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Allegato A
Seduta n. 34 del 31/7/2006
DISEGNO DI LEGGE: S. 741 - CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 4 LUGLIO 2006, N. 223, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER IL RILANCIO ECONOMICO E SOCIALE, PER IL CONTENIMENTO E LA RAZIONALIZZAZIONE DELLA SPESA PUBBLICA, NONCHÈ INTERVENTI IN MATERIA DI ENTRATE E DI CONTRASTO ALL'EVASIONE FISCALE (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 1475)
(A.C. 1475 - Sezione 1)
QUESTIONI PREGIUDIZIALI
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame si compone di un numero assai elevato di articoli che affrontano ambiti eterogenei che vanno dalla disciplina delle professioni, a quella del commercio, alla tutela dei consumatori, alla lotta all'evasione fiscale, al contenimento della spesa pubblica, ai poteri dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ai servizi pubblici locali, alle politiche giovanili, alle politiche per la famiglia;
lo strumento del decreto-legge prescelto per introdurre interventi plurisettoriali appare decisamente in contrasto con l'articolo 77 della Costituzione, che pone a presupposto dell'adozione di decreti-legge «casi straordinari di necessità e d'urgenza». Il dettato costituzionale impone che il decreto-legge sia supportato dalla necessità di porre in essere interventi di immediata efficacia, non dilazionabili nel tempo, di carattere omogeneo e conformi al titolo, come ulteriormente precisato dalla legge 23 agosto 1988, n. 400;
l'atto di urgenza in esame non presenta nessuno dei requisiti sopra indicati: non è omogeneo nei suoi contenuti, come già sopra sottolineato, tanto che risulta difficile individuare un criterio unificante, né si limita a recare interventi di immediata applicazione, se si considera che molte delle disposizioni in esso contenute configurano correzioni destinate a dispiegare i propri effetti non solo nell'anno in corso, ma anche per il 2007 e il 2008; l'ispirazione che supporta il provvedimento va evidentemente oltre la logica che dovrebbe ispirare un decreto-legge, al punto che tra gli obiettivi che il Governo assegna al provvedimento in esame vi sono quelli di promuovere assetti di mercato maggiormente concorrenziali, favorire il rilancio dell'economia e persino la creazione di nuovi posti di lavoro;
alla luce delle considerazioni appena svolte può altresì avanzarsi il dubbio che il decreto-legge in oggetto intenda aggirare, sfruttando il canale preferenziale accordato ai provvedimenti d'urgenza, l'iter legislativamente previsto per le manovre di finanza pubblica che, come è noto, vengono impostate con il DPEF che fissa le linee dei successivi interventi correttivi, sulle quali il Parlamento si esprime mediante atto di indirizzo al Governo; con il ricorso al decreto-legge in esame il
Parlamento viene posto invece di fronte ad un atto d'urgenza che può solo avallare o respingere;
alcune delle disposizioni in materia fiscale ed in particolare quelle riguardanti il nuovo regime fiscale di esenzione IVA per tutte le cessioni e locazioni di fabbricati hanno effetti retroattivi contravvenendo perciò al generale principio vigente nel nostro ordinamento di irretroattività delle leggi, di cui all'articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale, ulteriormente specificato, per le disposizioni tributarie, dall'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, che reca lo statuto del contribuente;
le disposizioni contenute all'articolo 2, oltre a suscitare molte perplessità nel merito, comportando prevedibilmente un aumento delle tariffe dei professionisti, come dimostrato da esperienze straniere, sollevano seri dubbi di costituzionalità; si impone infatti agli ordini professionali un adeguamento pedissequo dei propri codici deontologici alle nuove disposizioni, con un'evidente lesione dell'autonomia degli ordini su un profilo assai rilevante come quello della deontologia professionale;
seppure il decreto-legge in esame viene, infine, sostenuto e propagandato dalla maggioranza come un provvedimento di liberalizzazione, esso contiene in realtà norme limitative della libertà d'impresa, in particolare per i professionisti ai quali vengono imposti nuovi adempimenti, come quello di aprire un conto corrente ad hoc per ricevere i compensi della propria opera,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1475.
n. 1. Maroni.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 2, comma 3, del decreto-legge in esame prevede che le disposizioni deontologiche e pattizie, e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l'adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1o gennaio 2007;
in caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data, le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono nulle;
la predetta disposizione è in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione e dunque con il principio di ragionevolezza che si desume dalla norma costituzionale. Invero, nel momento in cui lo stesso decreto-legge prevede la necessità di un adeguamento delle norme deontologiche in vigore finalizzato alla adozione di «misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali», riconosce implicitamente che le disposizioni di riforma delle regole di esercizio delle attività professionali, comportano il rischio che possano essere pregiudicate e compromesse le qualità delle prestazioni professionali. Si riconosce, cioè, in tutta evidenza, argomentando a contrario, che non vi sarebbe alcuna necessità di un adeguamento delle norme deontologiche allo scopo di assicurare quello che si riconosce essere un valore che si riflette sull'interesse pubblico e cioè «la qualità delle prestazioni rese dai professionisti»;
la norma in esame, dunque, pone in appena sei righi della sua formulazione una evidente contraddizione che confligge apertamente con il principio di ragionevolezza che si desume dall'articolo 3 della Costituzione;
ancora più stridente è la contraddizione ove si consideri che la medesima previsione dispone la sanzione della nullità delle norme deontologiche contrastanti con i principi di cui all'articolo 2, comma 1, nell'ipotesi di mancato adeguamento di esse con l'adozione di quelle «misure» volte a garantire la qualità della prestazione;
la discrasia è insanabile e costituisce un paradosso giuridico. Infatti, considerando il caso (assolutamente possibile in termini fattuali, stante la brevità del termine del 1o gennaio 2007 e la complessità della materia) che non vi fosse l'adozione delle «misure » di cui si è detto, le norme deontologiche sarebbero comunque nulle e applicandosi per converso le norme della riforma (libertà di tariffe e pubblicità «a go go»), si concretizzerebbe quello che lo stesso decreto-legge paventa e cioè il rischio che le norme delle riforme mettano a repentaglio la qualità delle prestazioni professionali. Sotto altro profilo riverbera la incostituzionalità della norma per violazione sia del principio di ragionevolezza che per violazione dei presupposti di necessità ed urgenza (che in altre parti del decreto risultano violate);
invero la previsione del termine del 1o gennaio 2007 dimostra con indiscutibile chiarezza l'inesistenza del presupposto dell'urgenza che è necessario per l'adozione dei decreti-legge; ciò precisato, il presupposto dell'urgenza per l'adozione delle disposizioni in materia di professioni, ma il ragionamento vale anche per quelle sui taxi e sulla farmacie, risulta carente anche per le seguenti ulteriori considerazioni:
1) le norme non influiscono direttamente con le finalità di contenere i livelli di spesa pubblica che costituiscono il presupposto e la stessa ratio del provvedimento legislativo;
2) esse non hanno attinenza alle finalità di lotta all'evasione fiscale (ulteriore presupposto del decreto-legge);
3) gli interventi, secondo i principi enunciati nel decreto-legge, sulla libertà dei servizi e sulla libertà di scelta dei consumatori, dovrebbero essere di tipo strutturale e non congiunturale od occasionale;
lo stesso richiamo ai principi comunitari in materia di concorrenza, operato dall'articolo 2, comma 1, del decreto-legge in esame, non sembra del tutto conferente, in particolare per quanto concerne le regole destinate alle professioni e a quella forense in particolare. Si consideri, infatti che:
a) ai sensi dell'articolo 2, comma 3, della Direttiva 2005/36/CE, la regolamentazione delle professioni legali è tuttora dettata dalle direttive di settore e non dalla normativa generale in materia di professioni;
b) il Parlamento europeo ha approvato, in data 23 marzo 2006, una risoluzione nella quale ha invitato la Commissione «a non applicare le norme sulla concorrenza dell'Unione europea in materie che, nel quadro costituzionale dell'UE, sono lasciate alla competenza degli Stati membri, quali l'accesso alla giustizia, che include questioni quali le tabelle degli onorari che i tribunali applicano per pagare gli onorari agli avvocati»;
c) la stessa Corte di giustizia ha riconosciuto l'indipendenza, l'assenza di conflitti di interesse e il segreto/confidenzialità professionale quali valori fondamentali nella professione legale che rappresentano considerazioni di pubblico interesse;
d) sempre la Corte di giustizia ha rilevato la necessità di regolamenti a protezione di questi valori fondamentali per l'esercizio corretto della professione legale, nonostante gli inerenti effetti restrittivi sulla concorrenza che ne potrebbero risultare;
e) gli obblighi dei professionisti legali di mantenere l'indipendenza, evitare conflitti di interesse e rispettare la riservatezza del cliente sono messi particolarmente in pericolo qualora siano autorizzati ad esercitare la professione in organizzazioni che consentono a persone che non sono professionisti legali di esercitare o condividere il controllo dell'andamento dell'organizzazione mediante investimenti di capitale o altro, oppure nel caso di partenariati multidisciplinari con professionisti che non sono vincolati da obblighi professionali equivalenti;
f) la concorrenza dei prezzi non regolamentata tra i professionisti legali, che conduce a una riduzione della qualità del servizio prestato, va a detrimento dei consumatori;
g) l'importanza di una condotta etica, del mantenimento della confidenzialità con i clienti e di un alto livello di conoscenza specialistica necessita l'organizzazione di sistemi di autoregolamentazione, quali quelli oggi governati da organismi e ordini della professione legale;
in conclusione l'intervento normativo non risulta dettato nemmeno dall'urgente esigenza di un adeguamento al diritto comunitario,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1475.
n. 2. Lo Presti, Leo, Amoruso, Ciccioli, Menia, Giorgio Conte, Alberto Giorgetti, Bongiorno, Urso, Frassinetti, Saglia, Cosenza, Antonio Pepe, Murgia, Gamba, Lamorte, Raisi, Bellotti, Alemanno, Minasso, Gasparri, Foti.
La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in esame, come modificato dal Senato, rappresenta una chiara violazione dell'articolo 77 della Costituzione in materia di decretazione di urgenza in quanto contiene un insieme molto ampio e complesso di norme eterogenee di cui molte non hanno la caratteristica di straordinaria necessità e urgenza prevista dalla Costituzione come requisito indispensabile per l'emanazione di decreti-legge;
una parte notevole delle norme contenute nel decreto-legge costituiscono vere e proprie riforme in vari settori che, come tali, dovevano essere adottate con lo strumento del disegno di legge al fine di consentire un adeguato coinvolgimento del Parlamento nella definizione e approvazione di norme così importanti per la vita economica e sociale del Paese;
particolari profili di incostituzionalità e illegittimità sono contenuti nell'articolo 2 del decreto-legge che reca disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali. Per questa norma in particolare è evidente la mancanza dei requisiti di necessità e urgenza previsti, sia dall'articolo 77 della Costituzione, sia dall'articolo 15, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in quanto non era assolutamente urgente: eliminare le tariffe minime dell'attività libero-professionale ed eliminare il divieto di pubblicità per i professionisti e il divieto di fornire all'utenza servizi professionali interdisciplinari da parte di società o associazioni tra professionisti;
risulta, in particolare, violato dal citato articolo 2 del decreto-legge quanto previsto dal comma 3 dell'articolo 15 della legge n. 400 del 1988 che stabilisce che i decreti-legge «devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» mentre le disposizioni previste al comma 3 dell'articolo 2 hanno efficacia a partire dal 1o gennaio 2007. Sempre il medesimo articolo viola il principio dell'autonomia deontologica delle professioni imponendo una revisione delle disposizioni deontologiche e pattizie in linea con quanto previsto dall'articolo stesso. Inoltre c'è da rilevare che la intromissione attuata dall'articolo 2 nella definizione dei codici deontologici delle libere professioni viola il quarto comma dell'articolo 118 della Costituzione che estende l'applicazione del principio di sussidiarietà ai cittadini singoli od associati e quindi anche agli ordini professionali;
l'articolo 2 del decreto-legge, inoltre, esclude dalla propria applicazione le disposizioni riguardanti l'esercizio delle professioni rese nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, evidentemente per salvaguardare in modo più ampio il diritto alla salute dei cittadini, ma l'aver omesso tale
esclusione per la professione forense ingenera il forte dubbio della violazione dell'articolo 3 (per disparità di trattamento) e dell'articolo 24 (per lesione del diritto di difesa) della Costituzione;
il decreto-legge in esame, come rilevato anche dal Comitato per la legislazione, presenta i seguenti aspetti problematici:
a) interviene, in numerosi casi, su disposizioni entrate in vigore in tempi recentissimi, circostanza che costituisce una modalità di produzione normativa non certamente conforme alle esigenze di semplificazione e di riordino della normativa vigente;
b) contiene disposizioni che operano modifiche, dirette o indirette, di norme contenute in fonti di rango secondario (ad esempio l'articolo 11, comma 3; tale circostanza si pone in contrasto con le esigenze di coerente utilizzo delle fonti normative indicate dalle identiche circolari del 20 aprile 2001 dei Presidenti di Camera e Senato e del Presidente del Consiglio dei Ministri);
c) reca disposizioni che contengono richiami normativi effettuati in forma generica per i quali sarebbe stato necessario specificare la normativa oggetto del rinvio;
d) utilizza la tecnica della novellazione in numerose forme in modo non conforme a quanto previsto dalle citate circolari dei Presidenti dei due rami del Parlamento e del Presidente del Consiglio dei Ministri;
i commi 1 e 2 dell'articolo 19 del decreto in esame non sono in linea con la Costituzione in quanto (come è evidenziato dal parere della I Commissione) istituiscono, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo per le politiche della Famiglia e il Fondo per le Politiche Giovanili, che hanno contenuto analogo a quello dell'articolo 1, comma 153, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, (Finanziaria 2005) istitutivo di un fondo speciale per la promozione delle politiche giovanili, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 118 del 2006, perché diretto a destinare risorse, in modo vincolato, in una materia non riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato;
il riferimento contenuto nell'articolo 3 del decreto-legge in esame alle lettere e) ed m) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione e cioè «a competenze legislative esclusive dello Stato» rappresenta una evidente e grave forzatura in quanto il citato articolo del provvedimento contiene disposizioni che riguardano la materia del commercio che è di competenza esclusiva delle Regioni;
l'articolo 28, comma 1 del decreto-legge in esame, nell'estendere anche al personale delle Regioni e degli enti locali la riduzione del 20 per cento delle diarie per le missioni all'estero viola con tutta evidenza la competenza legislativa regionale;
il decreto-legge incide in modo pesante, punitivo e disorganico in vari settori economici quali: le libere professioni, la distribuzione commerciale, la panificazione, la distribuzione dei farmaci, il servizio taxi, le assicurazioni RC auto, le condizioni contrattuali dei conti correnti bancari, nonché, in materia dei poteri dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in modo tale da generare difficoltà applicative e confusione normativa e da rendere difficile l'attività di molti operatori economici senza peraltro produrre un significativo vantaggio per gli utenti e i cittadini in genere;
il decreto-legge introduce misure in materia fiscale di natura inutilmente vessatoria nei confronti degli operatori economici e dei cittadini contribuenti, tali comunque, da comportare un inasprimento sensibile della pressione fiscale e
quindi tali da indebolire la ripresa economica avviata grazie alle politiche del Governo Berlusconi,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1475.
n. 3. Elio Vito, Bruno, La Loggia.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 77, secondo comma, della Costituzione autorizza il Governo a fare ricorso allo strumento del decreto-legge solo in presenza dei requisiti di necessità e urgenza;
secondo una interpretazione frequente del disposto costituzionale, il requisito della «necessità» va valutato non alla stregua della mera opportunità politica, bensì deve essere «elemento di qualificazione delle fattispecie regolate», e quello dell'urgenza implica la immediata applicabilità del decreto in tutte le sue disposizioni;
secondo ampia interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, attesa la natura «provvisoria» del decreto sino alla sua conversione, esso non deve contenere norme con effetti comunque irreversibili;
il decreto-legge in esame è privo dei requisiti sopra esposti con particolare riferimento all'articolo 2;
le materie disciplinate dal predetto articolo 2 sono oggetto di discussione da diversi anni, immaginano un disegno complessivo di riforma di lungo respiro, e, quindi, sono evidentemente carenti riguardo alla sussistenza del requisito della «necessità»;
alcune disposizioni fissano al 1o gennaio 2007 il termine per adeguare le disposizioni in essere con quelle previste dal decreto e quindi è evidente che dette misure, non trovando immediata applicazione, non soddisfano i requisiti dell'urgenza;
con sentenza n. 29 del 1995, la Corte costituzionale ha sancito che «la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validità costituzionale dell'adozione del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell'ambito delle possibilità applicative costituzionalmente previste, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima, nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l'esistenza di presupposti di validità in realtà insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione»;
l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione fissa «le professioni» tra le materie di legislazione concorrente, e, quindi, con competenza statale solo per determinare principi generali e fondamentali per i quali non può certo usarsi lo strumento del decreto-legge;
il decreto è stato emanato in totale assenza di dialogo preventivo con le categorie interessate;
con nota del 18 novembre 2005, il Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dopo aver riconosciuto la peculiarità del servizio professionale, ha chiesto che la revisione deve avvenire a seguito di confronto con le categorie professionali nella convinzione che, nel nostro Paese, le esigenze di liberalizzazione del settore debbono essere condivise e fatte proprie dai professionisti prima ancora che dalle autorità di regolazione;
la scelta del decreto-legge, con i tempi ristretti per l'approvazione, sacrifica il contraddittorio parlamentare nel processo
legislativo oltre che quello col mondo delle libere professioni a scapito della democrazia;
il richiamo al diritto comunitario contrasta con la risoluzione approvata in data 23 marzo 2006 dal Parlamento europeo con la quale ha invitato la Commissione «a non applicare le norme sulla concorrenza dell'Unione europea in materie che, nel quadro costituzionale dell'UE, sono lasciate alla competenza degli Stati membri, quali l'accesso alla giustizia, che include questioni quali le tabelle degli onorari che i tribunali applicano per pagare gli onorari agli avvocati»;
la stessa Corte di giustizia ha ritenuto che effetti restrittivi derivanti dalla concorrenza non devono sacrificare valori fondamentali propri delle professioni legali;
il decreto contrasta con le richiamate disposizioni comunitarie;
l'articolo 35, contenente misure di contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale, introduce obblighi che violano la libera autodeterminazione in ordine alle scelte personali e patrimoniali del cittadino; fissa obblighi di pagamento e determina adempimenti (quali l'obbligo per il professionista di far transitare su conto corrente bancario tutti gli incassi) sicuramente vessatori, costosi per il professionista-contribuente e crea disparità tra cittadino e cittadino, sicuramente incostituzionali;
il decreto introduce modalità di controllo che violano le norme sulla libertà personale e sulla riservatezza che appaiono in contrasto con la Costituzione e che sono state anche criticate dall'Autorità garante per la protezione dei dati personali,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1475.
n. 4. Antonio Pepe, Alberto Giorgetti, Leo, Armani, Alemanno, Garnero Santanché, Taglialatela, Germontani, Pedrizzi, Salerno, Martinelli, Proietti Cosimi, Lamorte, Buontempo, Porcu, Raisi, Castellani, Saglia, Urso, Filipponio Tatarella, Buonfiglio.
La Camera,
premesso che:
l'articolo 35, comma 12, del decreto-legge in esame prevede l'obbligo per gli esercenti arti e professioni, anche in forma associata, di tenere uno o più conti correnti bancari o postali ai quali obbligatoriamente far affluire le operazioni connesse all'esercizio dell'attività;
lo stesso articolo 35, comma 12, fa obbligo ai contribuenti di riscuotere i compensi in denaro per l'esercizio di arti e professioni esclusivamente «mediante assegni non trasferibili o bonifici ovvero altre modalità di pagamento bancario o postale nonché mediante sistemi di pagamento elettronico, salvo per importi unitari inferiori a 100 euro»;
tali disposizioni appaiono discriminatorie sia nei confronti degli esercenti arti e professioni rispetto ad altri lavoratori, sia nei confronti dei cittadini che ad essi si rivolgono, essendo tenuti, diversamente da altri casi, ad effettuare il pagamento delle prestazioni loro rese esclusivamente secondo le modalità indicate;
tra l'altro, dette disposizioni si appalesano come limitative dell'attività professionale nella parte in cui impongono particolari modalità di «gestione» nello svolgimento di operazioni connesse con le prestazioni fornite, oltre che rivelarsi particolarmente rischiose per la riservatezza dei rapporti tra cittadini e professionisti che operano a tutela di interessi pubblici garantiti;
le norme richiamate, introdotte con la decretazione d'urgenza, risultano assunte in palese violazione delle disposizioni in materia di statuto del contribuente, di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212, che sono equiparabili al valore di
«principi generali dell'ordinamento tributario» in attuazione di precise norme costituzionali;
tali disposizioni appaiono, quindi, costituzionalmente illegittime per contrasto con gli articoli 3, 23, 33, 41, 53 e 97 della Costituzione,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1475.
n. 5. Contento, La Russa.
La Camera,
premesso che:
gli interventi previsti dal decreto-legge riguardano un complesso di materie, assolutamente eterogeneo;
le singole disposizioni del decreto non presentano i caratteri di straordinarietà, necessità ed urgenza che legittimano, ai sensi dell'articolo 77 della Costituzione, l'adozione di decreti-legge;
gli obiettivi politici del decreto nel suo insieme non sono di per sé idonei a configurare la sussistenza del necessario presupposto della straordinarietà, necessità ed urgenza degli interventi come appare evidente dal generico richiamo ad alcune disposizioni del Trattato istitutivo della Comunità europea (articoli 43, 49, 81, 82 e 86) consolidate da anni e che si pongono alla base di imponenti apparati normativi che coinvolgono settori differenti e complessi;
il provvedimento, il cui testo è significativamente cambiato nei contenuti e negli obiettivi con l'approvazione di un unico emendamento governativo su cui è stata posta dal Governo la questione di fiducia, contiene un vizio in procedendo derivato da un eccesso di potere legislativo del Governo in relazione agli articoli 71, 72 e 77 della Costituzione. Ad avviso dei presentatori, infatti, gli strumenti straordinari messi a disposizione del Governo in fase di decretazione d'urgenza e nell'esame parlamentare del disegno di legge di conversione sono stati utilizzati per fini ed effetti diversi in quanto, precludendo la discussione e la votazione del disegno di legge di conversione in tutte le sue parti, il Governo ha di fatto esercitato il potere legislativo riservato dalla Costituzione al Parlamento;
il provvedimento tratta alcune materie che in base alla clausola residuale dettata dall'articolo 117 comma 4 della Costituzione sono attribuite alla competenza esclusiva delle regioni (in particolare l'articolo 4 sull'attività di panificazione che costituisce attività di natura commerciale);
il decreto-legge contiene numerose disposizioni riconducibili ad ambiti materiali riferibili alla competenza legislativa concorrente delle regioni ai sensi del terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione, materie nelle quali allo Stato spetta esclusivamente individuare i principi fondamentali (professioni, delle grandi reti di trasporto);
il riferimento alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, per quanto si tratti di materia considerata «trasversale», sembra aprire ad una interpretazione eccessivamente estensiva della potestà legislativa dello Stato. Non sussistono, in effetti, gli estremi per accertare, tra le materie interessate dal decreto, una effettiva prevalenza di quelle affidate alla competenza legislativa statale;
con riferimento particolare alla materia delle professioni, riconducibile alla materia concorrente, l'ordinamento comunitario riconosce alcune specificità derivanti dalla tutela di interessi generali che condizionano l'applicazione delle regole sulla concorrenza, richiedendo specifiche valutazioni di proporzionalità nell'uso della regolazione, il decreto - invece - non tiene conto di questi aspetti e disattende il quarto comma dell'articolo 118 che, nel favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati, impone per lo svolgimento di attività di interesse generale,
l'applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale, mancando in questo contesto qualsivoglia considerazione degli ambiti di autonormazione categoriale dei professionisti;
il decreto prevede l'istituzione di fondi statali con vincolo di destinazione, finalizzati alla erogazione di finanziamenti in materie di competenza regionale;
la Corte costituzionale, intervenendo sul punto, ha precisato che sono costituzionalmente legittimi solamente gli interventi finanziari statali inerenti alle materie statali, mentre i finanziamenti in materie di competenza regionale, sia residuale che concorrente, comportano la illegittimità delle relative norme istitutive;
a parere della Corte, ove non si rispettasse anche in materia finanziaria il sistema di riparto di competenze delineato con riferimento alla potestà legislativa, il ricorso ad interventi statali in materie di competenza regionale rischierebbe di divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nonché di sovrapposizione di politiche e indirizzi determinati centralmente a quelli decisi dalle regioni negli ambiti di propria competenza (ex plurimis, sentenze n. 370 del 2003, n. 12, n. 16, n. 49, n. 308, n. 423 del 2004, n. 31, n. 51, n. 160 e n. 231 del 2005, 133/2006);
segnatamente l'articolo 19 del suddetto decreto, istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri: a) il Fondo per le politiche della famiglia, finalizzato alla realizzazione e promozione degli interventi per la tutela della stessa, in tutte le sue componenti e le sue problematiche generazionali, nonché al supporto dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia; b) il Fondo per le politiche giovanili, finalizzato alla promozione del diritto dei giovani alla formazione culturale e professionale, nonché all'inserimento nella vita sociale;
alla luce della giurisprudenza richiamata in materia di fondi settoriali relativamente a materie non rientranti nella competenza esclusiva dello Stato, sembrerebbe opportuno un approfondimento delle finalità del Fondo per la famiglia (per la parte non riguardante il finanziamento dell'Osservatorio nazionale) e di quello per le politiche giovanili;
la Corte ha affermato che il sistema di ripartizione delle risorse di cui all'articolo 117 della Costituzione «vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale, in linea generale si prevedano interventi finanziari statali seppur destinati a soggetti privati, poiché ciò equivarrebbe a riconoscere allo Stato potestà legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle rispettive competenze» (sentenza n. 320 del 2004);
la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di diverse norme che istituivano nuovi fondi statali vincolati, tra cui quelli di seguito elencati: il Fondo nazionale per il sostegno alle opere pubbliche delle Regioni e degli enti locali; il Fondo nazionale per la realizzazione di infrastrutture di interesse locale (sentenza n. 49/04); il Fondo per la riqualificazione urbana dei Comuni (sentenza n. 16/04); il Fondo per gli asili nido (sentenza n. 370/03); il Fondo di rotazione per il finanziamento dei datori di lavoro che realizzano servizi di asili nido o micro-nidi (sentenza n. 320/04), il Fondo finalizzato alla costituzione di garanzie sul rimborso di prestiti fiduciari in favore di studenti capaci e meritevoli (sentenza n. 308/04); i Fondi interprofessionali per la formazione continua (sentenza n. 51/2005); il Fondo per la nautica da diporto (sentenza n. 107/2005); il Fondo per il trasporto locale (sentenza n. 222/2005); il Fondo per l'incentivazione della partecipazione dei lavoratori nelle imprese (sentenza n. 231/05);
le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 19 appaiono avere contenuto analogo a quello dell'articolo 1, comma 153 della legge n. 311 del 2004 (Legge finanziaria 2005), istitutivo di un Fondo speciale per la promozione delle politiche giovanili, dichiarato costituzionalmente
illegittimo dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 118 del 2006, in quanto volto a destinare risorse, in modo vincolato in una materia non riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato;
anche gli aspetti critici sollevati dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome ineriscono a funzioni regionali, per cui si ribadisce la necessità di una piena collaborazione fra Stato e Regioni affinché questi temi siano risolti in sede di confronto istituzionale e sia in tal modo consentito alle Regioni di esercitare al meglio il proprio ruolo. In relazione all'articolo 19 relativo alla istituzione dei Fondi per le politiche della famiglia, per le politiche giovanili e per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, si richiede al Governo, alla luce delle ripetute sentenze della Corte costituzionale, l'inserimento di una procedura concertativi con le Regioni e gli enti locali, presso la Conferenza unificata,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1475.
n. 6. D'Alia, Volontè, Giovanardi, Riccardo Conti.
La Camera,
premesso che:
in via del tutto preliminare, il ricorso allo strumento del decreto-legge, prescelto per l'adozione di un complesso di misure destinate a perseguire obiettivi complessivi di riforma e di razionalizzazione del sistema economico, appare irresponsabile alla luce del paradigma fissato dall'articolo 77 della Costituzione, laddove l'adozione da parte del Governo di atti con forza di legge in assenza di delegazione legislativa è subordinata (oltre che alla condizione della straordinarietà e al requisito della necessità) al requisito dell'urgenza;
analogo dubbio si deve registrare in ordine al rispetto della normativa di attuazione dell'articolo 77 della Costituzione, essa pure paradigma del potere di decretazione legislativa d'urgenza del Governo;
il decreto-legge in esame, non sembra corrispondere a nessuno dei requisiti sopra menzionati, ove essi vengano interpretati in modo rigoroso. Il decreto, infatti, interviene sull'ordinamento delle professioni su aspetti puntuali, ma prefigurando un disegno complessivo di riforma orientato al perseguimento di obiettivi di lungo periodo, quali il rafforzamento della libertà di scelta degli utenti dei servizi professionali, la liberalizzazione delle attività professionali e la promozione, anche in questo campo, di assetti di mercato maggiormente concorrenziali;
in particolare, l'articolo 13 del suddetto decreto-legge, nel dettare nuove norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali, introduce una disciplina con cui di fatto si esautora quasi completamente l'autonomia auto-organizzativa degli enti locali, ponendo dei limiti alle società in house non previsti dal diritto comunitario e contenenti profili di eccessiva rigidità, e si impone l'obbligo di cedere le attività non consentite entro un anno o di costituire apposite società da dimettere secondo regole di trasparenza;
dall'applicazione della predetta disposizione, che riguarda le società miste e quelle a partecipazione pubblica totalitaria (cosiddetta società in house) costituite dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti e, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, sono escluse le società istituite per la gestione di servizi pubblici, nonché quelle statali;
l'articolo 13 del decreto-legge in esame presenta profili di indubbia incostituzionalità, dal momento che le disposizioni contenute al suo interno violano
alcuni principi stabiliti dalla Corte costituzionale (si vedano le decisioni n. 407 del 2002; nn. 14 e 272 del 2004, n. 29 del 2006), che ha inteso ancorare l'intervento statale in materia di concorrenza ai criteri di «proporzionalità» ed «adeguatezza», limitandolo alla sola emanazione di norme «cornice» o «quadro»;
con le richiamate pronunce, la Consulta ha stabilito altresì che «il criterio della proporzionalità e dell'adeguatezza appare essenziale per definire l'ambito di operatività della competenza legislativa statale attinente alla tutela della concorrenza e conseguentemente la legittimità dei relativi interventi statali», ma anche che «l'estremo dettaglio nell'indicazione di questi criteri pone in essere una illegittima compressione dell'autonomia regionale, poiché risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all'obiettivo della tutela della concorrenza»;
alla luce di quanto da ultimo premesso, appare evidente la assoluta illegittimità del suddetto articolo 13, il quale, con l'aggravante di un intervento eseguito nelle forme della decretazione d'urgenza, introduce norme puntuali ed estremamente dettagliate (ad esempio, cessione in dodici mesi, modalità specifiche della cessione, divieto di partecipazione a società o enti; oggetto sociale esclusivo), che pongono, al dichiarato fine di tutelare la concorrenza, regole ancor più rigide di quelle imposte in sede comunitaria, con ciò violando il principio di proporzionalità ed adeguatezza e comprimendo irragionevolmente l'autonomia organizzativa degli enti, in contrasto con l'articolo 97 della Costituzione;
a tale riguardo, occorre ricordare come l'organizzazione degli enti locali ricada sotto l'egida del principio di autonomia statutaria costituzionalmente garantito dall'articolo 114, secondo comma («I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione»), il che rende illegittima qualsiasi compressione di tale autonomia che non potrebbe essere vulnerata neppure da una legge regionale che imponga, ad esempio, esternalizzazioni coattive;
il cosiddetto «principio di leale collaborazione», più volte richiamato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, è stato violato giacché, in sede di elaborazione e redazione dell'articolo 13 del decreto in esame, le Regioni non sono state mai coinvolte, così come neanche i livelli locali di governo;
l'articolo 13 del decreto-legge in esame, nello stabilire che le società in esame «devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti», si pone in contrasto con la consolidata giurisprudenza comunitaria - in base alle quali non vi sono preclusioni di principio neppure nei confronti del sistema delle holding pubbliche - che ha sottolineato come «ben può essere coerente con il diritto comunitario della concorrenza la presenza di una holding, partecipata dal Comune, che si ponga quale tramite rispetto alla società cui l'Ente locale affidi dei servizi» (si veda da ultimo la sentenza della Corte europea di giustizia, Sez. I, dell'11 maggio 2006, n. C-340/04);
la limitazione dell'intervento normativo, da un lato, ai soli appalti (e non anche ai servizi pubblici locali) e, dall'altro, alle società regionali e locali (e non anche statali) desta talune perplessità in quanto il proliferare di società miste e in house si è avuto:
a) non solo a livello locale, ma anche a livello statale (Sviluppo Italia e tutte le sue controllate; Patrimonio, Infrastrutture S.p.A., Arcus, eccetera);
b) non solo nel settore degli appalti, ma anche e soprattutto nel settore dei servizi pubblici locali (occupato per una quota superiore al 95 per cento da società pubbliche, specie miste);
il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell'articolo 13 del decreto-legge in esame, nello statuire, rispettivamente, che
le società pubbliche o miste «non possono partecipare a società od enti» e che «le predette società sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1», danneggia l'autonomia auto-organizzativa degli enti e quella gestionale delle società, le quali possono avere esigenze di separare organizzativamente attività serventi rispetto al proprio oggetto sociale;
il comma 3 del citato articolo 13, nell'imporre alle società l'obbligo di far cessare le attività non consentite (e, dunque, anche quelle attualmente in essere), determina inevitabilmente una «corsa alla vendita» e con essa non certo una valorizzazione di tali assets, bensì, senz'altro, una sensibile diminuzione del valore di tali società,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1475.
n. 7. Moffa, Siliquini, Mazzocchi, Bellotti, Bono, Gamba, Airaghi, Ronchi, Zacchera, Migliori, Benedetti Valentini, Ciccioli, Frassinetti, Holzmann, Angela Napoli, Perina, Rositani, Amoruso, Bongiorno, Foti.