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Allegato B
Seduta n. 264 del 9/1/2008
TESTO AGGIORNATO AL 19 FEBBRAIO 2008
ATTI DI INDIRIZZO
Mozione (ex articolo 115, comma 3, del regolamento):
La Camera,
premesso che:
l'emergenza rifiuti nella Regione Campania, esplosa in forma di protesta violenta dopo oltre 10 anni di gestioni commissariali e di governi regionali di centro-sinistra ha messo in evidenza l'inadeguatezza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, On. Alfonso Pecoraro Scanio, a svolgere il ruolo affidatogli;
per quel che riguarda la situazione campana i termini dell'inadeguatezza si sostanziano nelle seguenti considerazioni:
110.000 tonnellate di rifiuti da raccogliere dalle strade in particolare nelle aree del napoletano e del casertano;
6 milioni di «ecoballe» stoccate in aree diverse della Regione Campania e di altre Regioni italiane;
un costo di gestione dell'emergenza quantificabile in circa 2 miliardi di euro;
il blocco, per mano del Ministro in parola della realizzazione dei termovalorizzatori, che consentirebbero di uscire dall'emergenza e contemporaneamente di bloccare le infiltrazioni camorristiche nel ciclo dei rifiuti;
un malessere sociale crescente, che si sostanzia in continui blocchi delle poche discariche di rifiuti urbani funzionanti, nell'opposizione anche violenta dei cittadini alla realizzazione di nuove discariche e dei termovalorizzatori, nella crescita del consenso sociale per le organizzazioni camorristiche;
una condizione sanitaria gravissima al punto da produrre il blocco di talune attività civili, quale quella scolastica, con rischi di epidemie ed esposizione della popolazione alle diossine provenienti dai roghi dei rifiuti accesi dai dimostranti; le indagini epidemiologiche mostrano un incremento del 28 per cento dell'incidenza dei tumori nelle popolazioni delle aree interessate dall'emergenza, rispetto alle medie nazionali;
la situazione, di per sé tragica per la Campania, sta producendo un incalcolabile danno per l'intero Paese, con fortissime ripercussioni economiche che hanno già prodotto il crollo dell'economia turistica della Campania (-25 per cento) ed anche di quella agricola, con il pericolo che tale crollo si estenda a tutta l'Italia;
né è difficile immaginare come tutto ciò abbia contemporaneamente favorito la crescita del potere delle organizzazioni camorristiche, che gestiscono gran patte del ciclo dei rifiuti e delle discariche e che hanno incamerato gran parte delle risorse economiche stanziate per l'emergenza, con la conseguente creazione di una immagine internazionale dell'Italia quale Paese in declino, sporco, affollato, ingovernabile e addirittura pericoloso;
ad aggravare quanto già esposto vi sono gli ulteriori comportamenti posti in essere già all'atto dell'insediamento dal Ministro Pecoraro Scanio che ha provveduto sin da subito a minare i rapporti del Governo con il mondo produttivo, rimettendo in discussione il testo unico ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006) sul quale era stato raggiunto un complesso, ma soddisfacente accordo grazie al Governo di centro destra; la riscrittura, oltre ad essere, ad avviso di firmatari del presente atto, illegittima, in quanto esercitata oltre i limiti temporali previsti dalla legge delega è, a tutt'oggi, incompleta, e ha prodotto un rilevante incremento dei costi delle imprese ed una incertezza legislativa che si traduce in ulteriori costi, in un momento in cui la competitività del «Sistema Italia» è già declinante;
la politica del Ministero dell'ambiente è stata costantemente impostata su una logica di veto nei riguardi dell'ammodernamento del Paese e delle infrastrutture:
l'annullamento dell'iter per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, avviato dopo circa 30 anni di discussioni e progetti dal Governo di centro destra, con l'individuazione del general contractor e di una rilevante quota di finanziamenti, è stato posto dal partito dei Verdi, di cui l'On. Pecoraro Scanio è leader, quale condizione non negoziabile per la partecipazione al Governo di centro sinistra; l'effettivo blocco produrrà dei costi di risarcimento non ancora quantificabili, ma valutabili in diverse centinaia di milioni di euro;
in un dossier presentato dall'ENEL, nell'ottobre 2007 i costi del «non fare» nel solo settore energetico sono già valutabili in 40 miliardi di curo, il 3 per cento del PIL, e raggiungeranno i 200 miliardi nel 2020, qualora si proseguisse con il medesimo indirizzo; si tratta del blocco della costruzione di nuove centrali a carbone, dei rigassificatori, dei termovalorizzatori, della costruzione di nuove linee di trasporto dell'energia, del tentativo di bloccare qualsiasi partecipazione dell'Italia allo sviluppo del nucleare sicuro;
per parte sua l'ANAS ha denunciato che l'Italia ha già rinunciato a circa 36 miliardi di euro in termini di occupazione e di reddito a causa delle opere stradali bloccate; per citarne alcune: l'autostrada Brescia-Bergamo-Milano, la tangenziale est di Milano, la Pedemontana lombarda, la Tirreno-Brennero, la Mantova-Cremona, la Orte-Ravenna-Venezia, la Palermo-Agrigento, il passante nord di Bologna;
emblematica è la vicenda legata alla realizzazione della tratta ad Alta velocità Torino-Lione, esclusa dalle finalità della Legge Obiettivo per volontà del Ministro Pecoraro Scanio, in relazione alla quale l'Italia rischia non solo di perdere un miliardo di euro stanziato dall'Unione europea, ma anche di essere esclusa dalla tratta ad alta velocità che attraversa l'Europa dal Portogallo ai Paesi dell'est;
analoghi tentativi di blocco dei lavori sono in corso per la variante di valico tra Firenze e Bologna, per il tunnel del Brennero e per il Mose di Venezia;
gli strumenti utilizzati per il su descritto potere di veto sono stati la Valutazione d'impatto ambientale (VIA) e la Valutazione d'impatto strategica (VAS), entrambe gestite dal Ministero dell'ambiente, destinate a rendere compatibili opere ad alto impatto con l'ambiente circostante, ma di fatto usate dal Ministro Pecoraro Scanio per rimandarne sine die la realizzazione; attualmente per l'emanazione di VIA e VAS occorrono 860 giorni, ma questi si prolungano sino a raddoppiarsi utilizzando l'artifizio della documentazione incompleta, come accaduto per i rigassificatori di Livorno e Pisa;
si discute molto, anche all'interno del centro-sinistra dei «costi del non fare» o dell'ambientalismo del «Sì» in contrapposizione a quello del «No» portato avanti sia dagli innumerevoli comitati ed associazioni locali che agiscono per il blocco di singole opere, sia dalle organizzazioni ambientaliste più oltranziste, il Ministro Pecoraro Scanio contravvenendo alla propria funzione di Governo, è regolarmente schierato con le posizioni più estreme ed in definitiva oscurantiste e settarie;
conclusivamente, posto di fronte alle proprie responsabilità dalla crisi ambientale della regione Campania, il Ministro Pecoraro Scanio ha clamorosamente negato di avere alcuna competenza in materia, rinviando le responsabilità per la gestione dei rifiuti urbani ai comuni, alle regioni ed ai commissari di Governo. Tale tentativo di fuga dalle responsabilità, non degno di un rappresentate di Governo si scontra con l'evidente constatazione che il Ministero non solo ha scritto e gestisce la parte sui rifiuti del Testo unico ambientale, ma è preposto anche alle valutazioni ambientali necessarie all'insediamento dei termovalorizzatori;
si potrebbero aggiungere ulteriori iniziative poste costantemente in essere da parte del Ministro, ad avviso dei firmatari del presente atto, par danneggiare il nostro Paese con la compiacente approvazione da parte di tutto il Governo e del Presidente del Consiglio in particolare, ma quanto esposto è già troppo per poter dire basta a questa vergognosa incapacità a governare che sta producendo il declino del nostro paese;
per tali motivi:
visto l'articolo 94 della Costituzione;
visto l'articolo 115 del Regolamento della Camera dei deputati, esprime la propria sfiducia al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, on. avv. Alfonso Pecoraro Scanio, e lo impegna a rassegnare le proprie dimissioni.
(1-00264) «Elio Vito, Bondi, Leone, La Russa, Cirino Pomicino, Cicchitto, La Loggia, Nicola Cosentino, Armosino, Bertolini, Brancher, Fratta Pasini, Moroni, Romani, Gioacchino Alfano, Azzolini, Brusco, Carfagna, Cesaro, Fasolino, Giacomoni, Laurini, Martusciello, Mario Pepe, Paolo Russo, Alfredo Vito, Gianfranco Conte, Baldelli, Biancofiore, Boniver, Craxi, Della Vedova, Jannone, Lainati, Marinello, Marras, Milanato, Osvaldo Napoli, Paroli, Picchi, Santelli, Vitali, Costa, Crimi, Crosetto, D'Ippolito Vitale, Dell'Elce, Di Centa, Fallica, Fedele, Ferrigno, Giuseppe Fini, Fitto, Gregorio Fontana, Franzoso, Galli, Gardini, Gelmini, Giro, Giudice, Grimaldi, Iannarilli, Lenna, Licastro Scardino, Martino, Mazzaracchio, Mistrello Destro, Mormino, Nan, Palmieri, Palumbo, Paniz, Pelino, Pescante, Pili, Ponzo, Pottino, Prestigiacomo, Ravetto, Ricevuto, Rivolta, Romagnoli, Romele, Luciano Rossi, Di Cagno Abbrescia, Germanà, Lupi, Mondello, Tortoli, Aracu, Campa, Floresta, Pizzolante, Sanza, Testoni, Uggè, Zanetta, Boscetto, Pecorella, Paoletti Tangheroni, Cossiga, Zorzato, Garagnani, Stradella, Lazzari, Fabbri, Di Virgilio, Misuraca, Caligiuri, Adornato, Angelino Alfano, Aprea, Baiamonte, Bernardo, Berruti, Bocciardo, Bonaiuti, Bruno, Carlucci, Casero, Ceccacci Rubino, Ceroni, Cicu, Colucci, Rosso, Santori, Scajola, Simeoni, Stagno d'Alcontres, Tondo, Tremonti, Valducci, Valentini, Verdini, Verro».
Mozione:
La Camera,
premesso che:
sono trascorsi trent'anni dall'entrata in vigore della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza»;
il dato temporale costituisce occasione per un bilancio sull'attuazione della predetta normativa;
nella relazione inviata nel mese di ottobre 2007 al Parlamento, sull'attuazione della legge n. 194, il Ministro della salute ha presentato i dati preliminari per l'anno 2006 e i dati definitivi relativi all'anno 2005;
sulla base dei dati disponibili, il valore assoluto di interruzione volontaria di gravidanza (IVG) per il 2006 è risultato pari a 130.033 interventi, con un decremento del 2,1 per cento rispetto al 2005 (132.790 casi di IVG) e del 44,6 per cento rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all'IVG (234.801 casi);
ciò equivale alla soppressione di 130.033 vite umane; infatti, come la biologia e la medicina sostengono con argomenti inconfutabili (cfr., tra gli altri, Elio Sgreccia, «Manuale di bioetica, I. Fondamenti ed etica biomedica», nuova edizione aggiornata ed ampliata, Vita e pensiero, Brescia 1994), fin dal momento del concepimento ci si trova davanti a un essere umano, dotato di patrimonio genetico completo, unico e irripetibile;
anche la stima dell'aborto clandestino per il 2005, non dissimile da quello degli ultimi anni, permette di ipotizzare una persistenza residuale dell'aborto clandestino intorno alle 20.000 unità prevalentemente (90 per cento) concentrato al sud;
come si legge nella relazione del Ministro della salute, «...La serie storica dei dati rilevati nel tempo dimostra che le IVG, dopo un massimo osservato a distanza di pochi anni dall'approvazione della legge, si sono ridotte in modo costante, anno dopo anno; considerando sia gli aborti notificati che quelli ancora clandestini, si può calcolare che al 2005 si registra una riduzione del 60 per cento rispetto al valore stimato prima dell'approvazione della legge 194/78 ed al valore massimo osservato nel 1982-83 ...»;
se da un lato tale andamento risulta sicuramente legato ad una maggiore diffusione (o un più corretto uso) di metodi per la procreazione responsabile onde evitare il ricorso all'aborto, dall'altro - negli ultimi anni - risulta sempre basso il ricorso ai consultori familiari, indicando ciò una reale difficoltà della donna a farvi ricorso, sia per la non adeguata integrazione tra questo servizio e quelli presso cui viene effettuata l'IVG, sia - soprattutto al Sud - per la scarsa presenza del servizio sul territorio, per l'incompletezza della équipe consultoriale, per il limitato numero di ore delle figure professionali che dovrebbero occuparsi di questo problema o per la indisponibilità a rilasciare la certificazione;
in Italia dal 1978 ad oggi sono stati effettuati quasi 4 milioni e 800mila aborti, senza considerare quelli clandestini, il triplo della somma delle vittime italiane nelle due guerre mondiali;
il professor Giovanni Berlinguer, che fu uno dei relatori alla Camera della legge, aveva scritto pochi giorni dopo l'entrata in vigore della legge che «... essa si propone (...): di azzerare gli aborti terapeutici; di ridurre gli aborti spontanei; di assistere quelli clandestini. Si propone, inoltre, di favorire la procreazione cosciente, di aiutare la maternità, di tutelare la vita umana dal suo inizio»;
il doveroso bilancio dell'effettivo conseguimento di tali scopi, alla stregua dei dati del Ministro della salute, è da considerarsi ancora oggettivamente fallimentare dal momento che: 1) ancora oggi il rapporto di abortività (numero delle IVG per ogni 1.000 nati vivi), sebbene con un decremento del 3,0 per cento rispetto al 2005 e del 38,3 per cento rispetto al 1982, è risultato pari a 234,7 per 1.000 nati vivi; 2) tutto ciò conferma che la pratica abortiva è diffusa capillarmente e che proprio per questo non è riconducibile in modo esclusivo, e nemmeno prevalente, a situazioni eccezionali o a difficoltà insuperabili;
le attuali possibilità scientifiche e tecnologiche consentono di mantenere in vita bambini che nascono alla 23esima, 22esima e, addirittura, 20esima settimana di gestazione tanto che in questi giorni alcuni autorevoli ospedali lombardi hanno deciso di far scendere il limite per l'interruzione di gravidanza alla 21esima settimana;
è mancata del tutto nell'operatività della legge la fase della dissuasione, che pure era prevista allorché la gestante si rivolge al consultorio o ad una struttura socio-sanitaria, ovvero al proprio medico di fiducia. A tale proposito è sufficiente constatare che nel 1995 il 74,6 per cento degli aborti è stato effettuato dietro mera certificazione del medico di fiducia o del servizio ostetrico-ginecologico, il che vuol dire che la fase della «dissuasione» è pressoché inesistente essendo coincisa con
il rilascio dell'attestazione di gravidanza, necessaria per sottoporsi all'intervento;
come si legge nella relazione citata, nella valutazione generale sull'andamento del fenomeno in Italia si deve tener conto di quanto le donne di nazionalità estera influiscano, in modo sempre più consistente, sull'incidenza dell'IVG. Nel 2005, infatti, 37.973 interventi (29,6 per cento del totale) sono stati effettuati da donne con cittadinanza estera, generalmente residenti o domiciliate nel nostro Paese. Si tratta di un fenomeno in continuo aumento (9.850 nel 1996, 11.978 nel 1997, 13.904 nel 1998, 18.915 nel 1999, 21.477 nel 2000, 25.316 nel 2001, 29.703 nel 2002, 33.097 nel 2003, 36.731 nel 2004 e 37.973 nel 2005) legato principalmente all'aumentata presenza sul territorio nazionale delle donne straniere, in seguito ai ben noti fenomeni migratori. Ciò, soprattutto in alcune regioni, può far risultare un maggior ricorso all'IVG in conseguenza della più alta presenza di immigrate in tali territori;
quanto sopra significa che il nostro Paese non è in grado di offrire nemmeno alle gravidanze delle donne straniere «aiuto» diverso dall'aborto,
impegna il Governo:
a dare completa attuazione ai propositi contenuti nella relazione del Ministro della salute, la senatrice Turco, relativa ai dati definitivi 2005 e ai dati preliminari 2006, e in particolare a promuovere una più complessiva politica di tutela e promozione della vita;
a sottoporre a rigorosa verifica le modalità di esercizio da parte dei soggetti interessati (medici e operatori dei consultori) della fase della dissuasione dell'aborto, di cui all'articolo 4 della legge 194/78;
ad adottare i provvedimenti necessari affinché la dissuasione non coincida con generiche esortazioni, ma si traduca nella concreta indicazione delle alternative all'aborto, con particolare riguardo alla risoluzione delle difficoltà delle gestanti;
a dare spazio, all'interno delle strutture che intervengono nell'iter dell'aborto legale, al volontariato impegnato nella difesa della vita del nascituro, eliminando ogni ostacolo che possa intralciare l'opera di dissuasione all'interruzione volontaria della gravidanza;
a trasformare quella che oggi è una mera ricognizione notarile ad un approfondimento delle cause effettive dell'aborto e degli strumenti adoperati per prevenirlo e a far coincidere il deposito annuale della relazione con l'avvio di un dibattito parlamentare;
ad adottare misure che abbassino a 150, 155 giorni la scadenza temporale entro la quale praticare l'aborto cosiddetto terapeutico senza divieti. Una soglia che si deve essere pronti ad abbassare ulteriormente nel momento in cui le scoperte scientifiche dovessero permettere di farlo;
a far emanare una circolare del Ministero della salute che, tenuto conto del parere dei più insigni neonatologi, stabilisca un nuovo limite massimo dell'interruzione volontaria di gravidanza a scopi cosiddetti terapeutici in considerazione delle possibilità di vita autonoma extrauterina del feto al di sotto dell'attuale limite (fissato al 180o giorno di gestazione).
(1-00263) «Pedrizzi, Airaghi, Meloni, Angela Napoli, Rampelli, Rositani, Tremaglia, Armani, Briguglio, Germontani, Mazzocchi, De Corato, Porcu, Zacchera, Romagnoli, Delfino, Ulivi, Saglia, Gamba».
Risoluzione in Commissione:
La XIII Commissione,
premesso che:
il 12 dicembre 2007, la Commissione europea, adempiendo ad una richiesta avanzata dal Consiglio europeo nell'ambito della riforma della PAC del 2003,
ha presentato una relazione sulle prospettive del settore lattiero-caseario dell'Unione europea;
tale relazione ha evidenziato, per il periodo compreso tra il 2003 e il 2007, un incremento della domanda di latte che, secondo le previsioni, continuerà a salire anche tra il 2007 e il 2014 e che le prospettive sono favorevoli anche per quanto riguarda la domanda e i prezzi sul mercato mondiale;
nell'ambito della riforma della PAC del 2003 la Commissione aveva inizialmente proposto un aumento supplementare delle quote del 2 per cento, oltre all'1,5 per cento che era già stato approvato con l'Agenda 2000 per 11 Stati membri. In questo contesto il Consiglio si era pronunciato contro l'aumento supplementare, ma aveva invitato la Commissione a presentare una relazione sulla situazione del mercato, a riforma attuata, prima di adottare una decisione definitiva;
secondo le conclusioni della relazione sulle prospettive di mercato nel periodo dal 2003 al 2007 l'accresciuta produzione di formaggi e latte fresco ha permesso di assorbire un quantitativo supplementare di 5,5 milioni di tonnellate di latte, a fronte di una produzione di latte stabile;
questo apparente controsenso si giustifica in quanto, contrariamente a quanto accadeva in passato, quando le quote erano interamente utilizzate, vari Stati membri non esauriscono più la quota che è stata loro attribuita e per tale motivo, il periodo 2006-2007 è stato caratterizzato da una netta sottoutilizzazione delle quote, dell'ordine di 1,9 milioni di tonnellate, risultanti dalla differenza tra le 800.000 tonnellate prodotte in eccesso alla quota, principalmente in Italia e in Austria, e i 2,7 milioni di tonnellate sottoutilizzate rispetto alla quota, in particolare in Francia, Regno Unito e Ungheria;
è il caso di evidenziare che se si fosse applicato in ambito comunitario il meccanismo della compensazione di fine periodo tra quote non prodotte e quote superate, che si adotta all'interno degli Stati membri, l'Italia non avrebbe avuto, per gli ultimi tre periodi produttivi, alcuna imputazione di superprelievo;
in base all'analisi della Commissione, tra il 2007 e il 2014 sarà necessario un quantitativo supplementare di circa 8 milioni di tonnellate per far fronte alla crescita della domanda interna, in particolare di formaggi. Le prospettive sono positive anche per il mercato mondiale, dove risulterebbe un aumento della domanda di prodotti alimentari europei in particolare in mercati emergenti;
il rapporto della Commissione evidenzia che il mercato è ampiamente in grado di assorbire un innalzamento delle quote del 2 per cento, ma l'impatto effettivo sulla produzione sarà probabilmente più limitato, vista la situazione attuale in cui vari Stati membri non utilizzano pienamente le quote nazionali;
secondo una relazione proposta da Assolatte, associazione delle industrie casearie italiane, il regime delle quote latte, sin dalla sua introduzione avvenuta nel 1984 per ridurre la sovrapproduzione di burro e di latte in polvere, per l'Italia (Paese non autosufficiente quanto a latte e derivati, che non ha mai partecipato alla formazione degli stock comunitari, ma che ha sempre dato il proprio contributo per lo smaltimento delle eccedenze) il sistema del contingentamento delle consegne del latte è stato oltremodo penalizzante e sperequativo;
sempre dalle analisi dell'associazione, risulta che un quarto di secolo di applicazione del regime, ha di fatto reso impossibile il miglioramento del livello di autosufficienza produttiva e con l'aumentare dei consumi interni e delle esportazioni nazionali, ha costretto le imprese italiane ad una crescente dipendenza dalle importazioni di materie prime, di semilavorati e di prodotti finiti;
dal 1983 al 2006, le importazioni di latte e crema di latte sono infatti passate
da 1,65 a 2,25 milioni di tonnellate (+36 per cento), quelle di formaggi da 254 a 430 mila tonnellate (+69 per cento), numeri che a giudizio di Assolatte non possono lasciare indifferenti e ben chiariscono i danni sopportati dal sistema produttivo italiano;
Assolatte evidenzia che il perdurare della carenza di materia prima ha comportato un aumento dei costi di produzione delle imprese di trasformazione, sia per il più elevato prezzo del latte italiano rispetto a quello degli altri Stati membri, sia per gli alti costi di trasporto di quello importato, il che ha danneggiato fortemente la competitività del sistema;
se tutto ciò ha danneggiato, almeno potenzialmente, parte importante dell'industria lattiera comunitaria, è evidente che per quella nazionale italiana il danno è stato effettivo e di gran lunga maggiore, dal momento che ad un quantitativo di riferimento di molto inferiore al fabbisogno si è venuto ad associare il fatto che oggi le imprese acquirenti non possono più contare sulle eccedenze altrui, essendo la carenza di latte un fatto generalizzato in tutta l'Europa;
le imprese italiane si trovano così a subire in modo drammatico una situazione nella quale i partner UE (ed in particolare i nostri abituali fornitori di materia prima, semilavorati e prodotti finiti) possono agevolmente condizionare il mercato italiano, privandole di materie prime indispensabili per mantenere i volumi produttivi attuali. In questo modo si viene a creare una grave distorsione di concorrenza;
come detto, il sistema delle quote è stato adottato per limitare le eccedenze di latte scremato in polvere e di burro, il corrispondente prelievo supplementare per disporre di risorse necessarie alla gestione e smaltimento degli stock;
come anche sottolineato dalla relazione della Commissione Ue, nelle ultime tre campagne lattiere la produzione di latte in Europa si è mantenuta sistematicamente al di sotto delle quote assegnate ai singoli Paesi. Nella campagna 2006-2007 la differenza tra le quote assegnate e la produzione europea reale (corretta per il tenore di grasso) ha raggiunto quasi due milioni di tonnellate. Anche la campagna in corso si chiuderà, probabilmente quanto paradossalmente, con una produzione europea inferiore alla quota complessiva dell'UE;
nonostante ciò, il nostro Paese continua ad essere gravato da un prelievo supplementare impressionante. Nei tre periodi considerati, infatti, le imprese agricole italiane si sono viste imputare complessivamente un prelievo di più di 500 milioni di euro. Mille miliardi di vecchie lire sottratti ad un Paese che non ha mai contribuito a creare eccedenze ed anzi, con le sue esportazioni extra UE e la produzione prevalente di prodotti caseari a denominazione di origine ne ha evitato, limitandolo, il progressivo incremento soprattutto in ambito comunitario. Mille miliardi di lire destinati a gestire eccedenze che ormai non esistono più. Risorse che invece sarebbero state di enorme utilità per un recupero di competitività del settore;
la relazione della Commissione UE sottolinea che l'ipotizzato incremento del 2 per cento delle quote indicato nell'ambito della riforma della PAC del 2003, è oggi pienamente giustificato. La Commissione auspica che il Consiglio e il Parlamento adottino rapidamente una decisione in modo che l'aumento delle quote possa applicarsi a partire dal 1o aprile 2008;
per tale scopo la stessa Commissione ha predisposto la proposta di regolamento, 12 dicembre 2007 COM(2007) 802 definitivo, 2007/0281 (CNS), che prevede un aumento lineare del 2 per cento dei quantitativi di riferimento per tutti gli Stati membri;
un aumento progressivo delle quote potrebbe in realtà rappresentare un'opportunità interessante, ma solo se gli aumenti non fossero lineari, bensì rapportati al tasso di auto-approvvigionamento dei
singoli Paesi. Aumenti lineari generalizzati potrebbero invece peggiorare ulteriormente la competitività del sistema Italia, favorendo chi già detiene quote ampiamente superiori al fabbisogno. Un incremento modesto non permetterebbe neanche di coprire il latte fuori quota attualmente prodotto in Italia (che lo scorso anno ha sfiorato 620.000 tonnellate, pari a oltre il 6 per cento della quota);
durante l'ultima riunione del Consiglio dei Ministri agricoli lo scorso 26 settembre, la Polonia ha chiesto un aumento del 5 per cento delle quote assegnate. La proposta ha trovato l'appoggio anche della delegazione italiana;
sulla base delle considerazioni sopra esposte, sarebbe auspicabile, come anche Assolatte valuta favorevolmente, che per il sistema Italia occorrerebbe, da subito, un congruo aumento di quota, dal momento che nell'ultimo periodo il solo splafonamento delle consegne è stato superiore al 6 per cento della quota disponibile;
occorre che l'Italia proponga strumenti alternativi a quelli in discussione in sede comunitaria. Se, infatti, non si ipotizzano aumenti superiori sia al 2 per cento proposto dalla Commissione, sia al 5 per cento ipotizzato in sede di Consiglio, l'attuale produzione italiana può trovare legittimazione solo con misure diverse dall'aumento lineare;
tali alternative potrebbero concernere:
1) una modulazione dell'aumento complessivo comunitario che tenga conto dei tassi di autoapprovvigionamento e dei livelli di produzione attuali (o comunque di un periodo di riferimento recente);
2) l'introduzione immediata della compensazione a livello comunitario;
3) l'introduzione immediata dell'affitto di quota intracomunitario;
4) l'azzeramento del superprelievo per la campagna in corso;
per indirizzare la discussione a Bruxelles su tali alternative, occorre evidenziare con forza i danni che il settore lattiero-caseario italiano ha subito per effetto della mancata previsione della compensazione comunitaria e dell'acquisto/affitto intracomunitario;
l'Italia ed i consumatori italiani hanno continuato sistematicamente a pagare un prezzo spropositato per produrre e consumare il latte di cui hanno bisogno. In pratica l'Italia ha «affittato» quote anno dopo anno senza mai averne la disponibilità reale; non potendole però affittare dagli altri Paesi (ad un equo valore di mercato) ha pagato un canone spropositato (il superprelievo) direttamente alle casse dell'Unione europea, che ha continuato ad erogare multe al nostro Paese anche a causa della mancanza della compensazione comunitaria ed altresì quando la quota complessiva UE non veniva più raggiunta;
per la campagna in corso, in particolare, è quindi indispensabile procedere contemporaneamente su tre livelli. Bisogna infatti:
1) chiedere strumenti correttivi immediati (compensazione/affitto intra UE o azzeramento del superprelievo), che evitino alle imprese agricole di versare il prelievo supplementare qualora, come è assai probabile, anche per il periodo in corso la produzione europea sarà inferiore alle quote complessivamente distribuite nell'UE;
2) eliminare la rettifica relativa al tenore di materia grassa, che continua ad ostacolare il miglioramento qualitativo del latte pur in assenza di eccedenze di burro;
3) articolare per le successive campagne una modulazione degli incrementi nazionali di quota finalizzati ad attribuire maggiori quote a quei Paesi che, senza creare eccedenze di prodotti finiti, hanno prodotto latte oltre la quota assegnata, in ossequio ai nuovi principi della PAC, orientati a non ostacolare le leggi di
mercato (domanda e offerta) e ad orientare la produzione agricola in funzione della domanda;
4) giungere al 2015 con nuove forme di organizzazione del mercato, che liberalizzino la produzione di latte, ma che prevedano al contempo, per particolari produzioni, specifiche misure di orientamento produttivo decise a livello nazionale,
impegna il Governo
a tenere conto delle valutazioni, delle indicazioni e delle richieste evidenziate in premessa, in particolare dell'insieme degli 8 punti e della corrispondente posizione di Assolatte, ed in tale ambito a sostenerne l'approvazione nelle competenti sedi decisionali comunitarie, segnatamente in sede di Consiglio dei Ministri per l'agricoltura al momento di discutere dell'adozione della proposta di regolamento del 12 dicembre 2007 della Commissione, COM (2007) 802 definitivo, 2007/0281 (CNS), recante modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM) con riguardo alle quote nazionali per il latte.
(7-00320) «Lion».