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Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1475)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Armani. Ne ha facoltà.
PIETRO ARMANI. Signor Presidente, dalla risoluzione del DPEF, recentemente approvata, abbiamo appreso che il decreto-legge di cui discutiamo la conversione è previsto nella risoluzione stessa, il che significa che il disegno di legge di conversione del decreto-legge fa parte della manovra di finanza pubblica che si concluderà con la legge finanziaria. Quindi, il disegno di legge di conversione del decreto-legge è un collegato alla legge finanziaria. La necessità di un decreto-legge si sarebbe posta per due ragioni, la prima delle quali legata all'intervento di finanza pubblica, la cosiddetta «manovrina». Tuttavia, dalla relazione del relatore per la V Commissione, Riccardo Milana,Pag. 93leggo: «Non si è in presenza di un mero provvedimento correttivo dei saldi di finanza pubblica. Il decreto-legge risponde solo in parte a questa esigenza. Gli effetti correttivi sull'esercizio in corso sono limitati, prevedendosi ben più consistenti effetti di correzione sugli esercizi successivi. Infatti, quantificando gli effetti migliorativi netti per quanto riguarda il saldo di finanziamento da finanziare, si parla di 93,8 milioni di euro nell'anno in corso, di oltre 5.330 milioni di euro nel prossimo anno, di 4.738 milioni nel 2008 e di 7 miliardi e passa nel 2009». Quindi, in realtà, non c'era l'urgenza dal punto di vista della manovra di finanza pubblica. Non c'era nemmeno un'urgenza dal punto vista delle cosiddette liberalizzazioni perché, in realtà, il ministro Bersani ha utilizzato la tecnica del decreto-legge essenzialmente per affermare il principio che le regole si fanno senza concertazione e, quindi, il decreto-legge era necessario per mettere in funzione direttamente le norme prima e indipendentemente da eventuali concertazioni con le categorie colpite o, comunque, interessate (i tassisti, i farmacisti, i professionisti, i panettieri e così via).
Tuttavia, gli effetti si vedono. L'accordo con la categoria dei tassisti ha portato, di fatto, alla correzione dell'originaria ipotesi, rimodulando i turni di lavoro dei tassisti e consentendo, di fatto, quanto già era richiesto dagli stessi titolari delle licenze, cioè di poter usare il mezzo 24 ore su 24 con familiari e personale ausiliario, senza rompere per questo il principio di un'auto per ogni licenza. Quindi, in realtà, c'è stato lo scontro, ma chi ha pagato non sono stati gli interessati - né il ministro né i tassisti perché, poi, si sono accordati -, bensì gli utenti che, per uno o due giorni, dato che il signor ministro doveva costruirsi la sua immagine di grande liberalizzatore, praticamente hanno pagato le conseguenze dei trasferimenti agli aeroporti di Fiumicino e di Malpensa senza taxi disponibili.
Chi è che calcola le perdite, sotto il profilo economico, che si sono determinate nei giorni di contestazioni fra tassisti e ministero? Mi riferisco a coloro che avevano appuntamenti, impegni di lavoro e così via. Si dice che vi deve essere uno Stato etico, ma coloro che pagano i costi di questa contestazione sociale sono i sudditi, come ha detto quel signore di Rifondazione Comunista!
Vorrei citare un altro esempio: il viceministro Visco, ottimo collega, professore di scienze delle finanze, che non ha mai fatto il tributarista e, quindi, non ha un'esperienza concreta degli effetti, ha candidamente dichiarato in sede di Commissioni riunite, nel corso dell'audizione, che, purtroppo, la cancellazione della retroattività del nuovo regime fiscale sulle transazioni immobiliari, dopo la levata di scudi del settore, è la conseguenza di un cattivo calcolo da parte dell'Agenzia del territorio o, comunque, del sistema di agenzie che fa capo al Ministero delle finanze.
Anche in questo caso, sono i sudditi che pagano, con riferimento all'ipotesi specifica di quel miliardo e mezzo di euro che è andato perduto in borsa per la caduta dei titoli Pirelli Re e degli altri titoli del settore immobiliare, in conseguenza dell'annuncio del viceministro Visco (voleva fare bella figura davanti alla sua maggioranza!), che poi è stato modificato in seguito alla constatazione che quei calcoli erano totalmente sbagliati. Ma, intanto, qualcuno ha pagato, vale a dire i sudditi! Pertanto, il decreto-legge era assolutamente inutile, perché si poteva benissimo prevedere una manovra di finanza pubblica, tra l'altro, di modestissime dimensioni, come ho dimostrato, senza ricorrere al decreto-legge.
Naturalmente bisognava, da un lato, dimostrare, magari per fare bella figura con le tre confederazioni sindacali, che le regole si fanno, senza la concertazione, quando si tratta di colpire determinate categorie, mentre le spettabili tre confederazioni vengono ricevute a Palazzo Chigi con il tappeto rosso e trattano i contenuti della legge finanziaria prima ancora che il Parlamento e addirittura il Governo ne abbiano conoscenza, perché, in quel caso,Pag. 94le concertazioni vengono prima delle regole! Quindi, colleghi, due pesi, due misure!
Vi è poi un altro aspetto grave: quando è stata cancellata la retroattività del regime fiscale sulle transazioni immobiliari, non vi è stato solo l'effetto negativo dello Stato nei confronti dei sudditi; vi è stato anche un effetto di mercato diverso da normali effetti di mercato.
Capisco che in borsa si investano capitali di rischio, ma il rischio è dato dal mercato, non dalle scelte sbagliate o dai calcoli sbagliati del Governo e, quindi, qualcuno avrebbe dovuto pagare. Ho chiesto in Commissione che si procedesse all'audizione del presidente della Consob, ma mi è stata data una risposta negativa. Mi risulta, tuttavia, che la Consob stia facendo valutazioni di questo tipo.
Allora, potrebbe venire fuori che, magari, per qualche furbastro, questa iniziale formulazione della manovra relativamente alle transazioni immobiliari abbia provocato degli effetti, avendo potuto porre in essere, grazie a qualche indicazione in anticipo, operazioni di borsa disinvolte.
Vi è, poi, un problema più serio che è stato trattato da diversi punti di vista, persino da alcuni esponenti della maggioranza. Si tratta dell'obbligo, a partire dal 1o luglio 2008, di pagare con assegni, bonifici o carte di credito qualunque prestazione del valore di cento euro o superiori fornita da persone fisiche o società che esercitano arti o professioni. Si tratta apparentemente di una norma di lotta all'evasione. Tutti dicono: ah, che bravi! Tra l'altro, si tratta di una lotta per cui si afferma: stiamo promuovendo gli strumenti di moneta elettronica in sostituzione di quella fisica perché, in tal modo, proteggiamo il trasporto portavalori, quando si trasferiscono, ad esempio, fondi da un supermercato ad una banca e magari il furgone portavalori viene assaltato da rapinatori. Quindi, non solo si farebbe un'opera di diffusione di strumenti di moneta elettronica rispetto alla normale moneta cartacea, ma addirittura si proteggerebbe da forme di reato che possono essere determinate dagli attacchi ai furgoni portavalori. Onorevoli colleghi, questa è la deformazione tipica dell'attuale maggioranza, che pensa di avere in testa un disegno ed un'immagine.
Lo sviluppo della moneta elettronica, caro sottosegretario, non avviene per legge. Nel Regno Unito, in Germania, nei paesi anglosassoni, nei paesi di post-industrializzazione avanzata, lo sviluppo della moneta elettronica ed, in genere, lo sviluppo degli assegni, ancora prima della moneta elettronica - da noi spesso gli assegni erano utilizzati in modo disinvolto, molto spesso più in modo disinvolto che regolare, perlomeno in un certo periodo - è un fenomeno che risale nel tempo e non è stato certo imposto da norme di carattere fiscale che lo «spingono» in tal senso.
Se si vuole combattere l'evasione, l'ha detto il collega della Lega e lo hanno detto molti altri (l'ha detto persino un esponente dei Comunisti Italiani) si fa il contrasto di interesse. Il viceministro Visco, cui avevo rivolto una domanda in tal senso, ha risposto: bene, ma a quel punto, io ho cercato di trovare una formula, ed ha citato l'articolo 35, comma 22-bis, con una forma di esenzione rispetto al testo che riguarda il compenso, prevedendo la detrazione in misura del 19 per cento dei compensi pagati ad intermediari immobiliari per l'acquisto dell'abitazione principale e nel limite annuo di mille euro; voi capite che questo non è un modo per determinare il contrasto di interessi. Infatti, il contrasto di interessi o è completo e, quindi, si detrae interamente il costo della fattura e la si pone in detrazione dall'imposta l'imposta personale sul reddito, o è chiaro che si determina ciò che mi ha detto il viceministro Visco, e cioè che poi si mettono d'accordo, ad esempio, l'idraulico che esegue la prestazione con colui che la chiede, dicendo: ti faccio lo sconto. A quel punto, non emettiamo fattura e quindi non si può detrarre nulla. Ma quando l'intero importo viene ammesso in detrazione è molto più difficile, signor sottosegretario, che si determini tale forma di collusione.
In ogni caso, poiché l'ultima obiezione che mi ha rivolto Visco è che si perderebbePag. 95il gettito, vorrei dire che si potrà perdere il gettito per maggiori detrazioni ai fini IRPEF di chi chiede i servizi, ma, d'altra parte, vi è il vantaggio di verificare il reddito effettivo di colui che la prestazione fornisce, ossia, per esempio, dell'idraulico o dell'avvocato.
Quindi, in realtà, il contrasto di interessi non viene da voi. Voi pensate alla moneta elettronica e ad altre forme, che tra l'altro aumentano la burocrazia ed il flusso di materiale informatico che viene emanato dai vari erogatori verso le Agenzie delle entrate. Ho la sensazione, signor sottosegretario, che al di sotto del Garigliano - e, forse, anche al di sotto del Po - è più difficile che vi sia tale diffusione - tanto decantata - degli strumenti elettronici, dell'informatica, di Internet, del computer e di altro.
Non sono soltanto gli immigrati a non aver mai visto un conto corrente ma anche i contadini e tanta gente comune. Rendiamoci conto di questo! Camminiamo con i piedi per terra, piuttosto che volare in alto! Il ministro Visco, forse, dovrebbe seguire qualche corso accelerato di diritto tributario; forse si è dimenticato della scuola di Gian Antonio Micheli. Questo è il punto essenziale, a mio avviso: noi dobbiamo mettere in moto il contrasto di interessi.
C'è anche, naturalmente, un altro aspetto, nel quale non voglio entrare, cioè quello del lavoro nero, aspetto che investe anche il problema dei flussi migratori. Evidentemente, nella misura in cui riusciremo a controllare i flussi migratori riusciremo a controllare il lavoro nero. L'accordo tra il commissario europeo Frattini e il ministro Amato, di questi giorni, dimostra proprio che si sta percorrendo, in parte, questa strada.
Limitandoci soltanto all'aspetto della lotta all'evasione, il contrasto di interessi, a mio avviso, è importante. Tuttavia, il fisco, purtroppo, non è attrezzato, caro sottosegretario, e non è in grado di effettuarlo. Ci è stato riferito, infatti, che non è possibile procedere a verifiche in una misura superiore al 2 o 3 per cento all'anno. Quindi, inondarlo di carte o, comunque, di informativa elettronica che corrisponda al contrasto di interessi sarebbe assolutamente inutile. Prima, dobbiamo attrezzare seriamente il fisco, invece di pensare alla moneta elettronica, per affrontare seriamente questo problema del contrasto di interessi.
Inoltre, ci si riferisce alla lotta all'evasione e alla lotta all'elusione. Signor sottosegretario, l'elusione è cosa diversa dall'evasione. Glielo dice un vecchio professore di scienze delle finanze in pensione, con 40 anni di insegnamento all'attivo. L'elusione è il modo attraverso il quale si elude la norma e, più la norma è complicata, più si è capaci di eluderla. Perciò, quanto più complichiamo le norme, tanto più è possibile compiere uno «slalom» per eluderle in qualche modo. Inoltre, mi consenta di ricordarle che il paese sta invecchiando e che, nel 2050, il numero degli italiani sarà ridotto alla metà. Mi riferisco agli italiani; vedremo che cosa accadrà per quanto riguarda gli immigrati, almeno quelli che si integreranno. Certamente, se importiamo gli Hezbollah, è un po' difficile che essi si integrino! Comunque, nel 2050 gli italiani saranno la metà degli attuali. In un paese che invecchia e che, invecchiando, accorcia i propri orizzonti economici - fatalmente, questa è la conseguenza - complicare le norme fiscali significa, probabilmente, non tanto consentire di eluderle quanto indurre una rinuncia agli investimenti, una rinuncia a scegliere preferendo la rendita, l'odiata rendita finanziaria che è una specie di marcia del diavolo per gli ex comunisti.
Infine, per quanto riguarda gli altri aspetti, aspettiamo il disegno di legge finanziaria. Voi avete fatto promesse riguardo a enti locali, pubblico impiego, sanità e pensioni. Certamente, avete il controllo di quasi tutte le regioni e di quasi tutti gli enti locali, tranne la Lombardia, il Veneto e qualche altra area. Quindi, l'occasione è d'oro. Avete una maggioranza coesa e dovete dimostrare la discontinuità con il Governo Berlusconi: ecco, avete davanti a voi l'autostrada per giungere a controllare le spese degli enti locali e per evitare che le ex municipalizzatePag. 96diventino tante piccole IRI. Indegnamente, tra il 1980 e il 1991 sono stato vicepresidente dell'IRI e, quindi, conosco bene vizi e virtù - prima i vizi, poi le virtù - delle partecipazioni statali.
Quindi, evitiamo di fare tante piccole IRI, a livello di Benevento, di Napoli, di Torino o di qualche altra città o regione, come sta avvenendo. Facciamo in modo che si intervenga in questi settori, per esempio, sulla previdenza, dove c'è lo «scalone», e su questo siamo d'accordo. Peraltro, ero dell'idea che bisognasse accelerare l'operazione della riforma, invece di rinviarla al 2008, con una forma di quietismo a mio avviso non opportuna ai fini del risanamento della finanza pubblica. Oltre allo «scalone» bisogna alzare l'età pensionabile, perché siamo un paese che invecchia, dove le donne hanno una speranza di vita fino ad 80 anni, e mi auguro che possano arrivare a speranze di vita ancora maggiori; essendo uomo, mi auguro anch'io di andare nella scia delle signore, per aumentare la mia speranza di vita! Occorre, dunque, intervenire in tal senso.
Se non lo fate voi, che avete addirittura steso il tappeto rosso ai sindacati, per anticipare loro il contenuto della prossima finanziaria, non so chi lo dovrebbe fare! Noi non siamo stati capaci di fare le operazioni sporche. Allora fatele voi, visto che le considerate pericolose! Avete poi il controllo anche delle regioni e quindi della sanità.
Un altro settore sul quale intervenire è quello del pubblico impiego, che è in mano prevalentemente a CGIL, CISL e UIL, che sono i vostri sindacati di riferimento e che vi considerano un Governo, oltre che amico, anche collaterale. Dunque, a questo punto, vi aspettiamo al varco (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Vannucci. Ne ha facoltà.
MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, permettetemi di esprimere la mia soddisfazione per l'opportunità di intervenire, per la prima volta in questa aula, proprio sulla conversione in legge di questo decreto-legge. Lo dico, perché considero il provvedimento in esame un nuovo inizio, una svolta vera. Vi sarà un prima e un dopo, rispetto a questo decreto. Credo che esso rimarrà un punto fermo. Se pensiamo come il nostro sistema poggi su una base normativa protezionistica ed anticoncorrenziale, non possiamo non riconoscere che siamo di fronte ad una vera rivoluzione.
Si è tentato di minimizzare il provvedimento - lo hanno fatto ampiamente i colleghi della minoranza -, ma io ne considero la portata storica e, quindi, non posso che apprezzare l'impegno e il coraggio che il Governo ha avuto. Ci voleva adesso, in avvio di legislatura, per iniziare a caratterizzare un'azione riformista, che ci vedrà impegnati per l'intero nostro mandato. È l'inizio di un lungo cammino. Anche lo strumento utilizzato, quello del decreto-legge, lo trovo opportuno, per lo stato dell'economia che abbiamo ereditato: uno stato fermo, al quale dare una scossa immediata. E non è questa, forse, una vera e propria emergenza? E l'urgenza che ci è data dal rispetto degli impegni europei non la vogliamo considerare?
L'istruttoria, la concertazione c'è stata ed è stata ampia e partecipata: la fece il Governo di centrosinistra a suo tempo, ma si è fermata per cinque anni con il Governo di centrodestra. Noi ripartiamo da lì, ma soprattutto - questo è il forte impegno, che dal Parlamento dovrà e potrà venire - su ogni materia, su ogni singolo settore si debbono a questo punto mettere in campo leggi di riforma strutturale, grazie alle quali il Parlamento troverà la sua vera funzione. Lo stesso Governo ha già depositato disegni di legge delega per la riforma dei servizi pubblici locali, per la class action - che rappresenta la possibilità dell'azione risarcitoria collettiva dei consumatori -, per l'energia, per il settore assicurativo. Altro aggiungeremo noi in quest'aula.Pag. 97
Questo Parlamento, se lo vorrà, nel solco tracciato da questo decreto-legge, potrà rendere epocale la XV legislatura.
In questi passaggi si potranno correggere eventuali carenze sempre possibili (la manutenzione a cui fa riferimento il ministro Bersani), così come, nella legge finanziaria, si potrà rimediare subito alle contraddizioni rispetto alla strada di marcia che ci stiamo dando, che pure vi sono. Prima fra tutte, il ridimensionamento dei fondi per la ricerca e per l'università.
Credo profondamente alle possibilità e al ruolo che in un dialogo fecondo questo Parlamento potrà svolgere, anche se, vi confesso, gli apparentamenti politici subito tentati verso le categorie interessate, che fortunatamente sono molto più avvedute, e basse strumentalizzazioni anche in quest'aula hanno avuto eco (come l'esposizione di filoni di pane!). Queste sono cose che non sembrano far ben sperare, ma credo che bisogna provarci.
Con questa legge avremo più competitività, l'ampliamento di offerta, la promozione della concorrenza, più informazione per scegliere beni e servizi, un consumatore finalmente tutelato. Considero positiva e strettamente collegata la parte relativa all'evasione fiscale. La lotta all'elusione e all'evasione fiscale è infatti la precondizione per una concorrenza vera. L'evasione, prima di ogni altra cosa, è un tragico fattore di concorrenza sleale, che non fa crescere l'economia.
Sono certo - soprattutto se saremo fino fondo conseguenti - che questo provvedimento, per i fattori di dinamicità che introduce, interverrà molto positivamente, oltre il previsto, spero, sulla crescita. Lo abbiamo scritto nel Documento di programmazione economico-finanziaria: non è lo Stato direttamente che può determinare le potenzialità di crescita, nostro compito però è attrezzare il paese, prepararci, darci regole, perché si possa intercettare una fase positiva di crescita, che sembra esserci, ma che da sola, se il sistema paese non è attrezzato, non arriva. Il decreto, che sono certo convertiremo in legge, va in questa direzione.
Voglio rimanere per un attimo al tema della crescita. Nel corso della discussione sul DPEF, illustri colleghi di opposizione ci hanno fortemente criticati per una previsione di crescita secondo loro troppo prudenziale. Vorrebbero riproporci la logica che li ha guidati per cinque anni: l'attesa messianica di una ripresa internazionale alla quale affidare tutto (che, tra l'altro, quando timidamente si è presentata non siamo stati in grado di intercettare, per un deficit di sistema); previsioni sempre ottimistiche (il 3, 1 poi il 2, 9, poi il 2 per cento), mai centrate, con realizzazioni ben lontane dal bersaglio (non si è colpito neanche il tabellone!).
E, partendo da queste previsioni sbagliate, cosa si è prodotto? Non si sono affrontati i nodi strutturali! È stato detto che si è nascosta la polvere sotto il tappeto, si è agito con provvedimenti tampone, una tantum, condoni. Dovremmo forse continuare così? È possibile continuare così? Io dico di no! Va aperta una fase nuova, che noi apriremo.
L'euro presupponeva un cambio di passo, non più «l'Italietta furbetta della liretta», ma un'economia moderna, uno Stato che si facesse regolatore, uno Stato di diritto più avanzato, un mercato veramente libero, che può realizzarsi solo creando prima le garanzie e le possibilità per tutti di cogliere le opportunità. Così come si fa con questo provvedimento.
Speriamo di recuperare i cinque anni che su questo terreno il paese ha perso. Furono i nostri Governi ad avviare un forte processo di privatizzazione, che doveva andare di pari passo con un processo di liberalizzazione. Ma vi sono stati cinque anni di vuoto anche in questo.
Noi oggi riprendiamo quel filo partendo dalla conversione di questo decreto e con questo mandando un messaggio di ottimismo e di speranza al paese, con lo sforzo di tutti, anche delle categorie interessate, che oggi appaiono preoccupate e che troveranno altri benefici in un paese diverso. Chiamando tutti a rimboccarsi le maniche ce la potremo fare (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Biancofiore. Ne ha facoltà.
MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sarebbe esilarante iniziare questo mio intervento con quel rituale ritornello, raccontato dalle cronache per noi neofiti di quest'aula, che caratterizzava, ogni qualvolta veniva data loro la parola, gli esponenti organizzati delle sinistre nella scorsa legislatura.
L'incipit - lo ricorderete bene -, se non sbaglio, recitava: «gli italiani devono sapere che», cui seguivano una serie di mistificazioni sui contenuti delle oltre 36 riforme varate dal Governo Berlusconi, perlopiù con leggi, non con decreti-legge, che oggi fanno ammettere allo stesso ministro dell'economia in carica, Padoa Schioppa - dotato evidentemente di onestà intellettuale, ma, purtroppo, di fatto commissariato dal «prode» Visco - che Berlusconi ha governato bene e che i conti pubblici sono in linea con i parametri europei.
Sarebbe esilarante - dicevo - iniziare il mio intervento con la frase: «gli italiani devono sapere che», se ciò non fosse del tutto superfluo, visto che gli italiani, cari esponenti del Governo Prodi - in realtà, né è rimasto uno solo, purtroppo -, sanno già tutto e hanno visto già troppo di un Governo che, in soli tre mesi dalla nascita, ha saputo offrire uno spettacolo che nemmeno l'inventiva più faziosa avrebbe potuto concepire.
Ciò che è davvero spassoso, se non fosse che ne vanno tristemente di mezzo il paese e il popolo italiano, è che il disastro è autoreferente, cioè tutto interno ad una coalizione che si conferma un cartello affastellato di partiti votati all'esclusivo mantenimento del potere, senza un'anima, senza un collante ideale e senza, soprattutto, una guida riconosciuta, che viene puntualmente smentita dai nuovi «mostri» partoriti da questa coalizione, vale a dire i cosiddetti «ministri di lotta e di Governo».
Si tratta di una coalizione, dunque, che più che Unione dovrebbe chiamarsi, verosimilmente, «Divisione» e prendere atto che il paese non la vuole e che già invoca, viceversa, nuove elezioni.
Gli italiani, signori del Governo, ricordano le frasi da antologia, infrantesi contro la realtà che stiamo vivendo quotidianamente, che pronunciò il Presidente del Consiglio nel clou della campagna elettorale, accentuando quelle sue già intollerabili caratteristiche finto-clericali: parole e frasi topiche, quali «culto della concertazione», «paese sereno», «paese unito», fino ad arrivare all'impudicizia di promettere di dare la felicità agli italiani. Prodi, dunque, come Alice nel paese delle meraviglie - ovviamente meraviglie prodiane -, che però hanno innescato nel paese tutta una serie di lotte di classe che nulla hanno a che vedere, evidentemente, con la serenità di questo paese e la sua volontà di serenità.
Vi invito, signori del Governo, a scendere dalle vostre plurime poltrone e a fare un giretto tra i mercati e i rioni delle città per capire quanta «felicità» avete dispensato in soli tre mesi. Persino tra gli elettori sbadati del centrosinistra non troverete una sola persona che esprima soddisfazione per il vostro operato.
Per la verità, all'interno del vostro stesso Governo non vi è uno degli esponenti dell'Esecutivo che, nelle segrete stanze, con interlocutori assai meno discreti, non ammetta il pre-fallimento di questo Governo. Per non parlare, poi, delle parole che vengono abitualmente abusate, come la parola «concertazione». Ciò mi permette di addentrarmi nello specifico del provvedimento all'ordine del giorno, il famigerato decreto Bersani.
Tale decreto, già nel titolo, fatto amplificare dai media tanto amici della vostra coalizione, è una solenne mistificazione, perché - questo è bene che gli italiani lo sappiano - non è il decreto delle liberalizzazione auspicato da Bersani, non solo per lo snaturamento derivato dalla giusta serrata delle poche categorie interessate, avendo ovviamente omesso quelle vicine alle sinistre, bensì perché esso è stato scritto e voluto per lo più da Visco e le liberalizzazioni sono state gettate come fumo negli occhi dei cittadini per nasconderePag. 99la verità, ovvero la stretta fiscale di quel viceministro il cui cognome - passatemi la cosa divertente, provenendo io da una terra plurilingue, dove si parla anche il tedesco -, in tedesco, si pronuncia «fisco».
Visco, deus ex macchina economico e finanziario di Prodi, è colui che terrorizza gli italiani - girate tra la gente, colleghi della sinistra! - per il culto della tassazione che lo contraddistingue e per il ricordo di provvedimenti quali l'IRAP e la tassa sull'Europa, nonché per il suo mettere le mani, nottetempo, nei conti personali della gente!
Egli viene ricordato, inoltre, per la sua ossessione per la lotta all'evasione fiscale. Si tratta, però, di una lotta all'evasione fiscale di classe, dalla quale sono ovviamente esentate le cooperative rosse, la grande distribuzione e la maggior parte delle banche, i cui presidenti, non a caso, erano tutti in fila, come soldatini, ad inneggiare alla scelta di Prodi, nel corso delle pseudoprimarie di un'Unione alla ricerca di un sarto in grado di cucirne i pezzi di stoffa - permetteteci di dirlo - piuttosto logora!
A proposito di conflitto di interessi, in questo caso di partito, Visco è anche quello che ha dal principio rimosso immotivatamente - annunciando peraltro, come nella più classica tipologia di excusatio non petita, accusatio manifesta, che ciò non avveniva per motivi politici - tutti i vertici della Guardia di finanza della Lombardia (guarda caso, si trattava di coloro che avevano indagato sul caso Unipol), salvo poi bruciarsi con la stessa fiamma della Finanza ed essere costretto a revocare i provvedimenti di trasferimento dei vertici con una «ballerina» serie di dispacci di agenzia degna delle comiche di charlottiana memoria!
«Concertazione», dicevamo: si tratta della parola che, secondo Prodi, dando per scontata l'acquiescenza e la partigianeria politica di sindacati improvvisamente ammutolitisi, avrebbe fatto navigare il suo Governo in acque calme ed ammaestrato il paese ad un training autogeno di felicità condivisa. Forse, se non fosse stato per la sottovalutazione prodiana - tipica di una sinistra che, a volte, deroga all'arroganza - della gente pensante, il quadro immaginifico dipinto dal Presidente del Consiglio avrebbe anche potuto avere fortuna.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, non aveva fatto i conti con lo spirito rivoluzionario ed ideale della gente semplice che lavora, come i tassisti ed i panificatori, e contava sulla scarsa propensione delle classi borghesi, quali farmacisti, veterinari, notai, proprietari di dimore antiche, commercialisti, avvocati (e chi più ne ha, più ne metta, perché siete riusciti veramente a scatenare gente assolutamente non avvezza alla lotta in mezzo alle piazze) a scendere in piazza per bloccare questi provvedimenti punitivi, i quali, paradossalmente, non sono stati minimamente «concertati» (la famosa parola che, per l'appunto, riempiva la bocca di Prodi durante la campagna elettorale e che noi tutti conosciamo).
Di vere liberalizzazioni il paese ha oggettivamente bisogno; tuttavia, non lo si può fare senza varare riforme organiche e senza instaurare il benché minimo dialogo con le categorie interessate. Si è operato in tal senso, però, facendosi forti di una furbizia da «quartierino» che ha costretto a comici e immediati dietro-front uno - se non l'unico - dei pochi ministri preparati e logici (nel modo di agire) di questo Governo, il quale, invece, è piuttosto evanescente; parliamo, ovviamente, di Bersani.
Questa sinistra, peraltro, non ha nulla della sinistra. Incapace di portare avanti un programma di riforme, essendo priva dei numeri in Parlamento, essa si diverte a «scopiazzare» i programmi di liberismo economico del centrodestra, finendo per incappare in ciò che - mi rivolgo ai nostalgici del comunismo - Marx deplorava: una forma di socialismo reazionario, vale a dire il cosiddetto socialismo feudale.
La politica di Prodi, e di voi che ancora lo sostenete - ma non so neanche per quanto tempo, perché, nel corso del dibattito svolto oggi in Assemblea, abbiamo visto che molti dei partiti della cosiddetta maggioranza hanno attaccato più dell'opposizionePag. 100il decreto-legge in esame: ciò, oggettivamente, può anche farci piacere, ma fa sorridere il paese, e dovreste trarne le logiche conseguenze! -, sembra infatti «clonata» da una certa parte delle aristocrazie francese e inglese di metà dell'Ottocento. A tale riguardo, Marx scriveva testualmente che essa faceva una politica «(...) per destare qualche simpatia, ed era costretta a distogliere gli occhi, in apparenza, dai propri interessi e a formulare il suo atto di accusa contro la borghesia solo nell'interesse della classe operaia sfruttata».
«A questo modo sorse il socialismo feudalistico, metà lamentazione, metà riecheggiamento del passato, metà minaccia del futuro. A volte colpisce al cuore la borghesia con un giudizio amaro e spiritosamente sarcastico, ma ha sempre effetto comico per la sua totale incapacità di comprendere il corso della storia moderna». Ancora più significativo il seguito, riportato sempre da Marx ne Il manifesto del partito comunista, che voi dovreste conoscere bene, e che calza a pennello, paradossalmente, a Prodi e alla sua compagine di coalizione. «Questi aristocratici» - scrive Marx (perché la nuova aristocrazia è il centrosinistra illuminato, che è intangibile ed è media della categoria) - «hanno impugnato la proletaria bisaccia da mendicante, agitandola come bandiera per raggruppare dietro a sé il popolo. Ma tutte le volte che li ha seguiti, il popolo ha visto sulle loro parti posteriori i vecchi blasoni feudali e s'è sbandato con forti e irriverenti risate».
Mutatis mutandis, mai come ora dette affermazioni si adattano perfettamente alla situazione che la borghesia italiana, ma direi tutto il popolo italiano, sta subendo dallo sciagurato avvento del Governo Prodi. Un Governo che protegge e rafforza i suoi fedeli e le sue corporazioni e manda allo sbando l'altra metà del paese. E ciò si ravvisa particolarmente nel provvedimento congiunto Visco-Bersani, per il quale deve scattare automaticamente la piena consapevolezza che il titolo stesso, assegnato a queste misure, non corrisponde affatto a quelle di rilancio e liberatrici generalmente riconosciute dal mercato. Il termine «liberalizzazioni» rappresenta infatti una vera e propria contraddizione con il messaggio e la filosofia alla base di questo provvedimento, che in realtà potremmo definire «manovrina». Non solo, ma viene anche abbastanza semplice individuare la vera natura penalizzatrice del provvedimento che si ispira a tutti gli effetti ad un modello di Stato di polizia, nella sua accezione caratteristica di un sistema in cui le forze di Governo si investono di poteri di controllo limitando il diritto dei cittadini.
Quello che è apparso agli occhi dei cittadini consumatori come un provvedimento dalle ampie vedute liberalizzattrici cela invero dietro di sé il volto del più atroce modello di controllo, con azioni che generano un carico di burocrazia, un aumento della tassazione del risparmio, la tassa patrimoniale e, conseguenti, violazioni della privacy. Insomma, mentre Bersani predica le liberalizzazioni, Visco sembra avere una grande paura della libera iniziativa e, invece che debellare l'evasione fiscale, specie con l'obbligo di pagare con assegni e carte di credito, in realtà rischia di provocare l'effetto opposto, cioè quello di spingere a nascondere le transazioni effettuate con le apparecchiature tecniche che conosciamo (i nuovi bancomat e quant'altro) e, conseguentemente, spingere, purtroppo, a pagare in nero.
La filosofia alla base del provvedimento è, in verità, che per il Governo Prodi i cittadini italiani sono tutti dei potenziali evasori. Per questo occorre studiare, come diceva Eliot, sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono. Il punto non è, dunque, educare la persona ad un comportamento virtuoso, ma limitarne la libertà per rendere minima la possibilità di errore.
Fatta questa premessa e sgombrato il campo da equivoci e illazioni sul termine «liberalizzatore», allora si può comprendere come questa coalizione, composta da ex post comunisti, possa fregiarsi di essere stata la prima ad intervenire su tali misure, sulle quali peraltro non si evince alcuna sintonia all'interno della maggioranza.Pag. 101Da un lato, il richiamo del provvedimento a principi di coerenza libertaria e progressista come quelli evocati dal nostro partito, Forza Italia; dall'altro, l'inganno, la trappola dei suoi contenuti, che noi consideriamo fortemente nocivi per gli interessi dei cittadini. Basti pensare all'articolo 3 del provvedimento in esame, che modifica le regole del settore della distribuzione commerciale. Sopprimendo il parametro della distanza, infatti, non si fa altro che andare a nuocere, ancora una volta, quelli che sono i piccoli negozi di vicinato, che in ogni città già soffrono e sono costretti a chiudere, favorendo così la concentrazione della distribuzione, guarda caso delle grandi distribuzioni; e, casualmente, in mezzo alle grandi distribuzioni, vi sono anche le cooperative rosse che, come tutti sanno, si presentano come grandi concentrazioni di società.
D'altronde, un Governo che non ha una maggioranza originaria come poteva altrimenti farsi forza della sua debolezza? Ma noi non ci cadiamo, non stiamo a guardare dinanzi ad una simile azione, che, come tutti hanno avuto modo di constatare nelle ultime settimane, ha generato una sorta di rivoluzione spontanea; il nostro fronte è compatto contro il decreto, che cercheremo di bloccare con tutti i mezzi, convinti che la democrazia debba essere salvaguardata.
Una delle cose più raccapriccianti, infatti, di questo provvedimento è la semplificazione fatta dal Governo Prodi che, con convenienza, ha etichettato le categorie in ribellione come vicine al centrodestra: un Governo cieco dinanzi ad una compattezza di risposta con cui tali ordini fanno sentire la propria voce contro una riforma che dà il via piuttosto all'oppressione fiscale e burocratica, che attacca la libertà di impresa e quella dei cittadini più in generale.
Leggendo solo i sondaggi e le statistiche delle ultime settimane, che parlano in maniera piuttosto chiara e sincera, secondo la gente, si tratta di un ennesimo provvedimento azzardato del Governo Prodi, un Esecutivo egoista, minoritario e dilettante.
Analizzando minuziosamente, poi, i contenuti del decreto Visco-Bersani, vorrei portare l'attenzione particolarmente su alcune logiche infauste che lo hanno ispirato e sulle prime conseguenze generate. Certamente, questo è stato fatto ampiamente anche dai colleghi che mi hanno preceduto, ma ritengo che rinfrescare la memoria serva innanzitutto al paese per comprendere potenzialmente con chi si ha a che fare.
Innanzitutto, è da notare anche in questo caso la totale assenza di una metodologia delle riforme; il decreto-legge, approvato d'urgenza, non si è rivelato il metodo più adeguato per affrontare alcune riforme strutturali italiane, che stagnano da anni nelle aule parlamentari.
Della mancata consultazione delle categorie interessate abbiamo già ampiamente detto e, soprattutto, è stato affrontato da tutti l'argomento della mancata concertazione con gli stessi consumatori, prima che il Governo assumesse determinate decisioni, per cui è inutile ritornarci sopra.
In secondo luogo, viceversa, sono da rilevare i gravi danni provocati sui mercati finanziari nella sua prima sortita, dopo la quale è sopraggiunta l'immediata modifica del decreto-legge nella parte riguardante il settore immobiliare.
Nella parte relativa ai tagli della spesa pubblica, vi è un'ambiguità, laddove l'attuale Governo chiede tagli proprio negli stessi settori in cui il Governo Berlusconi era stato accusato di non voler ridurre la spesa, vale a dire la scuola, le missioni all'estero dei militari italiani, la protezione civile, l'editoria, e chi più ne ha più ne metta! Il provvedimento affossa inoltre, come sopra detto, la libera iniziativa economica, inserendo una vera e propria forma di Stato di polizia, minacciando il sistema democratico per mezzo di una violazione delle prerogative parlamentari e di una odiosa volontà punitiva verso tutte le imprese.
Noi della Casa delle libertà, appena torneremo al Governo - e credo che siate convinti anche voi che non manchi molto -, dovremo batterci con pervicacia perPag. 102tutelare le libertà e la riservatezza delle attività economiche e professionali, eliminare le norme fiscali inquietanti che scoraggiano lo sviluppo dell'impresa e correggere queste false liberalizzazioni con interventi organici sul mercato del lavoro, dell'energia, del trasporto pubblico, dei servizi professionali, rimuovendo quelle che sono le concorrenze sleali, che voi invece in questo decreto non avete minimamente affrontato.
Last but non least, come dicono gli inglesi, è l'aspetto della vendetta sociale, evidenziato dalla retroattività del provvedimento. Il decreto-legge viola infatti sia lo Statuto del contribuente (carta che elenca una serie di principi ai quali deve ispirarsi l'amministrazione finanziaria nei rapporti con i contribuenti), soprattutto nella parte in cui viene perentoriamente espresso che le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo, sia l'articolo 11 delle preleggi del codice civile, secondo il quale la legge non dispone che per l'avvenire.
Ciò significa che tutti i benefici ricevuti dai cittadini sin dalla precedente legislatura, quella che - ribadisco - lo stesso Padoa Schioppa afferma essere stata una legislatura che, in realtà, ha portato un buon governo al paese, potrebbero essere, secondo questa forma di vendetta sociale, revocati, punendo coloro che si sono, agli occhi di Prodi e company, arricchiti sotto il Governo Berlusconi, arricchiti tra virgolette, ovviamente, visto lo stato dei conti che abbiamo ereditato dalle precedenti legislature dell'Ulivo.
Dove sta, allora, il senso della liberalizzazione? Retroattività, quindi, riferimento al passato piuttosto che al futuro, controlli discrezionali e punizioni per alcune categorie, volontà punitiva contro le imprese, protezione e privilegi solo per alcuni settori economici e sociali. Se l'autentico modello liberale impone una società dinamica, svincolata da qualsiasi obbligo o rendita e capace di produrre e distribuire la ricchezza, trovo che stiamo discutendo un provvedimento che è l'esatto contrario, a maggior ragione che trattasi di azioni scatenanti l'ostilità degli italiani nei confronti del fisco, percepito come nemico del lavoro, in particolare quello autonomo, e del guadagno.
L'evasione fiscale andrebbe affrontata, al contrario, tagliando le aliquote massime, attivando i contrasti di interesse attraverso la possibilità di detrarre le spese sostenute e semplificando gli adempimenti.
Il decreto Visco, com'era purtroppo nelle aspettative di tutti e come avevamo già annunciato nel corso della campagna elettorale (puntualmente, così è avvenuto), si muove nella direzione opposta. Come si spiegano, altrimenti, un provvedimento immediato che introduce nuove norme fiscali con effetti talmente penalizzanti per alcuni settori economici tali da provocare un crollo in borsa dei relativi titoli e, dopo qualche giorno, la presentazione di una serie di emendamenti per mitigarne gli effetti, ma non la sostanza? Ecco la spiegazione. Questo Esecutivo ha fatto alcuni piaceri alle lobby che lo sostengono - per fortuna non per molto -, contrabbandandoli per liberalizzazioni. Come per il caso «farmaci-coop». Hanno ottenuto il consenso dei vertici di Confindustria, ma - precisiamolo - solo perché il decreto-legge non tocca la grande industria, e hanno cercato di spaccare il centrodestra, sventolando la bandiera dei riformisti liberalizzatori.
Per noi, che da questo Governo non ci aspettiamo in sostanza nulla di serio e costruttivo, c'è oggi anche una debole speranza che il provvedimento sulle liberalizzazioni e la sussurrata equità inverta la rotta di un Esecutivo incompetente e anticapitalista.
Il quadro che ci regala questo Governo è sempre quello di un'inconfondibile dialettica mistificata, che abusa, che inganna e che privilegia alcune categorie ad esso vicine, con picchi di giustizia negata ai cittadini. Pensavate che bastasse il termine «liberalizzazioni» a stendere un velo pietoso sui fini delle politiche prodiane, ma quel che ne emerge è una maggioranza sempre più risicata, più superficiale edPag. 103una coscienza politica sempre più annacquata, nella quale, purtroppo, i veri plagiati sono i cittadini.
Prenda atto Prodi, prendetene atto anche voi (soprattutto coloro che, oggi, in quest'aula, e nei giorni scorsi per gli altri provvedimenti, non hanno fatto altro che scagliarsi contro le scelte del proprio Presidente del Consiglio, del proprio Governo) che avete la sfiducia nel paese, non tanto nel Parlamento, dove avete 60 voti di maggioranza alla Camera, ma nel paese, dove c'è una forte sfiducia nei vostri confronti, e credo che di questo ve ne sarete resi conto.
Allora ridia Prodi il campanello della Presidenza del Consiglio a chi ha dimostrato di sapere realmente guidare per cinque anni un paese e fare delle riforme che sono servite a questo paese per far dire al vostro ministro dell'economia che anche il PIL è cresciuto grazie alle manovre finanziarie del Governo Berlusconi (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Leddi Maiola. Ne ha facoltà.
MARIA LEDDI MAIOLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'ora è tarda. Chi coraggiosamente è rimasto in aula fino a questo momento, ha una reale volontà di approfondire la problematica del decreto di cui chiediamo la conversione in legge.
Attorno a questo decreto c'è stato un dibattito ampio, anche in Commissione, dove probabilmente l'ambiente più ristretto consente di avere uno spirito meno da Zelig e più produttivo rispetto alla capacità di approfondire il tema in oggetto.
Ho ascoltato con spirito assolutamente «laico», avendo la consapevolezza che gli atti prodotti da questo come da altri Governi possono non essere perfetti e che, di conseguenza, tutti gli approfondimenti, i suggerimenti e le indicazioni vanno ascoltati con attenzione adeguata, per cogliere, eventualmente, ciò che di positivo possono contenere al fine di migliorare l'atto normativo che di volta in volta viene in rilievo. Il nostro compito di legislatore, il nostro dovere prioritario è soprattutto quello di produrre atti che abbiano la capacità di raggiungere le finalità per le quali li abbiamo approvati, che abbiano, per i cittadini, i risultati voluti.
Ebbene, ascoltati tutti gli interventi, credo di poter affermare con assoluta convinzione che del decreto-legge in esame - com'è stato ribadito, esso è un tassello di un percorso importante, un elemento strutturale del nostro programma di Governo - mi sento di condividere appieno presupposti, finalità e mezzi. Quindi, credo di poter motivatamente condividere il predetto percorso dall'inizio alla fine.
È difficile non condividere, o contraddire, l'analisi da cui parte il provvedimento in esame. Ciò che ha motivato l'adozione del decreto-legge è la crisi strutturale che sta attraversando questo paese. La collega che mi ha preceduto ha fatto riferimento a dichiarazioni del nostro ministro dell'economia che francamente non ricordo di aver ascoltato (mi saranno sicuramente sfuggite...). In particolare, il ministro avrebbe dichiarato che le politiche economiche degli ultimi cinque anni hanno determinato risultati brillanti apprezzati anche dall'Unione europea. Non mi risulta, ma mi corre l'obbligo di precisare che i dati sono un fatto oggettivo. Ogni Governo, all'atto del suo insediamento, prende atto dei conti che trova, perché da quelli deve partire per realizzare le sue politiche.
Mi pare che ci si sia mossi coerentemente per valutare i conti che sono stati trovati pochi mesi fa: i risultati sono quelli che sono stati discussi anche in sede di esame del DPEF, e non sono confortanti. Non vogliamo certo dire che tali dati siano stati prodotti esclusivamente dai cinque anni di Governo che abbiamo alle spalle. Negli ultimi cinque anni, sono state predisposte azioni di Governo, sulla base di determinate ipotesi e di determinate filosofie economiche, che potevano dare buoni risultati, ma che non li hanno dati. Ciò che abbiamo sotto gli occhi è che le strategie di governo dell'economia non hanno dato frutti adeguati: può capitare e, evidentemente,Pag. 104è capitato, tanto è vero che il paese non ha apprezzato i risultati ed ha scelto un altro Governo! E noi siamo qui per dare corso a tale scelta.
La crisi strutturale nel paese c'è. Si tratta della crisi strutturale di un paese che sta perdendo colpi da anni, da più di cinque anni nel campo delle esportazioni (anche questo dato è incontrovertibile). Contemporaneamente, c'è un crollo anche della crescita: nel passato esercizio, il nostro è stato un paese a crescita zero, a fronte di paesi emergenti che stanno a crescita dieci. Questo dato è incontrovertibile e, al di là di ogni battuta, qualche cosa vuol dire e qualche cosa impone. Impone, evidentemente, una strategia radicale di recupero.
Intanto, bisogna fare in fretta, ma non vi saranno soluzioni lampo per i nostri problemi (l'ha detto Padoa Schioppa in tutte le occasioni: l'ho sentito - questo sì! - e l'ho ampiamente condiviso). Senza andare a scomodare Winston Churchill, credo che non si possano immaginare soluzioni «a presa rapida»: ci attende una marcia lunga e faticosa (e questo è l'inizio di una marcia lunga e faticosa). Non possiamo tirarci indietro se riteniamo veramente che questo paese abbia ancora qualche carta da giocarsi. Quindi, dobbiamo offrire al paese tutti gli elementi affinché possa giocarsi le sue carte.
Le finalità che il decreto-legge in esame persegue, nell'ambito di una strategia di politica economica più ampia, sono pertanto ineludibili e condivisibili. Occorre risanare i conti (e questo è stato detto nel DPEF, in assoluta coerenza con il provvedimento in esame). Occorre fare tutto ciò che è necessario e possibile affinché la produttività aumenti: aumentare la produttività è il solo modo per creare prosperità; e creare prosperità è l'unico modo che abbiamo - voglio semplificare - per riuscire ad avere le risorse necessarie per mantenere lo Stato sociale, che in questo paese abbiamo, che è forte ed avanzato e che va mantenuto, non con le dichiarazioni di principio, ma con le risorse.
Quindi, produrre le risorse, creare i presupposti perché esse vengano prodotte è ciò che è necessario perché si mantengano insieme il risanamento, la crescita e l'equità; poi, ricostruire l'efficienza del sistema, individuando tutte le azioni necessarie perché questo riprenda una adeguata forma di efficienza, che è quella che serve a far girare bene la macchina che deve essere di sostegno al sistema imprenditoriale, al sistema della produzione e al sistema che deve competere con un mercato globalizzato in cui altri competitor sono lì con alle spalle un sistema paese che è forte ed efficiente. Allora per recuperare il ritardo che abbiamo accumulato non possiamo permetterci di avere tempi morti, perché il treno a cui dobbiamo riagganciarci sta andando molto, molto veloce. Io credo che questo decreto - di cui appunto chiediamo e sosteniamo la conversione in legge - mette sul tappeto i mezzi indispensabili per procedere in questa direzione: la liberalizzazione che, così com'è stata proposta con tutti gli accorgimenti e anche le criticità che può aver presentato, è ciò che serve per immettere adrenalina nel sistema che - come tutti sappiamo - è un sistema incrostato; crediamo, infatti, che queste liberalizzazioni siano un tassello indispensabile per ridare slancio e rimettere in moto l'economia.
Queste liberalizzazioni rimettano al centro il cittadino-consumatore, cioè chi, sostanzialmente al momento, non ha tutela sindacale. Viviamo in un paese di grandi poteri organizzati dove, comunque, la sensazione e l'impressione - il fatto è poi oggettivo - è che solo le grandi categorie organizzate riescono ad avere voce e ad essere tutelate; c'è, però, la grande categoria dei consumatori che, dispersa in venti sigle, sostanzialmente non è rappresentata da nessuno.
Credo che bene abbia fatto in questo caso con grande forza il Governo a sottolineare che sta riportando al centro il soggetto che al centro deve essere posto, ossia l'utente finale, il cittadino consumatore che, riportato al centro dell'attenzione, avrà anche modo di ottenere più servizi, servizi migliori e, comunque, di vedere anche stimolata complessivamente la competitività; quindi, noi crediamo chePag. 105tutto questo debba servire a mettere in moto l'innovazione, che poi è il presupposto per creare il volano di ricchezza per il paese in un mondo che si muove con una vorticosità che è inutile richiamare perché è sotto gli occhi di tutti.
Credo che quanto è stato detto da più parti in ordine ai temi dell'evasione e dell'elusione fiscale non costituisca una fisima del ministro Visco, ma rappresenti un macigno per il nostro paese. Non so se effettivamente siano sette punti di PIL a cui corrisponde l'evasione e l'elusione fiscale in questo paese; possono anche essere meno, perché molte cifre a volte si dichiarano con approssimazione, comunque in ogni caso se non sono sette sono sei; stiamo parlando, quindi, di cifre enormi, che rappresentano un macigno che rallenta lo sviluppo del paese e, soprattutto, crea una ingiustizia di fondo. Infatti, chi paga le tasse lo fa perché tutti abbiano dei servizi, paga volentieri perché abbiano un servizio da parte dello Stato anche coloro che le tasse non le pagano perché non possono, ma non lo fa volentieri perché i servizi li abbiano quelli che le tasse non le vogliono pagare. Allora, ripristinando un principio di equità, diventerà anche più semplice lavorare ed essere all'interno del sistema.
Termino qui, e ringrazio per l'attenzione, solo ricordando che- mi spiace che non sia più presente il collega, onorevole Armani, che ha fatto le sue giuste e simpatiche battute sull'impossibilità di avere a disposizione normative che forzino l'introduzione di mezzi sostitutivi della moneta - certamente non si introduce il bancomat per legge, ma è anche certo che in una società in cui fino pochi anni fa nelle nostre case gli unici mezzi di comunicazione con l'esterno per settant'anni sono stati il telefono, i giornali e la televisione, nel giro di pochi anni all'interno delle case entrerà contestualmente il telefonino, il telefono, la televisione, il bancomat e via dicendo. Questo significa che per settant'anni siamo stati immobili rispetto all'utilizzo di alcune tecnologie che negli ultimi quattro anni hanno cambiato il mondo; allora, credo che non solo non sia un reato, ma che sia anche doveroso aiutare il mondo a cambiare con uno stimolo normativo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alberto Giorgetti Ne ha facoltà.
ALBERTO GIORGETTI. Signor Presidente, devo dire che le ultime considerazioni dell'onorevole Leddi Maiola mi hanno riportato ad avere stimoli interessanti per questo dibattito. Vorrei dunque rispondere a quanto affermato, anche considerando il momento in cui ci troviamo a discutere, vale a dire le 22,40 del 31 luglio, per fornire una spiegazione al motivo per il quale oggi siamo qui.
Consiglierei un po' più di prudenza a tutta la maggioranza in tema di responsabilità istituzionale. Infatti, nella scorsa legislatura e in quella precedente, abbiamo vissuto confronti aspri sui temi di natura economica e finanziaria, ma non è mai accaduto che, in Commissione, si svolgesse un dibattito in un giorno e mezzo su un decreto-legge che contiene elementi complessivi valutabili pari ad una legge finanziaria. Quindi, le battute di Zelig sono quelle che quotidianamente questa maggioranza fa fuori dal Parlamento, non avendo poi i numeri al Senato per poter reggere il confronto; sono le battute che portate in quest'aula perché non avete accettato il dibattito di almeno due settimane che la Casa delle libertà aveva proposto in sede di Conferenza dei capigruppo.
Allora, questa sera, ci troviamo a discutere perché vi è una forzatura in atto da parte della maggioranza per approvare questo decreto in tempi celeri e non perché non vi sono le condizioni per discutere. Anzi, ringrazio tutti i gruppi della Casa delle libertà che hanno voluto manifestare grande responsabilità, restando qui questa sera per discutere con grande civiltà di questi argomenti, al contrario di un certo atteggiamento spocchioso della maggioranza di Governo che appare in ogni occasione.
In ordine alle battute di Zelig, basta prendere la rassegna stampa di oggi: cominciamoPag. 106dall'onorevole Diliberto, che addirittura propone di sciogliere il Senato se per caso non vi fossero i numeri per conto della maggioranza, per arrivare fino al Presidente della Camera, Bertinotti, che invece di essere qui a presiedere, in questa fase così delicata del dibattito, preferisce rassegnare alla stampa una serie di dichiarazioni che riguardano la possibile futura estensione della maggioranza a fette di area moderata dell'opposizione che non si comprende bene da chi dovrebbero essere composte. Una maggioranza che evidentemente non c'è, che è sotto scacco, come dimostra anche questo decreto. Una sinistra estrema molto forte che, anche in questo dibattito, ha dimostrato di avere le idee molto chiare sugli obiettivi riservati proprio ad una parte di questa maggioranza.
Vorrei sottolineare come nel dibattito di oggi gli interventi della maggioranza siano stati di tempistica paritaria a quella assegnata all'opposizione. Quindi siamo qui ad ascoltarvi là dove avete la forza, in teoria, di un Governo riconosciuto a livello istituzionale, ma che non ha i numeri per proseguire nella propria attività se non a colpi di fiducia.
Cari colleghi, non avete chiarito ancora, nonostante le numerose domande poste al Governo - non c'è più il ministro Bersani, ma è presente il sottosegretario Sartor, che saluto per il suo debutto in aula e per la sua presenza che mi auguro sarà importante nei prossimi mesi -, se vi sono le condizioni per migliorare e modificare il decreto-legge. Il ministro Bersani, in Commissione, ha affermato semplicemente che, a suo avviso, il decreto può mantenere l'attuale formulazione; è meglio non modificarlo perché, se dovesse tornare al Senato, forse potrebbe sorgere qualche problema!
Allora, domani o dopodomani, scopriremo se vi sono le condizioni per la vostra maggioranza di approvare tutte le norme contenute in questo decreto e di avere evidentemente lo spazio politico per riuscire a coniugare tutte le esigenze manifestate anche in quest'aula. Quindi, bando alle battute alla Zelig, perché se questo è il tema del confronto non abbiamo problemi.
La nostra proposta era stata: lavoriamo una settimana in Commissione e una settimana in Assemblea. Se il tema è richiamare l'opposizione ad una iniziativa ostruzionistica noi non abbiamo problemi a sottrarci a questo tipo di confronto, ma non è questo il tema oggi alla nostra attenzione.
Noi stiamo lavorando per cercare di portare il nostro contributo nei confronti di un intervento che consideriamo complessivamente negativo per tutti gli elementi che proprio la maggioranza ha inserito all'interno di questo dibattito. Mi richiamo ad uno degli aspetti fondamentali: il ruolo del Governo ed il rapporto con il Parlamento.
Oggi ci troviamo di fronte a tre situazioni che dimostrano quanto sia difficoltoso il percorso nei prossimi mesi. Il primo problema è legato alla mancanza di sensibilità istituzionale. Come dicevo prima, noi oggi ci troviamo ad affrontare questo decreto-legge senza avere discusso gli emendamenti in Commissione, rimandandone la discussione in Assemblea. Non è stato quindi possibile entrare nel merito delle proposte di modifica avanzate anche dal centrodestra.
Il secondo aspetto è legato al modo in cui è stato gestito l'iter di questo decreto-legge. Segnalo questo aspetto al presidente Duilio, che più volte - ed il nostro gruppo, ma penso anche tutta la Casa delle libertà, è d'accordo con lui - ha richiamato l'attenzione sul rispetto del Parlamento.
Abbiamo tutti presente il fatto che questo decreto-legge è stato dichiarato ufficialmente un provvedimento collegato giovedì alle ore 18: da questa ora fino a venerdì alle ore 11 si è avuta la possibilità di presentare emendamenti alla manovra, che dovevano essere preparati secondo logiche stringenti quali quelle previste per la legge finanziaria. Quindi obbligo di copertura e logica di ammissibilità. Cara collega Leddi Maiola, non mi pare che vi sia stata la possibilità di dire che abbiamo affrontato con il dovuto approfondimentoPag. 107gli argomenti contenuti in questo provvedimento! Mi auguro che nelle prossime ore vi sia l'occasione di poterlo fare, perché se questa è la pasta con cui dovremo lavorare nei prossimi mesi come opposizione ci attrezzeremo di conseguenza.
Tra i tanti interventi dei nostri colleghi, tutti estremamente interessanti e molto puntuali nel merito, ho ascoltato quello dell'onorevole Giudice, che ha operato un richiamo molto puntuale all'aspetto legato alla normativa e al Comitato per la legislazione, uno dei tanti aspetti che, tuttavia, nella ritualità importante della democrazia e del confronto tra i due rami del Parlamento emerge con grande forza. Da una parte, un ramo del Parlamento che viaggia a colpi di fiducia, dall'altro, la Camera dei deputati che non viene messa nelle condizioni di affrontare con la dovuta attenzione i provvedimenti che sono al suo esame.
Il primo problema è allora di sensibilità istituzionale. Una sensibilità, signor Presidente, che in qualche modo è mancata anche al ministro Padoa Schioppa; vorrei ricordare in proposito il suo intervento in discussione sul DPEF, quando addirittura si è stupito del fatto che l'opposizione, all'interno della risoluzione, non computasse dei saldi diversi rispetto a quelli proposti dal Governo. Nella storia repubblicana non si è mai vista un'opposizione che proponga, come livello ombra, di modificare i saldi stabiliti dal Governo, per poter articolare una proposta di politica economico-finanziaria alternativa. In ciò sta la debolezza di soggetti che comunque oggi rappresentano il Governo, nonostante si tratti di persone sicuramente autorevoli (mi riferisco anche all'esperienza del professor Sartor, oggi sottosegretario, che proviene da un mondo sicuramente diverso da quello dei rapporti diretti della politica e del confronto parlamentare). Mi auguro che da questo confronto possano sortire effetti positivi per migliorare i testi.
Colleghi, se questo è tutto un confronto fra maggioranza ed opposizione che resta assegnato ad una nottata del 31 luglio, afosa, calda e difficile, credo che faremmo un torto al paese e fareste un torto alla maggioranza moderata del paese che non vede di buon occhio questi interventi.
Voi state sopravvalutando la forza di un Governo che oggi rappresenta il 50 per cento degli italiani, non di più, e che, attraverso questi interventi, va a colpire in misura selettiva una serie di categorie che, evidentemente, per mille motivi non vengono riconosciute organiche, non dico esclusivamente con logiche strumentali, ma perché lo confermate giorno per giorno. Oggi, in un'intervista, Epifani, con grande chiarezza, dà la linea ed avvisa Prodi, dicendo: «Attenzione, se nella legge finanziaria non ci sarà, comunque, il tavolo di concertazione con i quattro sindacati confederali, noi non rispondiamo di quello che accadrà nel paese» Messaggio ai naviganti, messaggio al Governo: esiste un unico tavolo. Si tratta di un passo indietro nettissimo rispetto a quello che era stato il percorso del Governo Berlusconi, che aveva ideato un tavolo ben più ampio.
Come potete assegnare mancanza di rappresentatività a categorie rilevanti, come tutto il mondo delle piccole e medie imprese (Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, l'API industria, cito alcune di queste realtà), e giudicarle non rappresentative? Sostanzialmente, «tirare il grilletto della pistola» di fronte al quadro di politica economica e di tenuta dei conti pubblici - quello che avete anche voi più volte sottolineato - mi pare un atto di grave arroganza, che si realizza nei confronti di un paese che, comunque, ha avuto sempre grande responsabilità.
Se il Governo di centrodestra avesse varato con questo meccanismo un decreto di tale portata, oggi ci troveremo con le piazze occupate, con le barricate nelle strade e in una situazione di grave difficoltà. Non sarà così da parte nostra, perché vogliamo discutere nel merito delle proposte, sapendo che ci potrebbe essere un terreno di confronto, anche se vorremmo capire dove sia quest'ultima, cari colleghi.
Il ministro Bersani ha già avviato una serie di altri interventi, su cui discuteremo.Pag. 108Va affrontato il tema delle liberalizzazioni, che a noi sicuramente sta a cuore e che voi continuate a sventolare in quest'aula come una bandiera. Il tema delle liberalizzazioni sulle tre questioni appena approcciate - che riguardano i farmacisti, tema molto serio, i tassisti e gli avvocati - francamente mi pare molto riduttivo. Infatti, contestiamo che questo tipo di interventi vada nel senso di ciò che più volte avete richiamato, ossia nel senso di un oggettivo vantaggio nei confronti dei consumatori e dei cittadini, il cittadino-consumatore che, ovviamente, non va inteso nel confronto tra le classi, ma piuttosto come utente finale, i cui vantaggi francamente non sono chiari. Quando fu predisposta la prima riforma da parte del ministro Bersani sul tema del commercio, avrebbe dovuto essere avviato un nuovo percorso di liberalizzazione degli esercizi commerciali, avremmo dovuto avere vantaggi assolutamente notevoli anche per la «tasca» del cittadino, cosa che invece non è avvenuta. La grande distribuzione, sostanzialmente, è aumentata: sono «morti» 300 mila piccoli esercizi commerciali; c'è una difficoltà alla sopravvivenza dell'esercizio al dettaglio; ci sono problemi organici che non hanno portato sicuramente ad un passo in avanti per quel che riguarda l'aspetto del costo dei beni e dei servizi. Così come siamo convinti che, se i comuni avranno la possibilità e la forza politica di riuscire a mettere in gara nuove assegnazioni legate alle licenze dei taxi, non automaticamente ci saranno vantaggi per i cittadini, così come sul tema delle libere professioni.
L'onorevole Armani ha svolto una serie di considerazioni simpatiche ma molto profonde per ciò che riguarda l'aspetto contenutistico. Ne riprendo uno tra le tante, ossia il tema, che è stato posto dalla collega Leddi Maiola, concernente il fatto che il mondo sta cambiando. Ce n'eravamo accorti che il mondo sta cambiando, tanto che abbiamo promosso una serie di iniziative nella scorsa legislatura per sostenere i giovani all'accesso alle reti Internet, alla banda larga, alle imprese e ai personal computer!
Vedete, sostenere che oggi si intende mettere il cittadino nelle condizioni di avere un vantaggio, un'opportunità in termini di costi e di efficienza di servizio, costringendolo ad aprire il conto corrente bancario, ad utilizzare i servizi bancari, significa commettere un grave errore o una grave ingenuità.
Alcuni importanti autorevoli docenti in quest'aula (il professor Sartor e cito anche il professor Borghesi), sanno benissimo che la fase legata all'automazione bancaria, che è cominciata negli anni Ottanta, era legata ad alcuni obiettivi che erano molto diversi (mi riferisco anche al tema della moneta elettronica), da quelli che si prefigge questo Governo. Mi riferisco all'intento di rendere comunque fattibile l'utilizzo della moneta in modo molto più veloce, ottenendo efficienze importanti soprattutto relativamente al sistema del credito e, quindi, anche un vantaggio dal punto di vista dei costi. Tutto ciò è avvenuto in misura molto marginale.
Se tutto quello che è rappresentato dalla capacità del sistema bancario di riuscire ad avere informazioni nella materia legata alle transazioni, che sono evidentemente nella sua disponibilità, deve essere poi riversato nei confronti dell'amministrazione centrale, è evidente che non si avrà un miglioramento di questa efficienza.
Risulta assolutamente velleitario pensare di utilizzare le strutture attuali della Guardia di finanza e della Direzione centrale delle entrate per effettuare i controlli di specie nei confronti delle transazioni finanziarie; ciò significa dare una grande opportunità - diciamolo - senza regole o reti di protezione agli istituti di credito che, in questi anni, si sono mossi selvaggiamente in ordine al tema dell'innalzamento dei costi per i servizi e per le prestazioni rese. Di questo non se ne parla, a parte l'accenno al tema della chiusura del conto corrente bancario che si può realizzare con meccanismi di maggiore semplificazione e certezza per quanto riguarda l'aspetto dei costi. Di tutto il resto (bonifici, formule di altre modalità di pagamento, compresa la monetaPag. 109elettronica ed altri strumenti che vanno in tal senso), non vi è traccia.
Allora, se vogliamo abbattere i costi, prima di tutto sarebbe stato interessante intervenire sul percorso legato agli istituti di credito; in particolare, in questi anni proprio il centrosinistra ha osteggiato una riforma voluta dal Governo Berlusconi che riguardava il tema della elezione diretta dei consigli delle fondazioni.
Sappiamo che, in questi anni, non vi è stata concorrenza adeguata all'interno del sistema creditizio, né un ritorno adeguato nei confronti dei risparmiatori. Il sistema è stato messo nelle condizioni di usufruire di rendite e utili molto più forti ed, inoltre, non si prevedono garanzie nei confronti dei consumatori e dei fruitori di questi servizi relativamente ai costi.
Allora, colleghi, non vorrei che in questo provvedimento vi fosse molta demagogia, legata all'esigenza di colpire alcune classi che non sono oggi comprese tra quelle che sono considerate organiche a questa maggioranza.
Nello stesso tempo, vi è la necessità di fare cassa, perché voi parlate di autorevolezza e di numeri, ma, intorno a tale tema, è stata istituita una commissione che noi consideriamo assolutamente politicizzata e che non ha sortito gli effetti che speravate.
All'inizio è stato evidenziato un buco drammatico delle finanze pubbliche e poi, in corso d'opera, vi è stata una revisione che è stata riconosciuta anche all'interno del provvedimento; se è vero che le finanze stanno così male, è altrettanto vero che avreste dovuto concentrare esclusivamente la portata di questo provvedimento sul tema del risparmio e, quindi, più in generale, sul controllo della spesa pubblica.
Ciò non è avvenuto, perché nel provvedimento sono stanziate risorse ingenti per alcune iniziative di carattere politico, più o meno buone che siano. Mi permetto di sottolineare che, a fronte di questo intervento, oggi il viceministro Pinza, che mi pare essere un viceministro di questo Governo, dello stesso dicastero di Sartor, dice: nessuno si faccia illusioni, i conti non migliorano, serve la maximanovra!
Allora, prima c'era il buco dei conti pubblici, poi ci siamo trovati il differenziale dello 0,1 per cento che è stato certificato dalla Corte dei conti e poi ripreso all'interno di questo provvedimento. Successivamente, nel DPEF sono stati evidenziati segnali di ripresa e, quindi, di prospettiva migliorata. Ora torniamo, a distanza di quindici giorni, a sostenere che i conti non migliorano e che è necessaria una maxi-manovra. L'impressione è che, quindi, non vi sono le idee chiare. Come già evidenziato dal mio collega Leo nel suo intervento di oggi, si è parlato di un provvedimento sull'IVA che riguardava una copertura complessiva di entrate previste, di gettito aggiuntivo, di circa di 400 milioni di euro; ci siamo accorti invece che la portata di tale intervento era dell'ordine di circa 30 miliardi di euro. Credo, dunque, che qualche problema vi sia sulle valutazioni dei numeri che oggi sono forniti da questo Governo.
Rilevo, con grave preoccupazione, che voi parlate oggi di crescita, di prodotto interno lordo, di produttività, della necessità di mettere a posto il sistema finanziario italiano, in particolare modo la contabilità pubblica, per restituire dosi di competitività maggiore al paese. Bene, non si riesce a capire, allora, come mai voi affermate all'interno del DPEF che questo decreto-legge determina comunque effetti complessivi rispetto alla riduzione della crescita. Allora, delle due l'una: o si punta ad enfatizzare la crescita - e, quindi, il resto delle chiacchiere che ascoltiamo da voi in quest'aula restano assegnate esclusivamente ai resoconti stenografici, come noi riteniamo - o, evidentemente, si punta non alla crescita, bensì ad un riequilibrio dei conti pubblici che ha il vero obiettivo, come più volte sollecitato dal segretario di Rifondazione Comunista, Giordano, di immaginare un percorso di equità che veda sostanzialmente colpite tutte le categorie che sono state beneficiate, nei cinque anni del Governo di centrodestra, da parte di Berlusconi.
Onorevoli colleghi, credo sia necessario che la maggioranza faccia chiarezza per il buon andamento dei nostri lavori, se siPag. 110vogliono avere, da parte dell'opposizione, contributi volti a migliorare il testo. Lo si dica ufficialmente. Lo si dica, lo si dica in questa sede, visto che non lo si è detto in Commissione. Il Governo non è ancora intervenuto. Si dica nelle prossime ore se vi è disponibilità a modificare questo provvedimento. Siamo pronti a farlo, concretamente, con proposte migliorative che vanno nel senso di rendere più efficiente il sistema complessivo che si va a configurare nei confronti dei nostri cittadini e dei nostri consumatori. Allo stesso tempo, dovete dire con chiarezza quali sono gli obiettivi di natura fiscale e finanziaria. Gli indizi sono ormai molto chiari: si vuole uno Stato che sia sostanzialmente sorvegliante, Grande Fratello di tutte operazioni messe in atto in particolar modo da quegli evasori ed elusori - ciò è emerso nel corso dell'audizione del ministro Padoa Schioppa - rappresentati dal mondo delle piccole e medie imprese, dei liberi professionisti, delle imprese che utilizzano il leasing, perché lo stesso leasing, in effetti, è un'operazione che serve soprattutto per eludere. Bisogna spiegarlo, professor Sartor e professor Borghesi, alle nostre piccole e medie imprese sul territorio. Mi pare giusto. Se, infatti, è vero che si vuole mantenere coerenza per far crescere il sistema, è altrettanto vero che bisogna assumersi le responsabilità delle scelte. Andate a spiegare loro che l'utilizzo del leasing per i fabbricati molto spesso è inquadrabile in una logica di evasione o di elusione fiscale. È evidente che manca una stretta connessione tra le forze produttive reali del paese ed una visione del tutto ideologica ed ideologizzata da parte di una maggioranza che, evidentemente, è in grave difficoltà e presta il fianco a tutti questi problemi che stiamo evidenziando - credo - con grande lucidità.
Un altro elemento che abbiamo voluto rilevare è correlato alla decretazione d'urgenza: non ravvisiamo - ed abbiamo presentato una serie di questioni pregiudiziali di costituzionalità al riguardo - la necessità di intervenire con una decretazione d'urgenza su questi argomenti. Onorevoli colleghi, l'articolo 77, comma 2, della Costituzione autorizza, sì, il Governo a fare ricorso allo strumento del decreto-legge, ma solo in presenza dei requisiti di necessità ed urgenza. Sulla base di diverse valutazioni, principalmente della Corte costituzionale, nonché di interpretazioni autentiche della Costituzione, più volte si è fatto riferimento esclusivamente alla necessità- e non alla mera opportunità politica - quale elemento di qualificazione delle fattispecie regolate e, quindi, in ordine all'immediata applicabilità di tutto il decreto-legge rispetto ai profili da questo disciplinati.
Vorrei ora riprendere le considerazioni svolte dall'onorevole Leo in precedenza. Ci sono alcuni aspetti di questo decreto-legge la cui immediata applicazione ha posto una serie di problemi ai contribuenti, ai cittadini, problemi legati all'interpretazione e al funzionamento delle norme ed alle prospettive ed alle potenzialità di riscossione. Tutti questi problemi, evidentemente, non avrebbero potuto e dovuto essere trattati attraverso la decretazione d'urgenza. Il confronto politico si sarebbe dovuto svolgere a seguito della presentazione di un disegno di legge o di una proposta di iniziativa parlamentare, oppure nell'ambito delle scadenze già previste, ad esempio l'esame del disegno di legge finanziaria o della legge di bilancio.
Riguardo al tema del libere professioni, ricordo che la nostra Costituzione, all'articolo 117, comma 3, ne riconosce la tutela e la salvaguardia in misura specifica. Quindi, la possibilità di intervenire sulle libere professioni è limitata esclusivamente ai principi generali organizzativi e non si estende, certo, al tema delle tariffe minime e massime o ai percorsi di autoregolamentazione che sempre, all'interno di un percorso di civiltà quale è quello italiano, abbiamo valorizzato, in questi anni.
L'elemento fondamentale di differenziazione tra l'attuale maggioranza e la precedente maggioranza di centrodestra è sicuramente costituito dal riconoscimento delle articolazioni territoriali, della nostra storia e della nostra tradizione, all'interno di un percorso di miglioramento complessivo e del mercato globale. Certamente,Pag. 111non è costituito dalla sfida che anche in questo decreto-legge avete inserito e che avete posto come punto cardine del Documento di programmazione economico-finanziaria, cioè la concertazione. La concertazione è quella a cui si riferisce Epifani, quella che si svolge con i quattro principali sindacati e con Confindustria. Infatti, i tavoli di confronto con i rappresentanti delle libere professioni, delle piccole e medie imprese e delle categorie del mondo agricolo evidentemente non fanno parte dell'agenda politica di questo Governo. Non basterà, certo, il passaggio di Prodi che, a Milano, era alla ricerca, forse, di una captatio benevolentiae in un territorio che non ha dato certamente grande consenso all'attuale maggioranza e che ha dimostrato, anche sul tema referendario, di lanciare una importante sfida al Governo. Tale sfida non può essere certo raccolta con questo tipo di interventi che vanno nel senso di una visione dirigistica dell'attività di governo, di una arroganza nei confronti del mondo dell'impresa, del mondo che produce e che, quotidianamente, fa crescere il prodotto interno lordo e di una arroganza nei confronti di territori che sicuramente non sono omogeneizzati alle logiche del blocco politico o - se mi permettete - del voto di scambio; mi riferisco, soprattutto, alla Lombardia e al Veneto, che hanno dato sicuramente segnali di grande discontinuità nei confronti di questo Governo e dell'attuale maggioranza. Non basta un tavolo con i presidenti delle regioni per risolvere questi problemi! Ci vogliono segnali molto più ampi di disponibilità al confronto sui temi veri, su tutti i meccanismi di incentivazione e di alleggerimento dello Stato, che il Governo dovrebbe attuare!
In questo provvedimento è affrontato anche il tema della lotta all'evasione e all'elusione e della ricerca di questi fantomatici sette punti percentuali di PIL. Noi riteniamo che non sia questa la strada corretta da seguire e non perché vogliamo legittimare gli evasori o gli elusori. Certamente, non accettiamo lezioni da chi ha voluto portare avanti, con grande forza, un provvedimento quale quello approvato nei giorni scorsi; non vogliamo impartirne, ma non accettiamo lezioni da chi vuole salvaguardare coloro che compiono reati anche di natura fiscale e finanziaria. Il tema della lotta all'evasione si porta avanti attraverso un percorso di rispetto nei confronti di chi lavora e di chi produce. È necessario creare le condizioni perché ci sia una adesione alla autoliquidazione, perché ci sia una naturale adesione da parte del contribuente, dell'imprenditore e del libero professionista al versamento del dovuto. Questo avviene quando il sistema fiscale, complessivamente, non colpisce in misura ragguardevole alcune categorie a vantaggio di altre.
PRESIDENTE. Onorevole Giorgetti, la invito a concludere.
ALBERTO GIORGETTI. Questo avviene quando c'è un rapporto diverso tra un Governo che vuole impostare una politica del dialogo efficace per migliorare il contesto di crescita della produttività e chi, evidentemente, intende invece muoversi con criteri di duro confronto di classe.
Dunque, concludendo Presidente, tutti questi motivi ci portano ad essere oggi in questa aula, a quest'ora, per ribadire il nostro «no» a questo decreto e per stanare il Governo, rispetto alle contraddizioni di una maggioranza che dimostra tutta la sua debolezza e che riteniamo sarà presto nelle condizioni di non poter più nuocere al paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ravetto. Ne ha facoltà.
LAURA RAVETTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlo nell'aula di un Parlamento che si sente commissariato, a nome di un paese che per metà si sente commissariato, ma parlo perché intendo combattere per il recupero della democrazia parlamentare. Questa battaglia la facciamo noi dell'opposizione, ma è una battaglia che serve anche a voi, per la vostra dignità di maggioranza. Il Governo, conPag. 112questo decreto, intendeva far credere ai cittadini di essere il grande liberalizzatore, pronto ad attuare la formula per il recupero della competitività dello Stato.
Il suo piano è stato presto smascherato. Come è stato detto da altri colleghi, il decreto non attua le vere liberalizzazioni, perché non incide sui trasporti, né sull'energia, né sulla grande distribuzione, né sulle lobby bancarie, ma incide in maniera punitiva solo su quelle categorie sociali che sono tradizionalmente dell'area moderata, come se l'asserita staticità del nostro paese dovesse dipendere dalle licenze dei taxi e non, invece, da una scarsa concorrenzialità del sistema bancario, come peraltro indicato dallo stesso Governatore Draghi. Incredibile: il destino di 57 milioni di abitanti che dipende dalle licenze dei taxi!
Il decreto in esame utilizza le liberalizzazioni, peraltro non sistematiche, a macchia di leopardo, quale foglia di fico per celare il suo vero intento, che è quello dell'istituzione di una politica fiscale continua contro il cittadino. Come ha rilevato il presidente Tremonti, liberalizzazioni per il 5 per cento, vessazioni per il restante 95 per cento! Altro che cittadino consumatore! Il cittadino schedato, vessato, demonizzato, che si presume evasore conclamato; non a caso, più di un collega oggi in quest'aula, ma anche in Senato, ha parlato di uno Stato «Grande Fratello» di cui è esempio la tracciabilità delle operazioni bancarie. A me pare anche rilevante che oltre che «Grande Fratello», questo Stato si riveli curiosamente «bancocentrico» perché di fatto obbliga il cittadino anche al pagamento di commissioni bancarie anche per i minimi pagamenti a professionisti e a medici.
Il Governo Berlusconi aveva concepito un rapporto cittadino-fisco di confronto e, proprio grazie a questo approccio, aveva ottenuto un recupero netto delle entrate fiscali, i cui effetti si sono visti nel primo trimestre 2006. L'attuale Governo definisce la rottura di questo rapporto di fiducia. E non ci venga a dire il ministro Bersani, come ha sostenuto nell'audizione di giovedì scorso, che questo sistema - il favor per gli assegni e per le carte di credito - di fatto è già una costante negli Stati Uniti, perché a me pare abbastanza curioso che ci si ricordi degli Stati Uniti quando si tratta di giustificare un provvedimento altrimenti ingiustificabile, ma non ci si ricorda degli Stati Uniti quando, per esempio, si discute di mercato del lavoro.
Il decreto in esame ha diviso il paese. Ha costretto i cittadini a manifestare sotto i 40 gradi, per mettere in ginocchio altri cittadini. E meno male che Prodi intendeva unificarlo, questo paese!
Il decreto, come è stato detto, è stato emanato senza confronto con le categorie sociali, quando per mesi in campagna elettorale ci eravamo sentiti dire che la concertazione è la chiave magica, in antitesi al cosiddetto berlusconismo. In proposito, mi trovo d'accordo con l'onorevole Giorgetti: sì, probabilmente la concertazione c'è stata, con la prima fila di Confindustria radunata a Vicenza!
Il decreto in esame viola la legge. Dopo che Prodi si è eletto garante del dettato costituzionale e comunitario e dopo che Bersani ci ha detto che intendeva applicare in modo rigoroso il diritto della concorrenza, con il decreto in esame si viola sia il dettato costituzionale, sia il trattato comunitario, sia il diritto antitrust.
Quanto al dettato costituzionale, il decreto si pone in diretto contrasto con l'articolo 2 (diritti inviolabili dell'uomo), con l'articolo 3 (ragionevolezza delle norme), con l'articolo 13 (inviolabilità della libertà personale e necessità di atti motivati per limitarla), con l'articolo 23 (che condiziona a leggi certe e ragionevoli l'imposizione di qualsivoglia prestazione personale) e con l'articolo 42 (libertà di impresa). È emblematica poi, anche dal punto di vista del rispetto del dettato costituzionale, la scelta del decreto-legge per intervenire su diritti tanto inviolabili. Mi si dirà che si è sempre fatto; ebbene, premesso che da un Governo che si è accreditato come paladino del rinnovamento questa obiezione non può certamente essere formulata, credo che il problemaPag. 113non sia tanto e solo l'utilizzo della decretazione d'urgenza quale metodo di normazione; il vero problema è che a questo metodo ricorra un Governo che si basa su una maggioranza risicatissima, su equilibri davvero scricchiolanti, che ha già dimostrato, anche nei giorni recenti, che non è in grado, non ha la forza, non ha la capacità di convertire in legge i decreti che adotta o perlomeno non è in grado di farlo senza intervenire in maniera pesante su tali provvedimenti.
Il decreto in esame è riuscito anche a scatenare le ire del garante della privacy. D'altro canto, come poteva essere altrimenti laddove si impone: la comunicazione all'amministrazione finanziaria della natura dei rapporti con gli intermediari bancari e finanziari; la comunicazione dei dati estrapolati dai bilanci senza contraddittorio con le imprese da parte della camera di commercio; l'invio telematico periodico dell'elenco fornitori e clienti; il collegamento telematico dei registratori di cassa con l'amministrazione finanziaria; la possibilità di agire con quella modalità che gli americani chiamano fishing expedition da parte della Guardia di finanza e dell'amministrazione finanziaria, che potranno chiedere a terzi questionari e quesiti, senza informativa al destinatario, a colui verso i quali queste informazioni sono rivolte. Di fatto si crea il cittadino poliziotto per sé e per gli altri. Che dire poi dell'obbligo di comunicare i rimborsi assicurativi, che sappiamo bene non essere qualificabili come reddito, e non soltanto il quantum dei rimborsi, ma anche il titolo, che talvolta è una patologia, l'indicazione di una malattia; quindi obbligo di comunicazione non solo di un atto personale, ma di un dato sensibile.
Quanto alle violazioni del diritto comunitario e del diritto della concorrenza, vi è un esempio per tutti: l'articolo 8, che vieta la stipula di clausole di esclusiva nei contratti assicurativi e impone la comunicazione da parte dell'agente delle commissioni percepite da tutte le compagnie per cui agisce. Premesso che credo si sia fatta una sorta di confusione tra la fattispecie del contratto di agenzia e la fattispecie del contratto di distribuzione, atteso che non comprendo come si possa imporre all'agente un obbligo di non facere - e nella specie un obbligo di non praticare prezzi minimi - , quando si sa che nel contratto di agenzia l'agente non è parte contrattuale, perché il contratto verrà pur sempre stipulato tra la compagnia ed il cittadino assicurato. Ciò posto, la cosa sconcertante è che nel testo del decreto si motiva il divieto di esclusiva dicendo che è applicazione del diritto comunitario.
Che cosa ha fatto in realtà il Governo? Ha preso una segnalazione dell'autorità garante della concorrenza di qualche tempo fa e ha cercato di trasporla nell'articolo 8, ma nel farlo ha commesso due clamorosi errori.
Il primo: esso ha dichiarato nulle di per sé le esclusive, quando il diritto comunitario le indica come fattispecie assolutamente neutre, la cui eventuale anticoncorrenzialità è rimandata a una valutazione, caso per caso, effettuata dall'autorità garante per la concorrenza. Infatti, i regolamenti citati nel decreto per motivare questo divieto, segnatamente il regolamento generale del '99 ed il regolamento comunitario sugli autoveicoli, non vietano l'esclusiva, in modo assoluto; essi anzi indicano come illecita l'esclusiva nei contratti stipulati da compagnie che non abbiano quote di mercato superiore al 30 per cento e, per i contratti in ambito di quote superiori al 30 per cento, dice che l'esclusiva è lecita, alternativa al multimarca, ed eventualmente l'analisi di anticoncorrenzialità verrà demandata caso per caso all'autorità.
Secondariamente, sempre in questo articolo, il Governo mostra di avere svolto superficialmente le proprie ricerche.
Se aveste letto con attenzione quella segnalazione dell'autorità, essa concludeva dicendo: attenzione, qualunque intervento nel settore dei contratti assicurativi RC auto deve essere correlato a un concertato e profondo dibattito per l'assetto dei rapporti tra compagnie e agenti. Ma, nell'articolo 8, di questo ci si è completamente dimenticati. Si è creata una norma, unica in tutta Europa, che, di fatto, si traduce inPag. 114un'espropriazione della rete commerciale per le compagnie. Quindi, con un solo articolo, si è riusciti ad esautorare l'Autorità garante delle proprie prerogative di analisi e si è riusciti, oltre che ad incidere in maniera negativa ed ingiustificata su una categoria, a violare anche il diritto comunitario e, precisamente, il regolamento 1/2003, laddove si indica che gli Stati membri non possono ritenere illecite operazioni considerate neutre dal diritto comunitario.
Qual è stato il risultato di questo articolo? Anche l'Autorità per la concorrenza, così come l'Autorità per la privacy, è intervenuta dicendo al Governo che ciò non si può fare, perché la clausola è in violazione del diritto e ha chiesto la soppressione dall'articolo 8 del comma rilevante. Però, in sede di modifica, si è deciso di disattendere anche questo parere, forse pensando di superare l'obiezione secondo la quale, vietando l'esclusiva, gli agenti, di fatto, sarebbero andati a spingere soltanto le polizze che assicurano maggiori commissioni, e si è deciso di introdurre un ulteriore comma, quello che obbliga l'agente a comunicare le provvigioni percepite dalle compagnie.
Cosa si è fatto? Si è disatteso il parere dell'Autorità garante e si è introdotto un comma che, a mio avviso, crea un'ulteriore violazione, precisamente, una violazione del diritto della concorrenza. Infatti, signor ministro, non crede che in un settore che si ritiene prono alla collusione, di fatto, con questo articolo la concorrenza sia stata accentuata, in quanto ha prodotto, di fatto, la trasparenza di voci di costo tra compagnie assicurative?
Ho posto il quesito al ministro in sede di Commissione ed egli mi ha risposto che la giustificazione di questo articolo e di questo intervento risiede nel fatto che in Italia i contratti RC auto sono obbligatori e qualcosa si doveva fare. Però, mi sento di rispondergli che, in uno Stato di diritto, il diritto va comunque seguito.
Il decreto in esame non attua riforme strutturali, ma solo operazioni di piccolo cabotaggio. Anche qui, un esempio per tutti è costituito dal capitolo farmaci. Anche in questo caso, si è scelta la strada del massimo impatto mediatico e non quella della modifica strutturale del settore. Si è affrontato il tema della distribuzione dei farmaci, senza curarsi del vero problema, che è a monte, ossia la mancanza nel nostro paese di un'industria italiana farmaceutica forte, atteso che i pochi operatori che esistono spesso non hanno le forze per confrontarsi con gli operatori mondiali e si limitano ad operare quali licenziatari o copromoter di medicinali di industrie straniere.
La spesa sanitaria, quella che il Governo vuole abbattere con la legge finanziaria, non passa per i supermercati e, anche in questo caso, mi si potrà replicare che è un piccolo passo ed è meglio dell'inazione. Eppure, io temo che, specie nel settore sanitario, l'assenza di radicali modifiche strutturali non porterà ad un reale miglioramento di allocazione delle risorse. A me pare che, con questo provvedimento, quello che ieri guadagnavano i farmacisti oggi lo guadagneranno le coop e la grande distribuzione. Ricordo, infatti, che le imprese di grande distribuzione non sono degli enti di beneficenza e, quindi, senza che ci sia una garanzia di reale trasferimento di ricchezza ai consumatori, credo che neppure l'apertura dell'ultimo anello della catena distributiva potrà risolvere il problema della spesa sanitaria.
In realtà, questo tema va affrontato partendo da una modifica strutturale degli enti ospedalieri, a sostegno alla ricerca, senza la quale non si potranno rendere competitive le nostre medicine, non si potrà far crescere la nostra azienda farmaceutica e non si potranno attirare capitali esteri. Del resto, come si può pensare, a questo punto, di attirare i capitali stranieri quando con questo decreto si è scombinata ogni tax planning di qualunque società, introducendo, salvo poi ritirarla, ovviamente, perché contraria ad ogni legge e all'opportunità economica, una disciplina di tassazione retroattiva sugli immobili? È chiaro che, con tale intervento, abbiamo perso credibilità anche nei confronti delle imprese straniere.Pag. 115
Pertanto, in conclusione, a fronte di tali considerazioni, nonché di quelle precedentemente espresse dai colleghi, preannunzio il secco «no» del gruppo di Forza Italia alla conversione in legge del decreto-legge in esame, a meno che esso non venga emendato in maniera incisiva, come da noi richiesto (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Misiani. Ne ha facoltà.
ANTONIO MISIANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge in esame non è una mera manovra di aggiustamento dei conti pubblici (come le numerose che abbiamo visto in passato), ma rappresenta un insieme di interventi strutturali che hanno le potenzialità di cambiare, in profondità, ambiti di grande rilievo del nostro sistema economico e sociale.
Tutela del cittadino-consumatore, contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica, rifinanziamento dell'ANAS, delle Ferrovie dello Stato e del Fondo nazionale per le politiche sociali: i settori coinvolti sono numerosi e diversificati. Le innovazioni più significative, tuttavia, riguardano, senza alcun dubbio, la liberalizzazione di una serie di mercati di beni e di servizi, ed è su tale aspetto che intendo concentrare questo breve contributo alla discussione.
Ricordo che l'economia italiana è, da anni, sostanzialmente ferma. Il prodotto interno lordo, infatti, ha registrato negli ultimi cinque anni - anche se qualche collega se ne è dimenticato - una crescita prossima allo zero. Inoltre, l'Italia, secondo le classifiche stilate dagli organismi internazionali, è al quarantasettesimo posto nella classifica della competitività: noi, dopo le trentaquattro riforme vantate dai colleghi del centrodestra, siamo meno competitivi di Cile, Thailandia e Tunisia!
Non è certo un'invenzione di questo Governo che una delle maggiori cause di tale stagnazione sia la regolazione inefficiente di numerosi mercati del nostro sistema economico. Ce lo hanno ricordato a più riprese, infatti, la Commissione europea, l'OCSE ed il Fondo monetario nazionale; ce lo ha ricordato, ancora pochi giorni fa, anche il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
All'economia italiana, allora, serve una robusta iniezione di concorrenza. Il tema della concorrenzialità dei mercati, tuttavia, non è solamente una questione di efficienza economica e non riguarda esclusivamente gli economisti, ma costituisce anche un problema di giustizia sociale: infatti, le barriere e le protezioni immotivate ed ingiustificate comportano numerose conseguenze negative.
Una di queste (forse la più grave) è che esse peggiorano la distribuzione del reddito e delle opportunità. Le rendite corporative garantiscono sicuramente il benessere delle categorie che ne beneficiano oltremisura, ma ciò avviene a danno di tutte le altre, a cominciare da milioni di consumatori e di utenti. È per questo motivo, allora, che il tema delle liberalizzazioni deve essere prioritario nell'agenda di una coalizione riformista. Si tratta, in altri termini, di un tema che deve essere in cima agli obiettivi perseguiti dalla sinistra riformista. L'obiettivo di una maggiore eguaglianza delle opportunità, infatti, passa anche attraverso mercati liberi da vincoli corporativi, nonché capaci di valorizzare pienamente il merito e le capacità di ciascuno.
Il decreto-legge in esame, allora, rappresenta un primo importante passo in avanti sotto tale profilo. Ciò perché per la prima volta, in questo paese, un Governo pone al centro della propria azione il cittadino nella sua veste di utente e di consumatore.
Si tratta sicuramente di un intervento parziale, ma esso va letto nel contesto di un disegno più ampio. Ricordo, infatti, che il Governo ha presentato non solo il presente decreto-legge, ma anche altre iniziative in tal senso, come il disegno di legge delega sui servizi pubblici locali, quello sulla class action e quello in materia diPag. 116energia. Esiste, dunque, un disegno ampio ed organico di riforma e di liberalizzazione dei mercati.
Nell'ambito di tale disegno riformatore, vorrei osservare che il decreto-legge in esame interviene con incisività, così come riconosciuto anche dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato (basti leggere il resoconto dell'audizione svolta dal presidente Catricalà presso la Commissione bilancio del Senato), su problemi aperti da tempo, come i servizi professionali, la distribuzione commerciale, la vendita dei farmaci da banco, i taxi, i conti correnti, le assicurazioni RC auto e quant'altro è stato citato più volte nel corso del dibattito odierno.
Nel complesso, dunque, ci troviamo di fronte ad una svolta di grande importanza per l'Italia. Tale svolta ha suscitato un consenso largo e trasversale del paese: basti analizzare i sondaggi di opinione pubblicati da alcune riviste, i quali indicano che il 68 per cento degli italiani (dunque, due terzi) è favorevole alle riforme recate dal cosiddetto decreto Bersani-Visco.
Certo, vi sono state anche critiche e proteste, che meritano più di una riflessione politica: ne faccio due.
La prima. L'opposizione delle categorie direttamente interessate da questo provvedimento è sicuramente legittima, per certi versi anche comprensibile se ci poniamo dal loro punto di vista; però, assai meno comprensibili e giustificabili sono i toni e le modalità che la protesta ha assunto a più riprese. Sergio Romano, sul Corriere della sera di oggi, ci ha spiegato bene come la vera natura del «particulare» italiano, di cui parlava Guicciardini, è l'interesse di gruppi organizzati in cui l'individuo è anzitutto socio, collega, sodale, fratello e compare. Ora, i caratteri del confronto, ma in qualche caso bisognerebbe chiamarlo scontro, che si è prodotto su questo provvedimento hanno evidenziato, una volta di più, il peso abnorme nel dibattito politico italiano di una serie di gruppi organizzati e il limite delle posizioni che questi ultimi hanno espresso, che è stato finalizzato, purtroppo, il più delle volte, ad una velleitaria conservazione dell'esistente più che a governare un cambiamento che, come dimostra l'esperienza di tanti paesi europei, è per molti versi inevitabile. Ognuno di noi, almeno da questa parte dell'emiciclo, si è potuto rendere conto con un po' di amarezza di quanta strada debba fare questo paese per ricostruire un senso comune del primato dell'interesse generale. In questo paese, troppo spesso in passato, questo primato è stato sacrificato sull'altare della difesa delle rendite e dei privilegi di questa o di quella corporazione, impedendo così all'Italia di avvicinarsi ai paesi europei più avanzati di noi.
La seconda riflessione. L'opposizione ha sottolineato spesso, in questa sede, le divisioni della maggioranza di centrosinistra, ma sulle liberalizzazioni è il centrodestra ad essere andato in ordine sparso. Da una parte, noi abbiamo ascoltato, anche questa sera, le critiche dei «benealtristi», dei liberisti della domenica, che ci hanno spiegato che le liberalizzazioni di questo Governo sono finte, che colpiscono categorie secondarie (qualcuno addirittura le ha definite deboli, credo con scarso senso del pudore) e ci hanno detto anche che queste liberalizzazioni non incidono sui veri e propri monopoli. Ci hanno chiarito, insomma, che in questo paese ci vuole ben altro. Peccato che questi stessi liberisti, quando erano al Governo, hanno fatto veramente di tutto, tranne che coraggiose liberalizzazioni di cui l'Italia aveva bisogno.
Dall'altra parte, abbiamo visto all'opera la destra corporativa, in prima fila in tutte le manifestazioni, pronta a cavalcare i tassisti, i farmacisti, non dimenticandosi naturalmente, di volta in volta, degli avvocati o dei panettieri. Ora, questa è la stessa destra che, nel febbraio 2006, scriveva nei suoi documenti programmatici che le rendite ingiustificate di corporazioni e lobby impediscono la pari opportunità nella competizione, la valorizzazione dei capaci e meritevoli e, quindi, la libertà. È stretta in queste due posizioni, una parte, e lo dico con rammarico, minoritaria del centrodestra; una parte che ha criticatoPag. 117questo provvedimento, e lo ho fatto anche severamente, ma ha saputo anche riconoscere con onestà intellettuale i lati positivi di questo decreto-legge, invitando il Governo ad andare avanti con più coraggio sulla strada delle liberalizzazioni.
In altri Parlamenti europei, nei confronti di queste riforme, si sarebbe registrato un consenso trasversale. La parte moderata e liberaldemocratica del Parlamento sarebbe stata in prima fila nel sostenere interventi di liberalizzazione. In Italia, la storia è andata diversamente. E questa anomalia, a mio parere, deve fare riflettere tutti, ma soprattutto chi oggi siede nei banchi dell'opposizione.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, all'Italia serve una scossa; lo abbiamo detto più volte anche nel dibattito sul Documento di programmazione economico-finanziaria. L'Italia ha bisogno di una scossa che liberi le energie positive del nostro paese, che è un grande paese ma che appare oggi intorpidito, immobile, invischiato in un'inestricabile ragnatela di interessi corporativi. Agli italiani serve una scossa e serve un segnale forte che dimostri che l'etica pubblica, l'interesse generale, il primato dell'interesse collettivo sugli interessi particolari, sono tornati una priorità nell'agenda politica del nostro paese.
Il decreto Bersani-Visco è sicuramente perfettibile, e come tutti gli interventi e i provvedimenti di tale complessità e articolazione, avrà bisogno di «manutenzione», come è stato sottolineato dallo stesso ministro Bersani, ma ha un grande pregio: muove l'Italia nella direzione giusta, ha le potenzialità per renderla un paese più aperto, più dinamico, più rispettoso dei consumatori e degli utenti, e quindi un paese più giusto, maggiormente capace di garantire pari opportunità per tutti: una scelta di valore che sempre dovrebbe essere difesa da questo Parlamento.
È questo il motivo - ed ho concluso - più importante, a mio parere, che deve portarci a sostenere con grande convinzione la conversione in legge di questo decreto (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e dell'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Frassinetti. Ne ha facoltà.
PAOLA FRASSINETTI. Presidente, onorevoli colleghi, anch'io, nell'introdurre alcune riflessioni sul decreto Bersani, non posso non rilevare talune eccezioni di tipo formale, alcune delle quali non possono non riguardare la sostanza e il merito del provvedimento all'esame.
Se ci fermiamo a riflettere sul requisito dell'urgenza, che in questo caso manca, ai sensi dell'articolo 77 della Costituzione - è lapalissiano -, basta essere guidati dal buon senso per vedere, capire che gli interventi sulla libertà dei servizi e sulle libertà di scelta dei consumatori dovrebbero essere interventi di tipo strutturale e non occasionali e congiunturali.
Vorrei fare a tale proposito un esempio: come facciamo ad invocare l'urgenza nell'abolizione delle tariffe minime dei professionisti, che toccano un tema che da tempo è al centro del dibattito pubblico, tema di estrema complessità, tale da dover rifuggire, di conseguenza, dalle decisioni urgenti? Non vale nemmeno sostenere che l'urgenza sia motivata dalla necessità di adeguarsi al diritto comunitario, in quanto anche in questo campo le direttive europee vanno proprio nella direzione contraria a quella imposta dal decreto Bersani. Possiamo riscontrarlo nella sentenza costituzionale n. 405 del 2005, oppure nella direttiva europea n. 35 del 2005 e nell'ultimissima direttiva Bolkstein del 16 giugno 2006: rilievi apparentemente formali, ma non se innestati in un contesto costituzionale.
Inoltre, a mio avviso, non è stato rispettato neppure l'articolo 15 della legge n. 400 del 1988, laddove si stabilisce che i decreti-legge devono contenere misure di immediata applicazione e che il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo. Non si può certo parlare di omogeneità - penso che nessuno possa contestare questo fatto -, in quanto in questo provvedimento appaiono affiancate misure concernenti oggetti disparati, che incidono in settori diversissimi e disomogenei tra loro.Pag. 118
Questo non è sufficiente: alle critiche di tipo formale non si può non affiancare un accenno ad un grande difetto, già riscontrato dai colleghi della minoranza che mi hanno preceduto, e quindi politicamente gravissimo, che è la mancanza di qualsiasi dialogo o concertazione preventiva con le parti interessate.
Prima sentivo parlare di corporativismo - termine che sembra essere tornato di moda -, ma non tanto per quelle categorie che, giustamente, difendono i loro diritti e la loro professione, quanto nella demagogica demonizzazione proveniente dalla sinistra, quasi che voler difendere e tutelare il proprio lavoro e i propri interessi sia condannabile e criticabile.
Emerge con chiarezza una verità di tipo politico, e cioé che la riforma al nostro esame vuole colpire alcune categorie con intenti punitivi, e questo è grave! Quando un Governo inizia il proprio cammino cercando di colpire e di individuare categorie da punire, sicuramente non inizia con il piede giusto.
Inoltre, ci si trincera dietro la presunta tutela del consumatore - questa nuova entità! - come se gli avvocati, i farmacisti, i tassisti, i panificatori non fossero essi stessi dei consumatori; essi diventano soggetti artificiali, quasi avulsi dal contesto sociale.
Ma, forse, questo serve soltanto a difendere le grandi concentrazioni economiche, da Confindustria a Confcooperative? Queste sono le grandi lobby da tutelare? La domanda sorge spontanea, leggendo e scorrendo questo decreto-legge. Nasce spontanea perché, analizzando, anche nel particolare, alcune norme riguardanti questo provvedimento, si può verificare che mai il consumatore ne trae beneficio. Lo possiamo riscontrare, ad esempio, nella riforma della classe forense (non penserete certo che abolendo i minimi tariffari si possano ridurre i costi della difesa!), oppure con riferimento a quel patto di quota lite che è una delle prime norme che viene insegnata ad uno studente di giurisprudenza, per sostenere l'esame di deontologia professionale: è severamente vietato il patto di quota lite, dicevano i nostri vecchi professori. Perché? Perché, logicamente, non si può affidare il cliente a professionisti che, spesso e volentieri, offrono i propri servizi a condizioni vessatorie nei confronti del cittadino, lucrando su percentuali delle somme che spetterebbero al proprio cliente. Questa sarebbe la tutela del consumatore?
E, ancora, la pubblicità commerciale. Essa dovrebbe consentire al cittadino, al consumatore, una miglior conoscenza della differenza tra i singoli professionisti, oppure non sarà che un mezzo per aiutare ed agevolare gli studi più ricchi che scaricheranno sicuramente il costo sempre sul consumatore.
Sembrano solo degli esempi, ma sono le modalità concrete da dove si può evincere che nemmeno il consumatore sarà sicuramente beneficiato da questo decreto. Ma c'è di più.
Si parla di agevolazioni, di aiuto ai giovani professionisti. Ma come possiamo pensare che un giovane professionista possa essere agevolato da un decreto che sicuramente andrà ad incrementare i grandi studi legali, che assumeranno una posizione dominante e potranno giovarsi di braccianti intellettuali a poco prezzo? Questo sarebbe l'aiuto e l'inserimento dei giovani nel mondo della professione|m, C'è di più.
Un articolo sconcertante, per gli effetti devastanti che produrrà, è l'articolo 21, una norma che riesce a colpire contemporaneamente il cittadino disagiato ed il giovane professionista. Tale articolo prevede l'esclusione del ricorso all'anticipazione delle spese di giustizia da parte delle Poste. Risultato: tra i vari effetti, genererà il blocco dei pagamenti dell'attività difensiva e, quindi, di quel diritto anche del cittadino non abbiente di poter avere un'attività difensiva, un gratuito patrocinio con una difesa tecnica di livello.
Ma, d'altronde, il filo conduttore di tutto il decreto penalizza la qualità e i servizi di qualità, dalle linee più generali a quelle più specifiche nascoste nelle pieghe di un articolo, come l'articolo 21. Quindi, non sarà più possibile l'anticipazione delle spese per il gratuito patrocinio.Pag. 119Non potranno più essere pagati i consulenti tecnici, questi soggetti che, nel processo, sono fondamentali, perché vanno ad aiutare il giudice a definire anche i procedimenti più complicati.
Vediamo che, anche da un punto di vista tecnico, il consumatore, alla fine, è una scusa abbastanza banale per nascondere il vero intento di questa riforma, una riforma che ha fatto scendere in piazza le categorie solitamente più moderate, e non, come ho detto all'inizio del mio intervento, per un malinteso corporativismo, ma per difendere la libertà di poter continuare a svolgere il proprio lavoro senza essere sottoposti alle angherie di un potere statale che sembra voler controllare in modo ossessivo tutti e tutto.
Ecco perché Alleanza Nazionale e la Casa delle libertà sono contro questa riforma, una riforma che considera i lavoratori non dipendenti alla stregua di potenziali evasori fiscali e che tratta e concerta soltanto con i sindacati ed i grandi gruppi industriali. Siamo contro una riforma avviata senza alcun tipo di consenso e che ha voluto mettere mano a sistemi complessi con superficialità e improvvisazione.
Concludendo queste brevi riflessioni, penso che tutte abbiano un fondamento proprio nella necessità di fare in modo che il provvedimento sia modificato, che non sia approvato, perché ciò costituirebbe un grave danno non soltanto per i due milioni di professionisti che in questi giorni hanno manifestato in tutti i modi il loro dissenso, ma per tutto il paese.
Se, poi, il provvedimento dovesse essere approvato con una modalità ormai abituale in questo periodo in quest'aula - facendo ricorso al voto di fiducia -, questo assumerebbe veramente le caratteristiche di un blitz. Un tale esito dimostrerebbe, ancora una volta, che questo Governo ricorre alla fiducia per svuotare il Parlamento delle funzioni legislative ad esso attribuite dalla Costituzione e per nascondere - credo che nessuno mi possa contraddire - una grande debolezza (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Il seguito della discussione sulle linee generali è rinviato alla seduta di domani.
(Annunzio di questioni pregiudiziali - A.C. 1475)
PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le questioni pregiudiziali Maroni n. 1, Lo Presti ed altri n. 2, Elio Vito ed altri n. 3, Antonio Pepe ed altri n. 4, Contento e La Russa n. 5, D'Alia ed altri n. 6 e Moffa ed altri n. 7 (Vedi l'allegato A - A.C. 1475 sezione 1), che saranno discusse e votate in altra seduta.