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Discussione sulle comunicazioni del Governo (ore 9,10).
(Discussione)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Venier, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione.
IACOPO VENIER. Signor Presidente della Camera, membri del Governo, onorevoli colleghi, finalmente in quest'aula si sente da parte del Governo della Repubblica un linguaggio di pace. Finalmente il nostro paese torna nell'alveo di quella Costituzione che gli antifascisti hanno voluto per dire basta ad ogni guerra, ad ogni razzismo e ad ogni dittatura. Questo è il primo importante risultato della nostra vittoria.
Milioni di persone hanno votato per fermare la destra e per dare a lei, onorevole Prodi, la responsabilità di guidare il nostro paese fuori dalla crisi e dalla guerra. È importante oggi ricordare e riconoscere che la vittoria elettorale dell'Unione non ci sarebbe stata senza le mille forme che ha preso la resistenza popolare al Governo Berlusconi. Dalle mobilitazioni di Genova, soffocate nella violenza, ai balconi ed alle piazze che chiedevano pace, dai girotondi a difesa della democrazia, agli scioperi per i diritti dei lavoratori, il nostro popolo ha reagito prima della politica per bloccare una deriva pericolosissima.
La destra in questi anni non è stata ferma. Il paese è scosso dalle sue politiche, che hanno alimentato paure, evocato egoismi, disgregato la società, demolito valori, sino a renderci corresponsabili in Iraq di una guerra di aggressione dai caratteri coloniali. Noi però abbiamo vinto ed oggi dobbiamo convincere anche quella parte del paese che non ci ha votato che la nostra proposta di governo è all'altezza della sfida e delle domande che salgono dal profondo della società italiana. Per farlo serve una svolta radicale, una svolta politica e culturale, servono presto fatti concreti.
Il signor Presidente del Consiglio sa che il gruppo dei Comunisti Italiani sosterrà con determinazione il suo Governo e lo farà allo scopo di realizzare il programma presentato agli italiani, che costituisce una sintesi tra sensibilità, proposte e progetti non alternativi, ma certo differenti tra di loro. Il ritiro immediato delle truppe dall'Iraq è la prima grande svolta che il nostro popolo aspetta. Lo abbiamo detto in campagna elettorale e lo faremo.
Noi Comunisti Italiani, però, in nome della dignità dell'intero paese, pensiamo che sia dovere di tutto il Parlamento fare chiarezza su ciò che in Iraq è accaduto, a partire dalla costituzione di una Commissione di inchiesta su quell'episodio ancora oscuro e che getta nuove ombre sui nostri alleati statunitensi che è stato l'uccisione di Nicola Calipari.
Signor Presidente Prodi, noi apprezziamo particolarmente l'obiettivo da lei indicato di ricollocare il nostro paese in Europa. Crediamo fortemente nel multipolarismo, senza il quale non esiste alternativa al dominio del più forte e alla guerra preventiva e permanente per l'accaparramento delle risorse del pianeta. Noi vogliamo, come lei, un'Europa più forte, più autonoma, più democratica e sociale. L'Italia, per noi, non è il sud dell'Europa, l'Italia è l'Europa al centro del Mediterraneo; per questo pensiamo che sia nostro compito storico sradicare ogni idea di scontro di civiltà e affrontare i problemi di fondo che il terrorismo, nostro nemico mortale, strumentalizza.
La nascita dello Stato di Palestina, come è scritto nel programma, è nostro obiettivo primario. Gravissimo sarebbe l'errore di accodarsi all'idea di un nuovo embargo. La storia ci insegna che gli embarghi, dall'Iraq a Cuba, non sono altro che strumenti infami che affamano i popoli senza raggiungere alcun risultato. Per affrontare i problemi bisogna affermare il diritto internazionale. L'Italia deve quindi battersi contro l'occupazione illegale e crudele che umilia il popolo palestinese, mette a rischio lo sviluppo e la sicurezza di tutta l'area, a partire da quella dello Stato di Israele.Pag. 4
Signor Presidente Prodi, noi Comunisti Italiani siamo federalisti in Europa, senza essere eurocentrici. Per questo spingeremo perché il nostro paese si metta in sintonia con le esperienze politiche più avanzate dei paesi in via di sviluppo. Dobbiamo dialogare profondamente con la nuova America latina, che va integrandosi, con l'Africa, che non è solo miseria e fame, con l'India e con la Cina. È in questo modo che si affrontano i grandi problemi dello sviluppo e le contraddizioni economiche, sociali e ambientali che rischiano di travolgere il nostro pianeta.
Infine, signor Presidente Prodi, membri del Governo, voi conoscete la lealtà e la serietà del partito dei Comunisti Italiani. È la nostra storia che parla. Noi rispetteremo il programma che abbiamo sottoscritto e sosterremo il Governo da lei presieduto. Ciò non limita, però, la possibilità di cercare nella maggioranza, magari anche con l'opposizione, intese che amplino, nel consenso, l'azione del Governo. Un esempio per tutti: noi riteniamo che la questione delle basi straniere sul territorio italiano e dei vincoli tenuti segreti allo stesso Parlamento che ci legano al Patto Atlantico siano pesanti eredità di una fase della storia definitivamente conclusa...
PRESIDENTE. La prego di concludere, deputato Venier.
IACOPO VENIER. Conquistare una piena dignità e sovranità al nostro paese non è un modo per allentare i vincoli di alleanza che l'Italia oggi riconferma.
Grazie, signor Presidente, e in bocca al lupo a lei e a tutti noi.
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Montani, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare il deputato Siniscalchi, al quale ricordo che ha dieci minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
SABINA SINISCALCHI. Signore e signori deputati, signore e signori ministri, ho molto apprezzato nel discorso programmatico del Presidente del Consiglio l'affermazione che il Governo intende scegliere una politica preventiva di pace che persegue attivamente l'obiettivo di equità e di giustizia sul piano internazionale. Finalmente la pace e la giustizia nel mondo diventano lo scopo vero e principale della politica estera dell'Italia. Una vera politica estera non si attua con pacche sulle spalle e foto di gruppo, ma partecipando ad alto livello, con competenze e strumenti adeguati, al Governo multilaterale del mondo - e sottolineo multilaterale -, senza sudditanza verso nessun altro paese, per quanto potente esso sia. Un buon Governo del mondo, o meglio una governance, secondo la definizione delle Nazioni Unite, deve adoperarsi per mettere fine alle guerre, spegnere i focolai di tensione, assicurare la pacifica convivenza tra popoli, culture e religioni diverse, regolare l'economia e la finanza mondiale, sconfiggere la povertà e garantire a tutti gli abitanti della terra i diritti fondamentali sanciti dalla dichiarazione universale. I milioni di cittadini, movimenti e organizzazioni che si sono mobilitati negli ultimi anni in tutti i paesi del mondo lo hanno fatto per questo fine, un fine raggiungibile, come ha ribadito più volte il Segretario generale dell'ONU.
Abbiamo i mezzi: mai il mondo ha posseduto tanta ricchezza e così elevate risorse scientifiche e tecnologiche. Ciò che manca è la volontà politica. Noi ci aspettiamo che il nostro Governo dimostri tale volontà politica e traduca in iniziative concrete le ottime intenzioni espresse nel programma.
Negli ultimi cinque anni l'Italia ha perso terreno non solo sul piano economico, ma anche sul piano politico. Non ha saputo dare un contributo serio a risolvere i problemi internazionali e non ha mantenuto gli impegni presi nelle conferenze mondiali e presso le organizzazioni multilaterali. Peggio: ha assecondato la pericolosa tendenza dell'attuale Governo degli Stati Uniti a disconoscere o bloccare importanti accordi e trattati internazionali - peraltro già negoziati dalle precedenti amministrazioni statunitensi - in materia di Pag. 5disarmo, tutela dell'ambiente, controllo dei paradisi fiscali, protezione dei diritti umani.
Per questo chiediamo che il nostro Governo segni una chiara inversione di rotta impegnandosi in tutte le sedi internazionali per il dialogo, in particolare tra nord e sud del mondo, per riequilibrare i rapporti commerciali, per regolare la finanza e frenare le speculazioni, per bloccare i traffici illeciti, a partire da quello degli esseri umani, per sradicare la povertà e raggiungere gli obiettivi del millennio. Occorre ridare all'Italia un ruolo credibile a livello internazionale perché - come sosteneva Papa Giovanni XXIII nella Pacem in terris - la pace, la democrazia e la libertà dei popoli si costruiscono con i negoziati e la cooperazione.
È molto significativo il fatto che, per la prima volta nella storia del nostro paese, sia stata nominata una viceministro degli esteri con delega alla cooperazione. La cooperazione non è un prodotto residuale della politica estera, è il modello ottimale di relazione con gli altri paesi. Voglio ricordare che l'Italia oggi, con nostra vergogna, è l'ultimo dei 23 paesi donatori dell'OCSE. Si tradiscono, così, non solo gli impegni assunti davanti al mondo intero, ma la volontà dei cittadini italiani che sono pronti ad aiutare di tasca propria le popolazioni colpite da fame e calamità e considerano, per il 92 per cento, l'aiuto ai paesi poveri una priorità politica, come dimostra una recente indagine europea.
Tuttavia, l'aiuto allo sviluppo non basta: non si può dare con una mano e togliere con l'altra. Nelle sedi internazionali l'Italia deve impegnarsi per un sistema economico e commerciale improntato alla trasparenza ed all'equità, che consenta ai paesi più deboli il libero sviluppo delle proprie economie. Bisogna, inoltre, risolvere finalmente il grave problema del debito estero che strangola le popolazioni povere e sottrae risorse allo sviluppo sociale.
Non possiamo accettare che i vincoli di bilancio ci impediscano di fare il nostro dovere sul piano internazionale. Le risorse si possono trovare già con la prossima legge finanziaria, sull'esempio dei maggiori paesi europei (la Spagna, la Germania, la Francia), stabilendo un preciso calendario per raggiungere quanto prima lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo. Il traguardo quantitativo deve andare di pari passo con la qualità della cooperazione perché non vogliamo sperperare i soldi degli italiani, ma vogliamo che raggiungano le popolazioni più vulnerabili e sostengano i paesi che stanno perseguendo seriamente gli obiettivi del millennio.
Da una buona ed efficace cooperazione l'Italia avrà un ritorno non solo in termini di credibilità e peso sulla scena mondiale, ma anche sotto il profilo economico, perché uno sviluppo armonioso dell'intero pianeta apporta vantaggi a tutti i paesi. Diversamente, dovremo continuare ad affrontare emergenze politiche e sociali che costano a noi maggiori risorse ed ai poveri enormi sofferenze. Nessuno, signor Presidente, può vivere sicuro, né tanto meno felice, in un mondo in cui la metà della popolazione vive in povertà, un miliardo e mezzo di persone non ha acqua potabile, un bambino su cinque non va a scuola.
Negli ultimi anni l'Italia, paradossalmente, ha scelto di riempire gli arsenali e svuotare i granai. Infatti, è l'ultimo paese nella classifica mondiale dell'aiuto allo sviluppo, ma è tra i primi nella produzione ed esportazione di armi. Questo non va bene perché le armi non sono suppellettili, le armi sono usate per uccidere ed uccidono civili: donne e bambini le principali vittime dei 60 conflitti che si stanno combattendo nel mondo. Allora, una vera politica di pace passa anche da un serio controllo internazionale degli armamenti.
Voglio ricordare un evento di grande importanza: nel 1997, grazie alla mobilitazione della società civile ed all'impegno del Parlamento, l'Italia, mentre era in carica un Governo di centrosinistra, è stata tra i primi paesi promotori del Trattato di Ottawa per la messa al bando delle mine antiuomo.
Ecco, signor Presidente e signori ministri, oggi ci attendiamo dal Governo atti coraggiosi, di alto valore politico ed etico che sappiano ridare speranza al mondo. Buon lavoro (Applausi dei deputati dei Pag. 6gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, de L'Ulivo e dei Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Baldelli, al quale ricordo che ha quattro minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente (citerei anche il Presidente del Consiglio ma non è presente in aula, come non lo sono i Vicepresidenti), colleghi, intervengo oggi per la prima volta in Assemblea da giovane deputato «azzurro», da parlamentare marchigiano ed anche da «mercenario» (il Presidente del Consiglio ricorderà l'antica querelle con i giovani di Forza Italia). Intervengo sul tema dei giovani perché sui giovani sono state dette molte bugie nella campagna elettorale, ma anche nell'Assemblea del Senato durante l'intervento programmatico del Governo.
Ritengo che proprio sui giovani debba essere compiuta un'«operazione verità». Non ci aspettiamo da voi l'onestà intellettuale di ammettere che il Governo Berlusconi sia stato quello che ha fatto di più, in generale, nella storia del nostro paese e, in particolare, sui giovani, ma crediamo che affermazioni come quella del Presidente Prodi, quando sostiene che la legge Moratti ha liquidato la formazione professionale, siano profondamente sbagliate. Mi auguro che il ministro dell'istruzione, che forse conosce la riforma Moratti meglio del Presidente Prodi, gli spieghi che se vi è stata una legge che ha dato dignità alla formazione professionale questa è stata la riforma Moratti, che ha istituito i licei professionali.
Inoltre, toglietevi dalla testa quell'idea un po' curiosa, che non avete avuto il coraggio di inserire nel programma elettorale, di reintrodurre il servizio civile obbligatorio per i ragazzi e le ragazze al compimento dei diciotto anni, perché faremo le barricate dentro il Palazzo ed anche fuori!
La riforma costituzionale che la Casa delle libertà ha approvato abbassa l'età dell'elettorato attivo e passivo per la Camera e per il Senato.
Sui giovani avete avuto quell'idea originale e geniale di istituire un ministero, con un curioso abbinamento di deleghe su giovani e sport che, se può avere senso in una giunta comunale, al Governo risulta quasi grottesco e ridicolo (e potevate avere almeno la buona creanza di farlo guidare da un giovane!).
Ho ascoltato le dichiarazioni del ministro Damiano sul superamento - si tratta di un termine che ora va di moda - dello scalone previdenziale. Facciamo attenzione, perché ogni minuto che la riforma previdenziale ritarda - una riforma che abbiamo varato per permettere ai giovani un futuro più sereno - pesa sulle spalle delle nuove generazioni. È quindi una riforma da esaminare con grande delicatezza.
Passiamo alla legge Biagi, alla «precarietà», come avete avuto la cattiva creanza di chiamare quella che nel 1997 era la «flessibilità» introdotta da un Governo di centrosinistra. La flessibilità, i co.co.co. per capirci, hanno un padre ed una madre (decidete voi chi sia il padre e la madre secondo la vostra visione molto aperta sulle unioni di fatto); i due genitori dei co.co.co. si chiamano Romano Prodi e Tiziano Treu. La legge Biagi rimodula e sistema quella disciplina aggiungendo nuove garanzie ai collaboratori coordinati e continuativi che prima non avevano ferie, malattia o maternità. Come si fa allora a dire che il centrodestra ha introdotto il precariato? Come si può seminare terrorismo psicologico nei giovani e nelle famiglie, agitando la bandiera del precariato?
Sono tutte cose gravi, accadute nel corso della campagna elettorale. Ritengo si debba avere l'onestà intellettuale di ammettere quanto il centrodestra abbia realizzato. Noi, giovani deputati, e, alcuni, anche esponenti di movimenti giovanili, difenderemo le riforme compiute. L'unico elemento di precariato presente ora nel paese è questo Governo. Faremo in questo senso la lotta al precariato, cercando di mandarvi a casa, e non di farvi un contratto a tempo indeterminato. È un favore che faremo ai nostri elettori, alle nuove Pag. 7generazioni che hanno il diritto di guardare al futuro con serenità, con libertà, attraverso la difesa degli ideali che rappresentiamo, gli ideali di quella maggioranza degli italiani che ci ha votato e che ci vuole nuovamente alla guida del paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lumia, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE LUMIA. Signor Presidente, con la fiducia da votare alla Camera il paese si dota di un Governo stabile, pronto ad attuare una sostanziale svolta nella vita della nostra società.
Dopo cinque anni di Governo Berlusconi, abbiamo di fronte un'Italia più povera, meno competitiva, più ingiusta e disgregata nella sua coesione sociale, nell'etica pubblica e nel senso dello Stato.
Il Presidente del Consiglio Prodi e l'Unione hanno, pertanto, un compito difficile, ma possibile: far ripartire il paese, promuovendo, in primo luogo, una fiducia vera e sostanziale per quanto concerne il rapporto tra gli italiani e le istituzioni; ancorando l'Italia al destino dell'Europa con un ruolo attivo e dinamico, perché ciò rappresenta una grande occasione in termini di crescita economica e di sviluppo del modello nello stato sociale; promuovendo, inoltre, il Mezzogiorno attraverso un cammino che permetta allo stesso di collocarsi nel cuore del Mediterraneo. Si tratta, infatti, di un Mezzogiorno non più soltanto da aiutare, poiché lo stesso può, da moderna risorsa, contribuire alla collocazione dell'Europa nei nuovi scenari del Mediterraneo che sono in grado di offrire più opportunità e più diritti, permettendo allo stesso valore della pace di collegarsi con una moderna forma di cooperazione, di scambio e di integrazione culturale e sociale.
Questo Governo ha il programma, gli obiettivi, nonché le risorse umane per promuovere un'altra svolta decisiva nella vita del nostro paese: provare a coniugare sviluppo e legalità.
Spesso, nella storia del nostro paese, queste due dimensioni sono state separate. Spesso, si è pensato che lo sviluppo potesse fare a meno di vincoli etici, di regole chiare e certe, di un'etica pubblica adeguata e fondata, nonché di una dimensione statuale moderna ed avanzata.
Spesso, quelli che sono stati più attenti alla dimensione della legalità pensavano che, da sola, questa potesse innescare dinamiche di crescita e di avanzamento sociale ed economico del nostro paese.
Noi abbiamo bisogno di entrambe le dimensioni, le quali se ben collegate possano restituire quella fiducia sostanziale, promuovendo quel cammino che nel Mezzogiorno è vitale e decisivo.
Per troppo tempo, non abbiamo attuato quello che il Presidente Ciampi e, adesso, il Presidente Napolitano ci hanno ricordato: non basta combattere le mafie, ma bisogna sconfiggerle.
Ecco perché avere inserito la lotta alla criminalità organizzata tra le priorità della vita del Parlamento e del Governo rappresenta un primo passo, vero e sostanziale.
Non dobbiamo lasciarci prendere da una vera e propria falsità che, spesso, ha catturato le classi dirigenti del nostro paese, vale a dire pensare che affrontare questo tema fa perdere, ad esempio, credibilità all'Italia nello scenario internazionale!
No, non è così! La presenza di un'elevata criminalità, con le estorsioni, l'usura, il racket, il condizionamento degli appalti ed una vasta penetrazione in ampi settori dell'economia e della politica fanno perdere credibilità al nostro paese. Al contrario, una moderna, avanzata, progettuale ed integrata lotta alla mafia ci dà un altro e positivo respiro, crea quegli anticorpi necessari e quell'energia adatti ad attuare una profonda svolta, in grado di farci acquisire una più forte credibilità internazionale, attrarre investimenti e rendere il nostro paese più giusto, democratico e più affidabile.
Ecco perché il Mezzogiorno deve avere una guida forte in questo Governo! Ecco perché questo Governo deve creare una vera svolta!Pag. 8
Ci sono tante donne e tanti giovani che, nel Mezzogiorno, hanno talenti e che, in questi anni, sono costretti ad andare via. Vi sono ricercatori; vi è una dimensione straordinaria nel mondo della scuola e delle università che chiede un nuovo Governo, che chiede di mettere al servizio del nostro paese le grandi opportunità che esistono nel Mezzogiorno.
Rompa tutti gli indugi questo Governo, guidi il nostro paese, guardi al Mezzogiorno con occhi nuovi e i risultati arriveranno: l'Italia e il Mezzogiorno contribuiranno a rendere l'Europa più coesa e più forte e il Mediterraneo un'area di sviluppo, di cooperazione e di pace (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Aprea. Ne ha facoltà. Le ricordo che il tempo a sua disposizione è di quattro minuti.
VALENTINA APREA. Signor Presidente, Presidente del Consiglio, onorevoli ministri, onorevoli colleghi, intervenendo in questo dibattito, desidero in primo luogo richiamare la vostra attenzione sulla composizione stessa del Governo.
Presidente Prodi, lei ha impostato la sua campagna elettorale sul principio della serietà al Governo: le scelte che invece lei ha compiuto già soltanto con questi primi atti parlano di poca serietà, se non di irresponsabilità nei confronti delle istituzioni, ma anche e soprattutto della spesa pubblica. Mi riferisco in particolare alla sua scelta di far rivivere - peraltro sine titulo, visto che il decreto legislativo n. 300 del 1999 è ancora vigente - due distinti ministeri, quello dell'istruzione e quello dell'università e della ricerca, di cui sono in grado di constatare più in profondità la gravità, essendo stata sottosegretario all'istruzione, all'università e alla ricerca nel Governo Berlusconi.
Certamente, Presidente, lei non deve aver considerato abbastanza che questo accorpamento fu voluto dal ministro Bassanini per rendere più efficace ed efficiente, ma anche meno costosa, l'incidenza dei dicasteri sul bilancio dello Stato.
Insomma, il decreto legislativo n. 300 del 1999 aveva un onesto obiettivo: avviare un processo di semplificazione, di modernizzazione, di decentramento della pubblica amministrazione, snellendo le burocrazie, ottimizzando le sinergie dei macrosettori. È evidente che quegli obiettivi non rientrano più nel suo programma, nei programmi della sinistra, e che, anzi, a distanza di pochi anni, la stessa sinistra di Governo rinnega quelle scelte, riducendo Bassanini e le sue leggi ad un puro incidente nella storia delle istituzioni repubblicane; ma non c'è solo poca serietà in questa scelta, ci sono soprattutto tanta irresponsabilità e scarsa lungimiranza.
Lo sa il Presidente Prodi, lo sanno gli onorevoli Mussi e Fioroni, i ministri dell'università e dell'istruzione, che il processo di accorpamento, previsto dal decreto legislativo n. 300 del 1999, ha richiesto ben due anni e mezzo? E ancora, sanno loro che l'emanazione del regolamento istitutivo del sopprimendo MIUR si è rivelata lunga e laboriosa, con diversi interventi della Corte dei conti, finalizzati ad adeguare alle effettive esigenze dell'azione amministrativa il decreto legislativo n. 300 del 1999? Peraltro, successivamente all'attuazione di quel regolamento, è seguita l'approvazione di numerosi altri decreti, che hanno richiesto ancora altro tempo.
Per il bilancio, le questioni sono state ancora più complesse. Infatti, benché l'unificazione del bilancio fosse stata predisposta dal Ministero dell'economia e delle finanze a partire dal 2005, in realtà quello in corso è il primo anno in cui si può affermare che l'unificazione delle due ex amministrazioni è pienamente operante. Nel momento in cui si procede ad una nuova separazione, appare evidente che, a prescindere dall'atto legislativo con cui l'avete determinata, bisognerà attendere tutta una serie di atti amministrativi, riguardanti l'organizzazione degli uffici ed altro, che paralizzeranno l'azione amministrativa per parecchi anni.
Insomma, avevamo proprio bisogno di vanificare il precedente processo di unificazione, varato peraltro da un vostro precedente Pag. 9Governo? Il paese certamente no, onorevole Mussi, onorevole Fioroni, ma la maggioranza del Presidente Prodi sì! Il Presidente Prodi ha sacrificato sull'altare della lottizzazione partitica della sua maggioranza una nuova efficace organizzazione di un ministero, il MIUR, che, guidato per cinque anni da un unico ministro, Letizia Moratti, e da viceministri e sottosegretari con deleghe piene, ha consentito di valorizzare e rilanciare un'unica filiera della conoscenza al servizio della persona, della famiglia e della società. Al MIUR, nella scorsa legislatura, abbiamo ottimizzato l'apporto delle due strutture ministeriali per dare vita ad una scuola, una università e una ricerca che fossero in grado di trasmettere, generare e consolidare la conoscenza come risorsa strategica per lo sviluppo e le questioni sociali, in coerenza con gli obiettivi dell'Agenda di Lisbona 2000.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
VALENTINA APREA. Persino la CGIL scuola ha da qualche anno unificato i tre settori e dato vita al sindacato dei lavoratori della conoscenza.
In realtà, la scelta operata da lei, Presidente Prodi, oltre a determinare problemi, che non saranno di facile soluzione per i ministri Fioroni e Mussi, delude soprattutto dal punto di vista strategico e riformista. Non vi è dubbio che, scindendo le competenze del MIUR, di fatto, si annacquerà la spinta riformistica e sarà più difficile per gli stessi ministri resistere alle pressioni corporative e alle logiche di basso profilo.
In Commissione, avremo modo di interpellare i ministri - in modo particolare il ministro Fioroni - sulle decisioni che saranno chiamati ad adottare. Ministro Fioroni, lei sarà chiamato a decidere se continuare a completare un processo riformatore di stampo europeo - peraltro, già avviato in ritardo nel nostro paese - oppure se, sull'onda di diagnosi nostalgiche, conservatrici e di contrapposizioni, interrompere questo processo e restaurare logiche e prospettive del passato. Dipenderà dai ministri Fioroni e Mussi decidere come proseguire.
Evidentemente, noi non staremo a guardare. Se la decisione sarà di continuare questo processo, noi ci saremo convintamente e condivideremo le scelte; diversamente, la nostra opposizione sarà dura e tenace in quest'aula e nel paese (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Costa. Ne ha facoltà.
ENRICO COSTA. Signor Presidente del Consiglio, per raggiungere gli obiettivi che lei si è proposto non è ovviamente sufficiente nominare una squadra di Governo. Non basta affidare i vari settori della pubblica amministrazione a persone che lei ritiene valide, esperte e capaci per far fronte alle esigenze del nostro paese.
Ogni programma di governo, più o meno ambizioso, viene realizzato se ne sussistono le condizioni dal punto di vista politico e amministrativo e se lo stesso non contrasta con il quadro esistente, soprattutto costituzionale, ma anche legislativo. Per condizioni politiche intendiamo una maggioranza compatta ed omogenea, senza contraddizioni interne che ne limitino o ne appesantiscano l'attività parlamentare. La coalizione che la sostiene, signor Presidente, non sembra avere queste qualità.
Il minimo comune denominatore e il collante sono rappresentati ben più dalla volontà di azzerare quanto realizzato dal precedente Governo che da uno spirito realmente costruttivo. Tuttavia, quand'anche vi fossero obiettivi condivisi ed idee chiare nelle scelte dell'esecutivo, queste dovrebbero fare i conti con un muro invalicabile che i più, sbrigativamente, chiamano burocrazia, ma che nei fatti è rappresentato da una massiccia presenza del pubblico nella società italiana e, soprattutto, da un quadro normativo copioso, invadente, spesso impermeabile, talvolta ossessivo, costituito da decine di migliaia di leggi che condizionano pesantemente l'attività anche minima e modesta Pag. 10della vita pubblica e di quella privata, degli enti locali, dei ministeri e delle regioni, dei cittadini e delle aziende. Ogni amministratore pubblico o privato nel nostro paese se ne lamenta! È un coro che giunge da destra e da sinistra e riguarda non solo l'eccesso di leggi e regolamenti, ma anche la presenza di enti pubblici, spesso inutili, autorizzati ad emanare atti amministrativi.
Oggi, realizzare un'opera pubblica, anche minima, richiede una serie di passaggi, di barriere, di autorizzazioni, di oneri, di competenze e di tavoli spesso discutibili. Non basta dunque la volontà politica e neppure reperire i finanziamenti, occorre confrontarsi con le tante norme che condizionano l'attività amministrativa e che ingiustamente frenano chi vuole realizzare un'opera. L'eccesso di regole condiziona, sovente stritola e rende poco operativi i soggetti pubblici, persino i ministeri, vincolati ad oltre tremila leggi, e ancor di più le regioni, le province e i comuni.
Ebbene, Presidente Prodi, ci attendevamo da lei una delucidazione su come intendesse agire in tale ambito, al fine di affrontare l'eccesso normativo. Ci piacerebbe sapere se il suo esecutivo intende seguire la rotta tracciata dal Governo precedente, che negli anni ha prestato attenzione ai temi della delegificazione e della semplificazione legislativa. Si è dato vita ai primi, ma significativi interventi di riordino, di pulizia normativa, di abrogazione di norme inattuali o inutili. Si è cercato di snellire procedure, di velocizzare procedimenti, di introdurre un monitoraggio sulla funzionalità, sull'utilità delle singole leggi. Il solco è stato tracciato, lo sfoltimento della giungla legislativa è cominciato! Tuttavia, siamo ancora ben lontani dal traguardo, dal numero di leggi proprio di altri paesi europei, i cui cittadini portano sulle spalle carichi legislativi inferiori, numericamente e sostanzialmente, dell'80 per cento.
Non basta, signor Presidente, invitare - come ha fatto nelle sue dichiarazioni programmatiche - i cittadini e gli imprenditori a non guardare lo Stato come ad un avversario.
Dal Presidente del Consiglio, gli imprenditori, soprattutto i minori, non quelli che frequentano i salotti di Confindustria, ma anche gli amministratori di piccoli e grandi enti, vorrebbero sapere quale idea ha di Stato il suo esecutivo. C'è il modello liberale, cui ha cercato di ispirarsi il precedente Governo, che punta ad uno Stato garante ed incentivante, idoneo a condizionare il meno possibile la vita del cittadino, dell'impresa, degli stessi enti pubblici, fondandosi sul rispetto delle libertà, individuali e non. Per noi liberali, uno Stato che complessivamente finisce con l'ostacolare l'imprenditore, il professionista e il cittadino con lacci e lacciuoli burocratici fa male a se stesso. Tutto questo comporta e comporterà un'ulteriore perdita di competitività del nostro paese nei confronti di altre nazioni europee. Gli imprenditori non percepiranno lo Stato come un avversario, signor Presidente, se questo sarà capace di scommettere sulle capacità individuali, sul merito, sull'impegno, sulla professionalità, sul sacrificio e sulla produttività.
Nella maggioranza che la sostiene, alcune forze politiche fondano la loro azione politica su concezioni ed ideologie molto diverse da quella liberale, arrivando talora a ritenere utile che leggi, regole e norme condizionino in modo pregnante la vita dei cittadini e delle imprese, viste, queste ultime, con sospetto e non certo con favore. Auspichiamo che tali visioni non prevalgano.
Concludo, affermando che nelle ultime settimane abbiamo letto e udito che il suo Governo intende cancellare taluni specifici provvedimenti del precedente esecutivo. La cosa riguarda certamente la sua maggioranza, ma non è certo questa la delegificazione che noi ci attendiamo; ci piacerebbe invece che lei ed il suo Governo vi dedicaste a proseguire su una scelta di fondo, quella di spezzare il peso della burocrazia legislativa che ha contribuito e contribuirà, senza interventi efficaci, a frenare lo sviluppo del paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato D'Elia. Ne ha facoltà.
SERGIO D'ELIA. Signor Presidente del Consiglio, membri del Governo, colleghi deputati, il Governo a cui La Rosa nel Pugno si appresta a votare la fiducia ha il compito e l'urgenza di fornire risposte a questioni di grande rilevanza, che riguardano innanzitutto la vita del diritto nel nostro paese, da cui dipende la qualità e la dignità della vita di milioni di cittadini e la legalità delle istituzioni democratiche, senza la quale l'Italia perde forza e credibilità agli occhi del mondo.
Quando la lettera della legge viene tradita, ad esempio, nello stesso atto costitutivo di una delle più alte istituzioni della Repubblica, non vi è da meravigliarsi se poi la corruzione e la illegalità sono diffuse ai livelli più bassi, in ambiti a cui non avremmo mai pensato e nelle pieghe più recondite della nostra società.
Ad oggi, il Senato della Repubblica è costituito anche da otto senatori che sono altri da quelli che in base alla legge elettorale sono stati eletti dal popolo. Nell'attribuire i seggi in quattro regioni, le corti d'appello hanno applicato un criterio arbitrario indicato dal Ministero dell'interno e non la lettera certa della legge elettorale approvata dal Parlamento, che non lascia margini a dubbi o interpretazioni. Solo in uno Stato di polizia, e non in uno Stato di diritto, può accadere che una nota del Ministero dell'interno valga di più di una legge scritta dal Parlamento!
Si tratta di una lesione gravissima alla certezza del diritto che va sanata con urgenza, come pure va affrontata e risolta con urgenza quella che, secondo noi, è la prima e principale questione sociale ed istituzionale del nostro paese: la disastrosa situazione delle carceri e, più in generale, la paralisi nell'amministrazione della giustizia, questione per la quale, occorre ricordare, negli ultimi venti anni lo Stato italiano è stato condannato ogni anno dalla giustizia europea per violazione dei diritti umani fondamentali.
Quando un soggetto viene condannato sempre per lo stesso fatto e reiteratamente nel corso degli anni, vuol dire che siamo di fronte ad un comportamento che in termini tecnici può essere definito soltanto come recidivo e da delinquente abituale. Un comportamento che, come ha ribadito di nuovo il Consiglio d'Europa, costituisce un pericolo effettivo per il rispetto dello Stato di diritto in Italia. È necessario ed urgente interrompere la flagranza di atti che violano articoli ben precisi della nostra Costituzione e dei Trattati costitutivi dell'Unione europea e dei diritti dell'uomo.
Non si tratta solo della condizione delle carceri, dove 60 mila detenuti sono stipati in luoghi che potrebbero ospitarne a malapena 42 mila. Si tratta anche e soprattutto della vita e della dignità di milioni di cittadini italiani in attesa, da molti anni, di una decisione giudiziaria.
Con la marcia di Natale del 2005, promossa da Marco Pannella e da don Antonio Mazzi, per la prima volta in Italia si è manifestata questa realtà, e si è manifestata per dare voce alle vittime di questa realtà, vittime sia dei reati che restano impuniti sia dei processi che non si celebrano in tempi ragionevoli, molti dei quali destinati a risolversi con la prescrizione, come è accaduto ad un milione di processi penali negli ultimi cinque anni.
Mentre si nega l'amnistia legale, decisa dal Parlamento e vagliata con rigore, reato per reato, al mercato nero dell'amnistia, quella strisciante e di classe chiamata prescrizione, si cancellano ogni anno centinaia di migliaia di reati. Non è una storia recente. Va detto, ad onor del vero, che la gravità di questa crisi chiama in causa i Governi che si sono succeduti almeno negli ultimi vent'anni ed è, quindi, giusto che ad affrontarla siano insieme la maggioranza e l'opposizione di oggi.
In termini di metodo, è giusta la richiesta avanzata nei giorni scorsi da un autorevole rappresentante della maggioranza, il deputato Sandro Bondi: tocca all'Unione avanzare una proposta alla Casa delle libertà su cui trovare, in Parlamento, la maggioranza necessaria a favore di un provvedimento che risolva la questione della giustizia del carcere che, Pag. 12senza dubbio, costituisce la massima crisi sociale ed istituzionale del nostro paese.
Le sue dichiarazioni programmatiche su questo punto, signor Presidente del Consiglio, costituiscono un buon inizio, ma ora bisogna passare dalle parole ai fatti. Potremmo porci l'obiettivo di annunciare, il 2 giugno, in occasione della festa della Repubblica, il raggiunto accordo tra maggioranza ed opposizione su un provvedimento di indulto da adottare subito, di almeno due anni, che possa sgravare di almeno un terzo il carico di sofferenza che affligge il mondo carcerario in tutte le sue componenti, non soltanto i detenuti, ma anche il personale amministrativo e gli agenti di polizia penitenziaria.
È solo un primo passo per giungere, entro pochi mesi, ad approvare anche la più straordinaria delle amnistie che la Repubblica italiana abbia avuto dalla sua nascita, per ridurre immediatamente di almeno un terzo il carico dei processi (sono quasi 6 milioni nel solo settore penale) che paralizza la giustizia.
L'amnistia è il male minore rispetto al male peggiore della prescrizione. L'amnistia serve soprattutto ai magistrati, perché, liberati da processi meno gravi, possano impegnarsi proficuamente a risolvere quelli più gravi. L'amnistia e l'indulto sono atti non di clemenza, ma di buon governo di una situazione non più tollerabile. Sono gli unici strumenti tecnici a disposizione del Parlamento per ripristinare la legalità violata nei tribunali e nelle carceri.
C'è un'altra questione, signor Presidente del Consiglio, colleghi deputati, che riguarda direttamente l'articolo 27 della Costituzione: è una questione di coerenza interna del nostro ordinamento, ma anche di credibilità internazionale del nostro paese. Mi riferisco all'ultimo retaggio della pena di morte ancora presente nella legislazione italiana e alla possibilità, seppure teorica, di una sua reintroduzione nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.
La riforma di questo passo della nostra Costituzione attende di essere compiuta dal 1994, anno in cui il Parlamento ha abolito la pena di morte dal codice penale militare. Proposte di legge per eliminare dalla nostra Costituzione le ultime vestigia di un passato che non ha futuro nella coscienza civile e politica del nostro paese sono state riproposte nelle ultime tre legislature da vari gruppi politici, ma il Parlamento non ha mai trovato il tempo di approvarle. È ora di cancellare questa macchia anacronistica ancora presente nella legge fondamentale del nostro paese. In questo senso, La Rosa nel Pugno ha già depositato una proposta di legge di modifica costituzionale.
È maturo anche il tempo per portare a compimento un'altra iniziativa propriamente italiana. Non sono tante le cose per cui il nostro paese può andare fiero nel mondo, ma sicuramente ve n'è una: l'iniziativa per una moratoria universale delle esecuzioni capitali, promossa 12 anni fa da «Nessuno tocchi Caino» e dal Partito radicale e sulla quale vi è stata, in questi anni, una convergenza straordinaria tra maggioranza ed opposizione.
Nel 1994 una risoluzione per la moratoria fu presentata per la prima volta all'Assemblea generale dell'ONU dal Governo Berlusconi; fu respinta per soli otto voti. Nel 1997, su iniziativa del suo Governo, Presidente Prodi, la Commissione dell'ONU per i diritti umani ha approvato a maggioranza assoluta una risoluzione che chiede una moratoria delle esecuzioni capitali in vista dell'abolizione completa della pena di morte. A questo Parlamento e al Governo chiediamo di completare l'opera iniziata dodici anni fa, agendo subito affinché sia presentata una moratoria universale delle esecuzioni già alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Grazie alla moratoria ONU, in attesa dell'abolizione mondiale e totale, migliaia di condannati a morte potrebbero essere risparmiati, non solo quelli di cui tutti sanno e si preoccupano (i detenuti nei bracci americani), ma anche gli innominati, i dimenticati, i letteralmente «infami» della pena di morte, che sono i detenuti nei bracci cinesi, iraniani, sauditi, vietnamiti, cubani, che muoiono ammazzati nel silenzio e nell'indifferenza generale. Su questo...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
SERGIO D'ELIA. Su questo La Rosa nel Pugno è pronta a fare la sua parte e a dare fiducia a lei, signor Presidente del Consiglio, e al suo Governo. Anche su questo le auguriamo buon lavoro (Applausi dei deputati dei gruppi de La Rosa nel Pugno, de L'Ulivo e dei Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gasparri, al quale ricordo che ha sette minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la nostra valutazione sul nuovo esecutivo è, com'è noto, una valutazione critica, che con il passare dei giorni trova ulteriori argomenti per le proprie critiche.
In questi giorni il nuovo esecutivo ci è sembrato un gruppo di studenti in gita nella fase in cui gli autisti del pullman e i professori si allontanano e tutti si abbandonano a giochi goliardici: affermazioni di ogni tipo che annunciano l'abrogazione di qualsiasi legge, dall'immigrazione all'istruzione, dalle telecomunicazioni alle attività svolte nel passato in tema di opere pubbliche, senza fare i conti con la realtà dei numeri del Parlamento, né con le esigenze del paese, né con le evidenti discrasie sul piano dei contenuti da parte della stessa maggioranza.
Sul tema dell'immigrazione, vediamo chi va all'attacco dei centri di permanenza temporanei, dimenticando che quella realtà è stata istituita non dal Governo di centrodestra bensì dal Governo precedente con la legge Turco-Napolitano. Sarebbe interessante assistere ad un confronto tra i nuovi responsabili di Governo di questi settori e il Presidente della Repubblica, il quale da ministro dell'interno fu promotore di quella realtà. Se si dovessero sopprimere i centri di permanenza temporanei, un clandestino che giunge in Italia dove sarebbe collocato? Dove si dovrebbe procedere alla sua identificazione?
Riteniamo che gli annunci fatti circa sanatorie di massa, abrogazioni della legge Fini-Bossi ed altre scelte siano un ulteriore spot contrario agli interessi degli italiani e negativo per questo Governo. Difenderemo con forza e determinazione quella legge, avendo noi introdotto nei centri di permanenza temporanei trattamenti e regole assai più rispettose dei diritti degli stessi clandestini rispetto a quante ce ne fossero all'epoca del varo di tali centri.
Leggiamo propositi confusi anche per quanto riguarda le tossicodipendenze: abrogazioni di leggi, tentativi di legalizzazione. Vorremmo sapere quali siano i reali intendimenti della maggioranza di Governo su questi temi, perché le discrasie e le diversità di opinione sono evidenti a tutti. Riteniamo che la legge recentemente approvata, affermando il principio del danno di qualsiasi droga, valorizzando il ruolo delle comunità terapeutiche e cercando di dare un messaggio positivo di prevenzione e di recupero, rappresenti un caposaldo da attuare e che non si debba certo andare nella direzione di legalizzazione e tolleranza nei confronti della droga, direzione che in teoria anche alcuni esponenti del Governo attuale non dovrebbero condividere. Questo sarà dunque un altro tema di duro, serrato confronto parlamentare.
Anche sul tema delle opere pubbliche abbiamo assistito già ai primi litigi tra il ministro dei trasporti e il ministro delle infrastrutture: chi annuncia il blocco delle opere pubbliche, chi affronta in maniera direi goliardica responsabilità esistenti rispetto a gare e decisioni già assunte.
Riteniamo che sia minaccioso quello che è stato detto nei confronti soprattutto del sud, che ha bisogno invece della prosecuzione di quell'impegno arioso e ampio che la cosiddetta legge obiettivo, che è un concreto piano di opere, ha segnato. In questa materia riteniamo anche che vi sia confusione di competenze.
In particolare, al Presidente Prodi desidero dire che ha commesso delle illegalità, perché sono stati nominati dei ministri prima ancora che si varasse un decreto Pag. 14che ne definiva le funzioni e il ruolo. Chi parla nella precedente legislatura fu nominato ministro di un ministero - quello delle comunicazioni - che fu ricostituito: prima si ricostituì quel ministero con un decreto, poi si procedette alla nomina e al giuramento. Pertanto, vi sono attualmente dei ministri che sono stati nominati prima del varo del provvedimento. Tale decreto, di cui contrasteremo le logiche, gli errori amministrativi e politici che contiene, rappresenterà il primo banco di prova per questo Governo. Quei ministri - e sono numerosi - si trovano, pertanto, in una condizione di assoluta illegalità.
Conseguentemente, noi, lo ripeto, contesteremo, sul piano sostanziale e formale, questo modo di procedere, a nostro avviso illegale, in cui è stato coinvolto dalla vostra arroganza anche il massimo vertice delle istituzioni, la cui attenzione è stata richiamata nei giorni scorsi da autorevoli costituzionalisti come il professor Armaroli, che però hanno ottenuto soltanto risposte vaghe e sbagliate. A questo riguardo, sarebbe stato opportuno andare a rivedere quali siano stati i precedenti, anche da parte degli uffici del Quirinale.
Per quanto riguarda la politica estera, altro tema che noi riteniamo fondamentale, il Presidente del Consiglio ha fatto, a nostro parere, un'analisi errata parlando di un coinvolgimento dell'Italia in una guerra, in quanto è noto invece che il nostro paese ha partecipato a missioni umanitarie, come quelle in Afghanistan e in Iraq, tese a consolidare un processo democratico che, proprio in questi giorni, ha visto momenti importanti, soprattutto in Iraq, con il voto di fiducia al nuovo Governo.
Noi consideriamo fondamentale il ruolo della comunità internazionale per sconfiggere il terrorismo e il fondamentalismo. Al contrario, vediamo ambiguità, arrendevolezze ed equivoci nella stessa compagine che sostiene questo Governo, e perfino in alcuni membri di quest'Assemblea parlamentare, i cui trascorsi sono tutt'altro che chiari rispetto alla presa di distanze dal terrorismo interno ed internazionale.
Noi riteniamo che l'Italia non possa sottrarsi alle proprie responsabilità: cedere il campo al terrorismo e al fondamentalismo sarebbe un gravissimo errore. Noi crediamo che la funzione svolta dall'Italia in questi anni sia stata preziosa e vogliamo, ancora una volta, rendere omaggio al sacrificio delle Forze armate e delle Forze dell'ordine, che hanno pagato un duro prezzo, sia in Italia sia all'estero. Ricordiamo, anche, che nel corso degli anni in cui noi abbiamo governato, mentre Londra, Madrid, New York e Washington sono state devastate dai colpi del fondamentalismo, il nostro Governo è riuscito a garantire sicurezza, vigilanza e prevenzione alla nostra nazione. Ci auguriamo che così possa essere anche in futuro, nell'interesse supremo della nazione. Abbiamo, tuttavia, molti dubbi al riguardo, viste le posizioni assunte e viste le contiguità e le decisioni errate che si profilano anche sul piano della lotta al terrorismo internazionale.
Contestiamo, altresì, il dato numerico del voto di fiducia al Senato. Nei giorni scorsi è stato detto che non è stato decisivo il ruolo svolto dai senatori a vita. A nostro avviso, invece, è stato decisivo, perché sette voti aggiunti da una parte e sottratti dall'altra avrebbero, se spostati, determinato un esito ben diverso. Inoltre, non fu decisivo nel 1994 - a questo riguardo il Presidente Prodi ha detto una cosa inesatta -, per la nascita di un altro Governo, il ruolo svolto dai senatori a vita. Ricordo che all'epoca furono tre senatori a vita a votare la fiducia al primo Governo Berlusconi, mentre furono otto i senatori a vita che non parteciparono alla votazione o che votarono palesemente contro. Pertanto, il saldo era certamente negativo per quel Governo e per quella maggioranza.
Noi siamo qui in Parlamento per un confronto aperto e determinato, forti di un consenso ampio nel paese, che riteniamo sia crescente, di fronte alle incertezze, ai pericoli e alle contraddizioni che questa nuova compagine di Governo già presenta, soprattutto su alcuni temi, come, ad esempio, quelli della difesa della legalità, della Pag. 15lotta al terrorismo, della difesa del diritto alla vita, della difesa della legge n. 40 del 2004, che riteniamo non possa essere modificata dopo un referendum dall'esito così chiaro, nonché della difesa della legge sulla droga. Su valori così fondamentali, noi saremo in campo per non far fare all'Italia alcun passo indietro (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giachetti, al quale ricordo che ha a disposizione cinque minuti. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, dopo aver ascoltato alcuni colleghi - in particolare chi mi ha preceduto -, ho la sensazione che qualcuno non si sia accorto che non siamo più in campagna elettorale. Forse, sia per chi ha perso le elezioni - e le elezioni le hanno perse! Prima o poi dovranno darsi pace -, sia per la nazione e per il Parlamento tutto, sarebbe molto utile che si cominciasse ad analizzare e a criticare, laddove fosse necessario, il programma del Governo e le sue azioni, che sono state delineate e che verranno poste in essere, ponendo fine ad una campagna elettorale che è conclusa (per noi si è conclusa positivamente) e che dovrebbe ora lasciare spazio al lavoro.
In questo senso, signor Presidente, mi consenta di augurare in modo convinto buon lavoro a questa buona squadra di Governo, soprattutto perché, dopo cinque anni di malgoverno, nei quali l'Italia è stata piegata in ginocchio, domani spero si concluderà - infatti, questa Camera voterà la fiducia al Governo - questo momento drammatico e difficile per il nostro paese e invece partirà una importante azione di risanamento, in grado di rimettere in moto il nostro paese.
Quello che tutti gli italiani, sia quelli che hanno votato per il centrosinistra, sia coloro che hanno votato per il centrodestra, si attendono da chi, in questo momento, ha la responsabilità di governare il nostro paese, è che venga rimessa in piedi l'Italia, che venga migliorata la qualità della vita di tante famiglie, che in questi anni hanno dovuto soffrire una situazione di grandissima difficoltà, come da noi più volte sottolineato. Grazie a Romano Prodi e al programma che l'Unione ha elaborato per questi cinque anni, noi cercheremo di cambiare.
Signor Presidente, si è conclusa una campagna elettorale ed è utile che tutti ce ne rendiamo conto, ma vorrei dire al Presidente del Consiglio, ai membri del Governo e alla maggioranza che nelle prossime settimane si concluderanno altre due campagne elettorali: una riguarda le amministrative, l'altra riguarda il referendum costituzionale (due appuntamenti molto importanti). Anche in qualità di coordinatore della Margherita romana, in virtù degli impegni che, nell'ambito della lista unitaria dell'Ulivo, abbiamo preso a Roma per le elezioni amministrative, sulla base delle richieste che abbiamo avanzato al Governo nazionale, noi ci attendiamo da questo Governo un atteggiamento diverso nei confronti della capitale. Il precedente Governo - anche sotto il ricatto della Lega Nord Federazione Padana -, come noto, ha umiliato Roma, la capitale, anzitutto tagliando i fondi che vengono dati alle amministrazioni locali, in particolare a Roma, poi tagliando dei capitoli simbolici, ma importanti, come quello per Roma capitale, che è stato azzerato, infine approvando quella riforma costituzionale voluta dalla lega, che l'UDC e Alleanza nazionale, che pure a Roma vantano un ruolo di difesa del valore della nostra città, hanno dovuto accettare. Si tratta di una riforma costituzionale che sostanzialmente umilia la capitale, non rispettando quell'importante impegno che prevede di darle i poteri e le funzioni che sono necessari affinché una capitale, così come accade nel resto d'Europa, possa avere effettivamente un ruolo importante e di traino.
Tra l'altro, Roma, come sappiamo, viene da tutti indicata in questi giorni come la locomotiva dell'Italia, proprio per le sue capacità di lavorare e di rilanciare la propria attività.
Signor Presidente, per quanto riguarda i poteri, le funzioni e i trasferimenti dei Pag. 16fondi nei confronti della capitale, ci aspettiamo dal Governo una particolare sensibilità, che in qualche modo vada a pareggiare la totale insensibilità del Governo precedente (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nicco, al quale ricordo che dispone di cinque minuti. Ne ha facoltà.
ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghe e colleghi, il 15 maggio scorso, in quest'aula, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo messaggio al Parlamento, ha dato esplicito e significativo riconoscimento al ruolo delle autonomie e dei poteri regionali e locali e definito «lungimirante, come fattore di ricchezza e apertura della nostra comunità nazionale, la tutela delle minoranze linguistiche». Auspichiamo che tali indicazioni ispirino pienamente anche l'azione del nuovo Governo.
La Valle d'Aosta, che qui rappresento, nella drammatica temperie della guerra e dell'immediato dopoguerra, ha stretto un patto con lo Stato italiano, definito nello statuto speciale. Patto che sancisce l'autonomia della Valle - alla cui redazione hanno concorso illustri personalità, quali Federico Chabod ed Alessandro Passerin d'Entrèves -, autonomia che alcuni, in particolare il martire della Resistenza Emile Chanoux, avrebbero voluto ben più ampia e su base federale, sulle linee tracciate nella Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine, a Chivasso, nel dicembre del 1943.
A quei precedenti intendiamo ispirare la nostra azione in questa Assemblea. Ed è su questa base che l'Alleanza autonomista progressista della Valle d'Aosta ha stipulato un accordo con l'Unione del centrosinistra e con il Presidente Prodi. L'accordo è imperniato sulla pari dignità tra regione e Stato, che si sostanzia nel riconoscimento della natura pattizia dell'autonomia e nel principio dell'intesa per le modificazioni dello statuto e che si traduce, concretamente, nella concertazione preventiva Stato-regione su tutti i temi che interessano la Valle d'Aosta e in un efficace funzionamento della commissione paritetica quale strumento essenziale di raccordo normativo.
Su questa base, intendiamo sostenere lealmente il Governo, nelle cui linee programmatiche generali ci riconosciamo ed a cui intendiamo apportare il nostro contributo, in particolare per: una politica estera di pace che abbia alla sua base l'articolo 11 della Costituzione e che veda l'Italia parte attiva nel rafforzamento della funzione essenziale attribuita alle Nazioni Unite dai suoi statuti: salvare i popoli dal flagello della guerra, in un mondo multipolare e senza gendarmi che brandiscano minacciosamente i loro arsenali; il consolidamento dell'integrazione europea, in un'ottica che noi auspichiamo ponga al centro i cittadini e le comunità regionali più che il mercato e gli Stati; politiche del lavoro che portino ad una piena e buona occupazione, invertendo la tendenza di questi ultimi anni alla precarizzazione del lavoro, che è senza dubbio il più serio ostacolo alla formazione di una famiglia, poiché implica un'insostenibile ipoteca sul futuro; la difesa del potere d'acquisto di salari e pensioni, erosi dall'inflazione, affrontando quella che è stata giustamente definita una vera e propria questione retributiva.
Per quanto ci concerne, nello specifico riteniamo si debba operare, sulla base della Convenzione di Madrid sulla cooperazione transfrontaliera, per favorire la nascita di quella «euroregione» del Monte Bianco che è lo strumento per assicurare pienamente alla Valle d'Aosta quella dimensione europea che è iscritta nella sua storia: a cavallo delle Alpi, un «anello di collegamento, un ponte tra una nazione e l'altra», per usare una nota definizione.
In tale ottica, riteniamo anche necessario che, per quanto riguarda l'elezione al Parlamento europeo, si applichi quell'impostazione federalista che non consideri soltanto il principio del voto uguale, ma che a questo affianchi, temperandolo, quello della rappresentanza dei territori Pag. 17così come essi si sono storicamente determinati, al fine di assicurare ad ogni regione, specialmente a quelle che si caratterizzano in quanto minoranze linguistiche, una diretta rappresentanza.
Sul piano economico-sociale, reputiamo fondamentale operare per una politica della montagna che contempli iniziative volte a consentire a famiglie ed imprese di ridurre il differenziale di costo che ne penalizza la vita e l'attività rispetto ad altre aree del paese, mentre, per quanto concerne le infrastrutture, poniamo quale punto centrale la trasformazione della ferrovia Torino-Aosta, in quanto unico collegamento su rotaia tra l'intera regione e la rete nazionale ed internazionale, in una moderna ed efficiente linea ferroviaria, con rapida definizione dei tempi di intervento e delle risorse finanziarie necessarie.
PRESIDENTE. Onorevole Nicco...
ROBERTO ROLANDO NICCO. Concludo, signor Presidente.
Auspichiamo, parimenti, la messa in atto di tutte quelle iniziative che impediscano la trasformazione delle vallate alpine in inquinati corridoi di transito merci, in particolare con la rapida ratifica del Protocollo trasporti della Convenzione delle Alpi. Sur cette base, nous souhaitons au Président Prodi et au Gouvernement nos meilleurs v\kux de bon travail.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Migliori, al quale ricordo che ha otto minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
RICCARDO MIGLIORI. Ricordo alla Presidenza che in questa Assemblea si parla la lingua nazionale (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale). Lo affermo, signor Presidente, perché non vorrei che questa legislatura si aprisse con innovazioni originali anche rispetto al nostro regolamento. Spero che si sia trattato di un incidente, che è scusabile all'inizio della legislatura.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, un partito e, dunque, un gruppo parlamentare che, identitariamente, si rifà all'idea della nazione è portato, per sua stessa natura, ad esaltare i momenti politici e culturali che, in ogni caso, possono contrassegnare positivamente l'unità nazionale. Non a caso, Alleanza Nazionale, in questo contesto, ritiene la memoria storica condivisa, la coesione sociale e la bassa conflittualità interna fattori essenziali e, perfino, espressione di capacità competitiva sulla scena internazionale. Ecco perché noi non siamo pregiudizialmente insensibili al reiterato richiamo del Presidente del Consiglio dei ministri ad una capacità di dialogo tra maggioranza e opposizione in questa Assemblea ed al di fuori di essa. Non intendiamo sottrarci, cioè, al nostro dovere di rappresentanza di un'Italia che oggi è all'opposizione ma che richiede, in virtù dei quasi 5 milioni di consensi che esprime, di scommettere non pregiudizialmente sulla nostra capacità di interdizione fine a se stessa ma sulla nostra capacità di proposta e di indirizzo alternative rispetto a quelle espresse dal Governo e dalla maggioranza.
Il gruppo di Alleanza Nazionale è convinto, dunque, che il proprio ruolo non sia quello di impedire, comunque, l'attività di Governo ma quello di concorrere, senza sconti, senza supplenze e senza soccorsi, ad un bipolarismo maturo, o di seconda generazione, che si fondi utilmente sul confronto di valori e programmi da sottoporre nitidamente al giudizio degli elettori. La disponibilità del Governo Prodi al confronto con l'opposizione sarebbe stata, certo, più credibile se fosse stata accompagnata da almeno tre concomitanti riflessioni che sono, invece, assenti. La prima, di natura autocritica, riguarda il violento taglio delegittimante e di boicottaggio che proprio lo schieramento di sinistra ha riservato, in modo ostruzionistico e per molti anni, in questa Assemblea al legittimo Governo della Repubblica nel corso della precedente legislatura. La seconda attiene al mancato riconoscimento della impossibilità numerica e politica dell'autosufficienza parlamentare della maggioranza, Pag. 18seppure dopo il frettoloso «sacco istituzionale» che ha portato la sua coalizione all'occupazione totale della più alta «filiera rappresentativa» di natura costituzionale. La terza concerne la manifesta volontà, nonostante il 50 per cento dei consensi paritariamente espressi dagli elettori, di attestare una totale discontinuità rispetto al gigantesco impianto riformatore che il Governo di centrodestra ha assicurato nei trascorsi cinque anni.
Comprendiamo che ciò che definirei «antidestrismo» è l'unico vero collante della sua variegata maggioranza; ma il bene dell'Italia non è certo tramutare questa legislatura in una sorta di permanente Congresso di Vienna, in cui la restaurazione, senza «se» e senza «ma», sia l'unico filo conduttore per abbattere tutte le conquiste riformatrici, dalla cosiddetta legge Biagi alla riforma Moratti, alle cosiddette leggi Gasparri e Bossi-Fini, alla cosiddetta legge obiettivo, a quelle sulla droga e sulla procreazione medicalmente assistita, forse mantenendo, con qualche modifica, solo la legge sulla patente a punti.
Confidiamo sul fatto che il Presidente del Consiglio non abbia il senso della storia di Metternich, anche se settori della maggioranza - basti pensare alle polemiche sul 2 giugno - ritengono, di fatto, l'Italia un'espressione geografica. Ma soprattutto confidiamo sul fatto che questo vero e proprio primo Governo di sinistra della nostra storia politica, con la coda di qualche potere forte ed alcuni affetti da «sindrome di Stoccolma», mostri tutta l'arretratezza di una visione vecchia e statica di un'Italia che non esiste più; un'Italia che è non più governabile con vecchi ideologismi, classismi e sociologismi.
L'onorevole Malagodi ebbe a definire come «cenni sull'universo» il programma del primo Governo di centrosinistra; ebbene, i suoi cenni sull'universo, Presidente del Consiglio, quando dovranno misurarsi nella quotidianità e diventare concreta azione di Governo, di scelta politica e finanziaria, dimostreranno tutte le contraddizioni tra chi, nel Governo, vuole più liberalizzazioni e chi, invece, più dirigismi, più sussidiarietà o più statalismi, più autonomie o più centralismi, più occidentalismi o più multilateralismi; da cattolico «minorenne», vorrei aggiungere: tra chi vuole una politica per «la» famiglia e chi per «le» famiglie.
Mi pare, tra l'altro, originale che un Governo che intende guardare all'Europa sia articolato su forze politiche fondamentali che appartengono a ben più di cinque, diverse e, a volte, opposte famiglie politiche europee.
Noi vi aspetteremo qui, sul terreno concreto delle cose, come si addice a chi è orgoglioso di avere contribuito al buongoverno dell'Italia negli ultimi cinque anni. Vi aspetteremo, colleghi della maggioranza, signori del Governo, sul piano decisivo della concretezza: Alleanza Nazionale farà per intero il proprio dovere di opposizione per l'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole, per essersi perfettamente mantenuto entro i limiti di tempo.
È iscritta a parlare l'onorevole Moroni, alla quale ricordo che ha quattro minuti a disposizione. Prego, onorevole, ha facoltà di parlare.
CHIARA MORONI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, membri del Governo, onorevoli colleghi, il risultato elettorale ci consegna un'Italia divisa esattamente a metà: non di distinzioni, Presidente Prodi, si tratta, ma di divisione profonda, di contrapposizione netta tra culture politiche antitetiche.
L'una, la nostra, libera e liberale, impegnata a creare le condizioni favorevoli alla realizzazione delle vocazioni dei singoli, con uno Stato che regola, ma non ingerisce; aperta, garantista, modernizzatrice, autenticamente riformista.
L'altra, la vostra, dogmatica, ideologica, conservatrice; certamente più affine all'utopia che alla concretezza riformista.
La sua coalizione, il suo Governo, lei stesso siete la negazione della cultura Pag. 19riformista, fatta di confronto, di dialogo, di libero pensiero; non a caso, la stragrande maggioranza dei socialisti italiani, grandi interpreti di quella cultura, ha scelto la Casa delle libertà decidendo di contrapporsi ad un centrosinistra egemonizzato dalle forze della sinistra più antagonista, massimalista e radicale.
Lei, Presidente Prodi, parla di un'Italia che va avanti; ma dalle sue parole emerge un quadro di un'Italia che va indietro, con la cancellazione delle più importanti riforme strutturali del Governo Berlusconi, dalla cosiddetta legge Biagi alla riforma della scuola, al piano delle grandi opere, alla riforma della giustizia. Ricorrono nel suo discorso le parole d'ordine rivolte alle diverse componenti della sua frastagliata coalizione e si apre un preoccupante scenario di restaurazione: non più dialogo sociale, ma ritorno alla concertazione; abolizione della riforma dell'ordinamento giudiziario e consolidamento di quella contiguità tra parte della politica e parte della magistratura che tanto male ha fatto a questo paese.
Il Presidente Prodi parla di spirito punitivo presente nella riforma della giustizia approvata dalla Casa delle libertà; certamente lei sa di cosa parla: noi no, perché non fa parte della nostra cultura.
Lei parla di possibilità per i giudici italiani di operare con imparzialità e professionalità; noi vogliamo che imparzialità e professionalità dei giudici siano non già una possibilità ma una certezza per i cittadini italiani: cosa può garantirlo di più della separazione delle carriere e della responsabilità civile dei magistrati?
Lei invoca l'indipendenza della magistratura; ebbene la invochiamo anche noi e invochiamo anche l'indipendenza, la libertà e la prevalenza della politica dalle procure, la responsabilità e la necessità della politica di compiere delle scelte.
Ci risparmi, signor Presidente, la retorica del dialogo con l'opposizione, dopo che avete occupato tutte le più alte cariche istituzionali, nonostante la così esigua maggioranza uscita dalle urne! Lei parla di cultura della legalità e dell'etica, come questo fosse patrimonio di una parte politica. Sappia, Presidente Prodi, che non accettiamo da lei lezioni di moralità. La sua è una coalizione divisa su tutto, dalle più grandi alle più piccole questioni e ci domandiamo quale futuro possa avere questo paese, se dopo due giorni dal giuramento del Governo il Presidente del Consiglio e il ministro degli esteri si dividono su una questione così importante come i modi e i tempi del ritiro della nostra missione di pace - e sottolineo missione di pace - in Iraq.
Presidente Prodi, ci aspettavamo dal suo intervento un messaggio politico forte, magari un messaggio che non avremmo condiviso, ma che desse quanto meno una direzione politica chiara, un segnale forte ai cittadini italiani, che non possono che guardare con preoccupazione alla spaccatura del paese e alla già evidente frantumazione interna della maggioranza. Invece lei è venuto qui con un discorso nebuloso e burocratico, cosa assai diversa dalla politica. Lei propone un Governo costruito soltanto grazie all'applicazione rigorosa del manuale Cencelli e d'altra parte non poteva essere diversamente, perché lei, a differenza di Silvio Berlusconi, non è il leader della maggioranza.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Moroni.
CHIARA MORONI. Questo Governo è la fotografia di un centrosinistra che il giorno dopo la risicata vittoria elettorale già non c'era più e già guardava ad un progetto diverso, che lei non guiderà. Il Parlamento - ho concluso - è certamente la sede del confronto democratico tra maggioranza e opposizione, ma si ricordi che lo è non già perché lei la pensi in questo modo, ma perché questo è il ruolo che gli affida le Costituzione repubblicana (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Khaled Fouad Allam. Ne ha facoltà.
Le ricordo che ha a disposizione cinque minuti.
KHALED FOUAD ALLAM. Onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli membri del Governo, è in un momento particolarmente complesso della storia mondiale e della storia del nostro paese che lei, Presidente del Consiglio, con il suo Governo, si accinge ad attuare il suo programma. Ma un programma non definisce soltanto un metodo, una strategia di intervento: in tutti i settori della società, un programma definisce anche il quadro generale delle attuazione politiche che risultano necessarie, non solo perché vi è alternanza politica, ma anche perché il quadro politico, sia su scala nazionale che su scala mondiale, è in continuo mutamento.
La velocità del mutamento è tale che spesso le politiche si trovano a dover gareggiare con essa ed è proprio questa asimmetria che oggi rappresenta un problema nella formulazione politica. Così si pone, in Italia e non solo, la questione della governabilità e del modo in cui si governa un paese. La governabilità è oggi segnata da una relazione complessa e difficile con la società: in effetti la nostra epoca è segnata dal dubbio, dalla contraddizione, dallo scetticismo, dalla messa in causa di molti valori e dall'incapacità di fondarne altri. È così che la nostra epoca - mentre vorrebbe combinare novità e tradizione, innovazione industriale e protezione dell'ambiente - rivendica i diritti dell'uomo, ma non accetta la natura umana, vuole l'eguaglianza, ma rivendica le diversità. Sì, viviamo nel globale, ma celebriamo il locale. Governare significa uscire da quelle contraddizioni per elaborare politiche che offrano un orizzonte nuovo di speranza. Fra tutte, cinque grandi questioni mi sembrano oggi imprescindibili, ed esse sono tra loro collegate, come lei ha più volte sottolineato, dalla questione etica.
Se la questione etica trascende ed è trasversale a tutte le altre, la nuova questione economica ci obbliga a pensare all'economia sia quanto locale che mondiale, semplicemente perché ciò che oggi caratterizza lo Stato è che esso è anche mondializzato. Ma se la questione economica nel nostro paese ci obbliga a pensare a strategie di rilancio, all'invenzione di nuove dinamiche, essa ci obbliga anche a pensare in termini di giustizia, e non semplicemente perché è ingiusto che un essere umano abbia un lavoro e un altro non lo abbia, ma perché l'economia ci insegna che una cosa è lottare contro la povertà, un'altra cosa è lottare contro l'ineguaglianza.
Lottare contro l'ineguaglianza significa lavorare per ridurre quell'ineguaglianza, aumentare direttamente il potere di acquisto e proteggere gli impieghi. L'irruzione del mercato nell'economia globale non può essere considerato come un evento luttuoso per il sociale, perché parliamo di società e di mercato, ma sono gli individui che formano quelle società e che attuano quel mercato, sono gli essere umani, con le loro inquietudini, le loro fragilità, le loro speranze. La povertà nel mondo contemporaneo nasce da un'asimmetria tra l'economico e il sociale; solo l'etica ci potrà condurre al rilancio di una politica di coesione sociale, ma anche di un'economia, come lei ha detto più volte, in grado di produrre felicità. Certo, è finito il tempo dello Stato-provvidenza, perché il mondo è cambiato; ma gli uomini, oggi, devono inventare nuove regole per l'economia mondiale, che è al tempo stesso locale. La contraddizione oggi più flagrante è fra lo Stato e il mercato, perché essi sembrano talvolta percorrere strade diverse.
La seconda questione è la complessa situazione irachena. Lei ha fatto bene a ripetere che non vi è distinzione tra il ritiro, che per noi è un dato acquisito, e la calendarizzazione di quel ritiro. Ma la questione va ben al di là del ritiro, a prescindere dal fatto che la guerra sia stata sbagliata o no, e tutte le guerre sono sbagliate in sé (chi vi parla è nato durante la guerra di Algeria e sa che i ricordi degli spargimenti di sangue certo non aiutano a vivere un'infanzia serena). Però una cosa va detta: a volte anche l'errore di una guerra può avere l'effetto di ristabilire una giustizia prima mai ottenuta (chi vi parla è un sunnita, non uno sciita). Per secoli le popolazioni sciite della Mesopotamia - Pag. 21oggi Iraq - sono state oppresse ed emarginate. Oggi si apre per loro un nuovo ciclo della storia, che purtroppo si è inaugurato con la violenza, ma rappresenta un cambiamento di portata storica che la politica internazionale ancora fatica a capire. Vorrei ricordare che l'Italia ha versato anche il suo sangue in Iraq. I caduti di Nassiriya ma anche d'Afghanistan definiscono ciò che io chiamo «un debito di significato»: se un giorno quei paesi potranno vivere in una democrazia compiuta, quel sangue non sarà stato versato invano.
Infine, il ritiro delle truppe avrà un effetto positivo, perché obbligherà gli italiani a ripensare le modalità di azione e gli iracheni a pensare alla ricostruzione del paese in termini di cooperazione. La cooperazione, spronando a vivere insieme, avrà l'effetto di indebolire la produzione di violenza.
La terza questione è l'immigrazione.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
KHALED FOUAD ALLAM. Le politiche dell'immigrazione - anche se viviamo in tempi in cui i problemi legati alla sicurezza e al terrorismo sono all'ordine del giorno - si pongono di fronte a società che invecchiano e di fronte all'odierna necessità di avere un tessuto sociale più cosmopolita; attenzione, però, il cosmopolitismo non può assolutamente rinnegare l'identità di una nazione, nel nostro caso l'Italia. È tempo oggi di uscire dalla contraddizione per decidere se l'immigrazione dovrà essere una società a parte o invece parte di una società.
La quarta questione investe il Mediterraneo. Anche qui le contraddizioni sono numerose...
PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole, ma il tempo a sua disposizione è scaduto. Se vuole, la Presidenza, sulla base dei consueti criteri, autorizza sin d'ora la pubblicazione di considerazioni integrative del suo intervento in calce al resoconto della seduta odierna.
KHALED FOUAD ALLAM. D'accordo, la ringrazio molto, signor Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dei Verdi).
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Fasolino; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare la deputata De Zulueta, alla quale ricordo che ha dieci minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente del Consiglio, signor ministro degli affari esteri, onorevoli membri del Governo, colleghi, il nuovo Governo italiano si affaccia sulla scena mondiale in un quadro a luci ed ombre, in un contesto di grande incertezza sulle scelte più importanti che riguardano il futuro dell'Europa e i suoi rapporti con il resto del mondo. Siamo oggetto di una certa curiosità. Dall'Italia, molti governi e cittadini vicini e lontani si aspettano un cambiamento e questo cambiamento si vedrà in primo luogo nelle scelte di politica estera.
Condividiamo e sosterremo la politica preventiva di pace annunciata al Senato da lei, signor Presidente Prodi, fondata su un obiettivo di equità e giustizia sul piano internazionale. Salutiamo, altresì, l'impegno di fondare tutte le future decisioni del Governo in materia di sicurezza sul pieno rispetto dell'articolo 11 della Costituzione.
Il primo passo sarà, dunque, il ritiro completo delle truppe dall'Iraq, secondo un calendario che può e deve essere approvato al più presto. Riteniamo, comunque, che un futuro impegno umanitario in Iraq a sostegno della ricostruzione del paese dovrà avere una natura esclusivamente civile: questa è una scelta che si impone dopo la richiesta da parte del nuovo Governo iracheno di un calendario certo per il ritiro delle truppe internazionali dall'Iraq.
Nelle sue dichiarazioni programmatiche, signor Presidente, lei ha ricordato la fase di difficoltà che attraversa l'Europa politica. In assenza di istituzioni condivise, Pag. 22l'Europa fatica a rispondere alle tre grandi crisi accese nel Medio Oriente: Iraq, Israele e Palestina, rischio di una rottura sul nucleare con l'Iran. Riteniamo, comunque, che quest'ultima emergenza vada affrontata nel contesto di un rilancio del processo di disarmo nucleare e con gli strumenti esclusivi della diplomazia. Già nella scorsa legislatura, i Verdi depositarono in ambedue le Camere una mozione per la ripresa dei negoziati a favore della rimozione delle armi nucleari tattiche dall'Europa, nel solco di altre mozioni già approvate dai Parlamenti del Belgio e della Germania, a cominciare dalle bombe atomiche dispiegate, all'insaputa di molti italiani, in due basi aeree italiane. Altre iniziative lanciate dalle regioni per la chiusura delle basi nucleari della Sardegna e della Puglia hanno dimostrato la sensibilità dei cittadini per un tema che era scomparso dall'agenda politica nazionale.
Al nuovo Governo chiediamo una politica cogente e convinta a sostegno della denuclearizzazione del Mediterraneo, a cominciare dalla zona più esposta al rischio di una deflagrazione: il Medio Oriente. Il solo ipotizzare, come è stato fatto a livello di pianificazione militare statunitense, l'uso di armi militari tattiche contro siti iraniani rischia di far ripartire la corsa al nucleare a livello mondiale e di stracciare la residua credibilità ed efficacia del trattato di non proliferazione nucleare.
Una politica di pace preventiva efficace dovrà dotarsi di molte braccia, affrontando non solo i rischi cosiddetti duri, come il nucleare, ma anche quelli che impropriamente vengono definiti morbidi, a cominciare dal deterioramento ambientale provocato dal cambio climatico. Su questo fronte, un impegno serio della piena attuazione delle convenzioni, a cominciare da quella di Kyoto, è un segnale che l'Italia può e deve dare.
Le malattie endemiche sono un altro grande problema da affrontare con investimenti ed impegno adeguati. A questo fine, la ricerca di maggiore equità nei rapporti tra nord e sud del mondo dovrà comprendere un rilancio ed una profonda riorganizzazione della cooperazione allo sviluppo italiana, ridotta ormai al lumicino, ma anche nuovi e diversi rapporti commerciali.
Anche la questione dell'immigrazione - come ha accennato il collega Khaled Fouad Allam - va gestita in modo diverso, con più attenzione ai bisogni dei paesi di origine ed una possibilità di ritorno, per evitare il depredamento degli intelletti soprattutto dell'Africa.
Per quanto riguarda la lotta al terrorismo, lei, presidente Prodi, ha chiarito che l'Italia intende affrontare questa sfida nel pieno rispetto del diritto nazionale ed internazionale.
Su questo fronte, l'Europa si trova ad un bivio. La vicenda dei voli segreti della CIA è stata indagata e censurata da due successivi rapporti europei, uno del Consiglio d'Europa e, ora, con maggiori particolari, uno dal Parlamento europeo. La magistratura italiana ha messo in luce uno dei casi più eclatanti di sequestro illegale compiuto sul suolo italiano a danno del cittadino egiziano Abu Omar. Il sequestro ha violato non solo il diritto nazionale ed internazionale, ma ha anche danneggiato una delicata inchiesta in corso, esponendo pertanto il paese a rischi potenziali.
Su ciò il Governo precedente è stato come minimo reticente. Il Parlamento deve poter indagare su questo ed altri casi analoghi per arrivare ad un'azione comune, europea, che bandisca definitivamente metodi simili dal continente.
L'Italia, come molti paesi europei, ha conosciuto e combattuto il flagello del terrorismo con gli strumenti del diritto e senza comprimere i diritti dei propri cittadini. Noi dobbiamo insistere su questa strada anche a livello internazionale. Dobbiamo, come fu chiesto in una mozione presentata al Senato nella scorsa legislatura, domandare al Governo di chiedere al Governo statunitense la chiusura del centro di detenzione di Guantanamo.
Onorevoli colleghi, signor Presidente, faccio notare che al ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali la Carta costituzionale fa seguire una frase meno conosciuta, Pag. 23ma a cui io, come cittadina italiana di adozione, sono molto affezionata, ed è un vero e proprio impegno multilaterale, forse unico nel suo genere, cioè quello di prevedere anche limitazioni alla nostra sovranità nazionale pur di favorire la pace e la giustizia internazionali, nonché le organizzazioni che le promuovono, come se i padri costituenti intravedessero in quel potere democratico europeo, immaginato da Altiero Spinelli già negli anni del confino, insieme alle Nazioni Unite, i pilastri di un ordine mondiale fondato sul diritto.
La presenza dunque sull'isola di Ventotene, ieri, di due importanti ministri per rendere omaggio alla memoria di Spinelli, insieme al Presidente Napolitano, sta a dimostrare, già dai primissimi giorni, che il Governo intende far sì che l'Italia torni ad essere protagonista in Europa.
Su questo punto, signor ministro degli affari esteri, è appena arrivato il risultato del referendum svoltosi nel Montenegro, situato in una zona che ci riguarda da vicino, i Balcani, la quale però non è stata oggetto di molte parole nel discorso programmatico del Governo. Tuttavia, è una zona di cui ci dovremo occupare, molto e bene, nei mesi e negli anni a venire. Anche qui ci vorrà protagonismo italiano.
Ma il protagonismo dovrà partire dal rilancio del processo costituzionale europeo. A tal riguardo lei, signor Presidente Prodi, ha già dichiarato la propria disponibilità a sostenere la proposta di referendum costituzionale europeo, una proposta tanto più importante nel caso dovesse fallire il percorso di ratifiche in atto (una possibilità molto concreta, ahimè), perché a quel punto si imporrà una rivisitazione del testo occorrente e, in particolare, di quella terza parte risultata «indigesta» a molti europei.
Ma di ciò si potrà discutere. Intanto, per nostra parte, accogliamo l'invito del Presidente Napolitano di far rivivere l'idea di Europa.
Aggiungo che solo un'Europa capace di agire in politica estera potrà assumere un ruolo mondiale e promuovere un'impostazione diversa nelle istituzioni economiche internazionali, oltre che portare avanti, soprattutto all'interno dell'ONU, le riforme necessarie.
Questo lo ha detto un filosofo, Jürgen Habermas, ma quando tace la politica, come - ahimè - ha fatto a livello degli alti gradi...
PRESIDENTE. Cortesemente, dovrebbe concludere.
TANA DE ZULUETA... parlano i filosofi (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi, de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e dei Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Consentirò ora l'intervento del deputato Fasolino, iscritto a parlare, che in precedenza aveva fatto il suo ingresso in aula mentre concedevo la parola all'onorevole De Zulueta, ricordandogli che ha quattro minuti di tempo a disposizione.
Prego, deputato Fasolino, ha facoltà di parlare.
GAETANO FASOLINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la formazione del nuovo Governo doveva rappresentare il banco di prova per la neonata maggioranza di centrosinistra. Abbiamo seguito, con comprensibile curiosità, le grandi manovre che hanno preceduto l'assegnazione degli incarichi.
Nessun volo pindarico! Questo tocca a me, quest'altro a te! Nessun premio Nobel, nessuna personalità fuori dai partiti! Le scelte, solo e sempre per dosata ed inequivocabile appartenenza politica o correntizia! Ahimè, tanta Prima Repubblica, alla faccia della più volte sbandierata superiorità morale!
Anzi, sono portato a credere, nella gloriosa storia del manuale Cencelli, che mai il piccolo, grande vademecum della «spartenza», come dicono a Napoli, sia stato onorato con tanto circostanziato e devoto riconoscimento. Ne è venuto fuori lo spaccato di un Governo senza ali, quelle che fanno volare alto sulla quotidianità, nel quale le nomine di ministri e sottosegretari sono avvenute nel rigore inoppugnabile del déjà vu.Pag. 24
Puntuale e patetico, a questo punto, lo sconcerto delle grandi firme del giornalismo nostrano, avvilite dall'inaspettata caduta di stile e modicamente preoccupate (dovranno pure scusarsi con i loro lettori) per il colore prevalente (il rosso), che si fa apprezzare a prima vista in questo esecutivo.
Ed ora, vorrei spendere una parola sulle libertà religiose e lo Stato laico. Il Presidente del Consiglio, in stretto e rigoroso abito Cencelli, ha rivolto un saluto solo apparentemente apprezzabile a tutte le confessioni religiose, graduando le menzioni per righi e per sillabe e impegnando il Governo su una politica di rispetto delle singole libertà di culto.
Mi permetto di osservare che questo tema non è assolutamente in discussione. Da tempo, in Italia le confessioni sono libere e protette. Vi sono dappertutto chiese, sinagoghe e moschee (a Roma, vi è, forse, la più bella moschea di Europa).
Il problema è un altro: che l'Italia, cristiana e cattolica, venga rispettata da tutti coloro cui, intanto, porta rispetto sia all'interno dei confini nazionali che in Europa e nel mondo e che anche questo Governo si impegni, così come il Governo Berlusconi, ad operare, perché trionfi nella pacificazione anche e, soprattutto, il rispetto reciproco.
Nei giorni scorsi un'alta carica istituzionale, lasciandosi trasportare da spirito catechetico, ha preteso di insegnare al Papa l'interpretazione autentica della morale cristiana sui diritti dei singoli e della famiglia.
Forse, giova ricordare che il compito delle istituzioni non è operare improvvide incursioni nel campo dell'etica religiosa, ma di rispettarne scrupolosamente i confini e avere considerazione per il sentire prevalente di un popolo che è fatto, oltre che di uomini e donne adulti, di bambini e ragazzi, di giovani e adolescenti, la componente più sensibile e vulnerabile di una comunità. Stiamo parlando ovviamente di Pacs e dintorni.
Preannuncio, pertanto, il voto contrario a questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bellillo. Ne ha facoltà.
KATIA BELLILLO. Signor Presidente della Camera, Presidente del Consiglio, il voto di fiducia a lei e al suo Governo da parte dei Comunisti italiani è leale, consapevole e responsabile; scaturisce, oltre che dalle nostre convinzioni, dall'analisi della realtà nella quale siamo immersi e che vogliamo contribuire a trasformare.
Nonostante le difficoltà di questi anni abbiamo saputo però mantenere la facoltà di distinguere fra cultura e politica. Siamo perciò rimasti a saldamente ancorati alla cultura dei diritti e caparbiamente impegnati a praticare la politica delle alleanze per un obiettivo che è anche per noi questione morale: resistere all'ideologia liberista che ha stravolto tutto, che ha capovolto ogni valore, ha eretto a istituzione suprema e sovrana il mercato, trasformato la libertà senza regole a suo valore assoluto.
Questo sistema per noi è profondamente immorale: pretende infatti l'abolizione di ogni vincolo normativo per occupare ogni spazio delle relazioni sociali, per attrarre nella sfera del mercato ogni tipo di beni; trasforma le persone in merci, permette a pochi di diventare straricchi, impoverendo i più e rapinando l'ambiente. Il male del calcio di questi giorni non sta forse nell'aver trasformato le società sportive in società per azioni?
L'alleanza e l'unità con le forze sinceramente liberali, con la sinistra radicale, con gli ambientalisti e pacifisti, con la cultura socialista e cattolica è per noi comunisti strategica. Sentiamo, Presidente, l'urgenza di ridare finalmente forza e autorevolezza allo Stato di diritto costituzionale e democratico troppo a lungo mortificato; ma allora va rimessa al centro della politica la vita dei cittadini, la quotidianità delle persone e la loro dignità.
La questione morale e non il falso moralismo ci impone di tornare al dettato costituzionale; non può essere il mercato ed il profitto a definire i rapporti tra le persone e il ruolo delle istituzioni, degli enti locali, delle autonomie ma il lavoro e Pag. 25il suo valore etico: il lavoro sicuro, libero dallo sfruttamento, con un salario che fa arrivare alla fine del mese; solo il lavoro così caratterizzato e una convinta politica di sviluppo dell'istruzione pubblica, dagli asili nido all'università, può garantire l'uguaglianza, l'unica condizione che permette ad ogni persona la piena partecipazione alla vita economica, sociale e politica, definisce le condizioni reali che consentono a ciascuno di costruire sé stesso e sé stessa in modo libero ed originale affinché l'appartenenza ad un sesso, ad un etnìa, l'orientamento sessuale, l'età o la condizione fisica non siano più causa di discriminazione.
Dobbiamo ripristinare lo Statuto dei lavoratori e con esso dare forza al primo articolo della Costituzione con la definizione di nuove regole per il mercato del lavoro, che non permettano più di usare gli immigrati solo come manodopera importata e tollerata fino a quando serve all'economia per il suo basso costo e perché non ha assolutamente garantito alcun diritto. Assumere allora compiutamente la rivoluzione del nuovo ruolo sociale delle donne: è questo forse che, Presidente, noi le chiediamo con più forza - è anche una questione di quantità ma non è solo questo! - poiché crediamo che sia necessario superare l'uso ideologico della presunta differenza della natura femminile, che, di fronte ad una disoccupazione strutturale, viene utilizzata per «ricacciare» nella zona del non diritto e in condizioni di disuguaglianza una parte considerevole della popolazione.
Con il diritto al lavoro, quello all'istruzione, il divorzio, l'aborto e la contraccezione anche le donne italiane sono diventate finalmente, da trent'anni a questa parte, titolari del proprio corpo e hanno cambiato sé stesse e la società: i rapporti fra gli uomini e le donne sono cambiati! Nella famiglia non vi è più la gerarchia della vecchia struttura patriarcale e ciò che spinge a formare la famiglia non è più una sistemazione per le donne o la procreazione, ma l'amore; ed è per amore che ci si sposa o si decide di convivere e ci si divide quando non ve n'è più: ed è questo cambiamento che ha contribuito a cancellare il marchio d'infamia all'omosessualità.
Ora la politica deve recuperare il tempo perduto, accompagnare in modo concreto queste trasformazioni sociali...
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Bellillo!
KATIA BELLILLO. ... non lasciare sole le persone semplicemente perché qualcuno è convinto delle sue verità e pretenderebbe di imporle al mondo.
Dobbiamo riaffermare e praticare la laicità, un principio che deve governare l'azione...
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole.
KATIA BELLILLO. Presidente, ho a disposizione cinque minuti, quindi credo che il suo orologio non funzioni.
PRESIDENTE. Non è il mio orologio personale...!
KATIA BELLILLO. ... dello Stato e dei cittadini di qualunque fede fuori dal luogo di culto e nessuna legge religiosa può sottrarsi a tale principio. Ogni persona deve poter esercitare il diritto all'autodeterminazione nel rispetto delle regole comuni.
Presidente, le rivolgo un invito che a nostro avviso è politico ed anche propedeutico: interrompa la tendenza perversa, in voga in questi ultimi anni, della politica spettacolo! Faccia lavorare i suoi ministri per realizzare ciò che si è detto!
Abbiamo alle spalle una lunghissima campagna elettorale, abbiamo spiegato un programma che non elargiva promesse o regalie. È giunto il momento di fare e ciò rappresenterebbe un segnale eccezionale che consentirebbe agli italiani di capire finalmente che qualcosa sta cambiando!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Francescato. Ne ha facoltà.
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GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente del Consiglio, membri del Governo, colleghe e colleghi, noi Verdi siamo pronti ad assicurare il nostro convinto voto di fiducia - come hanno già fatto i nostri senatori e le nostre senatrici - e siamo pronti a garantire la nostra leale e fattiva partecipazione all'attività di Governo e alle iniziative istituzionali, con l'obiettivo di realizzare al meglio il programma che insieme abbiamo redatto e sottoscritto.
Non è questo il momento delle illusioni e degli autoinganni, il paese ne ha già avuto una overdose! Sappiamo bene che la strada è in salita, che si tratta di navigare tra Scilla e Cariddi, che davvero - come lei, signor Presidente del Consiglio, ha più volte affermato - o si va avanti tutti insieme o insieme si regredisce.
Il nostro primo dovere è dare ascolto alla richiesta forte di unità, o perlomeno di confronto civile, che sale dal paese. State uniti, non litigate! Questo è l'appello - a volte quasi la supplica, il leit motiv - che ci accompagna in giro per l'Italia. A ripeterlo non è soltanto il popolo del centrosinistra, che chiede alla sua coalizione di non cedere alle tentazioni di risse, di personalismi, di lotte di potere, ma anche tanti cittadini che si ostinano a coltivare una ormai stanca, ma ancora persistente speranza, vale a dire quella che la politica riesca ad uscire da una fase in cui si è prevalentemente ridotta a tattica, a mera ricerca di potere per recuperare la capacità di essere politica alta in grado di fornire una lucida lettura della realtà, di disegnare una visione del mondo, di costruire un progetto di qualità per la nostra polis.
Un'altra richiesta forte, che proviene da larga parte del paese, è proprio la qualità del nostro progetto, che dipenderà dalla nostra voglia e capacità di fare la differenza, di segnare una netta discontinuità rispetto al passato.
Le diversità che compongono la costellazione del centrosinistra, se sapremo farne tesoro e trasformarle in ricchezza invece che in occasioni di scontro o attrito, potrebbero costituire in questa dimensione una carta vincente. Ad esempio, la diversità di noi Verdi potrà e dovrà rivelarsi utile per fare la differenza rispetto ad un modello di sviluppo ormai insostenibile dal punto di vista ambientale e sociale.
A tale proposito, Presidente Prodi, mi permetta di segnalarle un'amara sorpresa: accanto a molti punti luce, nel suo discorso vi è un buco nero, un'assenza, una zona d'ombra. Infatti, non è presente neppure una volta la parola «ambiente». Dunque, nessuna menzione di una delle questioni cardine del XXI secolo, vale a dire della sostenibilità dello sviluppo. Peraltro, ci conforta il fatto che tale questione è stata affrontata ampiamente nella sua complessità nel programma comune e ci conforta ovviamente la presenza del nostro esponente nel Governo.
Ma proprio perché lei, signor Presidente, ha più volte ripetuto di voler innanzitutto comunicare il senso di urgenza che deve sospingere il nostro agire politico in questo momento di crisi, vorrei che nessuno qui dimenticasse che l'urgenza delle urgenze è oggi quella di fare pace non solo tra gli esseri umani ma con madre terra. C'è un matrimonio che si deve fare - per parafrasare il Manzoni alla rovescia - se vogliamo consegnare ai nostri figli una terra vivente e non un pianeta desolato: il matrimonio tra ecologia ed economia. Non sfuggirà a nessuno lo stesso prefisso «eco», dal greco «?i???», casa: è l'integrazione tra politiche ambientali, sociali ed economiche, sfida che non possiamo più eludere, perché non c'è più tempo. È una sfida che, come una scatola cinese, contiene al suo interno una serie di sfide specifiche, come la scommessa energetica, un assoluto must ad inizio del terzo millennio per scampare alla raffica di rischi geopolitici, economici ed ambientali che la nostra dissennata dipendenza dai combustibili fossili comporta. Questa è davvero una delle grandi opere da compiere, che la stessa Europa ci impone, proprio quella Europa che lei giustamente ci indica come orizzonte da non perdere, come alveo entro cui far fluire il nostro agire politico.
Ricordo che dobbiamo ottemperare agli obblighi del negletto protocollo di Kyoto. Pag. 27Siamo il paese più inadempiente, perché invece di tagliare le emissioni del 6,5 per cento in questo quinquennio le abbiamo addirittura aumentate del 12 per cento. Per fronteggiare lo tsunami del cambiamento climatico, che ci è già addosso, dobbiamo, come è scritto nel nostro programma comune, dire qualche «no» sacrosanto - ad esempio, dire addio al petrolio, visto anche il prezzo crescente al barile, dire no al revival del nucleare che ci viene spacciato come cura per l'effetto serra, salvaguardando ovviamente la ricerca - e dire molti «sì» ad un mix di ingredienti da promuovere senza indugio: efficienza, risparmio energetico, ventaglio delle energie rinnovabili, ricerca e innovazione. Sempre l'Europa ci ricorda che entro il 2020 il 20 per cento del nostro fabbisogno dovrà essere soddisfatto da questo mix e che la percentuale dovrà salire al 50 per cento nel 2050.
Aprire le porte all'energia del futuro vuol dire anche maggiore occupazione: penso al governo rosso-verde in Germania che ha prodotto in questo settore circa 160 mila posti di lavoro. Il cambiamento del sistema energetico dunque, ma anche la difesa del suolo, la bonifica del territorio, la tutela della nostra ricchissima biodiversità, delle aree protette, del nostro troppo maltrattato paesaggio, del nostro prezioso patrimonio culturale ed artistico, la promozione dell'agricoltura biologica, biodinamica e di qualità, indispensabile per garantire la sicurezza alimentare e la salute dei cittadini, dei bambini in primis, la corretta gestione dei rifiuti e delle risorse idriche. Queste sono le grandi opere che i Verdi vogliono far decollare e che si stanno già traducendo in posti di lavoro (siamo ormai a 365 mila addetti, se si contano tutti i settori) e che sempre più potranno far crescere l'albero dei lavori verdi, delle eco-professioni. Altro che ponte sullo Stretto di Messina, simbolo delle grandi opere inutili, costosissime e devastanti. Ponte che, grazie al cielo, ma anche grazie ai Verdi e agli ambientalisti, è stato finalmente e definitivamente cassato.
Propedeutico al varo di questa grande opera di conservazione e valorizzazione dell'ambiente e del territorio dovrà essere l'«abbattimento» della legge delega, un vero ecomostro giuridico, una sorta di Punta Perotti della normativa ambientale, da smantellare come si è fatto appunto con i palazzoni di Bari dopo anni di battaglie. Tuttavia, come lei ha più volte ricordato, la grande opera davvero vitale dovrà essere la lotta all'impoverimento culturale, al degrado etico che sempre più segna il nostro paese, dovrà essere la spinta ad un salto di qualità della coscienza collettiva, senza il quale l'Italia non riuscirà a scuotersi e a rinnovarsi. Queste, oltre a quelle che lei ha già elencato nel suo discorso e che, ovviamente, facciamo nostre, sono le grandi sfide che i Verdi non vogliono siano trascurate e dimenticate, su cui si impegneranno.
Last but not least, da donna permettetemi un rapido accenno all'altra questione a cui viene dato molto spazio a parole, ma assai meno nella realtà: il ruolo delle donne. Siamo alle solite, le giaculatorie di rito, risultati scarni, quasi scheletrici. Certo, ci sono indubbi passi avanti rispetto al passato, ci sono più donne al Governo e più donne anche in Parlamento, ma non basta. Occorre agire su un dubbio binario, regole forti, cogenti, mi viene da dire coercitive, altrimenti non ne usciamo. Su questo attendiamo che il Governo presenti al più presto un disegno di legge per dare puntuale ed efficace attuazione all'articolo 51 della nostra Costituzione. Tuttavia le norme non saranno sufficienti se non si farà ripartire un cambiamento culturale profondo, che accompagni e sostenga le misure strutturali per migliorare la condizione femminile che il nostro programma individua. Di questo cambiamento culturale, noi donne, dentro e fuori le istituzioni, vogliamo e dobbiamo tornare protagoniste (Applausi dei deputati dei gruppi dei Verdi, de L'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Craxi. Ne ha facoltà.
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. Signor Presidente della Camera, Pag. 28signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, è con profonda emozione che prendo la parola in quest'aula che ha audito i discorsi con cui Bettino Craxi, mio padre, ha costruito l'orgoglio dei socialisti e restituito all'Italia il posto che merita tra le grandi nazioni del mondo.
Siamo di nuovo in una situazione di emergenza, contrassegnata dall'incapacità della nuova maggioranza parlamentare - che è minoranza nel paese - di comprendere le esigenze più elementari della nazione.
L'Italia non ha bisogno di tornare indietro, di conservatorismi e controriforme. L'Italia ha bisogno di nuove modernizzazioni, di proseguire il cammino riformatore tracciato dal precedente Governo. L'Italia ha bisogno di più infrastrutture per la mobilità e per lo sviluppo, di meno burocrazie e meno tasse. Invece, lei, Presidente Prodi, dopo aver presentato un programma basato sull'aumento delle tasse, oggi, ci presenta un Governo che moltiplica i ministeri e le burocrazie ed una lista di ministri, viceministri e sottosegretari che sembrano, nella gran parte, il «comitato del no»: no allo sviluppo e alla modernità.
Lei, signor Presidente, si è cucito addosso il vestito di Arlecchino e i molti aggettivi che lei ha speso per definire questa maggioranza - coesa, solida, compatta, omogenea - sono solo lustrini che non nascondono la fragilità del tessuto sottostante. La baldanza del suo intervento avrebbe dovuto avere la giustificazione nel voto della maggioranza degli italiani. Così non è stato e resta perciò solo un esercizio di pura retorica.
Al Ministero del lavoro abbiamo un avversario della legge Biagi. Inoltre lei, senza vergogna, ha dichiarato che bisogna cambiare la legge per combattere il precariato. Con l'opera di Marco Biagi, ultimo martire socialista, non abbiamo avuto più precariato, ma più giustizia e più opportunità per i giovani. Affermando il contrario, lei continua l'opera di demonizzazione che ha certamente contribuito ad offrire Biagi al mirino delle Brigate rosse (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
Al Ministero dell'ambiente abbiamo un nemico giurato dei cantieri e del buonsenso. Ministeri importanti sono stati distribuiti con logica spartitoria. Abbiamo ministeri «spacchettati» con inevitabili conflitti di competenza, personale di Governo che tocca le 100 unità. Basterebbe che ognuno facesse qualcosa per paralizzare l'Italia.
La nostra patria non ha bisogno di nuovi vincoli, di nuovi dirigismi, ma di maggiore libertà, di maggiore semplificazione, di maggior decentramento, ma parole in questo senso non se ne sono udite. D'altronde, noi, come oltre il 50 per cento degli italiani, non potevamo aspettarci di più da un Presidente del Consiglio che può godere di un proprio gruppo di parlamentari che non supera le cinque unità, che ha dovuto accettare due Vicepresidenti del Consiglio che sono i veri capi del Governo, viceministri guardie dei partiti di appartenenza nei ministeri, pochi, dove lei è riuscito ad insediare tecnici di sua fiducia.
No. Non ci aspettavamo di più dall'ex Presidente della Commissione europea....
PRESIDENTE. Onorevole Craxi...
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. ...considerato dalla stampa internazionale come il peggior Presidente della storia. Non ci aspettavamo di più da chi si è particolarmente distinto nella sua lunga carriera politica e parapolitica per i tentativi di svendere le aziende di Stato alla tessera numero uno del futuro partito democratico (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale), da chi si è distinto per aver partecipato ad una ignominiosa quanto mendace seduta spiritica!
PRESIDENTE. Onorevole Craxi, la invito a concludere.
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. L'unica speranza è che i germi della paralisi che minano l'attività di Governo limitino i danni.Pag. 29
Da parte nostra, penso che un'opposizione ferma ed intransigente sia più di un dovere (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tranfaglia, al quale ricordo che ha cinque minuti a sua disposizione. Ne ha facoltà.
NICOLA TRANFAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signor Presidente del Consiglio, abbiamo apprezzato particolarmente i passaggi delle sue dichiarazioni programmatiche in cui ha sottolineato che l'Italia non deve rinunciare alle sue forze migliori e che considera un punto essenziale della sua strategia di Governo la promozione della ricerca scientifica, della scuola e dell'università, che sono oggi in condizioni assai difficili, dopo anni di tentativi di riforme che hanno ridotto le risorse economiche ed introdotto fattori evidenti di disuguaglianze e di discriminazione, contrari al dettato e allo spirito della Costituzione repubblicana. Per quel dettato e per quello spirito noi ci battiamo perché il figlio dell'operaio, del contadino, del povero, abbia possibilità eguali a quelle del figlio del professionista o dell'imprenditore nel percorrere i gradi successivi del sapere e della cultura.
Lo Stato deve intervenire per assicurare ai meritevoli l'opportunità di andare avanti nel cammino scolastico ed universitario, fino ai traguardi più alti. Una democrazia moderna deve assicurare borse di studio e facilitazioni a chi merita di studiare e prepararsi alla ricerca e alle professioni, a prescindere dalla sua condizione economica e sociale. L'Italia ha bisogno di una scuola pubblica che riaffermi il suo carattere di fattore fondamentale dello sviluppo economico e sociale del paese, ma anche la sua caratteristica di scuola laica che tratta allo stesso modo le diverse fedi religiose e le diverse tradizioni di pensiero.
La nostra società ha continuato ad essere troppo familista e troppo poco meritocratica, in un'età, come quella della globalizzazione e dell'unificazione europea, che richiede, viceversa, di trovare le energie migliori all'interno di tutta la popolazione.
È ora, su questo piano, di imporre una svolta netta e chiara. Noi sosterremo il suo Governo con quella tenacia e quello spirito unitario che hanno caratterizzato, dall'inizio della sua storia, la forza politica che qui rappresentiamo. È necessario valorizzare assai di più le energie femminili, che soffrono ancora, ai gradi alti della politica come della società, di un'insopportabile discriminazione. Ci auguriamo che anche su questo piano, come lei ha detto nella replica al Senato, ci siano misure significative ed eloquenti. Chi, come chi vi parla, ha insegnato già per 35 anni nelle università pubbliche in Italia ed in altri paesi sa come le donne rappresentino, per numero e per qualità, una risorsa primaria per il nostro futuro di paese moderno ed avanzato. È un dato da cui non possiamo prescindere per seguire ancora una tradizione vecchia ed ormai lontana dalla realtà.
L'Italia soffre da anni di un'impressionante perdita della competitività, nell'innovazione industriale come nella ricerca scientifica e tecnologica. L'obiettivo di destinare l'1 per cento del PIL alla ricerca è un obiettivo difficile, ma a nostro avviso irrinunciabile nell'attuale situazione e ci auguriamo che il Governo e il Parlamento si impegnino in questi prossimi anni per raggiungerlo, malgrado i gravi problemi economici e finanziari che incombono. A chi insegna nella scuola come nell'università deve essere assicurata, pur con dovuti controlli periodici, dignità economica e sociale, nonché stabilità di lavoro e di carriera. I criteri del merito e del lavoro compiuto devono essere al centro di ogni provvedimento in questo campo.
Come lei ha detto nel suo discorso, signor Presidente, è indispensabile che la nostra politica riveda la tendenza di alcuni capitoli generali di spesa pubblica e mostri concretamente la centralità dell'intervento nel campo dell'istruzione e della cultura in ogni sua forma, senza procedere, come è Pag. 30avvenuto nell'era del ministro Moratti, abolendo il tempo pieno nella scuola e precarizzando i giovani che lavorano nelle scuole e nelle università. Noi siamo in Europa il paese in cui si leggono meno libri e giornali e in cui, al contrario, si vede di più la televisione. Non è un primato invidiabile, soprattutto perché la pubblicità che sostiene le imprese giornalistiche va per oltre il 50 per cento al mezzo televisivo, dominato peraltro da due oligopoli in una misura che non ha eguali in tutta Europa. La cosiddetta legge Gasparri deve essere riscritta al più presto, per garantire la sconfitta degli oligopoli ed il riaprirsi di una concorrenza libera in questo settore, salvaguardando peraltro il ruolo essenziale del servizio pubblico.
PRESIDENTE. Onorevole Tranfaglia, concluda.
NICOLA TRANFAGLIA. Concludo, Presidente.
Tutto ciò è necessario perché gli italiani possano diventare sempre più partecipi della cosa pubblica ed abbiano gli strumenti per scegliere in maniera più consapevole. È necessario, inoltre, che scuola ed università si rinnovino con un livello di qualità maggiore, che la ricerca produca risultati più importanti e che la politica dei beni culturali sia più rigorosa ed attenta agli interessi pubblici di quanto non sia stata negli ultimi anni (Applausi dei deputati del gruppo dei Comunisti Italiani).
In conclusione, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Tranfaglia, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare il deputato Della Vedova, al quale ricordo che ha a disposizione quattro minuti. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, come esponente dei riformatori liberali e come deputato di Forza Italia non accorderò la mia fiducia a lei ed al suo Governo. Ciò non perché sia un Governo nato, come è stato detto, all'insegna del manuale Cencelli e della restaurazione partitocratica, e neppure per il modo in cui avete preteso - forti, forse, di un pugno di voti di maggioranza -, per voi e per i tre partiti della sua coalizione (i tre partiti maggiori), le tre principali cariche dello Stato. Mi chiedo, in queste condizioni, di cosa volete e di cosa lei, Presidente Prodi, voglia ora dialogare.
Signor Presidente del Consiglio dei ministri, il nostro «no» al suo Governo poggia soprattutto su quello che volete fare. Voi volete scappare dall'Iraq: dite che non è una fuga e che il nostro apporto alla ricostruzione di un Iraq democratico proseguirà con altri mezzi, come se contribuire alla sicurezza di quel paese, che oggi è ancora un'assoluta priorità, sia incompatibile con altre modalità di sostegno.
Presidente Prodi, lei, nel suo discorso reso al Senato, ha detto testualmente che «l'Italia ha partecipato alla guerra», mentre sa benissimo che i nostri soldati sono arrivati in Iraq solo dopo la sconfitta del regime di Saddam Hussein. La sua è una bugia propagandistica! Voi avete scelto - lei ha scelto - la linea dei Comunisti Italiani che dicevano «via dalla sporca guerra» e che indicavano le mani del Presidente degli Stati Uniti come mani grondanti di sangue.
Signor Presidente Prodi, il nuovo Governo iracheno meritava e merita un sostegno pieno e non reticente: voi così non glielo date, ma glielo negate. È ovvio che i nostri soldati sarebbero comunque tornati dall'Iraq, ma sarebbero tornati non per una scelta ideologica come quella che voi compite, che è all'insegna non certo della pace, ma della indifferenza nei confronti di un popolo e di un governo che cercano disperatamente di battere il terrorismo fanatico per conquistare libertà e democrazia.
Il collega Fouad Allam sottolineava l'importanza che riveste il fatto che la comunità sciita sia entrata oggi in gioco nell'Iraq democratico. Se fosse stato per Pag. 31lei e per la sua maggioranza, gli italiani a questa rimessa in gioco degli sciiti, a questa rimessa in gioco della libertà nell'Iraq, non avrebbero partecipato; e se il mondo fosse stato fatto da governanti come voi, oggi, lì, avremmo ancora Saddam Hussein (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
La differenza tra noi e voi è sempre la stessa: non è lieve e segna un netto discrimine. Mentre voi votavate ripetutamente contro il finanziamento della missione militare in Iraq, noi liberali, noi radicali, dicevamo con Emma Bonino «tutti a Baghdad», non per fare la guerra, che era finita, ma per cercare di garantire agli iracheni la libertà e una chance di democrazia.
Colgo l'occasione per fare i miei auguri personali alla neoministra Emma Bonino, di cui conosco e riconosco il valore, ma che sta nel Governo sbagliato, cioè in un esecutivo il cui intento programmatico è quello di ridisegnare la società, l'economia e la scuola italiana all'insegna del paternalismo, dello statalismo e della sindacatocrazia.
Voi, e lei Presidente Prodi, dite che volete chiamare gli italiani al referendum del 25 giugno per difendere l'unità nazionale dalla devolution leghista; ma, anche qui, fate solo propaganda, perché sapete bene che ha ragione il costituzionalista Barbera, suo concittadino, esponente della sinistra, quando dice che è paradossale - ma bisogna riconoscerlo - che sia toccato ad un ministro leghista, Roberto Calderoli, rimediare ai pericoli per l'unità nazionale causati dal federalismo sgangherato del Titolo V della Costituzione. Per un miope calcolo politico volete seppellire una riforma costituzionale che si potrebbe - certo - in seguito migliorare, ma se essa non dovesse passare ci lascerebbe per altri decenni con il bicameralismo perfetto e un premier debole. Non le dice nulla questo?
PRESIDENTE. Onorevole, la invito a concludere...
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, concludo parlando di fisco e parlando di un progetto - sbagliato - di riduzione del cuneo fiscale in cinque anni, che avrebbe come unico effetto quello di minare il welfare all'italiana e di portare il pagamento delle pensioni sulle spalle della fiscalità generale (un precedente pericoloso).
In questi giorni, tutti i contribuenti italiani (penso in particolare a quelli del nord, che non le hanno dato fiducia, signor Presidente del Consiglio)...
PRESIDENTE. Onorevole, deve concludere...
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ...pagheranno meno - e concludo, Presidente - rispetto a quello che pagavano cinque anni fa; pagheranno molto meno di quanto avrebbero pagato se foste stati voi al Governo nei precedenti cinque anni.
Abbiamo un impegno e lo manterremo: «no» a nuove tasse, «no» ad uno Stato che dilaga, «no» alla burocrazia (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.
Le ricordo che ha otto minuti di tempo a disposizione
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, Presidente Prodi, nel suo discorso al Senato per chiedere la fiducia, ha affrontato un tema che a me personalmente e al partito a cui appartengo sta particolarmente a cuore: la famiglia. È su questo argomento che vorrei soffermarmi.
Non si può negare che l'istituzione di un Ministero delle politiche per la famiglia sia una decisione senz'altro positiva, anche perché da molte parti e da tempo era stata richiesta e, di conseguenza, era diventata una scelta quasi obbligata. Detto questo, preoccupano non poco le dichiarazioni subito rilasciate dal ministro titolare di questo dicastero, che contrastano in modo palese non solo con quanto scritto nel programma dell'Unione, ma anche con le dichiarazioni del Presidente Prodi, che nel suo discorso mai cita la necessità di riconoscere Pag. 32le unioni di fatto per evitare discriminazioni verso chi esprime orientamenti e scelte personali diverse.
A chi dobbiamo dare retta? Un ministero per la famiglia può essere visto con favore solo a condizione che sia veramente un luogo di promozione e di riconoscimento del valore sociale della famiglia fondata sul matrimonio, non un grimaldello per scardinare la famiglia costituzionalmente garantita con ambigue affermazioni e fughe in avanti, che tendono a riconoscere e tutelare quello che famiglia non è, quello che non può vantare diritti perché non vuole assumersi i relativi doveri davanti alla collettività.
La famiglia non è solo un luogo di esercizio della solidarietà intergenerazionale, della cura e degli affetti, come dice il Presidente Prodi, ma è un patto pubblicamente e reciprocamente assunto da un uomo e da una donna, che così facendo costituiscono quel consortium che fa della coppia coniugale la primordiale cellula della società.
Il matrimonio è ciò che fa pubblica la scelta di stare insieme, che chiama su di sé la protezione del diritto e si sottomette alle sue regole. Autorevoli esponenti di questo Governo, che ora chiede la fiducia, hanno più volte affermato che eventuali tutele nei confronti di persone che fanno scelte diverse da quella del matrimonio possono essere garantite attraverso lo strumento del diritto privato: a queste posizioni ci auguriamo il Governo sia fedele, pena una pesante spaccatura, non solo in Parlamento, ma nell'intero paese.
La vera discriminazione oggi in atto in Italia non è nei confronti delle unioni di fatto, ma nei confronti di milioni di famiglie, che sono la vera ricchezza di questo paese, come ha detto il Presidente Napoletano, e che da decenni aspettano che sia riconosciuto non solo il loro valore sociale, ma anche quello economico, educativo e procreativo.
Neanche il Presidente Prodi lo ha fatto, quando, nel suo discorso, ha detto di ritenere che la famiglia debba essere al centro dell'azione del Governo solo e quando si tratta della sfera sociale. La famiglia deve essere al centro dell'azione del Governo anche quando si parla di economia. La famiglia, infatti, è un soggetto economico, all'interno del quale maturano le più importanti decisioni in termini di risparmio, di consumo e di investimenti. Quando si parla di formazione e di educazione, va considerato che la famiglia è la prima responsabile dell'educazione dei propri figli.
A proposito, a quando il riconoscimento della libertà di scelta educativa delle famiglie?
Bisogna parlare di famiglia anche quando si parla di fisco - la famiglia ha diritto al riconoscimento concreto dei carichi familiari e deve pagare le tasse in funzione della sua reale capacità contributiva, che si riduce notevolmente con l'arrivo di un figlio -, quando si parla di lavoro - i tempi del lavoro e i tempi della famiglia vanno affrontati anche in sede di contrattazione nazionale -, quando si parla di servizi alle persone, che vanno sempre rapportati alle loro famiglie, dal momento che il vero welfare operante in Italia è costituito da loro. È opportuno, inoltre, ricordare che le famiglie italiane sono ancora oggi un potente ammortizzatore sociale e sono la spina dorsale, ed anche produttiva, che ha consentito di realizzare modelli di aziende a carattere familiare che tutto il mondo ammira.
Tutto ciò non viene riconosciuto, dal momento che nel discorso del Presidente Prodi non se ne trova traccia. Ed è grave, poiché i paesi d'oltralpe stanno realizzando politiche familiari di ben altro respiro e di ben altro calibro.
Un'ultima notazione importante riguarda le proposte per riconoscere il valore sociale della maternità e della paternità. Com'è noto, la Casa delle libertà aveva incluso nel suo programma di Governo il quoziente familiare o, in ogni caso, provvedimenti che garantissero l'equità orizzontale alle famiglie con figli, come da anni è richiesto dal Forum delle associazioni familiari. Ebbene, nel programma di questo Governo si vogliono dotare di un reddito fino al diciottesimo anno di età i bambini che nascono, senza Pag. 33considerare che la sussidiarietà suggerisce di lasciare i soldi alle famiglie, attraverso consistenti deduzioni, e non di toglierli per poi restituirli mediante sussidi più o meno sostanziosi, e comunque legati sempre a redditi molto bassi. Questa non è una politica di promozione della famiglia, ma una politica assistenziale, che ci vede contrari.
Concludo, dando appuntamento alla discussione sul documento di programmazione economico-finanziaria, vero banco di prova dei criteri ispiratori e della volontà di questo Governo di promuovere la famiglia, nelle sue esigenze e soprattutto nei suoi diritti. L'inizio non è dei migliori. La speranza è che anche il Ministero delle politiche per la famiglia non sia solo un'operazione di facciata, ma un autentico e serio luogo di confronto in cui si riconosca che chi crea una famiglia svolge una funzione sociale, che torna a vantaggio di tutta la società, ma ne affronta da solo i costi ed i rischi.
Le famiglie, signor Presidente, non chiedono né carità né solidarietà, ma giustizia. E su questo tema non siamo disponibili a mediazioni o a sconti (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cannavò, al quale ricordo che dispone di otto minuti. Ne ha facoltà.
SALVATORE CANNAVÒ. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signore deputate, signori deputati, permettetemi, innanzitutto, di ringraziare il mio gruppo per avermi consentito di esprimere in quest'aula la mia posizione critica. Faccio parte, infatti, di una delle componenti di Rifondazione Comunista, Sinistra critica, che non ha mai nascosto la propria avversione ad un pieno ingresso del PRC al Governo. Questa posizione, di minoranza nel mio partito, corrisponde, tuttavia, ad un sentimento presente anche in parte del mondo della sinistra. Per questo, credo sia di qualche utilità per lei, signor Presidente, ascoltarla.
Non le sfuggirà, infatti, che la sua vittoria alle scorse elezioni è stata più il frutto di un'avversione diffusa nei confronti di cinque anni di Governo Berlusconi che il prodotto di una fiducia generalizzata verso il suo programma, una ribellione legittima, tutta politica, che affonda le radici nelle scelte devastanti di quel Governo e nel progetto politico delle destre, tutt'affatto un'anomalia di sistema, una caricatura della politica, ma portatrici di una risposta regressiva e reazionaria all'attuale crisi che vivono le società capitalistiche occidentali: una crisi di incertezza e di precarietà che è stata aggravata in questi anni, frantumando il mondo del lavoro, soffiando sulle paure, alimentando lo scontro di civiltà e, conseguentemente, aderendo al progetto della guerra globale permanente.
Tutto questo è stato rigettato, sia pure con un margine risicatissimo, il 9 e il 10 aprile. Noi tutti abbiamo concorso a questo risultato; e lo rivendichiamo come un elemento di grande qualità politica, che non nasconde le differenze esistenti tra noi, ma le rende molto più componibili.
Tuttavia, quel ristretto margine di voti carica lei e il suo Governo di una responsabilità evidente perché in quel pugno di voti c'è il segno di un paese che ha sconfitto Berlusconi ma non ancora il «berlusconismo», e che si è fatto conquistare dal sogno di un populismo liberista; c'è la prova di una insufficienza, da parte sua e della alleanza che la sostiene, a guadagnare un'egemonia culturale, politica e sociale nel paese, in quel paese ancora distante dalle sue, dalle nostre ragioni. Il motivo di questa insufficienza costituisce la causa principale delle mie riserve nei riguardi del suo Governo e del suo programma il quale, se è vero che costituisce una inversione di tendenza rispetto agli ultimi cinque anni, tuttavia non mi appare ancora in grado di operare una reale discontinuità con l'impianto di riformismo liberale, di liberismo temperato - potremmo dire - che la caratterizza. Invece, è quella discontinuità che può rappresentare Pag. 34la strada per sconfiggere davvero sul campo, ed in profondità, le destre e la loro politica.
Lei ha pronunciato, in questa sede, un discorso in perfetta consonanza con il programma dell'Unione e, in quel programma, ci sono misure e provvedimenti certamente positivi, a partire dal ritiro dei nostri soldati dall'Iraq che lei ha confermato; ed è ora di definire il calendario e i tempi tecnici. Devo dire, però, che allarma il fatto che sia rivendicato all'Italia il diritto ad inviare missioni militari nel mondo nel solco di un classico atlantismo che, pure, lei tempera con una buona dose di europeismo. Le ricordo che, in tutti questi anni, si è manifestato contro la guerra senza «se» e senza «ma» e ciò ha costituito la reale novità della società italiana. Il punto è questo: negli ultimi dieci anni, il nostro paese ha visto un nuovo protagonismo delle giovani generazioni, l'attivismo di movimenti di vario tipo, da quello no global a quello della pace, dal volontariato laico e cattolico all'impegno per la laicità dello Stato e i diritti delle donne, alle grandissime manifestazioni a difesa del lavoro e dell'articolo 18. Solo che questa realtà, nel suo Governo e nel suo programma, si vede ancora a malapena. È come se questo esecutivo affermasse: torniamo a dieci anni fa e riprendiamo il lavoro dove lo abbiamo lasciato. Per non dire del grande spreco di energie prodotto da una risicata presenza femminile, per di più relegata in ruoli di secondo piano.
Invece, è stato quel sommovimento sociale e politico a permetterle di tornare a vincere, è stato quello scatto civile a consentire di contrastare con forza Berlusconi ed il suo Governo. Non è un caso che l'opposizione alle destre sia cominciata proprio nelle formidabili e drammatiche giornate di Genova del 2001, nell'immenso corteo per la pace del 2003, nelle grandi manifestazioni operaie e per il lavoro. A quei movimenti lei deve molto. Per questo, mi auguro che, al più presto, questo Parlamento voglia istituire una Commissione d'inchiesta sui fatti di Genova del 2001. Quella poliedrica e diffusa soggettività politica oggi guarda con speranza ed attesa all'opera del suo Governo. Se io esprimerò, in questa sede, un voto di fiducia, sarà non solo perché questo atto costituisce il naturale epilogo di una battaglia contro le destre, che deve essere ancora combattuta fino in fondo, ma anche per il rispetto dovuto a quelle speranze e per la necessaria verifica che dovrà essere effettuata sulle sue scelte.
Tuttavia, per operare davvero una trasformazione del paese ed uno scarto reale con il Governo degli ultimi cinque anni, lei dovrebbe realizzare una piena discontinuità con le politiche liberiste degli ultimi quindici anni e, quindi, anche con quelle che hanno caratterizzato l'azione del suo precedente Governo e la sua Presidenza della Commissione europea. Infatti, sono ormai appurate le responsabilità del suo «pacchetto Treu» dietro la crescita della precarietà, aggravata dalla legge n. 30 del 2003, le responsabilità della sua legge cosiddetta Turco-Napolitano dietro lo scandalo dei CPT e la ferita costituzionale provocata da quella guerra nei Balcani cui partecipò, da Presidente del Consiglio dei ministri, l'attuale ministro degli affari esteri. Se oggi l'Europa vive una impasse ed una crisi, lo si deve non a rigurgiti nazionalisti, quanto all'effetto di politiche di liberalizzazione e di privatizzazione come quelle auspicate dal suo commissario europeo Bolkestein, autore di una ormai famigerata direttiva. Serve, quindi, uno strappo più deciso. L'etica è importante, sì, la sobrietà anche e la lotta all'evasione fiscale è sacrosanta. Tuttavia, un Governo che davvero volesse segnare una discontinuità politica, che volesse combattere la precarietà e la disoccupazione, che volesse mettere al centro della politica la questione salariale, la convivenza civile ed il futuro delle giovani generazioni dovrebbe, con coraggio, abrogare le peggiori leggi del Governo Berlusconi: la legge n. 30 del 2003, la «Bossi-Fini», la «Moratti» e la «Fini-Giovanardi», per non tornare indietro. Dovrebbe operare una significativa redistribuzione del reddito, magari destinando alle retribuzioni quel taglio del cuneo fiscale che è Pag. 35stato proposto in questa sede, anche valutando il progetto di iniziativa popolare che va sotto il nome di «nuova scala mobile». Un Governo che volesse inverare l'articolo 11 della Costituzione dovrebbe ritirarsi immediatamente dall'Iraq, ma anche dall'Afghanistan: sì, anche dall'Afghanistan, nel quale partecipiamo ad un progetto di guerra globale e dal quale il ritiro è richiesto da grande parte del movimento pacifista, come le suggerisce l'appello a firma di padre Zanotelli, Gino Strada e don Luigi Ciotti. Oltre che per il ritiro delle truppe, bisognerebbe lavorare per un processo di disarmo e smilitarizzazione del paese, a cominciare dalla riduzione delle spese militari e dall'abolizione della parata militare del 2 giugno, per trasformare la festa della Repubblica in una grande festa della pace.
Un Governo che volesse finirla con il privilegio e l'ineguaglianza, dovrebbe tassare sul serio le rendite finanziarie ed introdurre una misura come la Tobin tax; un Governo che volesse mettersi in sintonia con le nuove realtà della società civile, affronterebbe con coraggio il tema delle unioni civili e del loro riconoscimento giuridico.
L'istituzione di un Ministero delle politiche per la famiglia mi sembra guardi da tutt'altra parte, anche se il valore della «ministra» incaricata fa sperare in scelte lucide e responsabili.
Per imboccare tale strada, signor Presidente, serve maggior coraggio e determinazione, serve uno slancio, serve un'idea-forza: Berlusconi ha avuto una visione proponendo a questo paese il tema dell'arricchimento individuale e della mercificazione globale; i movimenti altermondialisti hanno elaborato, invece, una suggestione alternativa parlando di un altro mondo possibile e di un mondo che non è in vendita.
Lei, signor Presidente, mi sembra che rimanga ancora a metà del guado, privo di una suggestione che susciti entusiasmo, e ciò accade perché rimane legato ad una prospettiva fredda di modernizzazione capitalistica fondata sulla concertazione e sulla pace sociale, nell'ottica di un riformismo liberale, etico e progressista ben rappresentato dal suo ministro dell'economia e delle finanze, che ha al centro il problema della competitività e che solo da questa fa discendere le reali condizioni di vita e di lavoro. Ma quella, le ricordo, è una ricetta che, se e quando ha funzionato, ha significato la compressione di diritti e dei salari reali di milioni di lavoratori e lavoratrici, ha portato al fallimento i Governi ed ha condotto al liberismo temperato, come è accaduto con Schroder in Germania e come accade con il lento disfacimento di Blair o con la stessa parabola negativa del socialismo francese.
PRESIDENTE. Dovrebbe concludere, onorevole...
SALVATORE CANNAVÒ. Concludo, dichiarando che bisognerebbe osare di più e che non vi sarà sconfitta delle destre e rinascita del paese se non vi sarà anche un'alternativa radicale. Perciò, mentre mi accingo a darle la fiducia, le annuncio che non si tratterrà di una delega in bianco e le confermo il mio pieno impegno sul versante delle lotte sociali e delle rivendicazioni popolari e dei movimenti. Un impegno condotto nella convinzione, come le hanno ricordato autorevoli associazioni, dalla CGIL all'ARCI, alla FIOM, che non esistono Governi «amici»: misureremo il suo lavoro attentamente, con la testa rivolta a quel mondo e, sia che si tratti di sostenerla, come per il ritiro dei soldati dall'Iraq, sia che si tratti di contrastarla, nel caso di una ipotetica politica dei sacrifici, noi lo faremo con quelle donne e quegli uomini. La ringrazio (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Uggè, al quale ricordo che ha quattro minuti a disposizione. Prego, onorevole Uggè, ha facoltà di parlare.
PAOLO UGGÈ. Signor Presidente, il Presidente Prodi ha presentato un programma che non esito a definire generico, Pag. 36lacunoso, privo di ipotesi di soluzione concrete. Perciò esprimo il mio dissenso.
Soprattutto, tale programma manca di un elemento fondamentale. Il Presidente Prodi ha parlato più volte di competitività del sistema e dell'esigenza di un suo recupero, ma ha dimenticato un elemento essenziale; ha dimenticato di parlare del trasporto e della logistica, fattore indispensabile: la logistica è la condizione che consente la consegna delle merci in tempo reale, in una economia fondata su flussi. Il fattore tempo è l'elemento indispensabile; per questo, occorre potenziare i collegamenti in Italia e con l'Europa, il trasporto combinato, le autostrade del mare. Ma il tutto deve fare parte di un disegno razionale e sistemico nel quale gli elementi citati sono essenziali.
Lei ha parlato invece genericamente di corridoi est-ovest, nord-sud, richiamandosi a progetti del centrosinistra, peraltro mai realizzati: chi li ha visti?
Ma la TAV è parte o no di quei collegamenti? Ci spieghi, ci dia una risposta chiara!
L'annuncio poi di volere realizzare le autostrade del mare, ebbene, corrisponde ad una vecchia idea; una legge del 1997 indicava tale obiettivo, poi mai realizzato se non dal Governo Berlusconi, con la legge n. 265 del 2002, attraverso un sistema che è stato definito a livello europeo un modello da copiare, da prendere come riferimento. Voi avete solo fatto annunci e, anche questa volta, lei annuncia qualcosa che è stato già varato.
Ma per affrontare lo sviluppo e la competitività, un Governo, come lei lo definisce, serio non può prescindere dalla logistica; bene ha fatto il sottosegretario de Piccoli a sottolineare l'esigenza di un piano per la logistica, ma forse era disattento perché il Governo Berlusconi, il piano per la logistica, lo ha già realizzato. Quando i leader delle realtà economiche maggiormente rappresentative nel paese hanno riconosciuto tale merito al Governo Berlusconi, dove era l'onorevole de Piccoli? Forse era disattento? Oppure non ha neppure letto che il CIPE ha approvato e finanziato il piano nazionale dei trasporti e della logistica? Altro, onorevole de Piccoli, che un elenco di opere incardinato nella legge obiettivo, come lei lo ha definito sul Corriere della sera! Piuttosto, un piano frutto di un patto condiviso, che guarda al rilancio della competitività delle imprese e dell'intero sistema economico nazionale. Così l'ha definito il presidente di Confindustria. Noi facciamo e voi continuate ad annunciare. Forse è meglio, perché quando fate le cose avete le idee confuse, come nel recente decreto-legge sull'attribuzione delle deleghe derivante dallo scorporo del Ministero dei trasporti da quello delle infrastrutture. L'unificazione aveva una logica d'insieme, ma le iniziative positive, anche da voi assunte, vengono da voi subito eliminate solo per accontentare gli appetiti di qualche vostro piccolo partito.
Avete sottratto la logistica al dicastero dei trasporti, quando logistica, trasporto, spedizioni e infrastrutture sono un insieme, ed il tutto va ricondotto ad una logica di sistema non parcellizzata, come voi invece avete fatto. Temo però che lei non abbia potuto parlare di logistica, perché ciò l'avrebbe costretta ad ammettere la necessità di proseguire l'infrastrutturazione del paese, e questo le è vietato dalle posizioni ondivaghe e contrastanti dei suoi alleati. Basta leggere i giornali di questi giorni: le dichiarazioni del ministro Di Pietro e del ministro Bianchi ne sono una riprova. Sempre per tale esigenza lei ha dovuto inserire la sottoscrizione del Protocollo trasporti della Convenzione delle Alpi. Se sarà così approvato, le merci italiane non giungeranno più in Europa. Non potremo fare nessun intervento per collegare l'economia nazionale con l'economia europea. Altro che competitività! A pagare saranno i nostri imprenditori, i lavoratori.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
PAOLO UGGÈ. Concludo. Il risultato sarà meno benessere per i cittadini italiani. In questo momento sembra che vada tutto bene. Mi ricordo un'antica pubblicità: «Falqui: basta la parola!». Oggi c'è Pag. 37Prodi: basta la parola! Speriamo che le conseguenze siano diverse (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Biancofiore, alla quale ricordo che ha quattro minuti a disposizione.
MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente del Consiglio, egregi colleghi, sono rimasta molto sorpresa nell'ascoltare le sue enunciazioni al Senato, in sede di replica, circa le autonomie dinamiche e la tutela delle minoranze linguistiche. Ancora una volta, Presidente, come è stato chiaro ai cittadini dell'Alto Adige durante il faccia a faccia televisivo con il Presidente uscente, Silvio Berlusconi, emerge che lei - al di là di un'alleanza tutta basata sull'opportunismo politico con la Südtiroler Volkspartei, che è il partito egemone di tutte le autonomie italiane e minoranza strumentale che in realtà è maggioranza purtroppo in Alto Adige - non conosce affatto la realtà della regione autonoma Trentino-Alto Adige e di conseguenza delle altre autonomie. Vede, in quel faccia a faccia lei ha dimostrato di non conoscere nè le politiche dei prezzi comunitarie, né quella italiana. Prenda il caso di Bolzano, che grazie ai componenti della sua maggioranza e della Südtiroler Volkspartei, che governa in assoluto quella provincia e quella regione, di fatto colonizzandola, è la città più cara d'Italia. Vede, Presidente, proprio in quel faccia a faccia, lei dimostrò che, proprio grazie alla vostra politica, che continuerete a condurre purtroppo anche a livello centrale italiano, voi farete lievitare i prezzi e accrescerete il disastro economico già esistente in Alto Adige, dove le famiglie altoatesine sono purtroppo le più indebitate d'Italia, e questo grazie alla politica economica portata avanti dalla sua coalizione e dalla Südtiroler Volkspartei.
Vede, Presidente, lei deve sapere che quelle autonomie, che lei non conosce, sono talmente dinamiche che proprio in questi giorni potremmo dire che oltre quel dinamismo c'è soltanto il Montenegro; e non so se lei si voglia rendere artefice di questa situazione. Il mio Governo, non quello delle sinistre, conclusosi nel 2001, ha veramente assicurato il massimo della tutela delle minoranze, attuando la legge quadro sulle minoranze, introducendo la clausola dell'intesa obbligatoria per le modifiche degli statuti, facendo - e ce ne assumiamo la responsabilità - anche degli errori, che la popolazione italiana altoatesina ha respinto. Infatti abbiamo concesso, attraverso la clausola dei due terzi, che un solo partito - che è quello della minoranza, alla quale non possiamo concedere la dittatura della minoranza - possa cambiare gli statuti; ripeto, un solo partito e un solo gruppo linguistico.
Vede, signor Presidente, in Alto Adige ci sono tre gruppi linguistici e la vera minoranza - che lei lo sappia - è quella altoatesina, purtroppo: in Alto Adige - Montesquieu si rigira nella tomba - tutti i poteri sono in mano ad un solo partito.
Per quanto riguarda il suo ruolo nazionale, questione che oggi siamo chiamati ad affrontare, posso soltanto dire che, a nome della popolazione italiana altoatesina e di quelle che sono le vere minoranze delle autonomie, respingiamo al mittente la sua Presidenza, non possiamo accettarla e, con molta certezza, esprimiamo la nostra contrarietà alla fiducia al suo Governo. Posso prendere ad esempio anche parte di quella popolazione, quelle minoranze ladine e tedesche in Alto Adige che, come noi, gli italiani dell'Alto Adige, sono liberali e convinti che l'Alto Adige debba ancora appartenere allo Stato italiano. Ecco perché, anche a loro nome, esprimiamo totalmente la nostra sfiducia (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Osvaldo Napoli, che ha a disposizione quattro minuti. Ne ha facoltà.
OSVALDO NAPOLI. Signor Presidente, vorrei innanzitutto ringraziarla per avermi dato la possibilità di parlare al di fuori di quelli che erano gli interventi previsti.
Egregio Presidente Prodi, lei avrà certamente la nostra opposizione al suo Governo, Pag. 38ma, mi permetta, ha già un'opposizione durissima e giudizi pesanti proprio all'interno della sua maggioranza. Vorrei leggerle cosa ha affermato, in questi giorni, in una trasmissione televisiva, il segretario dei radicali, l'onorevole Capezzone. Egli dichiara testualmente: «Un centrosinistra di incapaci e di bolliti. Penso che abbiamo un Governo che è un po' Villa Arzilla, non ce ne è uno sotto i quarant'anni. Ho l'impressione che siamo in una sorta di play station, dove si è votato da quaranta giorni, non c'è un cane che parli della situazione economica. Si è preferito fare il primo circo della Presidenza della Repubblica e poi il Governo, mentre era meglio il contrario. Morale - Capezzone afferma ancora - questo centrosinistra di incapaci e di bolliti ha già fatto recuperare a Berlusconi dieci punti in campagna elettorale ed ora altri cinque». Questo è il giudizio dell'onorevole Capezzone e mi chiedo cosa ci faccia l'onorevole Bonino, ministro di questo Governo, quando il segretario del suo partito esprime questo giudizio.
Onorevole Prodi, lei ha ricevuto i sindaci di centrosinistra prima delle elezioni, ha promesso di modificare la legge finanziaria, in relazione alle norme del patto di stabilità, eliminare il blocco delle assunzioni, eliminare i piccoli comuni dall'ultimo DPCM, sostituire il meccanismo attuale delle sanzioni, introdurre i tributi di scopo, istituire le città metropolitane, adottare misure urgenti in materia di inquinamento atmosferico, adottare misure urgenti sui problemi della casa, ripristinare il fondo sociale ai livelli del 2004. Onorevole Primo ministro, ho paura che lei abbia venduto fumo, come ha saputo vendere certamente bene l'Alfa Romeo ad una lira ai sindaci e ai presidenti dei consigli provinciali e regionali!
Ebbene, voglio ricordare che, durante il suo Governo, lei tagliò ben 40 mila miliardi agli enti locali. Lei, Presidente Prodi, pensava di portare l'Italia alla moneta unica con una manovra da 34 mila miliardi; rientrò da un viaggio in Spagna e, con un tocco di bacchetta, raddoppiò la manovra finanziaria passando da 34 mila miliardi a 68 mila miliardi. Le ricordo poi che, immediatamente dopo, il Governo istituì l'addizionale IRPEF. Mi pongo una domanda, onorevole Prodi: forse perché si trasferivano più risorse ai comuni e agli enti locali, si istituì l'addizionale IRPEF, perché voi avevate diminuito quel flusso di risorse essenziale per i comuni dal Governo alla periferia?
Mi permetta un'ultima considerazione di questi giorni, precisamente di ieri. L'esito del monitoraggio della spesa sanitaria è stato infausto. Il Governo Berlusconi ha aumentato di 2 miliardi di euro le risorse per il 2005 (89 miliardi). Ma le regioni - sono ben sedici quelle governate dal centrosinistra - hanno sforato il budget per 5,6 miliardi di euro.
L'ipotesi di commissariare la sanità regionale attraverso la figura del governatore commissario, prevista peraltro dal Governo Berlusconi, si fa dunque assai concreta. Il modo immaginato da lei e da alcuni ministri del suo Governo per reperire quei soldi è, invece, inquietante, le ipotesi sono raccapriccianti. Leggo di un ritocco - perché se lo fate voi è ritocco, se l'avessimo fatto noi sarebbe stangata - per quanto riguarda l'IRAP, di un possibile aumento dell'addizionale regionale sull'IRPEF. Si tratta di ipotesi inquietanti, come dicevo, ma non sorprendenti. Lei, onorevole Prodi, è uomo di parola: se ha promesso tasse terrà fede al suo impegno. Valuti bene il Governo e l'onnivoro Visco prima di mettere mano all'IRAP, un'imposta sub iudice dal momento che la Commissione europea ha ingiunto all'Italia di abolire quella tassa.
Sono curioso adesso di vedere come regioni, province, comuni e comunità montane, sempre con il fucile puntato contro il Governo Berlusconi accusato di ridurre le tasse centrali per scaricare il risanamento sulla finanza locale, reagiranno anche solo a queste ipotesi di intervento. Il dialogo tanto invocato dall'Unione, sul piano centrale come in periferia, non può svilupparsi se non partendo da un'operazione verità. Se, invece, Presidente, vorrete farci credere che è buono oggi quello che ieri era malvagio Pag. 39all'Unione a lei rimane una sola possibilità di dialogo: mettersi davanti allo specchio (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Montani. Ne ha facoltà.
Debbo precisare che stamattina il deputato Montani da me chiamato non era presente e, secondo quanto prevede l'articolo 36, comma 2, del regolamento, ho dichiarato che avesse rinunziato a parlare. Tuttavia, vista l'importanza della discussione, la Presidenza intende concedere ugualmente, per i quattro minuti previsti, la possibilità al deputato Montani di svolgere il suo intervento.
Prego, onorevole Montani.
ENRICO MONTANI. Signor Presidente, la ringrazio della gentilezza. Il mio intervento vuole mettere l'accento su un problema molto sentito nelle regioni del nord (penso anche in quelle del sud, ma da deputato della Lega nord delle regioni del nord mi preoccupo). Si tratta della lotta alla contraffazione: è un grosso problema per le nostre piccole e medie aziende che quotidianamente devono ridurre personale, se non addirittura chiudere l'attività, perché la lotta contro le importazioni clandestine, che per il 70 per cento mi sembra arrivino dalla Cina, è diventata una battaglia che le nostre aziende non sono più in grado di combattere.
Il precedente Governo Berlusconi ha fatto qualcosa perché aveva istituito l'alto commissariato per la lotta alla contraffazione. Purtroppo, questo alto commissariato ha potuto operare solo per un anno, ma il sottosegretario Cota si era mosso bene ed aveva portato a casa ottimi risultati. Però, era solo un inizio. Come Lega nord chiediamo al Presidente del Consiglio ed al suo Governo di continuare l'opera del sottosegretario Cota e mantenere l'alto commissariato per la lotta alla contraffazione perché per noi è fondamentale salvaguardare le nostre piccole e medie aziende.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Meta, al quale ricordo che ha cinque minuti a disposizione. Ne ha facoltà.
MICHELE POMPEO META. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, sono convinto che in questo ramo del Parlamento il confronto sulle dichiarazioni del Presidente Prodi consentirà a tutti noi di fare passi in avanti. Il paese ci guarda ed oggi si aspetta toni e risposte adeguate alla natura ed alla dimensione dei problemi che sono stati al centro anche di una difficile, impegnativa e straordinaria campagna elettorale.
Penso che ad una certa parte rilevante del centrodestra vada sollecitata definitivamente la disponibilità a riconoscere la legittimità del voto, mentre sono sicuro che tutto il centrosinistra - e Prodi lo ha dichiarato con grande onestà intellettuale - serenamente non si farà mai tentare da sentimenti di vendette, di rivincite o di rivalse.
Nelle dichiarazioni programmatiche viene fugato ogni dubbio e in esse, per ogni loro parte, per ogni ricetta che si propone, traspare sempre un forte moderno invito al dialogo, al confronto serio ed approfondito, al rispetto ed alla legittimazione reciproca. C'è bisogno di lasciarsi definitivamente alle spalle la campagna elettorale, che ha determinato un risultato il quale, grazie anche alla vostra non perfetta legge elettorale, ci consegna una struttura elettorale del paese che conosciamo tutti.
Il centrosinistra ha vinto le elezioni, ma non per questo sottovaluta o nasconde le ansie, le domande ed i messaggi contenuti nel voto raccolto dal centrodestra. È nostro dovere tenerne conto e nel chiarissimo discorso del Presidente del Consiglio tutto ciò traspare in maniera evidente.
Il centrodestra, sino ad oggi, sicuramente in alcune componenti non secondarie, si attarda ancora nella strada della delegittimazione dei vincitori della competizione elettorale. In un sistema bipolare ed in una moderna democrazia, a mio avviso, ciò non porta da nessuna parte.Pag. 40
Linee rigide, linee di pura contrapposizione preconcetta non sono un bene per il paese e a volte sottopongono anche ad una torsione preoccupante lo stesso ruolo delle istituzioni. Noi abbiamo davvero aperto il cantiere per governare l'Italia. Lo vogliamo fare con il mandato che ci deriva da 19 milioni di italiani e lo faremo aprendoci con grande disponibilità intellettuale e politica anche verso l'altra grande parte degli italiani che non ci hanno votato, perché questo fa parte, da sempre, della nostra cultura di governo.
Quindi, francamente, non si comprendono alcuni atteggiamenti di una parte del centrodestra. Solo rispettando le istituzioni, gli avversari politici e le loro espressioni di voto sarà possibile difendere e rilanciare il sistema bipolare. Questo Governo ha i numeri ed i programmi, le idee e la qualità per governare.
Il discorso del Presidente Prodi alle Camere rappresenta in sintesi non solo la traduzione fedele del programma elettorale ma anche gli umori, le nuove domande, i nuovi problemi che sono emersi in queste settimane, dalla politica internazionale ai temi dell'Europa, dall'economia al lavoro, dalla cultura ai diritti. I riferimenti metodologici per la riforma elettolare e per le riforme costituzionali interrompono quella pericolosa pratica del «fai da te», in voga soprattutto nella passata legislatura e nello scorcio ultimo di quella precedente.
Al Presidente Prodi ed al Governo, come parlamentare di Roma, voglio sottolineare l'importanza e l'urgenza della questione di Roma capitale, tema che diventa più urgente proprio alla vigilia del confronto referendario sulla riforma costituzionale che, oltre a contenere strappi e forzature di ogni genere, affronta i temi di Roma capitale del paese in modo ingiusto ed inadeguato.
Il protocollo d'intesa con le istituzioni locali deve essere tradotto in atti nei primi cento giorni del Governo. Mi riferisco ai poteri che città come Milano e Catania si sono visti riconoscere e Roma negare. Ma non vi è solo ciò. Roma in questi anni, nonostante non fosse proprio al centro delle attenzioni del Governo uscente, è cresciuta in termini materiali e culturali. Mentre l'Italia arrancava, Roma cresceva e rafforzava il suo prestigio internazionale. Non si tratta, dunque, di risposte a vertenze territoriali, ma di correggere distrazioni dello Stato centrale e del Governo nei confronti della sua capitale.
Infine, per un minuto soltanto, vorrei toccare un altro punto, che riguarda in sostanza l'ammodernamento del paese, lo sviluppo della sua economia, le risposte negate a diritti come la mobilità ed i trasporti pubblici. Si tratta di risposte che riguardano le comunicazioni e le relazioni di un paese che deve e vuole competere. Le «lavagne» delle infrastrutture, come abbiamo visto, sono rimaste negli scantinati dei programmi televisivi, come pure quella legge che non so quanti miracoli doveva compiere in Italia, la legge obiettivo di Lunardi, che alla prova dei fatti ha prodotto solo un inefficiente centralismo.
Vanno bene le risposte del Presidente Prodi sulla TAV. Servono, tuttavia, nel contempo incisività e determinazione per rilanciare in Italia, in contesti urbani e metropolitani, la cura del ferro. Quella maglia infrastrutturale rappresentata dalle nostre ferrovie deve diventare moderna, sicura ed efficiente.
Inoltre, la grande questione dell'aeroporto di Fiumicino va rinegoziata con l'Europa, superando vecchie contrapposizioni e vecchi alibi tra Milano e Malpensa. Il network dei porti, le autostrade marittime, un vero piano dei trasporti e della logistica rappresentano la risposta a quella grande esigenza di ammodernare il paese.
Dunque, una robusta cura di infrastrutture materiali ed immateriali per rilanciare l'Italia e renderla competitiva anche attraverso un programma serio e mirato di realizzazioni condivisibili e possibili, conservando e difendendo il nostro paesaggio e le nostre bellezze storiche e ambientali, così come ci ricordava nel suo bel discorso il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano!Pag. 41
Su tali basi intendiamo governare, senza presunzione: sappiamo di volerlo e di saperlo fare bene (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi previsti per la parte antimeridiana della seduta odierna.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,30.
La seduta, sospesa alle 12, è ripresa alle 15,35.