al libro ed alla lettura, ed anche a garantire l'esistenza di diversi quotidiani e, dunque, il valore prezioso del pluralismo dell'informazione di cui l'intero paese ha bisogno. Presenteremo un ordine del giorno sull'argomento e mi auguro, fin d'ora, che il Governo dimostri la necessaria sensibilità.
Penso che la prossima legge finanziaria costituirà una importante occasione per continuare nell'opera di moralizzazione e modernizzazione del paese e sarà anche l'occasione per rendere evidente, agli uomini e alle donne del nostro paese, che scuola, cultura, ricerca, università, informazione e comunicazione sono davvero settori strategici per quello sviluppo economico che diviene sviluppo umano, quando si fonda sulle pari opportunità, sulle capacità, su un'idea di sapere come leva di uguaglianza e di inclusione sociale e sulla cultura come promozione del bello, dell'arte e dello spettacolo ma anche del senso critico e della autonomia delle persone; cultura, insomma, come promozione umana e come strada maestra per diventare cittadine e cittadini nella libertà di pensiero e nella capacità di convivenza. In questo senso, progresso economico e progresso civile camminano insieme (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, il decreto-legge, definito delle liberalizzazioni, in realtà è un provvedimento che poggia su tre questioni riassunte in altrettanti titoli. Solo il primo di essi attiene ad alcune decisioni in materia di semplificazione e di maggiore concorrenza in alcuni settori della vita economica e sociale. Gli altri due titoli del decreto-legge in esame sono relativi a tagli di spesa e alla lotta all'evasione fiscale. Per questo motivo, tale decreto-legge, in un primo momento definito «decreto Bersani», ha comunemente assunto la duplice denominazione di «decreto Bersani-Visco».
Se parliamo di liberalizzazione in termini filosofici, non possiamo non convenire sulla sua necessità e urgenza in una società, quella italiana, ancora troppo dominata - ce lo ha così spesso ricordato il professor Francesco Gavazzi, nei suoi pregevoli editoriali sul Corriere della Sera - da lacci e lacciuoli, vincoli e proibizioni. Uno Stato moderno non può accettare l'esistenza di corporazioni e di settori protetti i cui interessi confliggano apertamente con l'interesse generale. Allo stesso modo, non si può non convenire con l'idea di porre al centro di tutto il cittadino consumatore, soprattutto oggi, in una situazione nella quale egli appare quasi sempre penalizzato e, a volte, addirittura paralizzato: penalizzato dalla mancata conoscenza, come spesso accade nel rapporto con gli istituti di credito che consigliano al risparmiatore investimenti, a volte, sbagliati, mandandolo in rovina senza pagarne alcuna conseguenza; paralizzato proprio dalla mancanza di concorrenza, che porta alla definizione dei prezzi esclusivamente ad opera del soggetto monopolizzatore del mercato.
Il tema è squisitamente liberale, signor ministro, e che sia posto da un Governo che subisce un forte potere condizionante da parte dell'estrema sinistra non può non sorprendere, anche se l'oratore di Rifondazione Comunista, poco fa, ha messo in guardia il Governo dal considerare il mercato come una istituzione, definendolo semplicemente come una convenzione sociale artificiale. Ora, che il mercato siaPag. 67una convenzione sociale e non un'istituzione è evidente per chi conosca la politica economica; tuttavia, che tale convenzione sociale sia artificiale presuppone il fatto che possa essere sostituita con un'altra convenzione sociale.
Se questo è l'augurio del partito della Rifondazione Comunista, certamente non lo condividiamo, perché ogni esperienza alternativa al mercato è clamorosamente fallita, nel secolo passato. Certamente, non può non dispiacere che il tema delle liberalizzazioni non sia stato affrontato nel modo dovuto del precedente Governo, di forte impronta liberale. Leggendo molte autorevoli dichiarazioni di esponenti della coalizione di centrodestra, emerge, qua e là, qualche venata autocritica, a tale riguardo. Aggiungiamo che condanniamo nel modo più deciso tutte le intimidazioni che sono state rivolte da gruppi di cittadini nei confronti di personalità quali Giavazzi, Ichino e lo stesso Mussi. La protesta non può mai sconfinare nell'aggressione verbale o addirittura fisica. Non è con l'aggressione che possono essere affermate le ragioni, quando esse esistono. Bisogna però, signor ministro, passare dalla filosofia, cioè dall'impostazione generale assolutamente condivisibile, ai fatti concreti - anche perché noi siamo parlamentari e dobbiamo legiferare attorno alle disposizioni con precisi contenuti -, per capire quanto ci sia di autenticamente liberale nel provvedimento del Governo e per comprendere se dalle idee giuste si sia passati a disposizioni altrettanto giuste e inequivocabilmente coerenti con le premesse.
Allora non si possono non evidenziare in questo provvedimento una serie di contraddizioni, di risposte sbagliate, di mancate risposte, alcune delle quali, per quanto ci riguarda, intendiamo qui riprendere e commentare.
La prima questione è relativa proprio allo strumento del decreto-legge. Tale provvedimento di necessità e d'urgenza si inserisce a metà strada tra il DPEF e la finanziaria; in qualche misura, dovrebbe stare dentro le previsioni del DPEF ed anticipare le scelte della finanziaria. Non sarebbe stato meglio che il Governo fosse venuto in Parlamento ed avesse sottoposto alle due Camere la sua strategia di politica economica e finanziaria? Si sarebbe potuto dire: bisogna trovare oltre 30 miliardi di euro e nel contempo risanare, corroborando lo sviluppo e producendo maggiore equità; ecco la nostra ricetta. E voi come la pensate?
Non sarebbe stato più aderente alle idee che la sinistra italiana ha sempre avuto della programmazione, una scelta che sancisse con chiarezza l'orizzonte all'interno del quale si collocano poi i vari provvedimenti, aprendo su questo un confronto non postumo ma preventivo? Certo il Governo non vive una stagione facile. Non è mistero per nessuno che l'esponente di Governo di Rifondazione Comunista non abbia partecipato al voto sui provvedimenti economici dell'esecutivo e che l'economia si annunci oggi come l'ennesima trincea di lotta, alla quale i partiti di Governo ci hanno ormai abituato - una sorta di nuovo Afghanistan o di nuovo indulto -, ed è evidente che il ricorso alla fiducia sia divenuto ormai una scelta di Governo obbligata, a causa di una maggioranza risicata, soprattutto al Senato, e sempre più litigiosa.
Porto sulle spalle, signor ministro, due legislature nell'ultimo periodo della cosiddetta prima Repubblica, cosiddetta perché ancora non vedo la seconda. Ricordo bene le critiche che dai banchi del PCI, poi PDS, venivano rivolte ai Governi di pentapartito: non si può governare l'Italia a colpi di decreti e di fiducie; non si possono espropriare i diritti del Parlamento, si diceva. Come si vede, spesso le critiche si ritorcono contro chi le avanza e i principi si piegano alla logica dello stato di necessità. La memoria d'altronde non è una prerogativa di questa classe dirigente e cambiare opinione è divenuto una virtù. Penso anche alle accuse, che ho recentemente ascoltato dai banchi dell'Ulivo, dei buchi di bilancio, vere e proprie ossessioni di chi governa da poco. Si potrebbe dire, parafrasando Giuliano Amato di cinque anni fa: chi di buco ferisce, di buco perisce, se non fosse una frase variamente interpretabile!Pag. 68
Così, ogni volta, dopo un litigio, si comunica che bisogna metterci una pietra sopra; una stretta di mano e via, verso un nuovo litigio, per poi sottolineare - lo ha fatto recentemente lo stesso Fassino - che il Governo deve essere allargato e che da solo non ce la fa. Ma c'è un punto del decreto-legge, diciamo così più di merito, che non possiamo sottacere. Il provvedimento è stato sottoposto ad una serie di consultazioni postume: strano metodo di affrontare i problemi, signor ministro. E guardi che noi non siamo mai stati, contrariamente a molti di voi, per la concertazione - il Governo e il Parlamento devono prendere le decisioni legislative, non altri -, ma siamo sempre stati a favore delle consultazioni. Ora che le consultazioni vengono effettuate dopo l'emanazione del decreto-legge e portano ad un forte cambiamento del testo originario, tanto che il Senato ha approvato un provvedimento assai diverso da quello emanato dal Governo, questo ci stupisce e un po' ci preoccupa. Tanto che ci sentiamo in dovere di chiedere al Governo perché non ha accompagnato il decreto-legge modificato con una nuova relazione tecnica, solo per sapere, signor ministro, se le maggiori entrate previste dal primo testo sono identiche alle maggiori entrate conteggiate nel secondo, che dovrebbero portare ad uno 0,5 per cento di PIL, come previsto dal DPEF recentemente approvato.
Una seconda osservazione di merito riguarda le scelte di inclusione e quelle di esclusione dal provvedimento motivato da necessità ed urgenza. Stupisce, quando si parla di liberalizzazioni, che si includano alcune professioni - tassisti, farmacisti, avvocati - e si escludano invece le vere materie attorno alle quali è assolutamente necessario promuovere un mercato pluralistico. Parlo in particolare dell'energia e del mercato monopolistico, a cui è sottoposto il cittadino e al quale devono soggiacere le imprese. Si è scelto per l'energia un disegno di legge, non la forma del decreto-legge, perché? È una domanda che rinviamo al Governo.
La questione dell'energia è davvero di rilievo; solo introducendo maggiore pluralismo di soggetti interessati si possono ridurre i costi in una materia che, se si escludono le famiglie per ciò che riguarda l'energia elettrica (ma dal 2007 questo diritto verrà esteso anche a loro), è già liberalizzata per legge.
Il problema è quello di costruire un mercato non monopolistico, gestito oggi da ENI, da Enel e dalle numerose multiutility intercomunali nel territorio periferico, per ridurre i costi energetici anche alle piccole e medie imprese, che rappresentano il 95 per cento del tessuto imprenditoriale italiano. Dunque, si tratta di una manovra assai indicata per agevolare lo sviluppo, obiettivo strategico, a nostro giudizio, anche per combattere il disavanzo.
Nel primo semestre del 2006, l'ENI ha chiuso con un guadagno di 5 miliardi di euro, che in gran parte finiscono nelle casse dello Stato. Possibile che nessuno abbia pensato di approvare sgravi fiscali per le imprese italiane, che tanto versano in quel modo allo Stato italiano?
Nel settore energetico non si può evitare di porsi il problema del risparmio. Ci sono oggi soggetti importanti, ma quasi tutti stranieri, che stanno lavorando con successo in questo campo e riescono ad ottenere risparmi, ad esempio nel settore dell'energia elettrica, pari a quasi il 30 per cento dei costi attuali.
Non è utile che venga agevolato anche in Italia questo settore e che si possa portare ad una maggiore presenza del nostro paese sul mercato internazionale, oggi praticamente escluso in una materia strategica atta ad aiutare le imprese in termini di contenimento di costi?
Certo, non si dovrebbe solo affrontare il problema dell'energia; è giusto infatti porre attenzione al settore del trasporto pubblico e nel decreto-legge non si parla solo del problema dei tassisti, che è incluso nel tema più generale della mobilità urbana, oggi di esclusiva competenza comunale. Anche in questo settore una maggiore concorrenza non potrebbe che aumentare i servizi in termini di qualità e di quantità e nel contempo contenere i prezziPag. 69per gli utenti. Su questo siamo perfettamente d'accordo e non in dissenso, come l'onorevole Ricci di Rifondazione Comunista.
E perché non affrontare anche il tema del monopolio statale del servizio ferroviario? Tema che tanto stette a cuore ai socialisti all'inizio del secolo, ma che all'inizio di un altro secolo potrebbe essere diversamente impostato, tenendo presente non tanto la forma di gestione, ma i servizi da prestare al cittadino.
Quanto al sistema monopolistico, signor ministro, dia una guardata alla nostra Emilia Romagna, al ruolo della cooperazione, sia quella di produzione lavoro sia quella di consumo, nel mercato emiliano romagnolo. Si accorgerà di come questa regione sia fortemente impregnata del concetto di egemonia. Egemonia di un partito - adesso di uno schieramento - sulla politica, egemonia di un soggetto economico sul mercato. Allora, mi pare difficile conciliare questa realtà, che ho appena fotografato, nella quale, lei, signor ministro, come me, vive, con le sue opzioni liberali, così giustamente proclamate da lei attraverso questo decreto-legge. Cerchi di trovare una sintesi tra le sue opzioni culturali e la realtà della regione nella quale io e lei insieme viviamo.
Tornando all'energia, è vero che Prodi ha consentito la liberalizzazione dell'energia elettrica nel suo primo Governo, ma è anche vero che un provvedimento al di fuori del contesto europeo ha consentito allo Stato francese di divenire, con l'acquisizione di Edison, il secondo produttore dopo Enel di energia elettrica in Italia attraverso la società statale Electricité de France. Dunque, attenzione a misurare il processo di liberalizzazione con le norme degli altri paesi europei e con quelle comunitarie, perché potrebbero esserci, francamente, beffe, come quelle che abbiamo dovuto subire nel settore dell'energia elettrica.
Terza osservazione: leggo quest'oggi che il Presidente della Commissione attività produttive della Camera, l'amico onorevole Daniele Capezzone, propone una legge bipartisan per ridurre drasticamente i tempi e le norme per la creazione di nuove imprese. Si tratta di una proposta giusta, che condivido e che ho personalmente firmato. Ma tale proposta rientra nella strategia del Governo? Infatti, se vi rientra, non è stata inserita nel decreto-legge, che aveva lo sbandierato obiettivo di liberalizzare e di semplificare. Se la proposta di legge bipartisan di Capezzone è giusta, anche metodologicamente, perché il Governo si intestardisce con i decreti e le chiusure a riccio, che diventano perfino più forti e definitivi nei confronti delle opposizioni, soggette ormai solo ai voti di fiducia, di quanto non lo siano state nei confronti dei tassisti romani, che pure non hanno mancato di assumere toni eccessivi nella loro pur legittima protesta?
Insomma, si preferisce, caro Capezzone, «blindare» una maggioranza, che ormai non c'è più, con decreti, decreti-bis e fiduce, piuttosto che aprire un vero e proprio confronto con la minoranza, come tu fai con la proposta di una legge bipartisan.
Quarta osservazione: alcuni punti fondamentali del vecchio decreto-legge sono stati cambiati sostanzialmente dopo i confronti con le categorie interessate. Ne vorrei ricordare due in particolare, anche per capire da dove si muovessero le risposte originarie e quale obiettivo volessero accogliere. Cito la questione del cumulo delle licenze dei tassisti e la questione della retroattività della tassazione sulle transazioni immobiliari.
La prima scelta, a giudizio del ministro Bersani, era dovuta alla necessità di aumentare il numero dei taxi. Giusta preoccupazione, certo non una delle prime che dovrebbero animare un ministro alle prese con ben altri problemi ed emergenze. Ma restiamo al tema: come non accorgersi, come è stato poi ammesso, che questa nuova misura avrebbe determinato la nascita di società e di cooperative e la trasformazione del tassista da lavoratore autonomo a lavoratore dipendente? Che c'entra questo con le liberalizzazioni? Sarebbe stata una sorta di liberalizzazione al contrario, dal lavoro autonomo al lavoro subordinato. Nulla di male, ma, allora,Pag. 70questo doveva essere l'obiettivo dichiarato, non certo quello di aumentare il numero dei taxi, soprattutto nelle grandi città, problema che era già stato parzialmente risolto dai sindaci di alcune grandi città italiane con nuovi bandi e nuove licenze.
Ora, il cumulo è stato cancellato e si è ammesso che bastava una diversa organizzazione dei turni, nuovi bandi, lavoro straordinario, la concessione dell'uso della macchina ad un familiare, la copertura di periodi legati ad eventi, tariffe concordate con percorsi predefiniti. Insomma, si è puntato allo stesso obiettivo facendo clamorosamente retromarcia sul cumulo, che pareva, o almeno così era apparso leggendo i giornali, una vera e propria trincea di guerra e che aveva indotto il popolo dei tassisti a clamorose proteste, compreso lo sciopero, che ha mandato in tilt intere città.
Non si poteva prevedere tutto questo? Era proprio inevitabile dichiarare questa guerra di civiltà, per poi finire a fumare il calumet della pace con i ribelli riuniti per festeggiare una vittoria?
L'altra questione, per certi versi anche più grave, riguarda la retroattività di una misura fiscale prevista nel settore immobiliare. Qui siamo veramente alla mancanza di rispetto per i diritti dei cittadini! Come si poteva accettare l'idea che, dopo aver pagato una cifra, anni dopo, coloro che avevano stipulato un contratto di acquisto di un immobile dovessero pagare una cifra diversa e superiore?
Ma quando mai ciò è avvenuto in Italia? Quando mai è stato stabilito il principio della retroattività di una misura fiscale? Credo che ci troviamo davvero ai limiti della Costituzione: sarebbe come se un risparmiatore, che ha stipulato un contratto per l'acquisto di titoli dello Stato, venisse a conoscenza che tale contratto è stato cambiato cammin facendo! Ma quando mai ne sottoscriverebbe un altro? Questa misura, dunque, non poteva non essere mutata, come puntualmente è avvenuto, sopprimendo il criterio della retroattività.
Vorrei rivolgere ugualmente una domanda, magari al ministro dell'economia e delle finanze, il professor Padoa Schioppa, il quale, nel suo Documento di programmazione economico-finanziaria, prevede una crescita in Italia, nei prossimi cinque anni, pari solo all'1,5 per cento del PIL. Si tratta di una crescita largamente insufficiente a risanare i conti pubblici italiani, a meno che non si applichi, ancora una volta, la strategia dei due tempi: prima il risanamento, poi lo sviluppo. Il che sarebbe insopportabile e controproducente.
Gli chiedo, dunque: si è trattato di un errore marchiano o di una sua propensione politica? Il primo può essere perdonato, ma la seconda no. Se si voleva mettere in ginocchio l'intero mercato immobiliare italiano, di certo con quella misura ci si sarebbe riusciti perfettamente!
Una ulteriore osservazione riguarda le misure fiscali previste per ciò che riguarda i controlli degli esercenti e dei professionisti. Il professor Francesco Forte ha scritto ieri su Libero: «Fra le lobbies che devono dire grazie al decreto Bersani-Visco (...) c'è anche, e non poteva mancare, quella delle banche. Infatti, in base al decreto, tutti i cittadini italiani, anzi tutti i residenti in Italia, anche minorenni e anche stranieri, dovranno avere un conto corrente bancario o una carta di credito o un bancomat. E tutti gli esercenti di arti e professioni, dai medici, ai falegnami, ai callisti, dovranno dotarsi non solo di un proprio conto corrente bancario, cosa che generalmente già hanno, ma anche di una macchinetta per il bancomat e di una per le carte di credito, collegata alla banca di fiducia. Milioni e milioni di nuovi clienti in un colpo solo, grazie all'articolo 19 del decreto Bersani-Visco (...)».
Diciamo la verità: non siamo così stolti da pensare che, in queste categorie, non si incunei un alto tasso di evasione fiscale; dunque, è assolutamente doveroso tentare nuove strade per combatterla. Dubitiamo, tuttavia, che queste siano le misure più giuste ed efficaci per fare in modo che la stessa evasione venga contenuta.
Ciò, innanzitutto, perché - diciamoci la verità - la maggioranza degli esercenti già dispone di conti correnti, ed una largaPag. 71maggioranza anche di «macchine» o «macchinette» da bancomat e da carte di credito. In secondo luogo, inoltre, molti esercenti (come già accade adesso) si faranno pagare in nero, senza corrispondere la ricevuta o la fattura: e non c'è «macchinetta» da bancomat che possa sostituirla!
Inoltre, se il cliente pretenderà la ricevuta, l'esercente o il professionista potrà aumentare il prezzo, come del resto accade già adesso per taluni servizi. Il cliente risponderà, per quanto lo riguarda, che preferisce ricevere una prestazione a basso costo piuttosto che combattere l'evasione fiscale!
Il problema della lotta all'evasione fiscale è complesso e penso che la si debba condurre mettendo in conflitto alcuni interessi. Se ne discute da molto tempo, ma se esiste una convergenza di interessi tra chi fornisce il prodotto o la prestazione ed il cliente o il consumatore, allora non vi è nulla da fare. Cominciamo ad introdurre, dunque, forme di parziale defiscalizzazione delle spese sostenute, ad esempio, per gli onorari dei dentisti o degli avvocati, e state pur certi che saranno i clienti a pretendere l'esatta ricevuta della spesa corrisposta.
Il conflitto degli interessi, nel mercato moderno, è una forma di controllo efficace e, per molti versi, risolutiva; forse è l'unica. La consigliamo più delle «macchinette» del bancomat a chi dimostra, però, di avere una concezione un po' troppo «ragionieristica» dei conti pubblici. All'alleanza tra il produttore e il consumatore-cliente, in funzione dell'evasione fiscale, bisogna contrapporre il conflitto tra di loro, al fine di abbattere l'evasione fiscale stessa.
Vorrei adesso svolgere l'ultima osservazione. Nel programma dell'Unione si dà molto spazio alla ricerca e alla formazione universitaria; si rivolgono, inoltre, critiche al passato Governo, accusandolo di aver speso troppo poco; anzi, di aver tagliato la spesa in tale ambito, o quantomeno di non averla aumentata.
Ebbene, cosa fa il nuovo Governo, suscitando le ire e la minaccia di dimissioni del ministro Mussi? Riduce proprio la spesa per l'università e la ricerca!
Infatti, il taglio del 10 per cento circa delle spese esclude una serie di istituti, tra i quali le ASL, gli ospedali, gli istituti zooprofilattici, ma non le università e il CNR con i suoi derivati. E pensare che i rettori delle università minacciarono di dimettersi quasi in blocco per un mancato aumento della spesa; ed oggi, a fronte di una sua diminuzione, se ne stanno tranquilli e quieti. Non conosco tutte le logiche di inclusione e di esclusione dal taglio; posso solo amaramente commentare che le università e il CNR imponevano almeno lo stesso trattamento riservato agli istituti zooprofilattici.
A proposito della ricerca mi si consenta un'ulteriore richiesta di chiarimento. Dove sono finiti i contributi in conto interessi, pari a 1.800 milioni di euro, capaci di sviluppare dunque mutui per decine e decine di miliardi di euro per i quali già era stato emanato un bando al quale avevano inviato progetti oltre un centinaio di imprese? Se davvero il decreto-legge in esame sancisce l'opportunità di cambiare le commissioni d'esame, non rischiamo di far sparire queste risorse o magari di fare in modo che vengano elargite alle calende greche?
Con queste considerazioni in parte favorevoli, con queste osservazioni critiche e queste proposte alternative, noi procederemo in un atteggiamento, certo non distruttivo, ma laicamente disponibile ad entrare nel merito dei vari provvedimenti con una sola preventiva e naturale eccezione: l'abuso dei decreti-legge e del voto di fiducia. Questi strumenti, infatti, non facilitano i confronti ma li immiseriscono, negandone in partenza qualsiasi efficacia.
Il nostro paese attende risposte chiare sui temi oggetto del decreto-legge e credo che abbia il diritto di capire se esiste una maggioranza in grado di garantirle (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Napoletano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO NAPOLETANO. Signor Presidente, signor ministro, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, dico subito che al Governo non mancherà il pieno e leale sostegno dei Comunisti Italiani sulla cosiddetta manovra Bersani che, a nostro avviso, inserendosi, in un contesto più ampio, che abbiamo già avuto modo di valutare con l'esame del DPEF, rappresenta un'evidente inversione di tendenza per la politica economica e finanziaria italiana. Il primo risultato ottenuto con questo provvedimento, che per la verità non ho sentito ricordare dai colleghi finora intervenuti, è che con esso si bloccano le procedure di infrazione che le istituzioni europee hanno intentato negli ultimi anni nei confronti del nostro paese perché ritenuto colpevole di aver violato tutta una serie di norme comunitarie adottate a tutela della concorrenza e della libera circolazione dei beni e dei servizi.
Quello che ci propone il Governo è, a mio avviso, un provvedimento coerente. Tuttavia, colleghi, consentitemi di esprimere il rammarico dovuto al fatto che il provvedimento in questione è giunto all'esame dell'Assemblea in modo quasi necessitato. Sappiamo bene delle difficoltà che esistono nell'introdurre in esso, anche a seguito di un confronto più costruttivo, dei miglioramenti. È evidente che non si può giungere, a causa dei tempi ristretti, ad un'ulteriore lettura al Senato del provvedimento.
Tuttavia, vi è un rammarico! Io condivido la preoccupazione sincera, non quella strumentale, di taluni colleghi per i quali bisogna far ricorso il meno possibile a forme di decretazione d'urgenza, come criterio generale. Occorre, infatti, svelenire un clima politico-istituzionale che non è utile al paese, che qualche volta maschera carenze di linea politica ma che, tuttavia, alla fine impedisce un confronto serio, utile e migliorativo dei provvedimenti.
È vero anche che vi è l'urgenza di governare, che bisogna rispettare dei tempi e che questi sono i perfetti e perversi risultati di riforme elettorali che, certamente, non ha né fatto, né voluto il centrosinistra.
Dico alla maggioranza di ricorrere il meno possibile a tale strumentazione, a farsi forte dei suoi programmi e di offrirsi e aprirsi al confronto perché il paese ha bisogno non di vaneggiare o vagheggiare intorno ad allargamenti di sorta di questa maggioranza, bensì di ripristinare un clima costruttivo nel quale l'opposizione faccia l'opposizione e la maggioranza faccia la maggioranza, ed in maniera granitica.
Detto questo, il provvedimento all'esame è coerente con gli indirizzi del Governo: è inutile che si cerchi di sminuirlo. Il primo obiettivo, che in tal caso giustifica l'urgenza, e quindi l'uso della decretazione, riguarda la grave situazione dei conti pubblici che ci troviamo ad avere in eredità.
A fronte di questo, e per coniugare il risanamento dei conti allo sviluppo e alla crescita dell'economia, vi è la necessità di inserire, con un nesso inscindibile a politiche che incrementino la produttività e la competitività del sistema economico, quelle misure di equità importanti, e mi spiace che debba dirlo io, che, certo, non ho del mercato una particolare concezione da feticcio o da panacea di tutti i mali.
Non vi è dubbio che, storicamente, le classi dirigenti di questo paese hanno dimostrano un'arretratezza tale da appesantire il sistema del mercato da una serie di gravami, di protezionismi, di corporativismi, che non hanno più senso e che hanno contributo a creare quei privilegi che, invece, vanno eliminati, non per un furore liberistico del mercato, bensì perché in questo caso più concorrenza vuol dire più efficienza, riduzione di costi, spostamento ed aumento di redditività verso i cittadini, i lavoratori e i ceti meno abbienti, contribuendo in tal modo ad aumentare la crescita del paese e gli investimenti delle famiglie e delle imprese.
Ecco perché quello delle liberalizzazioni va nella direzione dell'equità, se è vero come è vero che, per la prima volta sicuramente, o quasi, nella storia dellaPag. 73Repubblica le associazioni dei consumatori sostengono queste politiche. È del tutto evidente che più si incide nei privilegi, più si suscitano le reazioni, qualche volta scomposte, e perfino violente, esecrabili e condannabili, spesso anche conseguenza dell'utilizzo politico che viene fatto di tali ribellismi. Forse che in Italia non vi era la necessità di dotare, soprattutto le città più grandi, di un numero superiore di taxi? Il Governo avrà pure sbagliato, ma ci ha pensato. Prima non ci avevano pensato!
Forse che in Italia non è giusto che i cittadini paghino meno i medicinali, soprattutto quelli da banco e senza ricetta? Ma come, avviene nella gran parte dell'Europa, avviene negli Stati Uniti, faro economico, politico, di tanti colleghi e partiti! Le cose buone che succedono qui, invece, non valgono? Non è giusto questo? Non è giusto che ciò possa avvenire anche nelle strutture della grande distribuzione con l'ausilio di farmacisti? Non può essere giusto? Ciò significa offrire lavoro ai giovani professionisti! Di questo si tratta!
La caduta di questo professionismo, o meglio, la diminuzione di questo protezionismo significa liberare maggiore domanda interna, significa dare più spazio ai giovani che spesso sono tenuti ai margini da certe caste e hanno difficoltà ad emergere, proprio perché vi sono secolari protezionismi che oggi non hanno più senso, senza farci prendere dai furori, cum granu salis, ma le cose vanno realizzate!
In Europa si liberalizzano le professioni e contro l'Italia è stata aperta una procedura d'infrazione, perché le tariffe fisse sono «bollate» come anticoncorrenziali, tali da bloccare, alla pari di altri lavoratori, la circolazione dei servizi e dei lavoratori anche dell'intelletto in Europa.
Ma l'Italia che fa? Facciamo parte dell'Europa, ma non applichiamo le leggi dell'Europa? Non applichiamo i trattati che noi stessi firmiamo? Non vi sembra che questi possano essere atti dovuti? Certo, vi sono delle incongruenze o delle difficoltà; si pensi agli avvocati che si fanno la pubblicità e la lista della spesa in studio. Riconosco che gli ordini professionali devono continuare a svolgere un ruolo di controllo e di verifica anche della qualità dei servizi offerti, ma non è giusto che il cliente sappia prima quanto debba pagare? I patti di quota lite, dagli Stati Uniti in giù, si fanno! Esistono! Vi dirò di più, cari colleghi: già nella pratica, sono in tanti a farli e spesso sono gli stessi clienti che li propongono agli avvocati. Bisogna solo stare attenti a non trasformare le professioni in negozianti. Questo non sarebbe possibile, questo non sarebbe giusto, non lo vorremmo neppure noi, oltre che i diretti interessati.
Le associazioni tra professionisti già esistono. La possibilità di creare strutture associative può essere un vantaggio per il cittadino-cliente che in uno studio può trovare, deve trovare, una filiera di professionalità di sicuro affidamento.
Probabilmente, vanno migliorate alcune questioni. Quindi, più efficienza del sistema significa meno costi per i consumatori. Questo è alla base delle cosiddette liberalizzazioni che hanno un senso, perché mettono più soldi nelle tasche delle famiglie, ma li mettono con un'azione necessaria per risanare i conti pubblici.
Vedete, colleghi, come diventano necessari i decreti-legge in questo caso (magari, in altri casi, non lo sono)? Se per tre anni consecutivi l'Italia supera la soglia del 3 per cento fissata dai trattati europei, e se davanti a noi si prospetta un pozzo senza fondo, bisogna pure avere il coraggio di prendere, con urgenza e con forza, i primi interventi. Non nel 2006 (non ce la faremmo, e sarebbe da stolti pensare di farcela nel corso di quest'anno), ma già nel 2007 saremo in grado di recuperare, con tali procedure, mezzo punto percentuale del PIL e, inoltre, saremo in grado di avviare quella politica che dovrà riportare il rapporto tra debito e PIL sotto la soglia del 3 per cento (il DPEF indica nel 2,8 per cento l'obiettivo del Governo per il 2007). Dobbiamo farlo o no? È urgente farlo o no? Non è vero che la situazione dei conti pubblici è grave? Non è vero che vi sono «buchi» (parola spesso abusata da altri colleghi)? Se è così, allora l'urgenza c'è. In particolare, è urgente cominciare ad intervenirePag. 74per il risanamento dei conti ed è urgente bloccare le procedure già promosse a livello europeo contro l'Italia. Sotto questo aspetto, il provvedimento in esame mi sembra positivo. Dunque, il Governo vada pure avanti.
Se posso permettermi di muovere un appunto: ebbene, io dico che condividiamo le critiche che hanno riguardato il metodo. È vero che esiste la necessità di fare bene ed in fretta, ma è anche vero che, se proclamiamo la concertazione, dobbiamo essere il più possibile coerenti e dobbiamo anche perdere qualche giorno in più: faremo quello che c'è da fare dopo, ma ne avremo guadagnato sul piano dell'immagine democratica ed istituzionale del Governo (sarebbe stato così se si fosse discusso preventivamente con i tassisti, con i farmacisti e con le altre categorie).
A proposito delle farmacie, condivido l'idea che la loro funzione debba essere ripensata: non possono essere negozi e continuare ad avere privilegi in tale veste (a differenza degli altri negozi): devono, evidentemente, diventare altro. Mi fa piacere leggere degli incontri del ministro Turco con Federfarma ed altre associazioni (per quanto il fronte della protesta si sia molto incrinato): essi lasciano ben sperare per il prosieguo del confronto dopo la necessaria pausa estiva. Le farmacie debbono effettivamente avere un ruolo diverso, più collegato alla tutela della salute dei cittadini: non dico un tramite, ma sicuramente un canale importante tra il paziente, il medico e la ASL, il servizio pubblico. In tal modo, il cittadino pagherà di meno molti medicinali.
Qualche collega lamentava: avete preso queste misure, ma altre erano molto importanti. Condivido, ma penso che questo sia il primo passo del Governo. I responsabili dei dicasteri hanno preannunciato che, subito dopo, sarà la volta della politica energetica, del risparmio energetico che le famiglie dovranno ottenere (secondo i calcoli effettuati, si tratterà, a regime, di almeno mille euro di risparmio per ogni nucleo familiare). Vedete quanto è importante il provvedimento in esame, pur con tutti i limiti e difetti che ci possono essere (e ci sono).
Cosa dire oggi? Suggerimenti e proposte apprezzabili filtrano anche dagli interventi di molti colleghi dell'opposizione. Tuttavia, mi domando perché mai tutto questo ben di Dio, tutte queste proposte non siano state fatte prima.
Lo dico sinceramente, senza intenti polemici: probabilmente lo sfascio dei conti pubblici sarebbe stato inferiore. Se invece di compiere delle azioni temporanee sulla politica delle entrate, avessimo aggredito i nodi strutturali, sarebbe stato meno drammatico. Si sarebbe dovuti andati al nocciolo del problema, invece di criticare le politiche antievasione, antielusione, (prima, invece, con i condoni si andava ad istigare gli elettori e i cittadini ad evadere il fisco tanto, prima o poi, qualche condono sarebbe arrivato). In questo modo, etica ed amministrazione finanziaria non si sposavano di certo, mentre, quanto meno nel provvedimento in esame c'è uno sforzo importante di poter arrivare a queste misure. Certamente la critica è legittimità, ma i risultati li vedremo nell'anno successivo - come pure è stato ricordato - e quando vedremo gli effetti potremo muovere maggiori critiche.
Se riuscissimo a creare un clima di maggiore costruttività, se tutti riuscissimo a mettere gli interessi del paese sopra ogni altra questione di parte, di coalizione o di elucubrazioni strategiche, forse faremmo veramente un servizio al paese. L'Italia non vuole andare di nuovo a votare, l'Italia vuole essere governata, al di là di chi abbia vinto di molto o di poco, perché c'è necessità di un'incisiva attività di Governo. Questo si chiede, non una conflittualità perenne in attesa di liberare utili strategie politiche a ciascuna parte; si chiede se esistono ancora le case della libertà, se ci sono divisioni nell'ambito della maggioranza. Tutto questo c'è sempre stato nel gioco politico, c'è stata una differenziazione specie quando ciò non è stato ricompreso in una attività di Governo.Pag. 75
Io credo che questo provvedimento meriti di essere incoraggiato, per «traghettarci» insieme al DPEF sulla legge finanziaria. Molti fanno gli scongiuri e molti si dilettano in previsioni nefaste; io, invece, sono convinto che gli stati di necessità fanno sempre stringere a corte. Si vincono addirittura i mondiali quando si danno per scadenti e perdenti i giocatori di una squadra; quindi, figuriamoci se un Governo e una maggioranza sotto tiro non avranno voglia di dimostrare che esistono e che devono andare avanti comunque per il bene del paese!
Non si fa, però, la finanziaria tra due o tre ministri, non si fa la finanziaria direttamente all'interno del Governo. Bisogna discuterla prima, bisogna discuterla così come tutte le scelte strategiche nell'ambito di una maggioranza. In questo modo si vede se c'è una maggioranza, se c'è la collegialità, se c'è la discussione preventiva che serve ad evitare che si alzi il ministro di turno e dica io non voto perché sono più pacifista dall'altro, perché sono più sensibile ai servizi sociali rispetto a qualche altro, salvo poi venire in aula e votare prima di ogni altro sui provvedimenti.
Anche queste pantomime lasciano il tempo che trovano; siccome non siamo a parlare di indulto - e stendo un velo pietoso ancora una volta (e lo dico con estrema sincerità) - sulla finanziaria non ci possiamo permettere di «toppare». Abbiamo bisogno di scendere nel dettaglio, ma dobbiamo fare in modo che ci sia un confronto costruttivo con l'opposizione, con tutta l'opposizione - non con chi è più di centro, chi è meno di centro, chi è di destra, chi è non è di destra - e dobbiamo dare a ciascun parlamentare la sua quota parte di sovranità e la possibilità di interloquire. Allora predisponiamola come Governo e come maggioranza, ma andiamo al confronto con l'opposizione, facciamone un provvedimento del Parlamento che serva al paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, siamo di fronte ad un decreto che ne contiene due: un decreto-legge Visco sul fisco ed uno Bersani sulle liberalizzazioni. Meglio sarebbe stato se fossero stati due provvedimenti distinti e meglio sarebbe stato se, quanto meno per la parte di competenza del ministro Bersani - sul fisco si possono invocare altre ragioni -, non si fosse fatto impropriamente ricorso alla decretazione d'urgenza. Anche perché il combinato disposto del decreto e del voto di fiducia, almeno al Senato, a cui una maggioranza debole nei numeri, ma evidentemente poco ferma anche in fatto di coesione politica, sembra voler far ricorso con sistematicità, rischia di realizzare de facto la fine di quel bicameralismo perfetto che non è stato possibile de iure con la bocciatura improvvida della riforma costituzionale.
In tale contesto, l'esame del decreto che stiamo svolgendo alla Camera - non me ne vorrà il ministro che, comunque, ringrazio per l'attenzione che dedica a questo dibattito - avviene in sede convegnistica più che in sede legislativa. Anche perché il ministro Bersani, lealmente, in sede di audizione in Commissione, ci ha spiegato che per il Governo questo decreto va bene così com'è. Ovviamente, tutti sappiamo che - fiducia o non fiducia - il provvedimento è «blindato», quindi questa discussione ha scarsa possibilità di tradursi in una modifica dello stesso.
La fiducia è fiducia ed anche il precedente Governo ha fatto ricorso a tale strumento in numerose occasioni. Ma la fiducia può essere un segno di forza quando si vuole sancire un accordo trovato all'interno della maggioranza oppure quando, ad un certo punto, si vuole accelerare l'iter di un provvedimento, o può costituire un segno di debolezza quando dalla maggioranza o non maggioranza parlamentare si vuole prescindere nella discussione di merito e quindi si invoca la fiducia come sta succedendo sistematicamente da parte del Governo Prodi.
In queste condizioni il ricorso alla fiducia sembra essere l'unico strumentoPag. 76rimasto a Prodi per cercare di governare, prescindendo dalla maggioranza parlamentare che su molti temi significativi non esiste. Con buona pace, anche in questo caso, di tutta la retorica spesa durante la campagna referendaria dal centrosinistra contro le presunte dittature del premier e a difesa della sacralità della Repubblica parlamentare. Oggi, ci troviamo in un contesto completamento diverso; i provvedimenti giungono «blindati», il Parlamento ha qualche ora o qualche giorno per discuterne, ma in sede convegnistica.
Credo sia importante giungere ad un rafforzamento dei poteri dell'esecutivo, per attribuire un ruolo più incisivo anche in sede legislativa al Governo italiano. Tuttavia, ritengo che le regole in un paese di diritto scritto, come l'Italia, debbano essere sancite nella Costituzione e non possano imporsi con i fatti compiuti.
Tornando al provvedimento in esame, ho ascoltato in Commissione il ministro Bersani cercare di giustificare l'evidente disomogeneità di questo decreto, sostenendo che l'evasione fiscale ostacola la concorrenza; quindi, si tratterebbe di due aspetti convergenti su un medesimo obiettivo.
Credo che nella lettera del presente decreto-legge vi sia qualcosa di completamente diverso, in particolare vi sono due parti che confliggono anziché convergere.
Certo, l'evasione fiscale contributiva, laddove viene praticata, altera la concorrenza tra le imprese a discapito dei contribuenti scrupolosi, ma che l'evasione fiscale italiana nasca solamente dall'abitudine di molti a non pagare le tasse è la ragione per cui il centrosinistra pensa che essa vada combattuta esclusivamente attraverso misure che potremmo definire, senza iperboli, di polizia fiscale. Tra l'altro ne hanno parlato anche i colleghi. Si tratta di misure che tendono a controllare, a spiare, gli imprenditori e anche i singoli cittadini consumatori, che aumentano gli adempimenti burocratici, che violano la privacy, che genereranno - questo succederà - un clima di sfiducia e di conflitto permanente tra fisco e contribuenti.
La logica sottesa alla «parte Visco» di questo provvedimento è che l'evasione fiscale possa anche essere la spia di un eccessivo peso dello Stato, delle sue regole e dei suoi balzelli sull'attività economica, ma non è tema che sembra essere stato preso in considerazione dal Governo di centrosinistra, almeno in questo provvedimento. Si fornisce al fisco il potere di indagare ogni aspetto della vita di imprenditori e contribuenti, ma non si pensa che l'evasione fiscale potrebbe essere meglio combattuta attraverso una semplificazione degli adempimenti, cioè attraverso la ricerca di un rapporto amichevole tra fisco e contribuente unita ad una riduzione del carico fiscale complessivo. In questo caso, a riprova della bontà di questa scelta vi è l'esperienza di paesi magari di recente industrializzazione, come i paesi e le repubbliche che sono da poco entrati nell'Unione europea, in cui si è visto come il ricorso alla flat tax e ad una diminuzione e semplificazione sostanziali del prelievo non ha determinato una crisi di gettito, ma è riuscita nel miracolo di favorire la crescita e di aumentare anche il gettito. Di tutto ciò non vi è traccia, come non vi è traccia dell'introduzione del contrasto di interessi, di cui per esempio parlava correttamente l'onorevole Del Bue, che probabilmente avrebbe un effetto molto più positivo anche da un punto di vista culturale.
Le misure di questo decreto-legge, invece (qui a mio avviso ha torto il ministro Bersani quando dice che si tratta di provvedimenti convergenti), sottopongono l'attività economica, in particolare quella degli imprenditori individuali, all'ipoteca statalista, in contrasto con l'affermazione della piena libertà e con la creazione di un ambiente favorevole all'imprenditorialità, in particolare a quella individuale.
Signor ministro, immagino di condividere con lei l'auspicio che il sistema economico italiano, il sistema industriale e anche quello di produzione dei servizi, si strutturi nel tempo in un modo meno polverizzato e meno atomistico di quello attuale. Credo anche io che abbiamo bisogno del consolidamento di imprese mediePag. 77e di imprese grandi. Credo, però, che dobbiamo rifuggire qualsiasi tentativo dirigista, diretto o indiretto, che persegua questo obiettivo a scapito di quella che oggi resta la forza e la vitalità dell'imprenditoria italiana, cioè la piccola impresa e, in molti casi, la microimpresa. Credo che il cittadino consumatore, che dovrebbe beneficiare degli interventi di liberalizzazione che il ministro ha proposto sui taxi, sulle farmacie, sulle attività dei liberi professionisti, non si troverà molto bene di fronte alle misure vessatorie, quali quelle riguardanti ad esempio la partita IVA, con questa sorta di prerogativa da parte dell'amministrazione di un sindacato preventivo sulla effettiva possibilità di svolgere l'attività di impresa per cui si chiede l'apertura della partita IVA. Credo che si tratti di una aberrazione e non riesco francamente a comprenderne le ragioni se non in una logica in qualche modo punitiva del lavoro autonomo. Logica punitiva che nella intenzione di favorire la crescita della produttività in Italia - noi sappiamo che la produttività del lavoro è fatta dalla somma delle tante produttività individuali - non ha spiegazione possibile.
Questo è un dato che confligge enormemente con quello dell'apertura del mercato. Così come credo che il cittadino consumatore, in particolare quello meno protetto e avvertito, si troverà a mal partito di fronte all'obbligo imposto del pagamento di una cifra sopra i 100 euro - sono pur sempre 200 mila lire, ci si ricorda spesso l'entità di molti salari in Italia -, attraverso mezzi di moneta elettronica oppure il libretto degli assegni. Ne parlava il collega Del Bue e tanti altri, mi chiedo se vi siate posti - in un Governo in cui vi è attenzione per la vita, come si dice adesso, dei migranti - il problema degli immigrati che non hanno un conto corrente, a cui difficilmente qualcuno lo concederà e che si troveranno nell'impossibilità di pagare in contanti prestazioni anche di carattere medico. Oggi in aeroporto ho visto che la Ryanair scrive a caratteri cubitali che si accettano solo pagamenti con carta di credito o Bancomat. Questo è nella legittima disponibilità di una politica aziendale che, a fronte di ciò, offre un servizio straordinario.
Lei è stato ministro dei trasporti e sa benissimo - lo dico al collega che mi ha preceduto - che la Ryanair è il simbolo di quanto il mercato faccia molto meglio dello Stato pure in un settore così cruciale. La Ryanair in dieci anni è riuscita a trasformare il servizio del trasporto aereo da un servizio per i ricchi in un servizio accessibile anche ai poveri, ma questa è una libera scelta. Mi pare di aver colto nelle parole del viceministro Visco nell'audizione presso le Commissioni riunite bilancio e finanze il retropensiero di modernizzare il paese rendendo più diffuso l'utilizzo degli strumenti innovativi di pagamento. Credo che arrivarci per decreto, magari con l'imposizione della fiducia in questo modo, sia un gravissimo errore che genera sfiducia e contribuirà a generare sfiducia tra i contribuenti su entrambi i versanti; in questo caso i liberi professionisti, ma anche coloro che riterrebbero di poter continuare ad usufruire di alcune prestazioni in un regime di privacy, che verrà completamente violato nel momento in cui queste norme dovessero essere implementate. Credo che questo, signor ministro, non sia nell'interesse del cittadino consumatore e sia uno dei tanti esempi - minimale per la portata, ma significativo da un punto di vista generale e culturale - del conflitto e dell'impossibilità di coniugare verso un unico obiettivo queste due parti del decreto al nostro esame.
Dal provvedimento nel suo insieme, dovendo fare un bilancio dei più e dei meno - poi verrò anche ai più che, in qualche modo, quanto meno nelle intenzioni, attribuisco alla parte di competenza del ministro Bersani -, emerge la visione complessiva di un provvedimento orientato non al mercato e alla libertà economica, quanto ad un controllo pervasivo dell'attività economica stessa, un aumento della burocrazia e degli adempimenti. I fatti dimostreranno, sempre che questo Governo possa durare abbastanza, se ho ragione io - e i tanti di noi che la pensano come me - oppure il ministro Visco: questo è un sistema che siPag. 78va delineando per preparare ulteriori inasprimenti fiscali e, per capirci, nel complesso della parte del provvedimento Visco, per preparare un'imposizione di natura patrimoniale. Che questo avvenga sui risparmi degli italiani, sul patrimonio immobiliare o altro lo vedremo, ma tutto è volto a questo disegno che non so - lo ripeto - se si trasformerà in atto, ma ciò credo dipenderà solo dai tempi e non dalle volontà.
Non voglio però sottrarmi ad un giudizio specifico circa gli interventi di liberalizzazione, cogliendo l'occasione della presenza del ministro Bersani.
Per chi ha sempre sostenuto la necessità di liberalizzare i mercati in Italia e in Europa, di svincolare i mercati, quali che siano ed a qualsiasi livello complessivo e di attività economica, dalle ipoteche stataliste e da quelle cooperative, particolarmente pesanti in Italia, quella delle liberalizzazione è certamente una sfida che non può essere respinta con qualche slogan.
Il ministro Bersani, forte di uno straordinario sostegno della stampa, dell'establishment economico-finanziario (il che, naturalmente, non rappresenta una colpa), ha aperto una discussione salutare, sfruttando l'effetto annuncio ed affrontando esplicitamente il tema della liberalizzazione dei servizi produttivi, anche se a partire da alcuni settori, forse o certamente, di forte valenza simbolica, anche se meno dal punto di vista dell'impatto strutturale sull'economia italiana e sulla competitività, come si afferma, della stessa.
Tra l'altro, vi è un elemento di rammarico, signor ministro: siamo in sede poco più che convegnistica. Lei ha individuato, spero non solo per coprirsi le spalle, ma per scelta e convinzioni, nelle segnalazioni dell'antitrust al Parlamento alcune fonti di ispirazione, ma, per quanto riguarda più nello specifico il dettaglio delle normative relativamente a questo provvedimento e ai settori su cui intervenire, credo si potesse - se quella era la logica - essere molto più generosi nel riconoscere le segnalazioni dell'antitrust, anche con riferimenti ai settori strutturali e strategici (il trasporto, l'energia elettrica e, per molti aspetti, le telecomunicazioni).
Inoltre, non si capisce perché alcune delle segnalazioni dell'antitrust non siano state considerate. Ad esempio, si parla dello sconto sui farmaci, ma ci si chiede il motivo per cui non sia stata prevista, a proposito delle segnalazioni dell'antitrust, anche la liberalizzazione dello sconto sui libri. Qualcuno ha obiettato che le piccole librerie sono tutte di sinistra (magari, la Mondadori non è di sinistra, ma la Feltrinelli, probabilmente, dal punto di vista più generale, lo è). Perché non lo avete previsto (sono sicuro che si tratta di una dimenticanza, perché queste misure sono state previste per i farmaci) per i libri? Credo, pertanto che, su segnalazione dell'antitrust, bisognasse liberalizzare anche lo sconto nella vendita dei libri da subito e non con i remainders, perché ciò avrebbe prodotto sicuramente grandi benefici per il cittadino consumatore che è anche lettore.
Fossimo stati in un contesto diverso, sono certo che il ministro Bersani avrebbe accolto questo suggerimento, ma, comunque, ne discuteremo in sede di esame delle proposte emendative. Sulle liberalizzazioni, credo che un centrodestra liberale non debba giocare in difesa, ma, caso mai, in attacco, confrontandosi con quello che si trova di fronte: non si tratta di un provvedimento palingenetico di liberalizzazione, ma di un intervento, almeno nei propositi, che poteva dare un segnale importante in alcuni microsettori e dal punto di vista dell'attitudine, della cultura e della dimestichezza con la concorrenza, anziché con le corporazioni.
Del resto, anche io, che pure non facevo parte della maggioranza e non ero in Parlamento, credo che l'obiezione secondo la quale il centrodestra nei cinque anni di Governo non ha saputo accelerare su questi temi, sia un'obiezione fondata storicamente, ma che per il momento appare piuttosto debole.
Il centrodestra, ad esempio, ha affrontato uno dei nodi strutturali più rilevanti in fatto di rigidità e di corporativismo per l'economia italiana, attraverso una leggePag. 79incisiva - avrebbe potuto esserla ancora di più, a mio avviso - di liberalizzazione del mercato del lavoro, scontrandosi e confrontandosi con corporazioni che, quando vanno in piazza, portano un milione - o quanti capperi sono stati, scusate! - di manifestanti ed hanno alle spalle una capacità di mobilitazione elettorale che non è certamente quella dei tassisti - parlo, in particolare, dei sindacati - e su ciò si è andati a fondo. Credo, quindi, che sarebbe stupido se il centrodestra, in qualche modo, vivesse male il fatto che dal centrosinistra partano iniziative di questo tipo. Ben vengano, se arrivano e se colgono l'obiettivo, ma temo che per molti aspetti non sia il caso di questo provvedimento, ed entrerò in seguito nel dettaglio.
Se i tanti che dal centrosinistra oggi plaudono gli interventi di liberalizzazione - leggera, per il momento, ma significativa - proposta dal ministro Bersani non avessero dato sfogo alla peggiore demagogia antimercato, assistenzialista e corporativa, parlando, a proposito dell'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto di lavoratori, di «barbarie», di «fine della civiltà», di «scontro»! Su ciò anche il ministro Bersani, a mio avviso, ha avuto parole infelici, nel momento in cui il Governo puntava ad un provvedimento che - considerato che questa è la logica - non indicava l'antitrust italiano, perché sarebbe stato un fuor d'opera, ma chiedeva la Banca centrale europea, chiedeva l'OCSE ed indicava come necessario il Fondo monetario internazionale, di fronte a questa liberalizzazione. Se il centrosinistra non avesse scelto la demagogia antimercato statalista e corporativa e non avesse determinato le condizioni per cui il Governo precedente finì per abdicare rispetto ad una misura che - e sono sicuro che molti componenti del Governo in carica condividono questa mia affermazione - se si fosse condotta in porto sarebbe stata un bene per l'economia italiana, si sarebbe registrato un bene per i lavoratori italiani ed un grande vantaggio anche per questo Governo!
Lei, signor ministro, ha detto, ad certo punto, che sulle regole non si concerta. Non sono certo della testualità, ma l'indicazione era sicuramente questa. Sono d'accordo, ma non solo le licenze dei taxi sono una regola; anche l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è una regola; anche il mercato del lavoro è fatto di regole, eppure su ciò si invoca la concertazione, ossia la paralisi del processo legislativo in Italia.
Su questo aspetto, casomai, dico che il Governo - prendiamo a simbolo il Corriere della Sera ed i suoi editorialisti - a partire dalle indicazioni del professor Gavazzi cui rivolgo, credo a nome di molti colleghi di Forza Italia, la solidarietà per gli attacchi stupidi e proditori che gli sono giunti dai tassisti milanesi - dovrebbe adottare, ad esempio, un provvedimento in cui, in termini di liberalizzazione - vi avete inserito di tutto - vi potrebbe stare anche una parte magari ispirata alle riflessioni del professor Ichino che, non a caso ha individuato un link molto pertinente ed efficace - mal gliene incolse, considerato che un pezzo della CGIL si è scagliata contro di lui con una violenza verbale di tipo squadristico! - tra le licenze dei taxi e l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 20)
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Un nodo strutturale che andrebbe affrontato con la stessa energia - e, magari, con migliori risultati rispetto al problema dei taxi o delle farmacie! - è, ad esempio, la liberalizzazione dei rapporti di lavoro all'interno della pubblica amministrazione ed, in particolare, della scuola. Credo che se di liberalizzazione vogliamo parlare e vogliamo andare a fondo su questo tema, la liberalizzazione del sistema scolastico e l'introduzione di elementi e condizioni vere di competizione tra sistema privato e sistema pubblico, nonché la possibilità di introdurre una vera privatizzazione dei rapporti di lavoro all'interno anche della pubblica istruzione - e, quindi, dello Stato - non sarebbe cosa negativa. Certo, sarebbe stato un provvedimento molto piùPag. 80costoso dal punto di vista della laboriosità della costruzione di un consenso politico, anche in previsione elettorale, ma avrebbe dato molta più forza al paese in termini strutturali, laddove queste forza serve in termini di competizione internazionale.
Tornando al cosiddetto decreto Bersani, il dibattito suscitato dalle misure proposte è stato, a mio avviso, molto positivo. Tuttavia, credo debba essere detto - assolutamente senza faziosità preconcetta - che, se l'avvio del dibattito è stato positivo, i risultati finali sono stati non molto buoni, anche dal punto di vista di sistema e di cultura del mercato, che si è più volte invocato.
Anzi, si è usato il termine liberalizzazioni e ci si è riferiti al cittadino-consumatore per qualificare misure di portata ridotta. Mi riferisco alla vicenda dei tassisti, sulla quale mi intratterrò più dettagliatamente in seguito.
Signor ministro, lei sa benissimo che l'elemento della liberalizzazione, nella vicenda che ha riguardato i tassisti, aveva un unico punto di riferimento, quello delle licenze. Liberalizzare il settore significava sottrarre al meccanismo corporativo la possibilità di esercitare la professione di tassista. Seppure sempre all'interno di una cornice, in qualche modo, corporativa - infatti, il rilascio di nuove licenze era stato previsto, non in generale, ma a beneficio di chi all'interno della corporazione già si trovava - lei è voluto intervenire su quell'elemento che era qualificante della disciplina relativa ai taxi e che ha finito per essere, giustamente, l'elemento qualificante, dal punto di vista politico generale, degli interventi di liberalizzazione previsti dal provvedimento.
Ebbene, il Governo ha compiuto una clamorosa marcia indietro su questo. Se si scomoda la categoria della liberalizzazione per arrivare a ottenere, minacciando la liberalizzazione, quello che i comuni possono ottenere a legislazione vigente, credo che alla fine si crei un danno - cercherò, poi, di dimostrarlo - anche in termini politici generali, rispetto al tema delle liberalizzazioni. Credo che proprio sul problema dei taxi il Governo, avendo scelto di enfatizzare questi provvedimenti per mettere in ombra, probabilmente, i provvedimenti di Visco, abbia perso la sua battaglia politica. L'esito finale è che non c'è stata alcuna liberalizzazione, men che meno delle licenze, e l'attività del tassista continuerà ad essere esercitata all'interno di una rigida gabbia corporativa.
Dalla lettura delle norme vigenti e di quelle contenute nel cosiddetto decreto Bersani, così com'è stato rivisto, emerge l'evidenza che l'accordo stipulato dal Governo e dalle associazioni dei tassisti, alla fine, abbia ridotto a pochissima cosa, e completamente svuotato, il provvedimento. Credo che le norme che sono rimaste - ma bisognerebbe interrogare qualcuno più competente in materia - abbiano il senso di una mera petizione di principio. La gran parte delle misure previste nella riformulazione del decreto-legge, all'articolo 6, nulla aggiungono a quanto regioni e comuni potessero fare già in base alle disposizioni della legge n. 21 del 1992. Secondo tale legge, infatti, le regioni hanno competenza sulla programmazione e sui criteri generali cui i regolamenti comunali devono attenersi, mentre i comuni stabiliscono i criteri per la tariffazione, le modalità del servizio, i requisiti per il rilascio delle licenze e così via. A questo, nulla si è aggiunto. Ad esempio, l'aumento dei turni di servizio, concordato da Bersani con i tassisti e considerato come uno dei massimi risultati della trattativa, era ed è una misura che le regioni - nello stabilire i criteri cui i comuni devono attenersi - e gli stessi comuni potevano adottare, nel rispetto della normativa preesistente. L'unica disposizione che introduce una deroga alla legge n. 21 del 1992 sembra essere quella che permette ai titolari di licenza di avvalersi di sostituti alla guida per l'espletamento del servizio integrativo - cioè per turni aggiuntivi - e non solo, come era già previsto, per la sostituzione nei periodi di ferie e di malattia.
Insomma, direi che su questo siamo arrivati davvero a poca cosa. Peraltro, da un certo punto di vista, si è fatto qualche passo indietro. Se in passato una regionePag. 81o un comune coraggiosi potevano intraprendere la strada dell'aumento delle licenze, oggi dopo l'accordo tra Governo e tassisti si dovrà percorrere anzitutto la strada dell'aumento dei turni per gli stessi, perché questa è la clausola politica di chiusura dell'accordo, e solo successivamente, nel caso, l'aumento delle licenze.
PRESIDENTE. Onorevole Della Vedova, la invito a concludere.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Concludo, ricordando che quanto è successo nel comune di Roma - i 2.500 taxi di cui parla Veltroni e le 4.500 licenze - non ha nulla a che vedere, dal punto di vista del contenuto normativo, con il decreto Bersani. Erano protocolli già previsti, erano accordi già siglati (Commenti del ministro Bersani).
ELIO VITO. Che ridi?
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Non ho il tempo, signor ministro, per citarle i protocolli! Anzi, le dico che Veltroni ha firmato l'anno scorso un protocollo con i tassisti, in cui si prevede testualmente che il comune di Roma ribadisce la propria contrarietà alle proposte di liberalizzazione del settore che erano emerse (il riferimento è proprio all'antitrust, a cui lei si è ispirato).
Se tutta questa discussione sulle liberalizzazioni è servita a creare un vincolo esterno - con Veltroni che potesse fare due parti in commedia, il mediatore e poi anche il liberalizzatore! - è poca cosa.
Concludo con un rammarico...
PRESIDENTE. Onorevole Della Vedova, il suo tempo è terminato. Per favore, concluda.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ...ed un auspicio. Il rammarico è che questa discussione sia strozzata dal voto di fiducia al Senato e dal provvedimento blindato. L'auspicio è che se proprio questo Governo dovesse durare, ci si possa ritrovare a discutere di liberalizzazioni in presenza di un provvedimento aperto al contributo di tutti, che affronti anche nodi davvero strutturali per l'economia del paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costantini. Ne ha facoltà.
CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, colleghi deputati, non sono affatto convinto della validità del contenuto di tutte le singole disposizioni del decreto che siamo chiamati a convertire in legge, così come non sono convinto dell'opportunità di avviare processi di liberalizzazione partendo dai tassisti, dai farmacisti, o dagli avvocati, rinviando ad una fase successiva le liberalizzazioni sui servizi pubblici, che negli ultimi anni hanno pesantemente inciso sui bilanci delle famiglie italiane. Sono tuttavia convinto che con questa iniziativa, con il coraggio e con la consapevolezza che essa esprime, con gli scenari e con le prospettive che essa finalmente apre, il paese abbia davvero recuperato una condizione di arretratezza rispetto al resto dell'Europa, che sembrava irreversibile e che oggi invece siamo consapevoli di poter riscattare.
Questa considerazione positiva da sola impone l'espressione di un consenso pieno all'iniziativa del Governo, nella convinzione che le questioni di merito potranno essere nelle prossime settimane rivedute, approfondite e se necessario anche corrette, in un contesto in cui finalmente l'interesse del cittadino, del consumatore, ha assunto un ruolo di obiettivo dell'iniziativa legislativa. La dimostrazione concreta di queste mie prime considerazioni, critiche su alcuni contenuti ma estremamente favorevoli rispetto agli scenari e alle nuove prospettive aperte, è data dalla positiva conclusione del confronto duro, che nelle ultime settimane ha caratterizzato i rapporti tra farmacisti e Governo. Il decreto-legge interviene sulla materia della distribuzione dei farmaci in termini obiettivamente parziali e comunque non pienamente coerenti con le finalità generali del provvedimento, in particolare conPag. 82quelle connesse all'esigenza di rendere più concorrenziali gli assetti di mercato.
In Italia, la distribuzione dei farmaci è affidata a circa 16 mila farmacie, con un sistema legislativo che non consente l'apertura di nuove farmacie, in assenza di un rapporto con un determinato numero di abitanti. Per questa ragione, nel 75 per cento circa dei comuni italiani, quelli con meno di 7 mila abitanti, il limite numerico imposto dalla legge al rapporto farmacia-abitanti - 1 ogni 3.500 abitanti - consente a molte farmacie di operare in condizioni di sostanziale monopolio. In un contesto come questo, l'obiettivo perseguito dalla legge sembrava poter essere raggiunto esclusivamente con la revisione del rapporto farmacia-abitanti, riducendolo, ad esempio, ad 1 ogni 3000 o anche 2500, per far nascere altre farmacie e per stimolare tra loro una condizione di maggiore concorrenza a vantaggio del consumatore. Il decreto è invece intervenuto costruendo un sistema unico in Europa, in base al quale all'interno di un apposito reparto ed alla presenza e con l'assistenza personale al cliente di uno o più farmacisti è possibile la vendita di tutti i farmaci o dei prodotti non soggetti a prescrizione medica. Questo intervento, che forse, tra i tanti possibili, è quello che meno incide sui ricavi delle attività di farmacie, ha comunque scatenato la reazione negativa dei titolari delle farmacie, basata su due ragionevoli considerazioni.
La prima. La legge parla di reparto e di presenza obbligatoria di farmacisti, di fatto circoscrivendo o quasi l'operatività di questa nuova opzione ai soli esercizi della grande distribuzione.
La seconda. Questo intervento, per la sua particolarità e la sua attuale incongruenza con gli obiettivi di liberalizzazione e di apertura al mercato del settore dichiarati, non può che costituire il primo passo di un progetto complessivo che vedrà la sola grande distribuzione entrare in competizione con le farmacie tradizionali nella distribuzione dei farmaci.
Il recente accordo che il ministro Turco ha avuto la straordinaria capacità di fare emergere ha fugato definitivamente queste preoccupazioni ed ha posto in evidenza come il Governo non solo non intenda smantellare l'attuale sistema distributivo dei farmaci, ma intenda addirittura investire nella farmacia tradizionale, trasformandola in presidio del sistema sanitario nazionale, capace di svolgere funzioni ulteriori a quelli di mera vendita di medicinali, ad esempio raccogliendo prenotazioni per visite ed esami in ambito ASL.
Il risultato dell'intesa va quindi ben oltre il contenuto della legge e consente di recuperare un ritardo colpevolmente accumulato con il concorso di una categoria che, a mio parere, avrebbe dovuto ispirare e guidare questo processo di rinnovamento, piuttosto che subirlo in una posizione passiva di difesa di posizioni divenute nel tempo indifendibili.
Questa stessa capacità di dialogo ha consentito di intervenire concordando con la categoria il potenziamento del servizio di taxi nelle nostre città, lasciando il compito di procedere alla regolamentazione specifica ai comuni, che oggi possono disporre turnazioni integrative in aggiunta a quelle ordinarie, possono bandire concorsi straordinari, anche in deroga alla programmazione numerica, ove la stessa non sia ritenuta idonea ad assicurare un livello di offerta adeguata, e possono assumere numerose altre iniziative in favore dell'utenza.
Un dialogo ed un confronto che purtroppo non poteva nascere e svilupparsi in tempi così brevi con gli ordini professionali, con l'ordine degli avvocati in particolare. Gli avvocati sono da anni in attesa di una riforma globale del proprio ordinamento, in assenza della quale oggi è difficile immaginare che l'inserimento della sola norma che elimina i minimi di tariffa possa avvenire senza esporre il consumatore al rischio di un progressivo e incontrollabile scadimento della qualità della prestazione professionale, che, a differenza delle altre, è funzionale all'affermazione di diritti garantiti dalla nostra Costituzione.
A questa oggettiva difficoltà, che rende le disposizioni sui minimi di tariffa pericolose, soprattutto per il loro caratterePag. 83estemporaneo e scollegato da un progetto di riforma, che appariva nel suo complesso non più rinviabile, se ne aggiunge un'altra. La determinazione con la quale si è perseguito l'interesse del consumatore ad una ipotetica riduzione dei compensi degli avvocati sembra infatti contraddetta dal contestuale enorme incremento del costo del contributo unificato per l'accesso ai tribunali amministrativi o al Consiglio di Stato, che nella sostanza risulta azzerare ogni possibile risparmio per il consumatore ed addirittura pregiudicare, per l'elevato costo imposto, pari fino a 750 euro, il diritto garantito dalla Costituzione in base al quale contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
Occorrerà quindi, a mio parere, avviare immediatamente un confronto serio con le categorie professionali interessate per evitare che interventi occasionali e totalmente indifferenti rispetto all'esigenza di assicurare, oltre al risparmio, anche livelli qualitativi minimi, determinino effetti controproducenti e contrari rispetto a quelli perseguiti dal Governo.
Una esagerata timidezza il Governo ha mostrato nell'affrontare il tema dei servizi pubblici, una timidezza divenuta incomprensibile dopo le modifiche apportate dal Senato all'originario testo del primo comma dell'articolo 13.
La gravità delle conseguenze prodotte dalla pratica attuazione dell'articolo 113 del testo unico sugli enti locali, che ha disciplinato i cosiddetti servizi pubblici locali a rilevanza economica (acqua, trasporto pubblico e rifiuti), negli ultimi anni ed anche con il decreto-legge all'esame dell'Assemblea, è stata colpevolmente trascurata.
Molte associazioni di consumatori pensano - non credo che abbiano tutti i torti - che questa disattenzione sia legata alla considerazione che migliaia di consiglieri di amministrazione, di revisori contabili, di personale politico direttamente o indirettamente stipendiato dalle cosiddette società in house, miste pubblico-privato, siano, pur se in percentuali diverse, rappresentative di tutti i partiti. Quello che è avvenuto in Italia dal 2001 in poi, sotto il Governo di centrodestra, è comunque sotto gli occhi di tutti.
L'articolo 113 disciplina la gestione dei servizi pubblici locali con rilevanza economica individuando tre possibili forme: quella dell'affidamento del servizio a società individuate mediante gara con procedura di evidenza pubblica; quella dell'affidamento del servizio a società mista, nella quale il socio privato venga scelto mediante l'espletamento di gara con procedura di evidenza pubblica; quella dell'affidamento del servizio a società a capitale interamente pubblico, le cosiddette società in house, a condizione che l'ente pubblico, titolare del capitale, eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente pubblico o con gli enti pubblici che la controllano.
La previsione di quest'ultima forma di affidamento, esclusa dall'applicazione obbligatoria della normativa europea in materia di appalti, dunque sollevata dall'obbligo di messa in concorrenza del servizio di derivazione comunitaria, è stata costantemente ritenuta un'ipotesi assolutamente eccezionale e residuale, proprio per l'impatto negativo che potenzialmente produce verso la concorrenza e il mercato. Per questo, la Commissione europea ha più volte dichiarato che l'inosservanza delle condizioni stabilite dall'articolo 113 e della natura eccezionale e residuale di tale modalità di affidamento costituisce un impedimento al corretto funzionamento del mercato interno e alla liberalizzazione degli appalti dei servizi in cui sono in gioco rilevantissimi interessi economici.
Doveva quindi trattarsi di eccezioni e di casi assolutamente particolari e circoscritti per ricorrere all'affidamento dei servizi pubblici locali a società pubbliche e alla conseguente sottrazione dal mercato e dalla concorrenza delle relative gestioni. In questi ultimi anni, però, sotto il Governo di centrodestra, è avvenuto esattamente il contrario. Le amministrazioniPag. 84locali hanno costantemente fatto ricorso allo strumento dell'affidamento a società in house, che, a loro volta, hanno direttamente o indirettamente filiato altre società per la gestione di pezzi di servizi.
I controlli previsti dall'articolo 113, inclusi quelli legati all'accertamento dei presupposti di eccezionalità per la rinuncia alle gare di appalto, sono stati completamente omessi. Le società pubbliche locali hanno prodotto una proliferazione incontrollata di consiglieri di amministrazione, di revisori contabili e di incaricati di vario genere, stimabili in alcune decine di migliaia e pagati ciascuno con migliaia di euro, puntualmente scaricati sulle tariffe e, dunque, sulle tasche dei consumatori. I costi dei servizi pubblici locali a carico degli utenti, in molti casi, sono raddoppiati in soli pochi anni, senza sostanziali miglioramenti qualitativi o nella gestione dei servizi.
I privati - questa è la cosa più grave - stanno progressivamente scomparendo da questi settori, perché le amministrazioni locali non fanno più gare per i servizi pubblici locali, impedendo con ciò la competizione concorrenziale tra privati sul prezzo e sulla qualità del servizio, l'unica in grado di produrre reali benefici per i consumatori.
Potrei fornire alcuni dati analitici della mia regione, l'Abruzzo: poco più di un milione di abitanti, con una gestione pubblica del servizio idrico che impegna e paga circa 150 persone, tutte di nomina politica, consiglieri di amministrazione e revisori di conti di enti d'ambito di società pubbliche di gestione e di società pubbliche filiate dalla società di gestione, all'interno della quale, anche per l'esigenza di pagare tutto questo esercito di consiglieri di amministrazione, le tariffe del servizio idrico sono più che raddoppiate a danno dei consumatori.
Voglio utilizzare, però, dei dati neutri, riferiti all'intero territorio nazionale, che rivelano come, ad esempio, nella gestione dei rifiuti urbani la presenza pubblica nel 2005, tra gestione diretta comunale, gestione con società totalmente pubbliche e gestione con società miste, rappresenta ormai oltre il 60 per cento di tutta la spesa nazionale, con conseguente sottrazione al mercato e alla concorrenza di importi giganteschi, stimabili in migliaia di milioni di euro, con aggravio sulla gestione e sulle tariffe del costo di migliaia di consiglieri di amministrazione, che una gestione privata farebbe interamente risparmiare.
Questi stessi dati ci rivelano che la presenza dell'operatore privato in tali appalti è, ormai, in via di estinzione. Vorrei osservare che l'assenza del privato non solo si riflette negativamente sulla qualità e sul costo dei servizi, ma incide pesantemente anche sui già esigui investimenti privati nella ricerca e nell'innovazione, i quali, in settori strategici quali l'acqua, il trasporto pubblico locale o i rifiuti, potrebbero consentire al sistema di compiere significativi progressi.
Infatti, se l'imprenditore privato non può partecipare agli appalti, egli non investe né nell'innovazione dei propri processi produttivi, né sulla professionalità del personale impiegato. Sono questi, come sappiamo tutti, i settori che incidono più negativamente sulle tasche dei consumatori, molto più di quanto non lo sia l'ipotetico risparmio di un cittadino che abbia la necessità di rivolgersi ad un avvocato o ad un ingegnere.
Il testo del provvedimento licenziato dal Senato, invece, escludendo proprio i servizi pubblici locali (a mio parere, in violazione dello stesso articolo 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000, nonché di tutte le corrispondenti disposizioni comunitarie), sembra muoversi in direzione contraria, autorizzando le società in house ad invadere altre quote di mercato, in palese contraddizione con quanto l'Unione europea ribadisce, in ogni occasione, rispetto alla possibilità di sottrazione dalle regole della concorrenza e del mercato della gestione dei servizi pubblici locali.
Ebbene, questo timore, tale timidezza nel rimuovere la pesantissima eredità lasciata dal Governo di centrodestra e questa prudenza nell'assumere un'iniziativa di vera liberalizzazione dei servizi pubblici, a vantaggio dei consumatori ed in linea con le indicazioni dell'Unione europea, risulterannoPag. 85giustificati, o giustificabili, solo in presenza di un'iniziativa forte del Governo, che rinvengo soltanto parzialmente nel disegno di legge S. 772, recante delega al Governo per il riordino dei servizi pubblici locali, presentato al Senato della Repubblica il 20 luglio ultimo scorso.
Ho colto numerosi altri aspetti sia positivi, sia negativi in molte altre disposizioni contenute nel decreto-legge in esame, sulle quali non ritengo di dover intervenire, ovviamente, per contenere il tempo del mio discorso.
La conclusione che traggo è quella che ho già accennato all'inizio del mio intervento: considero del tutto prevalente, rispetto ad alcune perplessità che conservo intatte, il valore di vera e propria svolta che assume il presente provvedimento in materia di liberalizzazioni. Si tratta di una svolta che apre scenari e prospettive nuove e che, finalmente, consentirà di considerare l'interesse generale connesso alla tutela del cittadino-consumatore il vero obiettivo della nostra attività legislativa.
Certo, se dovessi pensare che, attraverso il provvedimento in esame, si esaurisse l'attuazione della parte del programma dell'Unione relativa alle liberalizzazioni, non potrei non esprimere il mio dissenso. Ritengo, invece, che sia solo un inizio, il quale incontra le difficoltà tipiche di ogni intervento di radicale cambiamento.
Si tratta di una sorta di apertura ad una visione nuova, aperta ed europea del mercato e della concorrenza: è, in altri termini, un atto di coraggio di questa maggioranza che rompe il silenzio di anni, che incide su politiche di difesa di interessi corporativi e che pone in primo piano l'interesse del consumatore, riconoscendolo del tutto prevalente rispetto agli interessi particolari difesi, fino ad oggi, dalle politiche illiberali e conservatrici del centrodestra.
Tutto ciò, pertanto, ci convince della necessità di fornire al provvedimento in esame il nostro massimo sostegno. Si tratta di un sostegno pieno ed energico, perché di tanta energia avrà bisogno il Governo per proseguire la propria attività nel solco aperto con il decreto-legge n. 223 del 2006 (Applausi dei deputati del gruppo dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.
FRANCO ADDOLORATO GIACINTO NARDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con il decreto-legge n. 223 del 4 luglio 2006 il Governo opera un'inversione di tendenza rispetto alla precedente legislatura, caratterizzata dalle misure una tantum per indirizzare la politica economica, ed apre la strada ad una strategia di liberalizzazioni che non può limitarsi al «pacchetto» di misure recate dal decreto-legge oggi in esame, ma deve proseguire il suo corso. Da troppi anni, infatti, l'Italia è al palo per quanto riguarda le riforme strutturali, le quali, se vogliamo tenere il passo con le nazioni che, come la nostra, appartengono all'area dei paesi ad economia avanzata, non sono più procrastinabili.
Vorrei richiamare, in questa sede, le raccomandazioni espresse dall'OCSE nel rapporto presentato, lo scorso mese di febbraio, a Parigi. Tale organizzazione, infatti, ha invitato l'Italia a puntare con decisione sulle liberalizzazioni dei servizi e del settore dell'energia, sulle misure per migliorare il tasso di scolarità e sulla riduzione della tassazione gravante sul lavoro, mettendo fine alla stagione delle «amnistie fiscali». Soltanto tali scelte fondamentali potranno consentire al nostro paese di superare i problemi legati alla perdita di competitività che sono sotto gli occhi di tutti, nonché di migliorare il suo tasso di occupazione.
L'OCSE non è l'unica voce levatasi per richiamare l'attenzione dell'Italia sui temi dello sviluppo e sull'importanza, nell'ambito delle politiche economiche interdipendenti, del nostro sistema economico.
L'Europa e gli organismi internazionali ci sollecitano da tempo a rompere i vincoli e ad allargare gli argini della concorrenza per dare maggiore spinta al nostro sistema produttivo. L'economia italiana non è facilmente decifrabile, ed anche i miglioriPag. 86osservatori internazionali faticano a capire il nostro sistema. Abbiamo un mondo economico identificabile con le imprese operanti a livello internazionale e, quindi, sottoposte alle spinte concorrenziali che dominano tali mercati. È una storia costellata da grandi successi, ma che ora soffre l'handicap della dimensione limitata delle nostre aziende. Questo settore è allenato a misurarsi con la concorrenza internazionale al contrario degli altri mondi economici del nostro paese, meno adusi agli effetti della concorrenza e ai richiami dell'efficienza e tuttavia assolutamente importanti per l'industria delle esportazioni.
Il secondo settore della nostra economia è rappresentato soprattutto dalle imprese che operano sul mercato italiano, molto spesso al riparo dalla concorrenza e dalla competizione internazionale come, ad esempio, gli approvvigionatori di energia, i fornitori di servizi fondamentali come banche e assicurazioni e gli avvocati. Questo secondo mondo economico, com'è noto, opera da tempo da posizioni confortevoli e a redditività elevata; di fatto, corporativismi vari, protezioni di casta e altri aspetti simili colpiscono in particolare i giovani e alimentano a dismisura il lavoro precario. In nessun paese dell'Unione europea dominano le attività stagiere come in Italia, e la fascia di età degli interessati a tali attività comprende oramai largamente gli ultratrentenni.
Rimane il terzo settore della nostra vita economica, ovvero l'amministrazione pubblica con il suo altrettanto noto carico di problemi. La lunghezza impressionante dei processi giudiziari può essere rappresentata anche in cifre. In Italia un'intimidazione di moratoria forzata dura mediamente 1.400 giorni lavorativi, ovvero dieci volte più che in Germania. Ma gli strumenti della competitività da soli sarebbero insufficienti per il miglioramento del mercato se non accompagnati da una politica di risanamento delle finanze pubbliche, il cui stato disastroso è stato illustrato pochi giorni fa in questa sede dal ministro Padoa-Schioppa, intervenuto sul Documento di programmazione economico-finanziaria.
Oltre alle liberalizzazioni e agli obiettivi di risanamento della finanza pubblica, il provvedimento in discussione pone un focus sull'evasione fiscale, che deve essere combattuta con decisione per garantire l'equità che tante categorie di cittadini invocano e che ci dovrebbe allineare con gli altri paesi dell'Unione europea. Aumentare il gettito significa creare le basi per una diversa politica fiscale che nel medio periodo dovrebbe produrre un alleggerimento del carico tributario per tutti. In tal senso, accanto alle misure di liberalizzazione, di cui molto si è parlato in questi giorni, in tema di professioni, farmaci, taxi, assicurazioni, banche, commercio ed altri aspetti, vorrei ricordare le limitazioni introdotte ad alcune fattispecie di stock option, che in questi ultimi anni hanno suscitato uno sdegno giustificato in ampie fasce della popolazione.
Signor Presidente, i deputati dell'Ulivo eletti nelle ripartizioni della circoscrizione Estero voteranno a favore del disegno di legge di conversione del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223. Abbiamo vissuto i processi di liberalizzazione del mercato messi in atto già da anni in svariate nazioni da cui proveniamo. Siamo convinti che l'esperienza maturata dai parlamentari eletti all'estero possa costituire un contributo significativo al processo decisionale di questa Assemblea. Le liberalizzazioni possono portare indubbi vantaggi all'occupazione e ai consumatori, anche se occorre valutarne con contezza l'impatto e gli effetti sulle fasce più deboli della popolazione. Il Governo non può sottostare ai poteri di veto se intende portare avanti con decisione il processo di riforme, ma può e deve attivare un processo di consultazione con le parti chiamate in causa.
Vorrei concludere, signor Presidente, richiamando l'attenzione sul comma 22, lettere a) e b) dell'articolo 36 di questo decreto-legge, riguardante i redditi dei non residenti, che colpisce in modo ingiustificato i cittadini italiani emigrati e residenti nei paesi con cui l'Italia ha sottoscrittoPag. 87accordi sulla doppia imposizione fiscale. Ciò sta a significare che eventuali effetti negativi dovranno essere corretti in sede di legge finanziaria.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cosenza. Ne ha facoltà.
GIULIA COSENZA. Siamo in molti ad essere consapevoli della necessità di attuare con urgenza misure a sostegno della competitività nel nostro paese, per avere la possibilità di prepararci a svolgere un ruolo dignitoso in un'economica globalizzata. È per questo che in molti auspichiamo le liberalizzazioni come uno dei momenti di un processo a sostegno del nostro sistema paese. Ma quelle di cui noi oggi discutiamo non sono misure per la competitività, sono liberalizzazioni imperfette, perché siamo di fronte ad un provvedimento parziale e frammentario, imposto senza alcuna concertazione, che ha negato ogni possibilità di discussione.
L'incisività di riforme di questa rilevanza non giustificano l'utilizzo di uno strumento quale il decreto-legge, che esclude a priori la possibilità di un dibattito allargato e costruttivo. Solo la condivisione e la concertazione diventano in questi casi il fondamento della possibilità di far vivere e attecchire le riforme, dando così un contributo autentico e persistente al paese. Per di più, il provvedimento in esame contiene una parte fiscalmente penalizzante, che ha come effetto la restrizione dei consumi e quindi un decremento della produttività a danno delle imprese e dell'occupazione.
Chiedo a questo punto perché non si è iniziato dalle vere riforme, da quelle liberalizzazioni di cui il paese veramente ha bisogno, da settori quali l'energia, dalle municipalizzate: perché non dalla riforma del pubblico impiego, settore che grava in maniera significativa sulla competitività del paese con servizi spesso inadeguati per scarsa qualità e inefficienza? Ciò chiaramente avrebbe contribuito a migliorare la nostra capacità di confrontarci sui mercati stranieri a livello internazionale, che è bassa perché i costi di produzione sono più alti in Italia che all'estero.
Lo svantaggio viene aggravato da un approccio di questo Governo sfavorevole al risparmio in quanto tale e gestito dimenticando che esso stesso è presupposto di investimento e, quindi, di sviluppo imprenditoriale e occupazionale.
La considerazione che svolgo nasce dalla manifesta volontà, emersa in questo provvedimento, di controllare i cittadini attraverso il sistema bancario per colpire i risparmiatori, come se il principio sancito dalla nostra Carta costituzionale, secondo cui le imposte non si pagano sulla consistenza patrimoniale ma sulla capacità di produrre reddito, non esistesse.
Non è questo l'atteggiamento che ci può assicurare il futuro. La necessità di un programma politico organico a sostegno della competitività emerge in maniera ancora più urgente alla luce del momento geopolitico che viviamo, in riferimento a quelle che erano le economie emergenti e che invece oggi sono dominanti. Penso alla Cina, all'India, la cui dominanza produrrà degli effetti nel nostro paese nei prossimi quindici anni che potrebbero essere altamente penalizzanti, se oggi non si provvede con riforme strutturali, fondate su un metodo democratico e condiviso, tali da rendere queste trasformazioni un'opportunità di crescita.
Invito, pertanto, il Governo a riflettere che il paese ha bisogno di vere liberalizzazioni e che riforme di tale portata trovano la loro realizzazione in un senso definitivo e ampio solo in un contesto di larga condivisione politica e sociale (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Iacomino. Ne ha facoltà.
SALVATORE IACOMINO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signori rappresentanti del Governo, il disegno di legge recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale e per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, è il primo, fondamentale provvedimento di questoPag. 88Governo, in cui si coniugano rigore e sviluppo, risanamento e giustizia sociale, ponendo in attuazione un preciso impegno nel programma dell'Unione, cioè il superamento della politica dei due tempi.
L'equità è il pilastro, la condizione fondamentale ed indispensabile per il sostegno popolare al risanamento e al rilancio della crescita.
Il cuore di questo provvedimento risiede nell'equità sociale, in quanto non sono chiamati a pagare il risanamento i ceti deboli, i lavoratori dipendenti, i pensionati, vere vittime del precedente Governo.
Esistono seri problemi nei conti pubblici, soprattutto con riferimento ai rapporti tra deficit e PIL e debito e PIL, per i conseguenti impegni di rientro assunti con l'Unione europea. La mancata crescita di una buona occupazione e la conseguente mancanza di speranza per il futuro dei giovani restano i problemi veri dell'economia. Il Mezzogiorno è tornato a crescere meno del resto del paese e a questo rallentamento contribuisce in maniera decisiva la forte riduzione dei consumi interni dovuta alla mancata riduzione del potere d'acquisto dei salari.
Tra il 2003 ed il 2005 vi è stato un aumento dal 50 al 70 per cento del numero delle famiglie che denunciavano una percezione del proprio reddito come insufficiente ad una vita normale e dignitosa. Questa percezione è legata a dati di sofferenza sociale diffusa. Tale è, al pari del deficit pubblico, un elemento di freno alla ripresa dell'economia, impedendo l'aumento della domanda interna cui dovrebbe tendere un provvedimento di sviluppo.
Già il rifinanziamento per 300 milioni di euro del Fondo nazionale per le politiche sociali, tagliato dal precedente Governo, è essenziale per consentire ai comuni di attivare le misure previste dai piani sociali di zona, per garantire inclusione e diritti sociali dei più deboli. Così risulta rilevante che, nel provvedimento, sia riconosciuto il valore delle lotte dei movimenti di Rifondazione comunista per il riconoscimento dell'acqua e del servizio idrico come beni pubblici, modificando le norme che obbligavano a privatizzare tali servizi.
Il provvedimento, dopo le modifiche introdotte dalla Commissione bilancio del Senato, frutto del contributo dei gruppi di maggioranza, ma anche di opposizione, incide abbastanza sull'incremento della domanda interna, configurandosi come provvedimento di liberalizzazione dell'economia e diretto alla crescita. È merito di questo Governo avere immesso nel sonnacchioso sistema economico italiano la giusta dose di adrenalina per una sua pronta ripartenza, dopo un lustro di promesse e proposte mirabolanti formulate a ripetizione dal precedente Governo.
La vastità e la complessità della «manovra-bis», com'è stato battezzato il disegno di legge di conversione in esame, hanno visto riaccendersi nel paese un vivace e a volte aspro confronto sul contenuto dello stesso e sulla portata, in alcuni casi dirompente, di alcune norme in tema di liberalizzazione e di lotta all'evasione fiscale.
L'intervento del Governo riguarda, in tema di liberalizzazione, i settori dei servizi professionali, la distribuzione commerciale, l'attività di produzione del pane, la distribuzione dei farmaci, il servizio taxi, i passaggi di proprietà di beni mobili registrati, le clausole anticoncorrenziali in tema di responsabilità civile auto, il sistema informativo sui prezzi dei prodotti agroalimentari, le condizioni contrattuali dei conti correnti bancari. Da tale parziale elenco ben si comprende l'ampiezza dei settori e degli interessi coinvolti.
Il mese di luglio, del resto, è stato caratterizzato dalle più disparate forme di protesta, a conferma dell'incisività delle misure proposte. Esse tendono a scardinare comportamenti e posizioni di rendite consolidate che confliggevano con i più elementari principi della concorrenza, a svantaggio della gran massa dei cittadini consumatori.
La virulenta protesta inscenata da alcune categorie di operatori ha confermato quanta strada deve ancora compiere l'affermazione di una moderna cultura diPag. 89mercato nel nostro paese. Richiamata ad ogni piè sospinto, essa viene intesa evidentemente non come riconoscimento dei più meritevoli che operano nel rispetto di regole condivise, quanto piuttosto nella perpetuazione di indifendibili privilegi acquisiti.
Nel provvedimento in esame si definiscono misure a tutela dei consumatori consentendo il contenimento di prezzi e tariffe attraverso forme di liberalizzazione in campo commerciale, intese come semplificazione, superamento e facilitazione dell'accesso al settore anche dei giovani. Si danno a regioni e comuni strumenti di superamento di una pianificazione quantitativa legata a limiti e divieti, introducendo una pianificazione qualitativa legata alla valorizzazione del territorio, dei centri storici e delle periferie delle città, tutelando soprattutto le esigenze dei consumatori. Il superamento del contingentamento dei panifici, diretto al soddisfacimento delle esigenze di consumo a prezzi contenuti per i ceti più deboli, visto che da anni è stato superato il regime di prezzi amministrati e controllati per i generi di largo consumo, salvaguarda la qualità, tutela i prodotti tipici e permette il consumo immediato anche nei laboratori artigianali.
In tema di taxi, dopo il confronto con la categoria, riprendendo una indicazione da noi segnalata attraverso un emendamento in cui abbiamo sostenuto la liberalizzazione dei turni, anziché delle licenze, si fornisce la possibilità di creare lavoro per figli e dipendenti, nella valorizzazione dell'antico principio dell'impresa artigiana.
Bisogna sottolineare con grande forza il valore del provvedimento in esame nella lotta all'evasione e all'elusione fiscale come strumento di un'equa politica delle entrate e di risanamento del debito pubblico: paghi chi non ha mai pagato, si colpiscano le rendite, si promuova lo sviluppo favorendo l'emersione del sommerso!
Tra le tante cose previste nel disegno di legge, ci si dota anche di nuovi strumenti operativi per il contrasto al lavoro nero e per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori mediante nuovi poteri di vigilanza e di intervento (fino alla sospensione dei cantieri per le ditte inadempienti).
«Ahi, serva Italia, di dolore ostello», dice Dante. Il titolo del libro postumo del decano degli economisti italiani, Paolo Sylos Labini, nel richiamare il lamento del nostro sommo poeta, traduce efficacemente il suo contenuto più amaro nel seguente passaggio: siamo sempre in transizione. La corruzione diventa di casa, perché il suddito non ha vantaggi e diritti pari a quelli dei dominatori e cerca di ottenerli in modo indiretto. Aggirare la legge diventa morale, e morale diventa l'evasione fiscale. Tutto ciò intacca la dignità del popolo, perché la gente pensa innanzitutto a cavarsela. La fine della troppo lunga fase di transizione del nostro paese passa per le liberalizzazioni e per la lotta all'evasione. Attraverso questi due strumenti di politica economica, si riduce per il suddito la possibilità di ottenere vantaggi in modo indiretto, aggirando le leggi e intaccando la propria dignità di cittadino. La consapevolezza di aver assolto ai propri doveri senza aggirare le leggi renderebbe i cittadini più esigenti nel rivendicare i propri diritti e più attenti alla gestione della cosa pubblica. I dati resi noti dal Ministero delle finanze sull'analisi delle dichiarazioni Unico 2003 (redditi del 2002) confermano l'elevato ordine di grandezza dell'evasione nel nostro paese e disegnano, nel loro insieme, un quadro desolante.
I dati elaborati dicono che vi sono 30 milioni di dichiarazioni su 39.900.000. In altre parole, circa tre quarti hanno denunciato un reddito lordo inferiore a 20 mila euro l'anno. I contribuenti con meno di 35 mila euro sono oltre 37 milioni (il 94 per cento del totale). Solo 422 mila contribuenti hanno dichiarato più di 80 mila euro. Solo 245 mila contribuenti hanno dichiarato più di 100 mila euro. Solo 50 mila contribuenti (pari allo 0,12 per cento) hanno dichiarato più di 200 mila euro. Nel 2001 (per il 2002 il dato non è disponibile), i contribuenti con oltre 500 mila e 1 milione di euro erano, rispettivamente, solo 22 mila e 1.081.Pag. 90
A questa palese sottodichiarazione dei redditi - si aggiunge in un recente libro, Per restare in Europa. Ridurre l'evasione e riformare la spesa pubblica, a cura del professor Reviglio - si possono aggiungere altri indicatori, che confermano l'estrema gravità della disfunzione: un ammontare dei redditi di lavoro autonomo e di impresa dichiarati troppo basso rispetto ai valori di contabilità nazionale.
Sul reddito dichiarato al fisco il lavoro autonomo e di impresa pesa solo per il 14 per cento, contro l'80 per cento dei redditi di lavoro dipendente o da pensione. Nella maggior parte dei casi, i redditi medi delle diverse categorie di professionisti e di imprenditori sono inferiori a quelli medi del lavoro dipendente. Nel 2002, i lavoratori dipendenti e i pensionati (18 milioni 400 mila) hanno dichiarato un imponibile medio di 19.300 euro, contro solo 13.700 euro dei contribuenti (3 milioni 700 mila) titolari di partita IVA. Tra questi, gli agricoltori (10.620 euro), i commercianti al dettaglio (13.670), gli albergatori titolari di pubblici servizi (13.110). Dei 50 mila contribuenti che hanno dichiarato redditi elevati (oltre 200 mila euro), solo un terzo è rappresentato dai lavoratori autonomi, mentre i due terzi sono lavoratori dipendenti. Il 43 per cento dei lavoratori autonomi, imprese, professionisti ed agricoltori, sarebbe povero; infatti, essi hanno dichiarato meno di 10.000 euro annui.
Sulla base dell'indagine campionaria della Banca d'Italia, i lavoratori autonomi con meno di 10.000 euro di reddito sarebbero soltanto il 3,7 per cento. Sulla base delle dichiarazioni, i lavoratori autonomi con oltre 40 mila euro di reddito sarebbero solo 263 mila, cioè il 7 per cento delle partite IVA, rispetto a quasi un milione (37 per cento) rilevato dall'indagine della Banca d'Italia. Solo 17 .441 lavoratori autonomi (pari allo 0, 5 per cento) avrebbe guadagnato oltre 200 mila euro. Gli accertamenti positivi per quasi il 90 per cento dei contribuenti fanno emergere un reddito imponibile maggiore di oltre l'80 per cento, in media, rispetto a quello dichiarato. Il 33 per cento dei nuovi fabbricati non risultano al fisco, i pochi controlli sui conti bancari hanno consentito di recuperare ingenti imposte evase. Troppe società nel 2002 - oltre la metà - denunciano bilanci in perdita. Studi dell'Agenzia delle entrate indicano che, per ogni 100 euro di reddito dichiarato, ve ne sarebbero 46 nascosti e che l'evasore di lavoratore autonomo (commerci, servizi alle imprese e servizi e alle famiglie) raggiungerebbe il 59,5 per cento, contro solo l'8,5 per cento dei lavoratori dipendenti.
In tale contesto, mi ha lasciato personalmente perplesso la reazione alla manovra da parte degli ordini professionali dei dottori e dei ragionieri commercialisti; infatti, mi sarei aspettato una maggiore condivisione da parte loro, in quanto ritenevo e ritengo che un comportamento maggiormente virtuoso da parte dei contribuenti non avrebbe che esaltato le loro competenze professionali. I professionisti devono assistere i contribuenti al rispetto e alla corretta applicazione delle norme fiscali e non risultare complici delle loro convenienze. Solo così la professione vedrebbe valorizzata la propria funzione ed emergere nel proprio ambito i professionisti maggiormente competenti, a scapito di quelli cui non fa difetto la complicità di diffusi comportamenti di infedeltà fiscale.
Dell'opposizione sarebbe meglio non parlare; infatti, i suoi esponenti, nel dibattito sia alla Camera sia al Senato, hanno attaccato demagogicamente la manovra per le prescrizione relative alla tracciabilità dei pagamenti, richiamandosi alla difficoltà dovuta all'elevata età media della nostra popolazione. È ben strana questa argomentazione; infatti, ripetutamente si invoca l'innalzamento dei limiti di età per accedere alla pensione, riconoscendo la capacità di lavorare efficacemente anche oltre 65 anni di età, ma nello stesso tempo non si riconosce alle persone anziane la capacità di utilizzo di un semplice bancomat. Si sottace che la lotta all'evasione potrebbe produrre migliori servizi pubblici e più adeguate pensioni; quindi, farebbe bene il Governo ad incentivare per le persone anziane l'apertura di conti correnti bancari ed il loro utilizzoPag. 91mediante apposite convenzioni con il sistema bancario, con esenzione dalle imposte.
Una efficace lotta all'evasione fiscale deve coinvolgere una molteplicità di operatori, quali i consumatori, le categorie professionali, gli intermediatori finanziari, i mezzi di comunicazione e le scuole, facendo loro comprendere i vantaggi che possono derivarne per l'intera collettività e per il funzionamento del sistema economico nel suo complesso. Il rispetto dei principi di equità e di leale competizione tra gli operatori è la regola su cui può costruirsi una società che privilegi il merito e non la furbizia, la scaltrezza e il disprezzo della legalità.
Il disegno di legge, per la sua concreta attuazione, in una molteplicità di norme, rinvia ad emanandi provvedimenti amministrativi. In particolare, l'Agenzia delle entrate dovrebbe disciplinare, oltre a tutta una serie di provvedimenti già scadenzati (elenco clienti e fornitori, attribuzioni di partita IVA, trasmissione telematica di corrispettivi, per citarne alcuni), anche le specifiche tecniche, le modalità e i termini per la comunicazione delle informazioni di cui al comma 4 dell'articolo 7 (Disposizioni in termini di accertamento, semplificazione ed altre misure di carattere finanziario).
L'efficacia di tale disposizione è strettamente legata all'emanazione del provvedimento da parte del direttore dell'Agenzia delle entrate; pertanto, si invita il Governo a vigilare in merito, in quanto non è stata infrequente nel nostro ordinamento la mancata attuazione di norme per il rinvio sine die delle relative disposizioni attuative.
In riferimento allo strumento della tracciabilità dei pagamenti cui la norma indirettamente si collega - e non si può non sottolineare che il Governo poteva agire, oltre che sulla disciplina relativa all'accertamento, anche sulla normativa antiriciclaggio e sulla disciplina del reddito di impresa -, in sede di normativa antiriciclaggio si potevano rivedere i limiti all'uso del contante e dei mezzi di pagamento trasferibili, raccordandoli ed uniformandoli con quelli previsti dal comma 12 dell'articolo 35 (Misure di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale relative ai compensi per l'esercizio di arti e professioni).
Anche in sede di disciplina sul reddito di impresa, si poteva collegare la deducibilità dei costi alla tracciabilità dei pagamenti negli stessi limiti di quelli previsti per i compensi professionali. Le integrazioni proposte avrebbero avuto il doppio pregio, da un lato, di rimandare ad una normativa uniforme per i limiti di tracciabilità degli incassi e dei pagamenti e, dall'altro, di incidere sui comportamenti degli operatori economici, influenzandone preventivamente la corretta gestione e non rimandandone successivamente la verifica in sede di accertamento.
Tra i molteplici obiettivi del disegno di legge in esame, figura anche quello di semplificare gli adempimenti per gli imprenditori individuali, commerciali ed agricoli, per le società semplici in agricoltura e per gli esercenti arti e professioni, con la previsione dal 2007 di un regime di franchigia IVA per le persone fisiche con un volume di affari annuo fino a 7 mila euro. A mio avviso, in tale circostanza il Governo poteva osare qualcosa in più, prevenendo un limite al volume di affari di importo leggermente superiore.
La semplificazione del sistema fiscale, insieme alla riduzione della pressione fiscale, deve essere un obiettivo sempre presente nell'agenda del Governo. Parte dei proventi derivanti dalla lotta all'evasione devono essere utilizzati per ridurre la pressione fiscale, immaginando anche meccanismi di premialità per i contribuenti virtuosi. In tale direzione, fin dalla prossima legge finanziaria, intenderà fornire il proprio contributo il gruppo di Rifondazione Comunista.
Mi sia consentito comunque di esprimere qualche preoccupazione in ordine a quanto previsto dall'articolo 13 del provvedimento in esame (Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali a tutela della concorrenza). In tale articolo vengono introdotti alcuni elementi tendenti a limitare l'operativitàPag. 92delle società a capitale interamente pubblico o misto, escludendole dalla possibilità di svolgere prestazioni a favore di altri soggetti ed arrecando di fatto danni a strutture che hanno già dimostrato di saper essere competitive sul mercato.
La stessa verifica delle quantizzazioni pone interrogativi sulle economie di scala. Si potrebbe generare un impatto negativo sull'equilibrio economico-finanziario delle aziende pubbliche e delle loro stazioni appaltanti - gli enti locali -, con il tentativo reale di ricorrere alla privatizzazione delle stesse. Questo meccanismo, soprattutto in alcune aree del paese, potrebbe riattivare l'appetibilità di forze illegali per il controllo dell'economia di quei territori.
In contrasto con gli obiettivi formulati dall'articolo 13, al Senato è stato approvato un emendamento che consente a società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria di partecipare a gare o società ed enti pubblici, creando in tal modo una discriminazione fra società pubbliche e vanificando la tutela della concorrenza.
Queste preoccupazioni hanno spinto il gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea a presentare, così come su altri aspetti del provvedimento, alcuni ordini del giorno, che riteniamo opportuno siano esaminati attentamente dal Governo.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Presidente, siamo qui dalle 15 e sappiamo tutti che la discussione continuerà almeno fino alle 24. Desidero sapere se è prevista una sospensione, anche breve, della seduta.
PRESIDENTE. Onorevole Marinello, mi accingevo proprio a disporla.
Sospendo la seduta fino alle 21,30.
La seduta, sospesa alle 20,55, è ripresa alle 21,30.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI