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Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 28 agosto 2006, n. 253, recante disposizioni concernenti l'intervento di cooperazione allo sviluppo in Libano e il rafforzamento del contingente militare italiano nella missione UNIFIL, ridefinita dalla risoluzione 1701 (2006) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (A.C. 1608) (ore 11,17).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 28 agosto 2006, n. 253, recante disposizioni concernenti l'intervento di cooperazione allo sviluppo in Libano e il rafforzamento del contingente militare italiano nella missione UNIFIL, ridefinita dalla risoluzione 1701 (2006) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali.
Avverto che la Presidenza ha ritenuto di ammettere al voto l'articolo aggiuntivo 6.01 delle Commissioni, pubblicato nel fascicolo, presentato con il consenso unanime di tutti i gruppi.
Avverto, altresì, che, prima dell'inizio della seduta, sono state ritirate le proposte emendative Scotto 4.01 e Bricolo 5.1.
(Esame dell'articolo unico - A.C. 1608)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 1608Pag. 7 sezione 3), nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (Vedi l'allegato A - A.C. 1608 sezione 4).
Avverto che le proposte emendative presentate si intendono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (Vedi l'allegato A - A.C. 1608 sezione 5).
Ricordo che non sono state presentate proposte emendative riferite all'articolo unico del disegno di legge di conversione.
Avverto infine che le Commissioni I (Affari costituzionali) V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri (Vedi l'allegato A - A.C.1608 sezioni 1 e 2).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Mancini. Ne ha facoltà.
GIACOMO MANCINI. Signor Presidente, colleghi, dopo l'esplosione del conflitto tra le milizie libanesi Hezbollah e lo Stato di Israele nel luglio scorso, l'Italia, grazie all'azione del suo Governo, ha svolto un ruolo importante per cercare di costruire uno scenario nuovo e di pace nel quadrante mediorientale.
Ad oggi, registriamo un grande successo politico del nostro paese, che fin da subito si è mosso per un immediato «cessate il fuoco» tra le parti, che si è raggiunto grazie ad un'intensa azione politica e diplomatica, alla quale ha partecipato anche l'Italia in un ruolo non certamente secondario e che si è concretizzata con l'approvazione della risoluzione n. 1701 da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
L'approvazione della risoluzione, insieme allo sforzo politico e diplomatico che ha portato ad ottenere quel risultato, segna un netto ed evidente cambiamento di strategie nelle dinamiche globali. L'unilateralismo, che ha ispirato per anni la linea degli Stati Uniti, è stato sostituito da un approccio multilaterale, che ha consentito all'Europa di stagliarsi come attore più forte perché più coeso e alla comunità internazionale di elaborare ed approvare scelte più condivise.
Nella definizione di questo nuovo quadro, il nostro paese ha avuto un ruolo centrale e determinante, che ha segnato una chiara e netta discontinuità rispetto all'approccio che ha avuto il passato Governo. Da tale punto di vista, hanno meravigliato alcune prese di posizione di alcuni esponenti di partiti di centrodestra ed hanno impressionato i continui ripensamenti e gli improvvisi cambiamenti di linea che dal luglio scorso sono stati registrati nel campo dell'opposizione parlamentare.
Anche su questo punto riteniamo giusto e saggio il richiamo del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, affinché si arrivi ad una condivisione di tutte le forze politiche riguardo alla missione. L'auspicio del Presidente della Repubblica per un largo consenso è anche il nostro auspicio. Da questo punto di vista, incoraggia il voto delle Commissioni, che ci auguriamo possa essere preludio al voto odierno dell'Assemblea.
Colleghi, condividere la missione, plaudire al successo politico del nostro Governo, compiacersi per la nuova credibilità conquistata dal nostro paese, non deve però portare a nascondere i rischi legati all'impegno dell'Italia e della comunità internazionale in un contesto tanto difficile e tanto incerto. Da qui nascono alcune considerazioni che consegniamo al Parlamento e che ci permettiamo di girare al Governo, affinché affronti una riflessione profonda rispetto alla stagione che si sta per aprire.
La missione UNIFIL ha una storia lunga e tormentata (sono passati più di vent'anni) nella quale alle luci si aggiungono anche diverse ombre. È stato, infatti, in costanza della presenza di UNIFIL che i miliziani Hezbollah hanno intensificato la loro presenza politica e militare, che gli ha consentito di dotarsi di armamenti e, soprattutto, di razzi che nel corso del conflitto, iniziato nel luglio scorso, sono stati lanciati contro lo Stato di Israele. È arcinoto, poi, che l'apporto dei militari Hezbollah ed il loro rafforzamento sia stato favorito dall'Iran e dalla Siria, come è altrettanto risaputo dell'insufficienza della missione preventiva dell'UNIFIL che, in alcuni casi, ha avuto un atteggiamentoPag. 8di indulgenza, se non addirittura di tacito assenso, nei confronti di tali collegamenti.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 11,20)
GIACOMO MANCINI. Per questo, signor Presidente, signori del Governo, ci chiediamo se cambierà qualcosa con la nuova missione e, soprattutto, se cambierà qualcosa con il comando italiano del contingente.
Abbiamo letto, grazie alle cronache di corrispondenti italiani dal fronte, quanto sia presente e radicato il sostegno della popolazione libanese nei confronti di Hezbollah e, allo stesso modo, abbiamo saputo della simpatia ed amicizia con cui sono stati accolti i nostri militari da quella stessa popolazione. Per questo è lecito interrogarsi su cosa succederà, se dovesse mutare l'approccio di UNIFIL verso Hezbollah: quali saranno le conseguenze, quali saranno le reazioni? E, allo stesso tempo ma al contrario, quale sarà la reazione di Israele nel caso in cui nulla dovesse cambiare e tutto dovesse rimanere come ora? Inoltre, nei giorni passati il Presidente degli Stati Uniti ha paragonato la guida politica dell'Iran ad Al Qaeda. È noto a tutti il rapporto stretto che esiste tra Hezbollah e l'Iran. Quali saranno, se vi saranno, le reazioni e le ripercussioni in caso di inasprimento dei rapporti tra l'Iran e gli Stati Uniti, tra la comunità internazionale e la guida di quel paese?
Sono interrogativi politici, prima che militari, ai quali il nostro Governo deve contribuire a dare una risposta per tempo, per evitare che quel contesto, già così drammatico ed incerto, si trasformi in un contesto ancora più negativo. Siamo convinti che il Governo affronterà il tema e produrrà una riflessione attenta.
Auspichiamo che il protagonismo conquistato dal nostro paese in questa fase contraddistinguerà la sua azione ancora per un lungo periodo e non sarà relegato soltanto a questa fase contingente. Con questi auspici, ribadiamo il nostro voto favorevole al provvedimento e ci comporteremo in maniera consequenziale rispetto all'esame degli emendamenti che stiamo per affrontare (Applausi dei deputati del gruppo de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Allam. Ne ha facoltà.
KHALED FOUAD ALLAM. Le questioni del Medio Oriente talvolta assumono una caratteristica paradossale, un po' come la quadratura del cerchio, e spesso ci sono delle coincidenze strane fra ciò che era successo all'inizio del secolo scorso con i famosi accordi Sykes-Picot - che, dopo il 1916, avevano diviso il Medio Oriente in varie zone di influenza (britannica e francese) - e la situazione che oggi si profila l'alba di questo secolo.
Il secolo scorso e l'entrata in questo secolo sono segnati, ovviamente, da forti tensioni, turbolenze, direi anche quasi zone di frattura all'interno dello stesso Medio Oriente. Oggi le cose sono ancora più complicate perché la situazione mediorientale è caratterizzata da un nuovo ciclo storico, che fa sì che il Medio Oriente si definisca anche in funzione degli equilibri geopolitici e geostrategici a livello mondiale.
Dunque, tutte le questioni che interessano il Medio Oriente, Stati per Stati, paesi per paesi, toccano noi da vicino e certamente l'ultima guerra in Libano, in un certo senso, ha rischiato di produrre un'enorme deflagrazione e di trasformare il conflitto fra Hezbollah ed Israele in un conflitto tra Israele e Libano. Dobbiamo riconoscere che il nostro Governo ha avuto l'intuizione, la capacità, l'intelligenza anche strategica di capovolgere un po' i dati sul Medio Oriente. Infatti, se qualche mese fa pensavamo che il Medio Oriente fosse condannato ad una specie di status quo, invece l'intervento politico internazionale del nostro paese è riuscito a riformulare due paradigmi che sono fondamentali per gli stessi equilibri del Libano, in particolare, e del Medio Oriente, in generale. Certamente, se dopo gli attentati dell'11 settembre il ciclo della mondializzazione attuale è stato caratterizzato da ciò che ioPag. 9chiamo «l'assenza di una grammatica delle relazioni internazionali», bisogna riconoscere che il compito svolto dal nostro Governo è riuscito, in un certo senso, a riformulare questa fondamentale necessità di una grammatica delle relazioni internazionali, in particolar modo ridando forza e vigore a due strutture ed elementi che, in un certo senso, governavano a vista la deflagrazione generalizzata sul Medio Oriente: il ruolo delle Nazioni Unite e, ovviamente, dell'Europa.
Ciò mi sembra fondamentale, perché il ruolo del nostro paese in seno al Libano ha un effetto di ricaduta estremamente importante, non soltanto per l'Italia ma su un doppio livello, per le dinamiche mondiali in corso e per le dinamiche europee. In realtà, cosa si sta facendo, cosa si sta reinventando attraverso questo ruolo dell'Italia in Libano? La necessità di riformulare oggi, realmente e concretamente, una politica mediterranea per l'Europa, cioè la politica del Mediterraneo in relazione all'Europa, deve basarsi anche sulla capacità che ha un paese di definire e di architettare gli elementi fondamentali e necessari all'architettura della pace. Questo, ovviamente, passa attraverso una grande questione, che oggi riguarda il Libano in particolare e tutto il Medio Oriente, vale a dire la costruzione di uno spazio democratico.
Negli intenti della cooperazione allo sviluppo bisogna mettere in evidenza tutto ciò che potrà fare il nostro paese nei confronti della formulazione dell'aiuto, della definizione di ciò che potrà essere uno spazio democratico all'interno dello Stato libanese. Ciò, tenendo conto, ovviamente, che il Libano è una realtà del tutto particolare, non soltanto a causa delle sue caratteristiche politiche, ma soprattutto a causa delle sue caratteristiche etniche, culturali e sociali.
Vorrei ricordare che l'ultimo censimento del Libano risale al 1936, proprio a causa della relazione esistente tra le diverse comunità religiose: drusi, cristiani di varie obbedienze, orientali e non solo, musulmani sunniti, sciiti e via dicendo. È ovvio che il grande rischio che ha corso il Libano durante la guerra nel mese di luglio è stato quello di una deflagrazione, di una guerra civile, di una spaccatura comunitaria.
Il ruolo dell'UNIFIL avrà un doppio significato: da una parte, certamente, assicurare in un certo senso la sicurezza del paese con le forze libanesi, ma soprattutto, dall'altra, ricostruire tutti gli elementi che permetteranno al Libano di formulare una sua valenza democratica all'interno di un sistema multiconfessionale e multietnico.
Un aspetto sul quale dobbiamo ragionare è il ruolo dell'Europa e delle Nazioni Unite, che in questo momento mi sembra molto importante. Vi è poi, ovviamente, la questione concernente Hezbollah: una milizia, un partito che è certamente atipico. In realtà, infatti, si tratta di una milizia armata all'interno di uno Stato che è comunque sovrano, ma che, attraverso la sua milizia armata, limita certamente la propria sovranità.
Il ruolo del nostro paese sarà certamente quello di convincere Hezbollah a disarmarsi. Ciò avrà una doppia funzione: da una parte, l'elaborazione di una sovranità pienamente e autenticamente vissuta dal Libano e, dall'altra parte, il saldo mantenimento della richiesta dello Stato di Israele di vivere in sicurezza.
La questione libanese, in realtà, può essere considerata - se l'operazione riuscirà - il laboratorio di tutto ciò che dovrebbe essere il Medio Oriente: mi riferisco al riequilibrio fra diverse comunità etniche e religiose, perché tutto ciò che definisce il quadro mediorientale (contrariamente a paesi come, ad esempio, il Maghreb) non è il monoteismo o il monoculturalismo religioso. La caratteristica di tutti i paesi del Medio Oriente, dal Libano, passando dal Bahrein, all'Iraq, è il connotato multietnico e multiconfessionale. Dunque, l'equilibrio intracomunitario è di fondamentale importanza per il mantenimento stesso della sovranità dello Stato.
Il secondo paradigma, che è fondamentalmente necessario attuare attraverso il ruolo dell'UNIFIL, è ovviamente l'assestamento dello spazio democratico all'internoPag. 10di questo paese. Se la vicenda mediorientale è complicata, non bisogna mai dimenticare che, talvolta, bisogna avere una visione dall'alto delle categorie politiche sulle quali si è costruito il Medio Oriente nel corso del secolo passato e all'inizio di questo secolo.
Nel XX secolo il Medio Oriente ha assicurato la costruzione dello Stato nazione. Nel XXI secolo si apre - lo vogliamo o no - la grande questione dello spazio democratico. Vorrei ricordare che ciò non è impossibile. E vorrei ricordare, ancora, la famosa manifestazione del 1o marzo dell'anno scorso in piazza dei Martiri a Beirut, cui parteciparono tutte le confessioni religiose, confuse tra loro, e tutte le appartenenze politiche messe insieme a scandire la richiesta del popolo libanese a vivere pienamente il suo spazio democratico.
La funzione dell'Italia è anche questa, la funzione delle Nazioni Unite è anche questa: assicurare chiaramente la costruzione di uno spazio democratico senza il quale il rischio di una deflagrazione e di un deficit del sistema della modernizzazione porterebbe a conseguenze catastrofiche i giochi politici internazionali (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e dei Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cicu. Ne ha facoltà.
SALVATORE CICU. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, nella lunga giornata di ieri abbiamo avuto modo non soltanto di approfondire, in maniera puntuale e diretta, il significato politico, il senso di una nuova partecipazione nel contesto internazionale, ma anche di rilevare le differenze, le notevoli differenze che sussistono in ordine alla decisione, nel senso che tale partecipazione non può e non deve in alcun modo essere caratterizzata dalle motivazioni che questo Governo le ha dato e le sta dando.
Poiché le suddette motivazioni si ricollegano ad un percorso in qualche modo non veritiero, menzognero, noi vogliamo condurre un'operazione verità. Mi riferisco al fatto che la decisione è nata in maniera affrettata ma, soprattutto, al fatto che questo Governo ha visto la possibilità di trasferire le motivazioni di politica interna alla politica estera, nel senso che bisognava dare, in qualche modo, un segnale di discontinuità.
Soffermandoci su questo concetto, abbiamo fatto rilevare ieri che, a nostro giudizio, non può e non deve esistere alcuna discontinuità ma, anzi, una continuità. In altre parole, occorre pensare alla necessità di una ripresa del percorso ONU: si può e si deve farlo, ma senza enfasi, senza un entusiasmo che non può in alcun modo essere ricondotto ad un percorso complesso e difficile, ad un processo appena avviato, cioè ad una partecipazione che, come operazione verità, deve trasmettere un messaggio ai cittadini ed alla nazione. Il messaggio è che ci inseriamo in un contesto difficile, veramente difficile. Lo dimostrano gli ultimi fatti accaduti la settimana scorsa: la manifestazione del leader di Hezbollah ci fa capire che la strada dell'attuazione della risoluzione dell'ONU sarà difficilmente percorribile.
Non ci si può e non ci si deve soffermare esclusivamente, anche se il dato è importante, sul numero dei militari italiani inviati. Ai nostri militari dobbiamo rivolgere un ringraziamento particolare, dobbiamo esprimere un sentimento di riconoscenza, il cui significato, di fronte all'ennesima, tragica morte, al lutto che investe, ancora una volta, l'intera nazione, deve essere serio. Noi riteniamo che tale serietà debba essere una priorità: non possiamo condividere una politica estera fondata sul sostegno al terrorismo, sul sostegno alla legittimazione delle resistenze, sul sostegno, cioè, alla non credibilità rispetto ad un conflitto ormai evidente tra Occidente ed Islam.
A tale proposito, abbiamo vissuto l'episodio che ha visto coinvolto il Santo Padre. Attraverso questo coinvolgimento abbiamo capito, forse ancora di più, come si possa estrapolare, ancora una volta in maniera menzognera, una valutazione che può ripercuotersi, in maniera evidente, sulla situazione complessiva, soprattutto su quellaPag. 11libanese, dove la parte più moderata, la parte cattolica, la parte che vuole un percorso di vera pace è scesa in piazza per ribadire un «no» alla prevaricazione, al partito della violenza, al partito che ha causato uno stato di conflittualità dal quale è difficile venir fuori.
È chiaro, altresì, che questo Governo non riesce, ancora una volta, a darci certezze. Quale posizione nei confronti dell'Iran? Quale posizione nei confronti di un paese come la Siria che, ancora una volta, sostiene, attraverso la fornitura di armi, un progetto che la risoluzione dell'ONU vuole smantellare, definendo un piano di disarmo di Hezbollah?
Allora, è chiaro ed evidente che il gruppo di Forza Italia intende portare avanti un percorso di continuità, affinché si dia spazio alla politica, al dialogo, al confronto, all'interlocuzione, alla fattiva e concreta possibilità che, finalmente, il Medio Oriente riceva una sua legittimazione ed un suo riconoscimento attraverso la definizione di confini e la condivisione di quel popolo che si chiama Israele, che invece, ancora una volta, non viene minimamente riconosciuto dai paesi che ho citato.
Pertanto, rappresentanti del Governo ed onorevoli colleghi, l'approfondimento va fatto attraverso un «sì» che pone però grandi riserve ed impone chiarezza e certezza; un «sì» cui deve seguire un monitoraggio, una verifica continua, affinché quest'Assemblea, questo Parlamento non si sottraggano, nei prossimi giorni e nei prossimi mesi, al tentativo, che deve essere continuo e puntuale, di capire quali sono gli obiettivi da raggiungere.
Quando tra qualche mese ci ritroveremo ad avere, non certamente in maniera casuale, la leadership in quel paese, avremo la responsabilità piena e concreta di ciò che avverrà.
Il primo obiettivo era la definizione del conflitto, ma il conflitto non è stato definito, è ancora aperto. Pertanto, è chiaro che questo Governo deve fornirci delle risposte precise e farci capire in quest'aula qual è la sua linea, perché non può andare a braccetto - non può essere questa la sua linea! - con alcuni rappresentanti di un partito che oggi scende in piazza per inneggiare alla violenza, disconoscendo quella missione ONU alla quale stiamo partecipando.
Dobbiamo avere la capacità di andare oltre e di non dimenticare, come è stato ribadito da qualche illustre collega ieri, la nostra radice, la nostra identità e che il processo di continuità, da De Gasperi in poi, implica l'inserimento in un contesto che punta ad organismi come l'ONU, la NATO, ma sicuramente ad una grande Europa che possa finalmente diventare un punto di riferimento certo ed importante anche e soprattutto in termini di difesa e di sicurezza.
Oggi, non possiamo sottrarci, peraltro, in maniera limitata e miope, ad una valutazione complessiva. Se, nel giorno della celebrazione del dramma accaduto alle Torri gemelle, il secondo uomo di Al Qaeda sostiene che bisogna andare contro i caschi blu, noi, in difesa di questo concetto, dobbiamo portare avanti un percorso di continuità che ci vede inseriti in un teatro di missione di pace.
Credo che, nei precedenti cinque anni del Governo Berlusconi, attraverso anche l'opera del ministro della difesa Martino, si siano conseguiti risultati straordinari ed importanti.
Credo che dovremmo avere l'orgoglio di ribadirlo e di rappresentarlo, perché non si può parlare di sconfitta quando due popoli, quello afgano e quello iracheno, con il 75 per cento della loro popolazione, sotto il dramma del ricatto, delle bombe, della morte e del terrore, partecipano ad un percorso per l'esercizio del diritto di voto in un processo di democrazia e di libertà (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Garavaglia. Ne ha facoltà.
MASSIMO GARAVAGLIA. Signor Presidente, il provvedimento in esame solleva una serie di dubbi molto forti e pesanti cui dobbiamo fornire risposte, altrimenti rischiamo di trovarci in un prossimo futuro a piangere nuovi morti, come è accaduto oggi.Pag. 12
I dubbi riguardano diversi aspetti: l'aspetto economico, a proposito dei costi, l'aspetto delle regole, assolutamente incerte, ed il quadro politico, mutato in maniera drammatica, repentina e probabilmente neanche prevista, da agosto ad oggi.
Sui costi vado velocemente. Ci apprestiamo ad esaminare una legge finanziaria che prevede più tasse. Il ministro Di Pietro è giunto in Lombardia ad annunciare che dobbiamo realizzare con i nostri quattrini le nostre tangenziali e le nostre autostrade, perché non c'è più niente (e non si capisce perché). Sarebbe sicuramente meglio spendere i soldi, che sono pochi, all'interno del paese, piuttosto che in missioni all'estero che oggi non hanno più una certezza, come qualche mese fa.
Per quanto riguarda le regole, ci stupisce questa mancanza di chiarezza sulle cosiddette regole di ingaggio, termine che ormai è diventato di uso comune. Si è detto tutto e il contrario di tutto e sarebbe bene sapere in modo definitivo che cosa ne pensino davvero all'interno di questo Parlamento. Un conto è dire «andiamo a compiere un'azione di pace», altro è dire «interveniamo per fare da cuscinetto tra Israele ed il Libano».
Credo che la maggior parte di voi abbia letto il libro molto bello di Oriana Fallaci Inschallah, che racconta la realtà della «polveriera Libano». Se vogliamo, erano tempi più semplici di quelli attuali.
Un cittadino delle mie parti che ha partecipato a quella missione mi ha raccontato che all'epoca è andato tutto bene. Anche perché la missione dell'esercito è stata molto semplice: sono arrivati in Libano e si sono chiusi nei bunker. Alla conclusione, sono usciti dai bunker e sono tornati indietro (ci hanno impiegato molto tempo perché, nel frattempo, la nave ha avuto dei problemi e hanno ritardato l'arrivo). Adesso non è così. Adesso stiamo andando in Libano con l'avallo della sinistra radicale, la stessa che, fino a qualche mese fa, si dichiarava pacifista e contraria ad ogni intervento armato (sarebbe bello capire la logica di certi atteggiamenti), ma non si capisce bene perché, per come e a favore di chi. L'impressione è che la missione sia sempre più sbilanciata pro Libano, contro il cattivo Israele che ha questo brutto vizio di difendersi quando lo bombardano.
Al di là dell'ipocrisia pacifista, che però non stupisce più di tanto, perché sappiamo che questo Governo oramai si tiene insieme con lo scotch, aspettando un nuovo Governo (e questo sarebbe bene che lo si faccia subito, così non si perde neanche tempo), al di là di questi aspetti contingenti non si scherza sulla pelle dei nostri ragazzi.
Non possiamo trovarci ogni volta a dover piangere i morti senza sapere perché e per come mandiamo i nostri ragazzi all'estero.
Il quadro politico, lo sappiamo, è mutato in una maniera assolutamente drammatica. Abbiamo visto cosa è successo e le reazioni seguite alle dichiarazioni assolutamente condivisibili da parte di tutti di Papa Benedetto XVI. È sotto gli occhi di tutti il clima che si è creato tra l'Islam, moderato e non (è evidente che ormai non c'è più alcun moderato), ed il mondo occidentale. Siamo passati da reazioni sconsiderate e pretestuose per le cosiddette vignette di un fantomatico giornale di una provincia danese alle ancora più sconsiderate reazioni per l'esibizione da parte di Calderoli di una maglietta raffigurante queste vignette, alle assolutamente spropositate reazioni per l'intervento legittimo, giusto e sacrosanto del Pontefice.
Ora, quello che realmente è drammatico è constatare che, a fronte di reazioni di questo tipo, assolutamente spropositate, non c'è stata da parte del Governo italiano una presa di posizione repentina e forte sull'argomento, anzi si è tentato di tenere la cosa in sordina. Però, ancora più drammatico è sapere che mandiamo i nostri ragazzi a fare da cuscinetto tra realtà che sono in guerra da una vita e probabilmente lo saranno ancora per parecchio tempo, le stesse realtà che fanno parte del cosiddetto islam moderato, che non hanno mosso un dito a fronte delle minacce assurde fatte da Al Qaeda non solo al pontefice, ma anche alla città di Roma (ricordiamo che, tutto sommato, noi ospitiamoPag. 13lo Stato del Vaticano e siamo anche responsabili della sua sicurezza). Ebbene, tutti i cosiddetti regimi moderati non hanno mosso un dito per stigmatizzare queste affermazioni demenziali e non hanno smentito alcunché, anche se non hanno rincarato la dose.
A questo punto, non possiamo fare altro che porci dei dubbi, è nostro dovere porci dei dubbi: ha senso, in uno scenario che è mutato in maniera così repentina e drammatica, la missione così come è stata impostata inizialmente? Ha senso che non si sappia esattamente quali sono i poteri di reazione dei nostri militari? Ha senso buttare una marea di soldi quando di soldi - ahinoi! - ne abbiamo ben pochi per risolvere i nostri problemi interni? Non è forse meglio pensarci bene, pensarci 10, 100, 1000 volte (parafrasando un'affermazione dei pacifisti no global, amici di una buona parte di questo Parlamento)? Pensiamoci 10, 100, 1000 volte prima di mandare allo sbaraglio i nostri ragazzi, per evitare di doverci trovare ancora a dover piangere dei morti non si sa bene perché e non si sa bene per colpa di chi.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Scotto. Ne ha facoltà.
ARTURO SCOTTO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, siamo arrivati, dopo una lunga discussione, che ha impegnato, sin dal 18 agosto le Commissioni esteri e difesa, ad intervenire nel quadro drammatico che si è determinato a partire dagli inizi di luglio in Libano. Un intervento importante, lo abbiamo detto nel corso degli ultimi mesi, che ha offerto la possibilità alla politica di rialzare la testa dopo anni in cui appariva condannata ad accettare nei territori difficili di guerra esclusivamente lo strumento militare.
La discussione di questa mattina si svolge all'indomani della pubblicazione di un rapporto commissionato dal NIC, che riassume 16 servizi segreti americani, all'interno del quale, per la prima volta, viene detto che la guerra in Iraq ha avuto come effetto l'incremento progressivo del terrorismo, la moltiplicazione di milizie armate, la diffusione di uomini e di donne kamikaze, il generale risorgere degli integralismi, che rischiano di minare il già fragile equilibrio di quei paesi che vivevano e che vivono ancora in un dopoguerra difficile.
L'Iraq e l'Afghanistan hanno determinato, in larga parte del mondo islamico integralista, una sorta di effetto calamita, sconvolgendo le popolazioni civili e ritardando la stabilizzazione degli assetti istituzionali in quei paesi che avevano vissuto e che vivono ancora un lungo dopoguerra, fino a mietere decine di migliaia di vittime civili; ciò, purtroppo, accade ancora oggi in quei territori.
Allo stesso tempo, ricordo che è stata presentata una relazione definitiva al Senato statunitense (poco discussa in questa sede e scarsamente pubblicizzata anche dai giornali italiani), nella quale si afferma che la guerra in Iraq era fondata su una terribile menzogna.
Il Libano, in tale quadro, rappresenta la svolta rispetto ad anni in cui la dottrina della guerra preventiva aveva anteposto lo strumento militare alla diplomazia, alle regole ed al confronto, facendo passare attraverso la tragica strettoia della guerra anche palesi violazioni dei diritti umani. Abbiamo ancora impresse negli occhi, infatti, le immagini della tortura praticata dai soldati americani nelle carceri di Abu Ghraib: si tratta di una ferita che difficilmente riusciremo a cancellare.
Al contempo, guardiamo con crescente preoccupazione al dibattito apertosi anche sulle pagine di importanti quotidiani nazionali. Di fronte alla guerra asimmetrica, praticata dal terrorismo qaedista, e dinnanzi alla pervasività di un terrorismo che mette in discussione i tratti fondamentali della convivenza civile, della scansione quotidiana, della mobilità, del tempo libero e del lavoro, in fondo - hanno sostenuto alcuni autorevole editorialisti di impronta liberale -, un giusto dosaggio di restrizione delle libertà civili, un baratto tra libertà individuali e sicurezza e l'accettazione, in casi straordinari, della tortura, in sostituzione dell'habeas corpus, sono misure tutto sommato accettabili.Pag. 14
Ebbene, tutto ciò non farebbe altro - è questa la visione del centrosinistra - che aiutare chi sostiene che, in fondo, i terroristi hanno già vinto. La risposta da dare, invece, è quella che abbiamo offerto in questi mesi: più politica, più diplomazia e più Europa. Europa, sì, perché, attraverso l'intervento in Libano, essa recupera una nuova centralità: infatti, dopo l'arresto del processo costituzionale causato dall'esito dei referendum olandesi e francesi, l'Unione europea appariva ferma, bloccata ed afasica.
La scelta dell'Italia, assieme ad altri paesi europei e con il voto sancito dal Consiglio d'Europa, ha contribuito, invece, a promuovere un'iniziativa forte nei confronti dei contendenti della guerra in Libano, portando l'ONU ad approvare la risoluzione n. 1701 del Consiglio di Sicurezza, nella quale vorrei evidenziare sono contenuti tre punti fondamentali.
Sotto questo punto di vista, infatti, non vi sono dubbi né per chi sostiene che le regole di ingaggio sono poco chiare, né per chi afferma che la missione sia eccessivamente sbilanciata verso una sola parte. Il primo punto di detta risoluzione è garantire la sicurezza di Israele; il secondo prevede il recupero della sovranità del Libano ed il sostegno al Governo democratico presieduto da Siniora; il terzo punto, infine, è costituito dal disarmo dei gruppi armati presenti sul territorio, così come era già stato previsto dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nn. 1559 e 1680.
Sono questi i dati che caratterizzano la missione in Libano. È del tutto evidente, allora, che, se non vi fosse stato un intervento deciso e tempestivo della comunità internazionale, il conflitto israelo-libanese avrebbe potuto potenzialmente allargarsi (come affermò già agli inizi di luglio, in questa sede, il ministro D'Alema), con l'effetto domino di coinvolgere altri paesi nel perimetro della guerra. Mi riferisco, in primo luogo, alla Siria ed all'Iran, i quali, con il loro sostegno diretto ed indiretto agli hezbollah, avrebbero inevitabilmente finito per condividere l'incendio mediorientale.
Ciò smentisce anche chi, nel corso degli ultimi anni, aveva sostenuto che l'ONU, tutto sommato, era un organo eccessivamente farraginoso, vale a dire un «ferro vecchio», impossibilitato ad agire e del tutto privo di efficacia. Certo, le Nazioni Unite vanno riformate; tuttavia la vicenda del Libano dimostra che l'efficacia, l'efficienza e la tempestività possono coincidere con l'azione di un organismo sovranazionale fondato, da sempre, su un equilibrio difficile.
La tregua, che ha portato all'adozione della risoluzione n. 1701 e all'invio dei caschi blu dell'UNIFIL, deve necessariamente giungere alla stipulazione di un trattato di pace, che definisca una pacifica convivenza tra Libano e Israele, che dia la dimensione di un accordo e di un confronto all'interno di tutto il Medio Oriente, a partire dalla ridefinizione dei confini nel cui ambito vi è il tema annoso, e oggetto ancora oggi di scontro, della sovranità delle fattorie di Sheba: è accaduto questo, ed accanto a ciò va riportato di nuovo al centro il grande tema della questione palestinese.
Tale problema venne sollevato anche dopo l'11 settembre e a farlo fu Bush, quando disse che andava prodotto uno sforzo da parte della comunità internazionale per dare uno Stato palestinese e sicurezza a tutta l'area, procedendo non per ritiri unilaterali ma attraverso un vero e proprio accordo di pace, che, sotto la formula «due popoli due Stati» avrebbe restituito serenità e sviluppo a quell'area. Al contrario, nel corso di questi anni quel territorio è scivolato sempre di più in una condizione di caos e confusione e il numero di morti e vittime civili è aumentato, così come gli attentati kamikaze hanno contribuito a sconvolgere il territorio israeliano: un clima di guerra civile strisciante è la vittoria di Hamas.
Nessuno si chiede più cosa succede in queste ore a Gaza: è calato un silenzio inquietante che impone alla comunità internazionale un intervento deciso, così come è stato fatto in Libano a partire dalla valutazione (come ha detto anche loPag. 15stesso ministro degli esteri) di inviare anche lì, a Gaza e Cisgiordania, un contingente di interposizione.
Non sarà semplice leggere questo passaggio, e non lo sarà perché non è scontato che la missione in Libano sortisca quegli effetti positivi che auspichiamo: innanzitutto, perché la discussione ancora dentro Israele è ferma (certo, in tanti settori importanti della società civile israeliana vi è consapevolezza di quanto la sicurezza non possa essere soltanto dettata e aiutata dalla deterrenza militare) e al tempo stesso perché, se non si isola Hezbollah attraverso un'offensiva diplomatica e un sostegno forte al Governo legittimo Siniora, quel movimento continuerà a rafforzarsi e a mettere radici.
Soltanto una lettura miope ed approssimativa del Medio Oriente può immaginare che Hezbollah sia soltanto ed esclusivamente un movimento terroristico, e non invece una forza presente nel Parlamento libanese, che contribuisce attraverso quella economica, dettata anche da aiuti esteri, alla stabilizzazione sociale di quel territorio, e che si è di fronte ad un quadro e a un paese poverissimo, che vive in una condizione estremamente difficile con il dato sconvolgente di quattro dollari e mezzo di reddito pro capite rispetto al prodotto interno lordo: un paese poverissimo!
Va aperta dunque una nuova stagione di dialogo e di confronto. È necessario un ritorno alla politica, alla diplomazia, alle regole del diritto internazionale. Tutto questo è stato considerato una variabile dipendente nel corso degli ultimi anni e anche da questo punto di vista va avviata una nuova stagione, come è stato fatto in queste ultime settimane da parte del Governo Prodi, ma anche - ed è stato riconosciuto - da parte del Presidente Casini con l'incontro con il Presidente della Repubblica iraniana Ahmadinejad. Quel paese va assediato politicamente, non immaginando una nuova stagione di deterrenza militare, che non sarebbe utile e che farebbe ripiombare di nuovo il Medio Oriente in un periodo di instabilità. Va aperta una nuova stagione di disarmo: denuclearizzare il Medio Oriente può tornare ad essere una battaglia politica importante, nel tentativo di riportare al centro la diplomazia. Le dittature non vanno mai sostenute, né finanziate né protette, sia quelle nemiche che quelle amiche. Non si può invocare la giusta espansione dei diritti democratici in ogni paese e poi dimenticarsi che quei paesi questi diritti democratici li mettono spesso in discussione e stipulare poderosi contratti commerciali con tali paesi, che appunto praticano la restrizione delle libertà civili, dei diritti umani, la tortura, nonché discriminazioni verso le diversità religiose, politiche e sessuali.
Per questi motivi, la missione va sostenuta. Sarebbe utile che la sostenessero, come hanno fatto nel corso delle ultime settimane, gli stessi rappresentanti dell'opposizione, anche perché introduce delle modifiche importanti, delle innovazioni fondamentali. Lo ricordava già ieri la presidente Pinotti nella sua relazione. L'introduzione del codice penale di pace: una scelta importante e significativa, che dà anche il segno di innovazione che la missione Leonte porta, adeguando alcuni aspetti della condizione di applicabilità del codice nel particolare contesto in cui operano i nostri soldati. Allo stesso tempo, va invitato il Governo ad una necessaria riforma della giustizia militare, che la metta in linea con la legislazione di altri paesi europei.
Infine, questa missione ha consenso. Questo è un dato incontrovertibile, che non è secondario, né neutrale all'interno della discussione che stiamo svolgendo questa mattina. Le guerre precedenti, quelle che, secondo alcuni rappresentanti dell'opposizione, dovremmo retrospettivamente accettare come missioni di pace non avevano consenso ed avevano sconvolto l'opinione pubblica internazionale; a maggior ragione dopo il rapporto del NIC e dopo quello del Senato americano queste guerre dimostrano che erano sbagliate e hanno avuto effetti tragici. Un cambiamento in politica estera, come quello che abbiamo registrato nel corso degliPag. 16ultimi mesi, comporta anche una radicale inversione nel rapporto con l'opinione pubblica...
PRESIDENTE. La invito a concludere, deputato Scotto.
ARTURO SCOTTO. ... e nel rapporto anche con quella parte di movimento pacifista, che era stata avanti nella battaglia contro la guerra in Iraq e che allo stesso tempo aveva sempre chiesto la centralità delle Nazioni Unite.
Vorrei concludere così, con il manifesto che era stato al centro della marcia straordinaria Perugia-Assisi di fine agosto: forza ONU, forza diplomazia, forza confronto e dialogo tra i popoli (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)!
PRESIDENTE. Prendo atto che il deputato Mantovani, che aveva chiesto di parlare, rinunzia ad intervenire.
Ha chiesto di parlare il deputato Grimoldi. Ne ha facoltà.
PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, nel prendere atto di questo provvedimento, desidero esprimere dei legittimi dubbi sul merito del decreto-legge di cui oggi discutiamo. Innanzitutto, vorrei svolgere una considerazione logico-matematica. Sono anni - da quando c'è stato l'impiego dei nostri soldati nella missione in Iraq - che una parte del Parlamento, l'allora opposizione, oggi maggioranza, ci racconta che si trattava di una missione di guerra, di una missione non partecipata, nella quale il nostro paese si metteva nell'angolo e dalla quale dovevamo presto levarci.
Ebbene, la prima considerazione è matematica: alla missione in Iraq hanno partecipato 11 paesi dell'Unione europea, a quella in Libano vi partecipano soltanto sette paesi. Dunque, questa è una considerazione non da poco. Emerge che non si tratta di una missione così sentita, tale da raccogliere il consenso di tutte le diplomazie e di tutti i paesi europei. C'è poi un'altra considerazione da fare. Non si capisce per quale motivo il nostro paese, per primo, si sia «buttato a pesce», diciamo così, nel voler partecipare a questa missione in Libano, quando ancora nessun altro paese si era espresso in tal senso, per poi concludere con una relativa figuraccia nel momento in cui la Francia ha deciso di partecipare, cedendo immediatamente il passo al comando in Libano.
C'è poi il problema irrisolto dei rapporti con Hezbollah; infatti, non sappiamo ancora se le nostre forze andranno lì a disarmare o meno questi terroristi. Tra l'altro, la faziosità nei confronti di Israele da parte di una componente politica del Parlamento non è un segreto: questo paese viene visto dall'estrema sinistra come fumo negli occhi e considerato la canaglia del Medico Oriente. Ebbene, non si capisce perché in questo caso, invece, la missione sia così condivisa anche da parte delle frange della succitata estrema sinistra.
Israele storicamente ha partecipato alla guerra dei sei giorni, a quella del kippur e ai fatti che hanno caratterizzato quest'ultima estate, ma sempre per cercare di difendersi - anche se talvolta in maniera eccessiva - in funzione di attacchi subiti. Eppure, vi è una componente del nostro paese che, inevitabilmente, critica Israele, lo vede come fumo negli occhi e, nonostante questo, è favorevole alla presenza dei nostri soldati in Libano.
Qualcuno diceva che a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca; credo che abbiamo tutti i motivi per esprimere i nostri dubbi e ritenere che i nostri soldati non si recheranno in quel paese a cercare di ritirare le armi e comprimere il fenomeno del terrorismo presente sul territorio con Hezbollah, ma a fare altro o, semplicemente, a passare del tempo come qualche altro mio collega ha fatto osservare poco fa.
La missione costa mille miliardi, una cifra cospicua; ieri mattina sono stato invitato, assieme a tutti i parlamentari eletti in Lombardia, ad un convegno di Confindustria. Sia i rappresentanti dell'estrema sinistra sia quelli dell'estrema destra hanno applaudito quando sono stati esposti i problemi che caratterizzano laPag. 17mia regione. Riguardo alla viabilità, ad esempio, è stato fatto osservare che le merci in Lombardia viaggiano a 23 chilometri all'ora e che i relativi investimenti sulla BreBeMi e sulla Pedemontana aumenterebbero di qualche punto il prodotto interno lordo nazionale, in quanto la regione di cui sto parlando rappresenta la locomotiva di questo paese. Eppure, non ci sono soldi per la BreBeMi, per la Pedemontana e per l'interramento di viale Lombardia a Monza, che cito poiché conosco bene il problema; in ogni caso, vi sono mille miliardi per una missione sulla quale è stata fatta ben poca chiarezza.
Si sta perdendo un'occasione non soltanto per individuare altri ambiti dove investire questi mille miliardi, ma anche per risolvere la questione della sicurezza internazionale e nazionale. Dopo le dichiarazioni seguite al discorso del Papa a Ratisbona, bisognerebbe porsi delle domande e cercare di adottare provvedimenti per garantire una maggior sicurezza nazionale; crediamo si tratti di un qualcosa da fare, viste le minacce rivolte al Santo Padre concernenti la presa di Roma e così via.
Per colpa di questa maggioranza, vorrei ricordare i fatti della settimana scorsa: chiunque arriva nel nostro paese, clandestino o anche terrorista, può a questo punto dichiararsi gay ed entrare a casa nostra per fare ciò che vuole.
Bisogna cercare di predisporre delle risorse anche per garantire una maggior sicurezza nazionale. Siamo, infatti, il paese che finora l'ha scampata rispetto agli attentati terroristici che, invece, hanno toccato parte dell'Europa.
Un'ultima considerazione di carattere culturale: visto che la Siria, al confine con il Libano, è terra da cui arriva, per esempio, San Bassano (erano territori, soprattutto quello libanese, che avevano una forte identità e connotazione cristiana che ora non esiste più), è stata persa un'ulteriore occasione per difendere l'identità cristiana, chiedendo una quantomeno sommessa reciprocità; fatto ancor più grave, è stata persa l'occasione per far rispettare quella che è l'essenza della nostra cultura - e ne abbiamo avuto prova con le reazioni alle dichiarazioni del Papa -, vale a dire la libertà di parola, che poi è l'essenza della democrazia. Evidentemente c'è qualcuno che di parole quali libertà e democrazia se ne riempie la bocca, ma non dimentica il proprio passato fanatico di dittatore e questo è appunto il caso dell'estrema sinistra.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bosi. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, io credo che la commemorazione nell'informativa del ministro della difesa di stamani per ricordare un nuovo, sanguinoso e luttuoso attentato in danno delle nostre Forze armate e dei suoi esponenti, ci richiami in maniera forte alla serietà delle questioni alla base della nostra discussione e del voto che andremo a dare per la missione italiana in Libano.
Allora, se estremamente serie sono queste decisioni che andremo a prendere, credo che, preliminarmente, il cuore e la mente di ciascuno di noi debbano andare a coloro i quali, in queste missioni, hanno perso la vita: i nostri militari, vite stroncate e famiglie distrutte per realizzare un grande obiettivo, cioè quello di impedire il dilagare del terrorismo ed il soffocamento di aneliti di libertà e di partecipazione nei popoli e nelle nazioni tutte nelle quali le nostre missioni si sono svolte. Queste ultime sono state condotte con grande serietà, dignità e capacità di rappresentare lo spirito più genuino con il quale il nostro paese ha deciso, negli ultimi anni, di inviare le proprie forze armate laddove più grave era il bisogno di intervenire per difendere la dignità della persona e dei più deboli rispetto a coloro che con la forza volevano imporre non le regole della democrazia o della partecipazione ma brutalmente la legge del più forte.
Questo è accaduto nella missione nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq e questo accade nel Libano. Credo che tutte le volte che il nostro paese è stato chiamato ad assumere una decisione nei confronti di teatri nel mondo nei quali si stavanoPag. 18perpetuando tragedie e vere e proprie mattanze contro soggetti deboli e indifesi (donne, bambini e minoranze etniche) è stato deciso - e di questo dobbiamo andare orgogliosi - di mettersi in gioco e di spendersi per andare con i propri militari a portare la pace e a ripristinare le condizioni per la convivenza civile. Questa è stata, signor Presidente e colleghi, una dimostrazione di come il nostro paese conserva ancora un attaccamento a valori forti e fondamentali.
Per i nostri militari caduti, ovunque sia accaduto, credo che palpiti il nostro cuore. Ritengo che questi siano i valori profondi del nostro paese. Guai a distinguere tra missione e missione, guai a prendere le distanze da questa o da quell'altra, quando, invece, noi sempre e ovunque siamo intervenuti per impedire stragi più gravi. Pensiamo alla questione dell'Iraq che, forse, è stata la più discussa e ha prodotto anche divisioni nelle aule parlamentari e ricordiamo quale era lo scenario iracheno dopo la guerra, quando abbiamo deciso di intervenire: una immane tragedia nella quale credo si sia scelto di stare dalla parte della popolazione, dalla parte dei più deboli. Svolgendo funzioni presso il Ministero della difesa, nei cinque anni scorsi, ho avuto l'opportunità e il dovere di recarmi laddove si svolgevano le nostre missioni: bastava guardare in faccia i bambini e le donne per vedere quale attaccamento vi fosse nei confronti delle nostre Forze armate.
Quello che vorrei segnalare all'attenzione di questa Assemblea è il permanere del tentativo, davvero poco edificante, di considerare queste missioni militari all'estero in base ad una sorta di discriminante, valutando, cioè, se una missione ci convenga o non ci convenga, se siamo maggiormente filopalestinesi o filoisraeliani. Non è questo il modo con il quale dobbiamo guardare a questi interventi, a queste missioni. Si è parlato delle risorse che vi investiamo; si tratta di risorse importanti poiché mettiamo in gioco la vita dei nostri ragazzi, dei nostri militari. Noi lo facciamo per una ragione soltanto, per una grande e profonda motivazione umanitaria, cioè impedire stragi, impedire fatti e situazioni che offendano la coscienza civile di una nazione. Non possiamo rimanere inerti nei confronti di situazioni gravi come quelle che nei teatri di crisi si verificano.
Allora, che senso ha dire che si interviene in Libano ma non si interviene in Iraq e non si interviene in Afghanistan, oppure che si interviene laddove si ritenga che il nostro intervento possa avvantaggiare una componente rispetto ad un'altra, discriminando, con una ampia dose di cinismo, su questioni che hanno un valore, lo ripeto, esclusivamente umanitario? Dobbiamo comprendere questo, altrimenti, viene a mancare il denominatore comune rispetto al quale valutare queste cose.
Noi dell'UDC, anche come opposizione, per primi abbiamo affermato la necessità di mettere al bando, su tali grandi questioni, le divisioni tra maggioranza e opposizione. Infatti, sono in gioco valori ben più grandi e ben più profondi. Noi lo abbiamo fatto, l'abbiamo fatto con coraggio e determinazione. Tuttavia, con altrettanta determinazione, vogliamo dire «basta» a questo modo di interpretare le missioni a seconda della convenienza o delle simpatie che si possono nutrire per questa o quella parte, per questo o quel sottogruppo, per questo o quel movimento, al quale si guarda, magari, con palpitante intesa. Ho visto - qualcuno l'ha fatto osservare - anche un'insistenza di alcuni gruppi parlamentari nel valutare se l'intervento può essere più funzionale agli interessi di Israele o dei palestinesi, degli hezbollah o di altri gruppi. Ma facciamola finita! Diciamo che questi sono doverosi interventi umanitari. Credo abbia detto bene il ministro della difesa, quando si è riferito al fatto che sarà una missione lunga, rischiosa, onerosa ma sicuramente doverosa. Allora, dobbiamo trovare un accordo su questa doverosità e stabilire quando un intervento è doveroso. È doveroso quando sono in gioco le condizioni della vita, della convivenza civile e i valori centrali e fondamentali di una nazione.
Insomma, che mondo è questo, se non si insorge a difesa della vita, dei valori piùPag. 19profondi, quelli della dignità della persona o dell'autodeterminazione dei popoli? Qualcuno ha parlato delle dittature. Certo, ma quella di Saddam Hussein non era una spietata e feroce dittatura? Oggi dobbiamo andare orgogliosi di appartenere ad un paese che, con una continuità, ha deciso di intervenire. Siamo fra i paesi d'Europa che hanno maggiori militari nei vari scacchieri di crisi. Questo è stato un bell'esempio dell'Italia; ma, diamolo davvero il bell'esempio e smettiamola di giocare a nascondino nelle grandi questioni.
In relazione al multilateralismo di cui si è parlato, abbiamo un grande riferimento, quello delle Nazioni Unite. Non dimentichiamoci che tutte le missioni compiute dall'Italia hanno avuto sempre - talvolta con qualche giorno di ritardo - gli imprimatur deliberati delle Nazioni Unite, proprio per gli aspetti di ordine costituzionale, che sovrintendono alle decisioni politiche nel nostro paese (si pensi all'articolo 11 della Costituzione). Tutte le nostre missioni sono state accompagnate dall'approvazione del Capo dello Stato, che rappresenta il baluardo di difesa dei principi e dei valori costituzionali. Ricordo che il Presidente Ciampi ha più volte richiamato questa interpretazione. Tutte le nostre missioni hanno avuto questo riconoscimento.
In conclusione, questo relativo al Libano è certo un momento di grande interesse, con l'ONU e l'Europa che si muovono, con il multilateralismo che deve essere sempre ricercato, ma che non può essere la conditio sine qua non. Questo dà alla nostra missione in Libano la speranza nuova che, finalmente, rispetto a tutte queste vicende internazionali, si possono muovere in consorzio tutti i paesi, soprattutto i più evoluti, che, proprio per il loro maggior potenziale, hanno più doveri di altri di intervenire. Non c'è un problema di diritto di intervenire, ma c'è un obbligo, un dovere di intervenire per i paesi che possono farlo, laddove sono in gioco grandi questioni, la vita umana, la difesa dei popoli e dei diritti fondamentali della persona. Ecco perché appoggiammo convintamente questa missione [Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Monaco. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MONACO. Signor Presidente, approfitto dell'occasione per fare tre osservazioni eminentemente politiche che condenso in tre parole: responsabilità, multilateralismo e unità, in senso politico e parlamentare.
Ci è stata mossa l'accusa di trionfalismo e di protagonismo. Mi pare che ciò non abbia fondamento. Sarebbe sciocco, del resto, fare professione di trionfalismo e di protagonismo su materie di questa rilevanza e di questa drammaticità. Sappiamo bene che il difficile viene adesso, domani, e che la situazione era e resta drammatica.
Ciò che ha guidato e che guida l'azione del Governo è, piuttosto, un sentimento e un senso di responsabilità, in primo luogo verso quei popoli, il Libano ed Israele, verso le loro vittime, le distruzioni che si sono prodotte, e, in secondo luogo, verso la comunità internazionale, sulle prime esitante e incerta. Se rivendichiamo un merito, è quello di avere tenuto ferma la barra anche quando la comunità internazionale tergiversava. Vi è una responsabilità verso il paese. Non è stata mai taciuta la difficoltà della missione, con i suoi costi e i suoi rischi. Infine, vi è una responsabilità verso i nostri militari, perché, per stabilire le celebri regole di ingaggio «robuste», come si è detto, anche il nostro Governo, non solo quello francese, si è attivato presso le Nazioni Unite. Dunque, nessuna leggerezza. Sappiamo - non siamo ingenui, non siamo ipocriti - che, se il fine è inequivocabilmente la pace e la pacificazione, il mezzo, talvolta drammaticamente, è la forza, il ricorso alla forza.
La seconda parola è multilateralismo. È questo il segno politico nuovo che abbiamo riscontrato nella missione in Libano. Questo è il dato che abbiamo contribuito ad imprimere a questa missione, una missione a tutti gli effetti affidata alle NazioniPag. 20Unite, non solo, come si dice convenzionalmente, sotto l'egida dell'ONU, ma che è condotta e operativamente gestita dall'ONU.
Poi, vi è il protagonismo dell'Europa. Mai abbiamo immaginato di fare da soli, di prescindere dall'Europa, ma - questo sì - ci siamo messi alla testa dell'Europa, anche quando l'Europa era esitante.
Sotto questo profilo, abbiamo segnato una doppia coerenza e una doppia discontinuità. Innanzitutto, vi è una coerenza con il nostro programma. Ciò spiega l'unità dell'Unione e dell'intera maggioranza, che non era scontata alla vigilia e sulla quale altri non avrebbero scommesso.
Soprattutto - quel che conta di più - si tratta di una coerenza con l'articolo 11 della Costituzione, preso nella sua interezza. Come osservano i giuristi, l'articolo 11 della Costituzione non è scandito in due commi, ma in due proposizioni strettamente connesse. Non vi è solo la prima, la più celebre, che recita che l'Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, ma anche la seconda proposizione, laddove si dice che l'Italia è pronta e disponibile a cedere quote della sua sovranità ad organismi internazionali che si propongono l'obiettivo della giustizia internazionale, della sicurezza e della pace.
Dunque, si tratta di elementi di coerenza - lo ripeto - rispetto al programma e rispetto all'articolo 11 della Costituzione.
Parlavo anche di discontinuità, che mi pare sia nelle cose e sia evidente rispetto al passato e rispetto ad altre missioni, come quella in Iraq. Ciò ha una sua eloquenza politica. È significativa la coincidenza tra il rientro dei soldati, il compimento della missione in Iraq e l'avvio della missione in Libano.
Certo, non siamo così presuntuosi da lasciarci sfuggire la circostanza che la ripresa del multilateralismo è propiziata, oggi, anche dalla crisi - diciamo pure, dal fallimento - del multilateralismo praticato nel recente passato, nonché dalla consapevolezza dello Stato e del Governo di Israele che la forza militare, da sé sola, non basta a garantire la propria sicurezza, ritenuta assolutamente necessaria.
Infine, la terza parola è unità: noi ci auguriamo che anche in Assemblea si produca quel consenso già registrato in sede di esame congiunto nelle Commissioni; un consenso ampio, quasi unanime, che gioverebbe a dare forza alla missione e a sostenere i nostri militari. In quella sede, noi non abbiamo approfittato, non abbiamo, per così dire, infierito a proposito delle divisioni manifestatesi nella Casa delle libertà; anzi, abbiamo dato tempo all'opposizione di venire a capo di esse, e, anche in tal caso, ciò abbiamo fatto per superiore senso della responsabilità.
Certo, non ci si può chiedere, come pure in un passaggio si è fatto - richiesta francamente bizzarra e irricevibile - di revocare il nostro giudizio politico sulla missione in Iraq; richiesta, dicevo, bizzarra e alquanto infantile: come è possibile condizionare il giudizio sulla missione in Libano, oggi, al nostro giudizio sulla missione in Iraq ieri? E come non vedere le profonde, profondissime differenze tra l'una e l'altra? Io ne rammento una sola, tra le tante: nel caso dell'Iraq, l'Italia si associò a truppe che avevano condotto la guerra, con una prospettiva di pacificazione, dunque - e questo è il nostro giudizio (ahimé confermato) -, assai incerta e problematica. Oppure, ci si chiede di riconoscere che anche quella fu una missione di pace?
Intendiamoci bene: se si tratta di dare atto ai nostri militari di avere fatto tutto intero il loro dovere in Iraq, con l'umanità e con lo spirito di pace che da sempre li contraddistinguono, per quanto mi riguarda non ho alcuna obiezione. Ma ciò non cambia il giudizio politico sul mandato politico conferito loro, sul quale abbiamo dissentito ieri e confermiamo quel dissenso oggi.
Ma lo ribadisco, il nostro spirito è quello di guardare all'oggetto che è alla nostra attenzione, il decreto, per l'appunto, relativo alla missione in Libano; guardiamo avanti, e dunque auspichiamo un ampio consenso, anche da parte dell'opposizionePag. 21che, dopo avere avallato la missione in Iraq, farebbe fatica a non sostenere la missione in Libano. Una missione, quest'ultima, che gode del convinto sostegno dell'intera comunità internazionale, dall'ONU all'Unione europea, ai paesi più interessati - Libano ed Israele - e agli stessi Stati Uniti d'America. Una missione nella quale, come sappiamo, si giocano più partite e tutte grandi, che riguardano, sì, quella area critica del mondo ma anche la stessa comunità internazionale nella sua capacità di dirimere i conflitti.
Dunque, e concludo signor Presidente, confidiamo in uno scatto di responsabilità nazionale e perciò in un consenso parlamentare ampio (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gamba. Ne ha facoltà.
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Deputato Presidente, onorevoli colleghi, nel corso della discussione svoltasi la settimana scorsa nell'ambito della fase istruttoria in sede di Commissioni riunite esteri e difesa, in molte circostanze erano stati richiesti opportuni approfondimenti. Aldilà dalla posizione di sostanziale favore già a suo tempo manifestata dai partiti della Casa delle libertà per questa missione oggetto del provvedimento oggi all'esame dell'Assemblea, avevamo, in più occasioni e con più interventi, anche provenienti dalla parte politica cui appartiene chi parla, manifestato molte perplessità. Si chiedeva che esse venissero man mano fugate attraverso maggiori informazioni, precisazioni e chiarimenti da parte del Governo.
Avevamo chiesto, in particolare al ministro della difesa, che si precisassero ulteriormente le sue dichiarazioni ed informazioni, per la verità molto vaghe in prima battuta, riguardo all'annoso problema delle cosiddette regole d'ingaggio, così come avevamo chiesto informazioni riguardo alla indicata, e vantata in più circostanze, presenza ed istituzione di un nuovo meccanismo nell'ambito della catena di comando (una novità per quanto riguardava le missioni sotto egida ONU), cioè l'istituzione di una cellula di coordinamento con sede nel palazzo di vetro di New York, alle dirette dipendenze di un militare. Si vantava anche che fosse stata individuata la figura del generale Castagnetti, comandante del COI (Comando operativo interforze italiano), per svolgere, anche in attesa dell'assunzione del comando dell'UNIFIL da parte dell'Italia nel prossimo febbraio, questa importante funzione di raccordo tra il livello politico, quindi la segreteria generale dell'ONU, e le forze attualmente in Libano sotto il comando del generale francese Pellegrini.
Tale vicenda ancora non si era perfezionata e chiedevamo quali fossero le motivazioni che non avessero portato ancora all'insediamento del generale Castagnetti nel palazzo di vetro e come mai, nonostante la presenza sul territorio di buona parte delle forze dell'UNIFIL, e segnatamente di quelle italiane, non vi fosse l'effettiva presenza e funzione della cellula strategica di coordinamento. Si chiedeva, insomma, come mai il generale Castagnetti si trovasse ancora a Roma, nella sede del COI, e non a New York.
È stato risposto che si trattava semplicemente di procedure complesse e burocratiche derivanti dalla necessità dell'ONU, e segnatamente del Segretario generale, di istituire formalmente, e successivamente nominare, l'ufficiale generale incaricato di reggere tale funzione, ed abbiamo sperato che si trattasse realmente di questioni di poco conto. Sennonché, come forse non tutti hanno sufficientemente evidenziato, è accaduto che per quella funzione sia stato scelto un altro generale, sempre italiano, e che tale scelta non sia casuale ma fondata (al di là della dichiarata ed aperta stima da parte del Governo italiano nei confronti del generale Castagnetti, che ovviamente larga parte del Parlamento, e Alleanza Nazionale in primo luogo, non potevano che condividere) sulla schiettezza ed effettiva chiarezza con cui il generale Castagnetti aveva posto i problemi riferiti alle precedenti missioni ONU, chiedendo che non fossero riproposti in occasione della tanto vantata missione in Libano. IlPag. 22fatto che le sue perplessità, anche quelle che non sono state dichiarate, facessero riferimento a missioni in cui vi era stata una responsabilità diretta da parte di membri attualmente ai vertici dell'ONU ha evidentemente giocato un ruolo determinante.
Ciò perché tuttora manca chiarezza, in primo luogo, sulle regole d'ingaggio nel senso tecnico del termine, che (com'è stato ribadito più volte, quasi che i membri del Parlamento, in particolare quelli della Commissione difesa, non fossero consci di cosa effettivamente rappresentino le regole di ingaggio nel senso tecnico) non potevano essere disvelate, se non nel loro carattere molto generale, in quanto la conoscenza che si sarebbe riverberata all'esterno avrebbe portato un vantaggio a potenziali offensori del contingente UNIFIL.
Non era questo che si chiedeva, non era la conoscenza delle singole regole riferite alla reazione o, appunto, all'ingaggio che i militari e le forze sul campo devono poter utilizzare nel caso questo rientri nei compiti affidati alla missione, ma la chiarezza proprio riguardo all'effettività dei compiti della missione, cioè quello che già molti colleghi hanno ricordato anche nel dibattito odierno oltre che nella discussione sulle linee generali di ieri; una missione che comporta - secondo la risoluzione n. 1701 del Consiglio di sicurezza dell'ONU e nella coscienza di chiunque guardi ai fatti che si sono verificati di recente nel Medio Oriente e in Libano, ma anche in tutte le fasi precedenti - la necessità che la forza UNIFIL sia indirizzata ad ottenere il disarmo della fazione di Hezbollah.
Questo è indicato, come tutti sanno, nella risoluzione. È altresì indicato che il contingente UNIFIL ha il compito di impedire tutti gli atti ostili che possano essere perpetrati in quello scenario, ma, ancora una volta, tuttora non si comprende come, al di là delle dichiarazioni molto generiche, questo debba avvenire. Infatti - come sembra, come è stato detto e non detto, come ancora risulta da articoli sulla stampa internazionale di ieri, che hanno riportato anche indicazioni, informazioni ed impressioni raccolte sul campo tra i nostri militari e tra i nostri ufficiali che sono lì -, non vi è alcuna chiara indicazione riguardo all'attività semplicemente di supporto indicata nei confronti delle forze armate libanesi che dovrebbe portare al disarmo di Hezbollah. Nel frattempo - le Commissioni si sono riunite, abbiamo svolto queste discussioni ed oggi ci ritroviamo in aula -, abbiamo sentito, e tutto il mondo ha potuto sentire, le dichiarazioni del capo di Hezbollah, che hanno fatto molto ben comprendere innanzitutto che Hezbollah non ha alcuna intenzione di disarmarsi, né nei confronti dell'esercito libanese né di chicchessia. Inoltre, è stato anche inviato un chiaro monito alla forza UNIFIL perché si guardi bene dallo svolgere attività che potrebbero non attaccare - non sia mai - in termini offensivi gli appartenenti ad Hezbollah, ma nemmeno svolgere azioni di qualsiasi natura che possano portare e configurare un disarmo di Hezbollah, che vanta, invece, ancora la presenza di un arsenale di oltre 20 mila razzi di varia natura che, ovviamente, non intende dismettere ma che, viceversa, temiamo possa continuare ad utilizzare come ha fatto in precedenza.
Allora, tutte queste perplessità non sono state minimamente fugate, né dal ministro della difesa Parisi né dal sottosegretario intervenuto in sede di replica al suo posto, nel corso del dibattito sulle linee generali e temo che non saranno fugate nemmeno negli interventi che precederanno il voto. Quindi, quello che possiamo vedere sono, ancora una volta - al di là della simpatia, nel senso greco del termine, che da questi banchi non può che venire per tutti i nostri militari impegnati così duramente in qualunque parte del mondo -, gli effetti di questa missione, per la quale l'onorevole Monaco tanto si è vantato. Altro che trionfalismo! È stata un'apoteosi, che non si è mai registrata in questi ultimi anni per nessun intervento e che, ovviamente, trova ragione esclusivamente nel fatto che l'iniziativa è stata promossa da un Governo di centrosinistra, con le evidenti contraddizioni dei gruppi della sinistra radicale, che sino a qualchePag. 23tempo fa dichiaravano la contrarietà a qualunque tipo di missione senza sé e senza ma: credo che sia abbastanza facile ricordarselo perché il senza sé e senza ma parte proprio da queste vicende.
Improvvisamente, ora, invece, quei gruppi si trovano a sostenere un intervento comunque militare, e si cerca di svolgere un'azione cosmetica attraverso artifizi per la verità anche abbastanza puerili. Fra questi rientra certamente la modifica della disciplina penale (citata anche negli interventi della presidente Pinotti e di alcuni colleghi) che, in base a questo decreto-legge, viene applicata anche al contingente militare italiano in Iraq. Mi riferisco alla ormai nota vicenda dell'applicazione del codice penale militare di pace in base al nuovo decreto-legge (seppure con alcune modifiche introdotte non tanto da questo provvedimento, ma in precedenza, con gli ultimi decreti-legge del Governo Berlusconi, concernenti missioni precedenti) ed alla disapplicazione del codice penale militare di guerra. Come se tale grande modifica dimostrasse che questa è una missione di pace, mentre quelle precedenti - e segnatamente quelle in Iraq e in Afghanistan - tali non erano, se non altro perché furono autorizzate senza infingimenti e senza le ipocrisie tipiche del centrosinistra! Queste ultime risalgono alle attività belliche di bombardamento in Kosovo, per le quali il Governo di allora, presieduto dall'onorevole D'Alema, aveva previsto nel testo l'applicazione del codice militare di pace: è chiaro, infatti, che svolgere azioni di bombardamento è un'attività tipicamente di pace!
Sennonché, il Governo Berlusconi, senza quelle ipocrisie, in relazione a situazioni molto particolari e complesse come quelle dell'Iraq e dell'Afghanistan, ritenne correttamente di prevedere l'introduzione e l'applicazione di norme più stringenti. La diversa impostazione che, invece, viene proposta con il testo in esame è motivata soltanto dal fatto di poterne menar vanto e in qualche modo di accontentare i gruppi della sinistra radicale e l'onorevole Mattarella il quale, tutte le volte che si presenta questa osservazione, rimarca che egli ha sempre sostenuto, anche nelle precedenti occasioni, che non si dovesse applicare il codice penale militare di pace.
Invece, coloro che hanno una maggiore cognizione di questa materia sanno bene che quanto affermato in Commissione e, in alcune circostanze, in Assemblea a sostegno della necessità dell'applicazione del codice penale militare di pace sono soltanto assurdità giuridiche. Infatti, è proprio la situazione che rende necessaria una maggiore difesa collettiva dei contingenti militari e non - come ha detto l'onorevole Mantovani in quella circostanza - la maggiore punibilità dei singoli.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Certamente, in situazioni come quelle, che non sono tipicamente né di pace né di guerra - e concludo -, si deve prevedere una maggiore possibilità di coesione. Ciò comporta anche la necessità di disporre di norme più rigide.
Allora, tutte le perplessità - ahimè - rimangono. Poiché le forze del centrodestra e Alleanza Nazionale continuano a sostenere, anzitutto, la necessità della solidarietà e il fatto che tutti i nostri militari debbono sentire la vicinanza del Parlamento, perché comunque rappresentano anche in quel contesto la patria, speriamo che queste perplessità vengano fugate in futuro. Infatti, adesso certamente ciò non potrà avvenire da parte di questo Governo, anche alla luce delle dichiarazioni dei suoi rappresentanti.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Stefania Craxi. Ne ha facoltà.
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il ministro D'Alema, evidentemente, ha ritenuto poco interessante questa discussione. La stabilizzazione del Libano è una sfida cruciale. Il ruolo della missione UNIFIL plus e la presenza dei caschi blu italiani è essenziale.Pag. 24
Per questo, non si può evitare di votare a favore della missione italiana; ma il Governo, evitando di ripetere gli sciocchi trionfalismi finora elargitici, deve dare prova di essere cosciente della realtà della situazione e di avere idee sull'azione politica e diplomatica che deve accompagnare la presenza militare per renderla utile e sicura. La prosecuzione della missione deve avvenire in una cornice di sicurezza, da intendersi non solo sul piano militare. Non basta, evidentemente, la semplice presenza dei caschi blu per risolvere i problemi: le Nazioni Unite sono in Libano dal 1978!
A tal fine, il primo ministro Siniora deve essere sostenuto in modo convinto e continuo, sia politicamente sia finanziariamente; devono essere sostenute la sua credibilità ed autorevolezza, non solo sul piano internazionale, ma anche considerando i rapporti di forza interni; occorre agevolare il suo compito per il disarmo delle milizie Hezbollah, questione da risolvere con il tempo e grazie ad un dialogo nazionale. Le violazioni dello spazio aereo e dei confini da parte israeliana devono cessare, senza ulteriori eccezioni, perché si tratta di azioni che possono mettere in pericolo i nostri stessi soldati.
Il Governo italiano deve mantenere alta la guardia, sostenere il Governo Siniora, agire con determinazione nel contesto internazionale e con Israele, affinché la risoluzione n. 1701 venga applicata. Anche se il Libano è il perno di una rinnovata opportunità di pace in Medio Oriente, non si può pensare che sia sufficiente dedicarsi alla sua, pur essenziale, stabilizzazione. Occorre, in particolare, affrontare con decisione il nodo centrale della crisi mediorientale: il processo di pace israelo-palestinese. Lì le cose non vanno per niente bene! Se non si riprendono rapidamente i fili di un negoziato, verrà meno l'effetto virtuoso, ma precario, generatosi in Libano, con pericolose conseguenze anche a danno delle nostre forze.
Come reagisce il Governo italiano all'ammissione del presidente Abbas di essere tornato al punto zero nel dialogo con Hamas? Quali azioni si intende mettere in campo per ricondurre le parti e la comunità internazionale alla Road map? Cosa intende fare il Governo italiano per sostenere concretamente il presidente Abbas ed i suoi sforzi moderati? Si intende rinnovare o rivedere, estendendone il tempo e l'ambito di azione, il meccanismo finanziario, in modo da consentire il pagamento dei salari ai dipendenti pubblici palestinesi e dare credibilità ad Abbas di fronte alla sua popolazione? Considerando la carenza di risorse UE, l'Italia intende stanziare fondi nazionali a tal fine? Ma, soprattutto, per riavviare il dialogo, il Governo italiano non dovrebbe riesaminare le tre note condizioni con un approccio più flessibile e realistico? Se, infatti, la cessazione della violenza da ambedue le parti, con il corollario della restituzione dei prigionieri, è condizione evidentemente imprescindibile, siamo certi che le altre due debbano essere rispettate alla lettera? Se, infatti, un Governo di unità nazionale palestinese desse chiaro ed inconfutabile mandato al presidente Abbas di negoziare con Israele ed accettasse, perciò, di riconoscere gli accordi firmati, quale imprescindibile urgenza vi sarebbe per un immediato riconoscimento formale di Israele da parte di Hamas, atteso che detta organizzazione si impegnasse formalmente a sostenere in buona fede il negoziato condotto da Abu Mazen? Sarebbe, forse, opportuno favorire un'evoluzione graduale di Hamas, chiuderlo nell'angolo con richieste inaccettabili per la sua delicata compagine interna? Farebbe solo il gioco di chi vuole mantenere lo status quo. Occorre, parallelamente, eliminare la morsa esplosiva nei territori palestinesi, aiutare la popolazione civile a recuperare condizioni normali di vita e riaprire i valichi di frontiera.
Abbas è evidentemente tra due fuochi: l'oltranzismo di Hamas e l'inflessibilità israeliana. I paesi arabi moderati non possono essere determinanti. Gli Stati Uniti attraversano una fase politica interna particolare. Il riavvio del dialogo politico dovrebbe essere compito dell'Europa, che si deve assumere la sua responsabilità considerando la situazione sul terreno, misurando i passaggi politici attraversoPag. 25il consenso, procedendo anche da sola per il primo tratto di strada, se necessario.
La paralisi del dialogo politico tra Israele e ANP vanificherebbe gli effetti positivi della risoluzione n. 1701 e, soprattutto, rischierebbe di mettere l'Italia e l'Unione europea nella condizione di chi assume oneri pesanti, senza riuscire a valorizzare, in termini di pace e stabilità, il sacrificio compiuto, inviando le truppe in Libano.
Il regolamento di pace proposto dalla Lega araba su impulso dei paesi moderati deve essere appoggiato. Finora l'Europa ha fatto poco e l'Italia non ha preso una posizione. Elementi ideologici hanno impregnato la posizione europea, portandola ad una situazione di stallo nel Medio Oriente.
La riunione del Consiglio di sicurezza a New York, voluta dai paesi arabi, ha rappresentato un «non evento». L'unico spartiacque per far funzionare il nuovo meccanismo, o meglio la stessa Road map rivitalizzata, è tenere conto delle aspettative delle parti, dando una prospettiva negoziale ed una chance ad ognuno. L'Italia deve comunque evitare di essere percepita come l'anello debole della catena, soprattutto in vista del nostro ingresso nel Consiglio di sicurezza dell'ONU il prossimo gennaio.
L'iniziativa di Berlusconi di tenere una conferenza di pace sul Medio Oriente ospitata dall'Italia andava in questa direzione. Non sarebbe male riesumarla!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Frigato. Ne ha facoltà.
GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, intervengo in questo importante e significativo dibattito per esprimere, come ha fatto poco fa il Presidente della Camera, il cordoglio per la scomparsa del caporal maggiore Giorgio Langella, che aggiungo, senza togliere nulla a nessuno, al sacrificio del volontario Angelo Frammartino e a quello di suor Rosa Sgorbati.
Signor Presidente, colleghi, credo che, al di là delle forme, il valore della pace davvero possa accomunare questi tre italiani.
Ho seguito in parte il dibattito che ha tenuto impegnato il Parlamento nella giornata di ieri, e non poteva essere diversamente, perché penso che nessuno di noi, nessun parlamentare di maggioranza o di opposizione, abbia un approccio casuale o superficiale nei confronti di una tematica così importante, che prevede l'invio di un numeroso contingente di soldati italiani.
Devo subito dare atto al sottosegretario di Stato del modo equilibrato e ragionato con il quale ha voluto replicare al dibattito in quest'aula ieri, rilevando anche che il Governo, in questo contesto, ha agito davvero con intelligenza e determinazione.
Vi sono stati momenti nei quali sembrava che il nostro paese fosse da solo in termini di indicazioni e prospettive. Abbiamo, invece, riscontrato che oggi l'Italia si affianca a tanti altri paesi in un'iniziativa sicuramente difficile che, tuttavia, come ricordava il collega Monaco poco fa, risponde al valore e al senso della nostra responsabilità.
Voglio dire, colleghi, che molte volte, nella scorsa legislatura, si sono svolti dibattiti analoghi, e mi riferisco all'Afghanistan, all'Iraq ed a tante altre missioni di pace. Ogni missione ha la sua storia, il suo habitat e si sviluppa in una certa aerea geografica.
Credo che, da parte nostra, da parte di chi ora si trova a sostenere il Governo, da parte della maggioranza, vi sia sempre stato il tentativo di tenere insieme il valore dell'Europa e delle Nazioni Unite. Ed è forse questo l'elemento che comporta un po' di discontinuità rispetto a qualche iniziativa che, nella scorsa legislatura, ci ha visto impegnati nel dibattito e che ci ha diviso.
Mi auguro che tutti vogliano lasciarsi alle spalle espressioni come «unilateralismo», «guerra preventiva», «esportazione della democrazia con le armi» , «offuscamento dell'ONU» o «divisione o addirittura rottura del vincolo europeo»; me lo auguro, non solo per questa circostanza, ma anche in prospettiva di un'azione politica equilibrata, per una posizione internazionale più coerente.Pag. 26
Credo che, con riferimento a questa missione, parlando di questi temi, nessuno di noi possa usare la parola soddisfazione. Ritengo che nessuno di noi sia qui a votare con qualche forma di orgoglio, con entusiasmo. Si tratta di rispondere con senso di responsabilità ad un'azione difficile, ad una situazione sicuramente rischiosa. Stiamo chiedendo a tanti giovani di rappresentare il nostro paese fino in fondo. Allora, facciamolo con responsabilità. Ognuno di noi vorrebbe che l'Italia esprimesse la propria presenza sullo scenario internazionale in maniera diversa, non con le armi né con la forza, ma attraverso la cooperazione internazionale, le azioni umanitarie, con la capacità di ricostruire relazioni tra le persone e tra le comunità.
Credo, colleghi, che mentre ci accingiamo a votare questo provvedimento e quindi a dare copertura e forza alla proposta del Governo (mi pare di capire che lo facciamo in maniera molto ampia), indubbiamente facciamo una parte di ciò che viene richiesto in queste aree così delicate. La situazione mediorientale è stata chiaramente disegnata; è stato detto quanto sia difficile mettere insieme Israele con il Libano. Non a caso, serve una forza di interposizione dell'ONU.
Ma vorrei richiamare tutti al «di più» che sento di voler chiedere al Governo di centrosinistra. Credo che possiamo votare con serenità e con senso di responsabilità questo provvedimento, ma chiediamo al Governo di fare fino in fondo la propria parte, anche per quanto riguarda la cooperazione economica e la risoluzione di alcuni problemi. Ieri, il collega Gerardo Bianco, nel corso del suo intervento, ha ricordato cosa significa la mancanza di acqua potabile in alcune zone del mondo e anche in questa zona.
Allora, probabilmente, risolvere alcuni problemi alla radice significa dare un contributo reale alla costruzione della pace. Lo ha sottolineato anche il collega Cacciari, quando ha affermato che da questo Governo si aspetta un'azione più incisiva in campo umanitario, per la ricostruzione di relazioni vere nelle popolazioni e tra le popolazioni. Ecco allora il senso della nostra responsabilità.
Si tratta di un voto convinto, sofferto, un voto che vogliamo dare per la ricostruzione della pace, di relazioni internazionali più serene e civili. Consentitemi di dire, senza alcuna vena polemica, colleghi della Lega, che certamente questa missione ha un costo, che è anche elevato, ma credo che nessun italiano immagini che la pace non abbia un costo. Credo che ogni italiano sappia - magari chi ha qualche anno in più lo ha vissuto sulla propria pelle - che il costo della guerra è spesso inquantificabile e supera ogni bilancio di natura economica.
Allora, questa missione ha anche un costo di natura economica, ma noi vogliamo sperare che i risultati siano maggiori e garantiscano un futuro più sereno, più civile e di pace (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Filipponio Tatarella. Ne ha facoltà.
ANGELA FILIPPONIO TATARELLA. Signor Presidente, Alleanza Nazionale guarda con grande interesse e con seria consapevolezza alla missione in Libano e lo fa perché essa è sempre pronta e aperta ad andare là dove ci sia anche un minimo tentativo di portare la pace.
Questo è veramente un principio costitutivo di Alleanza Nazionale e lo è tanto che questo principio è stato lo stesso che ha ispirato Alleanza Nazionale, allora al Governo, a dire sì alla missione in Iraq.
Richiedere che si tratti o si giudichi in maniera analoga eventi simili non è una questione di fatto, ma una questione di principio, semplicemente perché Alleanza Nazionale vuole che si riconosca che la nostra partecipazione in Iraq ci fu soltanto perché lo spirito era questo. In una missione di pace - ahimè! - conta più lo spirito dei risultati, perché i risultati non sono mai prevedibili; se così fosse le guerre non sarebbero così drammaticamente un punto interrogativo.Pag. 27
A me sembra che questo punto, che è stato trattato da tutti i miei amici e colleghi come se fosse una rivincita o una questione accidentale, per me è essenziale. Infatti, se noi dobbiamo dire sì a questa missione, lo diciamo per gli stessi motivi per cui abbiamo detto sì a tutte le missioni di pace. Non vediamo altro motivo per dire sì che quello di contribuire, ognuno a modo suo, alla pace, dovunque questa sia messa a dura prova o sia addirittura venuta meno, come nei territori di cui stiamo parlando.
Quindi, è chiaro che la nostra attenzione a questo provvedimento è massima, ma, ripeto, lo è proprio perché si parla di pace e per noi la pace è un valore fondamentale, anzi è il valore fondamentale. Lo è tanto che in realtà non vogliamo la pace come se fosse una teologia negativa (la pace come assenza di guerra). La pace come assenza di guerra non ci basta, noi vogliamo la pace come una pace giusta (una pace non giusta è, per esempio, del tipo «l'ordine regna a Varsavia»).
Veramente, chiediamo a questo Governo che la missione in Libano non sia per una pace intesa nel senso che l'ordine regni a Varsavia, ma per una pace giusta.
Certo: che cos'è una pace giusta? Come è noto, sono stati scritti volumi da filosofi e politologi per cercare di definirla; alla fine, in realtà, poco è stato fatto e detto affinché ciò sia reso possibile.
Tutti sappiamo, però, che una pace giusta è quella che, sul piano dei diritti, tratta allo stesso modo tutti i contendenti, vale a dire tutti coloro che si trovano ad avere la guerra nel loro territorio. Vorrei dire, in altri termini, che quando si stabiliscono missioni di pace è necessario, innanzitutto, agire assolutamente sotto l'egida del diritto sia nazionale, sia internazionale; occorre, inoltre, «incarnare» tale diritto nei paesi in cui esso si trova ad essere applicato.
Non affermo ciò tanto per parlare. L'obiettivo che si prefigge questa missione è stabilire la pace, tuttavia sappiamo che tale operazione rappresenta soltanto il primo passo verso la stabilizzazione di una regione che, in realtà, è una polveriera. Infatti, esistono problemi politici assolutamente irrisolti, e solo dopo che tali problemi saranno stati affrontati, forse ci si potrà vantare di aver realizzato qualcosa. Un primo passo era comunque necessario, e dunque è bene che venga compiuto in quella direzione.
Cosa richiede una pace giusta? A mio avviso, essa si deve basare su un presupposto assolutamente logico: il disarmo degli hezbollah, poiché non so come si possa pensare di stabilire la pace senza procedere a tale operazione. Si tratta non di essere di destra o di sinistra, ma di avere un minimo di logica, e, francamente, non vedo nulla che ci rassicuri in tal senso.
Se il Governo italiano riuscisse a individuare un sistema affinché ciò accada, allora sì che esso potrebbe affermare di aver conseguito un grande successo. In realtà, se ciò accadesse, rivendicherebbe tale risultato inutilmente: in primo luogo, infatti, le realizzazioni sono importanti, perché la politica è azione; in secondo luogo, vorrei rilevare che si tratta di un dovere cui siamo chiamati ad adempiere.
Il gruppo di Alleanza Nazionale, come ho già affermato, guarda dunque con grande interesse e coinvolgimento a questa missione, anche se si pone numerose domande, alle quali finora nessuna risposta è stata fornita, e probabilmente non sarà mai data. Ciò non toglie che continueremo a manifestare il nostro interesse verso la missione in Libano, poiché ci rendiamo conto che qualora sia possibile compiere un pur minimo tentativo, è doveroso farlo.
La pace, infatti, è la condizione del nostro stesso vivere. Ciò mi pare incontrovertibile, al di là di qualsiasi facile retorica, anche se vorrei francamente osservare che, in questi anni, di retorica sul tema della pace se ne è fatta così tanta al punto tale che la povera pace è diventata tutt'altro! La pace, dunque, rappresenta la condizione della nostra sopravvivenza nazionale ed internazionale; se vogliamo, è ciò che consente di relazionarsi immediatamente.
Vorrei ricordare, a tale riguardo, una pagina della Bibbia in cui si afferma che Dio decretò la pace tra cielo e terra, traPag. 28tutti i popoli ed all'interno dei nostri cuori. Ebbene, Dio la poteva decretare, perché - beato lui! - parlava e faceva; noi, invece, parliamo ma - ahimè! - non accade che le nostre parole realizzino qualcosa, anche se dobbiamo comunque agire.
In questo caso dobbiamo essere molto consapevoli che la pace abbia non i contenuti che si leggono nella Bibbia decretata da Dio, ma almeno quelli che una ragionevolezza generalizzata - neanche universale, già sarebbe troppo! - suggerirebbe. È inutile che io stia a ripetere quali sono le cose che in questa missione militano contro la pace. L'hanno già detto tutti i miei colleghi; non voglio assolutamente essere ripetitiva, perché, oltretutto, tutti conosciamo bene le questioni, anche se vi è chi ammette di conoscere e chi invece non lo fa.
Sappiamo tutti quali sono i rischi che si corrono, compreso quello del terrorismo in Italia. Come dice Giorgio Bocca: nonostante questa missione, comunque in Libano la guerra ci sarà (speriamo di no!). In questa direzione noi rimaniamo ad osservare, chiedendo però al Governo che sia assolutamente consapevole di quanti e quali rischi si corrono; e questo è il minimo. Vorrei, infatti, chiedere al Governo che si impegni seriamente a trovare le vie della pace, poiché la pace richiede delle vie: solo comprendendo quali siano, forse esse potranno essere percorse (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bodega. Ne ha facoltà.
LORENZO BODEGA. Presidente, il dibattito sulla missione in Libano cade in un momento non condizionato dalla rovente polemica che ne ha caratterizzato l'avvio e in un contesto internazionale, almeno sulla carta, raffreddato. Non cambiano però i termini della questione, se ci soffermiamo ad analizzare con spirito oggettivo e lucidità alcuni aspetti di questa vicenda destinata ad occupare i nostri pensieri, e non solo, per lungo tempo.
Innanzitutto, devo dire che non ho assolutamente apprezzato i toni trionfalistici con i quali il Governo ha presentato e organizzato la missione, quasi che si debba menar vanto per una operazione che vede pur sempre i nostri militari impegnati su un fronte dove vi era la guerra e dove vi sono le condizioni perché possa ancora riesplodere.
Non si possono usare due pesi e due misure: inveire contro la nostra presenza in Iraq e poi chiedere l'appoggio dell'opposizione per la missione in Libano, come più volte abbiamo sentito questa mattina e ieri dai banchi della maggioranza: troppo comodo e - io aggiungo - anche incoerente invocare una politica estera bipartisan a giorni alterni o ad alterne missioni.
Il centrodestra, nella stagione della cosiddetta seconda Repubblica, ha sempre tenuto una condotta esemplare trasparente, in linea con le tradizionali alleanze dello schieramento occidentale. La Lega non ha mai coltivato una supina politica filoamericana, ma non ha esitato a schierarsi quando l'America è stata colpita dal terrorismo e, con essa, un caposaldo della democrazia mondiale. Il Governo di centrodestra si è sempre mosso all'interno degli organismi internazionali e non ha mai fatto mancare il proprio sostegno, dal Kosovo all'Iraq, passando per l'Afghanistan.
So bene che la missione in Libano non è una questione libanese, ma chiama in causa il Medio Oriente e il problema di Israele, che non si risolve con geometrie politiche equidistanti o «equivicine» - come disse D'Alema -, perché non si può essere in nessuna circostanza tolleranti, non dico compiacenti, con chi pesca nel torbido «brodo» delle culture fondamentaliste. Infatti è questo il vero nodo. Non ci piacciono i contatti più o meno casuali ed occasionali con esponenti degli Hezbollah, perché in una fase delicata come questa non sono ammesse leggerezze. Viviamo in un tempo nel quale il Papa - lo hanno già detto in tanti - deve scusarsi, non per il suo pensiero, non per una dichiarazione, ma per una citazione da Maometto, utilizzata per gettare il seme della concordia. È un paradosso del nostroPag. 29tempo! È un frutto di certa schiavitù mediatica, sconfinata ed incontrollabile.
La missione in Libano non giustifica trionfalismi, ma merita di essere costantemente monitorata. Sul campo la situazione può cambiare repentinamente e le regole di ingaggio potrebbero essere declinate da circostanze e da evoluzioni improvvise. Questa missione costa molto in termini finanziari - siamo d'accordo che la pace costa - ed in termini di rischio per i nostri soldati, ai quali va dato il nostro totale sostegno, la riconoscenza e l'apprezzamento, perché non si sentano mai soli, né mercenari. Garantiamo quindi che essi siano giustamente ricompensati (questione che è stata esaminata dalla XI Commissione lavoro) e siano destinatari della nostra gratitudine. Pertanto, il quesito non può più essere quello che ha sempre distinto l'atteggiamento delle forze democratiche di ispirazione occidentale del nostro paese, rispetto a chi, all'interno della maggioranza - e sono in pochi questa mattina - ha votato per il rifinanziamento della missione di pace in Afghanistan, ripeto, missione di pace, solo per non far cadere il Governo, ma lasciando senza mezzi termini intendere la propria avversità, come a dire: voto «sì», ma penso «no»! Una sorta di dissociazione tra la mente e la mano!
Perciò, non ci sono le condizioni perché su questa missione in Libano si esprima un voto trasversale, che corrisponda ad una comune politica estera. Il Governo D'Alema ottenne i voti della Casa delle Libertà per l'operazione Arcobaleno. Il Governo Berlusconi ha votato in piena autonomia, senza bisogno di stampelle e di compiacenze. C'è una differenza sostanziale e quindi mi chiedo se una maggioranza meno aleatoria e risicata, come quella dell'Unione, si esprimerebbe anche in politica estera con la stessa linea, se disponesse di altri numeri, di altra omogeneità, di altra compattezza al suo interno.
Di sicuro, il nostro voto non è e non sarà strumentale a nessun disegno, né piegato a ragioni di parte o di convenienza. C'è una linea della Lega Nord che viene da lontano, nonostante la nostra storia sia recente, e forse è anche la freschezza delle nostre idee, non logorate da decenni di mediazioni all'infinito, che ci rende liberi di esprimere fino in fondo le nostre convinzioni. Sappiamo chi sono i nostri avversari. Sappiamo chi sono nel mondo i nostri nemici (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pettinari. Ne ha facoltà.
LUCIANO PETTINARI. Sono del tutto legittimi in questa nostra discussione i dubbi, che sono stati posti anche questa mattina sulla missione in Libano. Credo che tutti insieme nella discussione dovremmo cercare di dare risposte a questi dubbi. La missione, è stato detto, comporta ovviamente rischi, così come comporta costi. Per questo dobbiamo assumerci insieme la responsabilità di questa scelta.
Trovo, però, francamente assai meno legittime le domande o le affermazioni che finiscono col sostenere - l'ho sentito questa mattina -: «Non si capisce cosa andiamo a fare in Libano». Meno legittime perché credo che tutti i colleghi abbiano vissuto la drammaticità delle giornate di luglio e agosto: a loro ricordo che in Libano vi è stata una guerra, che la risoluzione dell'ONU ha portato ad una tregua e che la missione dell'ONU, alla quale l'Italia parteciperà, intende garantire questa tregua. Ecco cosa andiamo a fare in Libano! Non è una scelta facile, questo è vero, lo hanno ricordato molti colleghi di entrambi gli schieramenti, e ciò poiché la missione comporta rischi non indifferenti, soprattutto se consideriamo il contesto nella quale avviene: il contesto non solo successivo alla guerra di luglio ed agosto, ma anche il contesto complessivo del Medio Oriente.
La missione, a mio avviso, si è resa necessaria proprio per evitare l'allargamento di quel conflitto. Torniamo un attimo, infatti, a quelle terribili settimane di luglio e agosto: un'azione sconsiderata di Hezbollah ha portato ad una reazione - francamente eccessiva, sproporzionata -Pag. 30di Israele che ha scatenato una vera e propria aggressione verso l'intero Libano, ed il risultato è stato quello di migliaia di morti ed un paese vicino alla distruzione totale.
In quel territorio del mondo vi è un rischio molto evidente, che abbiamo sfiorato, rappresentato d'allargamento del conflitto all'intera zona: basti pensare ad un possibile, eventuale coinvolgimento di Siria ed Iran che avrebbe potuto portare ad una situazione di guerra senza precedenti.
Come raramente è successo, occorre riconoscerlo, vi è stata, però, un'azione internazionale positiva e non un'azione di parte che avrebbe rappresentato un grave errore. La criticata equidistanza aveva un significato assolutamente pregnante, cioè quello, mentre c'era una guerra, di non dare l'impressione di parteggiare per una parte ma chiedere la tregua, equidistanti da quello scontro proprio per favorire tale soluzione.
Occorre riconoscere, anche se comprendo le polemiche parlamentari, il ruolo positivo ricoperto dal Governo italiano, svolto con grande tempestività; anche stamattina ho sentito criticare questa tempestività, ma è stata proprio quest'ultima a fermare quella guerra. Ogni giorno che passava vi erano centinaia di morti: come si può sostenere che vi è stata fretta? Vi è stata fretta nel chiedere l'intervento dell'ONU? Vi è stata fretta nello svolgere un'azione diplomatica verso Israele e il Libano? Dobbiamo rammaricarci di non essere riusciti ad attivarci prima, non che vi è stata fretta. Vi è stata, invece, una grande tempestività ed io credo che questo vada riconosciuto, così come va riconosciuta l'urgenza dell'intervento proprio per evitare un allargamento del conflitto che, purtroppo, era nell'aria.
È stato grazie a quella tempestività (che in quest'aula viene chiamata fretta) che l'Europa si è ritagliata un ruolo da protagonista arrivando così, in tempi abbastanza rapidi - anche se non soddisfacenti - alla risoluzione n. 1701 che l'Italia, assieme ad altri paesi europei, ha indubbiamente favorito e determinato.
La presenza della missione dell'ONU può e deve lavorare in più versanti. Prima di tutto bisogna sgombrare il campo da equivoci poiché anch'io credo che essa possa servire alla sicurezza di Israele, la quale - di ciò ne è testimonianza tutta l'ultima fase storica di questo paese - può essere favorita molto di più da una presenza d'interposizione internazionale che non dalla logica della risposta militare messa, purtroppo, in atto da Israele in quest'ultima fase e che tante volte ha determinato danni, morti, distruzioni anche in questo paese.
Vi è poi la questione del Libano. Occorre certo aiutare e favorire la ricostruzione di questo paese. Sono molto d'accordo con coloro i quali hanno sottolineato il ruolo importante che deve svolgere l'Europa - e con essa ovviamente l'Italia - nel lavoro di cooperazione. Si può fare molto e vi è anche la disponibilità a recepire la necessità di compiere un lavoro di cooperazione. Occorre favorire la riconquista di una stabilità del governo libanese. È inutile fare polemica con Hezbollah, che voi sapete sta al governo di quel paese in virtù di un consenso popolare.
Ora, la stabilità del governo libanese ed un arricchito ruolo del presidente Siniora possono ridurre i condizionamenti delle ali più estreme. Questa è la politica: è ovvio che, in una situazione di conflitto e di guerra, sarà proprio Hezbollah a capitalizzare quel tipo di conflitto, oltre al consenso; non sarà così, invece, se si determineranno le condizioni di una stabilità. Quest'ultima è una condizione importante per trasformare la tregua determinata dalla risoluzione dell'ONU in un vero e proprio processo di pace duraturo e capace di portare relazioni stabili e normali tra il Libano e Israele.
Così come una pace stabile tra questi due Stati può anche consentire di affrontare in modo diverso la questione delle questioni in quella zona del mondo nello scenario mediorientale, cioè il conflitto israelo-palestinese. Ho particolarmente apprezzato che il ministro degli esteri, nell'intensa attività diplomatica sulla questione libanese, non abbia mai dimenticatoPag. 31di porre la propria attenzione anche a quanto avveniva nella striscia di Gaza e nei territori palestinesi, auspicando - così diceva il ministro D'Alema - un intervento delle istituzioni internazionali anche in questo contesto. Riprendo questo aspetto e faccio un appello al Governo, pregando il sottosegretario Intini di trasmettere al ministro D'Alema la sottolineatura positiva di quanto fatto in quella fase, ma anche la considerazione di quanto sia necessario fare adesso: non ritenere di avere raggiunto l'obiettivo con la missione in Libano, ma aprire una fase di attenzione estrema verso il conflitto israelo-palestinese.
È qui che dobbiamo adesso concentrare l'attenzione puntando ad una soluzione di quel conflitto. In particolare, in queste ore e in questi giorni sarebbe auspicabile un contributo internazionale perché si determini davvero un governo unitario delle forze palestinesi in grado di favorire, con il riconoscimento del diritto di Israele ai propri territori, il processo che porti a due popoli e a due Stati.
Vi è infine un punto che non va dimenticato: la missione in Libano è voluta dall'ONU ed è diretta conseguenza della risoluzione n. 1701; vede un consenso internazionale senza precedenti e, dunque, in essa trova applicazione reale - e non di parte - il multilateralismo. Non v'è dubbio che si tratta di una situazione diversa dalle altre e che c'è un ritorno al protagonismo dell'ONU che credo l'intero Parlamento debba favorire, al di là delle polemiche contingenti, delle perplessità e dei dubbi. Vi è un ritrovato protagonismo dell'ONU che può rilanciare su nuove basi il ruolo delle Nazioni Unite che, obiettivamente, era parso molto sfocato negli ultimi anni. Esso è un nuovo protagonismo che lascia ben sperare sulla soluzione di tanti conflitti ancora aperti sullo scacchiere internazionale. Io sono - e concludo Presidente - tra quei parlamentari che hanno sempre votato contro la missione in Iraq e voto invece con convinzione la missione in Libano.
Ci si è chiesti, anche questa mattina, in quest'aula, come possa avvenire questo: io credo che, se ragioniamo sui diversi contesti in cui hanno avuto corso le due missioni, lo possiamo capire.
Cerchiamo di essere seri su questioni del genere. Non si è favorevoli o contrari ad una missione militare in quanto tale o per principio. In Iraq, la presenza militare era conseguenza di una guerra voluta dagli Stati Uniti e non condivisa dall'ONU, che solo successivamente è intervenuta nella questione. In Libano ci troviamo di fronte ad una missione dell'ONU che vuole interrompere una guerra e, perciò, si tratta di una missione di pace. Per questo motivo, chi era contrario alla missione in Iraq è favorevole alla missione in Libano (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Zacchera. Ne ha facoltà.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, al collega che è intervenuto poco fa è dovuto ogni rispetto. Però, vorrei commentare il suo intervento, dicendo che sono stufo di ascoltare ipocrisie. È ipocrisia anche non rendersi conto della realtà e, secondo me, lo è anche trasformare le situazioni, magari anche a suo o a mio vantaggio. Il Corriere della Sera di questa mattina riporta, in prima pagina, un occhiello che recita: «Scarso coordinamento, burocrazia, resistenze: sul New York Times i malumori degli italiani» e un titolo che recita: «Libano, ostacoli e ritardi frenano la missione». Possiamo interpretare questa missione di pace come vogliamo - ed è sicuramente una missione di pace - ma non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla realtà, altrimenti cadiamo nella ipocrisia ed anche nelle diatribe politiche, che non fanno il bene né dei nostri soldati che sono in questo momento in Libano, né di questa missione. Quest'ultima, che è nata, posso anche dire, positivamente per consolidare una tregua, è nata con il piede sbagliato e rischia, andando avanti, di continuare con il piede sbagliato. Dio non voglia che ci andiamo a infilare in una situazione peggiore, ben peggiore, di quella dell'Iraq.
Apprendiamo dal giornale di oggi che gli italiani sono in Libano, ormai, da dieciPag. 32giorni ma ancora non hanno una base. Apprendiamo - ma non c'era bisogno di leggere il Corriere della Sera - che non c'è, per ora, alcuna collaborazione con l'esercito libanese, che dovrebbe essere sul territorio, e, secondo l'affermazione di un ufficiale italiano riportata tra virgolette, ci sono molti equivoci su quello che stiamo facendo. Questo è il punto fondamentale. Pur essendo partiti con la massima buona volontà -, e, ovviamente, anche per far vedere che il Governo è particolarmente attivo dal punto di vista della politica internazionale -, noi siamo in Libano senza avere le idee chiare su che cosa dobbiamo fare. Cerchiamo di essere obiettivi e conseguenti. Ci troviamo in Libano per cercare di mantenere una tregua. Ci sono due parti: gli israeliani e gli hezbollah. Giustamente, il collega dell'Ulivo affermava che l'azione degli hezbollah dei mesi scorsi è stata sconsiderata e che la reazione degli israeliani, sempre secondo il collega dell'Ulivo, è stata esagerata. Non sta a me commentare. Sta di fatto, però, che gli israeliani si stanno ritirando e, quindi, non ci saranno più due parti in causa ma soltanto gli hezbollah; tant'è vero che gli israeliani erano già usciti da quella parte del Libano alcuni anni fa e non avrebbero avuto alcuna intenzione di tornarci se non avessero tirato loro addosso alcuni razzi.
Ma andiamo avanti. Il nostro problema è il rapporto con gli hezbollah. Sempre il Corriere della Sera di oggi riferisce - tra virgolette, quindi devo pensare che ciò sia corretto - che, tre giorni fa, parlando alla sua gente radunata alla periferia di Beirut, il leader degli hezbollah, Hassan Nasrallah, aveva detto chiaro e tondo che le truppe internazionali sono le benvenute solo fino a quando non cercheranno di disarmare gli hezbollah. Inoltre, egli aveva messo il dito su quella che, secondo lui, è l'ambiguità di fondo della missione, sostenendo di non aver sentito dire, da nessuno dei paesi che fanno parte dell'UNIFIL, di aver inviato i soldati per difendere il Libano e i libanesi. Ha aggiunto che questi paesi si devono vergognare di dire che sono in Libano per la difesa di quest'ultimo quando dicono di voler difendere Israele.
Se la parte in causa presente sul terreno, ovvero gli hezbollah, si comporta bene, cioè non attacca Israele, non si arma e non dà fastidio, questa diviene la più tranquilla tra le missioni di pace, perché non esistono due parti in causa ma ce n'è soltanto una; in tal modo, penso che i nostri soldati avranno un compito agevole. Ma il fatto stesso che si inviino quindicimila militari su un confine di 50 chilometri, alla media di trecento militari per chilometro, cioè uno ogni 3 metri, significa che la situazione non è affatto tranquilla, significa che gli hezbollah non hanno deciso di disarmarsi e si teme che questi ultimi, con i loro amici - sapete bene chi sono - in futuro tenteranno nuovamente di armarsi. Allora, come contingente italiano, che cosa faremo? Che decisioni si devono prendere? Che cosa faremo? Li disarmeremo oppure no? Non è compito nostro, è stato detto dal potere politico, ma devono pensarci i libanesi. Signori, questa è ipocrisia. Denuncio che questa è ipocrisia perché Hezbollah fa parte dell'esercito libanese. Non tutto l'esercito libanese è composto da hezbollah ma che essi facciano parte del campo economico, militare e, soprattutto, politico è una realtà che tutti conoscono ed è pacifica. Non ho mai capito come potrebbe essere disarmata una brigata italiana dai comandanti dell'esercito italiano. Mi sembra abbastanza difficile.
Questo è l'equivoco di fondo di una missione in cui non ci sono degli ordini chiari. Al di là degli scopi, al di là della buona volontà, al di là della speranza che tutto vada per il meglio, esprimo molto scetticismo sugli ordini sul campo di questa missione, sulla quale si può benissimo essere d'accordo. Io ritengo che sia giusto e doveroso che l'Italia, che è una potenza, almeno nel Mediterraneo, che deve essere testimone e avere una sua politica, sia presente in quest'area, ed è necessario che ci vada per tutelare, in prospettiva, anche il rapporto tra israeliani e palestinesi. Sono d'accordo su questo, ma che si faccia con delle regole di ingaggio certe. Infatti,Pag. 33Dio non voglia che ci sia un riarmo degli hezbollah, che cosa facciamo? Su questo aspetto da parte del Governo vorrei dei chiarimenti: non può limitarsi a dire che vedremo cosa succederà. Quando si spara e ci si trova in mezzo, bisogna potersi difendere.
Vi è un'altra ipocrisia da parte della sinistra: sono stufo di ascoltare dichiarazioni di un certo tipo sull'Afghanistan. Penso sia doveroso il ricordo del nostro caduto di oggi e mi chiedo se sia stato sufficientemente armato, se sia stato sufficientemente difeso e se il nostro contingente, in una situazione che sta diventando sempre più drammatica e difficile, come affermano tutti gli osservatori internazionali da mesi, sia sufficiente e sufficientemente tutelato specialmente dal punto di vista aereo.
Stavo parlando dell'ipocrisia sulle missioni di pace: ricordo a lor signori colleghi parlamentari che la risoluzione n. 1511 dell'ONU, mesi dopo la guerra fatta da Bush all'Iraq, approvata dalla riunione dell'ONU n. 4844 il 16 ottobre 2003 dava mandato a dare «il proprio contributo per la realizzazione della risoluzione n. 1483, ovvero a permettere la costruzione di un Governo stabile scelto dalla popolazione e riconosciuto dall'autorità internazionale». Inoltre si autorizzava «la presenza di una forza multinazionale anche sotto forma di contingenti militari, che potrà prendere tutte le misure necessarie per contribuire al mantenimento della sicurezza e della stabilità in Iraq».
Noi non siamo stati una potenza aggressiva in Iraq. Noi siamo andati con un mandato dell'ONU, rispettando le regole dell'ONU.
Quindi, si deve avere il coraggio di dirlo e lo stesso discorso vale per l'Afghanistan, perlomeno in parte, visto che la situazione in Afghanistan è più complessa e obiettivamente ci sono scenari diversi. Non si dica che quella non era una missione di pace, perché anche quella lo era. Noi siamo andati lì e abbiamo fatto il nostro dovere come italiani, non certo a livello personale. Quel «nostro» può sembrare anche irriguardoso nei confronti di chi è stato sul campo. Abbiamo cercato anche, come è successo la settimana scorsa, di restituire una provincia pacificata; gli italiani, quindi, hanno fatto anche delle cose egregie, che non avevano nulla a che vedere con la copertura militare di una zona.
Proceda quindi la missione in Libano - mi sembra che sia doveroso, per una media potenza come l'Italia -, ma si affrontino questi problemi senza ipocrisia e, soprattutto, dando ordini chiari. Non c'è nulla di peggio, in un potenziale scontro, di quando i sottoposti non hanno ordini chiari dalle autorità militari e, a questo punto, anche dalle autorità politiche.
Per questo mi auguro che, da parte della Camera, ci sia un riconoscimento generale dell'utilità delle missioni italiane cui gli italiani hanno partecipato ovunque nel mondo in questi anni. Non abbiamo mai fatto missioni di guerra. Nello stesso tempo, si prenda atto che, ad oggi, non c'è ancora chiarezza sulla missione UNIFIL, alla quale mi auguro che l'Italia continuerà a partecipare, ma nella chiarezza degli ordini e dei comandi (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,30 con il prosieguo degli interventi sul complesso degli emendamenti presentati.
La seduta, sospesa alle 13,50, è ripresa alle 15,30.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI