Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Comunicazioni del ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150 (ore 10,05).
(Discussione)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del ministro della giustizia.
È iscritto a parlare l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole ministro, abbiamo ascoltato l'ampia relazione testé svolta appunto da lei, onorevole ministro della giustizia, e l'impegno che la muove, la motiva e che condividiamo. Come abbiamo ascoltato, il Governo si appresta a promuovere iniziative che vanno nel senso di uno snellimento del processo; ne prendiamo atto e attendiamo di potere concorrere con l'iniziativa parlamentare alla migliore definizione degli esiti di questo sforzo.
Ma una riforma di sistema della giustizia - veniva opportunamente ricordato - non potrebbe prescindere da altri elementi; dalla valutazione, per esempio, dei soggetti che ricoprono i ruoli di primi attori nella giurisdizione: quasi 200 mila avvocati (con gli ultimi ingressi), 9 mila magistrati ordinari, 14 mila giudici onorari sono un numero impegnativo, superiore percentualmente ad ogni altro nei sistemi occidentali. Ci domandiamo - lo facciamo con il ministro - se siano ancora validi i sistemi di reclutamento, la formazione professionale, i momenti di verifica opportunamente richiamati nel suo disegno di riforma.
Ancora, come garantire le nuove competenze quali l'informatica e l'analisi dell'organizzazione, così essenziali nel moderno processo? E ancora, come può utilmente trovare tutela l'equilibrio tra il diritto del cittadino alla privacy e l'esigenza dello svolgimento delle indagini, soventemente spezzato dall'intervento dei media? Inoltre, è giusto che la gogna mediatica - troppo spesso allestita nei confronti di cittadini incolpevoli (come ci rammentano episodi di questi giorni) e comunque tutelati dalla presunzione di non colpevolezza - sia evitata sanzio nando Pag. 13solo il giornalista o l'editore che pubblica la notizia oppure vanno rintracciate anche altre responsabilità? Il corto circuito tra mass media e giustizia ha caratterizzato spesso fasi cruciali della vita civile del nostro paese e continua a rappresentare un elemento di diffidenza dei cittadini nei confronti del sistema, come è stato opportunamente evocato e richiamato dal ministro proprio in apertura della sua relazione.
Ancora, venendo ad un tema che ci sta a cuore, quello dell'autodichia e delle giurisdizioni domestiche - un tema sensibile, che riguarda i magistrati, gli avvocati in quanto professionisti e (perché no?) anche la classe parlamentare -, la domanda è la seguente; può ancora questo paese continuare a tollerare che categorie importanti di cittadini, quasi come le caste della Grecia arcaica, continuino ad essere protette dalla sacralità della propria funzione, giudicando se stesse con la logica dei pari? Sarebbe, forse, più adeguata una devoluzione del compito di giudicare i magistrati, i parlamentari ed i professionisti ad una autorità indipendente ed autonoma?
PRESIDENTE. Deve concludere...
PINO PISICCHIO. Concludo subito.
Sono convinto, onorevole ministro, onorevoli colleghi, che un progetto riformatore di questa entità non possa essere compiuto né da una sola parte politica né soltanto dalla parte politica; abbiamo la necessità di avviare allora una fase costituente della giustizia che deve raccordare e portare allo stesso tavolo i protagonisti della giurisdizione, magistratura e avvocatura, insieme con la politica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Consolo. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CONSOLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in particolare mi rivolgo a lei, naturalmente, signor ministro e rappresentante del Governo. Proprio a causa del suo discorso devo iniziare questo mio intervento con una constatazione amara, ma necessaria. In materia di giustizia, devo dire che davvero non ci siamo. Glielo dico con sincero dispiacere, anche a causa dei nostri rapporti personali. Infatti, dopo otto mesi dal suo insediamento, il bilancio dell'attività del Governo e già - posso dirlo - fallimentare. Sappiamo bene - ma nessuno può rimproverarglielo - di non aver risolto ancora la questione giustizia. Sarebbe sciocco da parte mia pretenderlo e, soprattutto, in così breve tempo. Per conseguire questo fine, non sarebbe forse sufficiente lo spazio di un'intera legislatura.
Noi, però, signor ministro, le rimproveriamo qualcosa di più grave: il Governo di centrosinistra in questi otto mesi non ha prodotto ancora alcuna proposta, neanche per risolvere gli innumerevoli problemi che attanagliano la giustizia in Italia, primo fra tutti, la lentezza dei processi. D'altro canto, sarebbe troppo pretendere riforme organiche da parte di una maggioranza che è divisa su tutto, sui temi che vanno dalla politica estera alla famiglia, fino alle pensioni. Però, almeno alcuni tentativi diretti a risolvere particolari questioni - questi sì! - li pretendiamo. E a pretenderlo non siamo solo noi, ma tutti i cittadini.
Nel paese, la giustizia affonda sotto montagne di fascicoli. Lei ha richiamato questo problema come se fosse un estraneo, ma lei è un «intraneo», lei guida uno dei dicasteri più delicati del paese. Mentre il paese affonda sotto montagne di fascicoli, alcuni giudici - e mi riferisco alla Campania a lei tanto cara - condannano il suo ministero a risarcire 150 avvocati napoletani, perché vittime - e questo è il paradosso - della giustizia.
Ma forse, signor ministro, mi sono sbagliato. Infatti, a ben vedere, il Governo non è rimasto del tutto impassibile. Purtroppo, qualcosa ha fatto, e mi riferisco ai tre interventi legislativi orientati in senso opposto rispetto a come dovrebbe andare una politica in materia di giustizia: l'indulto, il decreto Bersani e la sospensione della riforma dell'ordinamento giudiziario, della quale non capisco come lei sia orgoglioso.Pag. 14
Lei ha ricordato l'indulto. Io al suo posto - e non lo sono, per fortuna! - avrei steso un velo pietoso su questo argomento. So bene che la legge sull'indulto non trae origine da un atto di iniziativa governativa, ma, ovviamente, da alcune proposte di legge - così è stato - di iniziativa parlamentare. So bene, inoltre, che nella Costituzione si prevede la maggioranza dei due terzi. Pertanto, attribuire a lei l'esclusiva responsabilità per l'indulto significherebbe configurare una sorta di responsabilità per fatto altrui.
Tuttavia, è il profilo politico che a noi interessa, in quanto lei ha una precisa responsabilità diretta, anche se - lo ripeto - non unica. Questo indulto è rimasto orfano: pare che nessuno lo abbia votato. Lei infatti, nel giugno del 2006, in occasione della visita al carcere di Rebibbia, si schierò manifestamente a favore, innescando una pericolosissima aspettativa da parte dei detenuti che, una volta alimentata e qualora delusa, avrebbe portato a gravissime conseguenze.
Questo non scalfisce, d'altro canto - diciamocelo per chiarezza -, l'assoluta responsabilità delle forze politiche che lo hanno votato, dimenticando che solo il 14 per cento dei cittadini era favorevole al provvedimento. Allora, ricordo quanto si diceva in Commissione giustizia lo scorso anno.
Presidente, vorrei che lei interrompesse il decorso del tempo a mia disposizione mentre il ministro è al telefono...
CLEMENTE MASTELLA, Ministro della giustizia. Un secondo...!
GIUSEPPE CONSOLO. Grazie, signor Presidente.
Si diceva che la commissione di nuovi reati da parte dei beneficiari non era un motivo valido per escludere l'indulto e che la legge doveva comunque essere approvata, subito, perché altrimenti, chissà quale polveriera sarebbe esplosa.
Non si può, quindi, liquidare la questione dell'indulto, come lei ha fatto, come una vicenda parlamentare alla quale il Guardasigilli e il Governo nella sua interezza siano rimasti estranei. Nel corso dell'iter parlamentare, d'altro canto (questa è una sua responsabilità diretta), ha trasmesso dei dati che parlavano di 12 mila beneficiari dell'indulto. I dati hanno detto che si è trattato di circa il doppio. Il Parlamento, quindi, è stato messo nelle condizioni di lavorare su dati sbagliati e non è riuscito a comprendere esattamente la gravità del fenomeno che si stava varando.
Inoltre, il Governo (lei non si è battuto a sufficienza su questo aspetto, mentre avrebbe potuto minacciare, per poi mettere in atto, di trarne le conseguenze) non ha fornito la copertura finanziaria al provvedimento.
È vero, come qualcuno ha detto, che dalla scarcerazione di migliaia di detenuti sarebbe derivato un risparmio per l'amministrazione finanziaria, ma è vero anche che svuotare le carceri e riversare nella società migliaia di persone ha avuto, come ha avuto, un rilevante il costo sociale, di cui il Governo non ha saputo né voluto farsi carico, scaricandolo sulla società.
Il Governo, quindi, è responsabile, perché non ha preventivamente tenuto conto, nonostante che Alleanza nazionale, in particolare, lo avesse rimarcato, che con l'indulto migliaia di detenuti sarebbero usciti dalle carceri italiane e, fra questi, la gran parte sarebbe tornata in libertà senza un lavoro, senza una casa e senza assistenza sanitaria.
Tutto ciò ha portato ad una rilevante emergenza per gli enti locali, ovviamente destinatari di una richiesta di lavoro massiccia e di reinserimento sociale che il Governo non aveva preventivato.
Questi fondi non sono stati previsti. Il costo dell'indulto è stato pagato, come al solito, dai cittadini, colpevoli di essere contrari all'indulto, ma costretti a pagarne le conseguenze. Bel servizio!
Alleanza nazionale ha votato contro quel provvedimento, non per cieca preclusione, ma perché era contraria, come lo è tuttora e lo sarà sempre, a quell'indulto.
Avevamo posto, infatti, delle condizioni, naturalmente non accolte. Chiedevamo, ad esempio, di tenere in debito conto i protagonisti Pag. 15emarginati dell'indulto: le vittime dei reati. A fronte dell'incontestabile sovraffollamento delle carceri, avevamo chiesto che lo Stato rispondesse con un impegno concreto e preciso per le nuove carceri, che venissero esclusi dall'indulto coloro che avevano posto in essere attività delittuose e che fosse previsto un fondo per le forze dell'ordine, estendendo i benefici alle vittime dei reati terroristici o mafiosi. Niente è stato fatto.
Avevamo chiesto - non credo che fosse una domanda scandalosa - di porre sullo stesso piano autori e vittime del reato, quelle vittime che non possono essere collocate, come è stato fatto, in posizione inferiore. Niente.
Oggi le chiedo, signor ministro, che senso abbia avuto appoggiare questo indulto. È una grave responsabilità politica non dare una risposta a questa domanda.
Ma Alleanza nazionale le può dare, se lei vuole e la accetta, una possibilità di riscattare ciò che è stato fatto con l'indulto con un provvedimento, del quale chiedo agli uffici di prendere formale nota; se lei lo appoggerà, Alleanza nazionale chiederà che venga inserito all'ordine del giorno della Commissione giustizia.
Si tratta di un provvedimento, presentato dal collega Cirielli, ma fatto proprio dal collega Contento, dal sottoscritto, dagli onorevoli Siliquini e Bongiorno, da tutto il gruppo di Alleanza nazionale, in base al quale la vittima del reato deve essere risarcita quando il fatto sia stato commesso da persona liberata non perché abbia espiato in toto la pena, ma a seguito di un provvedimento dello Stato che ha accorciato la pena stessa, quindi di amnistia, indulto, grazia e via seguitando. Lo Stato potrà poi rivalersi dell'onere sull'autore del reato.
Signor ministro, le chiedo, quindi, formalmente, ancora una volta, di dichiarare nella sua replica se intenda o meno appoggiare questa proposta di legge, una proposta di legge che, comunque, limiterebbe la ferita inferta con l'approvazione dell'indulto.
Tornando alle responsabilità del Governo, ve ne sarebbero tante altre. Lei, signor ministro, deve rispondere anche di quanto ha fatto il ministro Bersani. Mi può dire: che c'entro io? Lei c'entra, perché lei è un «intraneo». Sembra un paradosso: era contrario alle norme portate avanti dal ministro Bersani che non l'ha nemmeno interpellata, ma politicamente è lei che ne risponde!
Avviandomi alla conclusione, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento: i tempi sono questi ed io li rispetto!
Signor ministro, all'inizio della legislatura, nonostante la sua appartenenza ad un Governo palesemente sbilanciato a sinistra, nutrivo qualche speranza in lei, come uomo, come politico moderato.
Oggi ho iniziato il mio intervento lamentandomi di come il Governo di centrosinistra non abbia fatto nulla per sanare la disastrata giustizia italiana. Se però faccio un bilancio delle poche cose fatte, mi rendo conto che, anche all'inizio del mio intervento, mi sbagliavo.
A questo punto, la speranza non può che essere quella che non facciate più nulla! Solo questo posso sperare: che non facciate più nulla, che non facciate nuovi danni, non facciate alcunché nel breve tempo che passerà prima che gli italiani, spero prima possibile, rimandino a casa questo Governo!
Le riforme in materia di giustizia, quelle vere, toccherà a noi ricominciare a farle!
PRESIDENTE. Onorevole Consolo, la Presidenza consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti, l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del suo intervento.
È iscritto a parlare l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.
ENRICO BUEMI. Signor Presidente, signor ministro, colleghi, la crisi della giustizia italiana è il male storico del nostro paese e, quindi, le responsabilità devono essere distribuite negli anni. Certamente, il meno responsabile è l'attuale ministro della giustizia e l'attuale Governo.Pag. 16
Tuttavia, governare vuol dire affrontare e risolvere i problemi e oggi questo onere spetta a lei, signor ministro, ed a noi del centrosinistra. Il legislatore costituzionale ha affrontato la questione di un processo giusto con l'articolo 111 che ne fissa tre principi fondamentali : un giudice terzo ed imparziale, la parità tra accusa e difesa e una ragionevole durata del processo.
Su queste tre questioni, signor ministro, siamo in ritardo.
Per quanto riguarda la terzietà del giudice, lei sa che la nostra posizione è molto chiara: noi sosteniamo che non vi può essere terzietà effettiva e sostanziale se non si realizza la separazione delle carriere e affermiamo anche con altrettanta convinzione che non vi può essere parità dell'accusa e della difesa se la carriera del pubblico ministero, la carriera dell'accusa è separata da quella del giudice.
Siamo altrettanto convinti, signor ministro, che una ragionevole durata del processo dipenda anche dalla terzietà del giudice, dalla sua autonomia rispetto al pubblico ministero, dalla parità fra accusa e difesa, perché è legittimo che una difesa debba impegnarsi, in maniera irrinunciabile e non limitata nel tempo, nella costruzione di quelle azioni di difesa del proprio assistito nel momento in cui non vi è la fiducia in un giudice che non appare terzo e nel momento in cui ci si rende conto che vi è squilibrio tra difesa ed accusa.
Vi è, comunque, anche la necessità di migliorare tutti i meccanismi finalizzati alla tutela del cittadino; in particolare, sussiste l'esigenza di dare alla garanzia della ragionevole durata del processo quegli elementi di certezza che non possono sicuramente andare a discapito delle garanzie più generali dell'imputato e del processo.
Noi pensiamo, tuttavia, che tale risultato, in ordine alla ragionevole durata del processo, dipenda moltissimo anche dagli elementi organizzativi che il Governo ed il Parlamento sono in grado di mettere in campo. Le risorse umane e logistiche, in tale ambito, sono una questione fondamentale.
Per quanto riguarda le risorse umane - sappiamo che sono stati compiuti alcuni atti in tale direzione, ma ci vuole anche una grande forza di volontà, ed in questo senso le diamo atto della sua generosità, signor ministro -, pensiamo si debba rapidamente superare l'attuale meccanismo dei concorsi di magistrati, il quale non produce risultati. Infatti, sono ormai parecchi anni che la capacità del nostro sistema di arruolare nuovi magistrati risulta essere «bloccata».
Sussiste, inoltre, la necessità di costruire o di realizzare una nuova organizzazione amministrativa, moderna e capace di rispondere tempestivamente alle esigenze dei cittadini, degli avvocati e dei magistrati. Organizzare un nuovo sistema amministrativo vuol dire modificare anche il ruolo dei cancellieri e degli ufficiali giudiziari, figure tuttora ancorate a vecchi ruoli. Oggi disponiamo di tecnologie e di supporti assolutamente nuovi: in questo senso, dunque, bisogna rivedere anche le loro posizioni.
Vi è altresì la necessità di adeguare le sedi, signor ministro. Infatti, prima di sollecitare investimenti nelle carceri, pur necessari, e di evidenziare l'opportunità di costruirne di nuove, ritengo che dobbiamo realizzare sedi giudiziarie moderne.
Vorrei portare ad esempio l'inaccettabile situazione della procura e degli uffici giudiziari di Nola, poiché risulta palese la loro incompatibilità rispetto alle norme in vigore. Come può essere accettabile, per i cittadini, che le procure agiscano contro di loro per quanto riguarda l'attuazione del decreto legislativo n. 626 del 1994, ma poi le sedi da cui promanano tali atti sono esplicitamente inadeguate rispetto alla normativa citata? Pertanto, si pone la necessità di avviare una rapida modernizzazione delle sedi giudiziarie, attraverso la dotazione di organici e di tecnologie assolutamente adeguati.
Vorrei spendere una parola, signor ministro, sull'esigenza di rafforzare la tutela, anche economica, del testimone. Nel nostro Pag. 17processo, infatti, vi sono parti forti, ma i testimoni rappresentano sicuramente un elemento debole. Vorrei rilevare che si tratta del soggetto che paga direttamente, anche dal punto di vista economico, se vuole adempiere in maniera seria al proprio dovere di cittadino.
In questo momento abbiamo una situazione aberrante, signor ministro, poiché vi sono circa quaranta detenuti sicuramente innocenti nelle nostre carceri: si tratta dei figli di detenute madri con età inferiore a tre anni. Ricordo che in proposito è in itinere un provvedimento legislativo, licenziato dalla Commissione giustizia della Camera, di cui sono primo firmatario, ma che vede il concorso di tutti i colleghi, sia di maggioranza, sia di opposizione. Chiedo, dunque, un impegno particolare del Governo per garantire a tale provvedimento un iter rapido, affinché si possa rimuovere tale situazione, la quale risulta inaccettabile anche dal punto di vista dei principi.
Concludendo, signor ministro, vorrei rappresentare che il gruppo della Rosa nel Pugno condivide la sua relazione, pur mantenendo le sue perplessità sulla inadeguatezza della politica del Governo rispetto alla separazione delle carriere dei magistrati. Contiamo che, strada facendo, si possa trovare un punto di incontro reciprocamente condivisibile in ordine a tale problema. Vi è, comunque, la necessità di agire rapidamente sulle questioni alle quali l'ho richiamata, signor ministro.
In conclusione, vorrei dirle che, per quanto...
PRESIDENTE. La prego di concludere...
ENRICO BUEMI. ...alcune idee siano discutibili ed inaccettabili, a causa della negazione della realtà (mi riferisco ai fatti della Shoah), non riteniamo opportuno «incarcerare» tali idee.
Dobbiamo impegnarci - e credo che il nostro sostegno sia indiscutibile e completo - per rimuovere le inadeguatezze del nostro sistema giudiziario, per affrontare i problemi di organico e per dotare il nostro sistema giudiziario delle risorse necessarie.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lussana. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, premesso che, prendendo spunto dalle parole del ministro, il Parlamento è la sede della sovranità popolare, desidero sottolineare, rivolgendomi non soltanto al ministro, in quanto autorevole esponente del Governo, ma anche alla Presidenza della Camera, come un importante momento di confronto, voluto ed espressamente previsto dalla legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, abbia luogo in un'aula deserta (sono venti i deputati presenti) e ad un'ora del martedì mattina in cui i colleghi non sono ancora arrivati. Insomma, questo importante momento di confronto, nella sede deputata a discutere dei problemi della nostra giustizia e, soprattutto, a sentire dal ministro le proposte concrete volte a curare i mali della giustizia medesima, di cui tutti siamo a conoscenza, ha luogo in un aula praticamente deserta! Tanto valeva incontrarci in Commissione: avremmo evitato la pompa magna, di circostanza, ed avremmo discusso in maniera più semplice.
Tutto questo è veramente avvilente! In tal modo si tradisce lo spirito della legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, la quale voleva spostare la discussione sulla giustizia dalle aule degli «ermellini» alla sede opportuna, quella legislativa, nella quale siedono i rappresentanti del popolo sovrano, i quali hanno il compito di legiferare in materia di giustizia. Rivolgo il mio rilievo, in maniera formale, anche alla Presidenza della Camera: il fatto che una discussione così importante si svolga in un'aula parlamentare deserta non rende sicuramente onore al sistema della giustizia, alle comunicazioni del ministro Mastella ed ai cittadini tutti, a quelle persone che lei, signor ministro, ha più volte richiamato nel suo intervento.
In particolare, lei afferma, signor ministro, che avrà attenzione per le persone e addirittura parla della sua azione di governo come di un nuovo modello di Umanesimo. Ebbene, dopo aver ascoltato le sue parole, più che di Umanesimo, Pag. 18parlerei - mi scusi, signor ministro - di Medioevo: purtroppo, alcune delle sue affermazioni denotano chiaramente, per quanto riguarda la politica giudiziaria, la politica dell'amministrazione della giustizia, un ritorno al passato!
Ha detto bene, signor ministro: i cittadini sono sconcertati per il modo in cui viene amministrata la giustizia; sono indignati, si sentono impotenti di fronte a decisioni giudiziarie che, talvolta, appaiono inspiegabili, sconcertanti, stupefacenti. Alcuni colleghi hanno ricordato fatti della cronaca recente. Pensiamo, ad esempio, all'enfasi mediatica che è stata data al caso «Unabomber». Tre procure stanno indagando da anni e, dopo aver creato un mostro, adesso danno la colpa di tutto al perito, che viene incriminato: questo è il modo di operare della nostra giustizia! Questo desta sconcerto nei cittadini! Pensiamo, inoltre, al giudice Forleo ed al suo operato: in un caso molto importante, in cui veniva in rilievo la lotta al terrorismo internazionale, la nostra magistratura si è persa nella sottile distinzione tra guerriglieri e terroristi, screditando l'immagine del nostro paese a livello internazionale; ci ha messo una «pezza» la Corte di cassazione, la quale ha giudicato palesemente illogica la decisione del giudice Forleo. Allora, i cittadini si domandano cosa stia succedendo.
Come possiamo intervenire? Ci vogliono un po' di autocritica da parte della magistratura - che, però, non ci aspettiamo - ed un'assunzione di coraggio e di responsabilità da parte sua, signor ministro. Purtroppo, ci sembra che detto coraggio non vi sia, perché, quando lei fa riferimento alla legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, signor ministro, ne parla come se fosse una cosa da cancellare. Eppure, quella normativa ha tentato di avviare, a piccoli passi, a cominciare da alcuni provvedimenti significativi ed importanti, un processo di riforma anche del potere giudiziario.
C'è un problema, infatti, che lei non ha affrontato, signor ministro: si verifica, oggi, un forte sbilanciamento nel sistema dei poteri che la Costituzione e i nostri padri costituenti avevano previsto. Di questo, però, non si vuole assolutamente parlare. Non ho ascoltato alcun accenno, nel suo intervento, all'autoreferenzialità della magistratura. Anzi, anche lei si è preoccupato di affermare che l'ordinamento giudiziario rischiava di minare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Dell'indipendenza e dell'autonomia del Parlamento, signor ministro, chi se ne interessa, chi se ne occupa? Dovremmo essere noi a difendere le nostre prerogative, a difendere il nostro operato, tante volte minato proprio del potere giudiziario! Che cosa ci propone lei, signor ministro? Un percorso virtuoso, rispetto alla cattiveria e all'accanimento del passato nei confronti dei magistrati.
Signor ministro, non c'è stato alcun accanimento ma soltanto l'intenzione di promuovere l'azione di autocritica della magistratura e la consapevolezza del fatto che anche la magistratura deve accettare le riforme che il Parlamento liberamente ha approvato. Non ci può essere una casta di intoccabili. Lei ascolta i cittadini, signor ministro, i quali - come ha affermato - sono al centro del suo interesse. Ebbene, ha sentito che cosa dicono? Sa che cosa pensano di alcuni magistrati, anche se non di tutti? Non si può fare di ogni erba un fascio, ma bisogna avere consapevolezza di questo: i cittadini sono stanchi di decisioni giudiziarie sbagliate, delle quali pagano le conseguenze, e sono stanchi del fatto che mai nessuno è responsabile di alcunché! Il concetto di responsabilità di chi sbaglia, che vale in qualunque settore professionale, non vale invece per i magistrati. Dobbiamo avere il coraggio di rendere queste affermazioni scomode!
Lei ha detto, signor ministro, di essere schiavo di nessuno. Lei è un uomo libero ma mi sembra che, in questo momento, stia frequentando di più i sindacati dei magistrati, quei sindacati che, in passato, hanno scioperato contro le riforme del Parlamento, perpetrando uno strappo nelle regole democratiche previste dal nostro sistema costituzionale. Quei magistrati stanno dettando legge! Quando lei si riferisce all'ordinamento giudiziario, signor Pag. 19ministro, tocca uno dei temi fondamentali, quello della separazione tra le funzioni. La Lega Nord Padania avrebbe voluto una separazione delle carriere. Le dico di più: noi vorremmo che si potesse parlare di elezione di alcuni magistrati da parte dei cittadini e della magistratura onoraria. È previsto dalla nostra Costituzione, infatti, che la magistratura onoraria possa essere eletta dal popolo. Invece, stiamo tornando indietro, ad una separazione «annacquata» delle carriere per salvaguardare un principio che, di fatto, non esisterà più.
Tutto questo va a danno del cittadino, il quale ci chiede la terzietà del giudice e la sua assoluta imparzialità. Così non sarà perché si prevedono ancora un ruolo interscambiabile e il corso-concorso. Quanto alla parte delle sue comunicazioni relativa alla professionalità dei magistrati...
PRESIDENTE. Onorevole Lussana...
CAROLINA LUSSANA. È già terminato il tempo a mia disposizione, signor Presidente? Non avevo otto minuti?
PRESIDENTE. Lo ha superato: ha già utilizzato più di otto minuti.
CAROLINA LUSSANA. Dicevo, signor ministro, che il problema della professionalità, non sarà mai risolto se controllore e controllato saranno la stessa persona. Di questo lei deve prendere atto.
Se la Presidenza mi concedesse un tempo aggiuntivo, dato che siamo tra amici, affronterei ancora moltissimi temi. Ad esempio, vorrei parlare di indulto...
PRESIDENTE. Mi consenta, onorevole Lussana, non è possibile. Lei ha già superato il tempo a sua disposizione di 30 secondi.
CAROLINA LUSSANA. Mi conceda ancora un minuto, signor Presidente, in modo che possa concludere il mio intervento.
PRESIDENTE. Come ripeto, lei ha già superato il tempo a sua disposizione di 30 secondi; perciò, posso concederle altri cinque secondi.
CAROLINA LUSSANA. Quanto all'indulto, il problema è stato liquidato, come già ha detto l'onorevole Consolo. Tuttavia, le ricordo i dati relativi a Napoli, signor ministro: 44 mila reati denunciati tra i mesi di agosto e ottobre dello scorso anno, contro i 25 mila denunciati nel 2005. Per il resto, signor ministro, del tutto fallimentare...
PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Lussana.
È iscritto a parlare l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo dell'Ulivo sostiene lo sforzo, delineato nelle linee guida contenute nelle comunicazioni del signor ministro, finalizzato ad affrontare il tema dell'accelerazione dei processi, vera e propria questione nazionale in termini di garanzia dei diritti individuali, di competitività del sistema economico e di prestigio internazionale del nostro paese.
Provvedere a due beni pubblici, come un sistema giudiziario ben funzionante e una buona regolazione dei mercati, rappresenta il compito più importante di un Governo, assieme al mantenimento della legge e dell'ordine. Diversamente da altri tipi di beni, è difficile per un privato fornire tali servizi. Sì può privatizzare l'istruzione, la sanità, ma la giustizia privata, come l'arbitrato affidato a terzi, non può sostituire un intero sistema legale.
I paesi europei, che occupano, come il nostro, le posizioni peggiori nella classifica dell'efficienza del sistema giudiziario, devono porre l'efficienza di tale sistema e della burocrazia in cima alle proprie priorità. Si tratta di beni pubblici molto più importanti dei tanto decantati investimenti pubblici destinati a treni ad alta velocità, ad aeroporti, a ponti sullo stretto, per non parlare degli aiuti di Stato destinati a questo o quel campione nazionale.
Fino ad ora non si è riusciti ad affrontare seriamente la crisi della giustizia italiana. In nessun paese, come in Italia nell'ultimo quinquennio, si è assistito ad un così intenso e spregiudicato attacco alla Pag. 20libertà e all'autonomia della giurisdizione, attacco avvenuto sia direttamente, con la tendenza a burocratizzare la figura e il ruolo del magistrato, sia indirettamente, attraverso le numerose leggi finalizzate a tutelare interessi personali, che hanno stravolto e lacerato il concetto stesso di legalità.
La conseguenza è che l'amministrazione della giustizia si è sempre di più trasformata in una macchina improduttiva ed inefficace, che, per quanto concerne la materia penale, danneggia i cittadini meno protetti, mentre nel settore civile, data la quasi paralisi della giurisdizione, favorisce i soggetti economicamente più forti.
In tutte le giurisdizioni cresce il ritardo nell'erogazione del servizio. Si allunga in misura inaccettabile la definizione dei procedimenti. L'arretrato cresce e si consolida, con milioni di fascicoli che giacciono, segnando la sconfitta dello Stato, costretto, non a caso dalla giustizia europea, a costruire e gestire male una figura speciale di risarcimento del danno, determinato dalla violazione della norma che stabilisce l'obbligo di una ragionevole durata del processo.
Vorrei riportare un esempio, ricavato da molte ricerche. Negli Stati Uniti per sfrattare un inquilino ci vogliono sette settimane, cinque per ottenere la sentenza del tribunale e due settimane per renderla esecutiva. Il tempo necessario per riscuotere l'assegno emesso a vuoto è più o meno lo stesso. I dati per l'Italia sono spaventosi. Occorre mediamente più di un anno per ottenere una sentenza e almeno quasi un altro anno per renderla esecutiva.
È il buon funzionamento della giustizia civile una delle ragioni per cui i paesi del nord Europa in questi ultimi anni sono riusciti a coniugare una crescita sostenuta con tasse elevate ed un welfare molto generoso. Non si tratta soltanto di soldi, perché i dati dimostrano che la spesa pubblica per la giustizia, come percentuale del PIL, non è per nulla correlata all'efficienza del sistema giudiziario, misurata da indicatori che sono noti.
Il nostro paese spende come e più di altri in tale settore. Per questo motivo occorre rimettersi essenzialmente dalla parte del cittadino, come propone il ministro, coerentemente con il programma dell'Ulivo. Occorre ridare alla giurisdizione la sua effettività come soggetto regolatore dei conflitti, di servizio essenziale, richiamandola al confronto e alla collaborazione istituzionale (la cultura giuridica, gli operatori del diritto, chi lavora negli uffici). Da una stagione politica gestita contro la giurisdizione, contro la legalità, si deve passare ad una nuova stagione, nella quale la giustizia sia amministrata nell'interesse dei cittadini, eliminando resistenze corporative, da qualunque parte esse provengano, con l'obiettivo di una amministrazione della giustizia che rispetti la giurisdizione e la legalità.
Tanto per riferirmi agli interventi indicati sul processo civile, per intervenire sulla semplificazione del regime delle nullità, dell'alleggerimento di peso delle questioni di competenza, con la semplificazione delle relative decisioni, sulla valorizzazione normativa del principio di lealtà processuale, straordinariamente sottoutilizzato in questi anni - interventi che alimenteranno delle resistenze - è necessario anche immaginare una professione legale che non trasferisca sui cittadini e sui consumatori il costo delle rendite, che non pensi di poter procedere con il numero degli atti, ma cambiando orientamento e anche modo di fare. Dare giustizia in ritardo significa negarla in concreto, favorendo egoismi e coloro che possono, perché hanno forza, autorità e potere, fare a meno della giurisdizione. Per questo, sosterremo lo sforzo del Governo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Crapolicchio. Ne ha facoltà.
SILVIO CRAPOLICCHIO. Signor ministro, ho apprezzato la sua relazione ed i contenuti della stessa. Tralasciando - considerato il prossimo esame da parte della Camera - la legge quadro sulle professioni e la disciplina organica sulle intercettazioni, in questa sede vorrei svolgere alcune considerazioni, anche a seguito di quanto è emerso nel dibattito di questi giorni Pag. 21circa la riforma dell'ordinamento giudiziario e gli interventi rispettivamente nel processo civile e nel processo penale.
Credo, e su questo concordo, che sia fondamentale approvare nei tempi prestabiliti la riforma dell'ordinamento giudiziario, per renderlo organico ed efficiente, a fronte del ruolo che lo stesso ordinamento giudiziario riveste e deve rivestire. Senza risorse per la giustizia, tuttavia, qualsiasi percorso risulterà vano, con tutte le più ovvie conseguenze.
È indubbia altresì l'utilità di una riforma del processo civile, ed aggiungerei anche di quello concernente le controversie del lavoro. È altresì indubbio che le misure di semplificazione ed accelerazione, quali l'udienza di programma, oppure l'eliminazione di mere udienze di rinvio potranno consentire, in tempi ragionevoli, un giusto processo, impedendo altresì le odiose condanne della Corte di giustizia di cui alla legge Pinto, che sono la vergogna di un paese civile. Temo, invece, anche per esperienza personale, che sarà necessario porre molta attenzione alle procedure di stralcio, per non rischiare di perdere la certezza del diritto e vanificare le aspettative di coloro che hanno intrapreso, loro malgrado, la strada giudiziaria, indipendentemente dal fine di smaltire il voluminoso arretrato. Ferma restando la necessità di valutare l'efficacia degli interventi nella loro applicazione concreta, particolare attenzione dovrà, inoltre, essere riservata ai tempi di fissazione dell'udienza conclusiva del giudizio, essendo proprio tale fissazione a comportare gravi ritardi nella definizione dei giudizi stessi. Presumibilmente, prevedere termini massimi ma, soprattutto, termini perentori potrebbe aiutare in questa direzione.
Per quanto concerne gli interventi di riforma del processo penale, ben vengano, anche in questa sede, misure di semplificazione e di accelerazione del processo, quali la rivisitazione del regime delle nullità che non incidono sulle garanzie di difesa. Ben venga la rivisitazione della disciplina delle competenze, mediante la previsione di rigide preclusioni temporali e l'immediata ricorribilità in Cassazione; ben vengano riti alternativi al dibattimento; ben venga la modifica dell'istituto della prescrizione, in modo da scoraggiare impugnazioni meramente dilatorie - anche se su tale modifica temo profili di incostituzionalità -; ben vengano procedure di patteggiamento per i reati coperti dall'indulto; ben venga l'amnistia (tuttavia, con l'esclusione dei reati contro la pubblica amministrazione, dei reati societari, dei reati fiscali, dei reati politico-mafioso, di tutti quei reati già esclusi dall'indulto).
È indubbio che tutte queste misure saranno utili nell'immediato, ma temo che non risolveranno il problema dell'arretrato, che nasce anche da una legislazione sbagliata ed inadeguata, che ha mirato esclusivamente all'inasprimento delle pene, come, ad esempio, la legge Bossi-Fini, oppure la ex Cirielli. Con tali esempi, richiamo integralmente le sue giuste osservazioni, signor ministro, circa la situazione penitenziaria. In tali ambiti, senza dimenticare ovviamente la vergogna delle leggi ad personam, sarà dunque necessario un intervento volto a modificare radicalmente il diritto sostanziale.
Da ultimo, ricordo a me stesso la sua cortese risposta ad un'interrogazione a risposta immediata da me presentata in Commissione giustizia circa la problematica del gratuito patrocinio. In tale sede, lei affermò che le risorse per il gratuito patrocinio costituiscono un problema tecnico e non politico. Anzi, se non ricordo male, lei evidenziò anche una certa sensibilità per tale istituto. È anche per tale motivo che le chiedo di non dimenticare la funzione sociale del gratuito patrocinio (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mazzoni. Ne ha facoltà.
ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, vorrei ringraziare il signor ministro per l'intervento che ha svolto in quest'aula. Vorrei ringraziarlo perché, perlomeno in ciò, va in controtendenza rispetto all'atteggiamento del Governo, che in questi Pag. 22mesi non ha dimostrato una grande correttezza nei confronti del Parlamento. Esprimo, quindi, doverosamente l'apprezzamento mio personale nei confronti del ministro che, invece, opera una nobile inversione di tendenza.
Signor ministro, ho sempre un atteggiamento positivo nei confronti della vita, per cui anche in relazione a questi aspetti mi predispongo positivamente.
Non ho preparato per oggi un intervento perché speravo che la sua relazione mi fornisse elementi per cambiare la mia opinione, non positiva, sull'azione portata avanti dal dicastero che lei dirige. Purtroppo, signor ministro, debbo dirle che non sono assolutamente soddisfatta dalla sua relazione che ho trovato inopportunamente critica, intelligentemente elencativa ma non esplicativa, come invece avrebbe dovuto essere, e dolorosamente vuota in entrambe le parti in cui lei ha ritenuto di suddividerla: la parte del resoconto, dal quale non emerge nulla rispetto a quanto prodotto in questi mesi di attività svolta dal Governo, e la parte relativa all'attività di riforma sulla quale lei dovrebbe investire l'attività futura del suo dicastero.
Per quanto riguarda il suo invito al confronto, faccio osservare che noi dell'UDC abbiamo un'antica cultura dell'opposizione e la stiamo dimostrando; conseguentemente, lei non può dire a noi di aprirci al confronto, anche perché tale confronto per essere corretto, come lei auspica, non può essere selettivo ma aperto a tutti, e fino ad oggi lei, signor ministro, il suo interlocutore lo ha selezionato.
L'ordinamento giudiziario è stato smontato totalmente; in seguito, vi è stato, su iniziativa dell'opposizione e, soprattutto da parte nostra, l'invito ad un confronto che ha consentito di lavorare insieme e di riuscire a recuperare la parte « buona» che vi era nella riforma che noi avevamo approvato nella precedente legislatura.
Il presidente Marvulli nel suo discorso di apertura dell'anno giudiziario - l'ultimo discorso di apertura: non so chi quest'anno farà il discorso e cosa dirà viste le spiacevoli situazioni che si stanno vivendo - ha detto testualmente (per il momento fa testo quanto da questi sostenuto): «Se potevamo e possiamo rivendicare con orgoglio che la stragrande maggioranza dei magistrati ha sempre saputo non confondere le proprie funzioni, scelte e decisioni con la politica, altrettanto certo è che non sempre abbiamo saputo sanzionare adeguatamente e tempestivamente i censurabili comportamenti di chi, assumendo iniziative spregiudicate, poi rivelatesi illegittime o infondate, talvolta offrendosi alla pubblica opinione con interventi mediatici, è apparso come il privilegiato. Sono convinto che il protagonismo non solo calpesta la discrezione, ma finisce per offendere l'obiettività, ed è di per sé indice di scarsa imparzialità, di scarsa professionalità e di scarsa saggezza. Ritengo che la professionalità non possa essere più testata con i criteri finora utilizzati perché quei criteri hanno avuto il pregio di aver giudicato tutti astrattamente idonei alle funzioni superiori, e si è sostituita alla virtù dell'obiettività la solidarietà ideologica».
Noi, signor ministro, con quella riforma davamo risposte a tutto ciò; quelle citate, infatti, sono le parole espresse dal presidente Marvulli in relazione alla realizzata riforma dell'ordinamento giudiziario. Su cosa aveva cercato di intervenire quella riforma? Non era perfettamente adeguata? Tutto è migliorabile, ma sicuramente il suo totale azzeramento non è la proposta migliore per chi come lei, signor ministro, dice di aprirsi al confronto. Oggi, lei ci propone la riforma dell'ordinamento giudiziario sia per la parte relativa alla progressione di carriera, sia per quella relativa alla separazione delle carriere o meglio alla proposta separazione dell'organizzazione ordinamentale delle funzioni giudiziarie. Signor ministro, lei sa perfettamente che oggi non esiste l'applicazione, attraverso il nostro sistema, dei principi costituzionali d'imparzialità, terzietà e parità delle parti. Bisognerebbe fare uno sforzo per ottenere questo risultato, ma sicuramente tale sforzo non può farlo chi respinge in maniera assoluta le denunce - credo giustificabili - di chi, come la dottoressa Pag. 23Forleo o il dottor Roca, che abbiamo ascoltato qualche giorno fa a Milano, racconta, sulla base di un'esperienza personale, della «infunzionalità» della giustizia a causa delle strane e improprie sovrapposizioni di funzioni. Non è possibile pensare che sia sana una riforma delle carriere dei magistrati che parta dal presupposto della negazione di una esperienza fatta e raccontata da chi quotidianamente opera sul difficile campo della giustizia.
Riguardo alla politica penitenziaria, signor ministro, quando abbiamo votato come Parlamento, tutti insieme, l'indulto, una misura impegnativa, lei in quest'aula ha detto che avrebbe accelerato i tempi di determinate riforme essenziali, divenute impellenti in conseguenza proprio dell'adozione di quella misura straordinaria: eppure ad oggi non c'è niente! Lei ha fatto una elencazione di misure che - mi consenta - già erano nel nostro ordinamento o già erano state adottate nella precedente legislatura dal precedente Governo. Lei ha parlato di intervento riguardo alla disciplina delle detenute madri, che è un intervento che ci appartiene e stiamo discutendo proprio adesso su una modifica che era stata adottata già nella precedente legislatura; riguardo alla tossicodipendenza si interviene non nella direzione di agevolare il sistema penitenziario, mentre ritengo che il riferimento alla legge Smuraglia sia semplicemente una citazione e non l'elemento di un resoconto doveroso; così come riguardo agli interventi di edilizia penitenziaria siamo stati attaccati per anni perché la nostra politica penitenziaria era solo edilizia: si tratta solo della parte finale, della coda di quell'attività di Governo che abbiamo realizzato, o perlomeno programmato, nella precedente legislatura.
Lei ha dimenticato, ministro, quelle parti fondamentali per cui il sistema penitenziario serve a realizzare quella funzione rieducativa per la quale è stato predisposto: la riduzione dei tempi del processo (è fondamentale infatti che vi sia un tempo adeguato del processo affinché la pena possa rieducare qualcuno); gli interventi sulle strutture penitenziarie, che debbono essere adeguate, e quelli relativi a personale e mezzi che sono essenziali perché è proprio il personale penitenziario, che in quelle strutture opera ventiquattr'ore al giorno, quell'elemento, quella chiave di volta per riuscire a risolvere i tanti problemi legati al mondo penitenziario.
Relativamente alla giustizia civile - premesso che mi riservo di leggere l'ipotesi di riforma che lei ha sintetizzato, propinandola in pillole attraverso i giornali, anche oggi in quest'aula -, ritengo che anche in questo, signor ministro, vi sia un atteggiamento troppo distruttivo rispetto a quello che è stato fatto: non riesco a leggere nessuna logica di continuità istituzionale, che riterrei sana e che dovremmo recuperare, nel fatto di riproporre una riforma, così come lei l'ha annunciata, dopo che, tutto sommato, noi ne avevamo effettuata una, che potrebbe non essere condivisa, ma che è ancora in fase di rodaggio e di verifica.
Sono tanti gli interventi che sono stati fatti nel processo civile per raggiungere quell'obiettivo di riduzione dei tempi che tutti auspichiamo: un tempo compatibile per la verifica avrebbe reso sicuramente più nobile la sua proposta di ulteriore riforma. Ritengo che vi siano ancora alcuni elementi sui quali si debba intervenire, ma la sua riforma - per quanto ascoltato oggi - interviene su molte parti già riformate.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ERMINIA MAZZONI. Concludendo, vorrei fare solo un ultimo riferimento, riguardo alla giustizia penale, alle riforme - e sono le nostre - che sono in discussione sul problema gravissimo delle intercettazioni e sulle proposte avanzate dall'opposizione.
A proposito della magistratura ordinaria, lei fa ancora riferimento ai magistrati onorari rispetto alle sezioni stralcio, ed è un punto su cui sono d'accordo. Non sono invece d'accordo sulla sua conclusione: magistrati onorari pagati «a sentenza» per evitare le rivendicazioni. Il problema Pag. 24rispetto alla magistratura ordinaria, signor ministro, non è nelle rivendicazioni, ma è nella professionalità e nella competenza, essendo sempre più grande il carico di lavoro che viene assegnato ai magistrati onorari, in particolare ai giudici di pace.
Quindi, signor ministro, occupiamoci di dare maggiore professionalità attraverso una proposta compatibile.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tenaglia. Ne ha facoltà.
LANFRANCO TENAGLIA. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, ho condiviso l'intervento del ministro sia per il metodo che ha indicato nella sua azione sia per i contenuti. Per quanto riguarda il metodo, ritengo - come molto più autorevolmente di me ha rilevato il Presidente Napolitano e, prima di lui, in tanti interventi, il Presidente Ciampi - che in materia di giustizia, trattandosi dell'effettività dei principi costituzionali di uguaglianza, di parità di fronte alla legge e di equilibrio dei poteri, sia necessario uno sforzo di condivisione dei principi, cioè il contrario di un metodo che troppe volte nel passato ha fatto della giustizia un terreno di scontro. Infatti, non si tratta di affermare la supremazia di un potere su un ordine o di un potere su un altro - a seconda di come intendiamo l'equilibrio e l'assetto attuale della Costituzione -, ma di trovare il giusto equilibrio fra i poteri per garantire ai cittadini il funzionamento del sistema giudiziario.
Signor ministro, ho condiviso il suo intervento nei contenuti perché contiene, finalmente, l'indicazione di un progetto organico di intervento sulla giustizia, che abbraccia l'intervento sul processo (che è il luogo principale nel quale bisogna confrontare e assicurare i livelli di efficienza, di effettività e di uguaglianza) e sull'ordinamento (che non è qualcosa di avulso e di distaccato dall'intero sistema), ma l'assetto ordinamentale della magistratura e lo statuto del pubblico ministero dovevano essere funzionali all'assetto processuale. Siamo tutti d'accordo sul male principale della nostra giustizia, che è quello dei tempi eccessivamente lunghi, ma ne aggiungerei un altro: l'estrema rigidità del sistema. Da molti anni abbiamo ereditato - e credo che negli ultimi cinque anni la situazione si sia aggravata - un sistema malato nei tempi e nelle rigidità. Il processo civile non è più il luogo della risoluzione della lite, ma il luogo della lite, della sublimazione della lite portata all'infinito. Con l'impossibilità di funzionamento del processo siamo arrivati alla paralisi come è accaduto, per esempio, nel caso di decisioni sulla legge Pinto. Il processo penale non è più il luogo dove bisogna procedere nel più breve tempo possibile - perché questo è l'interesse principale del cittadino imputato e indagato - all'accertamento o non accertamento dei fatti, in relazione alla pretesa punitiva dello Stato, ma il luogo in cui si sono stabiliti dei meccanismi processuali che mirano, innanzitutto, alla paralisi di quella pretesa punitiva.
Abbiamo ereditato un ordinamento giudiziario che è l'esatto contrario del principio di responsabilità della magistratura e di livelli sempre più alti, più funzionali e più effettivi di responsabilità della stessa di fronte ai cittadini. Abbiamo ereditato un disegno riformatore che individuava nella burocratizzazione della funzione, nella gerarchizzazione dello statuto del pubblico ministero e nel ritorno al vertice della Cassazione - questo sì un ritorno al passato - l'unico strumento e baluardo in riferimento al principio di responsabilità della magistratura. Per questo, ritengo che la politica della giustizia di questo Governo sia veramente un cambiamento di pagina. Non tornerò sui punti da lei indicati, signor ministro, nelle parti in cui li condivido, ma indicherò alcune cose che ritengo debbano essere fatte in aggiunta a quelle indicate.
Concordo con chi ha affermato che nel processo civile l'equazione «più mezzi, più strutture» sia insufficiente. Dal punto di vista processuale, se allo stanziamento di mezzi e strutture non si accompagna anche una riforma del sistema processuale e delle sue regole funzionale alla ragionevole Pag. 25durata del processo, mezzi e strutture si perderanno nell'inefficienza complessiva del sistema.
Tuttavia, per quanto riguarda i riti, ritengo che vada innanzitutto fatta una riflessione approfondita. Infatti, in questo momento (chi è avvocato lo sa molto meglio di me) per una parte non è tanto necessario prevedere la decisione, quanto il rito applicabile. La «macedonia» di riti presente nel nostro processo civile va superata. L'accordo e la condivisione dell'ufficio del giudice, a mio avviso, oltre agli altri interventi sul processo, vanno accompagnati anche da una riflessione in grado di farci superare la schema tradizionale della motivazione a tutti i costi nel processo civile. Credo che vada fatta una riflessione profonda sulla fase decisoria e sul meccanismo motivazionale di tanti riti civili, come è avvenuto con buoni frutti nel processo amministrativo.
Signor ministro, in merito all'organizzazione giudiziaria sono d'accordo sull'analisi. Mi sono occupato in una mia precedente esperienza di organizzazione giudiziaria, in particolare di misurazione dei parametri di efficienza degli uffici. Sicuramente è vero il fatto che, quando si parla o si deve decidere di organizzazione giudiziaria, siamo paragonabili al gioco del bendato e della pentolaccia: si sprecano tante risorse per raggiungere solo talvolta gli obiettivi prefissati perché non si conosce il dato. Pertanto, la conoscenza del dato ed una nuova statistica giudiziaria sono necessarie per stabilire sia i livelli medi di produttività attingibili dai singoli uffici, sia per valutare i magistrati, sia per decidere delle circoscrizioni giudiziarie e della distribuzione del personale sul territorio.
Signor ministro, vorrei indicarle anche un possibile intervento che deriva da un fallimento, dovuto all'incapacità degli operatori ed innanzitutto dalle resistenze di stampo corporativo sollevate in tante sedi giudiziarie. Mi riferisco alle tabelle infradistrettuali, che costituiscono un elemento di grande flessibilità. Esse non hanno funzionato, tuttavia il ricorso ad organici unici per più uffici, soprattutto se di piccole dimensioni, è una strada che conferisce flessibilità al sistema, non prevede costi e consente agli uffici giudiziari, in particolare nelle realtà piccole del sud, ma anche di alcune zone del nord, di funzionare.
In merito all'ordinamento, ritengo che il metodo ricordato all'inizio abbia dato buoni frutti per quanto riguarda la disciplina già entrata in vigore, nella disciplinare o nelle procure. Non si è tuttavia voluto garantire questa o quella categoria, tanto che gli operatori della giustizia, sia magistrati che avvocati, hanno molto criticato tale innovazione. Si sono però voluti raggiungere determinati livelli di funzionalità e consentire la certezza in materia soprattutto di illeciti disciplinari. A mio avviso, il prosieguo della lavoro fatto sull'ordinamento deve procedere in tal senso. Infatti, quando si parla della valutazione della professionalità dei magistrati il cittadino non ha interesse a veder valutati i pochi che hanno intenzione di sottoporsi agli esami previsti dalla riforma Castelli, bensì l'intera categoria, creando una crescita omogenea della professionalità di tutto il corpo magistratuale, soprattutto di quello che opera in primo grado ovvero di quello che dà per primo risposta agli interessi e ai diritti dei cittadini. E questo fa il sistema di valutazione periodica, ravvicinata nel tempo e basata sul rilievo a campione dei provvedimenti giudiziari e sull'aumento delle fonti di conoscenza, comprese quelle provenienti dall'Avvocatura, che è chiamata ad una grande sfida: saper esercitare al meglio il ruolo istituzionale, se dovesse essere approvata, come auspico, la riforma preannunciata dal ministro.
Per quanto riguarda la separazione delle carriere o la distinzione delle funzioni, vorrei dire una cosa in cui credo fermamente: la separazione della carriera o la distinzione delle funzioni non ha nulla a che vedere con la parità delle parti nel processo, anzi, per certi versi, la separazione delle carriere è un vulnus alla parità delle parti.
Invito chi ha sostenuto il contrario, anche oggi, in quest'aula, a leggersi l'intervento, Pag. 26di due settimane fa del procuratore generale della Corte di cassazione francese (che è il massimo esponente di una carriera separata, dipendente direttamente dall'esecutivo), su questo punto, per capire quali sono state le sue rivendicazioni in ordine ad una modifica ordinamentale del sistema francese, nel senso dell'avvicinamento del pubblico ministero alla giurisdizione e alle garanzie della giurisdizione e della funzione giudicante. Occorre riflettere, oltre che sui limiti temporali e territoriali che il ministro ha indicato, sulla possibilità di inserire limiti numerici nel cambio delle funzioni.
Sulla valutazione delle funzioni di legittimità e della capacità dell'idoneità al giudizio di legittimità (l'importanza di questa valutazione è sottesa alla previsione di un organismo che affianca il CSM per la valutazione di questi titoli), ritengo che vada specificato che, in ogni caso l'esercizio in concreto della giurisdizione di merito è un elemento fondante dell'idoneità al giudizio di legittimità, mentre un elemento di contorno, di quadro, è costituito dalla capacità dimostrata di analisi tecnica o di analisi scientifica.
Infatti, dare un rilievo eccessivo a quest'ultimo aspetto può portare a pericoli e a storture del sistema, penalizzando, in concreto, la giurisdizione ed il lavoro di tutti i giorni che è quello che risponde agli interessi del cittadino.
Sulla magistratura onoraria, ritengo che un approccio minimale a tali questioni non sia più sufficiente. Continuare con la politica delle proroghe, semplicemente tesa a verificare la stabilità economica o il riconoscimento ad un lavoro che viene fatto - e va riconosciuto - da parte della magistratura onoraria, non è più sufficiente. Anche in questo caso, occorre dare una sistemazione ordinamentale stabile, facendo della magistratura onoraria un gambo autonomo della giurisdizione, senza spargerla in varie possibilità di esercizio, che tanti problemi hanno creato e creano nell'ambito della divisione delle competenze, anche a causa della commistione con l'esercizio della professione forense.
Signor ministro, ribadisco la mia condivisione del suo progetto, perché credo che, finalmente, in questa legislatura si possa arrivare ad una riforma condivisa e sistematica, ad una giustizia che abbia, quale unica finalità, il bene pubblico e l'interesse dei cittadini, dove ciò che è giusto sia forte e ciò che è forte sia giusto, e che sia lontana dagli interessi individuali e da scelte legislative connotate da finalità diverse da quelle dell'interesse generale dei cittadini ad una giustizia efficace ed efficiente (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Comunisti Italiani e Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vitali. Ne ha facoltà.
LUIGI VITALI. Signor Presidente, vorrei iniziare il mio intervento con una premessa che già in altre circostanze ho svolto ma che, nella sede attuale, riveste un carattere maggiore di sacralità. Siamo all'inizio dell'anno giudiziario; vi è stata la riforma e, in Parlamento, l'apertura dell'anno giudiziario si avvia con la relazione del ministro.
Vorrei dichiarare ancora una volta (lo faccio, in primo luogo, a titolo personale, ma credo di poterlo affermare a nome del gruppo di Forza Italia ed anche dell'intera coalizione) che non intendiamo confrontarci in maniera polemica con il ministro della giustizia. Riteniamo che la polemica e la dialettica politica vi possano e vi debbano essere tra maggioranza ed opposizione e, per la verità, vi sono molti argomenti e temi sui quali tali profili arrivano anche alle estreme conseguenze. Vorremmo rappresentare, invece, una risorsa per affrontare i problemi della giustizia; vorremmo sostenere il ministro in battaglie che egli ha sempre annunciato fin dal suo insediamento ma delle quali, ancora oggi, non vediamo traccia. Mi riferisco alle dolenti note dei tagli consistenti (non significativi, ma consistenti) che hanno martoriato il «pianeta giustizia».
Le riconosco di aver protestato vivacemente, signor ministro, e di averlo fatto Pag. 27anche con una conferenza stampa, annunciando interventi riparatori nella legge finanziaria. Non è successo nulla. Avremmo voluto sostenerla, lealmente e seriamente. Non si possono prosciugare le risorse della giustizia, che (e su ciò tutti siamo d'accordo) abbisogna di un intervento decisivo, radicale e riformatore. Le riforme si fanno con i denari. Ripeto: le riforme si fanno con i denari! Nella giustizia, più che mai, sono necessari i denari!
Invece, a partire dall'insediamento del Governo i denari vengono meno: 350 milioni di euro in tre anni con la cosiddetta legge Bersani e 400 milioni di euro con la legge finanziaria. Questa è la premessa di principio: vorremmo essere un sostegno, nel rispetto delle reciproche posizioni politiche, senza consociativismo, ma in un rapporto di lealtà, nell'interesse del servizio giustizia e dei cittadini.
Passo alla seconda premessa. Lei è ministro da circa otto mesi e nessuno poteva pretendere che, in questo periodo, risolvesse con la «bacchetta magica» problemi anche atavici della giustizia. Lo dico con molta lealtà e con molta fermezza.
Svolte queste due precisazioni, questi due «annunci», entro nel merito del suo intervento. Se esso è frutto esclusivo delle sue personali valutazioni, della sua personale esperienza in questi mesi e rappresenta l'auspicio di modificare ciò che non va nella giustizia, può non essere condiviso (personalmente non lo condivido e, successivamente, dirò i motivi), ma è apprezzabile perché manifesta un impegno. Se, però, signor ministro, il suo intervento è il risultato di qualche staff che lo ha preparato, all'interno del quale vi è qualche sensibilità giuridica con esperienze specifiche, sarò facile profeta, ma lei ben presto si accorgerà di quale errore le è stato fatto commettere e con quali conseguenze.
Troppo facilmente, signor ministro, si dice che è necessario ridurre i tempi dei processi civili e penali a cinque anni. Chi non sarebbe dello stesso avviso? Se, uscendo oggi dal Parlamento, annunciassimo agli italiani di aver trovato la soluzione alla lungaggine dei processi civili e penali e dicessimo che il magistrato, di primo grado, di secondo grado e della Cassazione, fosse tenuto a definire la vertenza civile e penale in cinque anni, faremmo un annuncio importante. Ma nessuno, signor ministro, le ha detto in quale maniera lei possa raggiungere questo obiettivo, dato che il numero dei processi civili e di quelli penali aumenta in maniera esponenziale.
Questo significherebbe riconoscere che, fino ad oggi, i magistrati sono stati dei fannulloni, perché se da domani riusciranno a concludere i processi civili e penali in cinque anni, nonostante l'aumento davvero esponenziale del numero degli stessi, vorrebbe dire che, sinora, essi tutto hanno fatto tranne che esercitare la funzione giurisdizionale. Quindi, si tratta di un annuncio privo dell'indicazione dei percorsi, delle risorse, degli strumenti e, soprattutto, dei tempi, entro i quali ella ritiene di poter arrivare a questo risultato, che è certamente un risultato ambizioso. Io sarei il primo a riconoscerle onore e merito, se lei, signor ministro, fosse capace di poter arrivare ad un risultato del genere. Questo però - ripeto - è un annuncio che rimarrà tale e che lei pagherà in termini politici, perché io per primo glielo contesterò, non dopo otto mesi, ma dopo un anno, un anno e mezzo, due anni; ci vorrà pure un tempo entro il quale questi progetti dovranno essere realizzati...
CLEMENTE MASTELLA, Ministro della giustizia. Il tempo della legislatura, onorevole Vitali!
LUIGI VITALI. Credo che non avrà questo tempo, signor ministro, e, comunque, anche se questo Governo e la sua esperienza dovessero durare l'intera legislatura, lei non sarà in grado di farlo, innanzitutto perché non ci ha spiegato come farà a ridurre a cinque anni i tempi dei processi civili e penali. Onestamente, poi, se, comunque, il buongiorno si vede dal mattino e i provvedimenti che oggi abbiamo sul tappeto sono stati soltanto quelli relativi ai tagli, se gli interventi radicali, da voi fatti, nel pianeta giustizia Pag. 28riguardano soltanto l'indulto e il blocco della riforma dell'ordinamento giudiziario, c'è poco da stare allegri e da avere credibilità su questi interventi.
CLEMENTE MASTELLA, Ministro della giustizia. Onorevole Vitali, riguardo all'indulto, non dica «avete fatto», ma «abbiamo fatto»...
LUIGI VITALI. Signor ministro, io non sono di quelli che disconoscono le proprie azioni. Io ho votato l'indulto, ma l'indulto è una «medaglietta» che lei si è messa al petto. Preciso, inoltre, che l'ho votato, senza esserne tenuto, dato che sono all'opposizione. Le ricordo che, quando ero nella maggioranza e sedevo ai banchi del Governo, è stata l'opposizione di allora che non ci ha permesso di farlo ed oggi, quindi, avrei potuto ripagare con la stessa moneta. Invece, l'ho votato, lo riconosco e non mi sono pentito. La medaglia dell'indulto, però - le ripeto - se l'è messa lei: le carceri le ha svuotate lei, i problemi se li è evitati lei, non io.
Vorrei poi precisare, dato che si specula sempre su chi ha votato e chi non lo ha fatto, che io ho votato l'indulto sul presupposto che, premesso che la situazione era insostenibile, non soltanto per quelli che scontavano giustamente la pena, ma, soprattutto, per quelli che lavoravano nell'interesse dello Stato, all'interno degli istituti penitenziari, avevamo chiesto un impegno al ministro ed al Governo di dare un segnale di discontinuità e di creare le condizioni, perché, mai più, si verificassero casi di sovraffollamento. Lei, oggi, viene a dirci che sono stati avviati interventi di ristrutturazione, di ampliamento e di costruzione che riguardano 1.500 posti all'interno degli istituti penitenziari. Onestamente, troppo pochi per adempiere a quell'impegno, che è stato essenziale, per quello che mi riguarda, nel convincimento di votare l'indulto.
Allora, parlando sempre di risorse, perché è di questo che dobbiamo parlare, è giusto rispondere all'insoddisfazione, all'oscuramento, all'allontanamento dei cittadini e al decadimento del prestigio dell'autorevolezza della giustizia e di chi la rappresenta, nel nostro paese, per le lungaggini e per le sentenze che arrivano, quando anche chi se le vede pronunciare a favore, forse, non sa più cosa farsene. Dovremmo guardare un momento all'interno, prima di dare le legittime, giuste, necessarie e doverose risposte ai cittadini italiani ed occuparci di coloro che mandano avanti questa baracca, che non sono soltanto i magistrati, ma sono, soprattutto, gli appartenenti al comparto dell'organizzazione giudiziaria, che, da otto anni, attendono - caso unico nel nostro paese, perché tutti i comparti pubblici hanno già fatto il primo e il secondo percorso di riqualificazione - la risposta alle loro legittime aspettative.
È troppo facile, poi, complimentarsi con il tale cancelliere o il tal altro segretario che fanno più del loro dovere; abbiamo invece il dovere di manifestare concretamente, e non a parole, la vicinanza dello Stato e delle istituzioni nei confronti di questi servitori silenziosi dello Stato che consentono di mandare avanti il pianeta giustizia. Deve quindi esserci un impegno, signor ministro - peraltro, siamo in periodo di inaugurazione dell'anno giudiziario -, per risolvere definitivamente questo problema.
Quanto ai provvedimenti già varati, dell'indulto abbiamo già parlato; circa il provvedimento sull'ordinamento giudiziario, signor ministro, vorrei rispondere al collega Tenaglia che ha richiamato l'autorevole rappresentante della pubblica accusa francese. Ebbene, ritengo che tale riferimento sia fuori luogo nel nostro sistema perché, come è ben noto anche a chi non sappia orientarsi tra pandette e codici, in Francia la pubblica accusa risponde direttamente al potere esecutivo mentre, nel nostro paese, è garantita l'indipendenza della magistratura; indipendenza che noi abbiamo voluto e vogliamo mantenere.
A mio avviso, già soltanto sulla base di un calcolo numerico, il collega Tenaglia dovrebbe convincersi di stare dalla parte sbagliata; ritengo che anche lei, signor ministro, stia sbagliando se intende veramente Pag. 29portare avanti, come ha enunciato, questa parte della riforma dell'ordinamento giudiziario consentendo la possibilità di passare dalla funzione giudicante a quella requirente purché si cambi solo il distretto. Se tutta l'avvocatura - mai era successo nel nostro paese - è convinta che la soluzione di tale questione passi attraverso la netta separazione delle carriere e se anche all'interno della magistratura, da Falcone a Forleo - ripeto: da Falcone a Forleo -, si comincia a recepire questa necessità, questa ventata di rinnovamento e di modernizzazione, nell'interesse della magistratura e dei magistrati, evidentemente è facile capire da che parte stia la verità e da che parte stia l'inesattezza o un attaccamento esagerato a logiche di corporativismo.
A nostro avviso, la riforma dell'ordinamento giudiziario che lei ha bloccato - ma ci attendiamo che presenti nei termini un disegno di legge - avrebbe consentito di valutare e verificare le capacità e le attitudini dei magistrati. Non si tratta di funzione che possa essere delegata esclusivamente al Consiglio superiore della magistratura: fino a quando la valutazione e l'accertamento della persistenza o del perdurare dei requisiti professionali rimarranno esclusivamente affidati alle prerogative del Consiglio superiore della magistratura, che è animato da correnti interne, io dubiterò che si possa veramente addivenire all'irrogazione di eventuali sanzioni a carico di magistrati non idonei e alla valorizzazione di quelli idonei. Pur lasciando l'ultima parola in merito al CSM, bisognerebbe inserire un elemento esterno ad esso se vogliamo che questa valutazione di capacità professionale possa essere seria, oggettiva e valida.
Anche sulla questione della riduzione del termine feriale, che è sicuramente un'iniziativa pregevole, ritengo che essa debba essere accompagnata da un elemento di non poca importanza: non è sufficiente ridurre da 45 a 35 giorni la sospensione del termine feriale; è necessario ridurre anche le ferie dei magistrati da 45 a 30 giorni. Potremmo infatti anche sospendere i termini dal 1 agosto al 31 agosto, ma i processi verrebbero comunque rinviati in quanto i magistrati dovrebbero completare i 45 giorni di ferie dei quali oggi godono. Quindi, l'iniziativa deve essere accompagnata da una riduzione delle ferie dei magistrati; altrimenti, si tratterrebbe di un editto senza alcuna conseguenza in quanto ridurremmo i termini di sospensione dei procedimenti ma di fatto non otterremmo alcun risultato, dovendo consentire a tutti i magistrati di usufruire dei 45 giorni di ferie.
Quindi, signor ministro, noi ci auguriamo che il 2007 possa essere l'anno della svolta.
Siamo molto perplessi sul fatto che quanto ella ha detto, soprattutto per ciò che riguarda il contenimento dei tempi dei processi civili e penali, possa essere realizzato. Infatti, nel suo intervento, signor ministro, manca un interlocutore importante, una parte che è stata richiamata dal collega che mi ha preceduto, vale a dire tutto il capitolo della magistratura onoraria. Oggi, è arrivato il momento di aprire gli occhi e di dirci cosa fare riguardo tale magistratura. Se è onoraria, vuol dire che deve essere di supplenza e che deve intervenire eccezionalmente ed occuparsi delle questioni «bagattellari» (non mi viene altro termine). Se, invece, è determinante, come lo è oggi nel nostro paese e nel nostro sistema; se è vero com'è vero, che alla magistratura onoraria è addossato il 65 per cento del contenzioso, ebbene, un Governo serio, uno Stato serio (non vogliamo parlare di Governo! In proposito, sono firmatario di una proposta di legge, quindi parlo a ragion veduta) ha il dovere di porsi definitivamente questo problema. Chiamatela magistratura di complemento oppure magistratura onoraria permanente; chiamatela come volete, ma noi riteniamo - e sentiamo dichiarazioni di rappresentanti del Governo che vogliono tutelare i diritti dei lavoratori che sono sacrosanti! - che anche i magistrati onorari sono dei lavoratori. Essi non possono e non devono essere sfruttati e non tanto da un datore di lavoro qualunque, ma addirittura dallo Stato. Anche per questa strada passa la riforma della giustizia.Pag. 30
Su questo, signor ministro, nella sua relazione vi è stato un vulnus, un «buco», una disattenzione. Mi auguro che vi saranno altre occasioni per poter tornare a parlare di questa situazione. Quindi, non è soltanto con la modifica di quella parte dell'ordinamento giudiziario che noi risolviamo i problemi della giustizia; non è soltanto con l'annuncio della riduzione dei tempi dei processi a cinque anni - senza peraltro dirci come, perché, quando - che noi risolviamo tali questioni. Esse si risolvono anche attraverso l'esame di queste problematiche e, soprattutto, stanziando risorse.
Vede, signor ministro - e mi avvio rapidamente alla conclusione -, io ho avuto l'onore di essere rappresentante del Governo proprio nel settore che la vede impegnato ai massimi livelli di responsabilità. Quando andavo in giro alle inaugurazioni degli anni giudiziari oppure in visite istituzionali presso altri uffici giudiziari, qualche rappresentante della magistratura associata ma anche del personale giudiziario, mi contestava il fatto che, in quell'ufficio, mancava la carta igienica ovvero, in un altro, la carta per fotocopie. Ebbene, io non ho smesso di visitare gli uffici giudiziari, signor ministro - e lei sicuramente lo farà di più e meglio di me -, ma adesso non soltanto sono bloccate le fotocopiatrici e tutte le macchine, in quanto mancano i soldi per fare i contratti di manutenzione - cosa che nel precedente Governo, per quante accuse e contestazioni siano state mosse non era mai accaduto -, ma mancano addirittura i soldi per acquistare le copertine dei fascicoli di ufficio!
Come vogliamo dare dignità e rispettabilità ad una giustizia e come vogliamo risolvere i relativi problemi nell'interesse dei cittadini, se chi opera quotidianamente deve combattere con le ristrettezze economiche e non è in grado di farsi una fotocopia e di avere un fascicolo per mettervi gli atti di ufficio? Come si risolvono le questioni se non ci sono le risorse? Allora, signor ministro, il tempo a sua disposizione - direbbe un noto presentatore - sta per scadere. Con tutta l'accondiscendenza, la solidarietà, con tutto quello che vuole, il tempo a sua disposizione - ripeto - sta per scadere.
Fino a questo momento, non vi sono state molte occasioni nelle quali abbiamo sentito l'impulso di batterle le mani e di sostenerla. Ci auguriamo che in questo 2007 ciò avvenga con quell'impegno di essere al suo fianco, se avrà la capacità ed il coraggio di gridare, all'interno del suo Governo e della sua maggioranza, alla necessità di attrezzare la giustizia. Per adesso, il voto finale rimane ancora rinviato, ma assolutamente non siamo soddisfatti della sua relazione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capotosti. Ne ha facoltà.
GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, prima di affrontare l'argomento in discussione e di esprimere le considerazioni mie e del mio gruppo sull'argomento presentatoci dal ministro, sento doveroso rivolgere una domanda alla Presidenza, perché temo di essere affetto da un momento di forte amnesia. Non ricordo bene, infatti, se il relatore che mi ha preceduto fosse sottosegretario per la giustizia del precedente Governo oppure no. Anzi, vado oltre; in generale, credo di avere un'amnesia piuttosto forte, perché la mia sensazione è che non ci sia stato affatto un Governo precedente a questo da parte di chi questa mattina si è lanciato in pindariche involuzioni e romantiche fantasie, nonché in straordinarie enunciazioni di libri dei sogni. Quindi, prima di affrontare la discussione, credo sia doveroso esaurire una premessa.
L'esame storico-critico della situazione che abbiamo ereditato va compiuto fino in fondo. Chi ci ha preceduto ha compiuto un taglio alle risorse della giustizia pari al 53 per cento. Chi ci ha preceduto ha lasciato in eredità una situazione di blocco totale del sistema giustizia, perseguito, se i comportamenti hanno un senso, se non con scientificità, perlomeno con una certa consapevolezza.
Questo fatto è indiscutibile e va stigmatizzato. Non credo sia accettabile che Pag. 31chi ha la responsabilità della funzione di cinque anni di Governo, anche in tema di giustizia, oggi si alzi per dire che in tale ambito non si è fatto nulla, che non si fa nulla e che c'è un dramma, un'emergenza giustizia.
Esaurita la premessa e fermo restando che, ovviamente, tutti vorremmo che il sistema giustizia forse esauriente, efficace e in grado di rispondere, nei tempi più rapidi possibile, alle problematiche dei cittadini, voglio ringraziare il ministro per il suo intervento, perché è stato coraggioso, ampio, esaustivo e, soprattutto, concreto.
Il ministro ci ha presentato un'idea di riforma possibile, non un libro dei sogni, non una battaglia epica contro e tra i poteri dello Stato, ma, nella consapevolezza di uomo di Governo, una possibile via di fuga dai problemi che noi tutti ben conosciamo, purtroppo, che passa, inevitabilmente, per l'architettura istituzionale del nostro Stato.
Chi siede in questi banchi non può ignorare che il nostro Stato è tripartito nella sua articolazione dei poteri, ossia che esistono diversi poteri e che è necessario che questi interloquiscano tra loro positivamente per dare risposte alla domanda politica della cittadinanza, perché la nostra funzione e quella del Governo è di dare risposte alla domanda politica ed esprimere ciò che serve nel momento in cui serve.
È piuttosto «antiistituzionale» occupare spazi e funzioni di responsabilità - parola che a me piace molto di più rispetto al termine «potere» - usandoli contro uno o contro un altro.
È chiaro che, dalla divisione dei poteri discende anche una serie di centri di imputazione di interessi. Chiamateli sindacati, ordini professionali, associazioni dei consumatori e dei cittadini, movimenti religiosi, comitati civici, eccetera. Chiamateli come ritenete più opportuno. Ma, inevitabilmente, il legislatore deve tenere conto di questo fenomeno sociale, per comporre la risposta politica.
La risposta politica è quella effettivamente percorribile. Non serve a nessuno scrivere sulla carta percorsi che si sa a priori non saranno realizzabili. Occorre dare risposte alla domanda di giustizia che ci rivolgono i cittadini italiani ormai da troppi anni.
Allora, da qui parte una riflessione relativa al problema dei livelli di garanzia nella giurisdizione italiana. Tale problema riguarda il fatto che vi è una tendenza a fissarli al più alto livello possibile, sempre al più alto. Questo principio e questa tendenza si sono tradotti anche in un fenomeno processuale per cui norme di valore semplicemente tecnico ne hanno assunto uno sostanziale. Mi riferisco alla competenza - che, come tutti voi sapete, non inficia il giudizio, ma semplicemente lo interrompe, per spostare il processo da un giudice all'altro - a norme come il difetto di giurisdizione o ad istituti quali la prescrizione. In altri termini, mi riferisco ad una serie di elementi tecnici complementari, che sono divenuti sostanziali per via del continuo e costante uso, anche strumentale, di un eccesso dei livelli di garanzia.
I livelli di garanzia, nel progetto illustrato dal ministro, afferiscono al dato sostanziale.
Pertanto, è giusto e possibile che si fissi una tempistica iniziale dei vari procedimenti in corso. Segnalo al riguardo la svolta in ambito civile del processo telematico: finalmente è possibile (a Milano lo si è già fatto la settimana scorsa, se non vado errato) dare corso a procedimenti giudiziari per via esclusivamente telematica o quanto meno principalmente telematica, abbattendo costi e tempi, ma, soprattutto, segnando una svolta sul piano dell'aggiornamento e, quindi, rispondendo alla domanda di giustizia dei tanti operatori, anche economici, che molti colleghi prima di me hanno segnalato come elemento importante. Lavorando sugli aspetti tecnici è possibile, quindi, stabilire una tempistica.
L'udienza di programma è un istituto diffuso nel sistema di civil law; è un sistema diffuso laddove esiste la ripartizione dei poteri, è presente un sistema di burocrazia professionale ed i giudici dipendono Pag. 32semplicemente dalla legge e non sono sottoposti al controllo diretto del potere esecutivo. L'udienza di programma è un elemento che servirà finalmente ai cittadini per sapere quando avrà termine la lite sul diritto controverso.
Altrettanto coraggiosi e possibili sono gli altri interventi in materia di ordinamento giudiziario, di giustizia minorile, di recupero dell'edilizia carceraria che tanto l'indulto e l'iniziativa parlamentare quanto la sospensione e la modifica del precedente ordinamento giudiziario, votato anche in buona parte dall'opposizione, hanno reso possibile.
Mi avvio mio malgrado a conclusione, perché il tempo è esaurito, ringraziando ancora il signor ministro. Certamente esprimo il mio appoggio e quello del mio gruppo parlamentare (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).