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Allegato B
Seduta n. 226 del 18/10/2007
TESTO AGGIORNATO AL 24 OTTOBRE 2007
ATTI DI INDIRIZZO
Mozione:
La Camera,
premesso che:
nella Repubblica popolare cinese ha avuto luogo un complesso processo di riforma economica e di integrazione nei mercati mondiali, al quale non è corrisposto alcun significativo passo avanti sul piano dei diritti umani. Ad oggi, per Amnesty International, «la situazione dei diritti umani in Cina non è migliore che nel 1989». Secondo i dati diffusi dall'organizzazione, nel territorio cinese vengono eseguite 10 mila condanne a morte ogni anno, una pratica «endemica» della tortura, una durissima repressione dei dissidenti politici e delle minoranze religiose; la pena di morte è prevista per almeno 68 reati, molti dei quali ideologici. Spesso gli accusati non possono avere adeguata difesa, i processi avvengono a porte chiuse, molte condanne sono basate su «confessioni» estorte con la tortura;
sul piano industriale e commerciale è ormai dimostrato come la concorrenza sleale da parte della Cina, data da un insieme di pratiche di dumping sociale, di aiuti di Stato, di contraffazione, di metodi produttivi che non tengono conto di fondamentali regole igieniche e di sicurezza, costituisca uno dei fattori maggiormente penalizzanti per l'industria e l'economia dell'Italia e dell'Europa;
il prodotto contraffatto rappresenta un danno per l'economia e per il sistema statale. Copiare significa eludere la normativa sul diritto d'autore e le regole fiscali ad essa connesse, ma anche prendersi beffe di chi investe in ricerca e sviluppo, di chi ha idee per migliorare il prodotto e il benessere del consumatore;
le produzioni contraffatte inoltre, in patria come all'estero, impiegano canali clandestini di produzione e di circolazione, impiegando lavoratori irregolari, clandestini, minori, con danno sociale ad essi e ai lavoratori regolari che perdono il posto per la crisi di aziende oneste non competitive;
dall'invasione del 1950, la Cina ha governato il Tibet con la forza e la repressione, mettendo in atto un genocidio. Il Governo cinese, oltre a reprimere con la forza ogni richiesta di autonomia, cerca di favorire l'immigrazione di cinesi di etnia Han nella Regione Autonoma del Tibet, ad esempio con la Ferrovia del Qingzang che collegherà Lhasa a Pechino e al resto della Cina. Si stima che questa porterà in Tibet 40 milioni di non tibetani (contro circa 6,5 milioni di tibetani). Migliaia di tibetani sono in carcere spesso torturati barbaramente per reati di opinione; la lingua, la religione, la storia e la cultura tibetane sono vietate nella diffusione e assurdamente falsate nei contenuti; le donne tibetane subiscono un accentuato controllo delle nascite, con sterilizzazioni forzate e aborti anche in fasi avanzate di gravidanza;
scegliendo Pechino per i XXIX Giochi Olimpici, il Comitato olimpico internazionale (Cio) ha dichiarato che questo avrebbe lasciato «un'eredità unica per la Cina e per lo sport». A meno di un anno dall'evento, quando la macchina organizzativa cinese ha chiaramente lasciato intendere che questo sarà un evento che porterà introiti commerciali e turistici, ma non migliorerà o forse peggiorerà le condizioni della popolazione e dell'ambiente, lo stesso Comitato non ha preso alcuna netta posizione sul rispetto dei diritti umani nel paese;
Human Rights Watch denuncia come addirittura l'imminenza delle olimpiadi abbia peggiorato la situazione, provocando una censura più stretta sui media e su internet, l'arresto immediato di attivisti prima che le telecamere possano riprenderli, repressione delle minoranze tibetana e uighuri, sacerdoti in carcere, abusi continui su lavoratori e migranti, la polizia che disperde con la forza pacifiche
proteste. All'inizio di agosto a Pechino sono stati arrestati per ore gli attivisti di Reporters Sans Frontiéres che hanno protestato, durante una conferenza stampa sui Giochi, contro la mancata libertà di stampa, l'accresciuta censura sui media, le difficoltà di circolazione per i giornalisti stranieri;
gli attivisti sono stati privati dei documenti e trattenuti per ore dalla polizia in un parcheggio, poi rilasciati senza spiegazioni. Brad Adams, direttore per l'Asia di Hrw, dice che «il tentativo del governo cinese di intimidire e imprigionare i giornalisti esteri che fanno il loro lavoro, mostra il disprezzo degli ideali olimpici»;
Asianews scrive che per realizzare gli avveniristici impianti sportivi e rifare interni quartieri, a Pechino e in altre città sono state espropriate e cacciate con la forza decine di migliaia di persone, spesso senza adeguato indennizzo o una nuova abitazione. Interi quartieri sono stati sventrati. Per abbellire la città sono state chiuse decine di scuole non autorizzate per figli di operai migranti, che spesso non hanno altre possibilità di istruzione. Migliaia di migranti lavorano anche di notte per le nuove opere, per paghe minime senza giorni di riposo né assicurazione sul lavoro;
Amnesty International sostiene in un rapporto che «la polizia usa il pretesto dei Giochi per effettuare maggiori detenzioni senza processo»;
impegna il Governo:
a svolgere una azione diplomatica al fine di ottenere, entro il maggio 2008, dal governo cinese comprovate garanzie di maggiore tutela dei diritti umani e di controllo sugli illeciti industriali e commerciali posti in atto da cittadini ed industrie cinesi;
a considerare, in mancanza di tali garanzie, un'azione di boicottaggio delle olimpiadi di Pechino, attivandosi perché sia ritirata la rappresentanza italiana dalla manifestazione.
(1-00234)
«Maroni, Pini, Alessandri, Allasia, Bodega, Bricolo, Brigandì, Caparini, Cota, Dozzo, Dussin, Filippi, Fugatti, Garavaglia, Gibelli, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Lussana, Montani, Stucchi».
Risoluzione in Commissione:
La III Commissione,
premesso che:
la giunta militare al potere in Birmania sta intensificando la repressione nei confronti del movimento di opposizione, rilanciato dai monaci buddisti;
ha suscitato sdegno e preoccupazione l'annuncio ufficiale dell'arresto di circa tremila oppositori e dell'intenzione di imprigionare tutti gli attivisti ancora in libertà, nonostante il richiamo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni per il rilascio immediato dei dissidenti;
la Birmania è illegittimamente governata dal 1962 da una dittatura militare che nel 1988 ha soffocato brutalmente il dissenso dei cittadini e dai lavoratori e nel 1990 è stata sconfitta elettoralmente dal nuovo partito della Lega nazionale per la democrazia, promosso da Aung San Suu Kyi, insignita del Premio Nobel per la pace nel 1991;
la dittatura militare ha trasformato la Birmania in un Paese avulso dalla comunità internazionale e non rispettoso del diritto internazionale umanitario, dedito al traffico d'armi e di stupefacenti, fondato sulla corruzione, sullo sfruttamento del lavoro forzato, sul degrado ambientale, sull'oppressione delle minoranze etniche, sull'abuso generalizzato nei confronti di donne e bambini (la Birmania è il Paese con il più alto tasso di bambini-soldato);
la comunità internazionale è chiamata a salvaguardare i diritti di libertà del popolo birmano e non può quindi restare inerte di fronte alla repressione delle dimostrazioni pacifiche di protesta, alle quali hanno preso parte dal mese di settembre religiosi, studenti e cittadini che, dopo decenni di violazioni dei diritti fondamentali e un grave deterioramento delle condizioni di vita della popolazione, stanno chiedendo il ripristino della democrazia;
nei confronti del regime birmano - che al culmine degli scontri ha sfidato la comunità internazionale impedendo per alcuni giorni la diffusione di ogni notizia sulla sorte della signora Aung San Suu Kyi, da anni agli arresti domiciliare - le Nazioni Unite, per iniziativa del Segretario Generale, Ban Ki-Moon, hanno inviato un loro rappresentante, Ibrahim Gamban, a monitorare la condizione del Paese;
il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - a causa della minaccia di veto posta da due membri permanenti, Cina e Russia - non è riuscito ad adottare atti vincolanti ed adeguati alla gravità della situazione nei confronti della giunta militare, limitandosi ad approvare una dichiarazione di condanna;
a fronte della dura repressione la presidenza di turno dell'Unione europea ha espresso la propria solidarietà al popolo birmano e la sua «ammirazione per i monaci, le suore e i cittadini coraggiosi che stanno esercitando il loro diritto a manifestare pacificamente», sollecitando le autorità militari a rispettarne i diritti, e soprattutto a non usare la violenza contro il popolo, e invitando tutte le parti interessate «a portare avanti un processo genuino di riconciliazione e negoziazione»;
il Consiglio affari generali e relazioni esterne dell'Unione europea si è pronunciato lunedì 15 ottobre per l'inasprimento delle sanzioni nei confronti della giunta militare birmana, includendo il divieto delle esportazioni di attrezzature per i settori del legno, il divieto dello sfruttamento minerario dei metalli, minerali e pietre preziose o semipreziose, il divieto di importare e investire in questi settori;
la società civile italiana ed internazionale è mobilitata a sostegno della causa della democrazia e della libertà per il popolo birmano, come risulta dagli atti dell'audizione svolta presso il Comitato permanente sui di ritti umani, in data 26 luglio 2007;
impegna il Governo:
a mantenere elevata l'attenzione della comunità internazionale sulla gravissima situazione in Birmania, contribuendo ad isolare il regime militare al potere, anche con particolare riferimento all'accesso al commercio internazionale degli armamenti;
ad insistere, in seno al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, perché siano adottate misure tali da incidere sulla crisi in atto, prefigurando il ritorno del Paese alla democrazia e a sollevare a tal fine la questione anche nei rapporti bilaterali con i grandi Paesi asiatici vicini all'attuale governo birmano o che oggi si oppongono alle sanzioni richieste dalle Nazioni Unite, in particolar modo la Russia e la Cina;
a confermare, sin dal Consiglio europeo di Lisbona, l'impegno dell'Unione europea per esercitare la più ampia pressione possibile sul piano diplomatico, economico e commerciale, perché la giunta militare al potere in Birmania cessi la repressione degli oppositori e restituisca il governo del Paese ad istituzioni rappresentative della popolazione, nonché per intensificare in tale direzione la cooperazione con le corrispondenti organizzazioni regionali del Sudest asiatico;
ad attuare tempestivamente ed integralmente, tutte le misure sanzionatone stabilite internazionalmente, valutando l'opportunità di sospendere le relazioni commerciali che intercorrono tra l'Italia ed il Paese asiatico;
a manifestare piena solidarietà al movimento di opposizione birmano, ed in
particolare a riconoscere il ruolo politico del premio Nobel per la pace, signora Aung San Suu Kyi, quale primaria interlocutrice per la transizione del Paese verso la democrazia.
(7-00291) «Ranieri, Zacchera, Cioffi, Giancarlo Giorgetti, Leoluca Orlando, Forlani, Ricardo Antonio Merlo».