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Allegato B
Seduta n. 64 del 7/11/2006
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazioni a risposta scritta:
BONELLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei trasporti, al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
nel corso della puntata di Report di domenica 22 ottobre 2006, presentata da Milena Gabanelli e realizzata da Giovanna Boursier è stato evidenziato come le più grandi aziende pubbliche italiane come l'Enel, le Poste Italiane, l'Anas, le Ferrovie dello Stato e l'Alitalia, vantino nei loro consigli d'amministrazione un numero di manager assai elevato. Come ha sottolineato nel corso della trasmissione l'ex ministro Treu, sono oltre 800 le ex municipalizzate, più o meno trasformate, alle quali corrispondono un numero di amministratori sorprendentemente alto, in particolare considerando anche le società controllate. Si tratta di poltrone spesso riservate, secondo Treu, a: «politici da sistemare oppure comunque persone amiche..., spesso non competenti». I costi, anche finanziari, di questi consigli di amministrazione sono elevatissimi;
assai grave, come sottolinea il ministro per le infrastrutture appare il caso dell'Anas: l'ente «ha cercato di moltiplicare pane e pesci per ... venire incontro alle persone politiche per fare le opere [promesse dal Governo Berlusconi] non avendo i soldi, ha dato anticipi in relazione a opere non coperte completamente». Il consiglio di amministrazione di Anas a luglio si è dimesso. Di Pietro afferma che il buco finanziario è di 5 miliardi di euro sul quale graverebbero, tra l'altro, grosse consulenze e buonuscite vertiginose per i manager;
secondo la testimonianza di Mario Virano, Consigliere Anas fino al 2006, il Governo Berlusconi avrebbe innescata una vera e propria bomba a orologeria spingendo investimenti e impedendone la realizzazione con la legge finanziaria;
i costi della nuova direzione dell'Anas voluta da Lunardi risultarono peraltro assai elevati. Secondo la ricostruzione fatta da Report, Lunardi mandò a casa in fretta il vecchio consiglio, compreso l'ex presidente D'Angiolino, riconfermato sempre dai passati 9 ministri (da contratto avrebbe dovuto restare altri 4 anni), in cambio di una buonuscita o risarcimento: 2 miliardi e 800 milioni per il presidente, 650 milioni per ogni consigliere, in totale sono quasi 6 miliardi di lire per un totale di 5 miliardi e mezzo di lire; in questo contesto, nel corso della trasmissione si è evidenziato il caso della Rocksoil società della famiglia Lunardi specializzata in costruzioni di gallerie, che è stata oggetto di varie interpellanze parlamentari sul potenziale conflitto di interessi tra chi decide le opere e chi le fa;
nel controverso scenario descritto e mentre l'Anas perdeva 496 milioni, gli stipendi annui dei consiglieri passarono da 350 milioni di lire a 400 mila euro;
ai costi di amministrazione dell'Anas occorre aggiungere quelli delle società nelle quali l'Anas partecipa in quota, come la società del Ponte che ha un Consiglio di Amministrazione di undici persone e la Quadrilatero Marche Spa;
tra queste un discorso a parte merita Sviluppo Italia un agenzia governativa per lo sviluppo per il Mezzogiorno. Ha nove consiglieri ma se si aggiungono le controllate diventano 176. Doveva attrarre investimenti dall'estero e razionalizzare lo sviluppo al Sud. Una sorta di nuova cassa per il mezzogiorno che mette insieme sei società pubbliche con una dote di porti, villaggi turistici, immobili e un capitale di 2000 miliardi di lire e circa 800 dipendenti. Fino ad oggi Sviluppo Italia ha speso 6 miliardi di euro, ha 1600 addetti e 118 società, di cui anche 86 partecipazioni in
imprese private, ad esempio Raphael, azienda alberghiera di cui è socio anche il governatore siciliano Cuffaro, Frame società napoletana che fa servizi televisivi, ITC e Sistex, impresa che opera in ambito informatico e dei servizi, in fallimento;
secondo quanto rilevato da Report «dentro a Sviluppo Italia c'è un ordine»: una disposizione organizzativa che vieta a ogni manager e, salvo l'Amministratore Delegato, anche ai consiglieri di rilasciare dichiarazioni in merito all'operato dell'azienda;
Massimo Caputi, Amm. Delegato Sviluppo Italia fino maggio 2005 nominato su proposta di Giulio Tremonti ammette che anziché raccogliere capitali, sviluppo Italia ha avuto durante il Governo Berlusconi un ruolo di gestione diffuso a molteplici e disparati ambiti economici «per salvare le aziende in crisi». È il caso della Cit la più grande azienda di stato per il turismo. Alla fine degli anni 90 si comincia a privatizzare e la Cit vende una parte di agenzie di viaggio a Callisto Tanzi e poi a Gian Vittorio Gandolfi. Dopo un paio d'anni Presidente e Amministratore Delegato di Cit diventa Ubaldo Livolsi. Tra i consiglieri anche Carlo Bernasconi, Presidente della Medusa film, la casa di produzione della Fininvest. Nel 2003 la quotano in borsa, al mercato ristretto. Nonostante il fiume di contributi pubblici la Cit è piena di debiti. I bilanci 2003 e 2004 non vengono certificati e nel 2005 la Consob impugna il bilancio 2003 firmato da Livolsi e sospende il titolo. La procura di Milano apre un'inchiesta e anche la procura di Varese sta indagando per truffa aggravata ai danni dello Stato. Una delle agenzie di viaggio Cit è a Roma, nel Ministero degli Esteri e altre presso altre istituzioni. Il buco finanziario è di 600 milioni di euro circa. Alla fine il Governo Berlusconi ci ha messo un commissario, l'avvocato Abrignani che è anche consigliere di Sviluppo Italia;
secondo Caputi il vizio vero di Sviluppo Italia è quello di avere cinque diversi azionisti politici: «Non si è mai vista un'agenzia di sviluppo che risponde alla Presidenza Consiglio, al Ministero dell'Agricoltura, a tre branche del Ministero dell'Economia, al Ministero delle Attività Produttive e non so chi altro»;
Sviluppo Italia controlla anche 17 società regionali, dal Piemonte alla Sicilia, e undici di scopo. Dalla banda larga a chi fa fondi d'investimento o autostrade. È artefice di nuove società di scopo che hanno prodotto risultati a dir poco deludenti: ad esempio «Italia navigando» che doveva costruire e collegare in rete i porti turistici italiani per aumentare il turismo nelle zone dove mancano i porti. Ha 16 controllate e 12 collegate, 6 milioni di euro investiti. «Italia turismo» che doveva promuovere il turismo al sud. Anche questa è in perdita nonostante le molteplici dismissioni: ha immobili e villaggi e nel 2005 ha venduto il 49 per cento del suo patrimonio immobiliare per 75 milioni di euro e nel gruppo sono entrati Marcegaglia, Ifil e Banca Intesa con contratti garantiti da delibere Cipe per 132 milioni di euro. Amministratore Delegato di «Italia turismo» è Sergio Iasi, che è anche nel CDA di un'altra controllata, «Italia evolution» -:
se le informazioni divulgate nel corso della trasmissione riguardanti i compensi degli amministratori delle società citate corrispondano ai dati in possesso del Governo e, in particolare, quale sia l'entità effettiva degli emolumenti erogati per indennità e buonuscita ai suddetti;
se non si valuti improprio l'uso fatto di Sviluppo Italia e di molte controllate nel corso degli ultimi anni e, in particolare, se non si stimi ingiustificabile l'acquisizione di aziende in grave crisi;
quali strategie intenda perseguire l'attuale Governo attraverso Sviluppo Italia e le sue controllate e quali misure si intendano prendere per ridefinire e circoscrivere le missioni di dette società;
se non si reputi necessaria una maggior trasparenza di Sviluppo Italia e delle sue controllate e quali provvedimenti si intendano adottare a tal fine;
quali strumenti si intendano adottare per arginare il dilagare di retribuzioni elevatissime che non sembrano aver alcuna contropartita in termini di pubblica utilità.
(4-01517)
BONELLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei trasporti, al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
nel corso della puntata di Report di domenica 22 ottobre 2006, presentata da Milena Gabanelli e realizzata da Giovanna Boursier è stato evidenziato come le più grandi aziende pubbliche italiane come l'Enel, le Poste Italiane, l'Anas, le Ferrovie dello Stato e l'Alitalia, vantino nei loro consigli d'amministrazione un numero di manager assai elevato. Come ha sottolineato nel corso della trasmissione l'ex ministro Treu, sono oltre 800 le ex municipalizzate, più o meno trasformate, alle quali corrispondono un numero di amministratori sorprendentemente alto, in particolare considerando anche le società controllate. Si tratta di poltrone spesso riservate, secondo Treu, a: «politici da sistemare oppure comunque persone amiche..., spesso non competenti». I costi, anche finanziari, di questi consigli di amministrazione sono elevatissimi;
particolarmente spinoso è, come è noto, il caso Alitalia. L'amministratore Giancarlo Cimoli se ne andò da Ferrovie nel 2004 con una buonuscita di 6,7 milioni di euro. Lunardi lo mandò a «risanare» Alitalia: aveva previsto che il 2006 sarebbe stato l'anno del pareggio invece, dopo 2 anni dal suo arrivo, Alitalia è sull'orlo del fallimento; la semestrale di quest'anno parla di 221 milioni di passivo, le previsioni a fine anno sembrerebbero 350 milioni di passivo, negli ultimi 2 anni oltre 3 mila lavoratori hanno lasciato l'azienda, è stato applicato un piano di mobilità molto pesante, attualmente i lavoratori fanno cassa integrazione, i contratti sono bloccati da anni. Ad oggi Alitalia ha 17 mila dipendenti, in cassa integrazione a rotazione;
il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha affermato che Alitalia vive il momento più delicato della sua storia e che la situazione è completamente fuori controllo;
secondo i rappresentanti dei sindacati e gli altri interessati intervenuti nel corso della trasmissione Report anche nel caso Alitalia le cause del tracollo sono da imputare ad un mancato risanamento industriale, al prevalere di ottiche meramente finanziarie di scarso respiro e all'incompetenza degli amministratori, nonostante le retribuzioni vertiginose degli stessi;
nel 2005 una delibera del consiglio di amministrazione raddoppiò a Cimoli lo stipendio portandolo a 2 milioni 791 mila euro l'anno che è sei volte quello dell'amministratore delegato di Air France e il triplo rispetto a quello di British Airways, compagnie che hanno bilanci in utile: l'Amministratore delegato di Air France guadagna 30 mila euro al mese, quello di British 64 mila, quello d'Alitalia 190.000 euro al mese. Inoltre, quando Cimoli se ne andrà da Alitalia si porterà a casa una buonuscita di 8 milioni di euro;
all'interrogante appare vergognoso che mentre i lavoratori della compagnia facevano i noti sacrifici, il top management anziché dare l'esempio riducendosi lo stipendio se lo sia raddoppiato -:
se le informazioni divulgate nel corso della trasmissione corrispondano ai dati in possesso del Governo e, in particolare, quale sia l'entità effettiva degli emolumenti erogati per indennità e buonuscita al suddetto presidente di Alitalia;
quali strumenti si intendano adottare per arginare il dilagare di retribuzioni elevatissime che non sembrano aver alcuna contropartita in termini di pubblica utilità.
(4-01518)
BONELLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei trasporti, al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
nel corso della puntata di Report di domenica 22 ottobre 2006 presentata da Milena Gabanelli e realizzata da Giovanna Boursier è stato evidenziato come le più grandi aziende pubbliche italiane come l'Enel, le Poste Italiane, l'Anas, le Ferrovie dello Stato e l'Alitalia, vantino nei loro consigli d'amministrazione un numero di manager assai elevato. Come ha sottolineato nel corso della trasmissione l'ex ministro Treu, sono oltre 800 le ex municipalizzate, più o meno trasformate, alle quali corrispondono un numero di amministratori sorprendentemente alto, in particolare considerando anche le società controllate. Si tratta di poltrone spesso riservate, secondo Treu, a: «politici da sistemare oppure comunque persone amiche..., spesso non competenti». I costi, anche finanziari, di questi il consigli di amministrazione sono elevatissimi;
il consiglio di amministrazione dell'Enel costa di base complessivamente 2 milioni e 800mila euro. Può aumentare in funzione di una retribuzione variabile attribuita ai vertici, Presidente e Amministratore delegato, se vengono raggiunti determinati risultati di gestione. Nel 2005, si legge sul bilancio, il costo del consiglio di amministrazione è aumentato fino a 15 milioni 830mila euro perché l'Amministratore delegato Paolo Scaroni, nominato dal Governo Berlusconi, se ne va portandosi via 9 milioni e mezzo di euro, compresa una somma di retribuzioni in funzione di un premio di ingresso più la retribuzione di base più la retribuzione variabile di 5 milioni 997mila e 675 euro;
delle promesse fatte al debutto della gestione Scaroni (riconversione delle centrali per renderle più competitive e utilizzare dei combustibili più puliti e meno cari) restano solo poche tracce;
nei tre anni della sua gestione la bolletta per i consumatori è aumentata del 3,5 per cento (dati Istat). Abbiamo le bollette più care d'Europa;
le riconversioni sono state scarsissime, per non parlare delle fonti alternative. Il solare termico è fermo a 8 mq ogni 1000 abitanti, mentre la media dei paesi europei è di 34/1000. L'eolico italiano è ancora pari a un ottavo della Spagna e un sesto della Germania. Sono stati però venduti impianti, aziende ed immobili, arricchendo l'azionista e impoverendo l'Enel;
nel 2005 Scaroni dall'Enel va all'Eni e qui il suo stipendio è di 1 milione e mezzo di euro l'anno. Il consiglio di amministrazione costa 2 milioni 600 mila euro l'anno ma, come all'Enel, la cifra sul bilancio è più alta perché comprende incentivi per gli amministratori. Anche in questo caso l'accordo contrattuale prevede che se il mandato non sarà rinnovato saranno pagati altri 3 anni di stipendio-:
se le informazioni divulgate nel corso della trasmissione corrispondano ai dati in possesso del Governo e, in particolare, quale sia l'entità effettiva degli emolumenti erogati per indennità e buonuscita al suddetto manager ora alla guida dell'Eni;
quale sia il giudizio del Governo circa la trascorsa direzione dell'Enel e se non si reputi necessaria una radicale inversione di rotta a favore di una riduzione dei costi e di maggiori investimenti per l'approvvigionamento energetico da fonti rinnovabili;
se non ricorrano gli estremi legali per una revisione del contratto degli attuali vertici dell'Eni e dell'Enel;
quali strumenti si intendano adottare per arginare il dilagare di retribuzioni elevatissime al managment dell'azienda che non sembra aver alcuna contropartita in termini di pubblica utilità.
(4-01519)
BONELLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei trasporti, al Ministro delle infrastrutture. - Per sapere - premesso che:
nel corso della puntata di Report di domenica 22 ottobre 2006, presentata da Milena Gabanelli e realizzata da Giovanna Boursier, è stato evidenziato come le più grandi aziende pubbliche italiane come l'Enel, le Poste Italiane, l'Anas, le Ferrovie dello Stato e l'Alitalia, vantino nei loro consigli d'amministrazione un numero di manager assai elevato. Come ha sottolineato nel corso della trasmissione l'ex ministro Treu, sono oltre 800 le ex municipalizzate, più o meno trasformate, alle quali corrispondono un numero di amministratori sorprendentemente alto, in particolare considerando anche le società controllate. Si tratta di poltrone spesso riservate, secondo Treu, a: «politici da sistemare oppure comunque persone amiche..., spesso non competenti». I costi, anche finanziari, di questi consigli di amministrazione sono elevatissimi;
il consiglio di Ferrovie costa circa 2 milioni di euro l'anno, quest'anno un po' di più, perché l'amministratore delegato, Elio Catania, è stato costretto a dimettersi e, come prevede il contratto, ha incassato un consistente «risarcimento». A quanto ammonta i redattori lo hanno chiesto all'azionista di riferimento ma il Ministero del Tesoro ha risposto che quelle informazioni non possono essere rese note per una clausola di riservatezza. Quel che è invece noto è che Catania dopo due anni lascia Trenitalia con un buco di 1 miliardo e 700 milioni di euro -:
se le informazioni divulgate nel corso della trasmissione corrispondano ai dati in possesso del Governo e, in particolare, quale sia l'entità effettiva degli emolumenti erogati per indennità e buonuscita al suddetto manager;
se i Ministri in indirizzo ritengano opportuno procedere alla risoluzione delle clausole contrattuali di riservatezza e quali misure intendano adottare in favore di una maggior trasparenza dei compensi dei consiglieri di grandi società di pubblico interesse;
quali siano i compensi definiti per gli attuali Presidenti e Amministratori delegati di FS, RFI, Trenitalia e Italferr;
quale sia l'entità effettiva degli emolumenti erogati per indennità e buonuscita ai suddetti presidenti di FS;
quali strumenti si intendano adottare per arginare il dilagare di retribuzioni vertiginose che non sembrano aver alcuna contropartita in termini di pubblica utilità.
(4-01520)