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Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1475)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rotondo. Ne ha facoltà.
ANTONIO ROTONDO. Signor Presidente, sono particolarmente lieto di poter intervenire in sede di discussione sulle linee generali di questo disegno di legge di conversione che, a mio avviso, segnerà l'inizio di un processo che porterà al rilancio economico del nostro paese. Il decreto-legge che siamo chiamati a discutere è il primo passo di una manovra complessa che, delineata dal Documento di programmazione economico-finanziaria, troverà compiuta attuazione soltanto con l'approvazione della legge finanziaria. Esso si suddivide in due parti. La prima parte, il titolo I, prevede misure di liberalizzazione dell'economia; la seconda parte, il titolo II, contiene la manovra bis di aggiustamento dei conti pubblici e le misure di lotta all'evasione e di rilancio economico e sociale. Nell'armamentario di politica economica del Governo, la politica della concorrenza ha un ruolo decisivo. Attraverso le liberalizzazioni e la lotta alle tante rendite di posizione che ostacolano il corretto funzionamento dei mercati, il Governo si prefigge di raggiungere tre obiettivi fondamentali: il primo, sicuramente, è quello di difendere il potere d'acquisto dei consumatori; il secondo è quello di accrescere la competitività delle imprese; il terzo è quello di creare nuove opportunità di lavoro. È noto che il costo dei servizi rappresenta per l'economia nazionale un pesante fardello. In uno studio dell'antitrust si ricorda che i servizi incidono mediamente sui costi delle imprese per ilPag. 86 per cento e che, in alcuni settori, raggiungono addirittura il 9 per cento. Dai dati ISTAT si rileva che dal 2001 i prezzi dei servizi sono sempre aumentati più della media dell'inflazione e non sono mai scesi sotto il 3 per cento. Nello stesso periodo, i prezzi dei prodotti industriali non hanno mai superato, invece, il 2 per cento. Il differente andamento dei prezzi dei servizi e di quelli dei prodotti industriali viene spiegato dagli esperti con le diverse caratteristiche dei due mercati: il mercato dei servizi è molto meno esposto alla concorrenza di quello dei manufatti industriali. Più concorrenza vera, più liberalizzazioni, mercati con minori barriere all'ingresso, comportano di conseguenza prezzi più bassi, che a loro volta si traducono in minori costi per le imprese ed in maggiore potere d'acquisto per i cittadini, in una parola in maggiore sviluppo. Infatti, un'economia cresce tanto più quanto maggiore è la competitività per le imprese e quanto più è elevata la capacità di spesa dei consumatori.
Ma se tutto ciò non è una novità, meno pacifico e scontato è che la politica della concorrenza è vantaggiosa anche per le categorie che inizialmente pagano pegno. L'ampliamento dei mercati che ne deriva finisce, infatti, per beneficiare tutti, anche quelli che, per effetto della liberalizzazione, hanno dovuto rinunciare - in tutto o in parte - alla posizione di rendita che prima detenevano. A questo riguardo, mi sembra utile riflettere sui casi che nelle ultime settimane hanno maggiormente richiamato l'attenzione dei giornali. Mi riferisco al caso dei tassisti, a quello dei farmacisti ed a quello degli avvocati.
Per aumentare il numero dei taxi in circolazione la nuova versione dell'articolo 6 del provvedimento approvato dal Senato si fonda essenzialmente su tre punti di attacco: la possibilità per ogni taxi di fare più turni nell'arco della giornata, naturalmente con autisti diversi, la periodica concessione di nuove licenze ed il ricorso a licenze temporanee correlate a determinati eventi. Applicata già a Roma, sulla base di un accordo tra il sindaco Veltroni ed i tassisti, la nuova disciplina porterà ad un aumento del numero dei taxi in circolazione nella capitale di ben 2500 auto al giorno, e poiché il titolare della licenza non potrà fare più di otto ore giornaliere per coprire i turni cui la sua auto è tenuta, dovrà avvalersi dell'opera di un dipendente o di un familiare, il che comporta, da un lato, maggiore occupazione e, dall'altro, probabili benefici aggiuntivi per il titolare della licenza. A fine anno, poi, sempre a Roma, saranno concesse 459 licenze, con riflessi positivi sul reddito di altrettante famiglie.
L'esempio di Roma, che sembra destinato fare scuola per molte altre città, dimostra, ammesso che ve ne fosse bisogno, che la nuova versione dell'articolo 6, scaturita dall'intesa tra il ministro Bersani con la categoria, è tutt'altro che una resa. Se, in prima approssimazione, l'obiettivo era quello di far circolare più taxi per migliorare il servizio e cominciare a calmierare le tariffe, l'obiettivo è stato centrato in pieno.
Non molto diverso è il caso dei farmacisti. Non è casuale che mentre la Federfarma proclamava, tra lo scetticismo dei suoi stessi aderenti, la serrata a tempo indeterminato, un gruppo di giovani farmacisti dipendenti organizzasse un presidio a Palazzo Chigi, con tanto di striscione, in cui si leggeva: «Avanti col decreto Bersani. Basta con i privilegi». E non è casuale, signor Presidente, che analoga posizione prendessero i circa 1500 farmacisti titolari di erboristerie, anch'essi in prevalenza giovani.
Questi episodi dimostrano che la liberalizzazione del mercato, alla fine, porta più vantaggi che svantaggi anche a quanti in quel mercato operano, come del resto hanno potuto sperimentare gli stessi titolari delle farmacie tradizionali, aderenti alla Federfarma, a seguito dell'accordo tra il ministro Turco e la loro associazione. Tale accordo riconosce alle farmacie, come compensazione alla rinunzia del monopolio della vendita dei prodotti da banco, il ruolo di presidi sanitari territoriali, un'attività sicuramente più consona alle loro funzioni.Pag. 9
Non vi è stato ancora, invece, alcun accordo per gli avvocati, che hanno comunque deciso di rinviare a settembre la loro protesta. Ma anche nel caso degli avvocati si delinea un diverso approccio alla professione, che ha precisi connotati generazionali. Domenica 23 luglio è stata pubblicata sul Corriere della Sera un'articolata lettera dell'avvocato Maria Gualdini, vicepresidente dei giovani legali dell'ANPA. L'ANPA è l'unica associazione forense non presieduta da un avvocato di Cassazione. In tale lettera, che per i suoi contenuti meriterebbe di essere letta per intero, i giovani avvocati dell'ANPA si schierano in favore del decreto Bersani, per tre buone ragioni. La prima, perché l'abolizione delle tariffe minime favorisce i giovani. È inevitabile - argomenta l'avvocato Gualdini - che, finché vige l'attuale regime, i clienti, a parità di costo, finiscono per rivolgersi all'avvocato più affermato. La seconda, perché l'abolizione del divieto di commisurare il compenso al risultato della causa consente ai clienti meno abbienti di rivolgersi a studi legali qualificati, invece di essere costretti a ricorrere all'istituto del gratuito patrocinio, una pratica che, tra l'altro, pesa non poco sulle casse dello Stato. La terza, perché il divieto di abolizione di operare sotto forma di società di persone o di associazione professionale consente di costituire anche in Italia studi interprofessionali, in grado di servire meglio e a minor costo i clienti e di competere efficacemente con gli studi internazionali europei e d'oltre manica.
Prese di posizione come queste ci fanno scoprire che, accanto all'Italia degli ordini e delle corporazioni, c'è anche un'altra Italia che guarda con ben altro approccio al futuro e alle sfide che esso comporta e che ci chiede di andare avanti sulla strada delle liberalizzazioni con il gradualismo e il pragmatismo che la materia comporta, ma anche con la necessaria fermezza circa la direzione di marcia, così come abbiamo cominciato a fare con il decreto Bersani.
Prima di concludere, vorrei svolgere qualche sommaria considerazione su quella parte del titolo II relativa alle infrastrutture. L'articolo 17 prevede il rifinanziamento delle Ferrovie e dell'ANAS. Alle Ferrovie vengono assegnati per l'anno in corso 1 miliardo e 800 milioni di euro in più, allo scopo di consentire la prosecuzione dei lavori dell'alta velocità e dell'alta capacità, che per ora procedono, come sappiamo tutti, a ritmo di lumaca, perché fra l'altro la finanziaria 2006 vi ha destinato solo 85 milioni di euro di contributi l'anno per 15 anni.
All'ANAS viene assegnato a sua volta 1 miliardo di euro, per assicurare fino alla fine dell'anno la continuità del lavoro nei cantieri già aperti. Come i colleghi sanno, l'ANAS aveva avviato le procedure per chiudere i cantieri perché da luglio non era più in grado di pagare alle società di appalto le fatture di stato di avanzamento lavori. Tutto questo non è avvenuto per caso, ma è la conseguenza di una serie di scelte adottate a tavolino dal precedente Governo, che, avendo perduto il controllo della spesa pubblica, era ricorso, tra gli altri espedienti, anche a quello di limitare la copertura delle spese dell'ANAS solo al fabbisogno dei primi 5-6 mesi, in pratica fino alla fine della campagna elettorale.
Il pasticcio delle Ferrovie e dell'ANAS non ha tuttavia impedito che il deficit pubblico comunque debordasse per circa 1,2 miliardi di euro rispetto al tetto concordato con l'Unione europea. Queste falle vengono ora sanate dal presente decreto senza ricorrere, come in passato, ad interventi una tantum o ad esperimenti di finanza creativa, bensì con tagli effettivi alla spesa pubblica e soprattutto scommettendo sulla lotta all'evasione e all'elusione fiscale: una pratica culturalmente estranea al precedente Governo.
La manovra prevista vale 4,5 miliardi di euro su base semestrale: una somma che consente di destinare da subito ben 3,3 miliardi di euro allo sviluppo, di cui 3 miliardi saranno utilizzati appunto per le infrastrutture. Si tratta di una scelta quanto mai opportuna e da rafforzare in sede di finanziaria, se si tiene conto del ruolo centrale che le infrastrutture hanno per far uscire definitivamente l'economiaPag. 10del paese da una stagnazione che dura, purtroppo, da troppo tempo (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Agrò. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, ministro Bersani, onorevoli colleghi, manovrina, DPEF, finanziaria: è questo il trittico, che in qualche modo comincia oggi, dopo avere evidenziato con il DPEF la strada entro la quale il Governo intende perseguire logiche definite di risanamento. Tuttavia la manovrina non è quella che in qualche modo aveva eccitato gli animi all'inizio, perché i 7 miliardi di euro - forse sono qualcosa di più - che si dice vengono in qualche modo risparmiati con questo decreto, o meglio prelevati con questo decreto, non erano stati assolutamente messi in evidenza inizialmente. Il tema più vero, che aveva oscurato assolutamente la seconda parte del provvedimento, era rappresentato dai primi 13 articoli, quelli sulle liberalizzazioni o comunque sull'avvio di un processo di liberalizzazione. Ho ascoltato con molto interesse il dibattito che si è svolto ieri e che ha avuto toni assolutamente alti, sul piano culturale e della ricerca di un approfondimento.
Voglio subito sgomberare il campo da due illazioni che sono state fatte dagli amici dell'opposizione e che sono state interpretate come qualcosa di negativo.
Innanzi tutto, noi non siamo a favore degli evasori fiscali. Quando sento che questo provvedimento tende a colpire l'evasione fiscale, vorrei ricordare che per tutta la precedente legislatura dai banchi dell'UDC il tema è stato sottoposto all'attenzione del Parlamento con particolare violenza. Mi permetto di usare questo termine perché mai e poi mai abbiamo pensato che fosse tollerabile in questo paese che una parte forte del sistema produttivo italiano potesse concorrere a creare ricchezza a danno della parte nobile, quella che vi concorre e fa concorrenza in maniera assolutamente lecita. Quanto alla possibilità che vi sia un grande aumento degli introiti dello Stato in materia di tasse, proprio in questi giorni (è da un paio di mesi che si cominciano a vedere i risultati), constatiamo che non è vero che il Governo precedente avesse favorito l'evasione e l'elusione fiscale. Non credo nemmeno sia stato per paura, soltanto perché il Governo di centrodestra ha deciso o comunque ha fatto una proposta, che all'improvviso si sia deciso di tenere un comportamento nobile. Credo che i processi siano più lunghi, siano più radicati nelle coscienze e anche negli atti amministrativi e normativi del precedente Governo.
Non è attraverso una formula di «Grande fratello» che si riuscirà a cambiare la cultura nel nostro paese in questo campo; c'è effettivamente la necessità di individuare un contrasto di interessi in questo settore, per fare in modo che chi evade non sia più autorizzato a farlo, ma abbia anche l'interesse a non farlo. In questo caso credo che sarebbe stato più necessario e produttivo se il Governo avesse pensato di più e avesse elaborato qualcosa di più alto sul piano della proposta normativa.
Mi soffermo però con particolare attenzione sui primi 13 articoli del nostro provvedimento e sgombro il campo da certe illazioni.
Ho sentito da più parti, soprattutto dall'opposizione, che il problema è stato quello della mancata concertazione. Di questa parola non abbiamo mai fatto un mito: non l'abbiamo mai idealizzata al punto tale da porla come la condizione sine qua non per interventi di riforma strutturale del nostro sistema paese. Era un problema che riguardava la maggioranza che guida questo Governo, però il dato che più ci sconforta è che un luogo dove la concertazione può avvenire in maniera da modulare la rappresentanza dei corpi intermedi e della società esiste ed è il Parlamento. Analizzando il percorso seguito dal decreto, con la fiducia al Senato, è apparsa l'evidente indisponibilità - anche durante la discussione - da parte del Governo di guardare ai nostri emendamenti con attenzione, cercando di valutare
Pag. 11attraverso il dialogo e non ricorrendo alla decretazione d'urgenza le proposte che servono più che mai al paese per cambiare.
Quindi, non c'è soltanto il mancato tema della concertazione fra le parti sociali. Questo non è un nostro tabù, un nostro principio assoluto, ma riguarda - lo ripeto - il Governo. C'è stata, invece, la carenza di concertazione proprio qui dentro, che è sede di mediazione, dove tutte le rappresentanze hanno dignità di presenza.
Signor ministro Bersani, io credo che, sul tema della concorrenza, questo paese abbia delle valutazioni personali interessanti, che riguardano soprattutto le opinioni dei cittadini. La concorrenza è ritenuta una virtù dai cittadini italiani, in quanto determina libertà ed efficienza, favorisce le esportazioni e migliora i prodotti ed i servizi. È un tema che riguarda la destra e la sinistra e che non appartiene a fasce di cittadini, per cui si potrebbe dire che la liberalizzazione è importante nel centrodestra, mentre il ritiro a luogo privato delle oligarchie e dei monopoli è un principio che riguarda il centrosinistra. No: gli italiani ritengono che la concorrenza sia un bene e una virtù. Lo dicono anche concretamente, perché, quando attribuiscono un significato positivo al privato, lo fanno perché il privato si contrappone al pubblico come capacità di evitare sprechi e di aumentare la qualità e l'efficienza dei servizi.
È vero: noi non partiamo dall'anno zero per quanto riguarda i temi delle liberalizzazioni o, meglio, delle privatizzazioni. Alcuni settori importanti della vita pubblica del nostro paese sono stati privatizzati. Mi riferisco all'energia - lei ne sa qualcosa -, al commercio, alle autostrade e, soprattutto, al comparto del traffico del trasporto aereo.
Eppure, gli italiani, nonostante questi aspetti, uniti, per esempio, a quelli della telefonia, abbiano fatto effettivamente un radicale salto di qualità in un campo che prima era caratterizzato da monopoli pubblici, non hanno avvertito questa trasformazione come un elemento che li abbia favoriti. Anche se ci sono stati dei vantaggi per l'utenza, in modo particolare, per esempio, nel traffico aereo, essi non sono percepiti come un fattore di qualità, o, meglio, un fattore reale dai cittadini italiani. Essi ritengono che la qualità del servizio sia rimasta tale e quale e che, in qualche modo, i prezzi siano invece aumentati.
Quindi, vi sono due aspetti contraddittori: da una parte, la vocazione a dire che le liberalizzazioni e la concorrenza sono una virtù; dall'altra parte, i settori in cui tali fenomeni sono avvenuti vengono percepiti dagli italiani come un elemento di assoluta normalità o, peggio ancora, che ci porta indietro. Da una indagine statistica risulta che alcuni settori importanti, come l'energia, le poste ed altri, vengono dichiarati dagli italiani migliori qualche tempo fa rispetto ad oggi sul piano della qualità dei servizi e per quanto riguarda i costi.
Il problema, allora, è che il provvedimento che stiamo esaminando non ci dispiace sul piano della linea culturale. Noi non siamo contrari alle liberalizzazioni. Assolutamente. Esse attengono alla sfera della virtù.
Il problema di fondo è come le introduciamo, come fare in modo che esse entrino nella cultura del paese, favorendo un pieno apporto dell'intero paese nel rompere schemi e strutture vecchie e dequalificate, dove alcune logiche privatistiche del singolo hanno ragione dell'interesse e del bene comune, che le privatizzazioni e le liberalizzazioni dovrebbero tutelare.
Signor ministro, abbiamo apprezzato il suo sforzo, vale a dire la sua voglia di dare, in qualche modo, una «scossa» al paese. Non ci è parso, tuttavia, che il contenuto dei primi 13 articoli del provvedimento in esame sia stato esclusivamente il frutto di un'elaborazione o di un dibattito politico svolti anche all'interno del Governo.
Abbiamo la sensazione, infatti, che alcune parti del decreto-legge siano state, per così dire eterodirette. In altri termini, ci sembra che tali disposizioni normative siano state introdotte sia perché lo volevaPag. 12la Comunità europea (attraverso la giusta richiesta di applicare alcune direttive comunitarie in tali materie), sia perché l'Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva segnalato che, in tali ambiti, il Governo aveva diversi e più ampi spazi di manovra.
L'esecutivo, tuttavia, ha scelto di intervenire solamente in alcuni settori. Si tratta di interventi lodevoli, ma vorrei rilevare che sono riferiti soltanto a tali campi d'azione.
Voglio pertanto segnalarle, signor ministro, che, dopo tutte le attese suscitate (dal momento che si affermava che era stato compiuto un vero salto di qualità), leggendo attentamente il provvedimento in esame ci siamo accorti che si è trattato, in definitiva, di un restyling realizzato mettendo insieme segnalazioni provenienti da altri soggetti.
Ricordo che alcuni amici e colleghi, rivolgendosi al centrodestra, hanno domandato perché non lo abbiamo fatto noi. In altri termini, dal momento che abbiamo accusato il Governo di aver fatto poco, hanno chiesto perché quel poco non lo abbiamo realizzato noi. Si tratta di un'obiezione giusta, tuttavia vorrei segnalare al ministro Bersani un paio di questioni.
Per quanto riguarda il risarcimento diretto dei danni nell'ambito delle RC auto, infatti, ricordo che anche il precedente Governo aveva operato in tal senso, e sappiamo perfettamente che il relativo provvedimento non è stato attuato per carenze di natura regolamentare; vorrei altresì segnalare che le stesse misure concernenti il passaggio di proprietà degli autoveicoli (che ho visto enfatizzato dai giornali) erano state contemplate dal precedente esecutivo. Pertanto, non è giusto sostenere che il centrodestra non intendeva interessarsi a tali problemi, oppure che essi fossero ritenuti marginali rispetto alla sua cultura di appartenenza.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, a questo punto vorremmo svolgere delle considerazioni su alcuni aspetti del provvedimento al nostro esame. A tale riguardo, vorrei tornare ad affrontare il tema delle RC auto, che forse rappresenta il vero nucleo della proposta di infrangere posizioni monopolistiche ed oligopolistiche consolidate.
Ricordo che, già nella scorsa legislatura, il Parlamento aveva mosso rilievi considerevoli in ordine all'intera impalcatura del sistema assicurativo. Vorrei evidenziare che quando il Governo in carica tenta di liberalizzare il settore, rendendo gli agenti assicurativi plurimandatari, mi sembra sussista l'opportunità di compiere un passo ulteriore. Nella passata legislatura, infatti, ci eravamo accorti che anche tale misura non era sufficiente per realizzare compiutamente la liberalizzazione in campo assicurativo.
In particolare, vorrei osservare, se mi è consentito, come in Italia, nel settore ove vogliamo avviare processi di liberalizzazione, vi siano cinque o sei grandi oligopoli; in Germania, al contrario, sono circa 800 i soggetti che vengono messi in condizione di competere tra loro, offrendo ai cittadini, quindi, il prezzo più interessante per le tasche degli stessi. In Italia, invece, il problema è rompere uno schema che, in qualche modo, ha suddiviso per aree geografiche la presenza dei grandi oligopoli assicurativi.
Dirò di più, il dato che rileva non è se l'agente assicurativo diviene un agente plurimandatario, ma è un altro: quando cioè il ministro afferma che in Italia, dove le tariffe assicurative sono più alte, si registra anche la fedeltà più lunga alla compagnia assicurativa. Ebbene, ciò avviene perché l'opzione, la proposta è ormai standardizzata su uno schema di pochi e non di molti che concorrono. Pertanto, il problema è quello di ampliare la fetta dell'offerta anche perché, nell'attività dell'agente plurimandatario, che cercherà sempre di rimanere legato all'agenzia assicurativa che gli dà più possibilità di remunerazione per sé stesso e non certo per l'utente, troveremo sempre un tipico aggiustamento all'italiana. Il problema, lo ripeto, è quindi quello di ampliare il più possibile la piattaforma e la trasparenza dell'offerta. In questo paese manca la trasparenza dell'offerta assicurativa. Il cittadinoPag. 13si trova, infatti, nella condizione di non poter scegliere con cognizione di causa, di non comprendere fino in fondo qual è l'offerta più vantaggiosa. Ed è proprio lì che si doveva intervenire con più efficienza ed efficacia.
Qualcuno potrebbe anche dire: ma che cosa volete! Questo è un primo provvedimento, abbiamo appena iniziato, riprenderemo la strada e faremo ben altri tipi di privatizzazioni e liberalizzazioni! Ricordo che anche noi, nella passata legislatura, avevamo questo tipo di concezione. Signor ministro, non spetta a me darle un consiglio perché conosco perfettamente l'alta qualità professionale e anche politica che lei qui rappresenta, so però, per convinzione ma anche per struttura mentale di chi ha partecipato ad altri consessi legislativi, che il primo anno è quello che caratterizza fino in fondo le scelte radicali di un esecutivo. E quando ciò non avviene nel corso del primo anno, è facile che tutto si annacqui. Noi, per quanto ci riguarda, l'avremmo spinta a fare un po' di più rispetto a quello che è stato fatto con questo provvedimento; in particolare, a scegliere in maniera più radicale, con un confronto magari più serrato, attraverso anche una proposta di legge parlamentare, di trasformare questo paese in campi così delicati.
Molti colleghi hanno fatto riferimento ad altri settori che da questo provvedimento non sono stati assolutamente toccati; settori, forse, più delicati, utili a cambiare la struttura liberista del paese. Sono quei settori che ci portano, ad esempio, a dire con grande amarezza che, mentre al centro si liberalizzava, in periferia si «irizzava»; quei settori che rappresentano rendite di posizione straordinarie e attengono anche a sistemi di potere diffuso e che mettono insieme una povertà di offerta politica di periferia, se non proprio un sottogoverno che amplia i centri di spesa, anche della finanza pubblica italiana. Lì non abbiamo toccato niente, sebbene proprio lì questi aspetti di «irizzazione», realizzati in termini monopolistici locali, rischiano di divenire, purtroppo, un peso straordinariamente pesante per le tasche dei cittadini italiani.
In questo contesto, desidero fare riferimento oltre ai servizi pubblici come energia, acqua, rifiuti, gas e quant'altro, anche al sistema dei trasporti, che in questo paese non funziona assolutamente. Lì occorreva, signor ministro, più coraggio; lì avremmo avuto più facilità a seguirla e avremmo avuto più entusiasmo a suggerire, noi stessi, una concertazione utile e giusta per dare spazio vitale al tema paese.
Vi è poi il concetto drammatico della scuola. Infatti, in questo paese il dramma è culturale. Quando la selezione dei migliori, o meglio, dei più che hanno le qualità non è fatta nella scuola, chiaramente si incoraggia un tipo di cultura che blocca alcuni sistemi protetti: sono stati asini a scuola e lo sono anche nella società.
Signor ministro, amici del Governo, colleghi parlamentari, non c'è pregiudizialmente una posizione «contro». Probabilmente ci ha messo in difficoltà la logica del percorso. Vi è stata anche un'ambientazione eterodiretta che non ci ha dato la speranza di una vera trasformazione.
So che, molte volte, difendendo alcuni settori, vi è la corsa al raggiungimento di un consenso, ma questo paese non si salva correndo dietro al consenso di una società che, invece, va trasformata. Ne siamo pienamente convinti e sotto questo aspetto facciamo un'opposizione costruttiva. Siamo pronti a scommettere su questo paese, anche attraverso posizioni intelligenti che il Governo ci sottopone. Ma il dato che abbiamo è poca cosa rispetto ad una proposta più ampia, realisticamente più forte, da sottoporre alla nostra attenzione.
L'onorevole Lulli ha affermato che questo provvedimento era urgente perché i conti erano nello stato che conosciamo. Vi era, dunque, la necessità della manovrina. Ma se volevate fare un intervento di ordine fiscale, perché non avete «spacchettato» il provvedimento? Perché non avete fatto in modo che andasse per la sua strada? L'avremmo contestato nei modi, anche nel profondo significato che ci veniva proposto,Pag. 14ma sarebbe comunque passato attraverso la logica dell'urgenza. Con riferimento ai primi 13 articoli, perché porre questa parte come una foglia di fico per la parte restante, quando poteva diventare il luogo di un grande dibattito che coinvolgesse anche il paese, nella percezione di un cambiamento culturale, di un nuovo indirizzo che il Parlamento offriva al paese, di una nuova dimensione di proposta politica in questo campo? Non l'avete fatto, purtroppo, e questo è stato il vostro più grande limite (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Elpidio. Ne ha facoltà.
DANTE D'ELPIDIO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, ieri ho ascoltato i vari interventi che si sono succeduti (69 iscritti in discussione sulle linee generali, con oltre il 60 per cento degli interventi provenienti dalle file dell'opposizione). È giusto che questi interventi si svolgano, così com'è giusto che l'opposizione faccia il suo lavoro. Ma noi dobbiamo ristabilire la verità o almeno la nostra verità.
Alcuni interventi sono stati puntuali, di stimolo, e possono indurre alla riflessione. Tanti altri interventi, invece - lo dico con assoluta sincerità -, li abbiamo ascoltati, ma non li abbiamo capiti.
Allora, nel ristabilire la verità, mi sembra che sia da rilevare un aspetto importante, un primo importante risultato che questo provvedimento ha ottenuto. Mi compiaccio con il ministro perché il decreto-legge in esame ha prodotto, intanto, il risultato di aprire una riflessione e di far capire all'opposizione, che prima era maggioranza, ciò che, nella precedente legislatura, essa non aveva capito: oggi si è ribadito che è importante liberalizzare, che è importante ridare slancio all'economia, che è importante tutelare le categorie e le professioni. Lo si è capito e, ciò nonostante, si è detto: non si fa come proponete voi!
Quando, ascoltando gli interventi di alcuni colleghi, li ho sentiti sottolineare che avevano studiato attentamente il provvedimento, mi sono rasserenato: se l'hanno studiato attentamente - ho pensato - potranno contribuire fattivamente alla discussione. Invece, mi sono accorto che gli interventi dei colleghi erano, spesso, soltanto demagogici: la loro analisi era tesa a porre in risalto, in realtà, aspetti e considerazioni di parte.
Mi spiace che gli interventi della maggioranza siano limitati. Comunque, abbiamo il dovere di ricordare ai cittadini di cosa stiamo parlando. Quando ci preoccupiamo della tutela del cittadino consumatore, dobbiamo ricordare che il tassista è un cittadino non soltanto quando guida la sua vettura, ma anche in tutte le altre occasioni (quando si reca in farmacia, quando ristruttura la sua casa, quando si reca da un professionista per adempiere ai doveri di natura fiscale): il cittadino tassista è cittadino sempre. Noi abbiamo pensato al tassista cittadino, appunto, quando abbiamo messo ordine in un servizio che, a nostro avviso, andava potenziato. Abbiamo tenuto conto dei cittadini che abbiamo visto fare la fila, in difficoltà nel trovare un mezzo pubblico, in difficoltà per la carenza di mezzi. Il provvedimento in esame, che recepisce, intanto, l'accordo raggiunto con la categoria e fa scomparire il cumulo delle licenze, ci convince anche perché vengono previsti concorsi straordinari per il rilascio di nuove licenze e vengono introdotte turnazioni giornaliere integrative, con assunzione di sostituti alla guida o collaboratori. Si prevede anche la possibilità di titoli autorizzativi temporanei, nonché l'utilizzo di veicoli sostitutivi e aggiuntivi (cosiddetto doppio veicolo), per svolgere servizi diretti a particolari categorie di utenti, e tariffe predeterminate per percorsi stabiliti. I fruitori di questi servizi sono i cittadini, ai quali abbiamo prestato la nostra attenzione.
Cosa dire della disposizione che riguarda la vendita dei farmaci? Noi abbiamo pensato ai tanti consumatori, ai tanti cittadini che si recano ad acquistarePag. 15in farmacia i prodotti di cui hanno bisogno, ma anche a tanti giovani farmacisti i quali, spesso, sono mortificati nel ruolo di semplici addetti all'impacchettamento dei medicinali da servire al cliente, senza alcuna possibilità di intraprendere un'attività per svolgere la quale si sono impegnati, si sono preparati, hanno studiato, si sono formati.
Quanto ai panifici, nell'intervento di un collega dell'opposizione abbiamo potuto ascoltare una «infornata» di inesattezze. Se ai panifici viene concessa la possibilità, presentando una semplice dichiarazione al comune, di ampliare l'attività e di vendere il pane o la pizza anche di notte, mi sembra che questa sia una facilitazione, un'agevolazione.
Siamo intervenuti anche nel settore bancario. Mi sembra che quello di non dover più pagare penalità e spese per la chiusura del conto corrente sia un vantaggio: il cittadino lo apprezzerà sicuramente. Per i professionisti, e in particolar modo per gli avvocati, i compensi espressi in forma scritta rappresentano una tutela sia per il professionista sia per il cliente, e non mi sembra che in questo si possa riscontrare alcuna vessazione. Per quanto riguarda le famose parcelle ed il loro pagamento (100 o 500 o 1.000 euro) siamo stati chiari: abbiamo fornito un percorso ed un'indicazione che porterà, in un triennio, ad un completamento di questa azione, passando dai 1.000 euro del primo anno di attuazione ai 500 euro e poi ai 100 euro. Tali cifre rappresentano i pagamenti per i corrispettivi che dovranno essere effettuati mediante l'utilizzo di carte di credito o di bonifici.
Sui cantieri, inoltre, abbiamo pensato fosse necessario porre la nostra attenzione, in quanto molto spesso gli imprenditori si lamentano poiché sono costretti a competere in gare d'appalto impossibili, atteso che il ricorso al lavoro nero da parte di alcune imprese non in regola consente loro di determinare offerte che non si possono eguagliare. Anche in questo caso, abbiamo pensato ad opportuni provvedimenti, tutelando l'impresa ma, soprattutto, il lavoratore impiegato in un cantiere, per far sì che lo stesso non incorra più nella spiacevole sorpresa, recandosi all'INPS a chiedere un estratto conto contributivo dopo qualche anno per conoscere i versamenti a suo titolo, di non trovare nulla, a danno dell'eventuale trattamento pensionistico.
Anche per ciò che riguarda l'IVA sugli immobili cambia il regime: è stata eliminata la retroattività e dunque alla compravendita di immobili adibiti ad uso non abitativo si applicherà l'imposta ipotecaria e catastale del 4 per cento, che scende al 2 per cento per i fondi immobiliari, nonchè un'imposta di registro pari a 168 euro.
Vado per sommi capi al fine di velocizzare, tuttavia desidero che i cittadini sappiano che queste che ho elencato sono le linee guida del provvedimento. Per i dirigenti pubblici è stato previsto un taglio del 10 per cento della spesa. Allo stesso modo, per le commissioni, quelle attive non saranno più a tempo indeterminato: si è stabilito che qualsiasi tipo di commissione che si debba occupare di uno specifico problema potrà operare per un periodo non superiore a tre anni; e tra le 665 censite (tra Commissioni e comitati) ne abbiamo individuato almeno una settantina che appaiono non essenziali. Ci siamo occupati inoltre dello sport e dei calciatori. Abbiamo vinto i campionati del mondo, ma dobbiamo essere campioni anche in correttezza: per i professionisti che operano in questo settore e che registrano guadagni importanti, non mi sembra una vessazione chiedere di depositare all'Agenzia delle entrate il contratto che andranno a sottoscrivere con la società calcistica.
Per quanto riguarda l'IVA sugli appalti - altro importante tassello -, si conferisce la responsabilità all'appaltatore di versare l'IVA e i contributi che precedentemente erano invece responsabilità del subappaltatore. In tal modo, numerosi problemi relativi a finanziamenti impropri dei subappaltatori verranno evitati e, al riguardo, ci sembra che questo provvedimento possa essere un passo per regolamentare tale difficile comparto.Pag. 16
Ancora, con riferimento all'obbligo della trasmissione dell'elenco dei clienti e dei fornitori: il ministro in audizione ci ha spiegato che non si tratta dell'elenco di una volta, che si compilava a mano e si presentava senza essere magari sottoposto ad alcuna forma di controllo. A questo proposito, tranquillizziamo gli operatori che, durante la precedente legislatura, si erano impegnati a sottolineare quanto fosse importante il processo di innovazione tecnologica e telematica, poichè nel momento in cui l'elenco dell'impresa è redatto correttamente in formato elettronico, esso esiste ed è nella memoria del computer, dunque basta semplicemente «cliccare» - come si dice oggi - il tasto dell'invio per trasmetterlo all'amministrazione finanziaria.
Anche in questo settore voglio fare un riferimento specifico: sentivo ieri l'intervento di autorevoli personaggi che hanno anche particolare competenza specifica in materia fiscale, i quali paventavano la possibilità che il commerciante, costretto ad inviare il totale dei corrispettivi entro la quindicina del mese successivo all'Agenzia, avrebbe potuto effettuare qualche sorta di manipolazione.
Qual è la differenza con la situazione odierna? Qual è la differenza per un imprenditore, che voglia essere disonesto, fra non annotare giornalmente i corrispettivi, o non trasmetterli dopo 15 giorni? È la stessa cosa. Se l'indole è quella, se la propensione è alla evasione, egli sarà disonesto oggi e lo sarà pure domani, dovendo inviare telematicamente gli incassi.
Per molti altri esercizi però questo obbligo (mi riferisco alle attività con una superficie superiore a 250 metri quadrati), è giornaliero, ed è assolto con una tecnologia, con un sistema del quale già molte attività sono dotate.
L'IVA sull'edilizia, dal prossimo 1o ottobre e per tre mesi, scenderà dal 20 al 10 per cento.
Per quanto riguarda invece i medici che prestano la loro attività nelle ASL, saranno a rischio commissariamento quei manager delle ASL che non permettono ai medici di svolgere attività professionale all'interno delle strutture ospedaliere pubbliche. Anche qui abbiamo dato del tempo alle strutture pubbliche per adeguarsi ed assolvere a questo preciso compito.
Ecco che allora, il decreto-legge di cui oggi discutiamo, l'«operazione cittadino-consumatore», come l'ha definita il suo artefice, il ministro Bersani, costituisce parte integrante della più ampia strategia che il Governo ha enunciato nel DPEF, una manovra che per la prima volta, evitando la retorica dei proclami relativi alle politiche dei primi cento giorni di Governo, condisce i piatti sempre indigesti della correzione dei conti con i saporiti ingredienti di una ventata liberalizzatrice.
Si parla di una «manovrina» per descrivere in realtà una ben più incisiva e programmata manovra, che si farà in seguito, anche per non gravare di colpo sulle già ristrette disponibilità finanziarie degli italiani.
The Economist, voce del liberismo anglosassone, ha definito intrigante il fatto che in Italia i comunisti siano per le liberalizzazioni. Ma noi Popolari-Udeur, che propriamente comunisti non siamo, rivendichiamo il nostro ruolo e siamo perfettamente concordi sulla opportunità del provvedimento, in quanto esso deve segnare il vero inizio del cambio di marcia che questa maggioranza vuole imprimere sin da subito al paese. Un cambio di marcia all'insegna del coraggio e della volontà di mettere in campo riforme importanti e necessarie al rilancio economico e strutturale del paese, riportando finalmente equità sociale in una Italia che ha visto in questi ultimi cinque anni aumentare il divario tra poveri e ricchi, tra aree territoriali forti e deboli come mai era accaduto negli ultimi vent'anni.
Un cambio di marcia che viene proposto nel momento più adatto, e cioè ad inizio legislatura, per poter tracciare la strada ad un'opera riformista da sviluppare nel tempo, allo scopo di liberare, con il minor sacrificio possibile per i cittadini consumatori, una riserva di risorse pubbliche e private da utilizzare per dare concreta attuazione alla politica economica che il Governo ha tracciato nelPag. 17DPEF. Un sistema di liberalizzazioni concorrenziali e di mercati aperti, nei quali le imprese competono in modo leale, costituisce il modo migliore per assicurare innovazione, crescita e mercati più ampi. Al contempo, esso rappresenta la strada vincente per rimuovere gli ostacoli e le incrostazioni che da troppi anni hanno affossato lo sviluppo commerciale.
Siamo convinti che l'impegno a favore della concorrenza e della trasparenza dei mercati migliorerà la qualità dei servizi e darà impulso ai consumi interni. Ma le vere battaglie politiche si fanno attorno alle idee costruttive, alle proposte innovative che possano raggruppare un ampio consenso. Ampio consenso che non può prescindere da un'attenta valutazione e ponderazione di tutti gli interessi in gioco.
È la mediazione il principio da seguire, se si vuole trovare una soluzione capace di soddisfare gli interessi generali dei cittadini e quelli delle categorie professionali coinvolte, come insegnano le vertenze appena concluse dai farmacisti e dai tassisti. A tal proposito, i Popolari-Udeur salutano con favore le aperture del ministro Bersani, che ha parlato di manutenzione in corso d'opera del decreto-legge per apportare gli ultimi aggiustamenti. In tal senso, siamo ben disposti a svolgere un'ulteriore riflessione sulle disposizioni riguardanti il trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici.
Tuttavia, onorevoli colleghi, merito indubbio del disegno di legge in esame è quello di aver finalmente riportato l'attenzione sul cittadino, il cittadino consumatore che in questi ultimi cinque anni ha visto diminuire progressivamente la sua capacità di acquisto, che è arrivata a livelli preoccupanti e che ha visto anche diminuire la possibilità di vivere un'esistenza libera e dignitosa, che la Costituzione gli garantisce.
Colui che sarebbe dovuto essere il dominus del sistema è risultato spesso essere il soggetto dominato da regole del gioco poco trasparenti e, soprattutto, poco garantiste, oltre che da una concorrenza più teorica che reale. La battaglia per le liberalizzazioni che abbiamo avviato passa attraverso l'affrancamento del mercato dei beni, dei servizi, delle professioni, da un sistema di mille vincoli che impediscono alle imprese di crescere, dal superamento dello scarso senso civico che - complice la politica dei condoni della scorsa legislatura - ha indotto tanti, ma soprattutto i più furbi e i più abbienti, ad evadere il fisco. Questa battaglia è stata posta al centro dell'azione dell'esecutivo non solo per la tutela dei singoli, ma anche in una prospettiva macroeconomica. Nell'assicurare, infatti, ai cittadini queste garanzie, Governo e maggioranza si propongono di migliorare la qualità generale dei servizi di pubblica utilità e di dare impulso ai consumi interni ormai in crisi da anni.
Finito lo show, finita la politica dei sensazionali annunci ad effetto, dopo cinque anni di Governo Berlusconi, visti i risultati propagandati e mai realizzati, l'attuale maggioranza vuole cambiare metodi e strategie politiche con una netta inversione di tendenza.
All'Italia dei furbetti, all'Italia in declino, noi vogliamo ridare quella speranza di cambiamento che i cittadini ci hanno chiesto nelle ultime elezioni. Il nostro impegno non si esaurisce nel volere più concorrenza e mercato, ma si rivolge soprattutto alla trasparenza delle regole che in questi mercati deve regnare sovrana. Il cittadino rappresenta il vero patrimonio della società, ma nonostante ciò è come se, in un ipotetico mercato finanziario, il titolo del consumatore in questi ultimi anni avesse raggiunto la sua quotazione minima, pur essendo egli il cuore dell'intero sistema.
Tutto ciò deve essere compreso nella prospettiva vitale e fondamentale di risanamento dei conti pubblici. Sono tanti coloro che dichiarano a parole di voler lavorare per migliorare non solo i conti pubblici, ma l'intero sistema economico dell'azienda Italia. Peccato che, però, siano altrettanto numerosi coloro che si propongono il raggiungimento di tali obiettivi, che è meglio realizzare sulle spalle degli altri, cercando di salvaguardare gli interessi della propria parte.Pag. 18
Cari colleghi, provengo dal mondo del volontariato dove mi hanno insegnato che, per aiutare gli altri, bisogna donare parte del proprio prezioso tempo gratuitamente, senza ritorni e senza interessi. Con lo stesso spirito noi Popolari-Udeur siamo convinti che il rilancio economico e sociale sia possibile con il contributo di tutti, nessuno escluso, e con la logica del «chi più ha, più deve dare». Solo così facendo, potremo continuare a parlare concretamente di equità e solidarietà, certi che i nostri comportamenti, che dovrebbero essere esemplari per il popolo italiano, potranno produrre i loro benefici effetti.
In conclusione, noi Popolari-Udeur riteniamo si tratti di un provvedimento serio e meditato, caratterizzato da misure strutturali che dispiegheranno i loro effetti ancora meglio negli anni futuri. Tutto ciò non ci appaga definitivamente e non ci consente di attenuare il nostro impegno. Vogliamo, infatti, continuare a lavorare per apportare ulteriori modifiche, migliorie e correzioni, ma senza tuttavia stravolgere gli obiettivi di fondo.
Del resto, il paese - quello che conta, quello della maggioranza dei cittadini, i quali non fanno parte di lobby, di corporazioni, di categorie che hanno il solo scopo di difendere interessi di parte ed esclusivi - ha già espresso il proprio apprezzamento per le disposizioni proposte.
Tutto ciò ci basta, e costituisce motivo di rinnovato impegno per noi Popolari-Udeur e per tutte le altre forze politiche che hanno veramente a cuore le sorti del nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Crisci. Ne ha facoltà.
NICOLA CRISCI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi, il Presidente Ciampi, in occasione di una visita alla regione Marche, ebbe a dire che, in un mondo che corre, fermarsi significa rimanere indietro e, invitando gli italiani ad essere lungimiranti e responsabili, affermò che, per meglio affrontare i problemi del paese, occorrevano interventi strutturali sui mercati finanziari e sui regolamenti del commercio, dei servizi e delle professioni.
Le riflessioni, le raccomandazioni, le preoccupazioni del Presidente trovarono il generale consenso ma, già in occasione dell'approvazione della legge per la tutela del risparmio e per la disciplina dei mercati finanziari, la risposta del Parlamento risultò deludente, di corto respiro, troppo attenta a non toccare gli interessi del sistema bancario opaco, ricco, potente, ingiustamente protetto e irrispettoso delle ragioni dei risparmiatori e degli operatori economici più deboli.
A me pare, colleghi, che il provvedimento in discussione raccolga lo spirito delle parole di Ciampi e costituisca un primo significativo intervento di politica economica del Governo, coerente con il contenuto del DPEF e in grado di promuovere alcune opportune liberalizzazioni. Queste ultime colpiscono - tra l'altro, in misura sicuramente sopportabile - ingiuste e non più accettabili rendite di posizione e, nel contempo, avviano una fase nuova, che sa dare maggiore tutela ai cittadini consumatori, libera il mercato dai vincoli e dalle gabbie di potenti corporazioni e cerca di rendere la nostra economia un po' meno asfittica, più dinamica, in grado di invertire una situazione difficile, da troppi anni caratterizzata da bassa crescita, scarsa competitività, deficit eccessivo, debito pubblico elevato, instabilità economica, crisi di fiducia, ingiustizia fiscale e disagio sociale.
Se questa è la preoccupante condizione dell'Italia, certamente dunque non è solo in questo provvedimento che è possibile trovare le risposte ai gravi problemi che dobbiamo affrontare; ma, non essendo in commercio ricette miracolistiche, e nella consapevolezza che il cammino da fare per uscire dal tunnel è lungo e faticoso, ritengo che la strada imboccata dal Governo sia quella giusta e che questo primo, concreto intervento nell'economia abbia indubbiamente un carattere fortemente innovativo. Aldilà della reazione rumorosa, scomposta, eccessiva, intollerante diPag. 19alcune categorie, esso trova il consenso di gran parte degli italiani, che potranno far fronte a qualche bisogno quotidiano a costi minori e con maggiori opportunità e libertà di scelta.
Colleghi, poter chiudere un conto corrente in una banca e aprirlo in un'altra senza pagare spese ingiustificate; poter rivolgersi ad una agenzia di assicurazione per scegliere tra le offerte di più compagnie; vendere la propria auto senza recarsi ad uno studio notarile; acquistare farmaci da banco a prezzi minori al supermercato o, in ipotesi, presso il negozio aperto da un giovane professionista; aumentare il numero dei taxi; ridurre i tempi di attesa; dare ai professionisti maggiori opportunità e nuovi spazi sono solo alcune delle misure adottate, che mi fanno sperare di essere in presenza di interventi solo in apparenza di piccola portata e che, invece, avviano un grande cambiamento. Un cambiamento che mette al centro le esigenze del cittadino consumatore, colpisce interessi ancora considerati inattaccabili, scalfisce sedimentazioni culturali tanto resistenti quanto dannose ed anacronistiche e impugna concretamente la bandiera della trasparenza e della libertà di concorrenza nel mercato.
Si è detto, da parte di alcuni cultori di quella pratica sempre presente nel nostro paese, che apre ogni pensosa riflessione con la canonica espressione «ci vuole ben altro», che gli interventi adottati sono stati troppo enfatizzati e che in fondo sono poca cosa, ma queste piccole misure migliorano concretamente la vita vera, quella normale, di tantissimi cittadini. È a questi interventi, chissà poi perché, che si oppongono con incredibile veemenza non dei soggetti economici deboli, ma banche, assicurazioni, notai, farmacisti, grandi studi professionali.
Il mio auspicio ed il mio invito al Governo è quello di continuare il processo che ha avviato. Lo faccia con convinzione e determinazione per realizzare quelle liberalizzazioni che la destra in questi anni non ha saputo o voluto fare, per prudenza, per capacità o, forse, per ossequiosa dipendenza dai poteri forti. È il nostro paese che ne ha bisogno. È l'esigenza, non rinviabile, di liberare energia e risorse indispensabili per lo sviluppo che lo richiede. È la consapevolezza che mercati più aperti, maggiore concorrenza e politiche fiscali più giuste ed incisive sono le precondizioni per cercare di conseguire gli ambiziosi obiettivi di risanamento, crescita ed equità sociale che il Governo si è dato e che ha confermato nel DPEF.
Le grandi ed ineludibili riforme di settore richiederanno un lavoro profondo e partecipato, che dovrà portare in futuro alla produzione e alla approvazione di provvedimenti innovativi e, possibilmente, largamente condivisi, ma in questo momento vi era bisogno di uno scatto, di un forte e credibile segnale di cambiamento, di un mutamento culturale, una scossa ad un sistema fermo che declina pericolosamente e non riesce a trovare la forza e la fiducia necessarie.
Questo provvedimento è un'iniezione di fiducia e, al tempo stesso, un intervento strutturale che apre alla concorrenza ed avvia una politica fiscale nuova attraverso una decisa, rigorosa e robusta lotta all'evasione ed alla elusione.
Colleghi, si può e si deve cambiare, anche attraverso piccoli interventi, e proprio condividendo questo metodo mi permetto di segnalare al Governo ed al ministro Bersani la necessità di continuare in questa coraggiosa opera di bonifica di settori come quello bancario, dove il piccolo risparmio è ancora remunerato, si fa per dire, al tasso minimo dello 0,010 per cento al lordo delle ritenute fiscali pro tempore vigenti, dove circolano le cosiddette carte revolving, che consentono ai clienti l'utilizzo del credito accordato a tassi di interesse effettivi annui che si aggirano intorno al 16 per cento, mentre il tasso di interesse legale del 2,50 per cento e quello della BCE arriverà giovedì al 3 per cento. Un sistema bancario i cui costi effettivi globali dei conti continuano a crescere e ad essere tra i più alti in Europa. Un sistema che per le fideiussioni prevede uno schema negoziale che presenta clausole che restringono la concorrenza e, soprattutto, obbligano i fideiussoriPag. 20a rispondere per le garanzie rilasciate alla banca a tempo indeterminato, per tutta la loro vita e, quando muoiono, per tutta la vita dei propri eredi.
Sembrano problemi marginali questi, ma attengono alla vita, quella vera, di tanti cittadini, che possono vederla migliorata, anche attraverso piccoli interventi, come quelli che ho ricordato e quelli che è necessario assumere per rivedere il sistema delle tariffe in generale e idriche ed autostradali in particolare, calcolate con metodi datati e con criteri e variabili economiche non più accettabili, che portano all'applicazione di tariffe onerose ed ingiuste per gli utenti.
In conclusione, ritengo che l'Italia non abbia bisogno di rivoluzioni né di atti eroici: sarebbe già molto utile se ognuno di noi cominciasse ad accettare di mettere in discussione i propri privilegi oltre che quelli degli altri per avviare una nuova e grande opera di risanamento e di rilancio del paese. Ma in attesa di un'auspicabile quanto difficile mutamento culturale, il Governo con questo provvedimento ha saputo dire al paese che cambiare non solo è necessario, ma possibile anche attraverso interventi minori, che però contengono elementi veramente e concretamente riformatori. La radicalità vera, a mio avviso, sta nel cambiare realmente le cose e non nell'imboccare soluzioni complessive, magari perfette ma non realizzabili. La strada scelta, ministro Bersani, è quella giusta. Il Governo dovrà avere il coraggio ed il sostegno necessari per percorrerla con fermezza fino in fondo. È questo che vogliono e ci chiedono milioni di italiani che ci hanno dato fiducia: il nostro dovere, il dovere del Governo e della maggioranza è di non deluderli (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bellotti. Ne ha facoltà.
LUCA BELLOTTI. Deputato Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge, convertito dal Senato ed ora all'esame della Camera, ha sicuramente punti controversi, che noi, deputati di Alleanza Nazionale, non abbiamo trascurato di mettere in evidenza durante questo dibattito parlamentare. Le misure che vanno a danno di quelle associazioni di categoria come i farmacisti o gli avvocati, che erroneamente sono state mascherate sotto il nome di liberalizzazioni, sono già state e saranno poste dai miei colleghi sotto il riflettore della verità, cancellando bugie e mistificazioni della sinistra. Tuttavia, quello che personalmente mi preme portare all'attenzione dell'Assemblea è un ambito meno appariscente, ma che ugualmente viene coinvolto e colpito: mi riferisco al settore dell'agricoltura e dell'agro-alimentare. A forza di parlare, seppur legittimamente e giustamente, delle proteste delle categorie di maggiore visibilità sociale, si rischia di perdere d'occhio che anche nei meandri del decreto-legge si nascondono insidie che possono portare danno a settori come quello dell'agricoltura e del comparto agro-alimentare, che oggi per varie ragioni di carattere interno (la siccità) ed esterno (il calo delle nostre esportazioni) non versano certo in una condizione che può essere definita rosea.
Credo che non saranno sfuggite agli onorevoli colleghi della sinistra le proteste dei fornai davanti a Montecitorio: ebbene, il settore dei panificatori è uno dei pochi in crescita. Uno studio degli artigiani di Mestre ha indicato che questo settore ha subito un rialzo dell'8,5 per cento in cinque anni. Ora qualcuno dovrà avere la bontà di spiegare a cosa serve liberalizzarlo, ammesso e concesso che si tratti del termine più opportuno per indicare, invece, un'operazione che appare più come un indebolimento che una liberalizzazione di un settore che negli ultimi anni è riuscito a ristrutturarsi in maniera importante ed efficiente nel quadro complessivo del made in Italy. Le liberalizzazioni, da che mondo è mondo, servono ad aprire dei settori in cui non vige la possibilità di concorrere, ossia di accedere a quella fascia di mercato, a nuovi protagonisti imprenditoriali che intendono produrre in quell'ambito specifico. Un settore, invece,Pag. 21che subisse un'espansione di un'entità come quella registrata, è di per sé già liberalizzato.
In ogni caso, poco sarebbe bastato per risolvere il problema delle poche disposizioni, oggetto di critica da parte dei fornai: per esempio, porre come obbligatori dei corsi per panificatori propedeutici a questa importante professione. Il gruppo di Alleanza Nazionale ha proposto un ordine del giorno in tal senso e ci auguriamo che venga accettato.
Sarebbe bastato poco per evitare la contestazione; bastava soltanto ascoltare i consigli dei fornai che, nella produzione di pane, vorrebbero fossero seguite determinate norme e procedure di qualità. Un po' di ascolto, un po' di concertazione, da sempre da voi invocata e mai nei fatti applicata!
Anche in questo caso, se si volevano veramente introdurre elementi atti a rinforzare e potenziare il settore, la direzione da intraprendere doveva essere diversa.
Il pane, assieme alla pasta, all'olio ed al vino è un'icona della dieta mediterranea e se avessimo voluto veramente fare di questo settore un punto di qualità paese, si sarebbe dovuto intervenire sulla produzione.
Il fabbisogno di farina nel nostro paese è di 80 milioni di quintali di frumento tenero, mentre se ne producono non più di 30 milioni nei 330 mulini in funzione. Lo stesso per la pasta. Le nostre industrie hanno bisogno di 55 milioni di quintali di grano, mentre ne produciamo solamente 35. Quindi, l'unica vera liberalizzazione possibile nel settore è il rafforzamento di una identificazione delle produzioni della nostra penisola, del made in Italy, elementi che, nella scorsa legislatura, grazie al ministro dell'agricoltura Alemanno, abbiamo introdotto e perseguito.
Emanare decreti d'urgenza, quindi, senza convocare alcuna riunione preliminare con le associazioni di categoria non è concertazione: è un atteggiamento di tipo autoritario, caratterizzato da un Governo autoreferenziale.
Che dire poi del sistema di monitoraggio dei prezzi dell'agroalimentare previsto dal decreto legge? Certo, si è spesso parlato della necessità di una maggiore trasparenza della trasformazione dei prezzi lungo la filiera anche durante la scorsa legislatura. È anche vero che, spesso, la somma pagata all'agricoltore decuplica per alcuni prodotti dell'ortofrutta; i moltiplicatori sono anche di 25 volte maggiori rispetto a ciò che si richiede alla vendita in dettaglio.
Ciò che contestiamo però non è tanto l'idea della trasparenza, di mettere in evidenza come il prezzo, a volte, in modo spropositato ed ingiustificato, si trasformi, quanto le metodologie che si vorrebbero applicare.
Il sistema architettato può essere classificato con due soli aggettivi: complesso e dispendioso. Il consumatore dovrebbe leggersi liste lunghe come indici azionari, raffrontare i costi, considerare le zone di produzione e la qualità della merce e ciò per comprendere il luogo in cui più conviene comprare un chilo di carote. Tutto questo appare non sulle etichette, dove, peraltro, potrebbe essere legittimo, ma su testate giornalistiche, emittenti radiotelevisive e gestori del servizio di telefonia.
Questo è quanto previsto nel decreto-legge! È un sistema complicato, tortuoso, privo di ogni ragionevole efficacia che determina l'aumento della burocrazia a svantaggio dei consumatori, utenti e pagatori, senza contare che, implicitamente, si verrebbero a formare graduatorie tra buoni e cattivi, liste di proscrizione redatte direttamente dai Ministeri delle politiche agricole e dello sviluppo economico e trasmesse agli enti locali.
Il fatto è che non si tiene conto di come possano intervenire delle circostanze contingenti, degli effetti straordinari, come la siccità, la grandine, il freddo, che non verrebbero inseriti nella tabella e che penalizzerebbero i produttori ed i commercianti che li subiscono, anche perché, spesso, al consumatore non interessa seguire ogni passo della filiera, ma preferisce, in modo sintetico e chiaro, comprendere il ricarico complessivo che viene effettuato sul prezzo e capire poi quale gli conviene di più.Pag. 22
Insomma, tanto per essere chiari, sarebbe bastato semplicemente apporre in etichetta la duplice indicazione del prezzo pagato all'agricoltore ed il prezzo richiesto al consumatore, anche se, ad esempio, già in Francia l'applicazione del doppio prezzo non ha generato grandi benefici al consumatore.
Anche in questo caso avete sbagliato obiettivo, perché il vero problema per quanto riguarda il rapporto tra i prezzi all'agricoltura ed i prezzi che poi paga il consumatore è la filiera della grande distribuzione in mano, per l'80 per cento, alle grandi multinazionali straniere che il decreto Bersani assolutamente non tocca. Quindi, il decreto-legge in esame ci delizia di nuove forme per complicarci la vita, seguendo due linee che sono frutto di un paradosso nell'impostazione della politica economica del Governo. Da una parte si finge di liberalizzare, dall'altra - ma questa volta realmente - si applicano, nei modi più sottili e machiavellici, nuove imposte e nuovi oneri burocratici a carico degli agricoltori e non solo, una sorta di «ossimoro economico».
Voglio ricordare, ad esempio, l'introduzione di significative modifiche sui regimi previsti per le compravendite immobiliari, che variano l'operatività delle imposte sui valori catastali ed inseriscono l'obbligo di dichiarare negli atti notarili il corrispettivo pattuito per gli agenti immobiliari. Vi è, poi, l'introduzione della sola imposta di registro sui trasferimenti che causa nuovi costi per i produttori derivanti dall'impossibilità di detrarre l'IVA, già assolta a monte, cui si aggiungono gli oneri derivanti dall'abolizione delle quote agevolate per i terreni edificabili.
Non preoccupatevi, cari colleghi, se non è chiaro: è tutto fatto apposta per non esserlo! Possiamo riassumere così, in sostanza, il decreto-legge: fa di tutto, ma proprio di tutto, per creare nuovi cavilli e vincoli e, lungi dal semplificare, costruisce in modo artificioso e davvero articolato, prescrizioni ed oneri di ogni genere. La conseguenza limpida e cristallina è che si produce un'incapacità per gli agricoltori di ricorrere a pratiche di autofinanziamento tramite la tenuta dei valori fondiari; tenuta dei valori fondiari su cui si scatena la «lunga mano» di Visco, che estende il suo abbraccio anche su questo provvedimento.
Non posso esimermi neppure dal porre in luce che l'intenzione di reinstaurare una tassa sulle donazioni si palesa in modo subdolo nel provvedimento in essere. Le disposizioni in tema di plusvalenze derivanti da cessione di immobili a titolo di donazione vanno a reintrodurre, di fatto, una forma di imposizione che era stata abolita dal precedente Governo. Si tratta dei prodromi della reintroduzione della tassa sulle donazioni e sulle successioni, opportunamente abolita dal precedente esecutivo.
Si è detto che il provvedimento in esame era largamente anticipatorio della legge finanziaria per ciò che concerne l'agricoltura. Bene, se il buongiorno si vede dal mattino, guardando questo Governo, ci aspettiamo come minimo, una grandinata. Forse sarebbe bene che si ponesse mano a sistemi più adeguati rispetto a quelli che, è bene ricordarlo, la Costituzione definisce di necessità ed urgenza. Passi che il decreto-legge è divenuto un modo per concedere al Governo la possibilità di iniziativa legislativa, ma voi, cari colleghi della sinistra ne state francamente abusando, così come abusate dello strumento della fiducia. Per non parlare della circostanza che in un unico provvedimento, raffazzonato, si gettano in unico calderone libere professioni, agricoltori, rilancio economico, lotta all'evasione, controllo dei prezzi, liberalismo, liberismo ed interventismo.
Spero che presto vi sentiremo parlare di agricoltura in modo responsabile ed oggi ciò si doveva fare con questo provvedimento. Ci sono problemi difficili da risolvere per l'agricoltura italiana. Sappiamo che questo Governo è già in fase di affanno, ma almeno sforzatevi di dare un segnale di vita. Ciò è necessario, ad esempio, per i lavoratori del comparto bieticolo-saccarifero che, a seguito del contingentamento della produzione, pretesa dall'Europa, versa in una crisi gravissima chePag. 23il Governo di centrodestra tentò di risolvere tramite la riconversione, ma che oggi ha bisogno di una vigilanza, di una attenzione massima ed anche di una decretazione d'urgenza che consenta al più presto di attivare la filiera della bioenergia ed anche di dare risposte concrete ai tanti «contoterzisti» che oggi si vedono sul lastrico, se non si interviene per fare chiarezza rispetto alle ultime disposizioni europee sull'argomento, proprio alla vigilia della campagna bieticolo-saccarifera.
Per concludere in modo allegro, anche se a ben vedere di allegro vi è ben poco, ho lasciato l'ultima parte da me trattata del decreto-legge sulla questione dei dolci. Non so se di fronte a questo particolare provvedimento vi sia più da ridere o da piangere. Quando, per definire un'azione esempio di criminalità spicciola e particolarmente cinica, si usa dire «rubare le caramelle ai bambini», evidentemente si descrive un'azione machiavellica e, per il Governo Prodi non è poi così grave.
Anzi, essa diventa meritoria per il risanamento della finanza pubblica. Infatti, cari colleghi della sinistra, voi avevate deciso di incrementare le imposte persino sui dolciumi. Neppure da questo potevate esimervi. L'aggravio del prelievo fiscale in materia di prodotti dolciari sarebbe stato davvero inopportuno, non soltanto perché tassare i dolci appare come raschiare il fondo del barile per «fare cassa», ma anche perché questa imposizione sarebbe stata attuata in modo discriminatorio. L'aumento dell'aggravio fiscale, infatti, avrebbe gravato specificamente su una parte del settore dolciario, quello delle creme da spalmare. Alcuni, come il collega Grimoldi, hanno deciso addirittura di fondare un intergruppo per la difesa della «Nutella». Mai avremmo pensato di arrivare a questo. Non sappiamo che cosa ci si dovrà attendere, in futuro: magari, una tassazione maggiorata sui giocattoli, nel mese di dicembre, potrebbe essere quello che accadrà.
Insomma, onorevoli colleghi, il decreto-legge Bersani produce più danni che benefici e, di fatto, si preoccupa dell'unica cosa che, a quanto pare, interessa questo Governo: innalzare le imposte. La piccola e media impresa, l'agricoltura e il comparto alimentare sono caduti sotto la mannaia di Visco e di Bersani. Non si illudano le grandi imprese che, per il momento, risultano essere scampate alla furia vendicativa del Governo: il tempo verrà anche per loro. Da un esecutivo che confonde la liberalizzazione con un'anarchia economica e farcisce i provvedimenti di nuovi vincoli e balzelli non c'è altro da aspettarsi.
Per riassumere, una constatazione da guinness dei primati: per la prima volta al mondo, un provvedimento di liberalizzazione si prefigge l'obiettivo di controllare il prezzo di vendita dei prodotti agricoli. Nemmeno in Russia si è riusciti a controllare il prezzo della vodka in una situazione, di certo, non democratica. Un ultimo consiglio lo diamo ai panificatori ed è quello di produrre pane senza olio di oliva (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sanna. Ne ha facoltà.
EMANUELE SANNA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, la Camera sta esaminando un disegno di legge del Governo già approvato dal Senato mediante il voto di fiducia. A me sembra chiaro e motivato il rilievo che il Governo attribuisce a questo provvedimento e sono certo che la maggioranza sarà coerente nel sostenerlo fino alla sua definitiva approvazione. Lo sosterremo, onorevoli colleghi, per rispettare un impegno che l'Unione di centrosinistra ha assunto con gli elettori, attuando un punto cruciale del suo programma che considera ineludibile per ritrovare la strada della crescita economica e sociale: l'adozione di misure eque e rigorose per razionalizzare la spesa e contrastare l'evasione fiscale.
Questo provvedimento ha caratterizzato più di altri i primi passi del Governo Prodi e, anche se ha provocato reazioni molto dure da parte di alcune categorie e settori professionali, penso che sia largamentePag. 24condiviso e atteso dalla stragrande maggioranza dei cittadini che fanno i conti duramente, ogni giorno, con le difficoltà e i problemi che questo decreto-legge intende finalmente affrontare. Naturalmente, il fatto che il relativo disegno di legge di conversione sia stato approvato dal Senato la scorsa settimana, attraverso il voto di fiducia, e che questa Assemblea sia chiamata ora ad approvarlo con una pressante celerità non significa, signor Presidente, che il dibattito tra i deputati debba essere un rito inutile e scontato. Il dibattito parlamentare su un provvedimento che inciderà profondamente nella vita del paese deve essere reale e fecondo, anche per contrastare, onorevoli colleghi, con il pieno esercizio della nostra funzione rappresentativa della sovranità popolare, una tendenza e una deriva che vedo con preoccupazione in questa travagliata fase di avvio della legislatura. Su questo punto, penso non sia inutile richiamare l'attenzione dei gruppi parlamentari e quella ancor più autorevole del Presidente della Camera.
Vede, signor Presidente, i media seguono con spasmodica attenzione i lavori del Senato, dove ogni provvedimento è sottoposto al duro banco di prova di una strettissima maggioranza. Considero fisiologico che questo accada nella rappresentazione mediatica dei lavori del Parlamento. Tuttavia, signor Presidente, penso, come tanti altri colleghi, che si debba vigilare ed intervenire per evitare che, in conseguenza dei precari equilibri parlamentari scaturiti dal verdetto elettorali, il ruolo di questa Camera si trasformi o deperisca verso una pura funzione di ratifica e di «blindatura» delle decisioni assunte dall'altro ramo del Parlamento.
Nel merito del provvedimento, desidero svolgere alcune schematiche considerazioni sulle misure che riguardano in particolare il servizio farmaceutico e l'attività libero professionale dei medici e degli operatori dipendenti dal Servizio sanitario nazionale. Va detto in premessa, con la necessaria franchezza, che il confronto in Commissione affari sociali su aspetti rilevanti di questo disegno di legge, per quanto interessante, è stato condizionato dai tempi molto stretti a disposizione per fornire il parere alle Commissioni di merito. Questo limite doveva essere in parte superato in aula da un confronto più ampio delle diverse posizioni politiche e culturali, che si registrano su questo provvedimento tra le forze politiche, nelle associazioni, nelle organizzazioni professionali e, più in generale, per il forte impatto sociale che hanno sulla pubblica opinione.
L'articolo 5 del provvedimento detta norme fortemente innovative sulla distribuzione dei farmaci e sui prezzi per i consumatori, nonché sulla titolarità delle farmacie. Si tratta di disposizioni che introducono modifiche significative in un settore che ha forti valenze sociali ed economiche e quindi incidono su un servizio pubblico essenziale, come quello della tutela della salute. Sta qui, a mio avviso, la ragione principale delle reazioni diffuse e complessivamente di segno positivo, che le misure proposte dal Governo, in particolare dal ministro Bersani, hanno determinato nel paese, soprattutto nel mondo sanitario e professionale. Oggi la Camera discute in un clima decisamente rasserenato dalla responsabile decisione di riprendere la regolare distribuzione dei farmaci in tutto il territorio nazionale.
Dopo la rivolta dei tassisti, che ha provocato disagi seri e per molti aspetti insostenibili solo nelle grandi città, si è paventata nei giorni scorsi anche la serrata a tempo indeterminato e l'interruzione di un servizio pubblico essenziale, come quello farmaceutico. A questo proposito, vorrei dire con nettezza che chi per ragioni politiche ha soffiato sul fuoco dell'oltranzismo corporativo di una parte dei titolari di farmacia dovrebbe seriamente riflettere sulle devastanti conseguenze che il prolungamento della serrata avrebbe determinato nel corpo vivo del paese. Un cittadino, onorevoli colleghi, può sopportare i disagi che derivano dal mancato arrivo del tassista, ma non può sopportare, senza rischi dirompenti, la chiusura prolungata della farmacia del suo paese o del suo quartiere, perché in questionePag. 25non c'è in questo caso il diritto di sciopero di una categoria, ma il diritto alla salute e alle cure primarie, quando manca la disponibilità di un farmaco indispensabile o salvavita.
Per fortuna, la linea della serrata selvaggia è stata abbandonata, quando alla fermezza del ministro Bersani si è accompagnata la responsabile ed efficace mediazione del ministro della salute, che ha incontrato anche la disponibilità e la posizione ragionevole della Federazione nazionale dei farmacisti. La Federfarma, accettando il contenuto e le novità del disegno di legge, ha anche chiesto però reali garanzie per salvaguardare e potenziare il ruolo delle farmacie, come presidio essenziale del Servizio sanitario nazionale.
Penso che, nel momento in cui inizia nel paese, onorevoli colleghi, la sperimentazione delle novità contenute in questo provvedimento, il Governo e il Parlamento possano assumere l'impegno che questa categoria professionale e il servizio di distribuzione dei farmaci saranno destinatari di una politica e di un'attività legislativa più efficaci, per realizzare una più forte centralità di questo settore nell'ambito del Servizio sanitario nazionale.
Questa nuova stagione di attenzione politica e istituzionale indirizzata al servizio farmaceutico dovrà sostanziarsi a mio avviso in alcuni obiettivi prioritari, che possono essere perseguiti concretamente, innestando sulla tradizione positiva delle farmacie italiane le innovazioni e il dinamismo, che questo disegno di legge introduce, rimuovendo barriere, anchilosi ed incrostazioni non più sostenibili, come hanno più volte rilevato sia l'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, sia le direttive e i richiami dell'Unione europea.
Il primo obiettivo da perseguire è quello della salvaguardia e della valorizzazione della professione del farmacista e della sua centralità in tutte le articolazioni del Servizio sanitario nazionale. Questo provvedimento allarga la rete distributiva dei farmaci per avvicinare ulteriormente il servizio agli utenti, anche per determinare un abbassamento dei prezzi, in particolare nel settore delle medicine erogabili senza prescrizione medica. Questa misura era ineludibile per liberalizzare e rendere più competitivo e meno costoso il servizio, però resta sempre il ruolo irrinunciabile del laureato in farmacia, che non deve solo vendere o distribuire, ma anche controllare, consigliare il cittadino, in particolare per quei farmaci che vengono dispensati senza prescrizione medica.
L'aspirina o il paracetamolo italiani costano, come noto, molto più di quelli degli altri paesi europei e quei prezzi vanno assolutamente calmierati, però è sbagliato, cari colleghi, è rischioso pensare che si possano ritirare dai distributori automatici, senza il consiglio del farmacista, perché è vero che l'aspirina attenua i dolori e abbassa la febbre, ma il suo abuso può anche determinare, come tanti altri farmaci senza obbligo di prescrizione, patologie molto serie e pericolose. Penso - lo dico con franchezza - che dovrebbero essere più prudenti e meno superficiali quei colleghi che per pura strumentalità politica ironizzano sui farmaci venduti nei supermercati, vicino alle angurie o alle acciughe. Questo tema non consente simili banalizzazioni. Su questo terreno scivoloso si potrebbe rispondere che anche in alcune farmacie, assieme agli antibiotici e all'insulina, si vendono scarpe, profumi, cosmetici e giocattoli, per allargare l'attività commerciale senza mortificare la professionalità del farmacista.
Signor Presidente, poiché sono un soldato e penso di avere esaurito il tempo a mia disposizione, do un contributo all'approvazione di questo importante provvedimento, chiedendo l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazione integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
Pag. 26
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, vorrei chiedere ai colleghi un attimo di attenzione. Questa mattina ci troviamo a proseguire una discussione che si sarebbe dovuta concludere esattamente due ore fa, anche in base ad un orientamento che era stato assunto dalla Conferenza dei capigruppo nel corso della sua riunione di venerdì, nella quale l'impegno comune assunto da tutti era stato quello di procedere sul decreto-legge in materia di rilancio economico e sociale del paese, sul contenimento della spesa, sulle liberalizzazioni e sul contrasto all'evasione fiscale - il cosiddetto decreto Bersani - con una discussione generale che avrebbe dovuto consentire già questa mattina di entrare nel merito delle proposte emendative.
In realtà, la discussione sulle linee generali è ancora in corso e prevede più di 20 interventi dei colleghi dell'opposizione. Questo significherebbe concludere la discussione sulle linee generali non, come previsto, nella mattinata, ma nella notte inoltrata.
Quindi, si profila una lunga discussione alla quale dovrebbero fare seguito l'esame ed il voto sulle questioni pregiudiziali presentate al decreto-legge e poi l'avvio dell'esame sugli emendamenti. In quest'ultima fase, si profila un atteggiamento di carattere ostruzionistico da parte dell'opposizione, così come nella Commissione di merito è stato annunciato dai rappresentanti dell'opposizione medesima.
Siamo dunque di fronte ad un ostruzionismo dichiarato dell'opposizione, a fronte della disponibilità ad una discussione ampia ma che potesse comunque far concludere l'esame del decreto-legge. Si tratta di un provvedimento atteso dal paese, dai consumatori italiani, dalle famiglie e dalle imprese italiane, che non può attendere ulteriore tempo per essere convertito in legge. Le norme contenute in esso hanno bisogno di stabilità e di certezza e non possono essere sottoposte ad un continuo atteggiamento di carattere ostruzionistico da parte dell'opposizione.
Quindi, è anche per questo motivo che, a norma dell'articolo 44 del regolamento, chiedo la chiusura della discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Avverto che sulla richiesta, avanzata dal deputato Quartiani, di chiusura della discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione in esame, a norma dell'articolo 44, comma 1, del regolamento, darò la parola ad un oratore contro e ad uno a favore, che ne facciano richiesta, per non più di cinque minuti ciascuno.
ANTONIO LEONE. Chiedo di parlare contro.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO LEONE. Grazie, deputato Presidente. Se non conoscessi il collega Quartiani già dalla scorsa legislatura, non saprei a cosa sia dovuto il suo cambiamento di atteggiamento. Egli, infatti, mai come in questa vicenda ha assunto i contorni di un personaggio kafkiano, perché stiamo vivendo una vicenda kafkiana.
Perché dico questo, Presidente? Abbiamo contato, sino ad ora, nella discussione sulle linee generali iniziata ieri pomeriggio alle 13, trentadue o trentatrè interventi sino all'ultimo di questa mattina. Su trentatrè interventi, sapete quanti deputati della maggioranza sono intervenuti? Diciannove! Diciannove deputati della maggioranza sono intervenuti in discussione generale (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)! Allora, onorevole Quartiani, l'ostruzionismo lo stiamo facendo noi o lo state facendo voi (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)?
Io non riesco a comprenderne le ragioni, altrimenti, se l'amico Quartiani me lo avesse detto prima, avremmo chiesto noi tranquillamente la chiusura anticipata della discussione generale. Non ci sarebbe stato alcun problema!Pag. 27
Noi pensavamo che fosse un'esigenza della stessa maggioranza, che anche noi avevamo, di dibattere su questo provvedimento, perché nelle Commissioni non è stato possibile farlo. Questo provvedimento è stato discusso per mezz'ora nelle Commissioni di merito! Mezz'ora, dalle 18 alle 18,30 di venerdì, soltanto per dare il mandato al relatore ed arrivare in quest'aula.
Siamo in presenza di un provvedimento che, a dire della stessa maggioranza, è un collegato alla manovra finanziaria. Siamo in presenza di un provvedimento poderosissimo. Siamo in presenza di un provvedimento che interessa non solo le tasche, ma il futuro di tantissimi italiani e noi, soltanto perché alle porte ci sono le vacanze di agosto, siamo qui a chiedere di strozzare un dibattito, che è dovuto per quest'aula. Esso è dovuto perché al Senato non è stato possibile farlo! E noi non dobbiamo andare al traino dell'altra Camera soltanto per le esigenze di questa maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Allora, innanzitutto, vorrei che sia il ministro Chiti, sia altri rappresentanti della maggioranza non dicessero che noi non manteniamo gli impegni perché non abbiamo cominciato a votare questa mattina. Non abbiamo mai assunto impegni in tal senso. I nostri impegni sono con l'elettorato, per far sì che questo provvedimento non passi, così come, al momento, sembra evincersi anche nella maggioranza. Infatti, non dimentichiamo che, tra quel numero di deputati che sono intervenuti ieri nella discussione generale, la maggior parte ha criticato questo provvedimento. Allora, le castagne dovete toglierle dal fuoco al vostro interno!
Noi siamo contro questa richiesta e siamo favorevoli, invece, alla prosecuzione della discussione sulle linee generali. Vogliamo far sì che il provvedimento in esame venga cambiato e ritorni all'esame del Senato! Ci acquieteremo solo e soltanto in quel frangente e quando il presente decreto-legge sarà modificato (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare a favore il deputato Falomi. Ne ha facoltà.
ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, intervengo per associarmi alla richiesta testé avanzata dal deputato Quartiani. È vero che, fino a questo momento, sono intervenuti, nel corso della discussione sulle linee generali, trentatré colleghi: non si può certamente affermare, quindi, che il provvedimento al nostro esame non sia stato oggetto di un'approfondita discussione! Vorrei segnalare che, sul presente decreto-legge, non sono intervenuti soltanto i deputati della maggioranza, poiché hanno parlato anche quindici colleghi dell'opposizione.
GASPARE GIUDICE. Quindici contro i diciannove della maggioranza!
ANTONELLO FALOMI. Credo che gli argomenti fondamentali siano stati tutti posti sul tappeto; tuttavia, la circostanza che siano ancora iscritti a parlare oltre venticinque deputati dell'opposizione testimonia una scelta ostruzionistica. Ciò dimostra, evidentemente, la volontà di allungare, oltre il necessario approfondimento, il «brodo» nella nostra discussione!
È del tutto evidente che rientra tra i diritti dell'opposizione intraprendere una strada ostruzionistica, così come è diritto della maggioranza cercare di far approvare i provvedimenti che essa ritiene opportuni.
Sono queste le ragioni per le quali il nostro gruppo esprimerà un voto favorevole alla richiesta di chiusura della discussione sulle linee generali testè avanzata. Ciò consentirà di proseguire l'esame del provvedimento evitando che continui una discussione che, in realtà, a questo punto non produrrà nulla di nuovo, ma farà solo perdere tempo.
Per queste ragioni, dunque, il nostro gruppo appoggerà la richiesta avanzata dal deputato Quartiani.
PRESIDENTE. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla proposta di chiusura della discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione n. 1475.
(Segue la votazione - Commenti).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni - Applausi polemici dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
(Presenti 449
Votanti 446
Astenuti 3
Maggioranza 224
Hanno votato sì 277
Hanno votato no 169).
Prendo atto che i deputati Fundarò, Lupi e D'Agrò non sono riusciti a votare e che quest'ultimo avrebbe voluto esprimere voto contrario.
Ricordo che, essendo stata deliberata la chiusura della discussione sulle linee generali, a norma dell'articolo 44, comma 2, del regolamento, ha facoltà di parlare, per non più di 30 minuti, un deputato fra gli iscritti non ancora intervenuti nella discussione per ciascuno dei gruppi che ne facciano richiesta.
Ha chiesto di parlare, per il gruppo di Forza Italia, il deputato Valducci. Ne ha facoltà.
MARIO VALDUCCI. Signor Presidente, signor ministro, colleghi deputati, il decreto-legge oggi all'esame della Camera dei deputati è un provvedimento cui il Governo in carica ha conferito moltissima importanza. Vorrei ricordare, in questa sede, che si tratta di un provvedimento legislativo fondamentalmente articolato in tre parti, nel quale la parte principale non solamente in termini di numero di pagine e di articoli ad essa dedicati è...
PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo, deputato Valducci, ma vorrei chiedere, al fine di regolare i nostri lavori, se vi siano altri gruppi che chiedano di intervenire nei termini proposti.
Mi scusi ancora, deputato Valducci, e prosegua pure il suo intervento.
MARIO VALDUCCI. Come stavo dicendo, la parte più importante del decreto-legge in esame, in termini sia di numero di articoli, sia di contenuti, sia, soprattutto, di regolamentazione e burocratizzazione dello Stato, nonché di cambiamento del rapporto tra il fisco e le imprese ed i cittadini, è quella di competenza del viceministro Visco.
Vorrei rilevare che, nei due mesi in cui si è discusso del provvedimento in esame, è invece emersa soprattutto la parte cui è stato dedicato un quinto dell'intero decreto-legge, vale a dire quella legata al tema delle cosiddette liberalizzazioni.
Si tratta di liberalizzazioni che sono intervenute solo su pochi settori, fra l'altro marginali della nostra economia. Liberalizzazioni che sono servite più per sgombrarsi la coscienza dal dover fare qualche intervento nel tessuto economico-produttivo del paese, piuttosto che per realizzare un sistema più competitivo, più liberale, più a difesa dei consumatori.
Un'altra parte del provvedimento è dedicata alle misure destinate a consentire la ripresa degli interventi infrastrutturali e il contenimento del famoso «buco» del bilancio pubblico. A questo riguardo, ricordo a tutti colleghi che per circa due mesi il Governo presieduto da Prodi ha svolto accurate indagini per accertare la presenza di questo grande «buco» che con il provvedimento - sentite, sentite - è stato individuato in ben un miliardo e 200 milioni di euro. Per più di un mese sia in Europa, sia su tutti i quotidiani italiani, sia sui mezzi di informazione, televisivi e radiofonici, il precedente Governo è stato accusato di aver lasciato un «buco» nel bilancio; ora, con questa manovra bis, l'accorgimento operato sui conti pubblici è stato di un miliardo e 200 milioni di euro. Ricordo che l'ENI nel primo semestre diPag. 29quest'anno ha distribuito dividendi per 5 miliardi di euro: alla faccia del «buco» che abbiamo lasciato (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
Desidero anche porre in rilievo, a proposito del dibattito che si è sviluppato su questo provvedimento nel corso delle giornate di ieri e di oggi e che voi avete improvvidamente, come spesso accade in questa legislatura, bloccato, probabilmente per porre, in prospettiva, un ennesimo voto di fiducia, che tutto mi aspettavo tranne che la maggioranza volesse svolgere contemporaneamente - come ha già fatto per i provvedimenti in tema di indulto, di missioni in Afghanistan ed in Iraq -, i ruoli di maggioranza e di opposizione. Ma voi siete al Governo, fate quindi solo la maggioranza, che all'opposizione ci pensiamo noi (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)! Invece, anche su questo provvedimento, che doveva essere quello più sbandierato, quello che economicamente va nella direzione della sinistra, ho ascoltato ieri discorsi svolti da colleghi della maggioranza che contrastavano, con vigoria e con forza, con il contenuto dello stesso.
Vi è, inoltre, un altro tema che dal 12 aprile è scomparso da tutte le cronache dei mezzi di informazione. Faccio riferimento allo stato della situazione economica del nostro paese. Fino al 12 aprile questo era un paese che aveva grosse difficoltà economiche e che stava vivendo un lungo periodo di declino. Dal 12 aprile non si usa più la parola declino, non ci sono più nubi sul presente e sul futuro dell'Italia, sembra che tutto sia risolto; tutto sembra che vada bene, evviva madama la marchesa! L'Italia è tornato ad essere, grazie ad un nuovo Governo che nulla ha fatto fino ad oggi in alcun comparto, un paese che gode di un andamento dell'economia e della produzione analogo a quello riscontrabile negli altri paesi. E non c'è stato nessuno, salvo pochi colleghi, che abbia sottolineato questo dato di fatto, sebbene noi, spesso, siamo stati accusati di «possedere» il mondo dell'informazione.
Chiedo, quindi, ai colleghi, se ciascuno di loro, in propria coscienza, non si senta di doversi porsi interrogativi su questi temi importanti. Il declino non c'era prima, non c'è oggi e, forse, se voi non continuerete a fare manovre di questa natura, non ci sarà domani. Dico «forse» perché con manovre, come quelle contenute in questo provvedimento, se adottate, il nostro paese sarà destinato sicuramente al declino economico e produttivo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
Un altro grave problema dell'informazione e della comunicazione in questo paese vorrei illustrarlo attraverso un esempio (lo richiamo per la voglia di essere «sobri» anche su materie che sicuramente hanno creato e creano problemi enormi ad alcune categorie sociali del nostro paese). Si tratta di una vignetta di Giannelli che, recentemente, scriveva sul tema dell'Afghanistan (questo tema riguarda il declino, riguarda qualsiasi tema, non solamente l'Afghanistan, ma anche l'economia del nostro paese). Il marito chiede alla moglie: ma l'intervento in Afghanistan è una missione di pace o una missione di guerra? Dipende da chi la vota.
In questo caso, riguarda tutti i provvedimenti: dipende da chi li vota. Le cose che chiedevamo prima erano tutto il male e tutto il negativo di questo paese; le cose che chiede l'attuale maggioranza e l'attuale Governo, che hanno lo stesso contenuto, sono tutto il bene, tutto il roseo, tutto il bianco di questo paese. Credo che anche questo sia un debito di comunicazione importante e pericoloso per il nostro paese.
Torniamo al contenuto del provvedimento ed iniziamo dalla parte marginale: il tema delle liberalizzazioni.
La prima cosa che voglio contestare al Governo è il metodo. Non si può dire tutto il male dei Governi precedenti e poi sostenere che erano mesi che anche i Governi precedenti ne parlavano. Non si può intervenire con la mannaia e la cesoia solo rispetto ad alcune categorie marginali all'interno dell'economia e del tessuto produttivo del nostro paese. Tra l'altro, si tratta di categorie che rilevano uno dei sentimenti della sinistra antagonista, quelliPag. 30dell'invidia verso certe categorie sociali e che non risolvono, signor ministro, i problemi veri che alcuni settori della nostra economia hanno. Per quanto riguarda il settore del trasporto pubblico locale, non credo che prevedendo una maggiore presenza dei taxi in alcune grandi città del nostro paese si risolvano i problemi del trasporto pubblico locale!
Signor ministro, lei che è anche un esponente politico di rilievo all'interno del partito più importante della coalizione oggi al Governo, sa meglio di me che il comune di Milano, ormai da più di cinque anni, ha un'azienda di trasporto municipale che non fa più perdite, non è più in deficit. Tutte le altre aziende degli altri grandi comuni governati da decenni dalla sinistra perdono milioni e milioni di euro! Allora, perché non siete intervenuti lì, sacche solo di consenso politico, di inefficienza e di inefficacia dell'azione governativa locale svolta da voi? Roma, Genova, Bologna, Firenze, tutte città che hanno centinaia di milioni di deficit nel trasporto pubblico locale! Non potete certo dire che, in queste città, il trasporto pubblico locale funzioni meglio rispetto ad altre città! Vivo a Roma ormai da 12 anni, quanto a Milano.
Ho richiamato l'esempio dei trasporti pubblici locali, ma potrei richiamarne altri per tutti gli altri settori su cui siete intervenuti. Siete intervenuti solamente per un rancore sociale: chi prende i taxi? La gente che tutti i giorni va lavorare? Non credo che chi va a lavorare e svolge un lavoro impiegatizio, di colletto bianco o blu, vada a lavorare con il taxi. Il taxi è un mezzo per certe categorie di persone. Quindi, si tratta di un intervento che ha poco a che vedere con la vera competitività e le necessità di questo paese.
Siamo stati criticati da voi, dai sindacati, di non avere svolto un'azione di concertazione adeguata. Non l'avremmo svolta con i provvedimenti che abbiamo approvato nei precedenti cinque anni di Governo Berlusconi né l'avremmo svolta quando, volendo realizzare le opere pubbliche, eravamo incapaci di mettere intorno ad un tavolo comuni, province e regioni per cercare di acquisire il consenso delle collettività interessate. Voi - a prescindere da valutazioni di capacità o incapacità - siete andati, diciamo così, per la tangente: non avete sollecitato alcun tipo di incontro prima di adottare il decreto-legge ed avete varato un provvedimento che colpisce alcune categorie: avvocati, panificatori, notai, farmacisti e commercianti al dettaglio.
A proposito di questi ultimi, ho avvertito una scarsa presenza delle associazioni dei commercianti su alcuni temi importanti. Indubbiamente, se si ha riguardo alla «parte Visco» del provvedimento, che è la più rilevante (gratta gratta Bersani, viene fuori Visco...!), i piccoli esercenti commerciali rischieranno di chiudere le loro attività commerciali a causa, appunto, della burocrazia e delle imposizioni che avete introdotto nella parte più importante del provvedimento. Evidentemente, ciò favorisce la presenza della grande distribuzione commerciale, che tutti sappiamo essere dominio delle cooperative di consumo, da una parte, e dei francesi, dall'altra (è indubbio che questo Governo è «suddito» della comunità francese e che la manovra in esame va anche in quella direzione).
Qual era l'urgenza? Quella dei conti pubblici, che presentavano un «buco» di migliaia di miliardi di euro? No: ho spiegato che la manovra influisce sui conti pubblici per 1,2 miliardi di euro. L'urgenza consisteva nel liberalizzare il mercato dei panificatori e dei tassisti? Mi sembra eccessivo: anche aspettando sei mesi, non sarebbe successo nulla. Forse, l'urgenza riguardava quella che ho già definito la parte più importante del provvedimento: la parte fiscale, che serviva a mettere sotto controllo la parte del sistema produttivo di questo paese che, probabilmente, non vi ama, non vi stima e, forse, nella gran parte dei casi, non vi ha votato!
Avete calpestato la Costituzione (parleremo diffusamente, in seguito, dell'incostituzionalità del decreto-legge). La riforma del titolo V della Costituzione, che avete approvato nel 2001, demanda alle regioni tutta una serie di competenze: una dellePag. 31più importanti è il commercio. Eppure, non ho sentito grandi critiche, da parte delle regioni, riguardo ad un provvedimento che ha tolto loro una competenza esclusiva in un periodo che non è più quello del carovita (2002-2003)! Essendo stato per cinque anni al Ministero delle attività produttive, a capo del quale lei siede oggi, ministro Bersani, so che in quegli anni le regioni hanno contrastato con grande forza qualsiasi possibilità di intervenire, da parte del nostro Governo, nelle materie legate al commercio. Poiché oggi controllate 18 regioni su 21 tutto questo avete potuto farlo! Quanto alle altre due grandi regioni (della nostra coalizione), garantite che troverà applicazione il nuovo titolo V della Costituzione e che tutto ciò che chiederanno sarà concesso (lo dite, ma verificheremo nei fatti).
Questo è sicuramente un tema importante. Riguardo al commercio, signor ministro, sa dove si pone il problema della competitività? In Umbria, in Toscana, in Emilia-Romagna, dove il monopolio delle cooperative di consumo è totale, dove i cittadini consumatori pagano i prodotti che acquistano nei supermercati il 20 o 30 per cento in più rispetto ai prodotti venduti dai supermercati più competitivi e concorrenziali della Lombardia, del Veneto e del Piemonte. Lì bisognava intervenire se si voleva veramente svolgere un'azione a tutela dei consumatori! È in Emilia-Romagna o in Toscana che si fa fatica a trovare un supermercato che non sia Coop o Conad, non in Lombardia, Piemonte, Veneto o altre regioni, dove si possono trovare altri dieci marchi!
Quindi, signor ministro, penso che con il provvedimento al nostro esame lei abbia voluto svolgere, rispetto ai temi veri e più importanti della nostra economia, un'azione di mera facciata. Insomma a me è sembrato che il provvedimento sulle liberalizzazioni sia stato una azione mirata a colpire un elettorato non proprio cercando di dare un segnale di sinistra, facendo prevalere uno dei vostri sentimenti maggiori: quello dell'invidia.
Sul tema delle assicurazioni, avete introdotto anche qui qualcosa di fortemente illiberale, perché voi avete costretto una azienda ad avvalersi di una rete di vendita fatto da plurimandatari, quindi avete violato con ciò la Costituzione italiana, che dice con chiarezza che l'attività d'impresa deve essere svolta in piena autonomia e libertà da parte dell'operatore.
Voi, col vostro provvedimento, che è in contrasto con le direttive europee in modo totalizzante, avete obbligato le compagnie di assicurazione ad usare una rete agenziale plurimandataria.
Ma questo che cosa vuol dire? Vuol dire che voi state dicendo ai cittadini consumatori che c'è da fidarsi di più, ad esempio, dell'agente Valducci (che secondo voi non è interessato a guadagnare di più, nel cercare di vendere prodotti che a lui fanno tornare in tasca più soldi di provvigione), rispetto, magari, al marchio Generali, o rispetto al marchio RAS, o rispetto al marchio di tutte le altre aziende presenti nel comparto assicurativo. E voi pensate che in questo modo avete migliorato il livello di competitività del settore delle assicurazioni?
Sappiamo benissimo che il problema delle assicurazioni in questo paese consiste sicuramente in una bassa competitività legata anche ai numeri di sinistrosità, alle cause legate ad incidenti di micro lesioni alle persone, che hanno fatto lievitare i costi dei sinistri in tutti questi anni.
Quindi è li che bisogna intervenire, non certo sul problema del mandato agenziale che, ribadisco, sicuramente subirà la procedura di infrazione europea, in quanto lede una primaria libertà di un operatore economico.
Mi soffermerò ora sulla cosiddetta «parte Visco» del decreto. Sulla parte che riguarda il rilancio dell'economia non mi soffermo neanche, perché lì veramente è stato indicato solo il titolo. Se si leggono i titoli dei tre grandi capitoli di questo provvedimento, sembra che esso risolva tutti i problemi del paese. Evidentemente ciò non è, anzi li aggrava, ma sulla «parte Visco» mi vorrei soffermare per almeno tre argomenti: il primo riguarda il comparto immobiliare. Vede, signor ministro, signori colleghi di Governo, voi avete fattoPag. 32qualcosa che dovrebbe essere oggetto dell'attenzione di tutte le procure d'Italia, se le procure fossero libere. Perché? Perché in soli due giorni avete fatto crollare i titoli delle società immobiliari presenti in Borsa, presso le quali investono centinaia di migliaia di risparmiatori italiani, di circa un terzo del loro valore (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega Nord Padania)!
Dopo 48 ore avete comunicato che cambiavate il contenuto di quella parte, e nel giro di 48 ore quei titoli hanno recuperato un terzo! Adesso voi ci rispondete che la Consob sta verificando se ci siano stati degli abusi, se ci siano state delle azioni di aggiotaggio. Vedete, il Governo di un paese non è una compagnia di circolo di un qualsiasi circo nazionale che può commettere errori. Prima di scrivere i contenuti di un decreto-legge, bisognerebbe essere molto attenti. Qui, nel mercato immobiliare, rispetto alla finalità di voler colpire in questo settore i «furbetti del quartierino», si è di fatto minata in modo assolutamente irrimediabile la possibilità di uno sviluppo del mercato immobiliare stesso al quale molti investitori stranieri avevano guardato con grande interesse per poter investire i loro capitali. Ebbene, questi investitori stranieri, dopo il vostro provvedimento, non ci pensano neanche più di venire in Italia ad investire in questo mercato!
Voi sapete - o dovreste sapere - quanto questo mercato sia importante non solo per i cittadini, ma anche per lo Stato e per le istituzioni, che hanno una proprietà immobiliare ingente e importante, che è stata già ormai da molti anni venduta al privato e che doveva e poteva essere ulteriormente venduta ai privati, se solo ci fosse stato un mercato immobiliare che non avesse ricevuto un colpo mortale come quello che voi avete dato con questo provvedimento. Avete inserito di fatto, nella prima versione, una patrimoniale del 10-15 per cento sul valore immobiliare, che grava non solamente sui «furbetti del quartierino», ma anche su tutti noi cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)! Il mercato immobiliare poi ha dato il «la», affinché in questi due mesi possiate conseguire con certezza un grande risultato. Penso che la Federazione elvetica vi darà un premio su questo, perché i loro conti correnti, negli ultimi mesi, hanno avuto incrementi a due cifre come non avevano ormai da diversi anni: moltissimi capitali che stavano entrando nel nostro paese, sono poi fuggiti nuovamente verso altre mete ed altri investimenti.
Per fortuna, nella seconda fase della vostra azione comunicazionale rispetto a questo decreto, non avete più detto che colpivate le banche. Nella prima fase di propaganda del provvedimento dicevate infatti che anche le banche sarebbero state colpite, perché avrebbero dovuto comunicare gli aumenti e non fare più pagare le chiusure dei conti correnti; ma le banche con queste disposizioni hanno ricevuto da voi un grande regalo, perché costringete tutti ad andare con libretti degli assegni e carte di credito a pagare i professionisti, anche per parcelle di 100 euro, con la motivazione - nel vostro retropensiero, devo dire un po' anomalo - che in questo modo combatterete l'evasione e l'elusione fiscale. Pensate davvero che questa misura vada in quella direzione? Non è assolutamente così: infatti, chi andava da un professionista e si faceva rilasciare una ricevuta, agiva in questo modo perché otteneva il recupero del rimborso rispetto alla copertura assicurativa personale di una determinata prestazione sanitaria, non certo perché voleva contrastare l'evasione fiscale. Dunque, oggi, se un singolo cittadino non vuole dichiarare ai quattro venti che si reca da un neurologo, da un dentista, da un oncologo o da un altro medico, sarà costretto a pagare in contanti e a lasciare tutto in nero. In caso contrario, dovrà andare in giro con i documenti bancari e per ogni transazione bancaria far guadagnare all'istituto di credito da uno a cinque euro. Pensate che regalo avete fatto al sistema bancario italiano! Ma non basta: io dovrò far sapere tutti i miei malanni fisici al mondo intero. Voi, tutori e padri fondatori della privacy, avetePag. 33calpestato bellamente l'istituto della riservatezza, con poche voci che si sono alzate contro questo provvedimento.
Così, avete costretto tutti i professionisti, a loro volta, a pagare con gli strumenti bancari. Saranno quindi contente tutte le società del parabancario che mettono a disposizione tali strumenti elettronici per poter far incassare con carte di credito e quant'altro, senza contare tutti i rischi che vi sono rispetto a questo tipo di pagamenti. Penso inoltre ai molti esercenti commerciali e professionisti che, talvolta, non conoscendo il proprio cliente, preferiscono altre forme di pagamento rispetto a queste che possono risultare non onorate al momento in cui si va ad incassare.
Dunque, si è parlato del «Grande fratello» e di un decreto Visco che colpisce tutti cittadini che in questo paese hanno una attività di lavoro autonomo, rispetto a coloro che hanno un'attività di lavoro dipendente. Qui si parte dal presupposto che tutti noi - visto che anche noi siamo lavoratori autonomi - siamo persone con una propensione al crimine, quanto meno a quello fiscale, superiore alla media. Come se, in questo paese, non vi fossero esempi eclatanti di lavoratori dipendenti che magari lavorano presso un pubblico impiego la mattina e che, giustamente, arrangiano il loro stipendio con attività che svolgono il pomeriggio! Non si può pensare - come avete fatto voi - che, rendendo il fisco arbitro di tutto l'andamento economico produttivo della società italiana, si risolvano i problemi!
Noi avevamo cercato di instaurare un meccanismo più oggettivo nel rapporto tra fisco, imprese e cittadini. Voi avete modificato tale rapporto, rendendolo più arbitrario. Anch'io, pertanto se effettuerò una transazione immobiliare, potrò essere perseguito e analizzato dal fisco, perché il valore da me denunciato, comunque, non ha alcuna considerazione oggettiva. In precedenza, se rispetto ad un immobile si dichiarava un certo valore con una rendita catastale rivalutata, non si era soggetti ad accertamento. Oggi, anche se dovessi vendere l'immobile ad un valore superiore rispetto alla media di mercato, potrei essere soggetto ad accertamento. Questa è la vostra mentalità: io Stato voglio controllare ed essere in grado di dire se Mario Valducci è un cittadino per bene o no; è chiaro poi, che, se non vota a favore di una parte è un po' meno per bene e, quindi, sicuramente è uno degli indagati. Questo è l'approccio che avete invertito con questo decreto-legge, che è molto pericoloso per l'andamento della nostra economia e del nostro sistema produttivo!
Il nostro sistema produttivo è nato, cresciuto e si è sviluppato fondamentalmente su ciò che definiamo il «petrolio» della nostra economia: i piccoli e medi imprenditori, i professionisti, le partite IVA, i lavoratori autonomi. Questo paese ha sicuramente un tenore di vita reale superiore a quello che appare dai numeri ufficiali. Questo fenomeno si è sviluppato in sessant'anni di storia e dovrà essere modificato, cercando di giungere ad un meccanismo di maggiore equità fiscale nella nostra società. Ma non possiamo pensare che questo meccanismo si possa modificare in pochi giorni o in pochi mesi. Ciò richiede un andamento dell'economia diverso rispetto a quello degli ultimi mesi, e richiede uno stato dell'indebitamento pubblico del nostro bilancio diverso da quello attuale. Sicuramente, dobbiamo rettificare l'imposizione fiscale riducendola e facendo pagare tutti. Voi, con una parte della manovra legata al cosiddetto decreto-legge Visco, avete voluto dare un'accelerazione a questo processo, rischiando di compromettere in modo mortale l'economia di questo paese. Infatti, quest'ultima è fatta, per il 90 per cento, da piccole imprese che hanno meno di 9 dipendenti, dalle partite IVA e dai lavoratori autonomi.
Mi auguro che questo provvedimento non giunga in porto, non tanto per favorire questa o quella categoria economica del nostro paese, magari anche un po' privilegiata...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MARIO VALDUCCI. Mi auguro che questo provvedimento non venga approvatoPag. 34dall'Assemblea, perché sicuramente porterà la nostra economia verso il declino, verso una decomposizione dello Stato sociale, del nostro sistema produttivo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Sono iscritti a parlare altri tre deputati. Al termine di tali interventi avranno luogo le repliche dei relatori e del Governo. Sospenderemo, quindi, la seduta, che riprenderà alle 15,30, con l'esame ed il voto sulle questioni pregiudiziali presentate.
È iscritto a parlare il deputato Nardi. Ne ha facoltà.
MASSIMO NARDI. Signor Presidente, onestamente, a me è dispiaciuto l'atteggiamento della maggioranza, che ha bollato gli interventi della minoranza come ostruzionistici. Non era questa la volontà dei colleghi dianzi intervenuti, almeno per quanto riguarda la Casa delle libertà; infatti, gli interventi succedutisi hanno in qualche modo dimostrato come l'obiettivo fosse mettere in evidenza alcune anomalie. Semmai, il problema è comprendere se tali anomalie, denunciate con tanta passione da alcuni banchi della minoranza, possano ricevere, se non ascolto, almeno un minimo di attenzione da parte di quei colleghi che, facendo parte della maggioranza, possono, attraverso tali osservazioni, immaginare di modificare qualcosa.
Modificare qualcosa: sembrerebbe facile in un'aula parlamentare; sembrerebbe una delle prerogative specifiche che possa e debba avere un deputato. Ma in questa sede, in quest'aula parlamentare, tale prerogativa non sembra attuabile in quanto la logica che ci governa è subire pedissequamente gli atti approvati dal Senato; un'eventuale modifica degli stessi comporterebbe una nuova lettura da parte dell'altro ramo del Parlamento, con la possibilità che i provvedimenti vengano poi «impallinati» al Senato.
Dunque, sostenere che gli interventi sin qui svolti alla Camera dei deputati hanno il solo scopo di essere elemento di ostruzione all'approvazione del provvedimento mi sembra quanto meno ingeneroso. Intanto, perché, per quanto mi riguarda, cercherò di contenere il mio intervento ben al di sotto dei trenta minuti concessimi; peraltro, mi condurrò in tale modo non perché ritenga così di dimostrare la correttezza delle considerazioni sin qui espresse, bensì perché, in linea di principio, la Democrazia cristiana-Partito socialista, rispetto al problema delle liberalizzazioni, non manifesta una contrarietà pregiudiziale. Anzi, chi, come me, viene dalla Democrazia cristiana sa che ha sposato fino in fondo il principio del capitalismo e, di conseguenza, la libertà di mercato quale strumento di governo del nostro paese; sarebbe pertanto difficile oggi immaginare di vedere i Democratici cristiani schierati su altre posizioni.
Vi è, naturalmente, la necessità di un temperamento del liberismo e la necessità, altresì, di identificare quali siano i mali che tale liberismo eventualmente determina; vi è però anche la consapevolezza che solo attraverso tale strumento si può e si deve giungere ad una capacità di calmierare il mercato. Solo attraverso tale strumento, infatti, si possono offrire ai cittadini prodotti a costi minori ed una maggiore scelta per soddisfare le proprie necessità; il problema, nel caso del provvedimento in esame, è che alcuni aspetti ci sembrano oggettivamente difficili da comprendere. Per esempio, come qualcuno ha ricordato negli interventi che mi hanno preceduto, taluni silenzi da parte delle regioni sono difficilmente spiegabili, se non sulla base delle logiche di partito e di coalizione che impongono di soggiacere dinanzi ad input che vengono dall'alto e che contrastano con il rispetto delle competenze. È sotto gli occhi di tutti come, oggettivamente, le regioni si siano trovate ad essere espropriate delle loro competenze nell'ambito del commercio e dei servizi; eppure, non si leva alcuna voce per denunciare tale situazione né si conduce alcuna battaglia, come invece si è fatto in passato. Si subisce, e anzi si plaude all'iniziativa del Governo.Pag. 35
È ovvio che, se non ci fosse una giustificazione di tipo superiore, ben difficilmente determinati comportamenti potrebbero essere in qualche modo accettati o accettabili dalle realtà regionali.
Però, ho chiarito all'inizio che il mio intervento non vuole essere di tipo ostruzionistico e non lo è stato neanche nella sua elaborazione; esso, infatti, aveva uno scopo specifico, almeno quando l'ho immaginato. Avevo ricevuto un mandato da parte di alcuni colleghi e da parte di alcune categorie sociali, le quali si sentono fortemente penalizzate da questo provvedimento; sulla base di tale mandato, avrei dovuto richiamare l'attenzione del Parlamento su alcuni aspetti che a loro giudizio devono essere valutati con più attenzione da parte di questo Governo, di questo Parlamento e di questa nazione.
Ero e sono qui a cercare di testimoniare, attraverso alcune considerazioni, il disagio, forte, importante e significativo, che alcune categorie stanno vivendo. Ne sono state citate alcune, dai panificatori agli avvocati, ai tassisti, ma la mia volontà è quella di far soffermare l'attenzione del Parlamento su quanto sta capitando ai farmacisti e alle farmacie. Ecco perché, nella fattispecie, mi accingo a leggere un elaborato che credo possa essere utile per far capire, magari con argomentazioni migliori, quali sono gli aspetti che preoccupano i farmacisti.
Signor Presidente, signor ministro, il decreto-legge Bersani introduce rilevanti modifiche nel settore dei farmaci e delle farmacie, ma introduce anche grandi novità su altri fronti. Il primo tipo di novità riguarda il nuovo sistema di formazione delle leggi introdotto dalla sinistra: la concertazione a posteriori e a targhe alterne. Questa novità, voluta dal Governo Prodi, prevede che norme che modificano in profondità un settore di attività vengano varate con un decreto-legge - sul quale, a scanso di equivoci, viene posta la questione di fiducia in Parlamento - e, solo in un secondo tempo, a decreto già varato e, quindi, legge a tutti gli effetti, si procede ad un confronto con le categorie interessate, le cui osservazioni vengono recepite un giorno sì e uno no. In particolare, gli accordi si fanno solo con le categorie assistite dall'intermediario giusto; nel caso in cui la categoria non abbia alcun santo in paradiso, il Governo fa la faccia dura e non cambia una virgola.
La seconda novità riguarda le modalità di attuazione delle riforme. Gli interventi strutturali vengono attuati con procedura d'urgenza per decreto-legge, varato ad un mese dalla chiusura del Parlamento per la pausa estiva, senza quindi spazio per il dibattito. Bisogna fare presto, la COOP ha già preparato 250 punti vendita dei farmaci nei propri ipermercati: la democrazia può attendere, i supermercati no! Per la sinistra, evidentemente, la discussione ed il confronto sono roba vecchia, che si faceva una volta nelle sezioni di partito e che si pratica oggi solo in qualche assemblea di condominio.
La terza novità è relativa al varo di misure che riguardano specifici settori di attività da parte di un ministro che non ha alcuna competenza in materia. Il decreto-legge in esame cambia completamente le modalità di distribuzione dei farmaci e l'assetto delle farmacie, ma senza che il ministro della salute vi abbia messo del suo o abbia potuto dire una sola parola in materia, salvo adeguarsi a cose fatte, dopo la prima fiducia ottenuta dal provvedimento in parola al Senato. Anche in questo caso, forse, si può parlare di concertazione a posteriori.
Con queste premesse, è forse inutile entrare nel merito della questione. A che pro tentare un dibattito sul sistema italiano di distribuzione dei farmaci, quando ormai tutto è stato deciso altrove, fuori dalle aule parlamentari? Ha un senso sottolineare che l'apertura di punti vendita di farmaci senza ricetta nei grandi supermercati ci lascia presupporre l'apertura di nuove farmacie all'interno delle COOP e di altri esercizi delle grandi catene distributive? Ha un senso denunciare che in tal modo si mette a rischio la sopravvivenza di tante piccole farmacie che garantiscono il servizio nei centri minori del nostro paese e che non possono competere con i colossi della grande distribuzione? GliPag. 36abitanti dei piccoli comuni contano ancora qualcosa o hanno diritto a vivere in salute solo se abitano nei pressi di un ipermercato? Le persone anziane che non hanno la macchina e non si possono spostare dove compreranno le medicine? Interessa a qualcuno della maggioranza il fatto che le nuove norme danno il via libera alle catene di farmacie gestite dalle multinazionali della distribuzione intermedia che, come è avvenuto in altri paesi europei, sono pronte ad acquisire quante più farmacie possibili per controllare il mercato? È questa la concorrenza che si vuole?
Il ministro Bersani si nasconde dietro l'esigenza di dare un'occupazione ai laureati in farmacia, ma la laurea in farmacia oggi è una di quelle che garantisce le maggiori possibilità occupazionali. A 5 anni dalla laurea, come risulta dall'indagine condotta dal consorzio Almalaurea, oltre il 93 per cento dei farmacisti ha trovato un lavoro stabile. Quale tipo di prospettiva si vuole dare ai laureati in farmacia? Un lavoro da commessi in un supermercato, magari con contratto a tempo e con lavoro precario? Oppure li si vuole illudere con il sogno di aprire un negozietto di articoli sanitari che vende anche qualche medicinale a prezzi che non potranno mai essere competitivi con quelli praticati dai supermercati e dalle stesse farmacie?
Nessun altro paese europeo ha scelto la strada che si appresta a prendere l'Italia; nessun paese europeo ha previsto la vendita dei medicinali senza ricetta medica nel supermercato con il farmacista. Tutti i paesi che hanno deciso di far vendere i farmaci da banco anche in esercizi diversi dalle farmacie lo hanno fatto individuando un elenco di medicinali a basso rischio che possono essere venduti, magari in condizioni ridotte, in tutti gli esercizi commerciali, senza il farmacista. Il modello europeo tanto caro a Prodi e compagni in questo caso non va bene, perché garantisce il facile e diretto accesso al farmaco quando ne esiste la reale necessità, mentre l'obiettivo del Governo italiano è quello di garantire l'accesso al farmaco solo negli ipermercati, nelle grandi catene nazionali e internazionali, a cominciare dalla Coop.
Il Governo non ha dovuto fare neanche tanta fatica, ha copiato la proposta di legge sostenuta dalla Coop e l'ha inserita nel decreto-legge: più facile di così! Ma è veramente tutto così facile? Tutti i prezzi delle medicine da banco, d'incanto, scenderanno veramente? E di quanto? Oppure a buon prezzo troveremo solo le medicine a marchio Coop? Non ci sarà un aumento dei consumi dei farmaci? I consumatori vivranno felici nel paese di Bengodi? A che pro perdere tanto tempo in Parlamento? Sospendiamo tutto e facciamo partire i consigli per gli acquisti: aspirine, sciroppi e supposte in offerta speciale, prendi tre e paghi due! Affrettatevi, le offerte stanno per finire, i medicinali stanno per scadere, i supermercati non li possono buttare, buttateli voi a casa vostra.
Perché tutta questa fretta, ministro Bersani? Perché ha rifiutato un confronto serio con i farmacisti e con i medici, delegandolo solo in un secondo momento al ministro competente, onorevole Turco, quando tutto era da lei definito come immodificabile? Si è così sicuri che tutto funzionerà alla perfezione e che la salute dei cittadini sarà pienamente tutelata? Quando si decise di consentire la vendita dei libri e dei quotidiani nei supermercati, fu attuata una sperimentazione per valutare gli effetti di questo intervento, che aveva la finalità di far aumentare il numero dei lettori. Si decise, poi, di porre un limite agli sconti effettuabili sui libri per non mettere in crisi le librerie tradizionali, ma i giornali vengono venduti allo stesso prezzo sia in edicola che al supermercato o all'autogrill. Oggi, con un bene molto più delicato come il farmaco, non si prende nemmeno in considerazione l'ipotesi di prevedere una fase sperimentale, di contenere l'impatto dell'intervento sulle farmacie, soprattutto quelle piccole. Non si tiene in minimo conto il fatto che, se è positivo favorire la vendita di libri e giornali, non altrettanto positivo è favorire l'aumento del consumo dei farmaci.
Questa fretta, ministro Bersani, è sospetta. Qualcuno, forse, deve andare inPag. 37vacanza tranquillo, avendo già approntato tutto per il rientro dopo le ferie. Il tempo è denaro, non si può perdere inutilmente qualche mese di guadagni per dare tempo al Parlamento di approfondire la questione, al ministro della salute di valutare la composizione degli elenchi dei farmaci interessati, agli operatori di condividere le scelte e dare il proprio contributo al miglioramento del sistema!
Nella passata legislatura il centrosinistra accusava l'allora maggioranza di varare a tappe forzate leggi ad personam, ma questo provvedimento, ministro Bersani, che cos'è, se non una legge «cucita» su misura? Abbiate almeno l'onestà di confessarlo, senza trincerarvi dietro gli interessi dei cittadini o le questioni occupazionali e, soprattutto, senza prendere in giro il Parlamento. Questo è quello che noi vi chiediamo, questo è quello che vi chiedono i farmacisti d'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi della Democrazia Cristiana-Partito Socialista e di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zinzi. Ne ha facoltà.
DOMENICO ZINZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prendiamo atto dell'assoluta indifferenza con cui il Governo e la maggioranza si accingono ad accogliere le nostre osservazioni. A causa poi del ricorrente ricorso al voto di fiducia, viene vanificato il contributo dei gruppi e dei singoli parlamentari che, nell'esercizio del loro mandato, hanno il compito di rappresentare all'esecutivo le vere e reali istanze ed esigenze della collettività.
Ritengo che il contenuto delle norme in esame non consentisse né consenta il ricorso alla decretazione d'urgenza, utilizzata dal Governo per disciplinare materie che incidono significativamente su importanti categorie di lavoratori e professionisti.
Con il ricorso alla decretazione d'urgenza vi è stata una chiara e palese violazione dell'articolo 4 della legge 27 luglio 2000, n. 212, il cosiddetto statuto dei contribuenti, laddove, con norma ritenuta di valenza costituzionale, viene sancito il divieto di disporre con decreto-legge in materia tributaria e fiscale: è evidente l'intendimento di vessare categorie di lavoratori autonomi lontani dalla posizione del Governo in carica.
Affido agli atti parlamentari i rilievi che mi accingo a sollevare su alcuni punti del decreto-legge in discussione.
Brevi considerazioni vanno svolte in ordine alla mimetizzazione delle norme fiscali contenute nel decreto-legge che, con toni punitivi, come peraltro da costante e consolidato orientamento del titolare della delega alle finanze, vengono, ancora una volta, a colpire la vasta platea dei contribuenti, senza peraltro rimuovere le vistose disparità di trattamento tuttora presenti nel contesto normativo tributario vigente.
A tale proposito, una considerazione viene spontanea: atteso che si afferma che la finanza pubblica sarebbe in precarie condizioni di stabilità, l'eliminazione di gran parte dell'elusione fiscale potrebbe ricondurre se non al pareggio, almeno ad un parziale riequilibrio dei conti pubblici. A tale riguardo, su Il Sole 24 Ore del 4 luglio 2006, il direttore di quel quotidiano, Ferruccio De Bortoli, giornalista apprezzato per il suo equilibrio e la sua competenza professionale, all'esito della pubblicazione del decreto-legge in esame, formulava un'attenta critica al contenuto della norma e poneva delle domande, rimaste senza risposta, in ordine ai privilegi fiscali, definiti medievali, conservati per alcune categorie vicine all'attuale maggioranza parlamentare. La critica sollevata non ha avuto riscontro, così come le nostre censure, puntualmente mosse nel corso del dibattito svoltosi al Senato.
Venendo al merito del provvedimento ed affrontando alcuni aspetti del decreto-legge che, in maniera significativa, incidono sui rapporti tributari, ancora una volta in evidente e palese contrasto con le norme contenute nello statuto del contribuente, si è conferita retroattività alle norme fiscali. Infatti, il divieto della retroattività, sancito dal precetto normativo, viene clamorosamente violato in molteplici punti della seconda parte del decreto, ma, in maniera evidente, dall'articolo 37,Pag. 38comma 5, laddove si prevede un termine, sia pure spostato con un emendamento approvato nel corso della discussione al Senato, ma pur sempre retroattivo, al 1o gennaio 2005, nei confronti delle banche, delle poste e di ogni altro operatore finanziario per comunicare all'anagrafe tributaria l'esistenza di qualsiasi rapporto intrattenuto con la clientela.
La proposta è in sé iniqua, atteso che il contribuente, in presenza di contestazioni fiscali riguardanti periodi pregressi, non potrà essere in grado di ricostruire la movimentazione bancaria, non essendoci al riguardo, dal 1o gennaio 2005 al 4 luglio 2006, alcuna norma che ne richiedeva la giustificazione, esponendo in tale modo i cittadini contribuenti a probabili, ingiuste ed ingiustificate pretese fiscali dell'amministrazione finanziaria.
Va altresì evidenziata l'illogicità dell'articolo 37, comma 1, laddove, con assoluta disinvoltura, si trasformano la figure del curatore fallimentare e del commissario liquidatore da pubblici ufficiali ad imprenditori commerciali, imponendo loro l'obbligo di effettuare sui pagamenti le ritenute fiscali.
Meritano altresì severe censure l'articolo 35, comma 12, e l'articolo 36, comma 2. Con la prima disposizione, viene introdotta l'obbligatorietà, per i liberi professionisti e gli artigiani, della gestione delle spese e della riscossione dei compensi attraverso un conto bancario e l'incasso delle competenze professionali esclusivamente con assegni non trasferibili, ovvero con bonifici bancari per importo superiore a cento euro, con decorrenza 1o luglio 2008 e per importi superiori scadenzati nel tempo fino a tale data. Con la seconda disposizione, il valore di terreni ai fini dell'imposta sul valore aggiunto e per la determinazione dell'imponibile ai fini dell'imposta comunale sugli immobili sarà ragguagliato a quello delle aree fabbricabili, indipendentemente dall'approvazione dello strumento urbanistico da parte delle regioni, ma solamente in base all'adozione del piano, con l'evidente conseguenza che il tributo sarà versato con riferimento ad un valore non effettivo, bensì del tutto virtuale e di gran lunga superiore a quello reale. La palese iniquità di tale costruzione giuridica si commenta da sola.
In conclusione, per l'evidente incostituzionalità delle norme in esame, per l'evidente perversità del provvedimento che, tra l'altro, contiene molteplici ed inutili adempimenti burocratici addossati ai contribuenti, negheremo il nostro consenso all'approvazione del provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pedrizzi. Ne ha facoltà.
RICCARDO PEDRIZZI. Signor Presidente, mi consenta, prima di iniziare il mio intervento, di ringraziare il collega Moffa, che, pur essendosi iscritto a parlare prima di me, mi ha ceduto il turno e mi dà l'onore di parlare a nome e per conto di Alleanza Nazionale.
Su questo decreto-legge gravano due problemi, uno di merito e l'altro di metodo. Affronto quello di metodo anzitutto, che non ha visto il coinvolgimento e nemmeno un minimo di confronto con la politica, con le parti interessate e con le categorie. Infatti, la concertazione è, per Prodi, una regola aurea solamente in linea di principio; poi, in concreto, non si fa concertazione con quelle categorie e con quei ceti sociali che non fanno riferimento al centrosinistra.
Vi è, poi, come dicevo, un problema di merito. Non si può partire dall'anello più debole della catena, tralasciando i grandi monopoli, energia, municipalizzate e Poste. Ciò significa non avere il coraggio politico e ciò lo riconosce persino Giancarlo Sangalli, segretario generale della CNA, la Confederazione degli artigiani vicina alla sinistra, che ha detto, proprio recentemente, che le misure adottate sono poco incidenti sui grandi monopoli. Non mi pare che il problema dell'Italia siano i pochi taxi - dice Sangalli - Al Governo chiediamo coerenza. Il giorno prima ci dice che il metodo sarà quello della concertazione.Pag. 39Noi apprezziamo. Il ministro Bersani ci convoca, ci parla di dati economici e, poi, appena lasciamo il tavolo, annunciano la liberalizzazione. Così non va. E, poi, Sangalli critica anche la forma utilizzata come strumento legislativo, il decreto-legge che, per sua natura, non prevede un periodo di confronto. In pratica, poggiare una pistola sul tavolo del negoziato non è proprio un gesto che ben dispone la controparte!
Questa, diciamo la verità, è una manovra ispirata al sacro furore dell'ideologia, che mette nel mirino quattro o cinque nemici e spara a zero, sperando negli applausi del popolo. Professionisti, tassisti, farmacisti, assicuratori, panificatori e commercianti sono indicati, come si faceva nel corso della Rivoluzione francese, come veri e propri nemici del popolo, che devono essere spogliati dei loro privilegi e, quindi, vanno colpiti e mortificati.
Queste categorie devono essere tanto più colpite e mortificate quanto più sono considerate vicine al centrodestra. Certo, l'Italia ha bisogno di liberalizzazioni; ma l'idea di punire i ceti medi, settore laborioso come pochi altri e collante della società, non è proprio accettabile. Non ci stiamo riferendo, infatti, alla borghesia capitalista, alla grande borghesia, secondo l'accezione ed il significato che di essa dava Charles Péguy; non stiamo parlando di quella borghesia capitalista che, secondo il pensatore cattolico del secolo scorso, aveva infettato il popolo di spirito borghese e capitalistico. Ci riferiamo, invece, a quella borghesia laboriosa, la piccola borghesia, che è diventata la più sfortunata di tutte le classi sociali, la sola che - come diceva Péguy - oggi lavori davvero, che abbia conservato intatte le virtù operaie e che, in contraccambio, vive realmente in difficoltà.
Allora, come superare l'impasse? Innanzitutto, facendo ciò che il Governo Prodi non ha fatto, cioè consultando le categorie colpite e preparando con queste una strategia che non ostacoli le liberalizzazioni. Si dovrebbe agire, quindi, con la leva fiscale, identificando i danni che si infliggono con i nuovi provvedimenti e intervenendo con mirate riduzioni fiscali per i settori interessati. Altro modo per contenere i danni sarebbe potuto essere quello di assicurare ai colpiti alcune garanzie: più facile accesso alle nuove licenze per i tassisti che già ne siano titolari, nuove possibilità di iniziativa per notai, farmacisti e così via. Certo, qualcosa deve iniziare a fare anche il ceto medio, non ce lo nascondiamo affatto. Innanzitutto, i vari rappresentanti del ceto medio devono intraprendere l'attività politica, nell'ottica non tanto di difendere assetti corporativi che non possono durare a lungo ma di impedire che verso di loro si applichi una strategia generalizzata di demonizzazione. Poi, devono passare all'attacco per difendere i loro diritti, che non sono privilegi. I ceti medi, cioè, devono porsi il problema di liberalizzare veramente tutta la società.
Si pensi al pubblico impiego e alle paralizzanti influenze politiche e medianiche delle grandi banche. Al riguardo, è stato ricordato, in questa Assemblea, il favore che è stato fatto alle grandi banche ed a tutto il sistema bancario italiano introducendo l'obbligo, anche per il pensionato e per l'operaio, di aprire un conto corrente bancario: milioni di conti correnti saranno aperti a seguito della emanazione di queste nuove norme. Considerate, inoltre, che tutti i professionisti saranno costretti ad avere almeno due conti correnti, l'uno per lo studio professionale e l'altro ad uso privato. Insomma, saranno aperti milioni di conti correnti e questo è veramente un grande favore che è stato fatto alle banche e al sistema bancario italiano.
Si pensi, poi, a tutti quei settori ai quali, in questi ultimi cinque, hanno fatto riferimento le autorità garanti della concorrenza. Nel settore dell'energia, il presidente dell'Autorità garante ha ammonito sulla assoluta necessità di aprire il mercato dell'import metanifero, monopolizzato dell'ENI, costruendo grandi rigassificatori, e sul pericolo di non rendersi conto che, nel settore dell'energia elettrica, esiste un retaggio del passato che appare oggi in contraddizione con il nuovo contesto di liberalizzazione.Pag. 40
Che dire, poi, del sistema di affidamento a trattativa privata e senza gara dei servizi locali? Riferendosi esplicitamente alle concessioni per i trasporti e all'affidamento in house dei servizi idrici, nonché, implicitamente, ai servizi informatici, Catricalà ha affermato che persistono ambiti estesi di inefficienza e di concorrenza limitata. Tuttavia, l'elenco potrebbe continuare.
Basterebbe leggere le segnalazioni effettuate dal Garante della concorrenza negli ultimi anni: dall'entrata in vigore della legge sull'antitrust, nell'ottobre 1990, l'Autorità ha inviato quasi 300 segnalazioni e, soltanto negli ultimi cinque anni, le segnalazioni al Parlamento sono state 131.
Si va dal mercato del noleggio di dvd e videocassette alle normative in materia di condomini, dal mercato di accesso alle reti telefoniche alla disciplina dei servizi sostitutivi, dalla formazione dei prezzi di frutta e verdura alla liberalizzazione dei servizi aeroportuali. Tanto per fare un esempio, l'ultima segnalazione dell'antitrust prende di mira la delibera della giunta comunale capitolina sul piano dei bus turistici nel centro di Roma. Anche la scelta dei concessionari dei lavori pubblici è stata affidata a trattativa privata per una percentuale pari all'80 per cento, mentre la licitazione privata ha interessato solo il restante 20 per cento, con una violazione della legge sui lavori pubblici.
L'attuale disciplina sui servizi catastali limiterebbe in maniera ingiustificata il diritto di riutilizzo dei dati pubblici, ma il consumatore, tanto caro e tanto citato in questi giorni, doveva essere tutelato perlomeno a casa sua. L'Autorità prevedeva di limitare l'albo degli amministratori di condominio.
Ampio, poi, il capitolo delle telecomunicazioni. Per esempio, per i cellulari, veniva evidenziato che ciascun operatore di rete mobile risulta in posizione dominante sul mercato della terminazione vocale sulla propria rete, detenendo su di essa una quota del 100 per cento. Per i prezzi dei prodotti agro-alimentari l'Autorità era intervenuta sul Governo, che stava per varare un provvedimento sulla definizione del processo di formazione dei prezzi, ma gli interventi si erano estesi persino alle gare di appalto sui buoni pasto. Se il Presidente me lo consente, potrei lasciare agli atti l'elenco completo di tutte le segnalazioni degli ultimi anni, che sono centinaia, come dicevo, alle quali non sono mai state date risposte.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, veniamo adesso alla manovra strettamente detta. Questa «manovrina» è grande negli annunci e nelle previsioni della due diligence, ma è piccola alla prova dei fatti. La manovra correttiva corregerà veramente poco, perché pochi sono gli aumenti delle entrate e pochissimi i tagli alle spese: ridurrà il deficit di quest'anno dello 0,1 per cento. Sì, avete sentito bene, colleghi, dello 0,1 per cento del PIL! Infatti, la manovra produrrà per quest'anno un miglioramento del saldo di appena 1 miliardo e 400 milioni, mentre tutto il resto, cioè 6,7 miliardi, pari allo 0,5 del PIL, si potrà portare a casa, cioè andrà a beneficio dei conti dello Stato, solamente nel 2007.
È vero che a queste cifre vanno aggiunte, come ha dovuto ammettere lo stesso Padoa Schioppa anche le risorse che il Governo ha trovato per ANAS e Ferrovie dello Stato e per il Fondo unico per lo spettacolo (50 milioni di euro), ma nel complesso la montagna ha generato sempre un topolino di 4,2 miliardi per quest'anno e 7 miliardi per il prossimo, che verranno prevalentemente da misure antievasione ed antielusione. Un sogno che ormai ci portiamo dietro da almeno qualche decennio! Misure antievasione e antielusione per 3,4 miliardi e 5,8 miliardi, rispettivamente per il 2006 e per il 2007. Gli effetti, ha detto il ministro, saranno pieni solamente nel 2007 e molto limitati nel 2006.
E le misure strutturali onorevoli colleghi? E i tagli alle spese? Praticamente niente, tanto che lo stesso ministro dell'economia Padoa Schioppa ha dovuto ammettere che non c'è nessun taglio singolo cospicuo e che non si è intervenuti su nessuna delle principali quattro voci diPag. 41spesa del bilancio dello Stato: pensioni, personale pubblico, sanità, enti locali. Infatti, ci saranno solamente microtagli per 1 miliardo nel 2006 e per 1,4 miliardi nel 2007.
La manovra di oggi, ha sottolineato il ministro dell'economia, è la riprova - e se lo dice lui! - che non si possono fare interventi di carattere strutturale senza intervenire su questi quattro fronti. Abbiamo, dice il ministro, deliberatamente rinviato queste materie alla prossima legge finanziaria. Ed il rientro del deficit sotto il tetto del 3 per cento, come prevedono gli accordi di Maastricht e gli accordi recenti con la Commissione europea? Il ministro non dice niente, anzi ha fa fatto capire che se ne riparlerà con la legge finanziaria del prossimo anno, ammettendo che gli impegni assunti con la Commissione europea non saranno rispettati - cito il ministro - perché siamo consapevoli che l'Italia non avrà un aggiustamento strutturale dello 0, 8 per cento nel 2006.
Ciò nonostante, Romano Prodi ha il coraggio di parlare di una vera rivoluzione del sistema e di definire quella che da tutti è stata chiamata una «manovrina», niente meno che il motore di avviamento della ripresa italiana. Ma ci faccia il piacere, Presidente Prodi! Venderemo, come avevano chiesto le coop, le medicine insieme alla mortadella (ogni riferimento è puramente casuale), ma non ci sarà più bisogno dei notai nella compravendita delle auto e le panetterie potranno vendere qualche chilo di pane in più.
Un merito però questa «manovrina» ce l'ha e dobbiamo riconoscerlo: perlomeno mette fine a una manfrina e fa cominciare una telenovela! Finisce, cioè, il film dell'orrore sulla manovra estiva tutta lacrime e sangue, che doveva sistemare i conti, che erano peggiori di quelli del 1992 e che si diceva fossero completamente allo sfascio. Ma non eravamo allo sfascio? Non lo avete detto per un mese e mezzo che eravamo allo sfascio e che stavamo peggio del 1992? Se il Governo però ha varato una manovra correttiva inferiore al mezzo punto di PIL, vuol dire che la situazione dei conti non era poi così drammatica come è stata presentata. È stata presentata così - dobbiamo esserne certi - al solo scopo di cercare di far digerire agli italiani il sostanziale ed effettivo aumento della pressione fiscale, che tale «manovrina» contiene, benché contrabbandata da Prodi come mero recupero della base imponibile.
Del resto, la commissione Faini, che nello svolgere la due diligence avrebbe dovuto trovare una voragine nei conti pubblici, secondo i desiderata dell'esecutivo, si è dovuta invece limitare a registrare alla fine uno scostamento dalle previsioni della legge finanziaria per il 2006, cioè l'ultima varata dal Governo di centrodestra, di appena tre decimali. Pensate, appena tre decimali! La verità, come conferma la «manovrina-ina-ina-ina», è che la Casa della libertà non ha lasciato in eredità all'attuale Governo alcun buco nei conti pubblici.
A settembre finisce la manfrina e inizierà un altro film, un film che non sappiamo ancora se sarà una fiction, una telenovela, un colossal, sulla legge finanziaria per il 2007. In questo film non sappiamo ancora quale sarà il ruolo di Padoa Schioppa - autore, attore protagonista o comprimario? - e se sarà un personaggio pirandelliano, che, come per la «manovrina», farà il furbo o il sincero di turno contemporaneamente, assicurando Bruxelles che farà interventi strutturali - sanità, pensioni, enti locali e pubblico impiego -, da una parte, e drammatizzando, in Italia, per far digerire agli italiani qualsiasi manovra e per convincere i sindacati ad allentare la presa sul Governo.
In sostanza, il ministro dell'economia, dopo aver spaventato il sindacato evocando una crisi finanziaria tipo 1992, non senza mettere in ambasce anche gli imprenditori - si pensi ai commercianti, per l'eventuale aumento dell'IVA -, ha ridotto l'entità della manovra correttiva dei conti pubblici da fare subito a pochi spiccioli. In più, non solo ha evitato di usare lo strumento dei tagli di spesa per questa prima manovra, riservandosi questa arma per la finanziaria vera e propria, ma ha anchePag. 42fatto balenare l'idea che le maggiori entrate non comporteranno un aumento delle tasse per imprese e privati, ma deriveranno da una torchiatura degli evasori. Musica! Musica per le orecchie di tutti, sindacati ed imprese, categorie e cittadini, di chi a Palazzo Chigi stava dall'altra parte del tavolo! Ma quanto potrà reggere il gioco? Siamo sicuri che questa sia la concertazione buona che deve sostituire quella cattiva del 1996-2001 (quella, per ricordarci, del diritto di veto della CGIL)? Oppure deve sostituire quella inesistente della scorsa legislatura, quando governava il centrodestra?
È evidente che Padoa Schioppa usa le poche armi di cui dispone in un contesto politico segnato dall'esiguità parlamentare della maggioranza e, soprattutto, dalle sue contraddizioni interne e usa queste armi con i sindacati più moderati, CISL e UIL, che, liberi dai problemi di schieramento rispetto alla CGIL, hanno già detto con grande chiarezza che la stagione dei sacrifici è definitivamente finita.
Né è pensabile che possa aiutarlo più di tanto la Confindustria, che ha bisogno di portare a casa il taglio del cuneo fiscale e che non può permettersi più di tanto di vedere messi in discussione i meccanismi di sostegno e gli incentivi alle imprese. Il campanello d'allarme è venuto proprio ieri dal presidente Montezemolo che si lamenta per il fatto che non sono stati assunti provvedimenti in favore delle imprese e per il rilancio dell'economia.
È evidente, signor Presidente, che continua ad esserci un convitato di pietra al tavolo del confronto tra Governo e parti sociali. Questo convitato di pietra è la politica industriale, che per ora è solo rimandata a settembre, come gli studenti che non hanno studiato bene e a sufficienza. Poi, a settembre, con la legge finanziaria verrà bocciata definitivamente, come gli studenti asini e fannulloni (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1475)
PRESIDENTE. Prendo atto che i deputati Milana, relatore per la V Commissione, e Fincato, relatore per la VI Commissione, rinunziano a replicare.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
PIER LUIGI BERSANI, Ministro dello sviluppo economico. Signor Presidente, cari colleghi, la mia è solo una breve replica, che, però, in qualche modo interloquisce con un dibattito che è stato ampio nella seduta di ieri e di stamane.
Questo decreto è un primo atto della politica economica del Governo, che ha suscitato delle forti passioni, pro e contro. Credo che, nella sostanza, si tratti di un atto che si è fatto capire nel suo senso fondamentale, che riassumo così: cercare di animare l'economia, a partire dalle cose che non costano, ossia nuove regole di mercato, senza dimenticare le cose che costano.
Vorrei sottolineare che in questo decreto noi ci preoccupiamo di tenere aperti i cantieri, per esempio, non senza qualche sforzo significativo sotto il profilo finanziario, perché, come sapete, a questo proposito le aspettative hanno dovuto scontrarsi con una dura realtà dei fatti.
Animare l'economia per questo decreto significa anche dare prime indicazioni, perché le convenienze relative fra rendita e rendita di posizione e lavoro e impresa comincino a cambiare.
In questo decreto, si approccia il risanamento con una logica strutturale. Le misure che assumiamo agiranno nei prossimi anni. In questo decreto, non ci si dimentica di alcune misure sociali, che vogliono essere e saranno nelle nostre corde con grande evidenza, e si apre un fronte contro l'evasione e l'elusione fiscale; credo che anche questo sia un esordio. Si può giudicare questa o quell'altra norma, però sono norme che si fanno capire.
Quindi, noi abbiamo inteso, con queste prime misure, dare una cifra del percorsoPag. 43che svolgeremo anche nei prossimi mesi: risanamento, crescita, redistribuzione ed equità. Abbiamo aperto tutti e tre questi fronti, nella stessa misura, con la stessa forza e con la stessa incisività.
Oltre a queste poche parole che ho pronunciato, dunque, non ribadirò le motivazioni che stanno alla base delle nostre scelte, ma cercherò di rispondere rapidamente alle critiche che, tra quelle che sono state formulate, appaiono essere le più rilevanti.
Si è affermato - lo riassumo in questi termini - che si tratta di un decreto-legge «liberalvessatorio», di un decreto «a doppia faccia». Ripeto che nessuno è obbligato a giurare su ogni singola disposizione, poiché mi interessa l'essenziale.
Tuttavia, contesto il giudizio per cui il provvedimento in esame sarebbe «liberalvessatorio». Il contrasto all'evasione fiscale, infatti, è una lotta contro la massima distorsione concepibile della concorrenza. Si tratta, dunque, di una battaglia condotta in nome della civilizzazione del mercato, oltre che dell'equità.
Se i colleghi avessero seguito, come abbiamo dovuto fare per dovere d'ufficio, le assemblee ed i convegni recentemente svolti da tutte le associazioni di impresa (in particolare, nei mesi di giugno e luglio), avrebbero registrato un coro unanime, nonché una nuova presa di consapevolezza. Ciascuna di tali associazioni, infatti, ha posto la lotta all'evasione fiscale tra i primi punti delle richieste avanzate al Governo.
Non solo, ma vi inviterei a considerare che anche indagini molto accurate sulle aspettative delle piccole imprese - come quelle condotte, recentemente, dalla Fondazione Nord Est (sottolineo che sto parlando del nordest del paese) - tra gli interventi richiesti al Governo mettono al terzo posto, dopo le questioni dell'IRAP e della semplificazione, il tema dell'evasione fiscale.
Ora, il nostro problema è sapere se ci proviamo sul serio o no. Se ci proviamo sul serio, allora dobbiamo dotarci di qualche strumento in tal senso.
Le nostre intenzioni non devono essere deformate. Non si deve dire ai cittadini italiani che vogliamo mettere gli occhi e le mani nei loro conti correnti: non è questo, e lo sapete bene! Non vogliamo mettere gli occhi e le mani nemmeno nei movimenti dei loro conti correnti!
GIACOMO BAIAMONTE. Vergognatevi!
PIER LUIGI BERSANI, Ministro dello sviluppo economico. Noi vogliamo semplicemente avere le informazioni di base affinché le indagini autorizzate possano essere svolte senza girare «a mosca cieca» tutti gli istituti bancari di questo paese!
Si tratta di norme che vigono in numerosi paesi europei. Sono meccanismi (Commenti del deputato Contento)...
PRESIDENTE. La prego di lasciar parlare il rappresentante del Governo: lei ha già avuto modo di intervenire (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Prego, ministro Bersani, prosegua pure.
PIER LUIGI BERSANI, Ministro dello sviluppo economico. Sono comunque disponibile a discutere se debbano essere meccanismi assertivi, imperativi o promozionali.
Si tratta, comunque, di meccanismi in grado di ridurre progressivamente l'uso della moneta «fisica» nelle transazioni. Mi riferisco a meccanismi che sono diventati ovvi in numerosi paesi del mondo!
Ribadisco che, nel corso del suo sviluppo, potremmo anche rivedere tale approccio; siamo pronti a monitorare, infatti, tutte le riforme che ci accingiamo ad introdurre. Desidero sottolineare, tuttavia, come tali elementi di modernizzazione e di responsabilizzazione costituiscano un passaggio veramente necessario per il nostro paese.
Per quanto concerne l'altra parte del decreto-legge in esame, vorrei rilevare che qualcuno - anche fonti autorevoli - ha affermato che siamo liberalizzatori «timidi», mentre qualcun altro ha sostenuto, invece, che siamo liberalizzatori «eccessivi».
ANTONINO LO PRESTI. Finti!
PIER LUIGI BERSANI, Ministro dello sviluppo economico. A chi ci dice che siamo «timidi», rispondiamo che ci faremo più coraggio la prossima volta; a coloro che affermano che siamo «eccessivi», invece, vorrei suggerire un esame attento delle colossali inadempienze di questo paese, come è stato peraltro ricordato in questa sede, a proposito di regolazione del mercato.
Vorrei chiarire, in primo luogo, che non si tratta solo di liberalizzazioni. Se abbiamo impostato una politica in nome del cittadino-consumatore è perché sappiamo - e consentitemi di affermare che tutti noi dobbiamo approfondire tale tema - che l'ottica del cittadino-consumatore contiene in sé il tema delle liberalizzazioni, anche se non si esaurisce in esso.
Vi invito a riflettere sul fatto che tutti gli istituti più marcatamente rivolti alla difesa del consumatore sono presenti in paesi ampiamente liberalizzati. Vorrei sottolineare, pertanto, che la difesa del consumatore non si conclude con l'avvio di un processo di liberalizzazione, perché da quel momento inizia un'altra battaglia per la tutela dello stesso!
Quindi, questa sovranità si rivolge ad uno spettro ampio di temi che possono essere le liberalizzazioni o l'abolizione di misure palesemente ultronee e offensive nei confronti del diritto del consumatore. Togliere, ad esempio, la possibilità ad una banca di far pagare 30 euro per la gestione di un conto non è una grande liberalizzazione, ma un elemento banale di civilizzazione dei rapporti fra un operatore economico e un cittadino.
Nessuno ha scritto in questo provvedimento «liberalizzazione del servizio taxi» o «liberalizzazione delle farmacie»: non creiamoci, quindi, dei «fantocci» di comodo per poter sparare addosso meglio. Noi non abbiamo affrontato questi temi, che saranno affrontati settore per settore. Con questo provvedimento non abbiamo liberalizzato le professioni, non abbiamo fatto la riforma degli ordini! In questo provvedimento, abbiamo semplicemente insediato il punto di vista del cittadino consumatore ed abbiamo cercato, in primo luogo, di risolvere i problemi di maggiore evidenza laddove vi erano ostacoli alla concorrenza; in secondo luogo, abbiamo cercato di avere una linea che riducesse prezzi e costi; in terzo luogo, abbiamo cercato di avere una linea che aprisse qualche opportunità ai giovani. Per fare ciò siamo partiti da un'ottica che solo in alcuni casi, forse solo nel caso delle assicurazioni, è andata a fondo nel processo di riforma, ma che comunque lascia impregiudicati, semmai sollecita, processi di riforma da affidare alla discussione del Parlamento e all'iniziativa del Governo. Questo è un inizio.
Rispondo ad alcune critiche sollevate nel corso della discussione sulle linee generali. È stato innanzitutto chiesto perché il Governo ha emanato un decreto-legge. Si tratta di una critica che non sottovaluto; una critica della quale non voglio liberarmi con una scrollata di spalle perché, a mio avviso, bisogna rispondere, e forse non basta neanche - come ho fatto - rispondere (ma voi non pretendete di darmi una risposta compiuta) sostenendo che le regole non si concertano. Le regole non si concertano, ma certo si dovrebbero discutere. Questo sì, lo riconosco. Ebbene, la grandissima parte di queste norme è offerta alla discussione politica e, spesso, anche parlamentare da almeno cinque-sei-dieci anni. Sono pronto a documentare questa mia affermazione. Parte di queste norme è sotto osservazione da anni e sotto segnalazione da parte dell'antitrust, nonché oggetto di procedure di infrazione comunitaria.
Ricordo che l'infrazione comunitaria significa per l'Italia pagare una multa a spese dei cittadini. A me parrebbe francamente eccessivo che la tutela di alcuni istituti, che già costano al consumatore, comportasse addirittura un costo per il contribuente. Questo, lo ripeto, mi parrebbe francamente eccessivo. Credo, quindi, che vi sia in questi casi un dovere del Governo di intervenire.
È stato detto che la discussione su questi temi si è spinta spesso fino alle aulePag. 45parlamentari. Voi comprenderete che in molti di questi casi non è che mancasse la discussione, ma mancava la decisione. È mancata nel corso di questi anni la possibilità di decidere; forse, non in tutti casi. Certamente vi sono misure che avrebbero meritato una riflessione più attenta e, in alcuni casi, un privilegio della decisione rispetto alla discussione o, se volete, anche una forzatura politica. Però, ciò dovrebbe riportarci tutti ad una considerazione di fondo: in questo paese è difficile cambiare; è difficile riformare, è troppo difficile. Noi, purtroppo, non abbiamo una fisiologia delle riforme; dobbiamo darcela.
Queste norme hanno suscitato, anche quelle ormai risapute, reazioni che non si sono registrate in nessun paese europeo quando norme di questo genere sono state adottate. Questo è un problema per la nostra democrazia. Quella che le cose cambiano e, quindi, le regole devono evolversi dovrebbe essere un'idea più condivisa. Inoltre, quando un Governo fa le riforme non allestisce un proscenio per vedere se ha ceduto o se ha vinto. Un Governo deve fare le riforme. Un Governo non deve cedere, ma non deve neanche vincere. Deve trovare una strada per cambiare e poter continuare a discutere con tutte le categorie.
Questa è la strada. Ed un dibattito vero fra maggioranza ed opposizione non deve essere «se» cambiare, ma «come» cambiare. Infatti, non si può stare fermi al palo, mentre tutti si muovono. Mi piacerebbe che, in futuro, il confronto fra la maggioranza e l'opposizione possa essere più aperto, più colloquiale.
ANGELO COMPAGNON. Si, ma se ponete la fiducia...
PIER LUIGI BERSANI, Ministro dello sviluppo economico. È stato affermato che ci siamo occupati di de minimis, di «cosucce». Di questa critica non ho apprezzato il sottofondo. Per un cittadino che vive la sua vita normale, l'assicurazione, il conto in banca, la farmacia non sono de minimis. Rivendico l'idea che ci occupiamo della condizione normale, ordinaria e quotidiana dei cittadini e che pieghiamo gli interessi e le priorità dell'economia a questo tipo di sguardo! Non accetto di sentir dire che si tratta di piccole cose!
Aggiungo che, oltre a ciò, abbiamo presentato progetti di legge sull'energia, sui servizi pubblici locali, sull'azione collettiva. Sono grandissime cose. Discutiamone. Si tratta di materie complesse, che non possono essere semplificate in un decreto e che sono all'attenzione del Parlamento. Spero che su ciò vi possa essere un contributo reale, uno scambio reciproco. Si tratta di riforme in profondità.
Presenteremo rapidamente - ci saranno i ministri promotori - un progetto di riforma degli ordini professionali. Ci occuperemo di telecomunicazioni. Attenzione, non abbiamo intenzione di occuparci solo di alcune cose. E lo dimostriamo con atti che abbiamo già fatto.
ANGELO COMPAGNON. Signor ministro, non ci fate parlare!
PIER LUIGI BERSANI, Ministro dello sviluppo economico. Nelle Commissioni sono depositate queste tre riforme. Avremo tutto il modo di discuterne. Quelli che voi dite che non sono de minimis - l'energia, i servizi pubblici locali, l'azione collettiva - sono incardinati in Parlamento, sono riforme. Arriverà quella degli ordini. Sarà una riforma e si discuterà liberamente in Parlamento.
Nel corso del dibattito è stata rilevata la necessità di occuparsi della liberalizzazione della rete ferroviaria. Vorrei informare che, dalla legge finanziaria per il 2001, su proposta dell'allora ministro dei trasporti, la rete ferroviaria è già liberalizzata. Stiamo solo aspettando che qualche soggetto industriale intervenga e, dal lato delle merci, in Italia già operano dei privati sulla linea del Brennero. Quindi, stiamo parlando di un processo sul quale sarebbe utile confrontare le ricette, e non soffermarci su chi accelera e su chi frena. Credo, infatti, che si vada incontro ad un'esigenza di cambiamento che deve essere condivisa e che è ben radicata nei mutamenti sociali.Pag. 46
Infine, non entro nel merito di tante osservazioni. Vorrei solo aggiungere che possiamo essere stati un po' bruschi nella decisione, ma non abbiamo fatto improvvisazioni.
Ho sentito molte osservazioni su questo e su quel punto. Francamente, sarei in condizione di replicare su ciascuna. Il clou è sempre la vicenda dei taxi. Cosa volete che vi dica? Se era possibile anche prima, decidiamo che era possibile anche prima. Chiunque sia a conoscenza di questa vicenda sa benissimo che il Governo non ha ceduto in niente, che è arrivato all'obiettivo, che inevitabilmente questo obiettivo passa per i comuni, in qualsiasi versione si approvi la legge, che tra sei mesi, se non ci saranno i taxi in più, torneremo a riunirci e vedremo come fare. Il nostro obiettivo, infatti, era quello di far girare più taxi, così come per le farmacie, per le assicurazioni... Ma non voglio continuare su questo.
Vorrei soltanto dire che, tra le critiche che abbiamo ricevuto, mi ha colpito particolarmente una, che vorrei manifestarvi. Vi è la difficoltà ad inquadrare i problemi con gli occhi della nuova generazione. È un monito che faccio a me stesso. Nel nostro paese, questo è un problema molto serio. Non si può raccontare che, se un farmacista non è in farmacia, perde la sua dignità lavorativa. Lasciamolo giudicare a loro, per favore! Non possiamo dimenticare che oggi un giovane avvocato preferisce avere il 20 per cento in meno sulla prestazione, piuttosto che far fotocopie per quattro anni (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dei Verdi e dell'Italia dei Valori)!
A questi giovani dobbiamo dare tutti quanti un messaggio, altrimenti questa Italia l'idea di futuro da dove la prende? Allora, bisogna valorizzare. Perché non hanno avuto voce le posizioni dei giovani, di queste associazioni? Perché sono state senza voce? Non va bene! Posso sbagliare ma, secondo me, non va bene.
Un'altra considerazione riguarda le associazioni di categoria, compresi i sindacati. È in atto un fenomeno oggettivo: oggi, la rappresentanza diventa complicata per qualsiasi associazione o sindacato. Perché? Perché la realtà è differenziata: ti trovi a rappresentare componenti che sono già pienamente nel mercato europeo, componenti giovanili che chiedono l'ingresso e componenti che, invece, vogliono soltanto difendere quel che c'è. Il tuo problema, come sindacato, come associazione, è: da che parte mi metto? Agisco solo sul freno? Ma se faccio così, alla lunga, perdo il mio ruolo, la mia rappresentanza. Allora, bisogna mettersi in movimento anche con riferimento alle parti più dinamiche. Trovo che anche questa riflessione vada fatta. Al contrario, vedo che il tentativo è, spesso e volentieri, quello di rappresentare le posizioni più difensive. Secondo me, neanche questo va bene.
Una fisiologia per le riforme, in questo paese, pretende anche un certo modo di discutere tra maggioranza e opposizione in sede parlamentare. Viviamo una situazione a dir poco imperfetta (ed utilizzo un eufemismo). Credo che tocchi a noi, comunque, anche se non tocca al Governo entrare nella discussione politica tra maggioranza e opposizione parlamentare, discutere con grande ampiezza e con grande capacità di dialogo, nelle sedi parlamentari, sul percorso delle liberalizzazioni, sulla «batteria» di riforme a cui le disposizioni in esame alludono, sulla «batteria» di riforme che le medesime disposizioni stimolano.
Forse, possiamo anche fare uno sforzo in più. È intervenuta una novità in questi mesi. Se avete riguardo alla configurazione delle competenze della struttura di governo, vi accorgete che, per la prima volta, compare un punto di riferimento - che tocca a me svolgere - sui temi, appunto, della concorrenza. Avete visto che, nell'evoluzione normativa, comprendendo in questa il progetto di legge sull'energia che ho presentato al Parlamento, è configurato un meccanismo in virtù del quale le autorità di regolazione (in particolare, quella garante della concorrenza, che presidia il settore della concorrenza) ricevono generalissime indicazioni dal DPEF, dopo di che - almeno così prevede il mio progettoPag. 47di legge sull'energia - esse devono rivolgersi alla sede parlamentare per illustrare il loro lavoro: perché il circuito deve funzionare.
Al riguardo, mi permetto di dire che, nella sede parlamentare, che deve essere l'alfa e l'omega di tutto questo «giro», si potrebbe anche pensare - dico a nome del Governo che noi saremmo pienamente d'accordo - ad un luogo in cui, in modo «specializzato» (tra virgolette), vi fosse la capacità, sui temi della concorrenza, di chiudere il cerchio tra Governo, Autorità garante della concorrenza e del mercato e sede parlamentare (Commenti)... No, io sto parlando di struttura del tema. Immagino che il tema debba andare avanti per i prossimi dieci anni, che il tema della regolazione del mercato sia un tema clou per il nostro paese.
Quindi, mi piacerebbe che quest'ottica, limitata a questo tema - non che essa non affronti il tema delle riforme -, trovasse anche un luogo nel quale il circuito Governo-autorità-Parlamento avesse un suo completamento. Questa è una riflessione che non toccherebbe a me proporre e che mi deriva dall'esperienza di questi mesi: la consegno alla valutazione dei colleghi. Vi ringrazio (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dell'Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno, dei Verdi e dei Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. La ringrazio, ministro.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,30.
La seduta, sospesa alle 13, è ripresa alle 15,30.