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Allegato B
Seduta n. 261 del 19/12/2007
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SALUTE
Interrogazione a risposta in Commissione:
MANCUSO, ALESSANDRI e ULIVI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
si apprende dai giornali che il Comandante della Poliziaunici pale di Reggio Emilia, dottor Antonio Russo, con una comunicazione protocollo n. 1184/2004 del 26 gennaio 2004 ha informato tutti i componenti del Comando da lui diretto che le macellazioni eseguite secondo il rituale religioso islamico sono da ritenersi lecite;
il rituale religioso islamico prevede lo sgozzamento e conseguente dissanguamento degli animali destinati alla macellazione senza che venga utilizzata alcuna metodica per lo stordimento finalizzato a diminuire la sofferenza;
spesso la macellazione di rito islamico viene effettuata in luoghi inidonei o all'aperto, con i conseguenti rischi di contaminazione batterica dei prodotti alimentari provenienti dai capi macellati in maniera approssimativa;
spesso la macellazione di rito islamico viene effettuata in assenza di controlli medico-veterinari, con la logica conseguenza di distribuire alimenti di origine animale che non hanno i requisiti minimi di sanità e rischiano di trasmettere malattie trasmissibili dagli animali all'uomo (zooantroponosi);
questa pratica barbara e rozza offusca le decennali battaglie animaliste effettuate nel nostro Paese per coltivare la sensibilità verso le altre creature viventi e senzienti, e non si tratta più di macellazione clandestina, ma di crudele uccisione di animali, senza necessità;
è gravissimo che il Comandante della Polizia municipale imponga ai suoi uomini di ignorare le lamentele di chi ha assistito impotente a questi rituali assurdi, antistorici ed offensivi della morale comune -:
quali urgenti misure intenda adottare il Governo per riportare la situazione venutasi a creare a Reggio Emilia alla normalità ed alla legalità, con particolare attenzione a limitare le sofferenze degli animali ed a tutelare la salute umana.
(5-01875)
Interrogazione a risposta scritta:
FASOLINO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
le malattie croniche di fegato rappresentano un serio problema di salute pubblica, coinvolgendo circa 1/3 della popolazione generale. Tra le cause eziologiche, le infezioni da virus epatitici di tipo B (HBV) e specialmente di tipo C (HCV) coinvolgono la netta maggioranza dei casi (70-80 per cento) e possono causare nel tempo una epatopatia spesso evolutiva fino all'insufficienza epatica e complicanze (ascite, ipertensione portale, encefalopatia epatica, epatocarcinoma) e talora con manifestazioni extraepatiche (crioglobulinemia, proteinuria, diabete, neuropatia, autoimmunità). Pur essendo spesso dal punto di vista clinico del tutto asintomatiche, le epatiti croniche possono assumere un andamento progressivo, e, nel tempo (decenni), presentare una franca evoluzione cirrotica del fegato in almeno un terzo dei casi;
la cirrosi, per il paziente, è una condizione invalidante, gravata da alta mortalità nello stadio avanzato (Child A), tanto da rappresentare la prima causa di morte nella fascia d'età dei 35-44 anni e la terza tra i soggetti con 45-54 anni, rispetto alle altre comuni cause (diabete, pneumopatia, cardiopatia, nefropatia e vasculopatia);
la cirrosi, per il medico, rappresenta un serio impegno nella gestione clinica, particolarmente per le complicanze che richiedono sempre più dispendio di risorse e terapie, fino al trapianto epatico, in casi selezionati. La spesa sanitaria ospedaliera per questo settore si attesta su circa 350 milioni di euro in Italia, senza contare i costi supplementari per la gestione terapeutica delle forme da avviare al trattamento antivirale con interferone, la cui spesa annuale si stima sia di circa 150 milioni di euro;
gli studi sulla storia naturale dell'infezione da HCV possono fornire alcuni elementi utili al fine di valutare l'impatto della terapia sulla evoluzione della malattia. I soggetti con infezione acuta (la maggior parte dei quali asintomatici) presentano un elevato rischio di cronicizzazione. Circa un terzo di essi, mediamente nell'arco di 20-25 anni, progredisce verso la cirrosi epatica. A sua volta la cirrosi presenta un rischio di scompenso epatico severo nel 30 per cento dei casi in dieci anni ed un rischio annuo dell'1-3 per cento di sviluppo di epatocarcinoma. L'evidenza, confermata da più studi, che l'infezione contratta in giovane età mostri una minor tendenza di progressione a cirrosi, rispetto ai casi che acquisiscono l'infezione dopo i 40 anni, lascia ipotizzare l'importanza di cofattori «non virali» quali promotori e catalizzatori della epatopatia. Infatti, attualmente si pensano implicati in maniera significativa nel processo fibrogenetico alcuni meccanismi collegati allo stato dismetabolico (obesità, dislipidemia, insulino-resistenza, steatosi e sovraccarico marziale), alla coinfezione virale (HBV, HCV, HIV), alle abitudini voluttuarie e/o ambientali (consumo di alcool 40-50g al giorno, tabagismo, tossici esogeni) o a predisposizione genetica (sesso maschile, polimorfismi genetici, HLA dell'ospite). Oggi è noto che prima ancora di valutare la necessità di un trattamento antivirale è indispensabile correggere i fattori promotori di cirrosi, talora modificabili con semplici accorgimenti, quali l'abolizione delle bevande alcoliche, il calo ponderale, la correzione della steatosi e della siderosi epatica. Queste misure a volte sono sufficienti a riportare i valori delle transaminasi entro i limiti della norma e sicuramente rendono più efficace la terapia antivirale;
l'epatite cronica C appare malattia evolutiva nella maggioranza dei casi non trattati, essendo stata documentata in questi una progressione della fibrosi dieci volte maggiore rispetto ai trattati con comparsa di cirrosi, complicanze e morte rispettivamente nel 29 per cento, 8 per cento e 6 per cento dei casi in 5 anni (9,5 per cento, 0 per cento, 0 per cento nei trattati). La terapia antivirale si è dimostrata l'unica strategia preventiva e capace di interrompere la progressione della malattia e la regressione della fibrosi almeno nei casi dove si è ottenuta l'eradicazione virale prima dello stadio di cirrosi completa, migliorando sensibilmente la qualità della vita percepita. La terapia antivirale dell'epatite C si avvale oggi dell'associazione di PEG-interferoni e RIBAVIRINA ed i trials registrativi degli interferoni peghilati hanno dimostrato una reale amplificazione dell'efficacia terapeutica anche nei pazienti meno responsivi: (genotipo HCV-1; alta viremia; cirrosi; elevato BMI; età più avanzata e presenza di cofattori). Certamente non si tratta di terapia scevra da effetti collaterali che sono principalmente dovuti all'IFN, a cui talora si somma una grave anemizzazione provocata dalla ribavinna. Inoltre, la durata di somministrazione dei farmaci (spesso si tratta di cicli terapeutici di 12 mesi), può comportare anche costi non medicali rilevanti (qualità di vita, giornate lavorative perse, ecc.), tuttavia oggi rappresenta una possibilità di cura molto valida, specialmente effettuata
in centri esperti che mirano a personalizzare l'obiettivo terapeutico;
i sistemi clinico-bioumorali più noti e frequentemente utilizzati per predire lo stadio di fibrosi epatica, si basano sulla combinazione di test di laboratorio e di altri parametri ed i più noti sono rappresentati dall'APRI (AST to platelet ratio index), dall'indice di Forns e dal Fibrotest. L'indice di Forns si basa sull'età del paziente, le piastrine, GGT e colesterolo, il Fibrotest è dato dalla combinazione di cinque variabili: bilirubina, GGT, apolipoproteina A1, alfa-2-macroglobulina e aptoglobina ed è attualmente validato da una formula coperta da brevetto francese, ma entrambi non riescono a classificare correttamente una estesa fascia di casi. Nei centri come l'Azienda Ospedaliera Università di Padova, dove è stato a lungo studiato l'antigene SCCA (carcinoma a cellule squamose) che è stato sequenziato e sottoposto a brevetto nella sua variante denominata SCCAPD, le ricerche hanno dimostrato come il monitoraggio dell'immunocomplesso SCCA-IgM e la sua espressione in termini di variazione nel tempo potrebbe essere utile ai fini prognostici per la valutazione non solo dell'epatopatia cronica ma anche per identificare la sottopopolazione con malattia più evolutiva e a rischio di epatocarcinoma. Attualmente la biopsia epatica pur con molti limiti, rappresenta il gold standard per la stadiazione della fibrosi epatica; purtroppo, è una metodica cruenta che comporta costi sanitari rilevanti perché richiede l'ospedalizzazione per almeno 6-18 ore ed è gravata da complicanze nello 0,6-5 per cento dei casi. Inoltre alcune tipologie di pazienti infetti presentano controindicazioni assolute all'esame bioptico (emofilia o con altri deficit della coagulazione, anticoagulazione e/o antiaggregazione). L'elastografia transitoria è una nuova metodica strumentale che in modo rapido (durata media dell'esame inferiore a 5 minuti), ed assolutamente non invasivo, permette di misurare la rigidità dei tessuti, attraverso uno strumento delicato, il Fibroscan (Echosens, Francia) che trasmette una vibrazione standard per via transcutanea che si propaga nel tessuto epatico con una velocità direttamente proporzionale alla rigidità media del parenchima consentendo di stimare lo stadio della fibrosi con un'accuratezza probabilmente sovrapponibile a quella della biopsia epatica;
obiettivo primario del Sistema Sanitario Nazionale nel capitolo delle epatiti croniche virali è lo studio di un modello per la prevenzione, la diagnosi e la cura dei fattori favorenti l'evoluzione della malattia epatica ed influenzanti la risposta alla terapia antivirale. È necessario standardizzare la metodologia per lo studio della stadiazione non invasiva della progressione della fibrosi sia con il dosaggio nel sangue di SCCA-IgM, sia con l'analisi strumentale del fegato con Fibroscan eseguiti a scadenza annuale -:
se non voglia emanare una direttiva alle Regioni italiane, anche attraverso la conferenza Stato-Regioni perché le stesse abbiano a dotarsi di un'apparecchiatura poco costosa come il Fibroscan che eviterebbe l'uso sistematico di una metodologia invasiva quale si configura la biopsia epatica con il conseguimento di risultati praticamente sovrapponibili.
(4-05947)