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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 30 di lunedì 24 luglio 2006
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI
La seduta comincia alle 9,30.
GIUSEPPE MARIA REINA, Segretario, legge il processo verbale della seduta 20 luglio 2006.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Albonetti, Bersani, Bindi, Boco, Bonino, Cacciari, Chiti, Colucci, Damiano, De Piccoli, Di Pietro, Dussin, Fioroni, Folena, Foti, Galante, Gentili, Gentiloni Silvestri, Lanzillotta, Letta, Maroni, Melandri, Minniti, Morrone, Parisi, Pecoraro Scanio, Pedulli, Pisicchio, Pollastrini, Ranieri, Realacci, Rigoni, Rutelli, Scajola, Stradella e Visco sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono trentotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.
PRESIDENTE. Comunico che il deputato Giovanni Ricevuto, con lettera pervenuta in data 20 luglio 2006, si è dimesso dal gruppo parlamentare di Forza Italia e ha chiesto di aderire al gruppo parlamentare Misto, cui risulta pertanto iscritto.
Annunzio di petizioni.
PRESIDENTE. Invito il deputato segretario a dare lettura delle petizioni giunte alla Presidenza e che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.
GIUSEPPE MARIA REINA, Segretario, legge:
Francesco Di Pasquale, di Cancello ed Arnone (Caserta), chiede:
misure per proteggere i pescherecci italiani nelle acque internazionali (21) - alla III Commissione (Affari esteri);
interventi per una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita degli enti locali e un nuovo ruolo del sindaco e del consiglio comunale (22) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
misure contro gli sprechi del denaro pubblico (23) - alla VI Commissione (Finanze);
Massimo Ilario Cocciola, da Ortona (Chieti), chiede:
provvedimenti legislativi per l'accesso del personale marittimo ai benefici previdenziali previsti per l'esposizione all'amianto (24) - alla XI Commissione (Lavoro);
agevolazioni fiscali alle famiglie per l'acquisto di alcuni prodotti e servizi di prima necessità (25) - alla VI Commissione (Finanze);
Fabiana Dicembrino, da Cascina (Pistoia), chiede misure a tutela del minore in caso di morte di un genitore, con particolare attenzione ai profili di sostegno economico (26) - alla XII Commissione (Affari sociali);
Rodolfo Romano, da Napoli, chiede nuove disposizioni per la concessione di riconoscimenti ai militari ed a tutti coloro che hanno partecipato alla guerra di liberazione negli anni 1943-1945 (27) - alla IV Commissione (Difesa);
Filippo Saltamartini, da Roma, chiede nuove norme per il riordino delle carriere delle Forze di polizia e delle Forze armate (28) - alle Commissioni I (Affari costituzionali) e IV (Difesa);
Stefano Galderisi, da Mentana (Roma), e Francesco Calbi, da Roma, chiedono un provvedimento legislativo per una nuova destinazione degli immobili demaniali denominati «Casale Strozzi» (29) - alla VI Commissione (Finanze);
Giuseppe Gucciardino, da Roma, chiede il riconoscimento del diritto alle prestazioni sanitarie con oneri a carico dell'Amministrazione della difesa in favore degli invalidi di guerra (30) - alla IV Commissione (Difesa).
Discussione della proposta di legge: Buemi ed altri: Concessione di indulto (Testo risultante dallo stralcio degli articoli 1 e 3 della proposta di legge n. 525, deliberato dall'Assemblea il 18 luglio 2006) (A.C. 525-bis); e delle abbinate proposte di legge: Jannone; Boato; Boato; Forlani ed altri; Giordano ed altri; Capotosti ed altri; Crapolicchio ed altri; Balducci e Zanella (A.C. 372-662/bis-663/bis-665/bis-1122/bis-1266/bis-1323/bis-1333/bis) (ore 9,37).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge Buemi ed altri: Concessione di indulto; e delle abbinate proposte di legge: Jannone; Boato; Boato; Forlani ed altri; Giordano ed altri; Capotosti ed altri; Crapolicchio ed altri; Balducci e Zanella.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 525-bis ed abbinate)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari di Alleanza Nazionale e di Forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Buemi, ha facoltà di svolgere la relazione.
ENRICO BUEMI, Relatore. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, dopo circa sei mesi l'Assemblea - sia pure in diversa composizione a causa dell'avvicendamento di legislatura - torna nuovamente ad occuparsi di un provvedimento di clemenza.
Una maggiore consapevolezza della necessità di ricondurre alla normalità la situazione esistente nelle carceri, dove lo Stato è inadempiente nell'attuare i principi costituzionali che attengono all'esecuzione della pena, e il mutato contesto politico nel quale oggi discutiamo, al contrario di allora - ovvero non ci troviamo in mezzo alla campagna elettorale - sono elementi che consentono di ritenere che finalmente si possano realizzare le condizioni politiche necessarie per il raggiungimento del quorum qualificato richiesto dalla Costituzione per approvare una legge di concessione dell'indulto.
Un'ulteriore differenza rispetto alle esperienze della scorsa legislatura è data dal contenuto più limitato del provvedimento Pag. 3all'esame dell'Assemblea, che si limita al solo indulto. L'esigenza di porre rimedio, senza indugio, alla insostenibile e sempre più crescente invivibilità delle carceri ha reso necessario sfasare l'esame e l'approvazione dei provvedimenti di amnistia e di indulto. La maggiore complessità nella quale ci si imbatte quando si affronta il tema dell'amnistia avrebbe finito per rallentare anche la concessione dell'indulto, la quale, invece, non è differibile.
La scelta di dare priorità all'indulto non significa voler abbandonare l'ipotesi di amnistia. Proprio perché vi è la consapevolezza che la concessione dell'indulto, senza varare una amnistia, costituirebbe un intervento irrazionale, la Commissione ha chiesto all'Assemblea, che ha deliberato in tal senso, lo stralcio dai provvedimenti in esame delle disposizioni in materia di amnistia. Ciò consentirà alla Commissione di iniziare molto presto, probabilmente la prossima settimana, l'esame delle proposte di legge in materia di amnistia risultanti dallo stralcio.
Vi è l'esigenza di applicare entrambi gli istituti, anche se, per lo stato di necessità che mi appresto a giustificare, si impone, al momento, la separazione delle due misure di clemenza.
Un provvedimento di indulto è necessario, urgente, indispensabile e non più procrastinabile per ripristinare una situazione di legalità nelle carceri e di efficienza nel campo della giustizia penale. Le carceri italiane ospitano circa ventimila detenuti in più rispetto ai posti disponibili, i quali - è bene ricordarlo - sono stati calcolati sulla base di parametri di vivibilità estremamente rigorosi.
Il sovraffollamento quale uno dei principali fattori che rendono invivibili le carceri, oltre a costituire una pena illegale aggiuntiva a quella legale, finisce per rendere quasi inesistente la possibilità di percorsi individuali di reinserimento nella società.
Questo è un aspetto fondamentale. Quando si affronta il tema dell'indulto, si deve sempre tenere conto che un carcere vivibile è una garanzia, in primo luogo, per la società civile. È impensabile, infatti, che il carcere dove la dignità dell'uomo è mortificata sia in grado di restituire alla società persone rieducate. È innegabile, infatti, che dalle condizioni ambientali nelle quali è fatta vivere una persona condannata dipende se, al termine della pena, questa persona sarà migliore o peggiore.
Il livello di guardia raggiunto dal sovraffollamento non solo costituisce un rischio di continua violazione del principio costituzionale secondo cui sono vietati i trattamenti contrari al senso di umanità, ma ha anche ridotto ai minimi termini le risorse umane e finanziarie destinate ad una efficace politica per il reinserimento dei detenuti. L'indulto rappresenta, quindi, una vera e propria urgenza sociale, che sarebbe non solo riduttivo, ma anche errato, considerare esclusivamente come un mero sconto di pena in favore dei soggetti condannati per ripagarli delle insostenibili condizioni delle carceri.
L'indulto, infatti, non è solo questo. Per essere valutato correttamente, l'indulto deve essere riportato nell'ottica del ripristino della legalità e del buon governo dell'amministrazione della giustizia e della pena. Un sistema carcerario in cui la legalità è negata, è un sistema carcerario che non garantisce la sicurezza dei cittadini, bensì crea nuovi recidivi, come, infatti, avviene nella realtà quotidiana.
Altro profilo rilevante dell'indulto è che esso consente di salvaguardare anche i diritti di coloro che lavorano nelle carceri. Mi riferisco al personale amministrativo e a quello di polizia penitenziaria, nonché a tutti coloro che si occupano direttamente della delicatissima fase del recupero sociale dei detenuti. Il sovraffollamento determina per questi soggetti una vera e propria mortificazione delle condizioni di lavoro.
Una volta collocato l'indulto in un'ottica anche rieducativa, occorre precisare, comunque, che esso non rappresenta la soluzione unica dei problemi penitenziari. Per risolvere tali problemi, occorrono anche altre misure, tra le quali mi limito a ricordare: la riforma del sistema delle Pag. 4pene alternative; la rivisitazione della normativa sulla recidiva, recentemente modificata; l'istituzione del garante o difensore dei diritti dei detenuti; la previsione dell'affettività in carcere; il diritto di voto dei detenuti; la giurisdizionalizzazione dei reclami dei detenuti; l'ordinamento penitenziario minorile; l'ampliamento dei soggetti istituzionali con diritto di visita nelle istituzioni penitenziarie da parte dei sindaci; la previsione del reato di tortura.
Inoltre, occorre rammodernare le strutture penitenziarie.
Tutte queste misure hanno un senso, se sono precedute dalla concessione dell'indulto. Non posso fare a meno di ricordare la circostanza che, da ben 15 anni, in Italia, non è stato emanato alcun provvedimento di amnistia e di indulto. Da quando nel 1992 è stato introdotto il quorum qualificato della maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, il Parlamento non è più stato in grado di approvare un atto di amnistia o di indulto. Da allora, sono state presentate senza successo decine di proposte di legge in tema di amnistia e di indulto.
Lo stesso Pontefice, Giovanni Paolo II, in occasione della visita al Parlamento, nel novembre 2002, ebbe a dire che un segno di clemenza verso i carcerati, mediante una riduzione della pena, costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolare l'impegno di personale recupero in vista di un positivo reinserimento nella società.
Come ho già avuto modo di sottolineare, l'indulto rappresenta un'urgenza sociale. È bene tenere conto che un indulto di tre anni non sarebbe, comunque, in grado di riportare a normalità le carceri. A maggio di quest'anno, i detenuti erano 61.353, a fronte di una ricettività regolamentare di 45.490 posti. Secondo le stime del Ministero della giustizia, un indulto di 2 anni porterebbe alla scarcerazione di 10.481 unità, mentre uno di tre anni riguarderebbe 12.756 unità. L'effetto dell'amnistia, oltre all'ovvia riduzione di procedimenti, è stato a sua volta stimato in un ulteriore 20 per cento. Ne consegue che il solo indulto, anche nell'ipotesi di tre anni, non consentirebbe di ridurre la popolazione carceraria entro i limiti di capienza.
Per quanto riguarda, più in dettaglio, la proposta di legge della Commissione giustizia presentata all'Assemblea, essa è volta a concedere, per i reati commessi fino al 2 maggio 2006, un indulto revocabile per le pene detentive fino a tre anni, per quelle pecuniarie sino a diecimila euro e per le pene accessorie temporanee. Dall'indulto sono esclusi i reati che sono stati considerati di particolare allarme sociale.
Il lavoro della Commissione si è concentrato sui seguenti punti: individuazione delle date di applicazione dell'indulto, della misura dell'indulto, delle esclusioni oggettive, del periodo di osservazione del soggetto che ha beneficiato dell'indulto, al fine di un'eventuale revoca della misura. La data del 2 maggio 2006 è stata individuata sulla base del parametro costituzionale del terzo comma dell'articolo 79 della Costituzione, secondo cui l'amnistia e l'indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge. Considerato che la Commissione ha esaminato una serie di proposte di legge abbinate, è stata considerata come data di presentazione, ai fini del citato articolo 79, quella della proposta di legge abbinata presentata per prima, la proposta A.C. 372, presentata il 3 maggio 2006 dall'onorevole Jannone. Naturalmente, si tratta di un termine ultimo che non può essere superato, mentre nulla osta a prevedere un termine più risalente nel tempo.
In ordine all'individuazione in tre anni della misura dell'indulto, si è ritenuto che una misura più ridotta non avrebbe consentito al provvedimento di conseguire risultati apprezzabili in termini deflattivi.
Di particolare delicatezza è stata l'individuazione dei reati considerati di particolare allarme sociale, come tali non meritevoli dell'indulto. Si tratta di un'operazione estremamente delicata, in quanto potrebbe rischiare la violazione del principio costituzionale di parità di trattamento, se non operata con cautela. Questa operazione si sovrappone a quella che il Pag. 5legislatore effettua nell'individuazione, in astratto, di un limite massimo di pena per ciascun reato.
Il parametro utilizzato dal legislatore è proprio quello della gravità del fatto e, quindi, anche dell'allarme sociale, il quale costituisce un elemento di gravità. È evidente che occorrono motivazioni oggettive per escludere dall'indulto reati puniti con pene uguali o inferiori a quelle previste per i reati ai quali l'indulto viene applicato. Dall'indulto, quindi, possono essere esclusi unicamente quei reati che destano nella collettività un particolare allarme sociale.
La Commissione ha individuato questi reati nei delitti di terrorismo, mafia, pedofilia, violenza sociale e traffico di droga.
Altro aspetto di particolare importanza è quello della revocabilità dell'indulto. In Commissione, da parte di tutte le forze politiche, si è convenuto sull'opportunità di prevedere la revocabilità dell'indulto nel caso in cui il soggetto beneficiario ritorni a delinquere. La revocabilità, infatti, rappresenta uno strumento preventivo necessario per un corretto funzionamento dell'istituto.
Il testo, riprendendo quanto previsto dall'indulto nel 1990, prevede espressamente che l'indulto sia revocato di diritto se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in discussione, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.
In Commissione si è a lungo discusso sull'opportunità di estendere a sette o a dieci anni il periodo di revocabilità (sembrando un termine maggiore di quello di cinque anni più adeguato per il conseguimento della finalità preventiva della revocabilità) e sulla previsione di una condizione di revocabilità più rigorosa della pena detentiva non inferiore a due anni. Comunque, come si può constatare dal testo presentato all'Assemblea, si è confermata la previsione dei cinque anni.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Balducci. Ne ha facoltà.
PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, da troppi anni, da parte di esponenti del mondo politico, della magistratura e dell'avvocatura, si susseguono prese di posizione sull'opportunità e l'urgenza di adottare provvedimenti di amnistia o di indulto, senza però che a tali prese di posizione abbiano fatto seguito decisioni concrete. Ciò ha contribuito a determinare e deludere aspettative all'interno del mondo carcerario e, più in generale, a creare un clima di incertezza tra gli operatori della giustizia.
Il programma dell'Unione, sottoscritto da tutte le componenti politiche del centrosinistra, aveva correttamente posto come centrale l'adozione di provvedimenti di clemenza che accompagnassero un processo più organico di riforma del sistema della giustizia penale.
Con coerenza, oggi, il Parlamento, con il decisivo contributo delle forze di maggioranza e del Governo, è chiamato a dare risposta alle domande che da anni provengono dal mondo carcerario, dagli operatori della giustizia e dagli operatori del volontariato.
La convergenza che si è determinata su tale provvedimento in Commissione tra componenti della maggioranza e dell'opposizione rappresenta il migliore viatico per l'avvio di una stagione di riforme improntata al dialogo non solo tra le parti politiche, ma anche e soprattutto tra e con i protagonisti sul campo del sistema giustizia e, in ultima analisi, nell'interesse della comunità dei cittadini.
Non appaia, quindi, fuor d'opera il ringraziamento che rivolgo al Presidente della Camera, al Governo e, in specie, al ministro della giustizia e a tutti i componenti della Commissione giustizia di tutte le parti politiche, che hanno consentito, Pag. 6ciascuno nell'ambito delle proprie prerogative istituzionali, di approdare ad un risultato importante, che va al di là del provvedimento in questione e si configura come positiva premessa per il lavoro che ci attende.
Da troppi anni il tema della giustizia divide e anima conflitti spesso strumentali. Abbiamo oggi l'occasione storica di annodare le fila di un dialogo che, partendo da visioni culturali e ideali differenti, si ponga l'obiettivo comune di una modernizzazione del sistema giustizia ispirata alla tutela dei diritti del cittadino, all'efficienza e alla mitezza.
La giustizia penale italiana versa in condizioni critiche e necessita di riforme strutturali finalizzate a coniugare maggiore celerità dei tempi processuali e maggiori garanzie per i cittadini anche in termini di sicurezza e certezza della pena, assumendo con coraggio l'iniziativa per affrontare l'inaccettabile e incivile situazione delle strutture detentive.
L'indulto - strumento eccezionale - costituisce una causa estintiva della pena, come prevede espressamente l'articolo 174 del codice penale, e la sua applicazione condona in tutto o in parte la pena. Se, però, non sarà accompagnato, appunto, da riforme strutturali, costruzione di nuovi edifici penitenziari, incremento dell'organico dell'amministrazione penitenziaria, potenziamento del servizio sociale per consentire un reale inserimento, ripensamento del ruolo della magistratura di sorveglianza nell'applicazione delle misure alternative alla pena, tale provvedimento può rivelarsi inutile.
La proposta all'esame dell'Assemblea risponde a problemi che sono da anni sotto gli occhi di tutti, denunciati in ogni sede ed oggetto di richiamo da parte di autorità morali e religiose. L'abbiamo detto più volte, e lo ripeto anch'io: non dimentico le parole pronunciate in quest'aula dal Pontefice né dimentico, a maggior ragione, gli applausi di adesione che - maggioritariamente - si levarono da tutti gli scranni.
Non ritengo di sottoporre, in questa sede, l'elencazione fredda di numeri che testimoniano dell'inaccettabilità della situazione carceraria, della sua inumanità e della sua inefficienza. Tali numeri sono noti ad ognuno di noi; e sappiamo tutti che, dietro di essi, vi sono casi umani troppo spesso dimenticati. I Verdi, da sempre, hanno fatto dell'umanità della condizione carceraria e della mitezza del sistema penale una bandiera, l'elemento che misura il grado di civiltà di un paese. A ciò si aggiunga l'aberrazione di un sistema sanzionatorio tutto imperniato sulla misura detentiva, la più afflittiva. Noi crediamo, invece, che vada riformato profondamente il sistema sanzionatorio, prevedendo misure alternative proporzionate al disvalore della condotta. Insieme a tale riforma, che riteniamo importante ed in linea con i più civili sistemi europei, va affrontato il tema della depenalizzazione di condotte che, per la loro natura, vanno inquadrate nell'ambito degli illeciti amministrativi.
Non si è riusciti a fare nulla per migliorare la situazione esistente, già molto deficitaria anche in virtù di una mentalità deteriore che considera i detenuti carcerati espressione di una società reietta dalla quale prendere soltanto le distanze, così tradendo lo spirito della norma costituzionale, che assegna al fine rieducativo un ruolo centrale, ed anzi discriminante, nella legittimità della misura detentiva.
La mia esperienza di avvocato penalista e di studiosa del processo penale, che ha avuto e continua ad avere come maestri Giovanni Conso e Giuliano Vassalli, mi induce a ricordare a me stessa ed a tutta l'Assemblea che il grado di civiltà di un paese è dato dell'efficienza del suo sistema penale, dove l'efficienza va intesa non solo nel senso di certezza della pena, ma anche nel senso di proporzionalità ed umanità, attraverso un processo penale giusto che garantisca i diritti di difesa. Per queste ragioni, onorevoli colleghi, mi sento di dire oggi che esistono le condizioni perché possa essere adottato un provvedimento di clemenza, soprattutto se finalizzato a garantire il funzionamento della giustizia nel Pag. 7quadro di un processo riformatore che deve vedere tutto il Parlamento impegnato.
Il testo al nostro esame è il risultato della discussione svoltasi nell'ambito della Commissione giustizia ed ha ricevuto parere favorevole anche da parte di alcune rilevanti componenti dell'opposizione. La Commissione è stata il luogo del dialogo: spero che anche in Assemblea avvenga lo stesso. Si è deciso di redigere un unico testo, frutto dell'unificazione delle varie proposte originarie. Quale firmataria di una delle proposte confluite nel testo oggi all'esame dell'Assemblea, intendo ribadire la posizione del gruppo che rappresento, orientata a collegare il provvedimento ad uno concernente l'amnistia (da calendarizzare subito dopo la pausa estiva) e, più complessivamente, ad una riscrittura sistematica della normativa penale processuale attenta a coniugare diritto alla sicurezza, certezza della pena e garanzie del cittadino, nel quadro di una missione civile e moderna del sistema penale.
Una particolare sollecitazione desidero rivolgere a quegli amici della maggioranza che esprimono perplessità sul provvedimento in esame. A questi amici voglio ricordare che la difesa della legalità, da non confondere mai con il giustizialismo, di facile presa populistica, si alimenta proprio della capacità delle istituzioni di fornire risposte forti, attente all'interesse generale, scevre da visioni ideologico-fideistiche e da intenti personalistici. Sono integralmente d'accordo con quanto ha dichiarato in un'intervista, qualche giorno fa, Anna Finocchiaro, la quale, rispondendo ad una domanda sugli effetti del provvedimento rispetto a determinate situazioni personali, ha affermato: «Se davvero vogliamo fare le leggi pensando a qualcuno in particolare, allora io in testa ho le donne che allevano i bambini in carcere. Sono una cinquantina. È una vergogna: basterebbe mettere a disposizione qualche alloggio!».
E io aggiungo che bisogna tenere conto dei tanti tossicodipendenti ed extracomunitari, ormai la maggioranza della popolazione carceraria, che si trovano a scontare una pena detentiva in condizioni spesso disumane e, per molti versi, criminogene, lontane da quel fine rieducativo finalizzato al reinserimento nella società che rende un sistema sanzionatorio costituzionalmente accettabile. Un pensiero solidale va sicuramente anche al personale carcerario, che vive spesso in situazioni disumane.
Nel merito, sempre a questi amici, ricordo che il vero discrimine punitivo per i reati di tipo finanziario o contro la pubblica amministrazione è costituito dalle pene accessorie che dovranno essere sicuramente modificate in un nuovo sistema più moderno. Sono convinta, onorevoli colleghi, che stiamo scrivendo una pagina parlamentare importante, che richiama tutti ad un senso di responsabilità ed alla consapevolezza di rappresentare l'intera comunità nazionale. Stiamo dando risposta ad un tema che sollecita le coscienze, il senso di umanità, i principi di civiltà di un paese. Spero che sarà questo l'obiettivo che insieme intenderemo perseguire, nel rispetto delle diversità ideali e politiche, ma nell'interesse del paese (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mario Pepe. Ne ha facoltà.
MARIO PEPE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, ho ragione di credere, o speranza di credere, che domani questo provvedimento troverà i numeri in quest'aula per la sua approvazione. I numeri che la Costituzione ci impone li abbiamo cercati per molte legislature e, nonostante autorevoli ed appassionati appelli, non li abbiamo trovati.
Voglio anche sperare che il Senato non modifichi il testo, perché il provvedimento possa essere approvato per quei detenuti che aspettano la libertà prima della pausa estiva. Altrimenti, questo gesto di clemenza, questo atto di misericordia, diventa un atto di misericordia crudele o, peggio, una beffa.
L'emergenza umanitaria nelle carceri è nei numeri: 60 mila detenuti in un sistema che ne può contenere 40 mila. Ho ancora davanti ai miei occhi la cella che ho Pag. 8visitato pochi giorni fa: i detenuti con gli asciugamani bagnati sulla fronte per difendersi dal caldo e sui loro volti, illuminati da una lama di luce che filtrava attraverso le sbarre, sofferenza e speranza. Ecco, il Parlamento deve fare i conti e confrontarsi con la sofferenza e la speranza dei detenuti.
Signor Presidente, nelle carceri italiane non ci sono solo pericolosi criminali: i detenuti per reati gravi di sangue o di criminalità organizzata sono solo il 12 per cento. Prevalgono i poveri cristi, i cosiddetti cani senza collare cresciuti sui marciapiedi delle nostre città. Nelle carceri italiane si sono date appuntamento le persone più deboli della nostra società: i tossicodipendenti, gli extracomunitari, gli emarginati mentali, i disturbati mentali. Ebbene, queste persone, come disse il cardinal Martini alla vigilia del Giubileo, non hanno bisogno di pene alternative, ma di alternative alla pena. Non c'è futuro per i tossicodipendenti dietro le sbarre e neanche a dire che il carcere rappresenta una specie di barriera all'uso della droga: nulla di più falso! La droga entra nelle nostre carceri nei modi più disparati: attraverso i cannelloni ripieni, attraverso i tacchi delle scarpe, nel bacio della fidanzata, sotto i francobolli. Il carcere non può essere la risposta alla tossicodipendenza.
Si parlava prima del sovraffollamento, ma il sovraffollamento è solo l'ultima delle sofferenze dei detenuti. Esistono sofferenze peggiori: le sofferenze dei diritti negati. Più volte mi sono chiesto: le leggi che questo Parlamento ha approvato sono valide anche per i detenuti? Se è così, perché vengono disattese?
I detenuti non portano più il pigiama ed il berretto cifrato, ma rappresentano un numero, un fascicolo che il tribunale di sorveglianza ha aperto poche volte per concedere quei benefici divenuti diritti.
E che dire del diritto alla salute in carcere? Nelle carceri ci sono patologie emergenti, che fanno del carcere un concentrato spaventoso di malati e di malattie: la tubercolosi, portata nelle nostre carceri dagli immigrati, i 10 mila malati di epatite C, frutto della promiscuità del sovraffollamento (l'epatite C uccide più dell'AIDS); e poi i disturbi mentali, i suicidi, che sono particolarmente frequenti fra i detenuti ancora ufficialmente innocenti, ossia quelli in attesa di giudizio.
Signor Presidente, che dire della grave situazione della medicina penitenziaria, smantellata dai decreti Bindi? I miei colleghi medici vivono un doppio disagio in carcere: sono costretti a curare le malattie che il carcere crea e vivono anche il disagio dell'incertezza del loro futuro. Mi auguro che la Commissione giustizia possa riprendere la discussione della mia proposta di legge sul riordino della medicina penitenziaria.
L'indulto, dunque, diventa ineludibile. L'onorevole Pecorella, in un pregevole articolo comparso su Il foglio, parla di moralità dell'indulto, perché l'indulto ripaga i detenuti di quella sofferenza rispetto alle pene aggiuntive che il carcere infligge. Consentitemi di leggervi un passo di quell'articolo: «La pena dovrebbe consistere soltanto nella perdita della libertà che sta fuori dal carcere, mentre in carcere si dovrebbe garantire che un uomo possa restare tale, svolgendo ogni forma di attività che gli consenta di rieducarsi e di essere pronto a rientrare nella società».
Signor Presidente, a questo punto vorrei rivolgermi al mio collega Consolo e a tutti coloro che voteranno contro questo provvedimento, perché preoccupati della sicurezza dei cittadini e dei loro beni. La sicurezza dei cittadini passa anche attraverso carceri più umane. Incrudelire le pene dei detenuti significa creare nemici dello Stato che, una volta fuori, si macchieranno di delitti ben più gravi di quelli per i quali erano stati incarcerati.
L'indulto non è un atto di capitolazione È un patto fra lo Stato e i detenuti, clemenza in cambio di buona condotta per cinque anni. Quindi, l'indulto coniuga sicurezza e clemenza. Ma l'indulto deve essere l'inizio di un cammino di riforme, deve seguire l'amnistia obbligatoriamente per diminuire la sofferenza dei processi pendenti, per evitare, come diceva l'onorevole Pecorella, di celebrare molti processi Pag. 9inutili per effetto dell'indulto. L'indulto deve essere l'inizio di un cammino di riforme del nostro sistema penale.
Mi avvio alla conclusione, ricordando che, in questi anni appassionati di esperienza nella Commissione giustizia e nel comitato carceri, ho avuto modo di girare l'Italia in un pellegrinaggio laico delle carceri italiane e di approfondire i problemi dei detenuti. Mi hanno colpito molto le parole che un detenuto disse al proprio medico, professor Cerando, sono la spia della situazione, lo specchio fedele della condizione del detenuto prigioniero: vivere in cella è come vivere in un corridoio; se uno cammina, l'altro sta disteso sulla branda. Si mangia gomito a gomito, si dorme come in un'astronave; devi contenderti i centimetri, gli spicchi di luce e di sole e, attraverso di essi, la vita.
Mi auguro, signor Presidente, anche grazie alle riforme che faremo, di non sentire più queste parole (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Suppa. Ne ha facoltà.
ROSA SUPPA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prendere la parola in quest'aula per la prima volta per anticipare il mio voto favorevole sulla proposta di legge oggi in discussione mi emoziona, ma mi gratifica e non mi impedisce, tuttavia, di avvertire la responsabilità del momento che investe me come ciascuno dei presenti in quest'aula.
Un provvedimento clemenziale non era ulteriormente rinviabile. Sono ormai trascorsi, nonostante le aspettative più volte createsi in questi anni, più di 15 anni dall'ultima legge di indulto ed il Parlamento non può più sottrarsi alle sollecitazioni che sono venute non solo dall'ambiente giudiziario e carcerario, ma anche dal Santo Padre e dal Presidente della Repubblica. Sarebbe stato troppo facile rifiutare di affrontare un argomento per molti versi scomodo - un argomento che, certamente, non riceve riscontri in termini elettorali, anzi può comportare il rischio di far perdere il consenso già acquisito -, ma vi sono scelte a cui siamo chiamati dalla nostra coscienza e che dobbiamo compiere con responsabilità. Scelte che devono essere informate al senso dello Stato, rifuggendo dai luoghi comuni e delle facili argomentazioni, facendosi carico, nel rispetto anche delle paure diffuse nel nostro paese - e solo questi sono i motivi delle esclusioni oggettive -, di spiegare a fondo le ragioni e le finalità vere di un provvedimento di clemenza.
Sono profondamente convinta che la privazione della libertà sia la punizione più grande che uno Stato democratico possa infliggere ad un individuo; altro non è consentito in una società civile. Tutto quanto eccede la privazione della libertà diventa arbitraria ed illegittima violenza, è un'afflizione ulteriore che si aggiunge alla pena comminata. Per questo, uno sconto di pena non rappresenta la resa dello Stato, come hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto, ma la scelta di uno Stato civile e democratico di riequilibrare pene accessorie perché queste vengono scontate in modo inumano.
Vi è, quindi, la necessità etica e giuridica di restituire alla pena la funzione che le è propria, secondo il dettato costituzionale e la filosofia del nostro ordinamento penitenziario, che è la filosofia di ogni società civile. La pena come rieducazione, fuori da intenti retributivi, perché solo un'esecuzione della pena volta al recupero sociale vale a rendere legittimo, anche sul piano morale, il potere di punire delle democrazie contemporanee. Il nostro sistema carcerario sembra fondato su un paradosso giuridico: «l'illegalità legale».
Una detenzione scontata in condizione civili - e, quindi, con modalità legali - è, invece, il presupposto affinché lo Stato pretenda il rispetto delle sue regole da chi queste stesse regole ha violato. È in questa ottica che possono condividersi anche le ragioni pratiche che spingono verso l'emanazione di un provvedimento di indulto, indulto come mezzo deflattivo contro il grave problema del sovraffollamento delle carceri, che non è sicuramente l'unico problema, ma è, comunque, alla base di tutte le questioni.Pag. 10
I numeri sono ormai noti, li ha esposti bene il relatore: oltre 61 mila persone detenute rispetto ad una ricettività di 43 mila, aumento delle patologie del sistema nervoso, purtroppo stabile il numero dei suicidi (57 nel solo 2005), comunque un aumento dei tentati suicidi (circa 900) e, addirittura, circa 6 mila atti di autolesionismo. Il sovraffollamento raggiunge in Campania, la mia regione, ed in particolare in alcune strutture carcerarie, cifre così elevate che è veramente difficile garantire le condizioni materiali minime di civiltà. Nel carcere di Poggioreale, a Napoli, il rapporto tra il numero di educatori e di detenuti è di 1 a 400. Un dato che si commenta da solo ai fini della risocializzazione del condannato, nonostante lo straordinario lavoro - lo voglio rimarcare - che viene svolto da tutti gli operatori. Mi limito ai dati perché è ancora vivo il monito che ho ricevuto da un detenuto del carcere di Poggioreale, che mi diceva: «Non si può raccontare quello che non si è vissuto e descrivere il carcere non vivendolo: è impossibile, non fatelo».
Il nostro carcere non solo è inumano, tanto da far ricevere all'Italia le denunce da tutte le associazioni umanitarie e anche dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa, ma, soprattutto, non riesce a dare, nell'interesse primario della nostra collettività, uno scopo alla carcerazione, che - non mi stancherò mai di ripeterlo - deve tendere alla rieducazione e, talvolta, addirittura alla iniziale educazione del detenuto. Anzi, il carcere è esso stesso scuola di delinquenza, con grandissimo rischio per la sicurezza pubblica. Va quindi respinta con decisione la presunta correlazione carcerazione-sicurezza pubblica e, anzi, deve essere affermato con chiarezza che la vera prevenzione e la tanto invocata sicurezza dei nostri territori parte e deve partire, come diceva prima l'onorevole Pepe, dalle carceri.
Il provvedimento di clemenza, che mi auguro approveremo, deve essere accompagnato da assunzioni di responsabilità e da un impegno serio del Governo, per restituire immediatamente vivibilità al mondo carcerario secondo i parametri della legalità costituzionale. Occorre investire in nuove strutture e in risorse umane, nonché predisporre adeguate misure di accoglienza e di sostegno, attivando l'associazionismo e gli enti locali, per sostenere chi esce dal carcere. In questo modo si combatte la recidiva. Bisogna soprattutto evitare il ricorso a nuove misure deflattive e, quindi, optare, con modifiche del codice penale, per la previsione di pene diverse dalla detenzione. Io penso - e credo che di ciò siamo tutti convinti in questa Assemblea - che possano essere coniugate sicurezza e clemenza.
Perdonatemi la citazione, è tratta dal De clementia di Seneca: «La clemenza è la moderazione dell'animo nell'uso del suo potere di punire (...); solo gli ignoranti reputano contraria alla clemenza la severità, ma nessuna virtù è contraria ad un'altra virtù». Sembra retorica di altri tempi ed invece è verità drammaticamente attuale, perché nessuna autorità statuale può essere severa e rigorosa con i propri sudditi se non lo è prima con se stessa, attraverso l'esatta e rigorosa applicazione delle sue stesse leggi. Il sovraffollamento, con le sue ricadute nelle condizioni di vita della popolazione detenuta, rappresenta oggi, onorevoli colleghi, la prima e più vistosa tra le violazioni sistematiche della legge sull'ordinamento penitenziario (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, de La Rosa nel Pugno e dei Verdi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Consolo. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CONSOLO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, sono state dette e scritte molte cose riguardo alla posizione di Alleanza Nazionale sul provvedimento di amnistia e di indulto. Molte cose errate su cui è bene cominciare a fare chiarezza.
Richiamo, non a caso, anche il provvedimento di amnistia oltre a quello di indulto, ben sapendo che oggi si parla Pag. 11esclusivamente di indulto, perché, al momento di votare lo stralcio delle disposizioni finalizzate ad estinguere la pena da quelle volte ad estinguere il reato, Alleanza Nazionale ha espresso un voto di astensione che è stato male interpretato. Alleanza Nazionale non si è astenuta sul merito del provvedimento: si è astenuta, per motivi tecnici, sullo stralcio del provvedimento di amnistia da quello di indulto, il che non significa che Alleanza Nazionale - mi riferisco al partito in generale, nel quale, è noto, vi sono anche posizioni diverse da quella ufficiale - discutesse e si astenesse circa l'opportunità o meno di stralciare il provvedimento di amnistia dal provvedimento di indulto. Alleanza Nazionale non può essere favorevole all'approvazione di entrambi questi provvedimenti, qualora non siano preceduti da un piano di riordino della giustizia e da specifici e precisi impegni che il ministro guardasigilli ancora non ha assunto.
Qualora non vi fosse questa posizione del Governo e della maggioranza parlamentare che lo rappresenta, Alleanza Nazionale non potrebbe che essere contraria. Mi chiedo, e vi chiedo, avendo ascoltato le appassionate argomentazioni che sono state addotte, che fanno sicuramente presa sull'osservatore meno attento: per quale motivo lo Stato dovrebbe rinunciare ad esercitare la propria potestà punitiva nei confronti di quanti hanno violato la legge e stanno, quindi, espiando la pena, al caldo, con asciugamani bagnati per il caldo eccessivo? Ma quanti italiani soffrono il caldo, senza aver violato il precetto penale? Il che non significa, sia chiaro, che le condizioni di vita nelle nostre carceri siano accettabili; è esattamente il contrario. La risposta più affrettata che è stata data a questo mio interrogativo - anche se, lo ripeto, l'argomentazione contraria presenta alcuni aspetti di validità - è che nelle nostre carceri (è stato ricordato da tutti i colleghi mi hanno preceduto) vi sono 61 mila ed oltre detenuti a fronte di una capienza di 40 mila. Ma se i detenuti sono troppi in relazione al numero dei possibili ospiti nelle nostre carceri, cosa si deve fare? Si devono ampliare le carceri esistenti e si devono costruirne di nuove.
Si può rinunciare, al buio, ad esercitare la propria capacità punitiva? Mi viene obiettato: l'articolo 27 della Costituzione prevede la pena con funzione rieducativa. Alleanza Nazionale lo sa bene. Conosciamo bene tale principio e con sofferenza assistiamo a questo sistema di pena afflittiva, contraria al nostro ordinamento. A differenza della cultura anglosassone, nel nostro ordinamento giuridico e nella nostra Carta fondamentale - lo ricordo a me stesso, - la pena deve tendere a rieducare il condannato. Mi viene risposto: come può rieducarsi un condannato se, oltre alla privazione della libertà, vi è anche questa sorta di tortura, nei fatti, rappresentata dal sovraffollamento delle carceri? Siamo d'accordo. Siamo assolutamente d'accordo. Il precetto costituzionale viene tradito: le carceri, così sovraffollate, non possono andare avanti. Siamo d'accordo, ma se vi sono troppi detenuti ciò riguarda non solo una parte dei detenuti, ma tutti; è il sistema che è sbagliato. Se vi è un'epidemia si aumenta il numero degli ospedali, non il numero dei cimiteri.
Signor Presidente, ciò che mi dà, anche a livello personale, una certa sofferenza ed un certo disagio, è sentir dire che Alleanza Nazionale «mostra i muscoli», che Alleanza Nazionale ce l'ha con i detenuti. Non è così. Non è così, perché il partito al quale mi onoro di appartenere - ed io personalmente: i colleghi della Commissione giustizia me ne daranno atto - ha cercato di chiedere, con umiltà, ma con fermezza, che fossero osservate determinate condizioni per poter, anche noi, votare a favore di questo provvedimento.
Sembra, infatti, assolutamente lapalissiano: le carceri sono piene, si costruiscano più carceri. Poiché qualcuno potrebbe obiettare che ci vorrebbe la bacchetta magica per costruire più carceri, considerato il tempo ed i mezzi necessari, allora, nel frattempo con decreto-legge, invece di prendersela con altre categorie verso le quali è stata emanata la decretazione d'urgenza, considerata la particolare Pag. 12necessità ed urgenza proprio della situazione carceraria, avrebbero potuto essere perseguiti provvedimenti di reciprocità con paesi stranieri per far scontare la pena in tali paesi, facendo immediatamente ridurre il numero dei carcerati in Italia.
Dopodiché quel decreto avrebbe avuto certamente l'approvazione della stragrande maggioranza, forse addirittura maggiore dei due terzi di questa Assemblea. Invece ci si limita, al buio, a svuotare le carceri, ben sapendo - di questo, colleghi, me ne dovete dare atto - che questo provvedimento non è altro che un palliativo, che non risolve il problema principale. L'ultimo provvedimento di clemenza - assunto nel lontano 1990, quando c'era il Guardasigilli Vassalli - ha portato un beneficio di pochi mesi. Anche se all'epoca non ero parlamentare, ricordo le discussioni in Parlamento, quando si affermò che l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale - prevista per la data fatidica del 24 ottobre 1989 - ed il provvedimento di clemenza avrebbero restituito maggiore efficienza all'ordinamento giudiziario, cosicchè non sarebbero stati necessari ulteriori provvedimenti di clemenza.
Niente di più errato. Se non ci sono stati altri provvedimenti di clemenza, è solo perché nel 1992 il quorum previsto da una legge costituzionale per l'approvazione di questo tipo di provvedimenti è stato portato a due terzi: un altro errore, al quale ho cercato nel mio piccolo di oppormi con i fatti, presentando una proposta di legge, pur essendo contrario al provvedimento di clemenza, perché trovo ridicolo che in uno Stato di diritto si possa, in base all'articolo 138 della nostra Costituzione, varare a maggioranza la Costituzione, mentre per varare un provvedimento di clemenza non è sufficiente la maggioranza, bensì occorrono i due terzi dei voti dei componenti del Parlamento. Quella proposta di legge, che avrebbe attribuito ad una maggioranza parlamentare una responsabilità maggiore rispetto a quella odierna, è rimasta lettera morta. Quel provvedimento è stato poi ripresentato nella XIV legislatura e così anche in questa XV legislatura, ma è rimasto lettera morta.
Ecco perché, colleghi, personalmente e con la stragrande maggioranza del mio partito avevamo chiesto al Guardasigilli risposte politiche ai nostri interrogativi, che non possono che essere definiti legittimi. Avevamo chiesto al Guardasigilli di integrare il disegno riformatore della legge n. 206 del 2004 - che aveva introdotto una disciplina organica in favore di chi avesse subito dei danni, per sé o per i propri familiari, a causa del terrorismo (così come avviene peraltro per le vittime della criminalità organizzata) - con una norma che prevedesse aiuti analoghi per tutti coloro che nell'adempimento del dovere, per quelle Forze dell'ordine che mi sono particolarmente care, avessero subito danni, anche in assenza di una motivazione terroristica o mafiosa alla base dell'offesa.
Nessuna risposta. Un'altra richiesta, che a me sembrava ovvia e scontata, era quella di non applicare il provvedimento di clemenza nei confronti dei plurirecidivi. Siamo andati soltanto nel tecnicismo, ai recidivi specifici.
Avevamo posto un'altra richiesta, cioè quella di imporre l'obbligo del risarcimento del danno per usufruire dell'indulto, così come quello di aver scontato almeno un terzo della pena. Di fronte alle nostre richieste la risposta è stata, signor Presidente, il silenzio e la denegazione.
Il risultato è quello di affermare che Alleanza Nazionale è contraria alla richiesta dell'indulto. Non è così, e lo sto spiegando. Noi non abbiamo visto degli impegni formali precisi da parte del Guardasigilli davanti alle nostre richieste, così come non abbiamo visto un atteggiamento costruttivo da parte della Commissione giustizia, nella quale in un primo tempo, come ben sa il relatore Buemi - che peraltro non vedo in questo momento in aula e mi dispiace - vi era stata un'apertura da parte di Alleanza Nazionale. Ecco che torna ai banchi il relatore: è bene che senta e che ognuno si assuma le proprie responsabilità. Quando avevamo chiesto di Pag. 13escludere i plurirecidivi dal beneficio dell'indulto, il relatore Buemi aveva detto che vi era però la norma - ben diversa - in base alla quale chi avesse commesso dei reati in un determinato periodo di tempo, che poi restrittivamente è stato portato a cinque anni, avrebbe perso ex post i benefici dell'indulto.
Abbiamo assistito - mi dispiace dirlo perché questa Commissione giustizia sta lavorando molto bene e ne devo dare atto anche al presidente - ad un balletto di numeri: i cinque anni erano stati portati a dieci, poi era stata raggiunta un'intesa di fatto con i colleghi della maggioranza per cui i dieci anni passavano a sette. Al momento di votare, i cinque anni sono rimasti un punto non valicabile: mi riferisco al periodo di tempo nel quale non dovrebbero essere commessi ulteriori reati. Non è stato preso alcun impegno normativo a favore delle vittime del dovere; non è stato preso alcun impegno a favore del risarcimento del danno; non è stata prevista alcuna norma per i plurirecidivi (quanto previsto per i plurirecidivi specifici è un'altra cosa, lo sappiamo bene).
Io mi auguro di sentire alla fine della discussione generale delle risposte concrete, ma non per me, Giuseppe Consolo, bensì per un popolo italiano che è sensibile anche nei confronti delle vittime del dovere e nei confronti delle vittime del reato, le quali rappresentano i protagonisti emarginati, in questo caso. Infatti, sfavorire e penalizzare le vittime del reato con un provvedimento a favore soltanto di chi ha commesso il reato medesimo non riequilibra in alcun modo, come dovrebbe, quel sinallagma tra chi ha commesso il reato e chi, invece, ha patito le conseguenze dello stesso.
Vi è, quindi, una palese sproporzione, nel testo della Commissione portato all'esame dell'Assemblea (mi avvio a concludere, signor Presidente; peraltro, come lei ci insegna, posso avvalermi anche del tempo assegnato ai colleghi di gruppo). Il testo, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, favorisce infatti palesemente «Caino», favorisce palesemente chi ha commesso il reato rispetto a chi ne ha subito le conseguenze negative: quell'«Abele», quella parte più debole che ha patito, e ancora oggi patisce, il danno conseguente.
Non vorrei che, con l'approvazione di questo provvedimento, «Abele» - vale a dire, le vittime del reato - subisse anche la beffa di vedere perdonati, senza condizioni di sorta, quanti erano, sono e rimangono i suoi carnefici.
Se deve fare una scelta, peraltro dolorosa, tra «Caino» ed «Abele», il mio partito, per la maggior parte delle sue componenti, sta dalla parte di «Abele» (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei anzitutto osservare che, forse, sarebbe stato meglio se questo provvedimento fosse stato condiviso da tutte le forze politiche o se, quanto meno, si fosse compiuto un tentativo in tal senso. La Lega, infatti, non è stata interpellata nel corso dell'esame del provvedimento.
Ciò detto, a mio avviso, il provvedimento dell'indulto, considerato sic et simpliciter, deve essere calato all'interno della logica, giudiziaria e storica, di questo paese. Mi spiego: parecchi anni fa, vale a dire prima di Tangentopoli, i provvedimenti di amnistia e di indulto intervenivano, di regola, ogni tre o quattro anni. Poi, ad un certo punto, a seguito della vicenda di Tangentopoli e di quell'innalzamento del quorum di cui riferiva il collega dianzi intervenuto, non si sono più varate misure di amnistia e di indulto. Molto probabilmente, proprio per via delle vicende di Tangentopoli, non si voleva generare nell'opinione pubblica il sospetto che i parlamentari, deputati e senatori, potessero favorire sé stessi.
Ma oggi una tale situazione può dirsi ormai superata; la vicenda di Tangentopoli si è conclusa e questa Camera ed il Senato devono riacquistare la loro dignità. A mio Pag. 14avviso, se un provvedimento di indulto deve essere varato, esso deve intendersi come atto di clemenza e, quindi, senza alcuna preclusione rispetto ad eventuali fatti commessi, in ipotesi, da parlamentari. Per esemplificare, non ha senso varare l'indulto per tutto il mondo tranne che per Previti, un cittadino che era parlamentare e che, avendo sbagliato, è in carcere. Se la Camera ritiene di approvare un provvedimento di clemenza, il cittadino Previti ha diritto di godere di tale misura esattamente come tutti gli altri. Infatti, come è vero che i parlamentari non devono essere considerati con maggiore favore rispetto agli altri cittadini, così è altrettanto vero che essi hanno almeno pari dignità rispetto a tutti gli altri.
Seconda questione, a me più cara: bisogna tenere presente il motivo ispiratore del provvedimento. Mi piacerebbe che il relatore spiegasse la ragione per la quale si intende oggi varare tale atto di clemenza. Tra le finalità che ho sentito addurre a giustificazione dell'adozione del provvedimento di clemenza, vi sarebbe la necessità di ridurre il sovraffollamento delle carceri. A tale riguardo, mi sono stati forniti studi di settore dal mio partito, con statistiche relative al numero dei detenuti e di quanti fruirebbero dell'atto di clemenza, ipotesi di esclusione in base alle condizioni soggettive, e via dicendo. Bisogna dirlo in maniera chiara: in questo momento - è un'idea alla quale io sono affezionato - stiamo pagando lo scotto per aver subito il fascismo nel secolo scorso. Non è fantasia; il problema è costituito dal fatto che, nel secolo scorso, la magistratura era una istituzione intoccabile, al punto che il regime fascista ha dovuto istituire i tribunali speciali perché non riusciva ad ottenere le sentenze secondo la giustizia quale era intesa dal fascismo. Il prestigio che aveva un secolo fa, la magistratura se lo porta dietro ancora oggi. Perciò, qualsiasi iniziativa intrapresa da un parlamentare, anche la migliore del mondo, non va bene; invece, qualunque cosa un magistrato faccia, anche la peggiore del mondo, è considerata valida ed idonea.
Ricordo, a titolo di esempio, quell'orrendo delitto commesso a Biella nei confronti di una ragazza la quale è stata tormentata da un corteggiatore che è arrivato fino al punto di ucciderla. Intervistato, il magistrato alzò le spalle e affermò di non aver potuto fare alcunché - sull'omicida pendevano 200 denunce - perché la minaccia non prevede l'ordine di cattura. Non un solo rappresentante politico o un mezzo di comunicazione di massa, compresa la RAI, hanno fatto presente che, se è vero che la minaccia non prevede l'ordine di cattura, è altrettanto vero che prevede un processo. I magistrati devono celebrare i processi e, se avessero celebrato 200 processi con condanne di sei mesi l'uno, quel tale sarebbe stato in carcere e non avrebbe commesso l'omicidio.
Il problema è che il provvedimento di clemenza dell'indulto può essere condiviso soltanto se siamo d'accordo sul fatto che la magistratura lavora male. Dispongo di tutti i dati tranne di quelli relativi a coloro che sono in carcere in via provvisoria, senza che sia intervenuta una sentenza definitiva di condanna. Tuttavia, se le carceri sono sovraffollate, a questi ultimi dati dobbiamo mettere mano e dobbiamo renderci conto che i processi devono essere celebrati e in carcere devono stare le persone che sono state condannate. Bisogna provvedere al reinserimento ed è necessario che ci siano i giudici incaricati di seguire il momento dell'esecuzione - altrimenti evitiamo la fase del giudice dell'esecuzione e sostituiamolo con l'assistente sociale! - e di sfoltire, quanto più possibile, le carceri. Altro che teoria della supplenza della magistratura rispetto al Parlamento che non fa le leggi! Bisogna che si affermi in modo chiaro che questa è una teoria della supplenza del Parlamento rispetto ai giudici che non giudicano, che non fanno il loro lavoro o lo fanno male! Sono persone che beneficiano di 45 giorni di ferie all'anno, che lavorano se vogliono lavorare, altrimenti non lavorano e non c'è nessuno che li controlli. Potrei occupare il tempo a mia disposizione Pag. 15e quello degli altri colleghi che interverranno successivamente per spiegare questi fatti.
L'impostazione che bisogna dare, secondo me, è la seguente: noi dobbiamo pervenire all'indulto per un motivo molto semplice, cioè perché abbiamo un problema da risolvere: il cattivo comportamento della magistratura. Questo problema, tuttavia, non possiamo risolverlo esclusivamente attraverso l'indulto. Mi piacerebbe confrontarmi con chi intende adottare questo genere di provvedimenti, perché io sono concettualmente più favorevole ad una ipotesi di amnistia che ad una ipotesi di indulto. Il motivo è estremamente semplice: nel caso di amnistia, il meccanismo - dati i presupposti che esporrò - interviene su ipotesi di reato; nel caso di indulto, invece, siamo di fronte a un provvedimento di clemenza che interviene su reati oggettivamente commessi. L'indulto, infatti, è concesso una volta che sia accertata l'esistenza del reato e sia definitiva la sentenza di condanna. Peraltro, se di opportunismo si può parlare, siamo di fronte ad un ulteriore carico di lavoro per i magistrati, i quali dovranno celebrare il processo, concluderlo e, una volta terminato, dovranno, di fatto, «pestare l'acqua nel mortaio» in quanto emetteranno una condanna che non sarà eseguita in virtù del provvedimento di indulto.
A questo proposito, vorrei segnalare due momenti - che ritengo significativi - vissuti nei giorni scorsi qui alla Camera. Mi riferisco all'appello rivolto dall'onorevole Casini e recepito dal Presidente in occasione di quello che è stato definito un attacco giudiziario nei confronti del collega Fitto. Come il Presidente stesso ha detto, bisognerà cercare delle soluzioni per riequilibrare il fronteggiarsi di quelli che a tutti gli effetti sono due poteri dello Stato. In realtà, anche se parlo di poteri dello Stato, sappiamo che la magistratura non è tale, posto che la Costituzione stessa la ritiene un ordine. La magistratura non può essere un potere dello Stato perché in base alla Rivoluzione francese il potere deriva dal popolo; quindi, se la magistratura è un potere, si faccia eleggere (siamo anche disponibili a questa ipotesi)!
Vorrei anche segnalare il caso di diniego all'arresto di due colleghi, la scorsa settimana, caso in cui si è visto come l'intera Camera abbia ritenuto il provvedimento dei giudici palesemente persecutorio nei confronti dei deputati interessati. Inoltre, osservo che il diniego del provvedimento restrittivo presuppone non l'accertamento della fondatezza o meno dell'ordine di cattura, bensì l'accertamento - cosa che abbiamo fatto all'unanimità - del fumus persecutionis. In sostanza, abbiamo riconosciuto che alcuni giudici stanno perseguitando alcuni politici.
Ricordo - non ero parlamentare ma ho seguito l'evento in televisione - la visita in quest'aula del Santo Padre, il quale ha invocato un provvedimento di clemenza davanti a tutta l'Assemblea. Tale provvedimento non è stato adottato. Ciò significa - è stata una responsabilità abbastanza seria che ci siamo assunti - che la Camera non ha ritenuto, allora, di poter procedere in termini di un provvedimento di clemenza secco, espressione di un potere «grazioso» dello Stato (in realtà, del Presidente della Repubblica, per il tramite delle Camere, che adottano tale provvedimento di clemenza). In quel caso si è detto «no».
Se dunque ciò è accaduto, significa che il provvedimento di clemenza deve essere adottato in presenza di forti ragioni politiche, più forti dell'invito che il Santo Padre ha lanciato in quest'aula. Io, però, simili forti ragioni politiche non le vedo, perché il sovraffollamento delle carceri non è certamente una forte ragione politica, bensì un problema al quale bisogna dare risposta, mettendo «al trotto» coloro che vi sono preposti, che fanno 45 giorni di ferie l'anno, guadagnando quanto un parlamentare, con la differenza che i parlamentari sono 900 e loro sono 9 mila e il 60 per cento del loro lavoro viene in pratica svolto da precari pagati 50 euro a sentenza: i giudici di pace. Questa è la verità! Quindi, un provvedimento per lo sfollamento delle carceri andrebbe sollecitato in questo senso.Pag. 16
Ma allora, quale altra ragione politica potrebbe esservi? Personalmente, ne vedo solo una. Il collega Castelli ha proposto una riforma dell'ordinamento giudiziario, per la verità in maniera molto blanda. È chiaro, infatti, che un conto è il pensiero, altro conto è ricercare le convergenze in aula. Tuttavia, ritengo che potremmo varare questo provvedimento se abbiamo in cantiere degli accordi, se esistono dei meccanismi attraverso i quali raggiungere un accordo su un punto fondamentale, quello, cioè, di dare un riassetto generale al sistema della magistratura.
Un appello più forte di quello lanciato dal Pontefice potrebbe essere dato solo da un riassetto costituzionale della magistratura; occorre cioé che quest'organo dello Stato si metta davanti allo specchio, la smetta di «mettere le zampe» anche in quest'aula, di essere parte di una corrente o di un partito (o peggio, la corrente principale di questo o quel partito posto che, ultimamente, mi chiedo chi comandi, se la corrente o il partito), e si dia un riassetto in maniera politica e democratica.
I giudici ci devono dire di voler fare i giudici, di voler essere sottoposti alla legge - quindi, sotto la legge -, senza che vi sia alcun tipo di intralcio di carattere politico.
Ricordo i congressi della magistratura quando la corrente della magistratura indipendente dichiarava la propria indipendenza anche dai politici. Avevano ragione: fuori i politici dalla magistratura e, soprattutto, fuori i magistrati dalla politica!
Non vorrei essere sgradevole nel fornire un elenco di nomi, ma vorrei sapere quali meriti politici hanno avuto illustri magistrati che, appena entrati in politica, sono stati incaricati di fare i ministri.
Noi della Lega, che vantiamo il merito di attaccare manifesti, scontrandoci con le segreterie politiche e provinciali, vediamo una serie di giudici per i quali il Parlamento è un cursus honorum per arrivare a determinate cariche. Dovete dirmi cosa ha fatto politicamente il ministro Di Pietro prima di diventare ministro! Quale merito aveva se non quello di aver attribuito riconoscimenti ad una determinata parte politica? Ricordo, anche in quest'aula, alcuni interventi, anche tragici, ove parti politiche hanno usato, purtroppo, la magistratura come una clava.
Se affermiamo che la magistratura è un potere, visto che il potere deriva dal popolo, occorre che i magistrati siano eletti. Almeno, vi sarà una giustizia di maggioranza contro una minoranza, che è certamente peggio di una giustizia di un magistrato sottoposto alla legge, ma che darebbe il primato di una giustizia giusta. Invece, sono nate queste correnti e le persone si sono inserite in questo meccanismo politico: vi è una magistratura che porta avanti una giustizia di minoranza contro la maggioranza.
Allora, se vi è questa idea e questa intenzione, ritengo che un riequilibrio dell'assetto costituzionale dello Stato possa rendere accettabile il diniego fatto al Pontefice. Ma, se tale meccanismo non sussiste, siamo nuovamente di fronte ad un criterio non giustificabile logicamente.
Se, allo stato attuale, i politici sono considerati la sentina della società, non si potrà andare molto in avanti. Occorre che la Camera ed il Senato riacquistino il proprio prestigio e la loro importanza in quanto, senza tali istituzioni, manca la democrazia!
PRESIDENTE. Sospendo la seduta per cinque minuti.
La seduta, sospesa alle 10,55, è ripresa alle 11.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.
LEOLUCA ORLANDO. Signora Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi deputati, questo è il primo intervento in materia giudiziaria del nuovo Parlamento e di questa Camera dei deputati dopo le elezioni dell'aprile scorso. Questo mio intervento è il primo di quelli che i parlamentari dell'Italia dei Valori faranno per spiegare le ragioni di una posizione molto forte e chiara.Pag. 17
Noi siamo convinti che bisogna procedere in armonia con una riforma del sistema penale e, all'interno di questa, anche con l'adozione di atti di clemenza, peraltro previsti dalla nostra Costituzione.
Siamo di fronte, invece, soltanto ad un atto di clemenza, peraltro parziale, in quanto si prevede il solo indulto, e all'assenza di una ipotesi di riforma, anzi - cosa ancor più grave -, siamo in presenza di un atto di clemenza in contrasto con le ipotesi di riforma nelle quali noi dell'Italia dei Valori crediamo e nelle quali crede la coalizione dell'Unione.
Si adduce, come ragione di questa scelta, il sovraffollamento degli istituti carcerari. Si parla di un sistema carcerario che dovrebbe essere civile, della funzione rieducativa della pena e della sua umanizzazione. Si parla dell'esigenza di un trattamento diverso e migliore dei detenuti e anche di coloro che detenuti non sono, ma che, per ragioni di lavoro, operano all'interno degli istituti carcerari.
Si parla di tutto questo ma, in realtà, si propone soltanto un indulto, senza amnistia e senza riforma. Si afferma che devono essere esclusi da questa applicazione i reati commessi successivamente al 2 maggio 2006. Si sceglie questa data, piuttosto che, come si potrebbe fare, una data anteriore.
Si sceglie anche di escludere i reati che presentano particolare allarme sociale. Qui è evidente la contraddizione, perché, nell'individuazione dei reati che causano particolare allarme sociale, sostanzialmente assistiamo ad una elencazione che riguarda il terrorismo, la mafia e la pedofilia, ma non i reati che, a nostro avviso, destano particolare e gravissimo allarme sociale e che contrastano con l'esclusione annunciata in via di principio.
Voglio citare per tutti l'esempio dell'articolo 416-ter. Ritiene il Parlamento che non produca allarme sociale il voto di scambio mafioso? Questo indulto produrrebbe effetti, ove venisse approvato nel testo proposto dalla maggioranza della Commissione, nei confronti di condannati per reati di voto di scambio mafioso. La data del 2 maggio serve proprio a coprire le elezioni di questo Parlamento. Quindi, se durante le elezioni politiche nazionali qualcuno avesse commesso il reato di voto di scambio mafioso, starebbe tranquillo, perché l'indulto opererà a favore della sua non espiazione della pena.
Come se non bastasse, si ritiene che non destino allarme sociale i reati previsti dai capi primo e secondo del titolo I del libro secondo del codice penale? Il reato di peculato non determina allarme sociale? La malversazione in danno dello Stato non determina allarme sociale? La concussione non determina allarme sociale? La corruzione in atti giudiziari? Si è approvata una apposita norma, l'articolo 319-ter, proprio per il particolare allarme sociale causato dalla corruzione di magistrati, perché vogliamo essere liberi da un sistema nel quale esistono corruttori di magistrati e, soprattutto, magistrati corrotti. L'indulto si applica anche a loro.
L'indulto si applica anche all'articolo 372, in materia di falso in informazioni al pubblico ministero, all'articolo 459, sull'avvelenamento delle acque. Ma l'avvelenamento delle acque non è un reato che produce allarme sociale? L'indulto si applica ancora, all'articolo 440, sull'adulterazione alimentare, e non produce, questa, allarme sociale?
Si dice che vi sia sovraffollamento delle carceri, ma esso non dipende dai responsabili di questi reati perché, per fortuna, il voto di scambio mafioso non riguarda migliaia di persone. Invece, si utilizzano le vittime di una brutta legge, la cosiddetta Bossi-Fini, come «ostaggio», come un cavallo di Troia che serve ad inviare un messaggio, che è esattamente l'alternativa rispetto alla riforma della giustizia penale.
Per favore, per rispetto alla mia identità di laico e di credente, per rispetto al Santo Padre e al Parlamento, non ritengo opportuno continuare a citare l'intervento del Pontefice in Assemblea: è una mancanza di rispetto per il Santo Padre e per il Parlamento. È mancanza di rispetto pensare che Giovanni Paolo II avesse voluto far riferimento alle false comunicazioni sociali ed ai reati contro la pubblica amministrazione.Pag. 18
Dobbiamo farci carico di dire «no» al voto di scambio mafioso, dire «no» in maniera chiara «ai furbetti del quartiere» e ai vari personaggi coinvolti nello scandalo Parmalat e dintorni, ai corruttori di magistrati ed ai magistrati corrotti, se non vogliamo che il Parlamento inizi nel modo peggiore ad affrontare i temi della giustizia.
Chiediamo che si proceda a depenalizzare alcuni reati, si proceda a depenalizzare la cosiddetta Bossi-Fini, piuttosto che a ripenalizzare, come proponiamo, il falso in bilancio. Questo è il nostro appello, affinché il provvedimento di legge in esame non sia un cavallo di Troia.
È vero: è necessario un patto, in quanto occorre una maggioranza di due terzi, ma se il patto...
PRESIDENTE. Onorevole, dovrebbe concludere: il tempo a sua disposizione è terminato.
LEOLUCA ORLANDO. Grazie, signora Presidente, utilizzerò anche parte del tempo concesso ai colleghi del mio gruppo.
Ma se il patto dovesse, eventualmente, avere per oggetto, come accade, uno sciagurato provvedimento legislativo, possiamo chiamare questo patto «sciagurato», un patto che gli elettori non capirebbero.
Per questo rivolgiamo un forte appello a tutte le forze del Parlamento e, in particolare, ai partiti dell'Unione. Che cosa avrebbero fatto, che cosa avremmo fatto, se tale proposta fosse stata presentata dalla coalizione della Casa delle libertà? Avremmo parlato di «salva corrotti», di «salva corruttori», di «salva evasori», di legge ad personam, di «salva Previti» e di «salva Berlusconi».
Per favore, serve coerenza con quanto, anche in Parlamento, abbiamo detto nei giorni passati e su cui abbiamo ottenuto il consenso da parte degli elettori! Serve coerenza anche con l'ipotesi di riforma del sistema carcerario e del sistema giudiziario che questo «sciagurato» provvedimento smentisce clamorosamente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Naccarato. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO NACCARATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di legge in discussione nasce innanzitutto dall'esigenza di rispondere al sovraffollamento della popolazione carceraria, come ha bene illustrato il relatore questa mattina.
Si tratta di un problema antico e, infatti, anche nella passata legislatura si discusse a lungo e in più occasioni di indulto. Alla fine del 2005, si arrivò addirittura a porre in votazione, e a respingere nei fatti attraverso l'approvazione di alcuni emendamenti, un provvedimento per la concessione di amnistia e di indulto.
In passato, il Parlamento è ricorso più volte a provvedimenti di questo tipo. Dal 1946 ad oggi vi sono stati venti provvedimenti, per quanto riguarda solo l'indulto, che hanno rappresentato uno strumento efficace per ridurre il sovraffollamento negli istituti carcerari. I dati sono conosciuti (diversi interventi si sono soffermati su tali aspetti): abbiamo, oggi, circa 16.700 carcerati in più rispetto alla capienza possibile, quasi il 45 per cento in più di quelle 43 mila potenziali presenze che le nostre carceri potrebbero ospitare.
Ciò significa che le nostre carceri versano in condizioni difficili, spesso al limite della sopportabilità, e che i detenuti e gli altri soggetti che lavorano in questa struttura (penso in particolare agli agenti di polizia penitenziaria ed al personale amministrativo) subiscono condizioni peggiori di quanto il nostro ordinamento preveda.
Non dobbiamo scordare, infatti, che l'articolo 27 della Costituzione stabilisce che le pene debbano tendere alla rieducazione del condannato ed il carcere, perciò, è il luogo dove il condannato sconta una pena e viene privato della libertà.
Il carcere è anche il luogo dove lo stesso condannato dovrebbe essere recuperato per essere reinserito come cittadino nella nostra società. Oggi, molto spesso e soprattutto a causa delle condizioni delle carceri, accade esattamente il contrario. Il carcere è un luogo criminogeno dove i condannati, magari per reati minori, imparano a delinquere ed entrano in relazione con soggetti ed organizzazioni criminali Pag. 19che accolgono il detenuto al termine della pena. Il carcere è in molte occasioni una scuola di malavita, che non migliora le persone, ma al contrario le riempie di odio verso la società e le mette in condizione di delinquere di più e peggio nel momento in cui escono dalle strutture.
In questo modo, rischiamo di convivere con un atteggiamento di grande ipocrisia e di scarsissima efficacia nella lotta alla criminalità. Non si può continuare a fingere senza vedere che l'attuale situazione carceraria rende in realtà la nostra società meno sicura. Con queste motivazioni si è posta l'esigenza di un provvedimento di indulto. Infatti, se le carceri funzionano meglio, possono recuperare delle persone e contribuire a reinserirle nella vita comune.
Il sovraffollamento - ho ascoltato in proposito l'intervento dell'onorevole Brigandì - non è causato dai giudici che non lavorano. Credo dovremmo finirla di dare la colpa di tutto ciò che non funziona nel nostro paese ai magistrati, magari utilizzando espressioni più o meno offensive. Dovremmo dire la verità su un altro aspetto: casomai, il sovraffollamento è causato dagli scarsi investimenti dello Stato nelle strutture relative al funzionamento della giustizia, delle carceri. In particolare, nella scorsa legislatura vi sono state riduzioni particolarmente significative in questo campo. Forse, lì troviamo le cause del sovraffollamento carcerario, e non nel lavoro che molti carcerati - come noto - svolgono in maniera egregia nel rispetto delle nostre istituzioni e del nostro ordinamento.
Con queste finalità, il provvedimento in discussione contiene diversi aspetti positivi. In particolare, propone un indulto condizionato, una sorta di patto tra Stato e condannato. In cambio di uno sconto di pena, il beneficiario non deve commettere reati nei cinque anni successivi, pena l'annullamento dell'indulto. A me pare un modo concreto e semplice per offrire un'opportunità a chi è stato condannato, cercando in questo modo di limitare e contrastare i rischi, molto frequenti, che il detenuto, una volta fuori, ricominci a delinquere.
L'indulto, inoltre, estingue solo la pena e non il reato. Pertanto, presuppone l'accertamento della colpevolezza dell'imputato e il completamento dell'azione penale. Non vi è, dunque, alcun colpo di spugna. Anche su questo punto, credo sia opportuno che nel nostro dibattito vi sia la massima chiarezza: non vi è alcun colpo di spugna, ma semplicemente una riduzione, dopo l'accertamento della colpevolezza, della pena detentiva.
Per tali ragioni, appaiono strumentali le critiche di chi vorrebbe estendere i reati esclusi dall'indulto a delitti odiosi e gravi, ma che già oggi non comportano di fatto la detenzione in carcere.
Per i reati contro la pubblica amministrazione, della cui gravità siamo convintissimi (non servono il dibattito di questi giorni ed ulteriori elementi di convinzione in questo senso), è importante l'accertamento delle responsabilità, delle relazioni criminali, dei complici coinvolti. Per questo motivo, non vogliamo l'amnistia, che estinguerebbe il reato. Tuttavia, bisogna anche sapere, per essere efficaci e concreti nella lotta contro questi reati, che per punire i colpevoli di reati contro la pubblica amministrazione spesso, più che le pene detentive, sarebbero molto efficaci l'interdizione dai pubblici uffici o serie pene pecuniarie che, non a caso, sono escluse dal provvedimento di cui si sta ragionando. Infatti, a questo tipo di pene l'indulto non si applica, lasciando intatto il sistema sanzionatorio verso i colpevoli di simili reati. Su questo tema la Commissione ha discusso a lungo e credo si sia raggiunto un buon punto di intesa.
Ritengo che, senza cedere a spinte di natura demagogica o all'attenzione che l'opinione pubblica sta rivolgendo, in particolare, a questo aspetto del provvedimento, dobbiamo dire con chiarezza che con l'indulto - nel testo licenziato dalla Commissione che è oggi in discussione - tutti i processi si svolgeranno, i reati saranno perseguiti e i colpevoli saranno individuati e puniti, anche rispetto a quei reati di cui parlava il collega che mi ha preceduto. Mi riferisco ai reati finanziari, ai reati contro la pubblica amministrazione Pag. 20e al reato di cui all'articolo 416-ter del codice penale. Le responsabilità saranno accertate. Inoltre (anche su questo punto credo sarebbe giusto prestare un po' di attenzione), sono stati esclusi alcuni reati oggettivamente pericolosi dal punto di vista dell'allarme sociale che destano. Non credo che questi ultimi possano essere paragonati ad altri reati che, invece, abbiamo compreso nel provvedimento. Parliamo dei reati contro le istituzioni democratiche (come i delitti di terrorismo interno e internazionale, la partecipazione a banda armata, i reati per mafia) e di reati gravissimi contro la persona come la violenza sessuale, il sequestro di persona, la pedofilia, nonché la produzione e il traffico di sostanze stupefacenti.
Questi sono i reati che sono stati esclusi dall'ambito di applicazione dell'indulto.
Infine - e concludo -, per rendere più credibile ed efficace il provvedimento, tutti dovremmo cominciare ad immaginare di accompagnare all'indulto misure che favoriscano e consentano il reinserimento dei detenuti, in applicazione dell'articolo 27 della Costituzione: credo che questo sarà il terreno dell'ulteriore lavoro della Commissione e del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pecorella. Ne ha facoltà.
GAETANO PECORELLA. Signor Presidente, vorrei dire subito all'amico Consolo che non sto dalla parte di Caino (e credo che nessuno di noi stia dalla parte di Caino); ciò non significa, però, che non riconosca anche a Caino il diritto di essere trattato come un essere umano, il diritto a vedere rispettata la sua persona.
Credo che, nella discussione di un provvedimento difficile ma importante, dovremmo abbandonare, con lucidità e con senso di responsabilità, ogni divisione ideologica. Non vi sono, come si vorrebbe far credere, due visioni contrapposte del mondo: da una parte, coloro che si schierano con gli autori dei reati, dall'altra, quelli che si schierano con le vittime; da una parte, chi è tollerante, dall'altra, chi sceglie la strada del rigore; da una parte, chi vede la pena come rieducazione, dall'altra, chi la vede come vendetta. Viceversa, dovremmo ragionare in termini molto concreti, tenendo conto della situazione che dobbiamo affrontare: parliamo di indulto non per la scelta libera di affrontare il tema, ma perché uno stato di necessità ce lo impone.
Tutti i colleghi che sono intervenuti si sono trovati d'accordo su un dato. Oggi, la situazione carceraria non corrisponde in alcun modo a ciò che vorrebbe la Costituzione: la Costituzione vuole una pena che tenda alla rieducazione. Per questo ci vogliono spazi, ci vuole l'istruzione in carcere, ci vuole il lavoro, ci vuole lo sport: in sostanza, un sistema carcerario che restituisca alla società un uomo migliore rispetto a quello che vi era entrato. Credo che un senso di pudore ci impedisca di affermare che le carceri hanno oggi, in misura minima, un simile ruolo. Quindi, come politici e come uomini di legge, dobbiamo prendere atto che lo Stato italiano non ha rispettato e non sta rispettando la Costituzione oramai da molti anni.
La Costituzione contiene anche un limite all'accettabilità della pena. Il limite è che la pena non deve essere contraria al senso di umanità. Allora, dovremmo chiederci - e dovrebbero chiederselo coloro che sono contrari all'indulto - se la visione delle carceri di oggi offenda o meno il nostro senso di umanità.
Signor Presidente - mi rivolgo a chi si è dichiarato contrario -, io credo che il senso di umanità consista semplicemente nel non volere che un uomo soffra più di ciò che è giusto per quanto riguarda la pena che deve scontare; il senso di umanità consiste nell'avere la certezza che ogni uomo è comunque rispettato, anche nel momento in cui deve pagare per le sue colpe. Siete convinti, voi che vi opponete, che il vostro senso di umanità resti indifferente rispetto alla situazione attuale delle carceri?
Se questa è la situazione, se le cose stanno così - e stanno così -, il Parlamento ha l'obbligo di porre rimedio alla Pag. 21mancata attuazione, all'offesa di un principio costituzionale. Sembra quasi strano che non ci si renda conto che una norma di questo peso, come l'articolo 27 della Costituzione, sia violata e che qualcuno voglia continuare a violarla.
Se ciò è vero, bisogna trovare un rimedio: questo è il punto, non la vittima, l'autore o altro, ma il rimedio. Ci sono altri rimedi, oggi, diversi da un provvedimento di clemenza? Certo, c'è la possibilità di costruire nuove carceri. Oggi? Nell'arco di tempo necessario perché questa situazione diventi più tollerabile? C'è la possibilità di cambiare il codice penale, il codice di procedura penale. Oggi? Nei tempi necessari perché questa situazione diventi più tollerabile?
L'onorevole Consolo proponeva un decreto-legge per consentire agli stranieri di scontare la pena nel loro paese. Mi permetto di fargli osservare che non si può procedere in questo modo: bisogna fare i trattati internazionali, e per fare i trattati internazionali ci vuole tempo, come per costruire le carceri, come per consentire di avere un nuovo codice penale. Non possiamo nemmeno - lo dico con tutta franchezza - non tenere conto che siamo stati responsabili per cinque anni dell'amministrazione della giustizia, ed oggi non possiamo dire che se certe cose non sono state fatte non sia anche responsabilità di chi ha amministrato questo paese.
L'indulto non è un'invenzione di un gruppo di persone troppo buoniste; l'indulto è previsto dalla Costituzione. È uno strumento che la Costituzione ha considerato per un motivo molto chiaro: quello di consentire che la pena, che non deve essere contraria al senso di umanità, quando vi siano situazioni di emergenza, recuperi le sue caratteristiche costituzionali attraverso un provvedimento di clemenza. Perché mai la Costituzione si sarebbe dovuta preoccupare di regolamentare l'indulto se questo non fosse un istituto di bilanciamento, di contrappeso all'interno della Costituzione? Tale istituto è così rilevante che non si potrebbe cancellarlo dal nostro ordinamento, se non attraverso una legge costituzionale.
L'indulto non è soltanto uno strumento per sfollare le carceri: questa è una visione troppo semplicistica del problema. Calcoliamo la pena attraverso il tempo: il tempo di un giorno, di un anno, di dieci anni. Tuttavia, il tempo non è sempre uguale. Lo sappiamo bene, la nostra vita ha tempi diversi: un'ora di felicità può avere la durata di un secondo di sofferenza. Ebbene, il tempo delle carceri cambia a seconda del trattamento a cui una persona è sottoposta. Un anno di carcere dove sia rispettata la persona e le sia dato ciò di cui ha diritto è diverso rispetto ad un anno trascorso in un carcere dove viene negata anche l'umanità che a tutti compete, fuori o dentro dal carcere. Credo che, nel momento in cui pensiamo ad un provvedimento di indulto, abbiamo anche in mente che quando si sconta la detenzione in questo tipo di carceri i tempi sono molto più lunghi e molto più pesanti.
Certo, a noi sta a cuore anche la sicurezza, non c'è dubbio: è la base della vita sociale. Questo provvedimento ne tiene conto perché ha voluto escludere i reati di grave allarme sociale e ha voluto prevedere la revoca, una condizione per cui coloro che escono dal carcere, in quei tre anni che probabilmente li avrebbero resi peggiori per il trattamento subito, sappiano che torneranno in carcere se non rispetteranno le regole della società.
Qualcuno vorrebbe l'esclusione di alcuni reati non perché questo risponda ad un principio di giustizia, non perché risponda ad un principio di sicurezza, ma in odio a qualcuno. Ebbene, non credo si possano approvare provvedimenti in odio a persone particolari. La scelta della Commissione si è basata su alcuni criteri razionali: i precedenti, la natura violenta e l'eccezionale odiosità dei reati, i criteri di esclusione previsti nella legge del 2003, il cosiddetto indultino, il testo unitario che si è rifatto ai testi base. Dunque, si tratta di una soluzione condivisa, non perché vi sia una convergenza di interessi singolari, come qualcuno sostiene, ma perché è un punto di equilibrio e sappiamo bene che l'indulto e l'amnistia non si possono approvare, se non si raggiunge un punto di Pag. 22equilibrio tra le diverse forze politiche. A nostro avviso, il testo presentato all'Assemblea contiene le caratteristiche dell'equilibrio; quindi, crediamo vada sostanzialmente mantenuto.
Siamo egualmente sensibili alle vittime dei reati. Chi non lo è? Chi non è sensibile a chi ha subito una violenza, un torto? Ma questo non significa che si debba trasformare la pena in una vendetta, perché se concepiamo la pena come una vendetta, torniamo al principio del taglione.
Questo non significa che il rispetto delle vittime non comporti anche, in misura diversa e secondo criteri diversi, il dovere di rispettare anche l'autore del reato. Ad avviso dell'onorevole Consolo, avremmo dovuto prevedere il risarcimento come condizione. Ma perché non è così e perché non è possibile? In primo luogo, perché ciò avrebbe creato una disparità tra coloro che sono in grado di risarcire e coloro che non sono in grado di farlo. In secondo luogo, perché il risarcimento è già previsto nella sentenza di condanna, quindi, o la sentenza può avere esecuzione, perché vi sono i beni, o non può avere esecuzione. Non è che non abbiamo voluto prevedere il risarcimento, perché non abbiamo interesse alla tutela della vittima. E poi, d'altra parte, la vittima, che è presente e forte e che giustamente è la persona offesa nel nostro ordinamento, non esclude che l'ordinamento preveda una serie di istituti che tengano conto del passare del tempo nell'esecuzione della pena e sono istituti che non sono di oggi, ma che risalgono addirittura ai tempi di Stati autoritari: la sospensione condizionale della pena, la liberazione anticipata, la semilibertà, la liberazione condizionale, la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, che tanto è servito anche a qualcuno che è un rappresentante importante della politica.
Bene, queste sono misure ordinarie. Riteniamo che oggi sia necessario un provvedimento eccezionale per la situazione eccezionale in cui ci troviamo. Non andiamo contro la logica del codice. Attuiamo una norma costituzionale, che è l'indulto, e ne rispettiamo un'altra, che è l'articolo 27.
Nel concludere il mio intervento, chiedo soltanto che si torni al rispetto della ragione e del buonsenso. Non è il momento di farsi propaganda politica sulla sofferenza di qualcuno. Credo che, se il Parlamento arrivasse ad un voto senza divisioni, darebbe un segno di saper guardare al di là degli interessi di parte, anche al di là dell'utilità che può arrivare da una scelta piuttosto che da un'altra. Il Parlamento sa guardare ai diritti fondamentali della persona, come uno dei suoi compiti e delle sue missioni fondamentali. Credo che, in tal modo, ci dimostreremmo giusti e responsabili, non scontrandoci per cercare di guadagnare un voto in più o in meno. Non è questa la nobiltà della politica (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, de L'Ulivo e dei Verdi - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capotosti. Ne ha facoltà.
GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, molto è già stato detto in quest'aula stamattina in ordine al testo su cui discutiamo. Tuttavia, vorrei sottolineare ancora una volta le condizioni obiettive nelle quali ci muoviamo.
Parliamo dunque di un sistema giustizia che è assolutamente in crisi, che è in ritardo in ordine ai molti moniti provenienti dall'Unione europea e ai molti precetti contenuti nella nostra Costituzione: quindi, su tutti i fronti. Possiamo parlare del processo civile, del processo penale - per tacere delle altre giurisdizioni -, del sistema carcerario, come quest'oggi in qualche modo ci accingiamo a fare. Parlare del sistema carcerario vuol dire sottolineare la natura della pena e cercare di capire - nell'adempimento di una funzione che compete allo Stato sociale, cioè ad uno Stato avanzato che promuove la personalità dei singoli, che è funzione dei singoli che lo compongono e che, quindi, è semplicemente un ente esponenziale, non Pag. 23un ente che dall'alto procede autonomamente - e di rivedere il sistema delle pene.
Un sistema che dovrebbe essere improntato, come già è stato detto, ad una funzione di repressione, di prevenzione, ma, certamente - e questo è il dato carente -, di reinserimento sociale. Per noi cattolici pensare ad una pena che non tenda alla rieducazione e non consenta oggettivamente di reinserirsi nel tessuto sociale vuol dire commettere un abominio, vuol dire che lo Stato non assolve ai suoi doveri e non tende a quelle conquiste di civiltà e libertà che hanno fatto dell'Italia un grande paese nel mondo. Noi non vogliamo abdicare a questa funzione, non vogliamo pensare che lo Stato italiano sia così in difficoltà, che questa Camera sia così in difficoltà, da non partire dalle condizioni obiettive.
Allora, si parla dell'indulto, un istituto costituzionale, premiale, così viene definito nei codici. In buona sostanza, il testo odierno parla di una liberazione anticipata, che consente ad una serie di soggetti di uscire prima di essere messi in libertà, a condizione che non ricadano ancora in errore. Quindi, parliamo di una misura di clemenza estremamente limitata e condizionata, che non incide sull'accertamento del reato, cioè sulla violazione penale. La violazione penale è stata accertata, rimarrà iscritta, ma persone che hanno sbagliato avranno la possibilità di mettersi prima alla prova. Quindi, si tratta di un istituto che, da un lato, ha una funzione, più che sociale, squisitamente politica nel senso che prima ho enunciato, dall'altro, tiene anche conto delle nostre condizioni obiettive, nelle quali non è più possibile, addirittura in molti casi, arrivare all'esecuzione.
Nella mia proposta di legge avevo previsto un sistema di condizioni più pesanti per accedere all'indulto, quasi sulla scorta dell'affidamento in prova. Mi sono confrontato con diversi magistrati e mi hanno detto che si trattava di un'idea bellissima, ma mi confermavano che non c'erano assolutamente le strutture in grado di attuarla. Per cui, sulla carta avrei anche potuto insistere, ma, davanti alla natura obiettiva dei fatti, ho inteso fare una scelta di libertà e di responsabilità.
Per questo motivo credo che l'atto parlamentare che oggi andiamo a compiere - squisitamente parlamentare per la maggioranza particolare che esso deve raggiungere - non sia un pactum sceleris come alcuni hanno sostenuto, ma un momento di equilibrio che tiene conto delle condizioni obiettive nelle quali siamo costretti a lavorare. Tiene conto del fatto che è necessario riformare al più presto i processi, rivedere i sistemi delle pene, per arrivare al fine per cui tutti questi istituti sono stati concepiti: punire i colpevoli, aiutarli a capire che hanno sbagliato e a reinserirsi nella società, di modo che domani possano contribuire alla crescita.
Sarebbe troppo facile, nonché fortemente demagogico, dire: tutti in carcere (benissimo, però non ci sono le carceri e non c'è capienza); tutti a scontare le pene negli altri siti (benissimo, ma non è una misura fisicamente attuabile).
Non possiamo mettere la testa sotto la sabbia e continuare a farci belli con affermazioni che non hanno alcuna concreta possibilità di diventare reali. Dobbiamo partire da ciò che esiste in un quadro di riforma di sistema che sia, però, costituzionale. Un quadro di sistema che - mi dispiace che non sia presente l'onorevole Brigandì che ho ascoltato prima - sia rispettoso della divisione dei poteri conquistata in tanti secoli di lotte, in cui i poteri siano liberi ed indipendenti, in cui vi sia un quadro di raccordo ed in cui il sistema giustizia assolva ad una funzione che dovrebbe essere sempre più residuale, soprattutto per quanto attiene al piano carcerario. Un sistema giustizia che, avanzando, trovi le soluzioni più attuali rispetto a quelle che erano tali sessanta anni fa, per consentire il progresso della società.
Diversamente, noi sprechiamo risorse immense su soggetti che condanniamo dall'inizio a tornare a delinquere, perché non diamo loro alcuna possibilità effettiva e concreta di reinserirsi nella società. Ovviamente, ciò va fatto nel quadro della Pag. 24sicurezza generale; per questo motivo tutta una serie di crimini non possono entrare in questo provvedimento; per tale motivo si può parlare obbiettivamente di reinserimento, perché non parliamo di situazioni di particolare allarme sociale; per tale motivo ancora non si può essere una volta di più ipocriti.
Parlare di reati finanziari sapendo che saranno risolti dalle norme in tema di prescrizione - ma, forse, ci si riferisce a quelle sedici o diciotto persone che sono in condizioni di detenzione, anche se ancora per poco - e concentrare su questo una forma di giudizio che, addirittura, diventa una crociata contro, mi spinge a rifiutare di pensare che il Parlamento possa essere vincolato da «leggi-contro».
Voglio credere e rimarcare ancora una volta una funzione di Stato sociale che promuova effettivamente le condizioni di libertà e la realizzazione della persona. Uno Stato che adempia ai precetti costituzionali in tal senso mai potrà essere rappresentato da un Parlamento che pensa «contro». A me hanno insegnato che la politica si fa «per», e non «contro», qualcosa. Noi siamo qui in rappresentanza di tutti, possibilmente al servizio di tutti.
Tenuto conto del sistema generale, ritengo che il provvedimento, che stiamo oggi discutendo, sia equilibrato e possa essere approvato. A noi cattolici piace sottolineare la possibilità di maggiore rispetto della persona umana. Girando la medaglia si potrà dire: è un atto dovuto perché non siamo più in condizione di mantenere la popolazione carceraria. Io preferisco concentrarmi sul primo aspetto. Preferisco pensare ad un quadro di riforme a cui si sta dando avvio, nel quale la pena sarà sempre più strutturata come una misura alternativa alla detenzione, tale da mettere oggettivamente i soggetti che ne hanno i requisiti in condizione di partecipare, perché così noi li recupereremo al bene. In questo modo noi li sottrarremo effettivamente ad un contesto di delinquenza, nel quale, diversamente, continueranno a rimanere.
Credo che gli uomini possano sbagliare, nessuno di noi è perfetto, nessuno di noi ha la verità in tasca. Ritengo, però, che vi sia un principio di buona fede da rispettare. Credo che l'atto, in quanto riferibile ad una maggioranza parlamentare particolare, sia frutto di diverse esperienze e di diversi contesti, che tengono conto di tutte le situazioni che ho esposto. Credo che il provvedimento sia in condizioni di fornire oggi una risposta, rappresentando un primo segnale importante per una revisione generale del sistema. Sicuramente sarà necessario procedere nella direzione delle riforme globali.
Credo, tuttavia, che se oggi ci sotraessimo a questo confronto, semplicemente nascondendoci dietro la politica del «contro» o dietro un ragionamento particolare, renderemmo un cattivo servizio alla nazione, ossia alla comunità dei cittadini sul territorio nazionale e, soprattutto, negheremmo il mandato parlamentare che oggi ci vincola (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari-Udeur).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, desidero anzitutto esprimere una considerazione di gratitudine ai colleghi della Commissione giustizia, che hanno affrontato, con animo sgombro da pregiudiziali ideologiche, un tema sensibile e carico di drammaticità, quale quello dei provvedimenti di clemenza. Voglio riferire a quest'Assemblea il senso profondo della responsabilità dell'essere legislatore che ognuno dei componenti la Commissione giustizia ha dimostrato in questa circostanza non facile, così drammaticamente in bilico tra impulsi e spinte contrapposti, tra ragioni di partito e ragioni di coscienza, tra ricerca del consenso e tensione verso il risultato possibile, riuscendo a non cadere mai nelle derive della propaganda, della facile retorica e della contrapposizione pregiudiziale.
Va dato merito ai deputati della II Commissione di aver concorso a costruire Pag. 25un clima - so che ciò è stato ricordato in precedenza dall'onorevole Consolo -, un metodo di lavoro, una possibilità fondata sul rispetto reciproco, sfidando e sconfiggendo l'endiadi letale amico-nemico che troppo spesso ha caratterizzato i dibattiti politici nelle ultime stagioni. L'esperienza di lavoro su questo provvedimento ci ha restituito il senso di una possibilità antica, epppure spesso caduta in desuetudine: un Parlamento quale luogo del confronto e non del conflitto, dell'iniziativa legislativa e non solo della ratifica, della rappresentanza delle culture e delle sensibilità plurali del paese e non del pensiero conforme. Ciò è una grande risorsa, all'altezza della migliore tradizione parlamentare dell'Italia democratica, che dobbiamo insieme valorizzare. Grazie, dunque, a tutti i deputati della Commissione, ai funzionari, al relatore, ai colleghi che hanno condiviso il testo proposto all'attenzione dell'Assemblea ed a quelli che, motivatamente, non l'hanno condiviso in toto o in alcune sue parti, quali i deputati del mio gruppo, L'Italia dei Valori, cui va la mia considerazione e la mia solidarietà per l'impegno coerente con i principi fondativi del movimento.
Credo sia un esercizio necessario in questo dibattito asciugare le nostre parole da ogni ridondanza retorica e puntare dritto al cuore delle questioni, facendoci guidare dai riferimenti costituzionali. È, infatti, l'articolo 79 della Costituzione, lo ricordava il collega Pecorella, a dichiarare subito la natura del provvedimento di clemenza, una natura squisitamente parlamentare, considerato l'altissimo quorum richiesto per l'approvazione, superiore addirittura a quello necessario per operare modifiche alla Costituzione. Perché il Parlamento, nel 1992, modificò la norma, enfatizzando in tal modo la natura consensuale dell'amnistia e dell'indulto? Perché, evidentemente, intendeva sottolineare l'eccezionalità dell'intervento clemenziale, immaginando non solo che non potesse essere brandito come strumento politico di parte, ma anche che il suo potenziale abuso non inficiasse il significato della pena, che ha un valore dissuasivo, perché serve per mostrare a tutti che il crimine non paga e, in ragione di ciò, anche a prevenire la commissione di nuovi reati. Ma la pena è chiamata anche ad un'altra funzione.
Il terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione rammenta che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Il costituente dunque privilegiò il profilo rieducativo, anche rispetto a quello afflittivo, pur confermando ovviamente il valore retributivo della pena. Attraverso quali modalità potrà attuarsi il fine della rieducazione? Lo dice la prima parte dello stesso comma, che recita: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Non v'è dubbio alcuno sul fatto che, se le celle delle carceri italiane, concepite per ospitare 41 mila detenuti, sono costrette ad ospitarne 61 mila, queste costringono per ciò stesso, ma non solo per questo - ce lo ricordava in quest'aula Giovanni Paolo II nel novembre del 2002 - ad una condizione di cattività.
Queste considerazioni, io credo, sono state alla base delle determinazioni che hanno condotto la Commissione giustizia ad adottare il testo proposto poi all'Assemblea, costruito con una valutazione rigorosa quanto alle cause di esclusione dai benefici, ben ventisette, riferite ad una gamma di reati gravi: esclusioni inusuali in un provvedimento di indulto, in genere proiettato verso sconti di pena oggettivi perché calibrati sul tempo. Certo, altre esclusioni avrebbero potuto trovare luogo nel testo; penso in particolare alle istanze dell'Italia dei Valori, riferite ai reati finanziari e contro la pubblica amministrazione, probabilmente incontrando una condivisione molto larga nel paese, anche se probabilmente non la condivisione dei due terzi dei parlamentari richiesta dalla Costituzione.
Sia chiaro: nessun legislatore serio e responsabile potrà dichiararsi felice per un indulto invocato a fini deflattivi. Questa è una dichiarazione di incapacità da parte dello Stato di garantire l'esecuzione della pena nelle condizioni previste dall'articolo 27 della Costituzione. Io stesso proverei disagio se non mi sentissi impegnato, come Pag. 26presidente della Commissione, a garantire da subito un'attività di revisione dell'intero assetto, assai più articolato, del comparto, riconsiderando le politiche della pena in una nuova dimensione di efficienza e di efficacia.
PRESIDENTE. Onorevole Pisicchio, la invito a concludere.
PINO PISICCHIO. Senza questa prospettiva, quello che facciamo in queste ore sarebbe inutile. Questo dunque è l'impegno che assumiamo di fronte a questa Assemblea parlamentare e di fronte al paese. Con questo impegno e con questi intendimenti, avvertendo forte in me la responsabilità istituzionale della presidenza della Commissione, anticipo che assumerò nel voto in Assemblea la stessa posizione di terzietà manifestata nei lavori di Commissione, non in dissenso dal mio gruppo, bensì in ossequio al ruolo istituzionale, al quale sono chiamato e al quale intendo conformarmi nel corso del mio mandato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costa. Ne ha facoltà.
ENRICO COSTA. Signor Presidente, colleghi deputati, di amnistia e di indulto si è parlato in molte circostanze. Il primo provvedimento è del 1942. I provvedimenti di clemenza hanno delle origini remote. Essi discendono dal potere sovrano di clemenza, la cosiddetta indulgentia principis. Quindi, sicuramente si è dibattuto e la dottrina ha affrontato molte di queste argomentazioni. Senza dubbio si tratta di una misura eccezionale, e su questo nessuno ha dubbi, perché essa agisce in deroga rispetto ad alcune finalità della pena. Abbiamo una finalità retributiva, quindi una pena proporzionata rispetto al danno, cioè rispetto al fatto che è stato commesso. Vi è poi una funzione di prevenzione, general preventiva, quindi una pena come deterrente rispetto al compimento dei reati. Abbiamo inoltre una finalità rieducativa della pena.
Oggi, attraverso questo provvedimento, si punta - ed è chiaro anche dall'intervento del relatore - a sacrificare la finalità retributiva e anche quella general preventiva a fronte di un'assenza, condivisa da tutti, della finalità rieducativa della pena così come scontata nelle strutture carcerarie.
A fronte quindi di questo atto eccezionale, è chiaro ed evidente che le finalità che debbono ravvisarsi sono da individuarsi nella cosiddetta opportunità politica. Dobbiamo interrogarci se vi siano le condizioni e, realmente, un'opportunità politica per sacrificare le funzioni della pena. Alcuni, anzi, quasi tutti gli interventi che mi hanno preceduto, hanno evidenziato un filo conduttore importante, rappresentato dalla necessità e dall'esigenza, per giustificare il provvedimento di clemenza, di ancorarlo e collegarlo ad una riforma cosiddetta strutturale di quello che è il sistema carcerario, la funzione della pena e le pene alternative.
Dunque, bisogna chiaramente partire da una riforma organica del sistema carcerario: inadeguato, con strutture affollate e con detenuti che non sono messi in condizioni di lavorare. La pena, insomma, ha oggi una funzione affittiva, ma non certo rieducativa. L'indulto, quindi, deve essere accompagnato da atti che vadano ad incidere sulla modalità di esecuzione delle pene. Queste ultime - lo abbiamo ricordato molte volte - non garantiscono quella rieducazione come vorrebbero le norme della Costituzione. Ben pochi detenuti lavorano, studiano, frequentano corsi professionali e sono quindi preparati ad un reinserimento completo nella società.
Si pensi che, alla data del 31 dicembre del 2005 (dai dati che ci sono stati forniti dal Ministero della giustizia), su una popolazione carceraria di circa 61 mila unità, soltanto 15.500 lavoravano. Tuttavia, teniamo conto che di questi ultimi, soltanto poco più di 2 mila lavoravano alle dipendenze di ditte esterne, compresi i semiliberi (quindi, quasi soltanto i semiliberi), nonostante vi siano delle norme che favoriscono le assunzioni di detenuti Pag. 27per le ditte esterne. Oltre 11-12 mila di questi detenuti lavoravano, sì, ma alle dipendenze dell'amministrazione carceraria; che è sicuramente importante, ma rappresenta un'opportunità di occupazione che non garantisce l'acquisizione di professionalità spendibili sul mercato del lavoro. Gli interessi degli imprenditori nei confronti della manodopera dei detenuti è ancora limitato, anche a causa delle difficoltà ad interagire con un ambiente dove le questioni legate alla sicurezza sono certamente più importanti di quelle legate alla produttività.
Sono in corso - e lo abbiamo visto dalle relazioni del ministro della giustizia - attività di sperimentazione di formule lavorative innovative. Sono stati attivati dei corsi professionali: soltanto nel 2005, 604 corsi professionali con oltre 7 mila partecipanti. La legge prevede dei vantaggi per le cooperative e le imprese che vogliano assumere detenuti in esecuzione penale; ma manca - ed è compito del Governo provvedere in tal senso - un approccio organico alla materia. Il Governo ha partecipato alla discussione in Commissione, ma il suo ruolo è stato di semplice osservazione. È mancata una capacità del Governo di accompagnare l'esame dell'indulto in Commissione con un approccio organico alla materia, che consentisse di interpretare questo provvedimento non come un atto eccezionale, disorganico e isolato, ma come un atto nell'ambito di un complesso di provvedimenti.
Vado oltre. Il 33 per cento degli attuali detenuti è rappresentato da cittadini stranieri; solo nell'anno 2005, i nuovi ingressi nelle carceri, per il 45 per cento, sono rappresentati da cittadini stranieri, moltissimi in custodia cautelare. Cittadini con nuovi e diversi problemi di reinserimento nella società: povera gente, che si era illusa, venendo in Italia, di trovare il benessere e che invece ha commesso dei reati. Vorremmo capire dal Governo come intenda affrontare tale questione; mi pare infatti che oggi l'approccio nei confronti degli stranieri sia alquanto disorganico. Il Consiglio dei ministri di venerdì scorso, infatti, ha deliberato una «sanatoria» - la chiamo proprio così: sanatoria -: 350 mila domande accolte, quando il precedente Governo aveva stabilito che i flussi si fermassero a 170 mila. Al riguardo, mi rivolgo al rappresentante del Governo e chiedo se si sia riflettuto sugli effetti che, tra l'altro, tale provvedimento determinerà sul sistema carcerario italiano.
ENRICO BUEMI, Relatore. Che c'entra?
ENRICO COSTA. Mi domando, e si interroga anche il relatore su tale profilo...
ENRICO BUEMI, Relatore. Che c'entra questo?
ENRICO COSTA. Ebbene, penso che un provvedimento di questo genere debba fare riflettere sull'approccio che avrà il Governo. Ritengo, infatti, che molti dei cittadini che beneficeranno di tale indulto dovranno, poi, essere espulsi per effetto della condanna; a tale riguardo, chiederei al Governo di voler riferire, in sede di replica, su come si sta preparando a tali evenienze e sulle modalità che verranno seguite.
Dopo l'indulto del 2003, il cosiddetto indultino, si è avuto un rientro in carcere, nel giro di due anni, di un terzo dei detenuti che erano usciti; mancano i dati - non sono stati forniti alla Commissione - sull'indulto del 1990. Ritengo che tutti i parlamentari comunque favorevoli ad un provvedimento di clemenza e che lo reputino però un atto eccezionale si attendano dal Governo risposte su come si intenda procedere per fare in modo che non ci si limiti semplicemente ad un atto eccezionale, isolato e disorganico. Vi sono tanti altri versanti sui quali intervenire; se consideriamo i detenuti in custodia cautelare, ebbene, in molte circostanze...
PRESIDENTE. Onorevole...
ENRICO COSTA. Concludo, signor Presidente.Pag. 28
Ebbene, in molte circostanze, taluni detenuti scontano la loro pena addirittura prima ancora che venga celebrata l'udienza preliminare: a seguito della condanna, non vi è, dunque, alcuna esecuzione penale. Ecco, anche ciò costituisce una questione molto importante; bisogna fare in modo che la pena non venga scontata anticipatamente rispetto al processo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ulizia. Ne ha facoltà.
LUCIANO D'ULIZIA. Onorevole Presidente, signor sottosegretario, ho cercato di seguire, stamani, il dibattito e ritengo che purtroppo i giochi siano già fatti; purtuttavia, ritengo sia necessario precisare la posizione del nostro gruppo e del nostro partito.
Ebbene, non ho sentito fare alcun riferimento, in tutto il dibattito, alla tutela del cittadino ed alla coerenza rispetto al programma dell'Unione e delle componenti che ne fanno parte. Noi affrontiamo il provvedimento di indulto senza preoccuparci degli effetti che procurerà sulla società civile; effetti che, sulla base delle esperienze pregresse, sono devastanti.
Abbiamo visto che soprattutto coloro i quali hanno commesso reati di natura finanziaria e fiscale - quindi, reati contro la pubblica amministrazione - una volta fuori dal carcere li hanno reiterati, hanno proseguito tranquillamente, come se nulla fosse accaduto.
Vedo una incoerenza rispetto al programma dell'Unione - della quale facciamo parte e nella quale intendiamo rimanere - e vogliamo contribuire a migliorarlo ed a renderlo coerente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'azione del nostro gruppo, il gruppo dell'Italia dei Valori, è finalizzata non a bocciare l'indulto, ma a correggerlo nei suoi aspetti deteriori e contraddittori che non tutelano i cittadini. La tutela del cittadino - che sia detenuto o in libertà - deve essere la nostra prima preoccupazione. Allora, noi che facciamo parte dell'Italia dei Valori intendiamo far riflettere il Parlamento, soprattutto le forze di maggioranza, ma anche - perché no? - le forze di opposizione. Ho ascoltato molte dotte relazioni e molti interventi sulla funzione rieducativa del carcere. Il precedente Governo, che avrebbe dovuto risolvere tutto, che cosa ha fatto, per cinque anni, in ordine a questo problema? Noi ci troviamo ad affrontare il problema delle carceri in modo sbagliato, poiché non assicuriamo quella adeguata organicità alle risposte, in modo che siano effettivamente consistenti e rispondenti alle necessità. Non può essere soltanto il sovraffollamento delle carceri a giustificare un provvedimento di indulto che determina il ritorno nella società civile di migliaia di persone le quali, non avendo conseguito un recupero, potrebbero senz'altro - lo dico con rammarico - proseguire nelle azioni delittuose. Qual è, allora, la tutela del cittadino? Come tuteliamo i cittadini italiani? Non li tuteliamo! Ecco perché noi cerchiamo di ridurre il danno e chiediamo che siano estrapolati dal provvedimento i reati di natura fiscale e finanziaria commessi da corrotti e corruttori.
PRESIDENTE. Onorevole D'Ulizia...
LUCIANO D'ULIZIA. Sto per concludere, signor Presidente.
La nostra posizione è nota: non intendiamo boicottare il provvedimento ma migliorarlo e, anzi, esprimere convintamente un voto favorevole. Ho letto da qualche parte che noi vorremmo fare giustizialismo. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, noi non vogliamo fare alcun giustizialismo e questa accusa la rimandiamo al mittente. Vorremmo, invece, la giustizia, quella giusta, e la pretendiamo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capezzone. Ne ha facoltà.
DANIELE CAPEZZONE. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, siamo nel cuore di un dibattito importante in un'aula deserta. Mi sottrarrò alla facile demagogia di affermare Pag. 29che quest'aula è deserta mentre sono stracolme altre aule, per dire così, meno prestigiose eppure assai interessate a questo nostro dibattito. Mi sottrarrò a questa facile demagogia.
Certo, però, nelle carceri italiane, ma così anche nell'Italia tutta, che vanta milioni di donne e di uomini che sono travolti nella loro vita dal disservizio giustizia - quindi, non solo le decine di migliaia di detenuti italiani bensì alcuni milioni di persone - si seguirà con grande attenzione l'esito di questa nostra discussione.
Confesso, tuttavia, che non sono molto soddisfatto e neppure persuaso da alcune ragioni favorevoli che pure sono state espresse nei confronti del provvedimento, quando, cioè, sono declinate in termini di ragioni umanitarie. Bisogna fare questo provvedimento per ragioni di umanità: no, qui non è questione né di bontà, né di buonismo. Se questo fosse l'approccio, francamente, non risulterebbe convincente dal mio - dal nostro - punto di vista.
Gli approcci sono altri. In primo luogo, occorre favorire almeno una possibilità di rientro nella legalità di uno Stato italiano che è, oggi, su questo fronte, primatista di condanne dinanzi alle Corti internazionali. Ciò vale per la durata dei processi, per la situazione indecente delle nostre carceri.
In secondo luogo, occorre creare, costruire la possibilità di riforme strutturali, cosa che oggi passa proprio dalla conquista di un tempo di decongestionamento, di alcuni semestri, non di più, che costituirebbero quelle «bombole di ossigeno», quel tempo necessario per consentire alle Camere di affrontare le riforme strutturali.
È esattamente l'opposto di ciò che sentiamo dire, a volte (l'ha fatto molte volte il collega Violante con apparente ragionevolezza): no - dicono alcuni colleghi - prima si facciano le riforme e poi si passi ai provvedimenti di clemenza.
Io ritengo, invece, che valga esattamente il contrario. Questi provvedimenti danno il tempo, la condizione, la possibilità, il margine di decongestionamento per affrontare le riforme di fondo, che sono quelle della carcerazione preventiva. Questo è un paese in cui la metà dei detenuti italiani è in attesa dei processi; questo è un paese in cui tra una sospensione e l'altra si può arrivare fino a nove anni di carcere in attesa di processo.
Il tempo, ancora, lo dobbiamo conquistare per alcune depenalizzazione importanti, per un intervento serio in materia di droga perché, altrimenti, finiremo con le Forze dell'ordine che saranno costrette ad occuparsi di ragazzi con qualche spinello in tasca.
Ancora, ulteriori interventi servono in tema di immigrazione. Ecco, allora, i due approcci che mi convincono di più: per un verso, il rientro nella legalità rispetto ad uno Stato fuorilegge e, per altro verso, la conquista del tempo necessario alle riforme strutturali. Vedete, è mia opinione che noi dobbiamo anche - questo vale per il dibattito politico - fare un discorso di fondo su chi oggi va davvero in carcere. Noi usciamo da due campagne elettorali nelle quali, da destra e da sinistra, si è gridato «sicurezza, sicurezza» e quasi nessuno si è sottratto a questo slogan. Eppure, il novanta per cento dei reati nel nostro paese restano impuniti. Nel caso dei reati contro il patrimonio, si sale addirittura.
Allora, dal cento per cento dei reati cominciamo a levare questo novanta per cento che resta impunito. Poi, sottraiamo ancora le trecentomila prescrizioni l'anno. Nell'ultimo quinquennio vi sono state un milione e mezzo di prescrizioni, per coloro, fortunati e bravi, che possono consentirsi una difesa degna di questo nome.
Ma allora, sottraendo il novanta per cento dei reati impuniti e sottraendo le trecentomila prescrizioni l'anno, alla fine della fiera, chi va in carcere? Tossicodipendenti, immigrati: sfigati!
Si può dire che questa, con le parole di un grande socialista che non c'è più, è la testimonianza di uno Stato forte con i deboli e debole con i forti. Si può dire, con un linguaggio che non è mio - non sono né marxiano, né marxista - che questa è Pag. 30una visione classista del carcere e della giustizia che finisce per colpire soltanto alcuni.
Credo che questo sia il tema e l'approccio che dobbiamo darci. Mi avvio a concludere ma un po' di storia va fatta.
È stato ricordato l'anno 2003. Lo ricordano gli amici, Rita Bernardini, Sergio D'Elia, io stesso: in un semestre, 54 giorni di sciopero della fame per supportare l'azione guidata dai primi firmatari, Buemi e Pisapia allora, ma poi sostenuta da tanti parlamentari, per approvare l'indulto.
Poi, questa Camera - per la verità - fu solerte ed efficace nella sua azione, con un ruolo positivo svolto dal presidente della Commissione giustizia, Pecorella, dal Presidente della Camera Casini e da tanti parlamentari; i guai vennero al Senato, i tempi si allungarono e - come ne Il vecchio e il mare - in porto arrivò una lisca tutta spolpata.
Successivamente si è ritentato. Ha ripreso il testimone nei mesi passati Marco Pannella, attraverso un'altra lunga azione non violenta, che portò ad una marcia di Natale a cui presero parte personalità, rappresentanti di ogni forza politica, nonché l'allora senatore a vita Giorgio Napolitano. E fu merito dell'onorevole Giachetti di provare a richiamare le Camere, non all'obbligo di esprimere un voto favorevole - mai un'azione non violenta, un'azione politica possono essere volte a questo obiettivo -, ma alla moralità di una discussione e di un voto. Finì con una brutta seduta, con una brutta pagina e poi, nelle settimane successive, con un grande dolore, vale a dire con i Democratici di sinistra e la Margherita che finirono per convergere sugli emendamenti di Alleanza nazionale e della Lega per affossare tutto. E non è dimenticabile quel comunicato del Presidente Prodi, con Fassino e Rutelli, sul cosiddetto indulto graduato, che non sappiamo nelle gerarchie... militari che fine farà.
Grazie all'impegno di tanti cittadini e di tanti detenuti abbiamo cercato di dare una mano attraverso una lunga azione non violenta per la calendarizzazione del provvedimento di clemenza; dunque, finalmente, si può giungere ad un voto prima della pausa estiva. A noi restano tre preoccupazioni. La prima riguarda il fatto che si è deciso di stralciare l'amnistia, di tenerla da parte. Non vogliamo che quella partita sia considerata chiusa e continuiamo a chiedere che, alla ripresa dei lavori, anche l'amnistia sia calendarizzata perché quello è il provvedimento che incide sulla realtà dei magistrati, sui 9 milioni di processi pendenti e sui 18 milioni di italiani che hanno a che fare con il disservizio della giustizia.
La seconda preoccupazione è quella di evitare, rispetto a questo provvedimento di indulto, ciò che accadde nel 2003, quella che io definisco la «strategia del carciofo», attraverso la quale, foglia dopo foglia, non resta niente. Sappiamo anche che qualunque sia il provvedimento che sarà approvato, dovrà fare i conti con il «generale Agosto» e con la situazione che in questo periodo caratterizza i magistrati di sorveglianza. Quindi, figuriamoci se il provvedimento dovesse essere spolpato e successivamente ulteriormente spolpato dalle difficoltà di operatività o, peggio, da parte della magistratura di sorveglianza!
La terza ed ultima preoccupazione è quella concernente il dibattito di questi ultimi giorni relativo ai reati finanziari, a cosa includere ed escludere dal provvedimento. Rispetto molto la posizione - che tuttavia non condivido - del ministro Di Pietro e dei parlamentari dell'Italia dei Valori. Quindi non mi rivolgo a loro - che svolgono la loro legittima e lineare battaglia politica -, ma a quanti nel resto del mondo politico, più o meno strumentalmente, prendono quella bandiera o a quanti - lo abbiamo visto anche sui giornali di oggi - aprono questo dibattito.
In questo paese, vi sono quelli che, rispetto a qualunque tema, hanno paura della privatizzazione; io, com'è noto, non sono fra questi. Tuttavia, peggio dei rischi della privatizzazione, vi è solo il rischio della «previtizzazione» perenne del dibattito sulla giustizia e sulle carceri. È stato così nella scorsa legislatura, durante la quale la maggioranza di allora è stata Pag. 31condizionata dagli interessi e dall'aver sempre lo sguardo rivolto ad alcune persone.
Diciamo le cose come stanno alla parte destra di quest'aula, che oggi è quasi completamente assente. Noi, da garantisti, non abbiamo mai usato questo argomento, ma ciò va detto: se ci fosse stata, sulle grandi riforme dell'economia e delle istituzioni o sulle vere riforme della giustizia e sulla separazione delle carriere, la celerità e la speditezza che c'è stata per approvare il falso in bilancio, le rogatorie e le altre cose che conosciamo, avremmo un paese trasformato. Non è stato così.
È stata la legislatura delle leggi ad personam. Non vorremmo che oggi, a parti invertite, la «previtizzazione» del dibattito rimanesse e si passasse alle leggi contra personam. Non può funzionare così.
Credo che dobbiamo scegliere se parlare di giustizia e di carceri rispetto all'imputato o al condannato noto adottando il metodo della «previtizzazione», o, invece, usare il metodo della civiltà e del rispetto per tutti, anche per il cittadino Previti e per gli altri, ossia occupandosi, sempre e comunque, dell'imputato, del condannato e del detenuto ignoti, di coloro che non hanno difese, che non hanno tribune e che non hanno neanche propri parlamentari per discutere di questo argomento.
Allora, spetta a noi scegliere se compiere una scelta di ragionevolezza o, invece, tramutare il dibattito - magari domani o quando vi saranno le dichiarazioni di voto, quando quest'aula per qualche mezz'ora si popolerà -, facendone un'occasione, a beneficio dei TG, di qualche rissa, di qualche polemica e di qualche battibecco, in cui ciascuno, per quei quindici secondi del «pastone» della sera, possa mettersi la mostrina o il fiore all'occhiello che preferisce, quello più antigarantista o quello forcaiolo, con la corsa al «più uno» che in questo caso non manca mai.
Noi speriamo altro. Speriamo che, soprattutto da parte della maggioranza, ma anche della parte più liberale dell'opposizione, si prenda coraggio per svolgere un dibattito e assumere una decisione all'altezza di tante donne e uomini, che - lo ripeto - seguiranno questo dibattito dalle proprie case, e degli italiani che hanno un processo in corso, di quelli che lo hanno già avuto o che lo devono ancora avere, ma che sono altrove, in «aule» un po' più affollate e un po' più scomode di queste (Applausi dei deputati dei gruppi de La Rosa nel Pugno e de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Daniele Farina. Ne ha facoltà.
DANIELE FARINA. Signora Presidente, colleghe e colleghi deputati, signor sottosegretario, diversi interventi hanno sottolineato che stiamo esaminando un provvedimento che sfugge dal marzo del 1992. Trentaquattro volte l'amnistia e l'indulto sono stati concessi fino ad allora. Poi, è arrivata la sciagurata norma che ha introdotto la maggioranza qualificata dei due terzi. Poche settimane prima, si era scatenata la tempesta di Tangentopoli e - giova ricordarlo - il Parlamento agì allora sotto un'evidente condizione di pressione, trasformando un provvedimento ordinario nella sua straordinarietà, come l'amnistia e l'indulto, in fatto eccezionale, sottoposto ad una condizione di voto parlamentare non richiede neanche per la modifica della Carta costituzionale, come diversi colleghi hanno ricordato.
In queste ore e in questi giorni, mi sono tolto la curiosità di sapere e di approfondire come la pensavano allora alcuni commentatori, anche autorevoli, che dalle colonne dei principali quotidiani si schierano oggi contro l'accordo raggiunto per dare a questo indulto la maggioranza di cui necessita. Bene: mi sono fatto l'idea che, almeno per quanto riguarda questo aspetto, questi autorevoli commentatori non hanno le carte in regola. Proprio le disfunzioni nell'applicazione della giustizia nel paese, storiche, e lo stato drammatico delle sue carceri avevano fatto dell'amnistia e dell'indulto un meccanismo improprio, ma regolatore. Poi nulla, e le conseguenze si sono via via evidenziate agli occhi di tutti.Pag. 32
La popolazione detenuta è esplosa, fino a contare oggi, come è stato ricordato, 61 mila cittadini e cittadine, a fronte di una capienza massima di poco più di 45 mila posti. Tutto ciò, senza che le croniche mancanze del sistema giudiziario e custodiale siano venute meno, anzi. Non è un caso che inseriamo il provvedimento in esame all'interno di un necessario moto di riforma del codice penale, dell'ordinamento giudiziario, dei tempi della giustizia penale e civile, del ruolo della magistratura di sorveglianza, eccetera.
Però, l'emergenza è oggi, anzi ieri.
Non citerò il Santo Padre - mi rivolgo al collega Orlando - ma vorrei ricordare a tutti, come in parte è già stato fatto dal collega Capezzone, il 27 dicembre 2005, data in cui, rimettendo la Commissione giustizia la proposta di amnistia e di indulto, la Camera dei deputati non ha certo scritto una delle sue pagine più felici. Al punto che, oggi, qualifichiamo, come gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, questo atto come «clemenziale» e non piuttosto come dovuto segno di responsabilità verso il paese.
Avremmo voluto varare, come consuetudine, il provvedimento di amnistia insieme a quello di indulto. Abbiamo realizzato che sarebbe, ancora una volta, mancata la maggioranza necessaria. Abbiamo dunque optato, nostro malgrado, per ridurre il danno: al «niente subito» o al «tutto mai» opponiamo l'indulto, «nudo» e solo, ma portatore dell'80 per cento dei benefici del provvedimento congiunto. Interesserà, secondo il Ministero della giustizia, 12 mila detenuti e 16 mila cittadini sottoposti a misure alternative. Inoltre, non cesseremo di agire perché a settembre anche l'amnistia torni ad essere discussa in Assemblea.
Vi è stato un tempo, colleghi, in cui la rubrica delle lettere di numerosi quotidiani e qualche poco autorevole commentatore dipingevano le nostre carceri come confortevoli hotel, puntavano il dito contro le televisioni a colori et similia. Oggi, ciò avviene assai meno. E un motivo ci sarà.
Si dovrebbe istituire, aggiungo io, la giornata delle «carceri aperte» (scusate l'ironia), in cui i cittadini possano visitare gli istituti penitenziari delle proprie città, nei limiti di agibilità e sicurezza. Sono convinto che ne emergerebbe una rivolta di coscienza civile, un moto unanime di scandalo e di ripulsa, di indignazione profonda. Siamo, infatti, andati ben oltre quei trattamenti contrari al senso di umanità, cui si oppone l'articolo 27 la Costituzione, troppo oltre.
Se qualcuno avesse coraggio, tanto coraggio, potrebbe fare un «girone», non un giro, nei reparti destinati ai tossicodipendenti per prendere informazioni generali sullo stato del diritto alla salute nelle carceri della Repubblica, una rieducazione lontana come un miraggio a fronte di un male che si è mutato in peggio.
Se il provvedimento in esame non dovesse essere approvato, chiedetevi, colleghi, quale umanità uscirà da luoghi di tal fatta, dove si vive in quel modo. Vi sono forze politiche, qui rappresentate (lo hanno già espresso e lo esprimeranno), di maggioranza come di opposizione, che annunciano il loro voto contrario. Si assumono una grande responsabilità nei confronti dei cittadini, perché stanno lavorando contro la loro sicurezza e non, come sostengono, a favore.
Sappiamo che tra coloro che godono di misure alternative alla detenzione, 50 mila nel corso del 2005 (per avere la misura della rilevanza anche di questo problema), il tasso di recidività è di un quarto rispetto a chi sconta interamente la pena in carcere ovvero chi accede alle misure alternative, chi viene seguito dalla rete preziosa dei servizi ha quattro volte in meno la possibilità di tornare a delinquere.
E voi cosa pensate che uscirà dalle nostre carceri nelle attuali condizioni di incrudelimento, se l'indulto fosse anche questa volta battuto? Quanta insicurezza avrete regalato agli italiani, che asserite di voler difendere? E quei cittadini, quelle famiglie, quella amministrazione dello Stato, a chi se non a voi dovrà rivolgere le proprie lagnanze?
Come vedete, chi lavora per l'approvazione di questo provvedimento si assume la responsabilità delle azioni di altri 12 Pag. 33mila cittadini che verranno rilasciati, ma anche il merito di quelle che non verranno commesse, di un percorso possibile di reinserimento e nuova cittadinanza. Questo è un paradosso: chi più grida per il rigore e la legalità favorisce invece maggiore illegalità; chi viene accusato di «perdonismo», il nostro gruppo magari, favorisce la legalità e la convivenza civile.
Di più: laddove si invoca a motivo dell'opposizione al provvedimento in esame la mancata esclusione di reati contro la pubblica amministrazione o di quelli finanziari e societari, non posso che ricordare come l'indulto escluda le pene accessorie permanenti e si sia limitato a quelle temporanee e che, non essendo atto di carattere ablativo del reato, sono fatte salve le conseguenze sul piano civile della commissione di quegli stessi reati.
Dunque, non sventolerei tanto le decine di migliaia di cittadini colpiti e coinvolti dai crack come quello della Parmalat, perché mi sembra argomentazione perlomeno levantina. Questo è anche un invito ad abbandonare le facili «ghiottonerie» di posizione (definiamole così) e a lavorare nell'interesse generale del paese.
La campagna elettorale si è conclusa, lo hanno ricordato altri colleghi. Oggi, soprattutto nelle forze di maggioranza, deve prevalere nei fatti, oltre che nelle parole, la responsabilità di Governo. Non si può rinviare a domani, alla riforma ventura, a leggi che verranno. Per quelle c'è una tensione comune che, però, ha i suoi tempi e il suo dibattito.
Peraltro, ci rendiamo conto di varare un provvedimento tampone e sappiamo bene che, senza cambiamenti profondi, rischiamo di trovarci, tra alcuni mesi, in condizioni analoghe. Se, ad esempio, non modifichiamo, come da programma dell'Unione, il testo unico sulle sostanze stupefacenti, come modificato dalla legge n. 49 del 2006, se non modifichiamo la cosiddetta legge Fini-Giovanardi n. 286 del 2002 o la cosiddetta legge Bossi-Fini, ben difficilmente giungeremo mai ad un qualunque risultato sul terreno di una giustizia efficiente e celere, nonché magari giusta, e neppure riporteremo le carceri a quell'ultima ratio cui dovrebbero essere destinate.
In questa direzione vi è un modello ampiamente sperimentato da cui dobbiamo fuggire: è quello degli Stati Uniti d'America. Ciò non per infantile antiamericanismo, ma per palese fallimento. Settecento cittadini ogni centomila rinchiusi - il tasso più alto del pianeta - non hanno prodotto maggior sicurezza: anzi! Invece, la nostra rete dei servizi (ho citato i cinquantamila casi nel 2005), ossia l'affidamento, la detenzione domiciliare, la semilibertà, rappresentano un'alternativa efficiente. Ecco perché in Commissione giustizia, dietro sollecitazione del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, abbiamo chiesto che nel DPEF 2007-2011, il documento fondante i prossimi anni della politica di Governo, vi sia un maggiore impegno proprio nella rete dei servizi territoriali. Usiamo, dunque, anche le risorse che questo provvedimento di indulto rende libere per potenziare finalmente le politiche e l'abnegazione di migliaia di operatori, politiche che si rivelano le migliori. Il carcere rimanga l'ultima ratio!
Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Avremmo voluto cogliere l'occasione della discussione di questo provvedimento per riaprire il dibattito sugli anni di piombo: non è stato possibile. Abbiamo voluto e dovuto fare un passo indietro per realismo e responsabilità.
Ciò nonostante, l'idea che quella stagione, che poco ha a che vedere con recenti e più sanguinarie follie, possa chiudersi anche sul piano giudiziario rimane un impegno di questa come delle passate legislature.
Ordinamento giudiziario, riforma del codice penale, legge cosiddetta ex Cirielli nella parte della recidiva saranno i prossimi terreni su cui misurare il primo passo che questo provvedimento di indulto rappresenta.
Partiamo dalla coda, dagli ultimi, dagli effetti dei mali della giustizia. Sicurezza dei cittadini e non afflittività viaggiano assieme, si rafforzano, piuttosto che indebolirsi. Pag. 34Lo ripeto: sicurezza dei cittadini e non afflittività viaggiano assieme, si rafforzano, invece che indebolirsi.
Questa è la sfida della nuova legislatura per questo gruppo e l'indulto deve essere inserito in un contesto di paradigmi alternativi, proprio per la sicurezza dei cittadini, e non deve essere considerato un'isolata tecnica riparatrice, che denuncia la nostra impotenza e i nostri errori (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, de L'Ulivo e de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.
ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor rappresentante del Governo, la questione della sicurezza personale e della comunità nel suo insieme è certo una delle principali preoccupazioni dei cittadini.
Non solo e non tanto per i fatti eclatanti che riempiono le pagine dei giornali, quanto (forse, ancora di più) per quella diffusa microcriminalità che ognuno può toccare con mano: un susseguirsi di fatti, in sé singolarmente presi, neppure degni o quasi di cronaca, ma che possono pesantemente incidere nell'animo dell'individuo.
Sarà capitato anche a voi, come a me, di raccogliere la testimonianza di qualche anziano e di constatare l'angoscia che ha generato in lui vedere violata la sua abitazione, considerata il luogo di protezione per eccellenza, le porte e le finestre scardinate, le stanze a soqquadro, gli effetti più cari distrutti o calpestati: più ancora della perdita degli oggetti di valore, pur sempre sostituibili, è proprio questa componente a marchiare negativamente chi ha subito una tale violenza. I cittadini onesti, quelli che considerano dovere civico rispettare le regole che assieme ci siamo dati, chiedono sicurezza e giustizia alle istituzioni: a noi, Parlamento, sul piano legislativo, ed alle strutture dello Stato sul piano operativo. E qual è la nostra risposta?
La giustizia nel suo complesso sta vivendo, in Italia, una stagione particolarmente difficile e travagliata, di crisi manifesta. Basta scorrere la relazione del Primo presidente della Corte di cassazione, Marvulli, sull'attività giudiziaria nell'anno 2005, nella quale si legge del non invidiabile primato dell'Italia in merito al maggior tempo impiegato nella definizione dei processi civili e penali a fronte del maggior numero dei giudici. È a tutti noto - afferma il Primo presidente - come l'esasperata lentezza della giustizia si traduca, nel campo civile, in una vera e propria denegata giustizia che danneggia chi un torto ha già subito e, nel campo penale, nella neutralizzazione della sanzione. Così altri prima di lui, tra cui un Vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Verde, il quale non ha esitato ad affermare che l'attuale sistema è costruito in maniera tale che la prescrizione dei reati è una quasi certezza.
L'ordinamento penitenziario, poi, secondo il Primo presidente Marvulli, ha finito per dissolvere la certezza della pena, perché oggi vi è la certezza che nessuna pena verrà eseguita nei termini in cui è stata dal giudice disposta, tali e tanti essendo i benefici e le misure alternative introdotte. Ed è notorio che, dei delitti denunciati, la maggior parte rimane impunita, perché ne restano ignoti gli autori. Quanti sono i cittadini che neppure più denunciano i reati, essendo talvolta la denuncia, per il denunciante, fonte più di preoccupazioni che di giustizia?
Qual è la nostra risposta alla sacrosanta esigenza di sicurezza e di giustizia dei cittadini onesti? Questa proposta di indulto? La scarcerazione di oltre 12 mila detenuti, un colpo di spugna, incredibilmente, anche per chi è stato condannato per reati di corruzione e concussione commessi contro la pubblica amministrazione?
È di tutta evidenza che vi è un problema oggettivo di sovraffollamento delle carceri; ma qual è la soluzione? Adeguare le pene ai posti letto, come scrive ironicamente Ricolfi su La Stampa, ovvero operare seriamente per ridurre il crimine? Il miglior deterrente - forse, l'unico vero Pag. 35deterrente contro il crimine - è la certezza, l'ineludibilità della pena. Come affermava già Beccaria nel suo noto Dei delitti e delle pene, uno dei più grandi freni ai delitti non è la crudeltà delle pene, ma l'infallibilità di esse: esattamente il contrario di ciò che avviene oggi in Italia!
Certo, il carcere deve essere l'extrema ratio. Certo, come hanno ricordato molti colleghi, il carcere dovrebbe garantire che un uomo possa restare tale, svolgendo ogni forma di attività che gli consenta di rieducarsi e di essere pronto a rientrare nella società. Ma è proprio questo il punto. Quale percorso di rieducazione, di risocializzazione, di reinserimento seguirà mai chi viene scarcerato tout court? La scarcerazione per sovraffollamento è la dimostrazione del fallimento del sistema giudiziario e penitenziario italiano.
È anche un'offesa a tutti quei cittadini che sono stati direttamente colpiti, e con loro a quegli operatori, le Forze di polizia ed i giudici, che si sono prodigati perché i colpevoli fossero assicurati alla giustizia e li vedono beffardamente rimessi in libertà. Con quale spirito possono continuare nel loro lavoro? Con quale fiducia quei cittadini guarderanno a noi?
Infine - e mi rivolgo in particolare ai colleghi della sinistra, di cui peraltro condivido molte altre battaglie - chiedo che senso ha battersi giustamente contro i condoni di vario genere e natura (condoni edilizi, condoni fiscali) in quanto altamente diseducativi ed oggi, su questo terreno, adottare una linea esattamente opposta? Assumere queste posizioni significa forse essere forcaioli, giustizialisti, populisti, demagogici, come ho inteso? Non credo. Cari colleghi, significa solo condividere quell'esigenza di legalità che ancora, nonostante tutto, non è stata interamente soffocata e che dovrebbe essere tra i punti fondanti e qualificanti della civile convivenza e di cui noi dovremmo essere garanti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tenaglia. Ne ha facoltà.
LANFRANCO TENAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, l'argomento che involge l'indulto attiene alle vicende di libertà e di vita di migliaia di persone e famiglie. Ciò deve indurci al massimo esercizio di trasparenza e di responsabilità di fronte alla necessità di dare una risposta a questo problema complesso e di sottrarre lo stesso problema alla polemica ed alla propaganda politica, soprattutto nei suoi aspetti di asprezza e di contrapposizione di parte.
Tali responsabilità e coerenza indussero i rappresentanti dei partiti DS e Margherita, che oggi formano il gruppo unico de L'Ulivo, sul finire della scorsa legislatura, ad esprimersi negativamente su un provvedimento di amnistia che, per gli effetti combinati della data di fissazione alla quale far rimontare i reati da includere e l'effetto combinato del tempo passato e della prescrizione, avrebbe avuto effetti deflattivi contenuti (soprattutto, allora non era accompagnato da interventi strutturali e riformatori del sistema giustizia) e positivamente su un provvedimento di indulto necessario per far fronte all'emergenza reale del sistema carcerario nel nostro paese.
Oggi si è molto discusso, in maniera pacata e costruttiva, del nostro sistema costituzionale. Vedete, gli articoli 27 e 79 della Costituzione formano un sistema. L'articolo 27 indica la funzione della pena e, nello stesso tempo, indica anche il limite di legalità che lo Stato deve assicurare all'interno degli istituti di pena affinché quella funzione sia rispettata e quelle condizioni siano garantite. L'articolo 79, nella sua eccezionalità, indica le condizioni affinché il Parlamento, nella sua funzione sovrana di clemenza, riesca a trovare un punto di equilibrio fra la potestà punitiva e la potestà di clemenza che ogni Stato democratico deve sapere e potere esercitare. Tale punto di equilibrio è dato dall'opportunità di far fronte a situazioni emergenziali quando non è possibile rispettare quella funzione rieducativa della pena e quelle condizioni di legalità: è questa la situazione odierna.
Non possiamo chiudere ulteriormente gli occhi sulle condizioni di vita all'interno Pag. 36delle carceri. La situazione nelle carceri italiane è sempre più insostenibile. Le lentezze della giustizia ed il sovraffollamento stanno sempre più mortificando la dignità delle persone ed aumentando il senso di risentimento dei detenuti verso lo Stato, percepito più come nemico e vendicatore che come strumento regolatore della vita civile.
Si rafforza così l'appartenenza all'illegalità come scelta di campo e come rafforzamento della propria esclusione sociale. Inoltre, la presenza all'interno delle carceri italiane di un gran numero di persone malate, tossicodipendenti ed in cattive condizioni psicofisiche evidenza la gravità di una situazione nella quale è necessario intervenire, anche attraverso provvedimenti strutturali, attenti alle esigenze di giustizia, alla dignità e ai diritti umani dei detenuti e alle possibilità concrete di una loro riabilitazione e di un loro reinserimento sociale.
Queste valutazioni accomunano tanti di noi: accomunano le organizzazioni che si occupano di assistenza in carcere, accomunano le valutazioni degli operatori della giustizia nelle carceri, accomunano tutti coloro che svolgono la funzione ispettiva attraverso visite periodiche negli istituti di pena.
Vedete, questa situazione peggiora di anno in anno, anche a causa di interventi di riforma legislativa che, nella scorsa legislatura, hanno accentuato il ricorso alla carcerazione quale unico strumento di prevenzione e di sicurezza. Infatti, l'attuale popolazione carceraria raggiunge le sessantamila unità; occorre far riferimento a tale numero, al di là dei titoli per i quali la popolazione carceraria è ristretta in vincoli che rendono le condizioni invivibili ed il livello di legalità della vita nelle carceri al di sotto di quanto è previsto dalla Costituzione. Il 60 per cento di queste sessantamila unità è composto di tossicodipendenti o di extracomunitari. A ciò si aggiunge che nel nostro paese si registra un indice di carcerazione che, nel mondo moderno, è superato soltanto dagli Stati Uniti e dalla Russia: un detenuto ogni mille abitanti e due persone, ogni mille, coinvolte in situazioni carcerarie, se oltre al carcere si valutano i provvedimenti alternativi.
Di fronte a tale situazione, un gesto di clemenza che consenta di rispettare la legalità nelle carceri e di riportare la situazione a condizioni di umanità, di civiltà e di rispetto per la dignità dell'uomo è, quindi, necessario, utile e doveroso.
È questa la ragione che deve muovere la nostra scelta. Certamente, questa ragione deve essere accompagnata da altri livelli di consapevolezza che ci hanno indotto a compiere delle scelte che cercano di coniugare altre esigenze che pure, in quest'aula, sono state richiamate in senso negativo rispetto al provvedimento in oggetto.
Il primo livello di consapevolezza è nel senso che il provvedimento in oggetto non può essere concepito solo come un intervento emergenziale, ma deve avere una prospettiva, come prevede il programma dell'Unione sul tema del carcere, per radicali ed innovative riforme strutturali dell'intero sistema penitenziario e processuale. La vera sfida che aspetta questo Parlamento e la nostra società è di rendere il carcere parte viva della comunità, altrimenti non ha senso parlare di socializzazione, reinserimento, riconciliazione ed accoglienza.
L'altra consapevolezza che deve essere affermata con forza e con chiarezza, affinché i cittadini comprendano il senso e le finalità del nostro lavoro su questo tema e non siano indotti in errore da messaggi demagogici, è che la carcerazione, soprattutto quando è prevista per reati di lieve entità o collegati a stati quali la tossicodipendenza, ovvero ancora per brevi periodi di pena residua, non ha alcuna efficacia e funzione per la sicurezza collettiva, anzi finisce per avere una funzione moltiplicatrice della tendenza alla violazione di legge e alla criminalità dei soggetti che la subiscono.
Infine, con questo provvedimento nessuno vuole derogare ai principi di legalità e di tutela dei cittadini e delle persone offese dal reato, anzi, basterebbe dire che Pag. 37è proprio una ragione di legalità, quella di riportare la legalità nelle carceri, che induce ad approvare questo provvedimento.
Ma aggiungo che l'indulto è necessario per la funzione emergenziale, causata anche dall'assenza, per tutta la scorsa legislatura, di una politica dell'umanità e civiltà della pena e con un'impostazione che considerava risolvibile il problema delle carceri solo costruendone delle nuove. L'indulto interviene sul periodo finale della pena che è stata scontata tanto più a lungo quanto più grave è il reato commesso.
La potestà e l'interesse punitivo dello Stato, ancora praticati, hanno un interesse affievolito per l'esecuzione prolungata della pena detentiva, anche per l'ormai intervenuta applicazione delle misure interdittive di sicurezza patrimoniale o personale. Sono in conto esclusioni oggettive, le più estese della storia dell'istituto, che ricomprendono reati di particolare gravità, odiosità e violenza. Le esclusioni precedenti nella storia dell'istituto erano molto più limitate e non hanno mai riguardato le tipologie dei reati per i quali tanto stiamo discutendo; anzi, per queste tipologie in alcune circostanze l'istituto dell'indulto era accompagnato dall'istituto dell'amnistia, così che alla cancellazione della pena si accompagnava anche quella del reato. Inoltre, l'indulto licenziato dalla Commissione prevede un periodo di osservazione di cinque anni dall'entrata in vigore della legge, entro il quale se chi ne ha usufruito commette un delitto non colposo per il quale riporti condanna definitiva non inferiore a due anni, il beneficio è revocato. Nella storia dell'indulto nel nostro paese sono comprese varie misure dello sconto di pena, ma nel considerare oggi questo provvedimento non possiamo non dimenticare che dall'ultimo indulto sono passati ben 16 anni.
Gli istituti dell'amnistia e dell'indulto, come poco fa ha correttamente e lucidamente ricordato l'onorevole Farina, da strumenti ordinari di regolazione della situazione della giustizia e delle carceri sono diventati, per le ragioni dette a proposito del sistema costituzionale, strumenti di emergenza ed eccezionali. Quindi, il così lungo tempo trascorso giustifica un ricorso ad uno sconto di pena, neppur presente in altri provvedimenti passati di indulto di questa misura dei tre anni. Si è molto discusso di esclusioni oggettive. Ritengo che il testo oggi al nostro esame contenga un corretto e condivisibile punto di equilibrio sia per l'estensione delle stesse, sia per l'omogeneità in termini di conservazione della gravità dei reati esclusi. Del resto, questa considerazione è fatta anche a monte dal legislatore penale e questo non dobbiamo dimenticarlo.
Certo, ognuno di noi potrebbe essere portatore di proprie sensibilità sulle diverse tipologie di reato e sui beni da esse protetti non ricomprese nelle esclusioni, ma occorre aver ben presente che, a differenza di quanto avviene con l'applicazione dell'amnistia, ci troviamo di fronte a processi già svolti, a responsabilità accertate o che saranno, comunque, accertate, a pene detentive in carcere in tutto o in parte scontate, a pene accessorie non temporanee applicate nella loro interezza e non toccate dall'applicazione dell'indulto, ma eventualmente, solo dopo il periodo previsto dal codice penale, da altri istituti che pure hanno questa finalità, quali quello della riabilitazione.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
LANFRANCO TENAGLIA. In sostanza, non stiamo cancellando reati e responsabilità.
Concludo con l'auspicio che questo gesto di clemenza sia solo il punto di partenza di un metodo di lavoro, ma anche di un proficuo lavoro parlamentare, che realizzi finalmente una politica della ragionevole durata del processo, dell'efficienza del sistema e della ragionevole certezza e umanità della pena, salvaguardando al tempo stesso le esigenze di sicurezza sociale e la funzione di risocializzazione della pena. In questo modo avremo affermato i diritti della persona, dei cittadini alla sicurezza, delle persone offese al ristoro dei danni e dei detenuti ad un trattamento umano (Applausi dei deputati Pag. 38dei gruppi de L'Ulivo e de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, relatore, pochi amici presenti, non intendo leggere l'intervento che avevo preparato, anche a costo di perdere in organicità, perché mi sembra più importante dialogare con le persone, i gruppi e i partiti che sono intervenuti fino adesso, per cercare di capire meglio, con pacatezza ma con nettezza e nitidezza - come, peraltro, tutti hanno fatto -, in quale situazione ci troviamo.
Non sto a ripetere quale sia la posizione dell'Italia dei Valori, essa è stata illustrata dal deputato Orlando ed è nota, perché io stesso l'ho illustrata in Commissione e sulla stampa vi è un ampio dibattito al riguardo. La riassumo dicendo soltanto che non è vero che noi siamo contrari all'indulto; noi siamo favorevoli a votare a favore di un provvedimento di indulto in una situazione emergenziale nel quale siano contenute alcune esclusioni di reati che l'opinione pubblica avverte come particolarmente odiosi.
Siamo sempre stati contrari ad ogni forma di «condonismo» e di «perdonismo» in tutti i settori: da quello fiscale a quello urbanistico, da quello della giustizia a quello sportivo. Per questo abbiamo combattuto battaglie insieme a tanti amici che nella passata legislatura hanno fatto un'opposizione strenua non solo a provvedimenti che tendevano a favorire i soliti potenti con leggi ad personam, ma anche, più in generale, nei confronti di provvedimenti e di interventi che tendevano a cancellare la legalità repubblicana e costituzionale in questo paese con grandi colpi di giro di una «lavanderia» parlamentare che tanti risultati ha ottenuto in questo senso.
Insieme a tanti alleati del centrosinistra, abbiamo combattuto delle battaglie straordinarie, e in base a questo ci siamo presentati ai nostri elettori, i quali ci hanno votato e ci hanno chiamato a governare anche per superare quelle prassi, per ritornare ad un principio di legalità, per sollevare una questione morale e ergerci a presidio della moralità nella vita pubblica e negli affari privati che hanno riflessi nei confronti della comunità.
Oggi, noi non stiamo tornando a fare campagna elettorale, ci stiamo semplicemente riportando ai principi ed ai valori che nella precedente campagna elettorale abbiamo proposto agli elettori e che ci hanno portato alla vittoria. Credo che ciò dimostri coerenza e non populismo e demagogia.
Pur essendo contrari a queste forme di «condonismo» e «perdonismo», noi abbiamo affermato che, in una situazione di emergenza, siamo sensibili alle esigenze e alle sofferenze dei carcerati che vivono in carceri sovraffollate. A tale proposito, dobbiamo fare alcune precisazioni che ci sembrano doverose e molto nette.
Noi respingiamo, in quanto distruttiva per il sistema istituzionale, l'idea che l'indulto sia fondato sul fatto che si possa combattere una supposta illegalità nelle carceri con un'altra illegalità, cioè non rispettare le regole esistenti, banalizzarle o dare l'impressione che si possano eludere perché, prima o poi, giungerà un provvedimento di clemenza.
D'altra parte, siamo contrari all'idea che si possa combattere una supposta illegalità ponendo in essere degli interventi che sarebbero idonei a riportare legalità e umanità nelle carceri in quelle situazioni. L'indulto non fa tutto questo. Noi abbiamo proposto di attendere ancora un po' per discutere tutti insieme quegli interventi strutturali e ordinamentali, legislativi e normativi, che potessero accompagnare un provvedimento di indulto in una situazione di chiarezza normativa.
Questo programma dell'Unione è pienamente conosciuto da tutti i nostri alleati della stessa Unione, nel punto in cui è scritto che il compito primario della presente legislatura sarebbe stato quello di provvedere ad una riforma del codice penale ed, in tale ambito, anche di varare un provvedimento di clemenza, e non Pag. 39cominciare dalla fine per poi, magari, dimenticarsi che bisogna fare anche il resto.
Ma vi è anche un altro argomento che ci meraviglia. Se le carceri sono davvero invivibili ed illegali, perché non si arriva a proporre, per coerenza fino in fondo, di svuotarle tutte? Perché si fanno uscire soltanto 10 mila detenuti? Gli altri 50 mila sono «carne da macello»? Noi non possiamo accettare l'idea che vi sia ancora un luogo di illegalità in cui, comunque, vi è un residuo di umanità sofferente che è vittima di tale illegalità. Allora, si faccia un indulto non di 3, ma di 5, 10 o di 20 anni. Si svuotino le carceri e si cominci daccapo! I paradossi servono naturalmente a capire qual è la sostanza degli argomenti che vengono addotti a sostegno di una tesi.
Respingo anche l'accusa di insensibilità che da più parti serpeggia nei confronti dell'Italia dei Valori circa la sofferenza dei detenuti. Anzitutto, abbiamo detto che un indulto lo votiamo, ma lo votiamo in un quadro determinato e particolare. Inoltre, noi abbiamo mostrato sensibilità nei confronti dei detenuti, tanto è vero che abbiamo proposto un emendamento che mira a mettere a disposizione dei detenuti scarcerati un assegno di reinserimento che possa consentire loro di non ritrovarsi di nuovo sulla strada, per poi ritornare di nuovo in carcere. Noi l'abbiamo fatto, non chi propone l'indulto!
Noi, ancora, abbiamo sensibilità nei confronti delle vittime del reato, tanto che sempre noi - e non altri - abbiamo proposto un emendamento volto a costituire presso i consigli di aiuto sociale un fondo a sostegno delle vittime che non possono essere risarcite. Quindi, dov'è la nostra insensibilità? Semmai, l'abbiamo mostrata in misura superiore ad altri, a chi, ad esempio, propone un indulto puro e semplice, che non consente di intervenire né sui soggetti svantaggiati né sul piano ordinamentale.
Ci è stato detto che questo è l'unico indulto possibile e ciò deriva da un patto stabilito tra alcune forze del centrosinistra e alcune forze del centrodestra. Poiché è necessaria la maggioranza dei due terzi, bisogna «tapparsi il naso» ed accettare ciò che «passa il convento». Noi non siamo di questo parere, ma siamo del parere che, invece, si sarebbe potuto prendere un po' tempo e compiere un'analisi più seria delle circostanze giuridiche, strutturali ed ordinamentali nelle quali inserire questo indulto. Si sarebbe arrivati a stabilire, come noi abbiamo proposto nel testo dell'atto Camera n. 1392, che vengano immediatamente abrogate alcune leggi fortemente alimentatrici della presenza carceraria, anzitutto la cosiddetta Bossi-Fini, che nel 2005 ha mandato in carcere, da sola, 10 mila persone! Noi, nel ricordato provvedimento, ne abbiamo proposto l'abrogazione e non abbiamo presenti altre proposte altrettanto concrete.
Noi proponiamo l'abrogazione della parte della cosiddetta ex Cirielli che riguarda la recidiva, perché manda - o mantiene - in carcere...
PRESIDENTE. Onorevole Palomba, la invito a concludere.
FEDERICO PALOMBA. ...di quanto non sarebbe giustificato dal fatto che non c'è un aumento dei reati, né un aumento della gravità dei reati. Vorrei allora dire con molta serenità agli amici alleati che questo patto riguarda soltanto un fatto: voi votate insieme a chi vuole escludere dall'indulto reati contro la pubblica amministrazione e avete voluto escludere dall'indulto, bocciando un mio emendamento, anche i reati di scambio di voti mafiosi.
Avrete il problema di motivare come mai state insieme e votate insieme a chi, da una parte, mostra di essere indulgente, mentre dall'altra ha concorso in gran parte a riempire le carceri. Questo è il punto che abbiamo proposto all'opinione pubblica e che riproponiamo nel dibattito in quest'Assemblea, certi, consapevoli e fiduciosi che vi sia ancora uno spazio, affinché anche noi, alle condizioni che abbiamo detto, possiamo votare un indulto. Altrimenti non lo voteremo.
SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
Pag. 40PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Intervengo sull'ordine dei lavori, anche per avere al riguardo un chiarimento da parte delle Presidenza. Noto sui banchi del Governo la presenza del ministro Di Pietro; tra l'altro, personalmente mi fa anche piacere, però la sua presenza è collegata alla discussione di questo provvedimento sull'indulto, su cui in realtà, mi sarei aspettato più volentieri la presenza del ministro della difesa...
ANTONIO DI PIETRO, Ministro delle infrastrutture. Della giustizia!
SIMONE BALDELLI. ... della giustizia. E vedo presente anche il sottosegretario per la giustizia.
Dico questo, Presidente, solo per capire chi dei rappresentanti del Governo qui presenti svolgerà la replica o darà il parere. Se la presenza del ministro Di Pietro è forse in qualche modo una presenza politica, per sottolineare un dissenso su questo provvedimento, allora in questo caso sarebbe più opportuno che egli sedesse nei banchi del suo gruppo parlamentare e motivasse direttamente da lì il suo dissenso.
PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, le ricordo che, ai sensi dell'articolo 64 della Costituzione, i membri del Governo, anche se non fanno parte della Camera, hanno diritto e, se richiesti, l'obbligo di assistere alle sedute. Ciò significa che i membri del Governo hanno diritto di assistere, quando ritengano, ai lavori dell'Assemblea, anche se non sono i ministri competenti sul provvedimento che è oggetto di discussione, ed è autonoma valutazione del Governo scegliere da chi farsi rappresentare nel corso dei lavori.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Samperi. Ne ha facoltà.
MARILENA SAMPERI. Il ministro Mastella, nell'esposizione delle linee programmatiche del suo dicastero in occasione dell'audizione in Commissione giustizia, ha indicato in 61 mila i detenuti reclusi nelle carceri, ben 20 mila in più di quanti gli istituti ne potrebbero contenere. Il numero dei detenuti è salito, dal 1990 al 2001, da 29.334 a 55.261 ed è aumentato di altre 6 mila unità negli ultimi cinque anni.
Queste cifre, più di ogni altra cosa, testimoniano l'insostenibilità dell'attuale situazione penitenziaria e l'intollerabilità del sovraffollamento. Questa drammatica situazione, che rende invivibile il carcere per i detenuti e difficoltose le condizioni di lavoro per gli operatori, è il segno, tra gli altri, della profonda disattenzione di cui è stato oggetto questo importante e delicato settore negli ultimi anni. Attualmente, il carcere non è riabilitazione, né strumento di cambiamento. Scontare la pena non ha di per sé virtù miracolose. Sono piuttosto le condizioni e le opportunità che si offrono ai condannati gli elementi fondamentali per rendere migliori o peggiori le persone, e certamente il carcere che oggi conosciamo non aiuta la crescita umana. Spesso abitua all'inutilità e alla invivibilità sociale, diseduca alle relazioni affettive e al lavoro.
Ad esempio, la quota dei detenuti lavoranti è rimasta ferma a 10-13 mila unità; le postazioni lavorative sono rimaste invariate; la possibilità di accedere al lavoro esterno rimane residuale, nonostante la popolazione carceraria sia così notevolmente aumentata.
Da più parti questa situazione così grave è imputata al sovraffollamento. Nelle carceri sovraffollate, la pena diventa più afflittiva del previsto. Negli ultimi anni, la situazione è precipitata con gli oltre 11.500 extracomunitari che, per la legge Bossi-Fini, sono transitati per il carcere e, nella maggior parte dei casi, si tratta di clandestini che non hanno rispettato l'ordine di espulsione. Il provvedimento di indulto è quindi, allo stato, assolutamente improrogabile e necessario per restituire decoro alla vita carceraria.
Nel recente passato, dall'anno del Giubileo in poi, il variegato mondo dell'associazionismo, del volontariato, del terzo settore, ma anche autorità civili e religiose, Pag. 41si sono battuti per ottenere un provvedimento di clemenza, ma anche di giustizia; soprattutto, si sono battuti nel richiedere un programma serio di reinserimento sociale e lavorativo, unica vera garanzia contro la recidiva, il provvedimento di effettività del funzionamento delle misure alternative e l'ampliamento degli organici degli operatori penitenziari.
Quest'indulto deve allora rappresentare l'avvio di un processo di ripensamento del carcere come prima, e spesso unica, risposta a qualsiasi lacerazione sociale, nonché di un ripensamento del sistema penale e della sua funzione. L'inizio, quindi, e non la fine di un percorso per avviare quelle riforme strutturali che andranno attuate per garantire riconoscimento, formazione e dignità professionale agli operatori, ma anche vivibilità nelle carceri e umanizzazione delle pene, quali elementi fondanti per il recupero e premessa per il reinserimento sociale delle persone detenute.
La prevenzione della recidiva, e quindi il perseguimento della tanto invocata sicurezza, si ottiene attivando l'associazionismo, il privato sociale, gli enti locali, per sostenere chi esce dal carcere. Un vero e proprio piccolo «piano Marshall», come è stato sostenuto da tanti enti e da tanti soggetti del passato, soprattutto in occasione dell'approvazione del cosiddetto indultino. Solo il sostegno sul territorio e concreti percorsi di inserimento sono reale garanzia e prevenzione per rompere la spirale della recidiva e garantire maggiore sicurezza ai cittadini.
Un indulto come precondizione di un percorso di riforme, non la resa dello Stato; ma forse un necessario riequilibrio di pene, spesso lontane da essere occasione per il recupero sociale delle persone condannate. L'indulto non si applicherà, com'è stato detto dai miei autorevoli colleghi, ai reati di maggiore allarme sociale: dall'associazionismo con finalità di terrorismo all'associazionismo di tipo mafioso, dalla prostituzione minorile alla violenza sessuale, dal riciclaggio al traffico di stupefacenti. Sono tutti reati che non saranno toccati dall'indulto. È necessario procedere rapidamente - ed è questa la grande scommessa di questo Governo e di questo Parlamento - ad una revisione del processo e ad una depenalizzazione di alcuni reati, per garantire tempi e pene certi ed una giustizia più equa. La legittima necessità di sicurezza dei cittadini non può essere garantita solo attraverso il carcere, ma attraverso un processo simmetricamente opposto che vada dal penale al sociale, e non dal sociale al penale; attraverso la realizzazione di strumenti idonei ad un effettivo recupero sociale; attraverso azioni di inclusione e non di esclusione sociale. È questa l'Italia che vogliamo (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e de La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 525-bis ed abbinate)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Buemi.
ENRICO BUEMI, Relatore. La ringrazio, signor Presidente.
Svolgerò alcune brevissime considerazioni.
Anzitutto, voglio rivolgere un particolare ringraziamento al Governo, e in particolare al ministro Mastella e al sottosegretario Li Gotti, per i puntuali dati forniti alla Commissione giustizia ed al sottoscritto, che hanno consentito una corretta valutazione nell'impostazione del testo da sottoporre all'esame di questa Assemblea. Un testo che mi pare abbia ricevuto, quanto meno nella discussione svoltasi stamani, l'apprezzamento della maggioranza dell'Assemblea.
Voglio aggiungere, rivolgendomi non tanto ai colleghi quanto ad alcuni mezzi di informazione che oggi parlano dell'argomento, che il testo in esame non è del ministro Mastella: il Governo ed il ministro della giustizia non hanno proposto a questa Assemblea alcun tipo di testo; come Pag. 42già è stato dichiarato a suo tempo, la responsabilità dell'iniziativa è da attribuirsi solo al Parlamento. Si tratta, infatti, di proposte legislative di iniziativa parlamentare di esponenti sia della maggioranza sia dell'opposizione, tra le quali è stato adottato un testo base, ora sottoposto all'Assemblea per una sua valutazione più puntuale. Quindi, non esiste alcuna iniziativa del Governo; peraltro, la particolare necessità di una maggioranza qualificata per l'approvazione del provvedimento impone che l'iniziativa non sia espressione della maggioranza di Governo dovendo, invece, risultare da una maggioranza più ampia e, possibilmente, non politica.
Lo stato di illegalità che esiste nelle nostre carceri deriva in primo luogo dal sovraffollamento; non vengono rispettati i requisiti standard. Requisiti fissati sia dal legislatore parlamentare sia da quello derivato, il Governo, che ha emanato i provvedimenti regolamentari. Uno Stato che non è in grado di rispettare le leggi che autonomamente si è dato è uno Stato che vive in una situazione di legalità; ebbene, a tale illegalità il provvedimento di indulto tende a porre rimedio immediato.
Ma il rimedio certamente deve tenere conto anche di altre e diverse esigenze, dall'elevata sensibilità sociale dell'opinione pubblica in materia di reati alla particolare gravità di talune ipotesi di reato che richiedono una loro esclusione dall'ambito di applicazione del provvedimento di clemenza. Di qui, il regime delle esclusioni, che derivano da un principio di ragionevolezza e di equilibrio: se il legislatore ha fissato il massimo di pena previsto per l'applicazione dell'indulto, ulteriori ipotesi di esclusione devono derivare da situazioni eccezionali; altrimenti, non si comprenderebbe perché, avendo il legislatore fissato la pericolosità di un reato mediante la dimensione della pena, poi, invece, si effettuino valutazioni ulteriori in un numero di fattispecie di reato particolarmente ampio.
Dunque, le esclusioni hanno tenuto conto di questi aspetti; anzi - e mi rivolgo ai colleghi intervenuti sulla materia -, alcuni reati sono rimasti inclusi nell'ambito di applicazione del provvedimento di clemenza e sono dunque rimasti senza una particolare menzione che ne evidenziasse l'esclusione perché non esiste, almeno stando ai dati fornitici dal ministero, alcuno stato di detenzione in funzione di quei reati. Infatti, francamente, non mi pare che alcuni reati rappresentino quella pericolosità sociale richiamata dalle preoccupazioni espresse da alcuni colleghi intervenuti stamani, perché in stato di detenzione non vi sono persone che abbiano commesso tali reati o i casi sono limitati, configurando ipotesi particolarmente residuali.
Le questioni che, invece, si pongono in termini estremamente seri sono altre; il nostro sistema carcerario manca l'obiettivo principale, ovvero la finalità rieducativa della pena. Non vi sono spazi rispondenti agli standard, non vi sono spazi per il lavoro: con riferimento ai dati forniti sui 10 mila e più detenuti che svolgono attività di lavoro, ebbene si tratta, in buona parte, di attività di tipo domestico, pulizie, piccole manutenzioni e cucine. Però, non vi è, in maniera significativa, alcuna attività produttiva nelle nostre carceri perché non vi sono spazi adeguati, e non perché non vi siano le volontà.
Gli spazi si ricavano, in primo luogo, ripristinando condizioni di non affollamento delle carceri. Non ci sono spazi adeguati per l'attività formativa, non ci sono possibilità di recupero di alcune strutture carcerarie perché la condizione di sovraffollamento impedisce l'inizio di attività di riqualificazione edilizia degli immobili. Soltanto in alcune realtà si possono attivare principi di rotazione che consentano di recuperare in maniera progressiva gli spazi che sono destinati ai detenuti.
Manca, inoltre, in maniera particolarmente significativa, il personale del trattamento. Questo è certamente un problema di spazi, ma anche un problema di organici e di risorse da destinare. Manca il personale per la medicina penitenziaria. Dobbiamo tenere presente una circostanza, vale a dire che, dopo le otto di sera, nelle nostre carceri si muore più Pag. 43facilmente che altrove, e non perché si svolgano attività illegali o sanzionabili dal punto di vista penale. La ragione è la mancanza del servizio. Perciò, la valutazione della pericolosità di uno stato di malattia, dalle otto di sera alle otto del mattino seguente, è affidata non ad un medico ma al personale di vigilanza. Infatti, in molti nostri istituti di pena, in particolare in quelli di minori dimensioni, non c'è un medico di guardia in servizio all'interno dell'istituto di pena. Sono queste le situazioni che ci fanno ritenere che un provvedimento di carattere eccezionale sia assolutamente indispensabile.
Come ultima considerazione, signor Presidente, intendo riferirmi alla richiamata questione degli extracomunitari e degli stranieri, in genere, presenti nelle nostre carceri. Nei nostri istituti di pena, gli stranieri hanno diritto al medesimo trattamento garantito agli italiani. Nello stesso tempo, però, il provvedimento che mette fine alla pena, o indulto, essendo condizionato alla restituzione del detenuto al paese d'origine, non può intervenire in base a semplice volontà unilaterale dell'Italia. Deve perfezionarsi attraverso accordi bilaterali, che - come i colleghi sanno perfettamente - necessitano di un certo tipo di preparazione e anche della volontà dei paesi di provenienza dei detenuti di accoglierli nuovamente e in maniera rispondente ai principi posti dal diritto internazionale. In altri termini, non devono essere eseguite le pene di morte e il trattamento, riguardo alle persecuzioni politiche, deve essere conforme alla normativa internazionale.
Tali questioni, dunque, ci fanno ritenere questo provvedimento particolarmente meritevole di approvazione e spero che la successiva fase di valutazione delle proposte emendative ci conduca ad una sua rapida approvazione.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo è stato chiamato in causa da alcune osservazioni dell'onorevole Consolo. Formulando una domanda interlocutoria, l'onorevole Consolo ha osservato che, dinanzi ad una popolazione carceraria destinata ad aumentare e che si è effettivamente accresciuta negli ultimi anni, si risponde non con l'indulto ma costruendo un maggior numero di istituti carcerari. L'onorevole Consolo ha chiesto al Governo di fornire, eventualmente, dati rispetto a questo inquietante interrogativo. Il Governo, però, ha già fornito questi dati alla Commissione giustizia della Camera, della quale l'onorevole Consolo è un componente.
I dati sono stati forniti, quindi, alla sua attenzione. Da essi risulta che, con gli istituti carcerari attualmente in fase di realizzazione, si prevede la possibilità, in tempi mediamente brevi, di aumentare la capacità di contenimento della popolazione carceraria di 5 mila unità, rispetto agli attuali 42 mila posti.
Salva la realizzazione di nuovi istituti carcerari che, finanze permettendo, potranno essere realizzati, quelli che, invece, sono già a livello di realizzazione o comunque ad uno stadio molto avanzato di studio, consentiranno di creare esattamente 1.800 nuovi posti (quelli in via di completamento) e ulteriori 5.000 nuovi posti (quelli in via di studio, già avviato ed ultimato), per un totale di 7.800 posti che il Governo ritiene, nell'arco di un biennio - questa è la previsione - di poter realizzare.
Si è chiesto come mai non sia stato emanato un decreto - visto che il Governo è ricorso a tale strumento per altre questioni - per stabilire la possibilità di detenzione in condizione di reciprocità con altri paesi. È ovvio considerare che questa non è materia che si possa regolamentare con un decreto, nel senso che sono necessari accordi bilaterali. Anche questo dato è stato fornito in Commissione giustizia - quindi, anche all'onorevole Consolo - e sono attualmente in atto, nel senso che sono stati aperti negoziati - poi sospesi dal precedente Governo - con la Colombia, il Brasile, l'Argentina e il Marocco, oltre quelli già conclusi. Con questi Pag. 44quattro paesi c'è un negoziato aperto, sospeso dal precedente Governo, quindi, si tratterà di riprendere quanto è già previsto.
Si chiede altresì come mai il Governo non abbia proceduto ad accompagnare questa proposta di indulto - l'onorevole Buemi ha comunque già chiarito che la proposta di indulto non è del Governo - con un provvedimento a favore delle vittime del dovere. Probabilmente, il Governo esaminerà anche questo aspetto, ma non è ovviamente nella proposta di indulto, di iniziativa parlamentare, che poteva inserirsi tale aspetto. Così come si fa carico al Governo della mancata risposta alla possibilità di condizionare l'indulto all'obbligo di risarcimento del danno, oppure la possibilità di concessione dell'indulto dopo aver espiato i due terzi della pena. Anche in questi casi, non si tratta di risposte che poteva dare il Governo, nel momento in cui la proposta è d'iniziativa parlamentare e dunque il Governo non può dare risposte in questa direzione.
Così come si assume - di questo si fa carico il Governo in senso politico - che si tratta di un colpo di spugna: su questo aspetto il Governo intende invece fare un minimo di chiarezza. Il provvedimento di indulto non è un colpo di spugna. Più tecnicamente, si può definire un colpo di spugna il provvedimento di amnistia, che è un fatto estintivo del reato. Essendo invece l'indulto un fatto ablativo di parte della pena, non è un colpo di spugna, nel senso che le condanne rimangono, così come la pena. Il beneficio riguarda una parte della pena, quella condonata, nel senso che per una condanna a 20 anni di carcere, 17 anni vanno espiati mentre gli ultimi 3 anni ricadono nell'indulto. Si dice, quindi, che l'indulto produce i suoi effetti nel tempo, nel senso che fra 15 anni ci sarà qualcuno che potrà godere dell'indulto concesso oggi, cioè, quando maturerà un residuo di pena tale da rientrare nell'indulto medesimo. Quindi, l'indulto non fa uscire oggi i detenuti: oggi si fanno uscire quei detenuti che hanno già maturato un residuo di pena inferiore o contenuto nella misura dell'indulto proposto.
Si è anche osservato che il Governo non avrebbe fornito i dati per differenziare la popolazione carceraria composta da imputati e quella composta da condannati.
Anche in questo caso si tratta di un dato che l'Esecutivo ha fornito; in particolare, la richiesta fu formulata di martedì e già il mercoledì successivo il Governo fornì articolate risposte. Proprio in Commissione, si diede atto della quantità di dati che l'Esecutivo era stato in grado di fornire nel giro di poche ore.
Da tali dati emerge che la popolazione carceraria oggi è rappresentata: per il 61,9 per cento, da condannati a pena definitiva; per il 2 per cento da internati, il cui presupposto è sempre la definitività della pena; per il 36,1 per cento da detenuti in attesa di sentenza definitiva. Di questo 36,1 per cento, il 57,3 per cento è costituito da detenuti giudicabili, il 29,4 per cento è rappresentato da detenuti giudicati in primo grado ed appellanti, il 13,3 per cento è costituito da detenuti giudicati in primo grado, giudicati in grado d'appello e ricorrenti in Cassazione
Quindi, i numeri della popolazione carceraria sono ben noti, così come sono altamente noti i dati forniti dal Ministero e richiamati da una osservazione dell'onorevole Costa. Quest'ultimo, infatti, ha chiesto se il Governo si sia posto il problema di valutare l'incidenza sulla popolazione carceraria del decreto finalizzato alla regolarizzazione di 350 mila stranieri.
L'Esecutivo non ritiene che il suddetto decreto abbia alcun nesso con il problema della popolazione carceraria. Infatti, prospettare un simile accostamento costituisce un fatto che, oltre ad essere ingiustificato, è anche fuorviante. Dai dati forniti risulta che la popolazione carceraria rappresentata da stranieri è sicuramente elevata rispetto ai numeri. Tuttavia, il dato che deve far riflettere è rappresentato dal fatto che, per i reati di fascia bassa, l'incidenza sulla popolazione globale carceraria dei detenuti non italiani è del 40 per cento. Man mano che si aumenta la fascia di gravità dei reati, arrivando all'ultima fascia - quella di maggiore gravità e incidenza sociale del crimine -, l'incidenza Pag. 45degli stranieri sul totale della popolazione carceraria è del 3 per cento. Si tratta di un dato fornito dal Ministero, che dunque avrebbe consentito il richiesto approccio organico che l'onorevole Costa ha rimproverato al Governo. I dati forniti consentono, appunto, un approccio organico, analitico e non generalistico.
Arrivo alla conclusione, signora Presidente, onorevoli deputati. Su questo punto vorrei esprimere l'idea del Governo. Si è un po' equivocato il problema della natura della pena. C'è un certo andazzo, anche giuridico, che porta a ritenere la pena finalizzata alla rieducazione. Noi sappiamo che, per il principio costituzionale, la pena è afflittiva e deve tendere alla rieducazione. Ovviamente, è la parola stessa «pena» che ha un contenuto di afflittività. Diversamente, la Carta costituzionale avrebbe parlato di misure: le misure restrittive devono tendere alla rieducazione.
Nel momento in cui si parla di pena, si parla di afflittività. La pena deve tendere alla rieducazione. Allora, il problema riguarda la modalità della pena. L'assurdo che si sta verificando nel nostro paese è che la parte afflittiva rimane integra, ossia la pena intesa come privazione della libertà. La modalità della pena, ossia la parte che deve tendere alla rieducazione, è stata stravolta, perché la modalità della pena nelle carceri, così come si sta realizzando nel nostro paese, è esattamente il contrario di quanto afferma la Costituzione.
Si salva, quindi, il primo aspetto, ossia la quantità della pena-parte afflittiva, e si incide sulle modalità della pena, che diventano da rieducative ad afflittive, esattamente il contrario di ciò che dice la nostra Carta costituzionale.
È chiaro che tutti quanti noi dobbiamo lavorare e impegnarci per rispettare in pieno il principio costituzionale: afflittività della pena e funzione di rieducazione della stessa. Sicuramente, la modalità della pena, caratterizzata, in modo particolare, da condizioni carcerarie insostenibili, costituisce il contrario di ciò che afferma la Costituzione.
Sappiamo che l'indulto non risolve questi problemi. Sappiamo benissimo che non li risolve, ma l'indulto non è una misura eccezionale. Nel 1990 si disse: mai più un indulto, mai più un atto di clemenza, ma dobbiamo anche dire che ciò è contrario al principio della nostra Costituzione, che prevede gli atti di clemenza. Mai e poi mai il Parlamento potrà dire «mai più» rispetto a qualcosa che è prevista dalla Costituzione. Mi sembra un'aberrazione.
Gli atti di clemenza sono previsti dalla Costituzione e la previsione costituzionale è stata ulteriormente rafforzata proprio nel momento in cui si è stabilita una maggioranza qualificata per approvare l'atto. Ciò significa che il principio costituzionale è stato fatto salvo. La maggioranza qualificata ha modificato i numeri per l'approvazione, ma il principio è stato fatto salvo.
Se il principio è fatto salvo, non deve essere considerato uno strappo. L'atto di clemenza non può essere considerato uno strappo e, rispetto ad esso, mi pare che tutti i gruppi non hanno espresso una pregiudiziale. La differenza all'interno di alcuni gruppi si è contrassegnata esclusivamente su alcune qualità dell'indulto e su alcune esclusioni oggettive dallo stesso, oppure sulla quantità. Ma non mi sembra che da parte di alcun gruppo vi sia stata una pregiudiziale sull'atto di clemenza.
Questo è un segnale estremamente positivo da parte del Parlamento. Forse i gruppi di Alleanza nazionale e della Lega hanno assunto posizioni più dure, ma il gruppo di Alleanza nazionale ha tenuto a specificare che, comunque, c'è un dibattito interno allo stesso partito.
Ciò significa che sul provvedimento in esame è aperta una discussione, come si diceva, già avviata in Commissione, che il Governo si augura continuerà a svolgersi in quest'aula con il contributo di tutte le forze politiche.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 17 con la discussione generale sul Documento di programmazione economico-finanziaria Pag. 46relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011.
La seduta, sospesa alle 13,40, è ripresa alle 17.
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Amato, Aprea, Prodi, Santagata e Sgobio sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono quarantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Discussione del documento: Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011 (Doc. LVII, n. 1).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione - Doc. LVII, n. 1)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
MASSIMO TONONI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, onorevole Ventura.
MICHELE VENTURA, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, noi arriviamo alla discussione in aula del documento di programmazione economico-finanziaria dopo un dibattito, che io ho trovato molto interessante, in Commissione bilancio e dopo un lavoro, assai puntuale, svolto dalle Commissioni di merito.
Il dibattito in Commissione bilancio è stato molto interessante perché è partito da una constatazione, cioè quella legata alla necessità di rimettere sotto controllo la spesa pubblica e i conti dello Stato; le posizioni, infatti, si sono articolate sulle scelte da compiere per rendere più forte e stabile la ripresa con un dibattito basato - non come è accaduto negli scorsi anni, quasi una sorta di confronto tra ottimisti e pessimisti - sulla robustezza e la consistenza della ripresa.
Alcuni esponenti dell'opposizione hanno, ad esempio, considerato eccessivamente prudenti le cifre relative all'incremento del PIL nel quinquennio; c'è stata, quindi, una diversificazione sulle politiche da seguire, ma in un clima che io considero molto positivo. Si è discusso sul breve periodo e l'attenzione si è ovviamente concentrata sul 2007, ma con una forte attenzione anche sulle ipotesi di media e di lunga scadenza.
La mia opinione è che il Documento di programmazione economico-finanziaria non può essere piegato esclusivamente sulle contingenze; esso, infatti, va considerato per il periodo che intende coprire.
Il DPEF quest'anno, infatti, prende a riferimento un arco temporale ampio, che arriva sino al 2011; si tratta di un DPEF quinquennale, un vero e proprio manifesto economico di legislatura che, insieme al decreto-legge n. 223 in materia di rilancio economico, in discussione al Senato, delinea la politica economica del Governo Prodi.
Il Governo ha trasmesso un documento chiaro ed argomentato; si può eccepire Pag. 47sulle proposte, ma contiene elementi estremamente realistici. Le politiche delineate sono quelle necessarie per il rilancio del nostro sistema paese. Sono fissati gli obiettivi di medio periodo non solo economici, ma anche di qualità sociale ed ambientale. Il DPEF individua le strategie per tornare a crescere, per riposizionare il nostro paese nel mutato quadro europeo e globale. La portata riformista del DPEF - abusiamo ancora di questa parola - che copre gli anni 2007-2011 è ambiziosa.
Il Governo intende operare lungo tre direttrici, come ha avuto modo di dire nella sua audizione il ministro dell'economia: crescita, risanamento dei conti, equità sociale e territoriale, che sono tra loro sinergiche.
La politica dei due tempi (prima i sacrifici e poi le riforme), è del tutto superata, risanamento ed equità devono camminare insieme, non solo per creare il necessario consenso, ma anche per la stessa efficacia del programma economico del Governo.
Tutte le misure descritte sono di natura strutturale: le soluzioni ai problemi non si possono più rinviare. Esse si ispirano all'impianto della strategia di Lisbona.
L'Italia, come ha già dimostrato negli anni che hanno preceduto l'adesione alla moneta unica europea, possiede le energie e le risorse umane per poter affrontare e vincere questa sfida, ripristinando la coesione nazionale sulla base della giustizia sociale e valorizzando, in particolare, le potenzialità dei giovani e delle donne, a cui sono dedicati molti dei provvedimenti in programma.
Altro elemento decisivo della strategia del DPEF è il metodo proposto per conseguire gli obiettivi. Si ritorna alla concertazione con le parti sociali ed i territori. I sacrifici dovranno avere precise contropartite nelle riforme settoriali ed essere preceduti da misure di equità fiscale. Non ci saranno solo tagli, ma si opererà con la razionalizzazione e la riforma della spesa e delle strutture delle pubbliche amministrazioni, riqualificando la funzione della sfera pubblica.
Il rapporto con le autonomie locali sarà rafforzato da un costante confronto sugli obiettivi e da una concreta collaborazione sugli strumenti, in particolare nelle politiche per l'equità, che nel DPEF all'esame del Parlamento sono condizioni indispensabili al processo di risanamento finanziario e al rilancio della crescita.
Questi sono i principi generali ispiratori. Vi è poi una parte, che salto per motivi di brevità, che si riferisce all'importanza del Documento di programmazione economico-finanziaria, tema lungamente dibattuto - si è parlato addirittura dell'utilità o meno di questo strumento - e che potremo sempre affrontare. Si è giunti alla conclusione della necessità, pur rivedendone alcune parti procedurali, di mantenere lo strumento.
Per quanto riguarda lo scenario macroeconomico, il contesto internazionale in cui si inquadra la strategia di risanamento e di crescita dell'economia italiana presenta importanti elementi di criticità e vincoli di carattere sia economico che geopolitico a livello globale.
Vorrei ricordare che il tasso di crescita dell'economia mondiale è stato, nel 2005, ancora del 4,7 per cento e che questo aumento è soprattutto trascinato dai paesi emergenti, in primo luogo asiatici, e da una consistente e persistente durata di incremento del prodotto interno lordo negli Stati Uniti d'America. L'aumento del prezzo - e qui veniamo agli aspetti di criticità - del greggio - una delle incognite, uno dei punti più preoccupanti - dipende sia da fattori strutturali, quali la forte domanda da parte dei paesi emergenti - ieri, per esempio, è stato pubblicato un articolo piuttosto approfondito su Il Sole 24 Ore, con una descrizione sulle materie prime, che dimostrava come questa richiesta crescente di materie prime da parte di un paese come la Cina, sempre citato, crea anche a questo proposito una serie di questioni non secondarie -, sia da tensioni geopolitiche nei principali paesi produttori.
È del tutto evidente che la destabilizzazione di aree intere del mondo, che riguardano soprattutto i paesi produttori, Pag. 48ha un'incidenza anch'essa non trascurabile. La crescita mondiale continua ad avere questi aspetti di dinamismo. L'economia italiana dovrebbe beneficiare dei confortanti segnali di ripresa dei paesi dell'Unione europea, in particolare dell'area euro, grazie al recupero del settore industriale e alla positiva dinamica del commercio mondiale. Alcuni di questi risultati li intravediamo già osservando il tendenziale dell'anno in corso che, rispetto al 2005, segna un recupero positivo della nostra economia. A tale riguardo, la mia impressione è che molto si deve alla ripresa di mercati quali, ad esempio, quello tedesco ed altri. Comunque, siamo in presenza di segnali di crescita.
Al fine di svolgere un ragionamento che non sia soltanto declamatorio e falsamente ottimistico, nel DPEF si fa la scelta di individuare gli aspetti di criticità del nostro sistema: le difficoltà del sistema-paese. Tali difficoltà sono individuate essenzialmente in tre aspetti: il calo della produttività e della competitività; le difficoltà dei conti pubblici; l'aumento delle disparità sociali.
L'Italia continua a perdere competitività, la quota delle nostre esportazioni sul commercio mondiale si è ridotta ed è adesso di circa un punto più bassa rispetto ad un decennio fa. Anche la crescita dell'occupazione sembra entrare in una fase di decelerazione. Il Mezzogiorno è tornato dopo sette anni a crescere meno del resto del paese. A determinare tale rallentamento anche la forte riduzione del tasso di crescita dei consumi interni dovuta al decremento dei redditi delle classi popolari, delle classi cioè meno abbienti. Negli ultimi cinque anni la produttività in Germania è aumentata del 10 per cento, in Francia del 12 per cento, in Italia è diminuita di quasi un punto e mezzo. Quello appena citato è uno degli aspetti strutturali che spiegano le difficoltà crescenti ad essere competitivi sui mercati mondiali.
La nostra opinione, contenuta nel DPEF, è che l'euro non è dunque la ragione del nostro declino. L'adozione dell'euro ha eliminato alcuni fattori distorti di crescita. Questi elementi, che noi ci troviamo ad avere, sono le conseguenze di un ritardo con il quale si sono analizzati i cambiamenti che sono intervenuti sia nelle dinamiche interne della società nazionale sia nel contesto internazionale. Tutto ciò ha determinato l'emergere di fattori strutturali che oggi fortemente ci penalizzano.
È sulla base dei dati relativi al 2005 che sono stati assunti gli impegni europei nel quadro della procedura di deficit eccessivo che si è aperta l'estate scorsa. Per effetto di quella procedura, l'Italia ha negoziato con l'Unione europea un piano di rientro i cui elementi essenziali sono: un indebitamento netto al di sotto del 4 per cento nel 2006 e del 3 per cento nel 2007; una correzione dei conti strutturale di almeno 1,6 punti percentuali di PIL nel biennio 2006-2007; un rapporto debito-PIL in diminuzione in modo sufficiente e in avvicinamento al livello di riferimento - 60 per cento del PIL - ad una velocità soddisfacente.
Qui c'è un aspetto sul quale desidero soffermarmi brevemente. Si tratta del modo con cui spalmare la manovra di rientro. L'Unione europea, in realtà, aveva accordato il biennio 2006-2007. Nel 2006 si apporta una correzione dello 0,1 per cento; pertanto, è del tutto evidente che si scarica sul 2007 il grosso della manovra.
Anche su questo punto si tratterà - di fronte ad una percorso virtuoso e a prove di rientro effettivo, dopo anni di discussioni fatte con l'Unione europea in modo, non dico non serio, ma di grande aleatorietà - di riprendere con l'Unione europea stessa un dialogo serio e responsabile. È del tutto evidente che si tratta di una questione non più rinviabile.
Tutto questo discorso sui conti non è un fatto ragionieristico e neanche imposto dall'Unione europea - è chiaro che all'Unione europea dobbiamo dare delle certezze - ma di serietà, che dobbiamo consolidare nel rapporto con i cittadini italiani, con il mondo dei lavoratori, degli imprenditori, con le categorie imprenditoriali e le forze sociali. A tale proposito, una stabilizzazione dei conti potrebbe favorire Pag. 49un processo più virtuoso, anche dal punto di vista dello sviluppo industriale ed una ripresa dell'economia nel suo complesso.
Ho letto ieri su Il Sole 24 Ore un'editoriale del direttore Ferruccio de Bortoli, che propone un manifesto a favore delle piccole imprese. Nell'articolo de Bortoli sostiene che vi è una tradizionale cecità della classe dirigente italiana rispetto alle esigenze del mondo imprenditoriale. Egli afferma che: «La cultura d'impresa del nostro paese è il vaso di coccio tra eredità storico-culturali, spinte corporative e resistenze sindacali. Ha più nemici che amici, più sospetti che apprezzamenti. Altrove la si insegna a scuola, da noi è confinata in angoli residui del dibattito pubblico. Competizione e attitudine al rischio, nei paesi con una democrazia di mercato più evoluta, sono componenti irrinunciabili del progresso, da noi conservano inspiegabili valenze negative.» E nell'editoriale vi è un passaggio che mi ha incuriosito, laddove de Bortoli aggiunge: «La parola impresa ha sempre bisogno di un avversativo (sociale, aperta, solidale) come se non esprimesse in sé alcun valore assoluto. Sia la cultura marxista sia, in parte, quella cattolica hanno a lungo scambiato uffici e fabbriche come luoghi di contraddizioni sociali, se non di sfruttamento. Assai raramente i centri produzione, materiale e non, sono stati descritti come cellule sociali insostituibili, nelle quali non solo si crea il benessere ma si impara ad essere cittadini.»
In conclusione, la proposta del direttore de Il Sole 24 Ore è quella di mettere al centro della nostra iniziativa la piccola e media impresa: lanciare un manifesto a favore della piccola e media impresa. Nell'editoriale de Bortoli dice: le piccole e medie imprese non sono soltanto la spina dorsale dell'economia, ma anche i laboratori all'interno dei quali si sperimenta la società multietnica che verrà.
Ritengo che l'impresa, piccola e media, in una realtà come quella italiana, non può che essere al centro dell'iniziativa delle pubbliche amministrazioni, del Governo. Il fatto che la piccola impresa sia un fenomeno così importante lo sappiamo da tempo, da quando abbiamo lavorato alla costruzione dei distretti industriali, da quando le piccole imprese hanno assunto anche una dimensione sistemica attraverso i distretti industriali e i rinnovamenti continui che vi sono stati all'interno dei distretti stessi. Neppure credo che sia un fatto di cultura, perché gli artefici (dal Veneto al Piemonte, dall'Emilia alla Toscana) sono state proprio quelle amministrazioni che ne hanno accompagnato la crescita.
Il punto centrale è che non credo che, ai fini del rilancio «condiviso» della nostra economia, il valore dell'impresa perda di significato se dovesse essere accompagnato da parole come «solidarietà». Si tratta, infatti, di elementi indispensabili per la crescita della coesione nei territori dove l'azienda continua a sviluppare questo suo ruolo sicuramente fondamentale.
Ben vengano, dunque, spinte e sollecitazioni in tale direzione; è ben accettata anche la proposta di un «manifesto» a favore delle piccole e medie imprese. La mia opinione è che dobbiamo definire proprio assieme a tali imprese, di cui comprendo l'importanza ed il valore - apprezzo, tra l'altro, la proposta, contenuta nel Documento di programmazione economico-finanziaria, di lanciare il «marchio Italia» -, politiche industriali in grandi settori strategici dell'economia nazionale. Si tratta infatti, a mio avviso, di uno degli elementi indispensabili per il rilancio del nostro paese.
Detto ciò, vorrei ricordare che risanamento e rilancio dell'economia devono procedere di pari passo. Permettetemi di insistere ancora una volta, rapidamente, sul fatto che il risanamento costituisce non un optional, bensì una condizione indispensabile per adottare politiche di rilancio economico; pertanto, l'abbattimento del debito pubblico, il ritorno ad un consistente avanzo primario e la riduzione del rapporto tra deficit e PIL sono politiche di per sé inevitabili, nonché di grande valore.
Non possiamo continuare ad avere, infatti, un rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo pari al 107 o al 108 Pag. 50per cento. Tale cifra ci ricorda l'entità del debito italiano, ed allora occorre cominciare ad aggredire strutturalmente i fattori che lo determinano.
Proprio perché ritengo ciò indispensabile, dobbiamo chiaramente operare attraverso una politica di equità. Vorrei insistere sul termine di «equità», visto anche il modo con cui, in questo ultimo periodo, la ricchezza si è trasferita dai redditi da lavoro (o comunque, dai redditi prodotti dai soggetti direttamente impegnati nella produzione) verso rendite e patrimoni: si tratta, infatti, di uno squilibrio non sostenibile nel lungo periodo.
Mi scusi, signor Presidente, quanto tempo ho a disposizione? Venti minuti, vero?
PRESIDENTE. Onorevole relatore, lei ha a disposizione complessivamente trenta minuti; tuttavia, le segnalo che ne ha utilizzati quasi venti.
MICHELE VENTURA, Relatore per la maggioranza. Trenta minuti compresa la fase di replica?
PRESIDENTE. Sì.
MICHELE VENTURA, Relatore per la maggioranza. Grazie, Presidente.
Nel Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011 si insiste, ovviamente, sul fatto che il rilancio del nostro paese è possibile. Nel testo scritto della relazione al DPEF, cui rinvio, sono infatti indicate tutte le misure avanzate a tale proposito. Esse vanno dagli interventi per la ricerca a quelli dedicati alla formazione, e riguardano il modo con il quale tutto ciò può essere realizzato.
Vorrei infine sottolineare, onorevoli colleghi, come le politiche a favore della crescita si potranno tradurre in fatti concreti solo se riusciremo a mobilitare la società nel suo complesso; in altri termini, potremo raggiungere tale scopo se ogni soggetto avvertirà l'obbligo di compiere interamente il proprio dovere.
Sono state proposte molteplici linee di intervento. Vorrei ricordare che nel DPEF 2007-2011 sono ritenuti settori centrali, ad esempio, il contesto economico, attraverso infrastrutture materiali e immateriali; l'innovazione e la ricerca, attraverso non solo una maggiore complementarietà tra pubbliche amministrazioni, ma anche la partnership pubblico-privato; il sostegno alle attività di ricerca e sviluppo ed alla collaborazione tra imprese e università e centri di ricerca; la fiscalità, tramite automatismi per la riduzione dei costi di produzione, in particolare del lavoro (il cosiddetto cuneo fiscale).
Abbiamo avanzato una serie di proposte di dettaglio tese a valorizzare da subito grandi risorse come la cultura ed il turismo. Si tratta di una prima risposta che può essere offerta al nostro paese attraverso un elemento unificante: aumentare la qualità dei prodotti, diminuire i differenziali di prezzo con i concorrenti, rendere più agibile il raggiungimento delle destinazioni turistiche, contrastare il lavoro nero ed irregolare anche in quel mondo.
In un'altra parte del DPEF ci sono tutte le politiche del lavoro e le politiche sociali, come si legge nella relazione. La parte dell'equità sociale è concentrata in undici punti estremamente chiari, che non sto a ripetere per motivi di tempo, che danno il senso di come la coesione possa essere trovata anche attraverso la riqualificazione della spesa sociale. Anche l'elemento del sociale, al pari di quello del risanamento, non è da considerare un optional.
Infine, vorrei dire una parola sui quattro grandi aggregati di spesa. Per gli enti territoriali, la grande novità del DPEF è che torniamo ai saldi e superiamo i tetti di spesa per un rapporto corretto con gli enti locali, in una dimensione rispettosa del principio delle autonomie ed attraverso la responsabilizzazione delle classi dirigenti locali. Per la sanità, vedrete che nella risoluzione si parla di una conferma dell'attuale rapporto rispetto al PIL con una riqualificazione della spesa sanitaria. Per quanto riguarda il pubblico impiego, ci sono proposte che tendono ad una riqualificazione Pag. 51e ad una sostituzione di figure per far rispondere il pubblico impiego alle mutate esigenze di una società trasformata. Sulle pensioni, è evidente che la verifica verrà svolta sulla base delle riforme - mi riferisco soprattutto alla riforma Dini - e sarà vista in relazione alle questioni della compatibilità finanziaria, ma non tolta dal contesto nel quale devono essere date risposte socialmente sostenibili e, quindi, in linea con gli obiettivi che l'Unione aveva posto al centro del proprio programma elettorale.
Queste, in breve sintesi, sono le questioni che volevo rappresentare. Vi è anche la consapevolezza che, se trasmettiamo un'idea giusta della ripresa dell'economia, facendola uscire da un dibattito tra addetti ai lavori, potremo avere il sostegno convinto e consapevole delle parti più dinamiche e vitali del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, i richiami al regolamento di cui all'articolo 41 hanno la priorità rispetto alla discussione principale. Vorrei, in particolare, richiamarmi all'articolo 18 del regolamento perché la scorsa settimana, quando in quest'aula...
PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, mi scusi: i richiami al regolamento, ai sensi dell'articolo da lei citato, devono essere fatti relativamente a tematiche legate all'argomento di cui si sta parlando. L'articolo 18 che lei ha richiamato riguarda la Giunta per le autorizzazioni, mentre stiamo discutendo del Documento di programmazione economico-finanziaria.
Vorrei citarle, al riguardo, il parere della Giunta per il regolamento, votato all'unanimità in data 24 ottobre 1996, secondo il quale gli interventi incidentali, ai sensi dell'articolo 41, comma 1, del regolamento, sono, in linea generale, ammissibili soltanto quando i richiami al regolamento o per l'ordine dei lavori vertano in modo diretto ed univoco sullo svolgimento e sulle modalità della discussione o della deliberazione o, comunque, del passaggio procedurale nel quale, al momento in cui vengono proposti, sia impegnata l'Assemblea o la Commissione. In tutti gli altri casi, per ogni altro richiamo o intervento, l'intervento andrà collocato secondo la sua natura al termine della seduta. Quindi, la invito a svolgere cortesemente il suo intervento al termine della seduta.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, la ringrazio molto. Conoscevo il parere in questione e la ringrazio per averlo richiamato. Interverrò senz'altro al termine della seduta, ma, per la rilevanza del tema, riguardante un'iniziativa del Presidente della Camera, vorrei pregarla di ascoltarmi. Le rubo soltanto trenta secondi.
Vorrei chiedere al Presidente della Camera la cortesia di conoscere il testo della lettera con la quale ha accompagnato l'invio degli atti relativi alla discussione che abbiamo svolto in quest'aula la scorsa settimana, in occasione della votazione sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del collega Raffaele Fitto, al Consiglio superiore della magistratura.
Vorrei conoscere il testo di tale lettera, perché spero che, in nessuna maniera, vi sia stato un attentato all'indipendenza della magistratura. Le sarà grato se vorrà trasmettere questa mia richiesta al Presidente della Camera.
PRESIDENTE. Ovviamente, onorevole Evangelisti, trasmetterò la sua richiesta al Presidente della Camera.
Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Alberto Giorgetti.
ALBERTO GIORGETTI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, l'intera Casa delle libertà e la rappresentanza del partito repubblicano nel gruppo Misto hanno Pag. 52deciso di presentare una relazione di minoranza per indicare i cardini fondamentali sulla base dei quali, oggi, si distingue una politica economica annunciata in questo Documento e riguardante i prossimi cinque anni del Governo, che non condividiamo e che riteniamo debba essere modificata in misura sostanziale alla luce anche della aleatorietà con cui si affronta una serie di argomenti all'interno del DPEF.
Tale documento, come sosteneva il collega Ventura, contiene sicuramente obiettivi ambiziosi. Tuttavia, riteniamo che, nell'ambito di tali obiettivi, non siano state svolte considerazioni qualitativamente apprezzabili per poterli raggiungere. Più volte, l'onorevole Ventura ha richiamato i temi dello sviluppo, del risanamento e dell'equità, i tre cardini fondamentali su cui ci si confronta nell'ambito delle scelte dei prossimi cinque anni.
Crediamo che, al di là del merito con cui si intende raggiungere questi obiettivi, del tutto aleatorio ed evasivo rispetto alle reali questioni, vi sia un problema di fondo, ossia che l'impostazione degli obiettivi riguardanti lo sviluppo determinerà un'enorme difficoltà nel raggiungimento dell'equità e del risanamento. Questo è l'aspetto fondamentale.
Riteniamo che gli obiettivi di sviluppo posti all'interno del Documento di programmazione economico-finanziaria (mi riferisco, in particolar modo, alla crescita del prodotto interno lordo), che voi chiamate realistici, ma che noi consideriamo, in buona misura, rinunciatari (e dopo entreremo nel merito delle singole situazioni), determinino enormi ed importanti problemi nel portare avanti un vero percorso di risanamento dei conti pubblici e nel raggiungere risultati significativi in materia di equità, a meno che (il collega Ventura, precedentemente, ha ricordato l'intervento di de Bortoli, che volentieri riprenderemo nel corso della nostra relazione) le dichiarazioni non siano quelle cui fa riferimento, per esempio, il segretario di Rifondazione Comunista, dichiarazioni assolutamente legittime, ma che dimostrano le contraddizioni di questa maggioranza, e in cui si afferma con chiarezza che il tema dell'equità si affronterà all'interno della prossima legge finanziaria, colpendo i ceti che sono stati favoriti dal Governo di centrodestra.
Allora, dobbiamo capire se, come nelle ambizioni del collega Ventura e della maggioranza, si vogliono affrontare i temi all'attenzione del paese o se sia in corso una resa dei conti, di cui stiamo riscontrando i segnali attorno al tema del cosiddetto decreto Bersani e nella prossima legge finanziaria, che va a colpire alcuni ceti, in particolar modo il ceto medio, poiché rappresenta un blocco sociale ed economico che forse, in questi anni, non è stato particolarmente vicino all'attuale maggioranza.
Noi riteniamo che il Documento di programmazione economico-finanziaria abbia all'interno momenti di criticità e di contraddizione, che emergono anche nei pareri espressi dalle Commissioni di merito. Alcuni di questi pareri riportano integralmente la necessità di un rafforzamento delle politiche economiche del Governo, in particolar modo in materia fiscale a sostegno delle famiglie e delle piccole imprese; richiamano il Governo ad una politica attenta in materia infrastrutturale, ricordando anche gli obiettivi da perseguire in funzione della legge obiettivo già varata nella scorsa legislatura, e richiamano a temi che non sono stati trattati, come ha illustrato l'onorevole Ventura, così puntualmente all'interno del Documento di programmazione economica-finanziaria.
Noi riteniamo che dal DPEF emerga un approccio eccessivamente passivo e pessimista sulle possibilità del Governo di incidere con le politiche economiche sugli andamenti dell'economia reale. È indubbio che ci troviamo in una società globalizzata, che oggi la sovranità monetaria è in capo all'Europa, che complessivamente sussiste la difficoltà dei Governi nel sostenere politiche attive che possano consentire lo sviluppo, la crescita dell'occupazione e il risanamento dei conti pubblici. È altrettanto vero che l'atteggiamento di questo Governo è sostanzialmente Pag. 53rinunciatario e pessimista. Noi riteniamo, invece, che si debba proseguire per sostenere, attraverso una serie di interventi, il varo di strumenti di tutela e di difesa del sistema produttivo nazionale.
Collega Ventura, al di là del dibattito attorno alla concertazione - che, peraltro, non avete applicato già nel primo provvedimento fondamentale -, lei ha dichiarato che il Governo manifesta le linee di politica economica all'interno del Documento di programmazione economico-finanziaria e del primo atto fondamentale del Governo, che è stato il cosiddetto decreto Bersani. Su quel decreto-legge la concertazione e il confronto con le categorie interessate certamente non ci sono stati; in questi ultimi giorni e in queste ultime ore c'è un tentativo di recupero che, in buona parte, smonta l'impostazione stessa del decreto-legge; il che conferma i nostri dubbi sulla tenuta stessa dell'attuale maggioranza attorno alle scelte e agli obiettivi che vengono evidenziati nel Documento di programmazione economico-finanziaria.
È giusto, quindi, domandarsi, come faceva il collega Ventura, quali politiche attivare per il sostegno delle imprese. Credo che de Bortoli oggi intervenga su un tema fondamentale lanciando un messaggio, non a caso in questa fase e, probabilmente, alla luce dell'incertezza che sta manifestando il Governo per le politiche attive di intervento, che non sembrano essere chiare. Credo che in questa fase un'attenzione nei confronti della piccola e media impresa meriti particolare rilievo anche nel dibattito politico. Ovviamente, il fatto di sorreggere un percorso legato al sostegno delle grandi aziende nazionali - e, quindi, un sostegno di ridefinizione di politica industriale per quel riguarda i settori strategici -, è un tema sicuramente rilevante. Altrettanto importante è abbandonare da parte della maggioranza una concezione ideologica di sostanziale sfiducia o perplessità nei confronti di un mondo produttivo che in questi anni ha mantenuto l'Italia competitiva sugli scenari internazionali, le ha consentito di continuare a crescere nel prodotto interno lordo ed ha avuto nello sviluppo un percorso del tutto autonomo rispetto alle scelte di Governo.
Non vorremmo che si cominciasse un percorso in qualche modo dirigista, che veda il Governo tentare di pianificare interventi di sostegno alle piccole e medie imprese, andando a travalicare rispetto al proprio ruolo e non riconoscendo un percorso storico. I distretti industriali sono stati riconosciuti, è stata approvata una legge nazionale che è stata ampiamente superata e su cui oggi le regioni stanno predisponendo delle leggi specifiche a livello territoriale, ma dal mondo delle imprese emerge sempre un elemento forte: esse chiedono di essere lasciate organizzare, di fare in modo che possano confrontarsi sui temi di mercato e sul mercato internazionale nella concorrenza, di essere messe nelle condizioni di poter operare e fornite degli strumenti che fino ad oggi sono mancati, senza snaturare le caratteristiche stesse insite nella piccola e media impresa.
Sono giusti gli appelli e le sollecitazioni intorno ai temi della crescita dimensionale, del passaggio generazionale, delle politiche fiscali di sostegno alle piccole e medie imprese. È corretto esercitare un'attività di confronto nei riguardi di queste realtà che meritano attenzione, ma non possono essere considerate entità ostili ad un rilancio economico del nostro paese.
Queste imprese non sono destinate inesorabilmente a soccombere. Onorevole Ventura, colleghi della maggioranza, oggi le imprese che riescono a competere a livello internazionale sono per la maggior parte piccole e medie imprese, cresciute in particolar modo in questi ultimi quattro anni, raggiungendo nei settori dei servizi e dell'efficienza stessa dei prodotti livelli di capacità e di eccellenza in sede europea e mondiale che non hanno pari nella cosiddetta grande industria.
Dobbiamo interrogarci sul fatto che oggi esiste un motore rappresentato dalla piccola e media impresa che, autonomamente, riesce ad agganciare i mercati internazionali e non ha bisogno di interventi, talvolta maldestri e superficiali, nel Pag. 54tentativo di fornire un supporto che ha, evidentemente, delle riserve di natura ideologica all'interno della maggioranza, come quelle espresse dal collega Giordano sui giornali di questa mattina.
Il nostro timore è che, in questa fase di bassa crescita, anche se sottostimata rispetto alle potenzialità reali che si potrebbero raggiungere oggi agganciando la ripresa mondiale ed europea, le nostre imprese, oltre alla necessità di essere sostenute, non riescano ad intravedere un sistema fiscale più leggero. All'interno di questo DPEF, insieme a tanti altri passaggi, non è chiaro quali saranno le politiche fiscali che verranno adottate per sostenere le piccole e medie imprese. Noi vi sfidiamo anche su questi contenuti, perché quando viene prodotto un allegato, come quello presentato all'attuale DPEF, relativamente alla relazione sugli interventi di sostegno alle attività economiche e produttive, noi ci aspetteremmo non semplicemente un manifesto di indirizzo, ma anche attività concrete che dimostrino come si intende realmente rilanciare le piccole e medie imprese, che tipo di fiscalità si immagina, qual è il percorso che si intende adottare per fasi - così come richiamato dalla Commissione finanze - riguardo l'alleggerimento della pressione fiscale, tutti temi che non vengono affrontati in questo Documento.
Si opera, invece, una ricognizione accademica, utile per tutti i colleghi, in particolar modo per i neoeletti, che ridefinisce le storie delle politiche a sostegno delle imprese, ma poco viene detto in materia fiscale, uno dei punti strategici della politica di intervento. Abbiamo l'impressione che attorno a questo tipo di battaglia si stia configurando un problema all'interno della maggioranza legato al fatto che, a fronte di poche idee, si rischia di immaginare un percorso che progressivamente porti ad un aumento della pressione fiscale.
Il collega Ventura citava prima la questione del comparto degli enti locali: noi siamo convinti che il ritorno ai saldi interrompa il percorso avviato intorno al tema della selettività della spesa degli enti locali. Ricordo a me stesso ed ai colleghi i richiami della Corte dei conti in materia di crescita dei costi della spesa pubblica degli enti locali. Ritenete veramente che solo tornando ai saldi si riesca ad affrontare la partita complessiva del patto di stabilità? Ritenete che nei percorsi di autonomia legati agli enti locali vi siano meccanismi di salvaguardia nei confronti dei cittadini per evitare l'innalzamento della pressione fiscale? Ritenete, così come è stato annunciato più volte dall'ANCI, con soddisfazione e accoglimento da parte del Governo, che il varo dell'eventuale tassa di scopo rappresenti un meccanismo utile per alleggerire la pressione fiscale per i cittadini?
La pressione fiscale rappresenta un elemento fondamentale che riguarda il cittadino nel momento in cui fa impresa, nel momento in cui si rapporta con gli enti locali e quindi essa va giudicata nella sua globalità. Non possiamo immaginare percorsi che, a livello centrale, riducono la pressione fiscale mentre le autonomie operano in senso diverso.
Un altro esempio chiave di questa contraddizione è correlato al tema della sanità: se è vero che negli ultimi anni, così com'è stato affermato dal ministro ed è scritto nel Documento di programmazione economico-finanziaria, vi è stato un aumento delle risorse stanziate nei confronti delle sanità regionali, è altrettanto vero che voi prevedete un percorso di recupero della compartecipazione delle spese. Cosa significa compartecipazione? È una domanda che abbiamo posto, ma su cui non abbiamo avuto risposta. Forse la possibilità di reintrodurre il ticket in funzione delle responsabilità delle regioni? Credo sia chiara l'importanza, oggi, da parte del Governo, nel Documento di programmazione economico-finanziaria, di affrontare tali temi, ma in modo più puntuale. Le enunciazioni sono sicuramente importanti, si tratta di obiettivi che sono anche, in buona parte, condivisibili. Crediamo, tuttavia, che nella realizzazione di tali obiettivi vi debba essere una valutazione puntuale circa l'approccio del Governo a tali grandi temi.Pag. 55
In precedenza, l'onorevole Ventura parlava dell'impresa. Oggi si assiste ad un passaggio importante in merito, con l'annunzio della presenza del Presidente del Consiglio dei ministri domani a Milano, per stringere un patto con le imprese. Noi siamo sicuramente favorevoli a questo incontro ed auspichiamo che in esso si approfondiscano i temi strategici da affrontare riguardo al nord, ma inseriti in un contesto più ampio, ossia lo sviluppo del paese.
Passando da un aspetto ad un altro, sulle sollecitazioni poste dall'onorevole Ventura - e rimandando i colleghi alla puntualità della relazione predisposta dalla minoranza -, uno tra gli argomenti da affrontare è il debito pubblico. Se è vero che si vuole abbattere il debito pubblico, vi sono due elementi fondamentali, che sono stati totalmente elusi da questo Documento. Un elemento fondamentale - lo ha posto il collega Armani, e lo riproporrà successivamente, nel corso del suo intervento, ne sono certo - è la questione dell'utilizzo delle dismissioni dell'attivo patrimoniale dello Stato, elemento fondamentale sulla base del quale si può abbattere in misura significativa il debito pubblico.
L'altro elemento su cui si sfugge sono le privatizzazioni. Vi sono già precedenti di Governi di centrosinistra in cui non mi sembra che la questione delle privatizzazioni sia stata affrontata nel modo migliore, sebbene essa resti uno tra gli elementi fondamentali con i quali, come detto, si può abbattere in misura significativa il debito pubblico. Altrimenti, di fronte ad un percorso di bassa crescita o di basso sviluppo, è evidente che le risorse non saranno sufficienti, se non a fronte di un irrobustimento pesante degli interventi sul carico fiscale, che potrebbero, anche essi, determinare un percorso di rientro dei conti pubblici. Noi riteniamo si debba agire, invece, sui citati due grandi versanti, ossia su temi che sono stati sostanzialmente abbandonati da questo Documento.
Vi è, poi, una serie di altri interventi da porre in essere - mi avvio rapidamente alla conclusione, riservandomi un po' di tempo in sede di replica, dopo l'intervento del Governo - sulle materie che si affrontano con politiche molto concrete. Cito, ad esempio, il tema delle donne e delle pari opportunità. Si tratta di un tema che viene «liquidato» in poche righe e su cui non si danno linee guida significative e puntuali.
Vi è, inoltre, il tema dei giovani, su cui noi, negli scorsi anni, abbiamo lavorato in misura significativa a livello di risorse e di incentivazione sull'approccio e l'utilizzo delle nuove tecnologie ed anche per gli investimenti sul capitale umano, elemento cardine che viene annunciato da questo Governo, sebbene poi si blocchi, contestualmente, la legge Moratti. Da una parte, dunque, si afferma che è necessario un investimento sul capitale umano e, dall'altra, si blocca una riforma che andava in tal senso, senza enucleare i passaggi successivi.
Per quanto riguarda il tema delle infrastrutture, è un capitolo che viene affrontato nel secondo allegato infrastrutture, in cui si denunciano il percorso compiuto e gli impegni assunti dal Governo di centrodestra. Non abbiamo capito quali saranno gli impegni che intende assumere il Governo di centrosinistra, se non richiamare in alcuni passaggi ad un percorso di partecipazione condiviso del territorio alle scelte infrastrutturali, che ha tanto il sapore - lo dico con chiarezza - dell'esistenza di problemi all'interno della maggioranza, correlati alla volontà - o alla mancanza di volontà - di portare avanti infrastrutture strategiche a livello nazionale, che dovrebbero agganciarci definitivamente ai grandi corridoi europei ed internazionali.
Non vorrei che, nel percorso della valutazione costi-benefici-territorio-Stato centrale e nella valutazione sulla condivisione, perdessimo mesi o anni legati a temi infrastrutturali della mobilità, che non sono evidentemente solo interesse delle imprese, bensì elementi di cittadinanza complessiva per il nostro sistema Italia, per le nostre famiglie e per le nostre imprese. Così come altrettanto dubbiosa è l'interpretazione, in questo percorso, del ruolo dell'ANAS, in cui non si capisce se il passaggio a società per Pag. 56azioni debba essere in qualche modo rivisto e quale debba essere il nuovo rapporto con i concessionari. Se è vero che ci deve essere un nuovo rapporto con i concessionari, non si capisce come mai si annunciano ulteriori interventi per la proroga delle concessioni a prescindere dall'assegnazione secondo percorsi di gara, non in funzione di logiche di territorio ma in funzione di cassa. Quindi, verifichiamo passi in avanti e passi indietro, che dimostrano complessivamente elementi molto forti di contraddizione.
Un ultimo riferimento è al tema del cuneo fiscale. Questo rappresenta sicuramente uno degli elementi di importanza per intervenire e per dare sostegno alle nostre imprese e alla loro competitività. Un intervento secco di cinque punti rischia di essere un elemento che va a drenare risorse pubbliche la cui copertura è tutta da dimostrare e tutta da trovare, se non a fronte di percorsi che possono determinare ulteriore pressione fiscale, e che riteniamo rappresenti solo uno dei fattori per determinare effetti positivi sulla competitività.
PRESIDENTE. Onorevole Giorgetti, la invito a concludere.
ALBERTO GIORGETTI, Relatore di minoranza. L'ultima questione che pongo, e concludo veramente Presidente è quella che riguarda il Mezzogiorno.
All'interno del DPEF si affronta il tema del Mezzogiorno in misura del tutto superficiale. Non si riprendono temi fondamentali, quali quelli della fiscalità di vantaggio ed altri strumenti di intervento che sono stati varati dal Governo precedente e che non trovano in questo momento ascolto da parte del Governo e dell'attuale maggioranza. Noi vogliamo capire sino in fondo quali sono i percorsi con cui volete rilanciare l'occupazione nel Mezzogiorno e lo sviluppo di quest'area territoriale e delle aree svantaggiate.
Complessivamente, signor Presidente - ringrazio per questi 30 secondi in più -, il nostro è un giudizio negativo sul Documento di programmazione economico-finanziaria in esame e preannunciamo la presentazione in Assemblea, nelle prossime ore, di una risoluzione alternativa (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per un richiamo al regolamento l'onorevole Rossi Gasparrini. A quale articolo intende riferirsi, onorevole?
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, vorrei richiamare un passaggio estremamente importante, che riguarda il capitolo sulla strategia 2007-2011: crescita, risanamento, equità. In tutti e tre i piani di azione, il Governo illustra con due parole, anzi richiama alla conciliazione dei tempi, considerandola evidentemente un fattore determinante. Tuttavia, messa in questo modo, vago e un po' superficiale, il rischio...
PRESIDENTE. Onorevole Rossi Gasparrini, mi scusi ma lei sta svolgendo un intervento sul merito, non una questione regolamentare.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Certamente, però era solo per dire che è poco chiaro soprattutto un punto, nel quale il Governo...
PRESIDENTE. Onorevole Rossi Gasparrini, lei potrà intervenire sul merito del Documento in sede di discussione o successivamente, per dichiarazione di voto.
Nomina dei componenti della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) (ore 17,53).
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Pag. 57Europa (OSCE) i deputati Federico Bricolo, Cinzia Dato, Teresio Delfino, Gianni Farina, Riccardo Migliori, Giuseppe Palumbo e Roberto Rosso.
Il Presidente del Senato della Repubblica ha chiamato a far parte della stessa Delegazione i senatori Laura Allegrini, Giulio Andreotti, Gianfranco Morgando, Franco Turigliatto, Rosa Maria Villecco Calipari e Carlo Vizzini.
Comunico, d'intesa con il Presidente del Senato, che la Delegazione è convocata per mercoledì 26 luglio 2006, alle ore 15, presso la sede di Vicolo Valdina, per procedere alla sua costituzione.
Nomina dei componenti della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'Iniziativa centro europea (INCE).
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'Iniziativa centro europea (INCE) i deputati Raffaello De Brasi, Alessandro Forlani, Maurizio Gasparri e Francesco Stradella.
Il Presidente del Senato della Repubblica ha chiamato a far parte della stessa Delegazione i senatori Santo Liotta, Roberto Manzione e Oreste Tofani.
Comunico, d'intesa con il Presidente del Senato, che la Delegazione è convocata per mercoledì 26 luglio 2006, alle ore 14,30, presso la sede di Vicolo Valdina, per procedere alla sua costituzione. Nello stesso giorno potrà essere altresì convocata, per procedere alla propria costituzione, la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, ove vengano nel frattempo completate le designazioni dei gruppi presso entrambi i rami del Parlamento.
Si riprende la discussione.
(Ripresa discussione - Doc. LVII, n. 1)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sanza. Ne ha facoltà.
ANGELO MARIA SANZA. Onorevole Presidente, onorevole rappresentante del Governo, colleghi, per brevità, mi limiterò a considerazioni riguardanti le materie di competenza della IX Commissione e dei dicasteri di riferimento.
Per noi dell'opposizione, il Documento di programmazione economico-finanziaria si caratterizza per una preoccupante mancanza di contenuti, per un'evidente vaghezza di propositi, per una frettolosa predisposizione di dati e di priorità. Condivido, al riguardo, la riflessione più approfondita svolta dal collega Alberto Giorgetti.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 17,55)
ANGELO MARIA SANZA. Evidenzio altresì l'incoerenza e la frammentazione politica di questa maggioranza, costretta ad una continua ambiguità per garantire la propria tenuta. Non più tardi di ieri, il ministro Ferrero - vorrei ricordare solo questo - ha minacciato lo sciopero contro la sua stessa maggioranza, se verranno colpite le pensioni. Come opposizione, non possiamo non evidenziare che questo esecutivo si è posto traguardi molto modesti.
La riduzione del cuneo fiscale non potrà, da sola, risolvere il problema legato alla produttività. Considerazioni allarmanti - lo ha richiamato, da ultimo, l'onorevole Alberto Giorgetti - sono contenute nell'allegato infrastrutture, peraltro giunto in ritardo all'esame di questo Parlamento, senza avere consultato la Conferenza Stato-regioni e senza che il CIPE avesse stabilito un reale ordine di priorità delle opere. Non si può accettare che infrastrutture come il Corridoio 5, da Berlino a Palermo, o la Lione-Torino debbano essere rinviate a tempo indeterminato. Lo stesso dibattito sulla TAV in Val di Susa, in questi giorni, non fa altro che evidenziare il ruolo sempre più polemico e decostruttivo della sinistra radicale. Viene Pag. 58da chiedersi se gli stessi ministri Bianchi e Di Pietro siano in grado di elaborare insieme un nuovo programma delle infrastrutture strategiche e dei trasporti o siano invece, come sembra, su posizioni assolutamente divergenti, a tutto danno della politica della mobilità.
Lo «spacchettamento» del precedente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in due distinte amministrazioni si traduce in un notevole aggravio di costi e, soprattutto, in un difficile coordinamento, preoccupando particolarmente in materia di sicurezza.
ANAS, Ferrovie dello Stato e Alitalia - solo per citare i maggiori nodi - perderanno l'interlocutore di riferimento, aggravando il loro difficile ruolo nella predisposizione del piano industriale e nella ricerca di un proprio equilibrio economico-finanziario, per non parlare dello scontro in atto sul management di queste aziende.
Che dire poi del trasporto pubblico locale? Ne parleremo in altre sedi. Il ministro dei trasporti - lo ha detto in Commissione - prenderà in gestione le opere che realizzerà il ministro delle infrastrutture: è questa la linea del Governo. Non è chiaro, però, chi definirà le priorità. I due ministri competenti, nelle audizioni, hanno mostrato di avere strategie molte autonome e spesso divaricanti. L'enfatizzare la scarsità delle risorse finanziarie è oggi solo un pretesto per rallentare il completamento del programma infrastrutturale e serve a celare le profonde divisioni che agitano questa variegata compagine governativa sulle scelte infrastrutturali, vanificando così il processo di modernizzazione avviato dal centrodestra e sollecitato dalla Comunità europea.
Ritengo, a questo proposito, doveroso ricordare che la Comunità europea, assegnando al nostro paese importanti finanziamenti per la realizzazione di infrastrutture nell'ambito dei corridoi transeuropei, ha creduto nella realizzazione del ponte sullo Stretto. Tale opera, nel Documento di programmazione economico-finanziaria, non occupa più un posto prioritario; l'amministratore delegato è stato promosso a più importante incarico. È evidente che, per incidere seriamente e proficuamente sulla struttura produttiva del Mezzogiorno, occorrono più risorse da destinare ad investimenti. Moderni e più efficienti sistemi portuali ed aeroportuali, praticamente assenti nelle previsioni del Documento di programmazione economico-finanziaria, favorirebbero uno sviluppo più incisivo nell'area del Mediterraneo.
Criptica, infine, la strategia che il Governo intende attuare nella politica delle telecomunicazioni, settore molto delicato; prevale una accorta politica del rinvio, ma già si intravede una strategia del ministro Gentiloni tesa a mettere mano ad una modifica della cosiddetta legge Gasparri, cogliendo l'infrazione che viene segnalata dalla Comunità europea.
Per noi è importante non disperdere i vantaggi accumulati in questi anni a favore del digitale terrestre; perché allora non si lavora davvero su questa strada di avanzamento tecnologico, di progresso industriale, di apertura reale del mercato, di ingresso di nuovi soggetti, individuando tempi e misure già esistenti per arrivare ad un sistema televisivo sostanzialmente diverso? Non si vorranno, invece, riproporre schemi vecchi, antiquati, superati, per punire alcuni, dividere il servizio pubblico e creare le condizioni...
PRESIDENTE. Presidente Sanza, sono amareggiato, ma debbo invitarla a concludere.
ANGELO MARIA SANZA. Sta bene, signor Presidente.
In conclusione, il Documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame, anziché esaminare le linee programmatiche, politiche e finanziarie dell'esecutivo, ha messo in luce tutte le insicurezze e le difficoltà della maggioranza nel governare il paese, con la necessità di ricorrere sistematicamente al voto di fiducia (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento, ai sensi dell'articolo 41.
Pag. 59PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, oggi è in corso un incontro tra il Governo ed i rappresentanti dei farmacisti. Analogamente, è stata posta, nelle settimane scorse, la questione legata ai tassisti e ad una serie di interventi...
PRESIDENTE. Mi spiace, onorevole Borghesi, ma il suo intervento non è pertinente: l'articolo 41 consente un richiamo al regolamento purché sulla materia che si sta trattando...
ANTONIO BORGHESI. In quest'aula, ha chiesto di parlare più volte l'onorevole Tremonti per un richiamo al regolamento ai sensi dell'articolo 41; ebbene, egli è intervenuto su argomenti assolutamente diversi da quelli che erano in esame, come risulta dai resoconti parlamentari. Ha parlato per cinque minuti: io ne domando uno solo, per porre al Governo una questione i cui effetti riguardano il Documento di programmazione economico-finanziaria. Quest'ultimo, Presidente, prevede, infatti, che il decreto-legge n. 223 del 2006 rappresenta l'inizio dell'attuazione di tutta una serie di misure globalmente previste dal Documento stesso.
Quindi, noi abbiamo bisogno di sapere quali effetti avrà sul Documento di programmazione economico-finanziaria il decreto n. 223 del 2006, così come modificato in seguito all'intervento dei farmacisti...
PRESIDENTE. Onorevole Borghesi, l'ho lasciata parlare...
ANTONIO BORGHESI. La ringrazio, Presidente.
PRESIDENTE. Ebbene, onorevole, l'ho lasciata parlare sapendo, però - io e lei, entrambi - che ella ha svolto un intervento di merito e non un richiamo al regolamento. Non deve, dunque, costituire precedente.
È iscritta a parlare l'onorevole Francescato. Ne ha facoltà.
GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente, colleghi, finalmente, per la prima volta, un Documento di programmazione economico-finanziaria individua la questione ambiente in maniera formale, come asse trasversale che interseca e attraversa le politiche economiche e sociali.
Qualcuno potrà dire che si tratta di una novità irrisoria, marginale, ma così non è. Il fatto che l'ambiente non sia più considerato un optional ma un must, non un capitolo aggiuntivo ma un arco portante della programmazione economica e finanziaria, è novità di grande portata. È un passo importante nella direzione di quell'integrazione tra politiche ambientali, sociali ed economiche che noi Verdi abbiamo posto da decenni al centro del nostro agire politico. Un matrimonio, quello tra ecologia ed economia - non a caso iniziano con lo stesso prefisso «eco», dal greco: |go|gi|gk|gj|gs, che significa casa -, che, per parafrasare il Manzoni, «s'ha da fare», e subito, se vogliamo consegnare ai nostri figli un pianeta vivente, e non una terra desolata.
Ma non bastano le enunciazioni di principio; per dare spessore alla formula «sviluppo sostenibile» sancita dalla Conferenza ONU di Rio del 1992, per fare in modo che non resti un mantra, evocato e raramente tradotto in azioni concrete, occorre affiancare ai tradizionali indicatori economici, come finalmente riconosce questo Documento di programmazione economico-finanziaria, ulteriori indicatori sociali e ambientali e sistemi di contabilità ambientale in grado di misurare e garantire la qualità dello sviluppo.
Questo approccio innovatore, fra l'altro, dopo cinque anni durante i quali il Governo di centrodestra ha penalizzato o bellamente ignorato la valenza trasversale della questione ambientale, permetterebbe di far tornare l'Italia nell'alveo di un dibattito politico e culturale planetario, innescato, nel 1972, dal MIT e dal Club di Roma con la pubblicazione dell'ormai famoso testo I limiti della crescita. Si tratta di un filone di pensiero economico ed ecologico di grande spessore, sostanziato da studi ed analisi ormai Pag. 60innumerevoli: cito, per tutti, quelli prodotti da organismi di prestigio internazionale come il Worldwatch Institute o il Wuppertal Institute o, nello stesso mondo imprenditoriale, dal Business council for sustainable development.
Tuttavia, per dare fiato alla sostenibilità, occorre coerenza tra gli enunciati di principio e le strategie concrete, coerenza che nel Documento di programmazione economico-finanziaria certamente ancora non c'è, non in misura sufficiente. Prendiamo ad esempio il capitolo relativo al protocollo di Kyoto. In un paese come l'Italia, tutt'altro che virtuoso, che ha aumentato del 12 per cento le emissioni di gas serra, invece di tagliarle del 6,5 per cento, in ottemperanza al protocollo, non si può e non si deve affermare che il rispetto degli obblighi derivanti degli accordi di Kyoto implicherebbe oneri troppo pesanti sia per le imprese sia per la finanza pubblica. È arrivato il momento, signor Presidente, di una vera e propria rivoluzione copernicana in materia. Occorre ribaltare nettamente l'ottica. Sarà, infatti, il mancato rispetto di quegli obiettivi a determinare, nel breve e, soprattutto, nel medio periodo, gravissimi costi, che l'Italia sta già iniziando a pagare per non avere investito in tempo - diversamente da altri paesi europei, quali la Germania e la Danimarca - nell'efficienza, nel risparmio energetico e nelle fonti rinnovabili. Riteniamo, dunque, pienamente condivisibile il DPEF laddove richiama il fatto che i parametri del protocollo di Kyoto e i nuovi obiettivi di riduzione dei gas serra richiedono un ripensamento complessivo delle forme di produzione e consumo energetico e - aggiungiamo noi - un allargamento a comparti chiave, come trasporti ed edilizia, del taglio delle emissioni.
Concordiamo anche sulla necessità di studiare forme di fiscalità ambientale per dare priorità a progetti cofinanziati dall'Unione europea per la riduzione delle emissioni. In tale processo, ovviamente, è urgente - come indicato anche dal DPEF - rilanciare l'aggiornamento del piano nazionale per la riduzione dei gas serra, inteso come strumento non solo per ottemperare agli obblighi imposti dal protocollo di Kyoto ma per promuovere uno sviluppo davvero sostenibile.
Se rispondere alla «sfida di Kyoto» è vitale per arginare il cambiamento climatico che già ci sta addosso - basti constatare il caldo di questi giorni -, non possiamo trascurare, però, altre cinque direttrici che il Documento di programmazione economico-finanziaria individua - questo è un altro punto di forza del DPEF, a nostro avviso - per l'azione di governo in campo ambientale.
La VAS, la valutazione ambientale strategica, introdotta dalla direttiva comunitaria n. 42 del 2001, consente di valutare l'impatto di un intervento sul territorio non solo sotto il profilo squisitamente ambientale, tenendo conto anche di tutti gli altri elementi in campo, quali salute, popolazione, patrimonio culturale, e così via.
La seconda direttrice è quella della difesa del suolo e della gestione delle acque. Quest'ultima è stata la grande assente, la «cenerentola» della politica ambientale negli anni del Governo Berlusconi, il quale ha pressoché azzerato le risorse per l'attuazione della legge n. 183 del 1989, sulla difesa del suolo, e non ha avviato una concreta politica per la corretta gestione del nostro sempre più sofferente patrimonio idrico - basti osservare la secca del Po - e per la tutela dei bacini idrografici.
La salvaguardia della natura è stata un'altra «cenerentola», negli ultimi cinque anni. Dobbiamo rilanciare la Convenzione sulla biodiversità e ridare una politica di conservazione che integri e superi la mera applicazione della legge quadro n. 394 del 1991, relativa alle aree protette.
Altre due grandi aree di intervento sono quelle della bonifica e dei rifiuti. La prima è legata alla necessità di porre rimedio agli errori della politica industriale del passato, trasformando la bonifica dei siti inquinati in una occasione di sviluppo sostenibile. Penso al caso di Bagnoli, la cui bonifica ho seguito più da vicino nella mia qualità di vicepresidente di una società di trasformazione urbana, Pag. 61Bagnoli Futura, che ha il compito di bonificare e di trasformare questa parte del territorio napoletano.
La seconda area di intervento, quella dei rifiuti, ci vede in netto ritardo rispetto a molti paesi europei. Questo ritardo ci ha fatto piombare in una situazione di continua emergenza, con cinque regioni commissariate e la totale inattuazione del principio «chi inquina paga», sancito dal decreto legislativo n. 22 del 1997, con il passaggio dalla tassa alla tariffa. Per uscire da questo tunnel, è chiaro che occorre sia rilanciare la cosiddetta politica delle 3 «r» - riduzione all'origine, recupero e riciclaggio - sia potenziare la raccolta differenziata, con l'obiettivo di ricondurre l'intero ciclo ad una sospirata normalità.
Last but not least, in un paese come il nostro, quasi tutto affacciato sul mare, è una politica di tutela e valorizzazione del patrimonio marino e delle aree marine protette e la gestione integrata delle coste, con piena attuazione della Convenzione internazionale di Barcellona.
Quelli indicati dalle cinque direttrici sopra elencate sono tutti settori, signor Presidente, che possono coniugare economia ed ecologia, promuovere l'occupazione «verde» e la crescita di quell'albero dei lavori «verdi» che già nel nostro paese prospera. Abbiamo già 365 mila posti di lavoro in questi settori, dai parchi all'educazione ambientale, al turismo sostenibile.
Ieri, mi trovavo in un paesino di 458 abitanti, Abbateggio, nel parco della Maiella, che in un solo anno è riuscito a passare da venticinque a cento posti letto, raddoppiando in tre anni le presenze proprio grazie al turismo sostenibile, all'agriturismo, all'agricoltura biologica, biodinamica e di qualità (un altro filone chiave da sostenere nell'ottica della sicurezza alimentare).
Il cambiamento dell'assetto energetico, con il graduale addio ai combustibili fossili e l'attenzione alle fonti rinnovabili, ai risparmi e all'efficienza, potrà anch'esso tradursi nella promozione dell'occupazione verde. Pensate alla Germania, dove il Governo rosso-verde, in pochi anni, è riuscito a creare 160 mila posti di lavoro in questo settore.
Non voglio dimenticare, infine, l'allegato infrastrutture. Condividiamo l'urgenza di una profonda riqualificazione e rimodulazione delle spese per investimenti strutturali, che non si limiti al semplice completamento delle opere senza un processo valutativo e una seria programmazione finanziaria. Occorre superare l'ottica della legge n. 443 del 2001, pertanto, i criteri per fissare la priorità delle opere devono basarsi su una valutazione ambientale strategica che abbia come obiettivi il riequilibrio modale verso sistemi a minore impatto, come ferrovie e cabotaggio, e il rilancio di strategie di mobilità sostenibile nelle città.
Non ho il tempo di addentrarmi in questa tematica particolarmente intricata, ma non posso tralasciare il richiamo ad una riflessione sugli hot spots, i punti scottanti che il DPEF omette, come il ponte sullo stretto di Messina (ricordiamolo bene, cassato dal programma dell'Unione) o la TAV in Val di Susa (al riguardo, viene citato uno specifico intervento di correzione relativo al ricorso alle procedure ordinarie per la valutazione d'impatto ambientale e viene richiamata la necessità di confronto e dialogo con le realtà locali).
Queste direttrici indicano, signor Presidente, le vere grandi opere, non il ponte sullo stretto, non il MOSE, ma quelle di cui il paese ha veramente bisogno, i tasselli che andranno a comporre - lo speriamo - il mosaico di uno sviluppo davvero sostenibile di cui il nostro paese e l'intero pianeta hanno disperatamente necessità: adesso, ora, subito! Il fattore T - il fattore tempo - è cruciale in questo difficile inizio di millennio. Non abbiamo più tempo - è la risorsa più scarsa - e la scelta è ora tra la sostenibilità, da un lato, e l'erosione irreversibile delle risorse del pianeta - acqua, suolo, foreste - che sono la base dell'economia planetaria, dall'altro.
Rievoco qui la famosa frase del buon, vecchio Engels: i prodotti non sono altro che natura trasformata.Pag. 62
C'è chi - sono tuttora molti - pensa ancora che la ricerca della sostenibilità sia un'utopia per anime belle. A costoro rispondo con le parole non di una Cassandra dell'ambientalismo, non di un no global ipercontestatore, bensì con il monito di un'industrialista di rango, un membro del gotha del business, Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma il quale, nel suo libro Campanello d'allarme per il XXI secolo scriveva: «(...) Allo stato attuale delle cose, il coraggio dell'utopia è il solo modo di essere realisti». Di questo coraggio abbiamo bisogno.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, mi limiterò a svolgere alcune considerazioni sui contenuti del Documento di programmazione economico-finanziaria in materia di politiche di sostegno alla famiglia, argomento che, come è noto, rappresenta un capitolo di estrema importanza che interessa non solo il partito al quale appartengo ma milioni di famiglie in Italia.
La prima e più importante osservazione riguarda il fatto che il Documento sembra occuparsi esclusivamente delle famiglie meno abbienti e della diffusione di situazioni di indigenza.
Nessuno discute il fatto che le situazioni di emergenza debbano avere una sorta di canale preferenziale rispetto alle politiche che il DPEF prefigura con interventi ad hoc; tuttavia, queste misure vanno ascritte nel grande capitolo delle politiche alla lotta alla povertà e non in quello delle politiche familiari, che devono prendere in considerazione la famiglia in quanto tale senza aggettivi e non solo quando è povera e bisognosa.
Si parla in prima battuta, nelle prime pagine del DPEF, della povertà in termini relativi assoluti nonché di povertà soggettiva, con un'analisi delle tipologie familiari in situazioni di povertà. È vero che il Documento ammette la stretta correlazione tra povertà delle famiglie e numero dei figli, nel senso che la povertà relativa aumenta con il numero dei figli, ma questo non pare sufficiente perché gli interventi divengano effettivamente a sostegno delle famiglie con figli, cioè delle famiglie in quanto tali, non delle famiglie solo perché povere e bisognose.
Questo è dimostrato dalla stretta connessione che nel Documento si stabilisce tra misure volte a contrastare la povertà, in termini assoluti e relativi, nonché come povertà percepita e politiche di sostegno alla famiglia. Quando si parla correttamente di risanamento dei conti pubblici per liberare il sistema famiglia dal timore paralizzante di nuovi sacrifici, quando si parla di fiducia per investire nel futuro, di ritardi della crescita dell'Europa, non se ne traggono le logiche conseguenze, decidendo di fare un cospicuo investimento sulla risorsa famiglia. L'esempio più chiaro di questo errato approccio ai problemi della società italiana sta nel fatto che nel DPEF, non solo manca qualsiasi riferimento a politiche concrete a favore della famiglia (e per questo sarà bene forse aspettare la prossima finanziaria, che sarà la vera cartina di tornasole sulla volontà del Governo di sostenere in modo equo la famiglia), ma si confondono anche - questa è la seconda critica principale - le politiche per la famiglia con le politiche per i giovani e per le pari opportunità; questi, invece, rappresentano ambiti rigorosamente distinti. Si legge, infatti, che il Governo si impegna in un piano straordinario per i diritti e l'occupazione delle donne, dei giovani e in generale delle famiglie. Le politiche per le donne, per i giovani e per le famiglie non vanno confuse perché spesso queste categorie sono portatrici di interessi confliggenti e di problematiche specifiche; non si può, infatti, pensare di ridare un ruolo centrale alla famiglia, rendendo i giovani solamente autonomi, solo contrastando la povertà o assicurare i diritti dei bambini e delle bambine e realizzare le condizioni per un'infanzia libera dal rischio di povertà e ricca di occasioni di socializzazione.Pag. 63
In tutto il Documento non viene mai affrontato il tema dei diritti della famiglia in quanto tale, salvo quando si parla di favorire la conciliazione tra vita lavorativa e vita personale e familiare. Allora, in estrema sintesi, il Documento non contiene traccia di una vera politica per la famiglia e un altro esito di questa visione parziale delle politiche familiari sta nel fatto che non si possono ridurre le politiche per la famiglia ad una sola questione di welfare.
Il Documento, quindi, costituisce in realtà un passo indietro rispetto alle misure introdotte nel corso della XIII legislatura dal ministro Visco, che cercò di introdurre istituti in favore della famiglia con figli a prescindere dal reddito e che non riguardavano solo politiche di welfare, bensì importanti passi in avanti in tema di politiche fiscali con detrazioni per ogni figlio a carico.
Passando alle misure concrete, siamo d'accordo sull'obiettivo di favorire la conciliazione dei tempi del lavoro e della famiglia, ma non condividiamo l'ipotesi di un assegno per i minori che costituisce un'integrazione al reddito proporzionale alla numerosità della famiglia « escludendo oneri finanziari aggiuntivi».
PRESIDENTE. La prego, concluda.
LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Il Governo dovrebbe chiarire questo aspetto; infatti, non si può pensare di sostenere la famiglia senza adeguati investimenti.
Il nostro giudizio è pertanto negativo, l'appuntamento si sposta alla prossima finanziaria e direi - come ha detto l'onorevole Francescato - che mentre l'ambiente è un must, non lo è il problema della famiglia, che non è ancora un must, ma è semplicemente un capitolo che rappresenta un optional e speriamo che la costituzione di un Ministero per la famiglia dia delle risposte concrete che in questo Documento non appaiono.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piro. Ne ha facoltà.
FRANCESCO PIRO. Signor Presidente, il DPEF in esame costituisce il necessario raccordo tra il programma di mandato e le concrete politiche che il Governo intende attuare. L'Italia ha accumulato ritardi gravi sia sotto il profilo della competitività, sia sotto quello dell'ammodernamento delle sue strutture fondamentali. L'economia stenta a riprendersi, i conti pubblici sono fuori dei parametri europei. In Italia sono aumentate soprattutto le diseguaglianze sociali e gli squilibri territoriali, la cui persistenza e gravità rendono assai difficile, se non la crescita, certamente uno sviluppo sostenibile.
Per questo il DPEF pone tre obiettivi ineludibili ed ambiziosi: il risanamento, lo sviluppo, l'equità. Ne condividiamo soprattutto la circolarità, l'essere l'uno funzione dell'altro. Assai correttamente, piuttosto che elencare risposte di tipo emergenziale, ci si concentra sulla necessità di far ripartire il paese intervenendo sui grandi nodi strutturali, tra questi il Mezzogiorno come priorità.
Al quinquennio 1998-2002, che ha fatto registrare una crescita relativa ma sostenuta, hanno fatto seguito anni di rallentamento progressivo, fino all'inversione che ha segnato il 2005.
L'analisi che più recentemente ha condotto lo Svimez è impietosa: il divario tra nord e sud si è allargato; i posti di lavoro sono diminuiti, mentre sono aumentati i lavoratori precari e irregolari; impressionante è il gap in termini di infrastrutture e di formazione.
Al raggiungimento di risultati così negativi ha dato un impulso determinante il Governo Berlusconi: a partire dal 2003 sono state diminuite le risorse per gli incentivi destinati al Mezzogiorno; l'incidenza sul totale della spesa complessiva per investimenti pubblici è scesa dal 41,2 del 2001 al 36,8 per cento del 2004, al di sotto persino del peso naturale del sud, pari al 38,5.
Anche la spesa ordinaria è scesa sotto la soglia del 30 per cento. Secondo i dati forniti nell'allegato infrastrutture, al sud è stato destinato soltanto l'8 per cento del fabbisogno finanziario. Il Governo Berlusconi, Pag. 64insomma, ha scelto un modello di sviluppo marginale del Mezzogiorno funzionale ad una massiccia redistribuzione di risorse dal sud al nord.
Noi intendiamo capovolgere questa impostazione, non solo perché occorre superare le disuguaglianze e gli squilibri, fortemente concentrati al sud, ma perché il Mezzogiorno può rappresentare una seria opportunità di sviluppo per l'intero paese, l'area dove generare maggiore valore aggiunto.
Non si tratta dunque di riproporre una questione meridionale, a cui contrapporre peraltro una questione settentrionale. Il dato di partenza è che esiste un'unica grande questione nazionale, che occorre affrontare coniugando visione unitaria dei problemi e risposte differenziate per i territori.
Tra gli obiettivi fondamentali si segnalano: la diffusione della cultura della legalità, il rafforzamento della sicurezza e dell'azione integrata e continua contro la criminalità organizzata; la visione strategica della prospettiva euromediterranea. Se l'allargamento a 25 dell'Europa ha creato ulteriori difficoltà, la ritrovata centralità del Mediterraneo nei flussi Asia e Europa può di contro offrire opportunità consistenti. Per coglierle occorre agire per la pace nel Mediterraneo, far ripartire il processo che mira alla creazione di un'area di libero scambio nel 2010.
Il nostro obiettivo è quello di fare del Mezzogiorno il ponte fra Asia ed Europa, sponda sud e sponda nord del Mediterraneo.
In questo quadro si rafforza il convincimento che il ponte sullo Stretto, prima ancora di essere un'idea sbagliata, è un'idea piccola.
La politica delle infrastrutture deve conseguire il risultato di trasformare la centralità geografica del Mezzogiorno nel Mediterraneo in centralità logistica, oltre che politica e culturale. Va privilegiata l'economia di qualità nei settori dell'energia, dell'agroalimentare, dei beni culturali e del turismo e vanno rafforzati gli interventi per la formazione e la crescita delle conoscenze.
Il sostegno al reddito va potenziato per combattere le povertà, la disgregazione e l'esclusione sociale. Gli investimenti pubblici devono essere rivolti prioritariamente alla eliminazione delle diseconomie, alla generazione di beni collettivi, all'attrezzatura del territorio. Il sostegno più efficace a queste politiche può venire dall'adozione di misure di fiscalità compensativa e di vantaggio. Si impone una nuova fase della concertazione istituzionale e territoriale, con un ruolo di maggiore responsabilità dei gruppi dirigenti del Meridione.
Nell'immediato: vanno reperite le risorse, circa 15 miliardi, cancellate dall'ultima legge finanziaria, per il completamento del programma comunitario 2000- 2006; va sottoposto a verifica di coerenza con la strategia della coalizione il quadro strategico nazionale e bisogna garantire che i fondi europei si aggiungano e non si sostituiscano all'intervento ordinario; va accompagnata la scelta dello stop al ponte sullo Stretto alla decisione di utilizzare i fondi già disponibili per la realizzazione delle infrastrutture collegate nell'area; va rafforzata l'incidenza per il sud della riduzione del cuneo fiscale.
PRESIDENTE. La prego di concludere...
FRANCESCO PIRO. Concludo, Presidente. Va avviata una politica di efficace riduzione del precariato, specie quello pubblico. Si tratta, in conclusione, di operare per trasformare i vincoli in risorse (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.
MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, premesso che gli obiettivi di risanamento della finanza pubblica non sono a discrezione del Governo ma dettati dall'appartenenza all'Unione europea, si ritiene più importante valutare come essi verranno raggiunti e sacrificando Pag. 65cosa, piuttosto che se verranno conseguiti; obiettivo quest'ultimo che qualunque Governo è chiamato a rispettare.
Il DPEF, presentato dal Governo Prodi per gli anni 2007-2011, prevede nel panorama dell'andamento economico internazionale fattori di crescita e di sviluppo. Per il 2007 e a medio termine si prevede che l'economia mondiale cresca nel quinquennio del 4,3 per cento. Anche per l'area euro vi sono confortanti segnali di ripresa, seppure più contenuti. In tale contesto è fondamentale per il nostro paese approfittare da subito della ripresa economica per uscire da un periodo di costante stagnazione economica.
Le nostre aziende, in particolare quelle piccole e medie, attendono dal Governo soluzioni che possano rilanciare l'economia. Il percorso intrapreso dal Governo Berlusconi, e purtroppo non portato a compimento, di ridurre la pressione fiscale sia per i contribuenti sia per le imprese e, contemporaneamente, sostenere i ceti produttivi modernizzando il paese, ha reso l'Italia più allineata ai paesi europei ed ha liberato risorse per gli investimenti. I segnali di crescita che si registrano in tutti i settori, che si evincono anche dal dato della domanda dei consumatori riportata nel documento, sono gli effetti tangibili delle misure adottate dal Governo della Casa delle libertà. Purtroppo, l'avvento del Governo di centrosinistra desta pesanti preoccupazioni.
Già con il cosiddetto decreto Bersani si è avuta la prima testimonianza che il Governo Prodi riporterà al passato l'Italia e con essa le regioni del nord che sostengono il paese con un gettito tributario pari al 55, 8 per cento, mentre le regioni assistite del centro versano il 21 per cento e quelle meridionali il 23,2 per cento. Il cosiddetto decreto Bersani, senza concertazione alcuna con le categorie interessate e senza preavviso, ha cambiato le regole su cui le imprese, gli avvocati, i farmacisti, i tassisti e le imprese del settore immobiliare hanno programmato il loro lavoro a breve e a medio termine. È stato una sorta di punizione delle categorie che sicuramente non hanno dato il loro voto alla sinistra.
Con un provvedimento mascherato dall'ideale di liberalizzare i mercati, alcune decisioni del Governo Prodi sono dirette ad assicurare fette di mercato ai loro sostenitori. Il tutto ha consentito un prelievo fiscale elevato, intorno ai 13-14 miliardi di euro, mentre il Governo ha dichiarato che gli effetti delle nuove norme fiscali assicurano un gettito di 3,5 miliardi di euro. In pratica, si preleva dal ceto produttivo per coprire gli indebitamenti per spese obbligatorie, per il personale della pubblica amministrazione, per il deficit della spesa sanitaria - ricordo, che le regioni interessate sono quasi tutte governate dal centrosinistra - e per il mancato rispetto del patto di stabilità da parte degli enti locali e territoriali.
Irrisori, inoltre, sono i tagli alla spesa pubblica previsti nella manovra correttiva. Tutto ciò ci fa intuire quali siano i principi a cui si ispirerà la politica del Governo Prodi contenuta nel DPEF. In primis, prelevare le risorse dagli investimenti per dare al settore pubblico non produttivo, ai disagiati, in particolare alle masse di immigrati che si riverseranno nel nostro paese. Non si vanti il Governo Prodi dell'analisi dell'evoluzione della finanza pubblica degli ultimi 15 anni, in particolare che il saldo corrente ha registrato un attivo pari allo 0,3 per cento del PIL nel 1998, epoca del Governo di centrosinistra, perché ancora oggi i contribuenti e le imprese ricordano l'aumento della pressione fiscale operata dai precedenti Governi di centrosinistra, i quali ci hanno consentito di entrare nell'unione monetaria indeboliti e dissanguati.
I principi su cui si sviluppa la programmazione economica del Governo sono: crescita, risanamento ed equità. Per quanto riguarda la crescita, un po' di onestà dopo il continuo vilipendio operato nei confronti del Governo Berlusconi! Nell'analisi della mancata crescita ammiriamo che il centrosinistra si autoaccusi rilevando che l'Italia ha accumulato un grave ritardo nella crescita economica Pag. 66proprio a metà degli anni Novanta, quando erano loro alle redini del paese. Le cause risiedono in un apparato amministrativo arretrato, una pressione fiscale elevata, una mancanza di infrastrutture, una spesa pubblica non controllata.
Oggi con il DPEF il Governo propone un impegno per aumentare l'occupazione delle donne, dei giovani e dei lavoratori più anziani: e come, se hanno sempre ostacolato la maggiore flessibilità dei contratti di lavoro? Come creare disponibilità nelle imprese per le nuove assunzioni, se le medesime non possono contare sul sostegno del Governo (si veda la questione dell'IRAP)? Belli gli intenti dell'impegno per le pari opportunità e per l'inserimento dei giovani nel settore del lavoro, la riduzione del cuneo fiscale sui contratti a tempo indeterminato e la creazione degli asili nido! Per la famiglia si promettono maggiore sostegno e servizi sociali. Tutto ciò è condizionato alla crescita dell'economia, per la quale si promette sostegno in termini di contesto, innovazione, ricerca e fiscalità.
Per quanto concerne la fiscalità, il Governo si riferisce al recupero immediato dei margini di competitività attraverso la riduzione dei costi di produzione e, in particolare, del lavoro.
Nel Documento si afferma che la riduzione del cuneo non intaccherà le aliquote contributive dei lavoratori destinate alle pensioni e all'assicurazione generale per l'invalidità e vecchiaia. Non solo, ma è intenzione del centrosinistra aumentare la contribuzione dei contratti anticipi al fine di arrivare quasi all'equiparazione dei contratti a tempo indeterminato. Ciò significa recuperare le risorse a carico delle imprese e dei lavoratori precari: ecco una delle fonti con cui si smaschererà la copertura finanziaria della riduzione del cuneo fiscale! Per quanto il costo del lavoro verrà ridotto, l'Italia non sarà mai competitiva rispetto alle produzioni cinesi dove il costo del lavoro è, a volte, pari a zero.
In materia di controllo della spesa pubblica preoccupa che gli interventi per arginare la continua crescita siano, in primo luogo, gli interventi sulle entrate, ossia più imposte, e, in seconda battuta, sui comparti di spesa relativi all'apparato pubblico, alla sanità, al sistema pensionistico e alla finanza degli enti decentrati.
Un'espediente, proposto per monitorare la spesa pubblica, è quello di modificare i processi di formazione del bilancio e la riclassificazione del medesimo, laddove nulla sarebbe più efficace della decisione politica e coraggiosa di ridurre la destinazione di risorse all'apparato pubblico. Del resto, un Governo che si è insediato, aumentando in maniera consistente le poltrone dei ministri e dei sottosegretari - soprattutto facendo dimettere dalla carica di parlamentare i predetti sottosegretari per raddoppiare il numero di poltrone e di stipendi, con conseguente aumento degli oneri per il bilancio dello Stato - non può garantire un'efficace riduzione delle spese connesse all'apparato burocratico del paese e risulta contrastante con l'intenzione di offrire ai cittadini una pubblica amministrazione efficace, snella ed efficiente nella sua struttura organizzativa, come è riportato nel DPEF a pagina 124.
In merito ai governi locali e al federalismo fiscale, proprio perché nel DPEF si riconosce che la spesa degli enti locali è cresciuta, anche in seguito all'attribuzione agli stessi di nuove funzioni (proprio con la legge Bassanini varata dal Governo di centrosinistra nella XIII legislatura), necessita, non essendo più procrastinabile, l'attuazione di un effettivo federalismo fiscale che dia autonomia impositiva agli enti locali e territoriali, riducendo nel contempo le risorse destinate al Governo centrale e sprecate nei meandri di una pubblica amministrazione inefficiente.
Come sostenuto dalla Lega Nord, solo la gestione a livello territoriale delle risorse finanziarie può consentire ai cittadini di vedere gli effetti della loro contribuzione fiscale, nonché di avere più controllo sul modo in cui viene gestito il loro denaro. Pertanto, appare riduttiva la proposta del Governo di dare una forma compiuta al federalismo fiscale italiano, mentre occorre concentrare l'attenzione soprattutto in un sistema di rafforzamento Pag. 67del monitoraggio sul rispetto del patto di stabilità, anche con meccanismi sanzionatori, per assicurare il rispetto dei parametri di finanza pubblica.
Il Governo parla di definizione condivisa delle risorse finanziarie destinate dalla regione agli enti locali, di maggiore partecipazione alla formazione del bilancio dello Stato e di maggiore responsabilità finanziaria.
Tutto ciò, però, è ben distante dalla nostra idea di federalismo fiscale.
Per ogni altro aspetto da me non trattato, evidenzio che la relazione di minoranza è stata predisposta in maniera condivisa da tutti i gruppi di opposizione: pertanto, per ragioni di brevità, rinvio a tutte le argomentazioni in essa contenute (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Padania e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Ricci. Ne ha facoltà.
ANDREA RICCI. Signor Presidente, colleghe deputate e colleghi deputati, l'Italia vive oggi, simultaneamente, tre gravi emergenze. La prima è quella economica, che si manifesta nella prolungata stagnazione dell'attività produttiva e, in modo ancora più significativo, nel crollo della produttività totale dei fattori, ad indicare una rilevante perdita di efficienza nell'organizzazione tecnica della produzione.
Contrariamente a quanto si è sostenuto per lungo tempo, i problemi dell'economia italiana non derivano affatto da un alto costo del lavoro o da una eccessiva rigidità del suo impiego: al contrario, infatti, sotto tali aspetti il nostro paese presenta oggi un vantaggio comparato rispetto agli altri Stati aderenti all'Unione europea.
I problemi dell'economia italiana, invece, hanno origine da una scarsa propensione delle imprese all'investimento produttivo e all'ammodernamento tecnologico: vorrei osservare, a tale riguardo, che il Documento di programmazione economico-finanziaria individua, in modo convincente, alcuni elementi che spiegano questa «pigrizia» imprenditoriale.
Tuttavia, se si volesse riassumere in una formula sintetica l'origine delle difficoltà strutturali dell'economia italiana, si dovrebbe porre l'accento sui diffusi fenomeni di «patrimonializzazione» - in particolare, di carattere finanziario - che hanno contrassegnato il comportamento dei principali operatori economici. Le politiche di privatizzazione degli anni Novanta, anziché introdurre maggiore concorrenza, si sono sovente tradotte nella sostituzione di monopoli privati ai precedenti monopoli pubblici, nonché nello smantellamento di interi settori strategici della nostra industria. La ricerca ossessiva di posizioni di rendita è diventata, così, il carattere distintivo dell'economia italiana.
La seconda emergenza che vorrei evidenziare è quella sociale, caratterizzata da una forte e crescente polarizzazione nella distribuzione del reddito e della ricchezza a vantaggio del capitale ed a danno del fattore lavoro. Tale andamento distributivo ha fatto sì che le retribuzioni nette di un lavoratore italiano siano oggi ben al di sotto di quelle di un corrispondente dipendente tedesco o francese.
Le riforme previdenziali, la riduzione dei livelli di protezione sociale derivante dai tagli alla spesa pubblica e l'estensione generalizzata della precarietà hanno ulteriormente peggiorato la distribuzione del reddito a danno degli anziani, delle donne e dei giovani. Una parte considerevole delle famiglie italiane vive oggi, in particolare nel Mezzogiorno, in condizioni di povertà o comunque di seria difficoltà economica, ed è costretta a razionare i propri consumi e a non poter soddisfare pienamente i propri bisogni, compresi quelli primari.
Nello stesso tempo, invece, gli strati sociali superiori hanno accumulato enormi ricchezze, reali e finanziarie, ed hanno vistosamente incrementato i propri consumi superflui e di lusso. Cresce nel paese, ormai, un diffuso sentimento di «insopportabilità», anche morale, nei confronti di una distribuzione del reddito e della ricchezza così diseguale ed ingiusta. La redistribuzione del reddito torna, quindi, ad essere uno dei compiti fondamentali della politica economica.Pag. 68
La terza emergenza è quella finanziaria, derivante dal sensibile deterioramento dei conti pubblici avvenuto nel corso degli ultimi cinque anni. Noi, come è noto, non siamo tra i fautori dell'ortodossia monetaria ad ogni costo. La nostra critica al Trattato di Maastricht ed al Patto di stabilità e crescita rimane intatta, poiché tali strumenti, viziati da un approccio ideologico di stampo neoliberista, antepongono la ricerca ossessiva del pareggio di bilancio ad obiettivi di benessere sociale.
Essi dovrebbero essere superati, pertanto, a favore di una politica economica europea più unitaria e coordinata. Riteniamo, pertanto, che il nuovo Governo debba farsi promotore di un'iniziativa, in sede comunitaria, volta ad aprire una discussione tesa a rivedere gli attuali meccanismi che presiedono le regole della politica economica europea, comprese quelle che riguardano la gestione e le finalità della politica monetaria condotta dalla Banca centrale europea.
Tuttavia, quello che è accaduto negli ultimi cinque anni non ha nulla a che fare con tutto ciò. Il disastroso fallimento della politica economica del Governo Berlusconi consiste nell'aver generato una situazione di grave crisi finanziaria dello Stato senza che ciò abbia prodotto alcun beneficio in termini di maggiore sviluppo economico e di maggiore equità sociale. Al contrario, il deterioramento dei conti pubblici è stato usato per favorire ancora di più gli strati ricchi e privilegiati della popolazione.
Questa eredità disastrosa impone oggi alla nuova maggioranza di perseguire i propri obiettivi di sviluppo e di giustizia sociale all'interno di un'inevitabile operazione di risanamento dei conti pubblici. Per queste ragioni condividiamo la strategia di politica economica delineata nel programma dell'Unione, fondata sul simultaneo perseguimento dei tre obiettivi del risanamento, dello sviluppo e dell'equità. Questa strategia, complessa e difficile, impone che ogni misura di politica economica contenga in sé i tre obiettivi respingendo ogni logica dei due tempi.
Sulla base di ciò abbiamo espresso, pur nella condivisione dell'impianto di fondo, una valutazione critica su alcuni aspetti del DPEF ed auspichiamo che la discussione parlamentare e la conseguente risoluzione finale consenta di fugare pienamente i nostri dubbi e le nostre perplessità e crediamo che la relazione dell'onorevole Ventura dia un contributo in questa direzione.
In primo luogo, l'entità complessiva della manovra per il 2007 appare particolarmente onerosa. In particolare, ci preoccupano i previsti effetti recessivi che ridurrebbero dello 0,3 per cento il tasso di crescita tendenziale, pesando in particolare sulla spesa delle famiglie. Siamo convinti che il sostegno della domanda interna, da realizzare soprattutto attraverso interventi redistributivi, debba essere una delle componenti della strategia di rilancio economico. Sarebbe un errore riproporre senza correzioni il tradizionale modello di sviluppo italiano fondato prioritariamente sulle esportazioni e, conseguentemente, privilegiare esclusivamente interventi sul lato dell'offerta. Domanda ed offerta sono come le due lame di una forbice i cui movimenti devono essere tra loro coordinati. La ristrutturazione dell'offerta, che va perseguita nel quadro di una nuova programmazione democratica, non solo con le liberalizzazioni, ma anche con un nuovo intervento pubblico rivolto in particolare allo sviluppo del Mezzogiorno, deve quindi andare di pari passo ad una riqualificazione della domanda anche nella sua componente interna e ciò non può essere fatto nell'ambito di una politica di puro contenimento quantitativo. Sarebbe stato, pertanto, auspicabile che gli interventi necessari al conseguimento degli impegni europei fossero stati ripartiti sul biennio 2007-2008 anziché sul solo 2007. Il lassismo del precedente Governo rende, ad oggi, impossibile praticare questa strada. Tuttavia, riteniamo che occorra riproporre la questione in sede europea, anche alla luce della determinazione dimostrata dall'attuale Governo nel perseguire, fin da subito, il risanamento. In ogni caso, siamo fiduciosi che le stime sull'andamento delle entrate e delle spese, incorporate in modo estremamente prudenziale Pag. 69nel quadro tendenziale del DPEF, possano risultare migliori già in sede della prossima relazione trimestrale di cassa e che ciò possa consentire, nell'ormai usuale nota di aggiornamento del DPEF, di rivedere l'entità complessiva della manovra al fine di minimizzarne gli effetti recessivi.
Per quanto attiene al quadro programmatico di medio periodo, siamo convinti che l'avvio di una politica economica orientato allo sviluppo e all'equità possa portare maggiori frutti in termini di crescita rispetto a quelli prospettati nel DPEF alla fine del quinquennio e, pertanto, che gli obiettivi di riduzione del debito pubblico possano essere conseguiti in modo meno traumatico, in particolare rispetto all'entità dell'avanzo primario a fine legislatura.
In secondo luogo, in merito alla composizione della manovra per il 2007 riteniamo indispensabile porre una maggiore enfasi sulla politica delle entrate, chiarendo fin da subito le linee ed i principi generali degli interventi necessari per riequilibrare il carico fiscale tra le diverse categorie di reddito e per garantire maggiori introiti tributari. Per questo già nella prossima legge finanziaria occorrerà inserire quegli interventi indicati nel programma dell'Unione e tesi ad aumentare la base imponibile attraverso un piano organico di misure volte a combattere l'evasione e l'elusione fiscale definendo specifici strumenti e precisi obiettivi quantitativi; ad uniformare la tassazione sulle rendite finanziarie e sui grandi patrimoni portandone il livello di imposizione sugli standard medi europei; a rivedere il cosiddetto secondo modulo della riforma IRE adottato dal precedente Governo al fine di ripristinare una più accentuata progressività nell'imposizione diretta.
In terzo luogo, per quanto attiene alle necessarie misure di contenimento della dinamica della spesa pubblica, gli interventi devono essere rivolti essenzialmente alla riqualificazione e alla razionalizzazione, garantendo, in ogni caso, il mantenimento e, laddove occorra, il potenziamento degli attuali livelli di protezione sociale.
Gli obiettivi di risanamento non possono andare a detrimento degli obiettivi di riforma e di estensione del welfare, delineati con precisione nel programma dell'Unione e non adeguatamente ripresi nel testo del DPEF, in particolare sul fronte della lotta alla precarietà del lavoro. Così come occorre mantenere fede agli impegni assunti sul tema delle politiche abitative, per dare risposta ad un problema sempre più drammatico, come quello della possibilità di accesso alla casa di larghe fasce della popolazione, in particolare quella giovanile.
Occorre, inoltre, chiarire, senza ombra di dubbio, che non rientrano negli intendimenti dell'attuale Governo, in quanto contrari al programma dell'Unione, gli interventi strutturali tesi a ridurre la copertura previdenziale per i lavoratori, come, ad esempio, attraverso l'aumento dell'età pensionabile.
Sul fronte pensionistico, un migliore equilibrio finanziario deve essere perseguito, se necessario, innanzitutto attraverso la graduale uniformazione delle aliquote contributive tra le diverse categorie di lavoratori, la separazione tra assistenza e previdenza, la lotta serrata all'evasione contributiva e l'adozione di misure di equità, come la riduzione delle cosiddette pensioni d'oro. Questi interventi, se attuati con serietà, appaiono del tutto sufficienti a garantire l'equilibrio finanziario di lungo periodo del sistema previdenziale.
Sul fronte della spesa sanitaria, ancora oggi inferiore alla media europea, nell'immediato occorre puntare ad una stabilizzazione e non ad una riduzione della spesa rispetto al PIL, attraverso una piena responsabilizzazione delle regioni. In prospettiva, occorre garantire che le risorse destinate alla sanità siano adeguate a garantire pienamente i livelli essenziali di assistenza in tutto il territorio nazionale, mantenendo l'impianto universalistico del nostro sistema sanitario, la cui logica esclude barriere ai servizi, come quelle rappresentate da ticket generalizzati.
Per quanto attiene agli enti locali, taglieggiati dal precedente Governo, l'abbandono del vincolo dei tetti di spesa ed il Pag. 70ritorno al vincolo dei saldi potrà, di per sé, consentire un rallentamento della dinamica complessiva di spesa, garantendo l'autonomia e la correlata responsabilità alle amministrazioni locali.
Sul pubblico impiego, riteniamo necessario procedere ad una profonda riqualificazione della sua struttura in termini di competenze e di professionalità, in primo luogo, attraverso la stabilizzazione dei tanti lavoratori precari. Una grande operazione di riforma e di ammodernamento della pubblica amministrazione è in grado di produrre il duplice effetto del miglioramento dell'efficienza e del contenimento della spesa, senza necessità di procedere a tagli indiscriminati e selvaggi.
Un'altra questione sulla quale attendiamo ulteriori elementi dal Governo riguarda il terzo pilastro della politica economica annunciata, ossia la redistribuzione del reddito. Riteniamo che negli interventi a favore dello sviluppo debbano trovare adeguato spazio anche misure direttamente redistributive, tra le quali assumono particolare ed immediato rilievo la restituzione del fiscal drag ai lavoratori e ai pensionati ed un'equa ripartizione della riduzione selettiva del cuneo fiscale tra lavoratori ed imprese.
Vorrei concludere il mio intervento, signor Presidente, citando un ultimo punto. Crediamo che il tasso di inflazione programmata nel prossimo quinquennio debba essere fissato in linea con le stime di inflazione reale, e non essere fittiziamente utilizzato come strumento di riduzione del costo del lavoro.
PRESIDENTE. La prego...
ANDREA RICCI. In conclusione, come si può vedere, i punti da noi sollevati sul DPEF vanno nella direzione di una maggiore specificazione dell'impianto strategico di politica economica già delineato nel programma dell'Unione. A quell'impianto siamo fedeli, perché esso costituisce il cemento su cui si fonda la coalizione e contiene le risposte per uscire dalla grave crisi in cui si dibatte il paese.
Ci attendiamo che lo spirito riformatore che anima quel programma possa trovare risposta nella prossima manovra finanziaria (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Romagnoli. Ne ha facoltà.
MASSIMO ROMAGNOLI. Signor Presidente, signori del Governo, colleghe e colleghi, all'apertura del Documento di programmazione economico-finanziaria, leggo un aforisma di Immanuel Kant. Vi vorrei ricordare che tutto ciò che viene detto, oggi come ieri, è contestualizzato nel periodo storico in cui si vive. Quindi, vi sarei grato, vista l'importanza della discussione di un Documento di programmazione economico-finanziaria, di tenere fuori da tale discussione sia i filosofi che i cantori greci e di attualizzare il pensiero e l'azione sulle prospettive di oggi e del futuro del nostro paese.
Alla presentazione del suo DPEF, il ministro afferma che la politica economica del suo Governo è chiamata ad agire su tre fonti (sviluppo, risanamento ed equità), ma non si capisce come questa manovra finanziaria per il 2007 rispecchierà tale impostazione. Lei dichiara che la manovra complessiva sarà pari a 35 miliardi, di cui 20 destinati alla riduzione del deficit e 15 a misure di promozione della crescita, della competitività e dell'equità sociale. Qualsiasi neofita di studi economici capirebbe che i 20 miliardi - destinati alla riduzione di un deficit che, superando i 1.560 miliardi di debito pubblico, non rappresenta neanche lo 0,02 per cento - equivalgono a curare un malato di cancro con un'aspirina da banco in vendita presso i supermercati, come recita il cosiddetto decreto Bersani.
Ben altro ci vuole, caro ministro, per un paese che lei, il suo Presidente e la sua maggioranza avete descritto in questi ultimi mesi agli italiani. Consiglierei a lei e alla sua maggioranza, dopo cento giorni di Governo, di includere nella riduzione del deficit anche le generose parcelle elargite a Consorte ed a Sacchetti sullo scandalo, oramai insabbiato, di Unipol e BNL: allora Pag. 71sì che lei vedrebbe drasticamente diminuire il debito pubblico!
Lei afferma che questa correzione avrà carattere strutturale, cosa che credono solamente coloro che sono completamente a digiuno di economia e finanza. Ben altre sono le correzioni strutturali che, secondo la mia opinione e valutazione, vanno rimodulate, se vuole usando e abusando di un termine a voi molto chiaro, cioè quello della concertazione. Allora, permettetemi di fare luce su una delle più importanti promesse elettorali dell'attuale Governo che, tristemente, vado a smontare.
A pagina 125 del vostro DPEF - ove menzionate il cuneo fiscale, l'occupazione e la produttività -, si evince chiaramente una doppia discriminazione: una, quando parlate di selettività nell'applicazione del cuneo fiscale solo per un totale del 5 per cento delle industrie presenti sul territorio nazionale, dove il rimanente 95 per cento, essendo costituito da piccole e medie industrie, viene discriminato; l'altra riguarda il lavoratore dipendente, il quale non riceve alcun beneficio per la riduzione delle sue tasse.
Durante la vostra forsennata campagna elettorale, lo slogan era «non si arriva alla fine del mese», mentre oggi, secondo una logica tutta mediatica, improvvisamente stiamo tutti bene. Il fatto è che da quando siete al Governo tutto è aumentato, elettricità, gas, sigarette, alcoolici, benzine, e nessuno parla più di difficoltà delle famiglie, del piagnisteo sindacale e dello sciopero selvaggio: scomparso e finito a «Chi l'ha visto»?
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MASSIMO ROMAGNOLI. Con il vostro DPEF avete programmato una società di povertà, avete creato nel circuito mediatico una società a vostra immagine e somiglianza.
Concludo, rendendo noto a tutto il Parlamento il mio immenso dispiacere nel non aver letto nel DPEF neanche un provvedimento a favore delle nostre rappresentanze diplomatiche all'estero, che rispecchiano agli occhi del mondo intero il grave stato di salute del nostro paese; ma ancor più grave è la latitanza del Governo nei confronti dei nostri connazionali all'estero.
PRESIDENTE. Onorevole Romagnoli, la invito a concludere.
MASSIMO ROMAGNOLI. Nessuna agevolazione, nessun conforto, ma solo tanti danni, a cominciare dalla soppressione del Ministero per gli italiani nel mondo. Se il Governo Prodi predica e sbeffeggia tanto sulla vittoria delle elezioni politiche grazie al voto degli italiani all'estero, si preoccupasse di diminuire del 50 per cento l'ICI sulle case in Italia e di abolire totalmente l'IVA sull'acquisto di materiale edile per coloro che decidono di ritornare e costruirsi casa in Italia. Io farò la mia battaglia per gli italiani all'estero, dove sono stato eletto: mi auguro che l'opposizione tutta la faccia mobilitando la società italiana.
PRESIDENTE. Vorrei invitare i colleghi a rispettare i tempi loro assegnati, altrimenti sarò costretto a decurtare il tempo attribuito ad altri colleghi di gruppo. Vi prego quindi di evitare che questa penalizzazione possa ricadere su altri colleghi del vostro stesso gruppo.
È iscritto a parlare l'onorevole Tolotti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO TOLOTTI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, credo che l'intervento del collega Romagnoli dimostri forse, che l'assunzione di un punto di vista kantiano, critico e autocritico, non guasta perché ho sentito degli eccessi che, sinceramente, lasciano un po' sconcertati.
Al di là di questo, noi abbiamo a che fare con un DPEF - è già emerso nel corso della discussione - che presenta una previsione quinquennale di legislatura e prospetta cifre e stime prudenziali.
È un dato di novità, perché veniamo da cinque Documenti di programmazione economico-finanziaria nei quali abbiamo dovuto verificare scostamenti rilevanti tra Pag. 72cifre estremamente ottimistiche previste in entrata e cifre estremamente desolanti rilevate poi a consuntivo. Penso che la prudenza e la ragionevolezza di queste stime siano uno degli elementi di forza di questo Documento, pur nella genericità che è propria di tutti i Documenti di programmazione economica e finanziaria.
L'entità della manovra, 35 miliardi di euro, è certamente significativa - lo hanno rilevato anche colleghi della maggioranza - ma è un'entità dovuta, se non si vuole che gli unici interventi che ci si appresta a fare riguardino la componente correttiva della manovra. I 20 miliardi di euro che costituiscono la componente correttiva della manovra, tra l'altro, non sono neanche una scelta, ma rappresentano la necessità di farsi carico di un percorso di rientro concordato con l'Unione europea. È del tutto evidente che, se insieme e contestualmente al risanamento si vuole puntare sullo sviluppo e sulla crescita, questi 20 miliardi di euro debbono essere accompagnati da una quota significativa destinata allo sviluppo e all'innalzamento della competitività del paese.
Peraltro, anche un altro tema emerso, il vincolo della data del 2007, oggetto di discussione anche all'interno della nostra Commissione, merita qualche riflessione. Non possiamo non ricordare che tale data non è nelle disponibilità del nostro Governo, e non lo è nella misura in cui l'Italia, proprio perché viene da anni di finanza non irreprensibile, è «sorvegliata speciale» a livello europeo.
Nello stesso tempo, dobbiamo anche tenere conto del fatto che, responsabilmente, questa maggioranza ha scelto di concentrare il grosso dell'intervento sulla legge finanziaria del 2007. Lo ha fatto non tanto per trovare un accordo al proprio interno, quanto, piuttosto, per la necessità di concertare in maniera seria con le realtà economiche e sociali e con gli enti territoriali una serie di interventi in quattro comparti particolarmente delicati, richiamati negli interventi che mi hanno preceduto, che non possono essere oggetto di interventi dirigistici e centralismi. Mi riferisco alla necessità, da più parti richiamata, non solo di salvaguardare lo Stato sociale e di qualificare la spesa pubblica, ma di rendere più inclusivo il nostro livello di welfare. È quindi del tutto evidente che gli interventi di razionalizzazione non possono presentarsi in un'ottica punitiva di puro e semplice taglio e non possono neanche essere volti all'obiettivo di fare cassa. Essi debbono perseguire l'obiettivo di qualificare la nostra spesa pubblica e di qualificare il nostro sistema sociale.
Venendo allo specifico della Commissione finanze che si è occupata di questo tema, vorrei svolgere solo una osservazione. Nel parere che abbiamo approvato in Commissione, abbiamo ritenuto di porre particolare attenzione sulla necessità di una verifica e di una ridefinizione del secondo modulo della riforma Tremonti. Pensiamo che da lì si possano recuperare risorse da distribuire sui redditi medio-bassi e da destinare alla competitività delle imprese, così come abbiamo ritenuto sia necessario che nella legge finanziaria per il 2007 il Governo preveda misure efficaci per la restituzione del cosiddetto fiscal drag e anche misure in favore degli incapienti, ossia di coloro che, percependo redditi al di sotto dell'imponibile, non ricevono alcun giovamento da un sistema fiscale basato su deduzioni, mentre dovrebbero essere aiutati attraverso detrazioni in positivo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marinello. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, per brevità, mi occuperò semplicemente degli argomenti che riguardano la Commissione di cui faccio parte, ossia la XIII. A dire la verità, in tale Commissione non abbiamo avuto la possibilità di studiare ed approfondire il dibattito sul DPEF, ma questa è una questione non da trattare in Assemblea. Domani, chiederemo un appuntamento al Presidente della Camera, anche perché, in questo momento, le condizioni per un dibattito e, quindi, la possibilità di intervenire democraticamente sulle questioni Pag. 73di nostra attinenza, in XIII Commissione non sussistono. Ma questo, ripeto, è un tema che affronteremo domani, quando i rappresentanti della Casa delle libertà chiederanno un confronto con il Presidente della Camera.
Passando allo specifico, quando abbiamo letto il DPEF, ci siamo resi conto che vi è una serie di questioni che vengono puntualizzate, quali, ad esempio, la tutela delle fasce più deboli nel settore agricolo, l'incremento di esportazioni e promozioni, le politiche di accorpamento aziendale e le politiche di stabilità fiscale. In effetti, sono queste le vere questioni che, guarda caso, ripercorrono alcuni punti salienti della politica del Governo degli scorsi cinque anni, ossia del Governo Berlusconi. Infatti, proprio di ciò ci stiamo occupando, con la tutela del made in Italy e con la tutela del prodotto italiano in sede di trattative della WTO. Ci siamo occupati di accrescimento aziendale ed accorpamento aziendale, di tutte le politiche messe in atto, con il meccanismo delle incentivazioni e delle disincentivazioni, con il decreto legislativo n. 99 del 2004. Ci siamo occupati di stabilizzazione del regime fiscale in agricoltura, con il decreto-legge n. 35 del 2005. Ci siamo occupati di fasce più deboli, quando abbiamo trattato una serie di questioni ed una serie di interventi straordinari in materia di calamità naturali e contro le crisi di mercato.
Nella proposta del Governo manca una serie di punti veramente importanti e siamo estremamente allarmati per tali carenze. Non si parla di OGM e non vi è alcuna posizione su tale materia, probabilmente perché si tratta di un tema, seppur importantissimo, sul quale l'attuale maggioranza non ha una unicità di intenti. Non si parla di biotecnologie, non vi sono indirizzi nei confronti di colture alternative che possono dare respiro e risposte ad un settore in crisi. Manca la parola «pesca», ossia un settore importantissimo e strategico del sistema produttivo dell'agroalimentare italiano. Non si parla di promozione italiana in difesa della pesca mediterranea e non si parla, soprattutto, di quei rifinanziamenti e di quelle misure legislative, quali la legge n. 30 del 2003, ed anche di altre misure che noi abbiamo introdotto ed abbiamo comunque supportato. Non vi è alcun cenno alla politica del Governo in merito alle problematiche relative ai costi energetici della pesca.
Mi avvio alla conclusione perché ho esaurito il tempo...
PRESIDENTE. No, dovrebbe proprio concludere, perché il suo tempo è già esaurito.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Senz'altro, signor Presidente.
Ci siamo resi conto che si tratta di un Documento superficiale, con alcuni buoni propositi, ma con molte ovvietà ed alcune elusioni. Non si affrontano le problematiche, non sono indicate soluzioni e non vi è un'idea di risoluzione forte per il sistema dell'agroalimentare; pertanto, il nostro parere è sicuramente negativo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ossorio. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE OSSORIO. Signor Presidente, devo anzitutto constatare il tentativo del Governo di delineare un'impostazione di politica economica e finanziaria di lungo periodo, con un DPEF che copre l'intero arco della XV legislatura. Il DPEF, in tal modo, costituisce - a mio avviso - un manifesto programmatico che il Governo intende realizzare.
Mentre apprezzo la scelta compiuta nel dedicare un'apposita sezione di tale Documento ai problemi ed ai possibili interventi riguardanti il sud del paese, debbo constatare che il Mezzogiorno è diventato un punto residuale dell'intera politica economica del paese. Eppure, come si può evincere dai dati contenuti nello stesso DPEF, dopo diversi anni - dal 1995 al 2004 - in cui la crescita del Mezzogiorno si era attestata a livelli superiori rispetto alla media del resto del paese, tale trend positivo si è interrotto, facendo registrare una serie di risultati negativi, che hanno riproposto con forza il problema dello sviluppo meridionale.Pag. 74
Dobbiamo avere chiaro, onorevoli colleghi, che il livello del prodotto del meridione risulta ben lontano dal suo valore potenziale. Ciò, se, da un lato, costituisce elemento di preoccupazione, dall'altro, è indice delle grandi possibilità di sviluppo insite in tale area del paese.
Soffermarsi sulle questioni che attengono alla crescita del Mezzogiorno non deve essere considerato l'ennesimo tentativo di rivendicazione né, tantomeno, di recriminazione. Non è un momento giaculatorio. L'obiettivo è piuttosto quello di porre in risalto le grandi potenzialità di questa parte del nostro territorio ed il ruolo che esso potrebbe ricoprire nell'implementazione del programma di Governo; questo, se il Governo Prodi ha una tendenza inversa a quella che il Governo Berlusconi ha avuto nei confronti del Mezzogiorno.
Nonostante da più parti si sia giudicata oltremodo ambiziosa la scelta di perseguire contemporaneamente obiettivi di crescita economica e di equità sociale, non si dovrebbe sottovalutare l'opportunità offerta da un'efficace politica economica volta a favorire e a sostenere la crescita delle regioni meridionali in termini di contestuale ridimensionamento di una delle maggiori sperequazioni presenti nel nostro paese, ossia quella territoriale. La scelta adottata dal Governo di puntare su una strategia dell'offerta che incrementi gli investimenti pubblici di qualità nel Mezzogiorno è pienamente condivisibile. L'aumento delle infrastrutture materiali ed immateriali e dei servizi offerti dallo Stato potrà costituire un valido strumento di incentivazione e di sostegno per l'iniziativa privata locale, ed in tal senso attendiamo la prossima finanziaria. Va considerato infatti che troppo spesso gli imprenditori meridionali si trovano isolati nello svolgimento della loro attività, sia a causa della carenza di infrastrutture adeguate sul territorio, sia a causa dei rischi che una diffusa criminalità comporta per il loro lavoro.
Il Mezzogiorno rappresenta un punto di forza, non soltanto per ciò che attiene al rilancio della domanda interna, ma anche e soprattutto per ciò che riguarda la domanda estera e la crescita derivante dall'intensificazione degli scambi commerciali con gli altri paesi. Negli ultimi anni l'esposizione della concorrenza internazionale e la stagnante produttività della nostra economia hanno condotto ad un peggioramento del saldo commerciale, ad una riduzione della quote di mercato e ad una diminuzione degli investimenti diretti all'estero. Le imprese italiane, la cui produzione si concentra in settori ad alta intensità di lavoro e con scarsa innovazione tecnologica, non sono state in grado di confrontarsi in modo competitivo, sul mercato degli scambi internazionali, con quelle delle economie emergenti.
In questo contesto, il processo di nuova industrializzazione del Mezzogiorno, che noi chiediamo con forza in questa sede, potrebbe costituire un trampolino di lancio per la nostra economia, sotto due aspetti fondamentali. Da un lato, infatti, si tratta di favorire lo sviluppo di investimenti in settori tecnologicamente avanzati, sì da favorire i primi passi verso un recupero di competitività della nostra industria e dei suoi prodotti sui mercati internazionali. Dall'altro, la scelta del Mezzogiorno quale beneficiario privilegiato di tali interventi costituirebbe una strategia di politica commerciale volta ad individuare nelle regioni meridionali la piattaforma di riferimento per tutti gli scambi con le economie emergenti che si affacciano sul Mediterraneo. In questo senso, ci pare estremamente significativo - vorrei che il Governo la accompagnasse in modo costante; in ciò rivolgo un appello al rappresentante del Governo oggi qui presente, perché se ne faccia carico - il parere favorevole della Commissione europea ad un fondo italiano di cento milioni di euro a favore del capitale di rischio impegnato in investimenti di piccole e medie imprese innovative nel sud; questo in special modo nella fase iniziale dell'attività.
Ricordiamo tutti che la Commissione europea fu molto esitante nel 2005. Ora ha sciolto le riserve ed ha giudicato la misura attuabile nel 2007. Dobbiamo però essere Pag. 75molto attenti, perché questo non riduce le remore della Commissione europea verso altri espedienti per il Mezzogiorno. Tuttavia, dobbiamo dire che questo provvedimento europeo è un punto assai positivo, anche perché le piccole e medie imprese sono, come si sa, il cuore e le viscere dell'economia meridionale, che rappresenta la parte attualmente più dinamica di tutta l'economia italiana; senza sottacere che la maggior parte di esse (piccole e medie imprese) sono in una certa misura al nord ma anche al sud. In tal senso, il Governo nazionale dovrebbe attivare tutte le energie necessarie perché la politica economica del nostro paese incroci l'azione della Commissione europea in favore delle nostre regioni meridionali. In quest'ottica, si apprezza la scelta del Governo di allargare al Documento di programmazione economico-finanziaria il piano contenente lo stato di attuazione della legge obiettivo predisposto dal Ministro delle infrastrutture. Tuttavia, sarà necessaria un'inversione di tendenza dell'ammontare di risorse per il sud, che oggi sono esigue, come più volte è stato detto in quest'aula. Ci si augura che il Governo sarà in grado di dare piena attuazione ai programmi di sviluppo contenuti in tale Documento. Ciò nonostante, noi riteniamo che sia complessa la situazione del meridione.
Concludo, onorevoli colleghi, affermando che una fiscalità di vantaggio incentrata sulla previsione di crediti d'imposta per le imprese che intendano investire in queste aree del paese potrebbe costituire un ulteriore intervento a favore della crescita economica del sud. Ritengo che il presidente Duilio e l'onorevole Ventura debbano farsi carico di un confronto e di un rapporto forte con il Governo in questo senso.
Già nella precedente legislatura - e concludo - dal 1996 al 2001 il centrosinistra si è reso promotore di una simile iniziativa, ottenendo tra l'altro il via libera della Commissione...
PRESIDENTE. La ringrazio...
GIUSEPPE OSSORIO. Sarà ora opportuno - e concludo veramente, Presidente, le chiedo scusa - far tesoro delle precedenti esperienze ed adottare una manovra di politica fiscale differenziata che dia certezze e sostenga le imprese che scelgono di sviluppare la loro attività nel Mezzogiorno.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Milanato. Ne ha facoltà.
LORENA MILANATO. Presidente, i pochi minuti che ci vengono messi a disposizione per intervenire oggi ci saranno comunque sufficienti, alla luce del fatto che il Documento di programmazione economico-finanziaria non offre molta materia di discussione. Gli obiettivi fissati - alcuni persino condivisibili, altri banali - non danno corpo ad un Documento di rilievo e in linea con le attese del nostro paese e dell'Europa. Per esempio, quando si parla di voler intervenire correggendo il disavanzo nel settore del pubblico impiego, nel sistema previdenziale, nella sanità o sulle pensioni, non si è forse in contraddizione con provvedimenti come quello, approvato pochi giorni fa, di riordino della funzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri? Un provvedimento in cui la spesa pubblica, sicuramente, non diminuirà ma, di certo, aumenterà. Per abbreviare il tempo, quindi, ci soffermeremo solo su alcune questioni; intendo però rinviare alla relazione di minoranza al preciso esame svolto dal collega Alberto Giorgetti.
Per quanto attiene alle aspettative delle imprese italiane, va detto che, benché nel Documento di programmazione economico-finanziaria sia inesistente l'attenzione del nostro Governo per esse, vi si trova solo ed esclusivamente una enunciazione degli obiettivi da perseguire, senza minimamente porre mano ai vari problemi, attraverso le azioni di governo di medio e di lungo termine; ad esempio, quello gravoso del costo di energia, anche questo sicuramente affrontato con troppa superficialità. Dunque, c'è un problema di grande criticità per le nostre imprese: non Pag. 76ritengo se ne parli in modo ampio e giustificativo. Ci limiteremo semplicemente a passare dal petrolio al gas, dal gas al carbone? Mi sembra troppo poco.
Che dire poi dell'assoluta mancanza di strategia per una delle parti più importanti della nostra economia (mi riferisco al settore del turismo)? Le tante criticate attenzioni poste da parte del Governo Berlusconi a questo comparto sono ormai nel dimenticatoio, come svanite nel nulla, a causa dell'incapacità di questa maggioranza non solo di trovare la strada per il rilancio del settore, ma anche per l'assoluta mancanza d'interesse per i problemi che vi si trovano. La perdita di competitività, ormai, è quasi giornaliera ed è sotto i nostri occhi per tutte le imprese che gravitano nel mondo del turismo.
Non si può, a mio avviso, che giudicare negativamente l'operazione che ha portato a sottrarre al Ministero delle attività produttive le competenze in materia di turismo e del commercio internazionale. In proposito, vorrei ricordare proprio come il Governo Berlusconi abbia potuto compiere significativi passi in avanti con riferimento allo sviluppo del commercio internazionale, proprio in ragione del fatto che la competenza in materia faceva capo al Ministero delle attività produttive.
Da ultimo, vorrei lanciare un appello a questa precaria maggioranza, che è quello di non buttare al vento tutto il lavoro normativo prodotto nella passata legislatura a favore di alcuni comparti professionali legati al mondo artigianale. Anzi, dovrebbe sicuramente ampliare, attraverso l'indicazione di altre categorie da valorizzare, quanto già è stato fatto.
Per concludere, signor Presidente, è di tutta evidenza che l'enunciazione di interventi troppo generici e, a volte, aleatori è da attribuirsi proprio alle forti differenze esistenti all'interno dell'attuale maggioranza di Governo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tuccillo. Ne ha facoltà.
DOMENICO TUCCILLO. Signor Presidente, mi limiterò - per brevità di tempo, ovviamente - ad una considerazione su un tema specifico afferente, come nel caso di alcuni interventi precedenti, alla questione del Mezzogiorno. Ebbene, secondo una visione a largo raggio della problematica, oltre tutte le notazioni già fatte dagli onorevoli Piro ed Ossorio, con riferimento all'arco di tempo che va dal 1995 sino al 2003 - ovvero al periodo compreso tra il primo Governo Prodi e, per così dire, la parte migliore del Governo Berlusconi -, noi troviamo un dato: il sud cresce, cresce di circa il 3,6 per cento; ma cresce, comunque, in misura molto inferiore al tasso di sviluppo di altri paesi poi entrati nell'Unione europea e, in ogni caso, anche in misura molto inferiore rispetto a quei paesi che, già appartenenti all'Unione, si trovavano in condizioni di difficoltà come il nostro Mezzogiorno. Alcuni di questi paesi sono cresciuti circa il doppio del sud d'Italia; un paese come l'Irlanda è cresciuto circa tre volte più del Mezzogiorno.
Se poi consideriamo gli anni 2004 e 2005, la situazione precipita in modo verticale: nel 2004, per la prima volta dopo sette anni, il sud cresce meno della restante parte del paese; nel 2005, si abbassano drasticamente e vanno in negativo tutti i dati macroeconomici. Il PIL scende sotto lo zero; la spesa per gli investimenti scende a meno 0,9; i consumi delle famiglie si attestano a meno 0,3.
D'altra parte, la «furbizia», compiuta con la finanziaria per il 2006, di far slittare i fondi per i cofinanziamenti europei al 2009 - quando sappiamo che al 2006 era fissata la data di scadenza per gli impegni ed al 2008 quella per i pagamenti - comporta che, difatti, quei 15 miliardi che il Governo Berlusconi dichiarava di prevedere in realtà vengono completamente meno e abbiamo un abbattimento del meno 34 per cento nella spesa per investimenti nel Mezzogiorno.
Questo è il quadro nel quale ci troviamo e rispetto al quale, oggi, la situazione del sud sconta due condizioni di crisi fondamentali. La prima, è la competizione con gli altri paesi dell'est europeo, che hanno una specializzazione produttiva e costi del lavoro molto più bassi, sicché Pag. 77sono molto più competitivi. La seconda, è la minore disponibilità delle risorse europee per le politiche di coesione. Quindi, noi ci troviamo a dover recuperare rispetto al quadro comunitario di sostegno che è stato «aggirato» dalla finanziaria per il 2006 e a prevedere politiche di intervento a sostegno del Mezzogiorno.
Cosa facciamo, in questo quadro? Sono sufficienti le indicazioni che vengono dal Documento di programmazione economico-finanziaria? Ebbene, ad una prima lettura, francamente, si risponderebbe di no. Sono misure che positivamente si collocano in una certa direzione ma che non appaiono sufficienti a fronteggiare una questione che giustamente è stata definita di unità nazionale e di ripresa del sistema paese; in termini, quindi, di realtà nazionale, e non di Mezzogiorno inteso quale realtà separata dalla parte restante del paese.
Su tale versante, il Documento di programmazione economico-finanziaria reca indicazioni interessanti; ad esempio, il proposito e l'indirizzo di aumentare la spesa per gli investimenti dal 38,7 per cento - addirittura, nel 2005, essa era scesa al 36,8, sotto il peso naturale del Mezzogiorno - al 42,3 per cento rappresenta un dato importante. Però, come sosteneva dianzi l'onorevole Piro, noi non possiamo rispondere a furbizie di altri con altre furbizie; non possiamo immaginare che la spesa per l'intervento straordinario serva a coprire la spesa ordinaria, che ugualmente deve essere attivata. Vogliamo, infatti, realizzare un'infrastrutturazione adeguata che, allo stato, è drammaticamente carente, non solo nelle infrastrutture materiali ma, a mio avviso, anche in quelle civili; mi riferisco, in particolare, all'amministrazione della giustizia civile e penale rispetto alla quale un intervento forte, determinato e consistente del Governo sarebbe quanto mai necessario, se veramente si vuole fronteggiare la situazione dell'ordine pubblico e della legalità nel Mezzogiorno.
L'altro aspetto sul quale mi soffermo...
PRESIDENTE. Onorevole ....
DOMENICO TUCCILLO. Concludo, Presidente.
L'altro intervento forte che compiamo è la riduzione del cuneo fiscale. Avevamo previsto il credito di imposta con grande vantaggio per il Mezzogiorno mentre il Governo Berlusconi ha risposto con la cosiddetta legge Tremonti-bis, spostando gli investimenti al nord: ora non possiamo concludere con una riduzione del cuneo fiscale che, di fatto, nella ripartizione, finirebbe per giovare, per il 90 per cento, al centro-nord e solo per il 10 per cento al sud.
Allora, è doveroso inserire misure di fiscalità di vantaggio, quali il credito d'imposta o quant'altro. Mi rivolgo al relatore per la maggioranza, onorevole Ventura, al presidente della Commissione Duilio ed al rappresentante del Governo che è presente in quest'aula per dire loro che uno sforzo in questo senso deve essere compiuto, per riequilibrare la situazione del paese e cercare di fronteggiare veramente, per la prima volta, questo problema, da intendersi come esigenza e come opportunità nazionale (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Germanà. Ne ha facoltà.
BASILIO GERMANÀ. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signori del Governo, esaminando l'allegato II del DPEF, con soddisfazione ho avuto modo di constatare che considerate la «nostra» legge obiettivo come una novità fondamentale nello sviluppo civile e produttivo del paese; tutto questo per recuperare il grave ritardo accumulato nel settore rispetto agli altri paesi europei. In un altro capoverso, inoltre, si legge che occorre da un lato creare le condizioni di certezza regolamentativa per attirare risorse aggiuntive e valorizzare il partenariato pubblico-privato. Inoltre, si afferma la necessità di orientare, potenziare ed accelerare il processo di sviluppo territoriale delle regioni meridionali verso i paesi nordafricani, dando concreta attuazione allo spirito della nuova Costituzione europea. Nell'allegato II Pag. 78del DPEF, tuttavia, non fate riferimento all'attraversamento stabile dello stretto di Messina. L'Europa guarda con attenzione al mercato dei ventuno paesi frontalieri del Mediterraneo. Per conquistare questi mercati esistono tre direttrici: quella turco-greca, quella spagnolo-portoghese e quella italiana, attraverso la costruzione del suddetto manufatto.
Dopo queste brevi premesse, vi pongo alcune domande. Innanzitutto, ritenete che possiamo essere credibili all'estero dopo aver effettuato una gara internazionale che ha coinvolto imprese di tutto il mondo? Ritenete, altresì, di dover rinunciare alle ricadute positive sul sistema economico e turistico per tutta l'area dello stretto? Ritenete, inoltre, che Fintecna, RFI ed ANAS, società a totale controllo pubblico, abbiano falsato alcuni dati per questo investimento imprenditoriale basato su analisi di rendimento e prospettive di recupero? Ritenete anche che lo studio di fattibilità finanziaria redatto dal Mediocredito centrale sia stato volutamente falsato, peraltro quando voi eravate al Governo? Quanti di voi erano favorevoli alla realizzazione del ponte e oggi non lo sono più perché attaccati alle poltrone? Prodi, allora presidente dell'IRI, era favorevole. Rutelli, nel 2001, durante la campagna elettorale, venne a Messina e precisò anche la data della posa della prima pietra! Folena presentò un ordine del giorno in cui chiedeva, per questa opera, 40 miliardi. Allora, il Presidente Prodi e il Vicepresidente del Consiglio Rutelli come si giustificano con gli italiani?
Posso solo apprezzare, come in passato, le posizioni di Rifondazione Comunista e dei Verdi, che hanno sempre mantenuto ferma la loro parola contraria alla costruzione del ponte. Non posso certamente condividere quanto espresso dal sottosegretario Bargone, il 31 marzo 1998, rispondendo ad una mia mozione. Egli affermò che non erano stati presi in esame gli effetti di numerosi agenti perturbatori, quali vento e mare in tempesta. Ma quale mare in tempesta! Il ponte sarebbe sospeso a 65 metri di altezza: ce ne vogliono di tsunami, caro Presidente! Abbiate, allora, il coraggio di affermare che devono essere soppresse le opere programmate dal Governo Berlusconi, pur se utili, per aprioristici pregiudizi ideologici, anche se non avessero alcun costo per lo Stato! Vorrei ricordare, infatti, che le risorse degli azionisti rappresentano un investimento imprenditoriale - non un contributo a fondo perduto, non uno sterile capriccio - avallato, tra l'altro, da advisor esterni e dal fatto che, nelle nostre leggi finanziarie, non abbiamo mai previsto un euro per la costruzione del ponte.
PRESIDENTE. Onorevole Germanà...
BASILIO GERMANÀ. Concludo immediatamente, signor Presidente.
Realizzando quest'opera consentiremmo ai siciliani di guadagnare 70 minuti di tempo - prediligendo il trasporto su ferro a quello su gomma - e risparmieremmo i 400 miliardi del costo dell'attraversamento. Lo Stato, inoltre, incasserebbe l'IVA utile a realizzare gli snodi.
Pertanto, signor Presidente, posso concludere soltanto ricordando all'Assemblea e, soprattutto, al Governo che la mafia si combatte con il lavoro, non con promesse o cose inutili che sono date in pasto agli italiani soltanto per propaganda elettorale (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ricordo nuovamente ai colleghi che il tempo aggiuntivo utilizzato quest'oggi sarà decurtato dagli interventi che saranno svolti domani. Quindi, è bene che i rappresentanti dei gruppi in Assemblea cerchino di regolamentare un po' meglio il rispetto dei limiti temporali che sono stati indicati.
È iscritta a parlare l'onorevole Zanotti. Ne ha facoltà.
KATIA ZANOTTI. Signor Presidente, colleghi, finalmente siamo di fronte ad un Documento di programmazione economica e finanziaria oggettivo nei dati e nelle analisi; un Documento che traccia il quadro di un paese reale che deve affrontare Pag. 79molte difficoltà che, per interi comparti, impongono una riconversione graduale degli indirizzi di spesa.
Il piano dettagliato delle misure che saranno intraprese, come noto, sarà prospettato solo a settembre, con la presentazione del disegno di legge finanziaria ed è proprio partendo dal DPEF, anche con riferimento alla finanziaria, che intendo proporre alcune sollecitazioni, piuttosto che considerazioni, in merito al sistema sanitario nazionale ed al suo finanziamento.
Il diritto alla salute si colloca tra i diritti prioritari della persona. Esso ha bisogno di politiche che lo rendano esigibile su tutto il territorio nazionale e per tale motivo il sistema sanitario deve saper mettere al centro un cittadino sempre più competente e protagonista del suo benessere e deve saper intervenire con decisione, attraverso i controlli, sui tagli agli sprechi per liberare risorse non sempre utilizzate al meglio.
La Corte dei conti ha denunciato la costante sottovalutazione dei costi della sanità negli ultimi anni e l'insufficienza delle misure correttive proposte.
Alcune misure di risparmio di spesa previste dal Governo di centrodestra sono state definite dalla stessa Corte dei conti addirittura irrealistiche. La perdurante sottostima delle risorse ha tenuto in questi anni il sistema sanitario in forte tensione fino ad un punto di crisi che rischia il non ritorno con disavanzi tali da fare emergere seri problemi di non governabilità.
Per questo, oggi è urgente, ai fini di un rendimento positivo nel futuro, muoversi per dare al sistema sanitario certezze di risorse, sottraendo il fondo sanitario da una costante logica emergenziale, come avvenuto in questi anni.
Il livello di finanziamento del fondo sanitario deve essere, quindi, adeguato rispetto alle tabelle di spesa tendenziali, indicate nel Documento di programmazione economica e finanziaria.
Di fronte all'eventuale persistenza di un consistente divario - vorrei esprimere al riguardo una mia opinione - tra il finanziamento del fondo e la spesa reale, sarebbe assai arduo, nonché del tutto illusorio, ritenere tale differenza colmabile attraverso una compartecipazione degli utenti alla spesa soltanto o alla tassazione regionale soltanto, come ha fatto, peraltro fallendo l'obiettivo, il precedente Governo di centrodestra.
Il servizio nazionale dovrà, quindi, contribuire a ridurre la spesa tendenziale rispetto al PIL, come si sostiene nel Documento di programmazione economica e finanziaria; tuttavia, rispetto all'attuale quadro di risorse, è importante che l'ammontare dei finanziamenti, se magari si vogliono mantenere ed ampliare i livelli essenziali di assistenza e la rete dei servizi, si assesti almeno intorno al 6,7 per cento del PIL (è, tuttavia, un tema che riguarderà la legge finanziaria e, pertanto, in quella sede il finanziamento del sistema sarà una questione di grande rilevanza).
Sempre in previsione del disegno di legge finanziaria, vorrei, nel poco tempo che mi rimane a disposizione, proporre una sollecitazione in ordine al tema della non autosufficienza. Riteniamo - lo abbiamo discusso in Commissione affari sociali - che chi ha responsabilità di Governo della cosa pubblica non possa più sottrarsi al compito di promuovere politiche che mirano ad estendere significativamente la rete dei servizi, tema lasciato - lo ricordo - in un vergognoso stato di abbandono dal precedente Governo di centrodestra. Ciò, per fornire risposte ai bisogni quotidiani di ogni singola persona non autosufficiente, potenziando e aggiornando un sistema di servizi che deve essere qualitativamente diverso dal passato, basato su un più forte coordinamento ed un'integrazione delle politiche socio-sanitarie in grado di offrire una maggiore possibilità di scelta agli utenti e di intervenire sulla base di progetti individuali e personalizzati.
La questione della non autosufficienza, Presidente, richiede soluzioni inedite e coraggiose in ordine all'innovazione del welfare e alla messa a disposizione di risorse tali da rendere esigibile per i Pag. 80cittadini non autosufficienti e per le loro famiglie su tutto il territorio nazionale il diritto all'assistenza.
In questi giorni in Commissione affari sociali si è incardinata la discussione su diversi progetti di legge al riguardo già presentati, fra i quali quello di iniziativa popolare promosso dalle tre organizzazioni sindacali dei pensionati.
Vorremmo, Presidente, che fosse questa ...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
KATIA ZANOTTI. ...la legislatura nella quale si forniscano risposte certe, praticabili e consolidate nel tempo alle aspettative di cittadini e di cittadine, di famiglie in profondo stato di bisogno.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zinzi. Ne ha facoltà.
DOMENICO ZINZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, con la presentazione del DPEF relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011 viene affermato il concetto secondo cui le situazioni di sofferenza finanziaria colpiscono soprattutto gli strati più deboli, oltre che le generazioni future. Pertanto, allo scopo di garantire la tutela per tutte le categorie sociali, sorge l'esigenza di porre fine a fenomeni inaccettabili di evasione e di elusione fiscale. Il concetto espresso, in larga parte condivisibile, viene eluso nella realtà operativa laddove non si programma alcuna concreta iniziativa volta a spegnere o, quanto meno, a contenere il fenomeno della elusione fiscale utilizzata in favore di vaste categorie che fanno parte dell'apparato di sostegno dell'attuale maggioranza di Governo.
La lotta all'evasione fiscale costituisce un punto fermo sul quale vi è e vi sarà piena condivisione in omaggio al principio costituzionalmente sancito che tutti debbono concorrere alla spesa pubblica in proporzione alle proprie possibilità economiche. Accanto a tale lodevole dichiarazione di intenti, vanno concretamente poste in essere le opportune iniziative volte ad eliminare i vantaggi, le aree di evasione legali e le elusioni previste dall'ordinamento in favore di soggetti protetti.
Il DPEF predisposto dal Governo concede scarsa attenzione ai problemi connessi alla congiuntura e alla crescita del Mezzogiorno; infatti, mentre viene riconosciuto che le aree del sud e delle isole nel 2005 hanno segnato una crescita mediamente migliore rispetto a quella del centro-nord per il prodotto interno lordo, per la produttività, per l'esportazione e per gli investimenti, viene altresì confermato che, tra il 2005 e il primo quadrimestre del 2006, il meridione ha fatto rilevare un trend positivo per effetto del miglioramento dell'occupazione e del clima di fiducia delle imprese registrato dal buon andamento delle esportazioni; tuttavia, tali segnali non inducono ad abbassare la guardia o a cullarsi nell'ottimismo di maniera. È necessario, quindi, che il Governo mostri maggiore attenzione verso il Mezzogiorno, affrontando i temi della sicurezza, del potenziamento dei servizi, della qualità della vita e del comparto produttivo; infatti, nelle regioni del sud si verificano, con preoccupante frequenza, gravi episodi di criminalità e di violenza che allarmano l'opinione pubblica e nei confronti dei quali il Governo mostra completa indifferenza.
Tali fatti criminosi vanno ricondotti a diverse cause sulle quali è necessario intervenire: in primo luogo sulla grave crisi occupazionale che colpisce soprattutto i giovani. La situazione penalizza intere aree del sud che, per converso, vanta grandi e consolidate tradizioni di operosità ed è popolata da gente dotata di grande generosità, la cui principale ispirazione è quella di progredire e far progredire il proprio territorio; occorre, quindi, una maggiore e più incisiva presenza dello Stato al fine di sconfiggere i non marginali fenomeni malavitosi e migliorare la qualità della vita. A tale riguardo, non può negarsi - e la situazione è a tutti nota - che gli enti territoriali preposti non sono stati in grado di risolvere l'annoso problema dello smaltimento dei rifiuti. Faccio in particolare Pag. 81riferimento a quanto accade nella regione Campania, dove si vive in una condizione di cronica e grave emergenza con seri rischi per la salute dei residenti.
Avremmo visto con favore nel DPEF incisivi e mirati interventi volti a migliorare la viabilità, la rete dei trasporti pubblici e dei servizi, ma la disamina del Documento programmatico, del tutto privo di una valutazione delle problematiche complessive del Mezzogiorno d'Italia, ci consegna una realtà peggiore rispetto ad ogni più pessimistica previsione.
Per quanto riguarda il settore della sanità, il DPEF ricostruisce le linee di tendenza della spesa sanitaria, ponendola a raffronto con il sistema dei principali paesi dell'Unione europea. In tale contesto si rilevano gravi inefficienze che vanno corrette con nuovi sistemi di razionalizzazione e di controllo della spesa, mantenendo inalterati gli attuali livelli essenziali ...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
DOMENICO ZINZI. ...di assistenza su tutto il territorio nazionale.
Al riguardo, va rilevato che mentre in alcune regioni il sistema di erogazione dei servizi sanitari riscontra un efficiente livello di assistenza, tali condizioni, a parità di risorse disponibili, non si riscontrano in alcune regioni del Mezzogiorno. Pur in una situazione economicamente non facile, va quindi considerata l'opportunità di incrementare le risorse destinate al fondo sanitario, in relazione a molteplici fattori, primo fra tutti l'invecchiamento della popolazione e, quindi, l'allungamento della vita media.
Concludo, Presidente. Gli estensori del deludente DPEF esordiscono richiamando un aforisma tratto dagli scritti di Kant; ci saremmo aspettati che la concretezza del filosofo tedesco avesse trovato asilo nelle intenzioni del Governo, che viceversa dimostrano e documentano la frammentarietà, l'inconcludenza e, in estrema sintesi, l'inadeguatezza delle proposte di chi oggi detiene il governo del paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Musi. Ne ha facoltà.
ADRIANO MUSI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, le considerazioni che mi appresto ad esporvi e a sottoporre alla vostra attenzione vogliono rappresentarvi la mia difficoltà ad esprimere un giudizio su un DPEF quinquennale, che, per chi crede nella politica fatta di contenuti, di scelte strategiche, di priorità coerenti con i valori ed i principi a cui la politica si ispira, è chiaro nei suoi obiettivi di risanamento, è chiaro nei suoi obiettivi di sviluppo, nei suoi obiettivi di equità. Tuttavia, tali obiettivi richiedono, per essere raggiunti, strumenti, e, per come sono delineati nel testo del DPEF per il quinquennio, necessitano di approfondimenti, di comprensione degli effetti, di trasparenza dei dati, poiché solo dalla credibilità dei percorsi indicati si possono far discendere provvedimenti finanziari attuabili, per una politica economica capace di offrire traguardi ambiziosi, di restituire fiducia alle famiglie, di offrire un futuro in cui impegnarsi alle nuove generazioni.
Positivo in tal senso è il rilancio del metodo concertativo, che, respingendo autosufficienze presuntuose, in discontinuità con il recente passato, ricerca con il consenso e la corresponsabilità delle forze economiche e sociali la salvaguardia degli interessi generali ed il rispetto dei principi costituzionali di tutela della dignità delle persone in una Repubblica fondata sul lavoro.
È nell'etica della responsabilità, nell'etica della gestione della spesa pubblica, nel rispetto delle regole e delle leggi senza scorciatoie il vero misuratore della vita di un grande Stato industriale moderno. La discussione di merito per il raggiungimento degli obiettivi e le decisioni conseguenti non consentono più a nessuno solo di pensare di poterla fare franca, di poter continuare una festa che per tanti, primi i pensionati, non è mai iniziata, come hanno puntualmente evidenziato gli ultimi dati forniti dalla Banca d'Italia.Pag. 82
C'è un evidente problema di redistribuzione del reddito, soprattutto se consideriamo che vi sono 16 milioni e mezzo di italiani che vivono con entrate al di sotto dei mille euro al mese. Con tale consapevolezza, vanno approfonditi gli strumenti indicati per il raggiungimento degli obiettivi del Documento di programmazione economico-finanziaria, con l'equità che diviene allora la priorità.
Lo sviluppo richiede una più puntuale selettività, accompagnata da politiche di settore più specifiche, non generalità di soluzioni. Si può finanziare da parte dello Stato un costo per minori entrate, per orientare un volano capace di rilanciare la competitività per le imprese soggette a concorrenza internazionale o per superare un divario territoriale tra aree a sviluppo differenziato nel paese, stabilizzandone l'occupazione, non per ampliare in questa fase economica i margini di convenienza di attività che agiscono solo sul mercato interno.
Questo vale anche per le scelte indicate per il risanamento, obiettivo condiviso, ma che richiede massima attenzione e la trasparenza delle cifre come obbligo, per la serietà richiamata dal relatore. Solo la conoscenza delle vere cifre consente decisioni consapevoli ed anche accettate, evitando che le «macedonie» statistiche ed i luoghi comuni evocati per pigrizia di approfondimenti - ci auguriamo, non peggio, per interesse di parte da perseguire -, oggi come ieri, creino solo confusione. Non può spiegarsi altrimenti il perché si continua ad ignorare, nel fornire i dati delle retribuzioni dei pubblici dipendenti, che in tali incrementi siano ricompresi i costi sostenuti per le missioni militari, ed è altrettanto inspiegabile il perché ci si ostini a non voler fare una operazione di trasparenza su quella che viene definita spesa pensionistica, con una chiara inosservanza della legge dello Stato, che chi governa non dovrebbe mai dimenticare, dovendo essere un esempio di legalità, trasparenza e linearità dei comportamenti, anche quando questo contraddice le proprie convinzioni.
Ed evitiamo di rispondere con l'esigenza di innalzare l'età di fuoruscita dal lavoro. Questa è un'esigenza che con i conti non c'entra: innalzare l'età è sentirsi ancora attivi, stante il prolungamento della vita; ed è esigenza di dignità di reddito, poiché difficilmente le generazioni future matureranno i trentacinque o i quarant'anni di contribuzione utili con l'età anagrafica dei padri.
Sono questi i quesiti che poniamo al Governo. All'esecutivo, in particolare, vogliamo far notare che sarebbe meglio porre attenzione sul perché, ad esempio, per ottenere una licenza per svolgere un'attività produttiva occorrano ottantotto procedure o sul perché il costo di progettazione e di realizzazione di una grande rete di trasporto sia di 13 milioni di euro al chilometro in Francia, di 15 milioni in Spagna e di 45 milioni - avete capito bene! - in Italia.
Sono queste le riforme strutturali da realizzare ed esse rappresentano solo la punta di un iceberg. Chi si propone l'equità come propria stella polare non può metterla sempre al secondo posto. Equità fa venire in mente la politica fiscale; in particolare, la dimensione di un'evasione fiscale stimata più facilmente delle entrate ufficiali, tenuto conto che i dati relativi a queste ultime non si riescono più ad avere in tempo reale, né disaggregati per tipologie di contribuenti.
PRESIDENTE. Onorevole Musi, concluda.
ADRIANO MUSI. Concludo, Presidente.
Chiediamo, quindi, al nuovo Governo di realizzare qui la vera discontinuità, mettendo tali dati disaggregati a disposizione del Parlamento e del paese. Insomma, equità in ogni atto e in ogni decisione. Essa rappresenta l'unico modo per affermare la diversità che c'è tra un diritto di cittadinanza e una concessione, tra un diritto e un atto di beneficenza. Equità è restituire certezza alle donne e ai giovani di Locri e a tutto il Mezzogiorno, dimostrando così che le strade dello sviluppo passano anche da loro e per far sì che un diritto non sia più un'elemosina.Pag. 83
Mi auguro che, dalle risposte del Governo, che spero di potere avere, dalle conclusioni di questo dibattito e dai contenuti della risoluzione finale (ho apprezzato la relazione svolta dall'onorevole Ventura), io possa avere elementi per esprimere oggi il mio giudizio su questo DPEF.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giudice. Ne ha facoltà.
GASPARE GIUDICE. Signor Presidente, desidero svolgere, come hanno fatto in precedenza i miei colleghi, un breve intervento sui temi relativi alle politiche del Mezzogiorno e, più in generale, delle aree sottoutilizzate.
Il divario dei livelli di sviluppo tra le diverse aree del paese costituisce il primo vero problema strutturale dell'intera economia italiana. Il recupero di più elevati tassi di crescita nel sud e nelle altre aree svantaggiate dovrebbe rappresentare la priorità assoluta nelle linee di indirizzo di politica economica, soprattutto quando, come nel caso del DPEF al nostro esame, si vorrebbe privilegiare, accanto alla prosecuzione del processo di risanamento della finanza pubblica, anche l'obiettivo della crescita. Un più elevato prodotto interno lordo e, quindi, un più elevato livello dei consumi e degli investimenti in quella parte del paese che coincide con il territorio di Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia, assicurerebbe a tutta l'economia nazionale una spinta decisiva, derivante da una domanda aggiuntiva in grado di permetterle di recuperare il ritardo rispetto alle economie più avanzate.
Va denunciata, lo hanno fatto, anche se in forme diverse, i colleghi negli interventi precedenti, la superficialità, il vero e proprio disinteresse che traspare chiaramente dal DPEF su queste tematiche. L'ultimo capitolo del Documento di programmazione economico-finanziaria, quello che appunto si occupa del Mezzogiorno e delle aree sottoutilizzate, si segnala per l'assoluta pochezza dell'analisi ma soprattutto per la totale mancanza di indicazioni. Sembra quasi che coloro i quali nell'ambito del Governo si sono occupati di questo tema si siano limitati, peraltro maldestramente, a recuperare frasi e concetti dei Documenti degli scorsi anni, a prescindere da una strategia coerente e da una visione organica.
Quanto all'analisi, il Documento in esame non manca di riconoscere - questo va certamente detto -, con una certa onestà intellettuale, che nella precedente legislatura le politiche per il Mezzogiorno hanno consentito di conseguire, pur in presenza di una fase stagnante dell'economia nazionale, un incremento dell'occupazione. In effetti, nel corso della precedente legislatura, il Governo e il Parlamento hanno dedicato un'attenzione costante a questo tema. L'attività svolta andava di pari passo all'impegno manifestato dal Governo, nella comune consapevolezza che su questi temi è indispensabile procedere coerentemente sia sul versante interno sia su quello comunitario.
Si pone, infatti, un duplice problema: quello delle risorse da destinare allo sviluppo delle aree sottutilizzate e quello degli strumenti di intervento.
Quanto al primo problema, la Commissione bilancio nella scorsa legislatura ha inteso sollecitare e supportare l'azione del Governo, perché l'allargamento dell'Unione europea e l'ingresso di numerosi Stati membri, intervenendo proprio quando, per la responsabilità di alcuni dei maggiori partner, le risorse destinate al bilancio comunitario sono state ridimensionate, non comportasse un grave pregiudizio di tipo economico per le politiche di coesione.
Sappiamo che nei prossimi anni due regioni del sud (Sardegna e Basilicata) usciranno dall'obiettivo 1. Questo è un danno molto grave che comporterà una contrazione delle risorse complessivamente destinate al Mezzogiorno italiano. Proprio l'impegno del Governo e del Parlamento ha impedito che si determinasse un danno ancora più grave. Occorre tuttavia che le autorità comunitarie si facciano carico del danno che potrà subire il Pag. 84Mezzogiorno d'Italia, riconoscendo più ampi spazi di intervento nell'ambito della riforma degli aiuti di Stato.
È proprio di questi giorni la notizia che l'Unione europea ha concesso il via libera su una misura importante di sostegno al rafforzamento patrimoniale delle imprese che investono nel sud. Si discute sul recupero del credito di imposta come strumento per favorire l'incremento dell'occupazione ed i nuovi investimenti. Si tratta di segnali importantissimi che confermano la bontà della politica del precedente Governo e il fondamento delle azioni sostenute dalla precedente maggioranza, anche nel senso di ammettere misure di fiscalità di vantaggio a favore del Mezzogiorno.
Queste proposte erano guardate con scetticismo dallo schieramento che ora sostiene il Governo e ritenute impraticabili in quanto palesemente in contrasto con la normativa comunitaria.
I più recenti orientamenti delle autorità europee e le aperture manifestate su questo tema dimostrano a tutti noi che un lavoro convinto e costante, per sostenere le tesi che si ritengono meritorie, può produrre risultati concreti.
Nel DPEF sul tema delle risorse non si dice nulla, limitandosi a rinviare al prossimo Quadro strategico nazionale relativo al periodo 2007-2013.
PRESIDENTE. Onorevole Giudice..!
GASPARE GIUDICE. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Giudice. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
GASPARE GIUDICE. Vorrei aggiungere un'ultima considerazione, signor Presidente.
Nel Mezzogiorno trovano, infatti, espressione più acuta tutti i problemi e i fattori di criticità del sistema produttivo italiano. Lo stesso Mezzogiorno dispone tuttavia di risorse e potenzialità inespresse che potrebbero, ove sostenute ed incoraggiate, segnare la svolta nel senso di una netta inversione di tendenza del tasso di crescita non soltanto per il sud ma per l'intero paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccuzzi. Ne ha facoltà.
FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, molti commentatori in questi giorni si sono affrettati a scrivere che il Documento di programmazione economico-finanziaria è uno strumento ormai inutile, perché inevitabilmente generico in attesa che la legge finanziaria disponga di interventi più dettagliati sul bilancio dello Stato.
Possiamo senz'altro convenire sulla opportunità di valutare una riforma del percorso parlamentare che prepari la sessione di bilancio, non senza tuttavia ricordare che quando non esistevano né il DPEF né la legge finanziaria si trattava di anni disastrosi per la finanza pubblica. Posso aggiungere che la prospettiva di cambiamento non può in alcun modo sminuire la portata di novità e di rottura con gli anni precedenti contenuta nel DPEF presentato dal Governo Prodi e qui ottimamente illustrato dal collega Ventura.
Vorrei rafforzare questi concetti, concentrandomi sui tre punti che - a mio parere - segnano una forte discontinuità con il Governo precedente, quello uscito sconfitto dalle elezioni politiche del 9 e 10 aprile.
Il primo elemento di svolta consiste nel fatto che i numeri che presentiamo noi sono veri: il nostro paese ha bisogno di fare i conti, perché per troppo tempo non li ha fatti. Con queste parole significative il ministro Padoa Schioppa ha replicato a chi lo accusava ingiustamente di parlare solo con le tabelle. Dopo cinque anni di previsioni gonfiate, analisi irrealistiche, conti truccati e finanza creativa, ecco un Documento che presenta la situazione dell'economia Pag. 85italiana e dei conti pubblici esattamente per quella che è: un'operazione di verità e di responsabilità di fronte al paese e all'Europa che ci osserva, certamente con maggiore fiducia rispetto ad un anno fa.
Il secondo elemento di svolta nella politica economica del nostro paese è dato da una visione di lungo periodo. Vanno anche qui alle nostre spalle gli anni delle misure-tampone, degli interventi una tantum, dei condoni e delle sanatorie. Il Governo Prodi presenta al Parlamento il suo programma di politica economica per tutta la legislatura.
Ho ascoltato qualche collega dell'opposizione affermare che non si può che essere unanimemente d'accordo con i tre sostantivi fondamentali del DPEF: crescita, risanamento ed equità. Non è affatto così, a mio avviso, poiché il significato di queste tre parole non è neutro: la semplice menzione, nell'ambito di un documento ufficiale del Governo, di frasi come «contrasto alle diseguaglianze economiche e sociali» rappresenta, di per sé, una novità di grande rilievo.
Sono numerosi anni, infatti, che il tema delle disuguaglianze è stato escluso non solo dall'agenda, ma persino dal linguaggio della politica. Vorrei ricordare che, nel 2004, il 10 per cento di famiglie italiane con i redditi più elevati ha percepito il 26,7 per cento del totale dei redditi prodotti; viceversa, al 10 per cento delle famiglie con i redditi più bassi è toccato il 2,6 per cento della ricchezza nazionale, vale a dire dieci volte di meno.
Negli ultimi quattro anni, inoltre, un lavoratore dipendente ha dovuto rinunciare, in totale, a 1.647 euro, come ha calcolato uno studio sui salari elaborato dall'IRES-CGIL, la quale ha confrontato la situazione italiana con quella degli altri paesi europei, scoprendo come, da noi, la crisi abbia colpito più duramente.
È in tale quadro che il provvedimento che più di ogni altro coniuga la spinta alla ripresa con l'equità è il cosiddetto decreto-legge Bersani, il quale si colloca in piena coerenza con il Documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame e lo rende ancora più credibile. Con le liberalizzazioni introdotte dal ministro Bersani, infatti, la nostra economia riceve una «scossa» salutare per diventare più aperta e più competitiva. Si tratta dell'avvio di una vera rivoluzione liberale, che va nella direzione di tutelare il soggetto più debole del mercato, rappresentato dal cittadino-consumatore.
Il terzo ed ultimo, ma non meno importante, elemento di discontinuità con il Governo della destra è rappresentato dal metodo, poiché torna la concertazione con le parti sociali e con gli enti territoriali. Dopo gli anni del centralismo soffocante, infatti, il Governo Prodi vuole ristabilire un equilibrio istituzionale tra Stato, regioni, province, comuni e comunità montane, al fine di affrontare unitariamente le sfide del riordino istituzionale e del rilancio economico.
Il passaggio, nell'ambito del cosiddetto patto di stabilità interno, dalla fissazione di «tetti» all'adozione del sistema dei saldi contabili costituisce un passo in avanti apprezzato da tutte le autonomie locali, le quali, in tal modo, possono tornare a respirare e vedere salvaguardati i principi di autonomia e di responsabilità.
Gli sforzi che, tutti insieme, siamo chiamati a compiere richiedono, dunque, partecipazione, condivisione e gestione collegiale, nell'ambito delle quali ciascun soggetto...
PRESIDENTE. Onorevole Ceccuzzi...
FRANCO CECCUZZI. ... deve svolgere il proprio compito. Per cogliere obiettivi così importanti ed ambiziosi, quindi, chi governa non può fare a meno della concertazione.
In conclusione, signor Presidente, per il bene dell'Italia dobbiamo tutti augurarci che questa nuova politica economica abbia successo e che, con essa, abbia inizio una nuova stagione di benessere diffuso e di inclusione sociale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.
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ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, desidero iniziare il mio intervento formulando due considerazioni.
Vorrei osservare, innanzitutto, che è un'impresa sicuramente ardua tracciare un quadro credibile dell'evoluzione economica e della finanza pubblica in un arco temporale di cinque anni, tante e tali sono le variabili che, in un mondo globalizzato ed interdipendente come il nostro, possono provocare mutamenti così repentini e forti da sconvolgere numerose previsioni relative sia al prodotto interno lordo, sia ad altri fattori economici.
Mi riferisco, in primo luogo, all'acutizzarsi di una delle crisi già in atto, o all'accendersi di un nuovo conflitto in un'area sensibile per le risorse energetiche, in specie quelle petrolifere. Chi può oggi prevedere, credibilmente, quale sarà il prezzo di un barile di petrolio nel 2011? Si tratterà forse dei 71 dollari indicati nel Documento di programmazione economico-finanziaria in esame?
Dal momento che numerose altre valutazioni economiche e finanziare dipendono, conseguentemente, da tale dato, si rischia, pertanto, di costruire un quadro macroeconomico assai ipotetico. Si tratta di un limite che lo stesso Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2007-2011 - peraltro, onestamente - indica nelle sue premesse.
La seconda osservazione che desidero svolgere è che non può non esservi accordo sui punti cardine della strategia indicata dal Governo, vale a dire crescita, risanamento ed equità: credo, infatti, che su tali indicazioni di ordine generale il consenso sia trasversale e totale. Il vero confronto avverrà, evidentemente, sulle scelte che verranno compiute successivamente per tradurre in azioni concrete, con il disegno di legge finanziaria, tali indirizzi programmatici in ordine ai quattro comparti indicati nel DPEF: apparato delle amministrazioni pubbliche, sistema pensionistico, servizio sanitario nazionale e finanza degli enti locali.
Ciò detto, vorrei osservare che il quadro economico reale da cui partiamo presenta sicuramente seri elementi di criticità, ben lungi da quelle «magnifiche sorti e progressive» che ci erano state pomposamente indicate, in diretta televisiva, cinque anni fa. Il Bollettino economico della Banca d'Italia, nel marzo di quest'anno, lo ha fin troppo chiaramente indicato. Un noto quotidiano lo aveva definito un bollettino di guerra - dalla crescita zero alla voragine dei conti pubblici - ed il rapporto annuale ISTAT lo ha ampiamente confermato. Il confronto tra la crescita dell'Italia e quella dell'Europa, senza voler prendere in considerazione altri paesi ed aree in piena espansione, è lì a testimoniare che la nostra economia vive una sua specifica crisi.
Le parole magiche per invertire la tendenza sembrano essere «privatizzare» e «liberalizzare»: mercati più aperti e concorrenziali quale condizione di equità ed efficienza, si legge nel documento. Ci auguriamo che sia effettivamente così e tuttavia, pur senza alcuna nostalgia sovietica, non possiamo non manifestare qualche preoccupazione a fronte di concrete situazioni che i cittadini toccano quotidianamente con mano. Il caso delle ferrovie è esemplare: le trasformazioni in atto ci hanno portati da un carrozzone inefficiente ad uno «spezzatino» (Rete ferroviaria, Trenitalia e quant'altro) in cui gli utenti non riescono spesso ad intravedere significativi miglioramenti del servizio. Altro che efficienza ed equità! L'equità è solo nel disagio. Non vorremmo che lo stesso avvenisse in altri settori essenziali.
Ricerca ed innovazione: questa, sì, ci sembra una condizione sine qua non per lo sviluppo in un'area economica quale la nostra. A Lisbona, l'Unione europea aveva fissato un obiettivo di spesa in ricerca e sviluppo pari al 3 per cento del PIL. L'Italia è all'1,1 per cento, tra gli ultimi posti in Europa e nell'OCSE. Anche in questo caso, il ragionamento si riallaccia significativamente a quanto detto prima. È proprio il settore privato infatti - si legge nel DPEF - ad avere bassa propensione Pag. 87all'investimento nella ricerca, mentre il settore pubblico non si discosta significativamente dalla media dei paesi OCSE.
Sul piano delle politiche sociali, le indicazioni contenute nel DPEF e già in parte tradotte concretamente nel cosiddetto decreto Bersani-Visco sono pienamente condivisibili: il piano straordinario per le pari opportunità, il piano d'azione per l'occupazione giovanile, gli interventi per la famiglia, così come le direttrici relative all'occupazione, volte a ridurre l'area del lavoro precario. Perché tutto ciò non rimanga un esercizio di stile, occorre evidentemente liberare le risorse necessarie. Tali risorse sul piano strutturale dovranno venire dall'auspicata ripresa economica, ma anche da interventi che pongano fine a quelli che il ministro dell'economia e delle finanze, nella sua lettera di trasmissione del DPEF, definisce fenomeni inaccettabili di evasione ed elusione fiscale. Dovranno venire anche da quella riduzione della spesa pubblica da tutti e da sempre auspicata, ma da nessuno realizzata, il cui punto cardine è un'articolata, coraggiosa, radicale politica di contenimento della spesa per il funzionamento dello Stato, in tutte le sue articolazioni: dai ministeri, alle regioni, agli enti locali. Qui occorre impugnare la scure e superare le prevedibili resistenze di apparati divenuti elefantiaci che si autoalimentano e, come l'Idra di Lerna, rispuntano continuamente sotto diverse spoglie. Anche su questo il decreto-legge n. 223 del 2006 ha aperto una strada condivisibile con le misure volte al contenimento della spesa per commissioni e comitati di vario genere, per gli incarichi di consulenza, per il personale.
Le iniziative possibili ed auspicabili, certo, non mancano; spesso manca la determinazione nel metterle in atto. Basti pensare, ad esempio, all'onere sempre più gravoso sui bilanci degli enti locali delle spese di progettazione: dagli studi di prefattibilità alla direzione lavori, con quel meccanismo perverso che lega le parcelle all'importo dell'opera. A volte, servirebbe qualche iniziativa esemplare nella riduzione della spesa pubblica. Potremmo, cari colleghi, dare noi l'esempio impugnando la scure rispetto al Parlamento. Il centrodestra, nella sua riforma della Costituzione, ha proposto la riduzione del numero dei deputati da 630 a 518. Nel corso della campagna elettorale per il referendum, il Presidente Prodi ha dichiarato che il centrosinistra è favorevole ad un'ancora più significativa riduzione a 400. Presentiamo, allora, unitariamente, una proposta di legge costituzionale in tal senso: non inciderà sicuramente in modo significativo sui costi complessivi dell'apparato statale, ma sarebbe un segnale preciso rivolto al paese.
Un'ultima questione. Il ministro Padoa Schioppa ha scritto che, per individuare le forme di intervento più appropriate, il Governo ha bisogno di un'interlocuzione con le parti sociali e con i rappresentanti degli enti territoriali e, nell'allegato 2 - programma delle infrastrutture, si legge che la definizione degli interventi sarà, comunque, effettuata previa consultazione della Conferenza Stato-regioni.
Credo che sempre, ma soprattutto nella definizione delle grandi linee strategiche, il confronto sia essenziale, imprescindibile e lo sia soprattutto con le regioni, che, nell'ottica federalista propria delle minoranze linguistiche, rappresentano elementi costitutivi dello Stato e, in quanto tali, devono potersi confrontare con pari dignità.
Non solo interlocuzione, dunque, ma codecisione sulle scelte fondamentali, che poi è il presupposto per una piena assunzione di responsabilità a tutti i livelli.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.
PIETRO ARMANI. Signor Presidente, ormai sono tre legislature che assisto alla stanca ritualità di questo DPEF che si discute durante la calura estiva. Francamente, non ne posso più, anche perché, arrivati in autunno, una brevissima tabella modifica le previsioni del DPEF, tra l'altro, Pag. 88senza dare il tempo di approfondire perché e per come siano state modificate tali previsioni. L'ho detto in Commissione e lo ripeto in quest'aula.
Considerando l'esercizio programmatico ed econometrico del DPEF dal 2007 al 2011, vediamo che il PIL sale dall'1,2 del 2007 all'1,7 del 2011. In realtà, lo 0,5 per cento in cinque anni è nulla. È nulla perché, Presidente, da molti anni, al di là dell'andamento congiunturale, registriamo crescite molto modeste, e le registriamo praticamente dalla seconda metà degli anni Settanta, quando in questo paese le tendenze progressivamente affermatesi hanno determinato un crollo del tasso di natalità; come conferma l'ISTAT, quest'anno ciò interessa anche il Mezzogiorno che, fino a poco tempo fa, aveva registrato tassi più significativi.
Naturalmente, con il calo della natalità e con l'invecchiamento della popolazione, l'orizzonte economico degli operatori si riduce, nonostante l'allungamento della speranza di vita. Ciò riguarda gli imprenditori, coloro che operano nel mercato, compresi quelli che operano nel mercato finanziario, che non è il capitale finanziario, non è merce del diavolo, onorevole Ventura! Non facciamo i marxisti, in questo caso; anche coloro che producono effetti di carattere solo finanziario lavorano nell'interesse del paese. Questo significa che non si devono demonizzare nemmeno le rendite finanziarie, che sono, tra l'altro, una conseguenza dell'invecchiamento della popolazione: se uno invecchia, si accorcia l'orizzonte economico e, quindi, si preferisce la rendita piuttosto che il rischio dell'imprenditoria.
Il Presidente Prodi, durante la campagna elettorale, ha detto che in questo paese ci vuole una scossa. Tale scossa può avvenire attraverso un'aggressione sul rapporto debito pubblico accumulato-prodotto interno lordo (l'ho già detto in Commissione). Non è possibile che noi, sempre in termini programmatici, dal 107,7 per cento del 2006 scendiamo al 99,7 per cento del 2011. Pensate che il limite stabilito dal Trattato di Maastricht è del 60 per cento; quindi, non avremmo risolto nulla. In realtà, pensiamo di ridurre il peso del debito accumulato soltanto con la crescita dell'avanzo primario. Il problema è molto più serio, se vogliamo dare una scossa al paese. Dare una scossa ad un paese che invecchia, che ha un tasso di natalità decrescente, significa fornire un sistema di servizi che rimetta in moto l'economia.
Naturalmente, per fornire un sistema di servizi adeguato - per esempio, di infrastrutture - ci vogliono molti soldi e, se abbiamo il peso del debito pubblico, evidentemente non avremo la possibilità di affrontare tale problema. Allora, bisogna pensare - come del resto avevamo ipotizzato noi della Casa delle libertà nel nostro programma elettorale - ad un'operazione di ingegneria finanziaria, per mettere sul mercato l'attivo patrimoniale, che è stato calcolato essere molto superiore al passivo patrimoniale, cioè al debito accumulato, comprendendo nel debito sia quello dello Stato sia quello degli enti locali e delle regioni. Questo significa mettere a fattor comune un sistema di valori patrimoniali, sia societari sia soprattutto immobiliari, che attualmente o non sono sul mercato o, se lo sono - come qualche municipalizzata -, sono ancora fortemente in mano all'azionista di controllo, che poi in genere è il comune.
A questo punto, se noi non affrontiamo questo problema per quantità consistenti - che non riguardino i 96 miliardi di euro delle privatizzazioni già effettuate, ma una cifra notevole e, quindi, capace di abbattere il rapporto debito-PIL in misura consistente - e poniamo questo asset davanti al tavolo della Commissione europea, magari per avere un ulteriore vantaggio in termini di rallentamento del rientro nel 3 per cento del deficit-PIL, non potremo mai avere le risorse necessarie per sostenere la crescita del sistema infrastrutturale del nostro paese, che, in fondo, è una piattaforma logistica che dovrebbe servire al Pag. 89flusso di merci da e per l'Europa, che la globalizzazione consente oggi.
Quindi, cosa si può fare? Si dovrebbe mettere a fattor comune una serie di fondi finanziari e, attraverso il collocamento sul mercato di tali fondi, acquisire risorse con le quali alimentare il fondo di ammortamento del debito pubblico e, quindi, ridurre il debito (naturalmente, finanziando l'indebitamento di questi fondi attraverso l'incasso e l'utilizzo dei redditi che il patrimonio immobiliare potrebbe dare una volta affluito nel fondo o nei fondi predisposti).
Questo è un sistema che potrebbe essere facilmente realizzato. Voi avete il controllo politico di quasi tutte le regioni e gli enti locali e potreste benissimo «mettere in riga» queste strutture amministrative - fra l'altro, non è detto che il ritorno ai saldi significhi riduzione della spesa degli enti locali -, ed utilizzare tale strumento per ridurre il loro indebitamento, che sta notevolmente crescendo (i BOC e i BOR emessi in tutti questi anni fanno crescere l'indebitamento).
Si tratta di un disegno che una maggioranza così frastagliata come la vostra non potrà mai realizzare, ma è un progetto che l'opposizione potrebbe rilanciare al paese, soprattutto alla parte più produttiva del nord, quella che ci ha dato prevalentemente i voti.
Credo che, attraverso questo ragionamento - certo con la calura estiva magari lo si dimentica dietro l'ombrellone o durante le vacanze -, si possa svolgere un approfondimento serio dei problemi del paese. Come ho detto, tali problemi nascono dalla denatalità - ecco la necessità della politica a favore delle famiglie -, dall'invecchiamento della popolazione, che è drammatico e che non fa crescere soltanto le spese sanitarie, ma determina una riduzione dell'orizzonte economico di tutto il sistema paese. Quindi, occorre svolgere una riflessione di questo tipo per affrontare seriamente e, magari in modo bipartisan - questo, onorevole Ventura, è un progetto che potremmo sviluppare insieme -, realizzare un'operazione che potrebbe servire a tutto il paese (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rossi Gasparrini. Ne ha facoltà.
FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Intervengo solo per rilevare che a pagina 94 del DPEF si legge che dal 2004 la povertà ha colpito soprattutto i bambini al sud e le donne al nord. Si legge anche che la povertà è legata al numero di figli, per cui le famiglie che hanno figli impoveriscono. Si tratta di una situazione drammatica perché vera. Giustamente, allora, il Governo, nel capitolo quarto del DPEF - intitolato «Crescita, risanamento ed equità» - parla di conciliazione dei tempi.
Ebbene, ciò che vorrei chiedere al Governo, che parla di famiglia in modo impreciso, è se sia consapevole che la conciliazione dei tempi prevede risorse economiche da destinare ai nuclei familiari; inoltre, quando il Governo parla di emersione del lavoro di cura, spero non si rivolga esclusivamente al lavoro dipendente. In Italia il lavoro di cura ha un valore enorme ed è svolto da più di otto milioni di donne che lavorano a tempo pieno in famiglie, le casalinghe, e da altre 7 milioni di donne che sono casalinghe a tempo parziale.
Se il Governo intende, come di fatto fa in questo DPEF, entrare nel merito dei problemi del paese sul tema della famiglia, distinguo una superficialità nei termini. Ciò mi preoccupa alquanto, pertanto vorrei sapere dal Governo se intende investire sulla conciliazione dei tempi e, quindi, sul rispetto dei diritti dei bambini e di chi ai bambini si dedica, che non sono solo le badanti (Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo e de L'Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi previsti per la seduta odierna.
Il seguito della discussione è rinviato alla seduta di domani.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 25 luglio 2006, alle 9,30:
1. - Discussione del documento (per il seguito della discussione sulle linee generali):
Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2007-2011 (Doc. LVII, n. 1).
- Relatori: Ventura, per la maggioranza; Alberto Giorgetti, di minoranza.
(ore 15)
2. - Seguito della discussione della proposta di legge:
BUEMI ed altri: Concessione di indulto (Testo risultante dallo stralcio degli articoli 1 e 3 della proposta di legge n. 525, deliberato dall'Assemblea il 18 luglio 2006) (525-bis-A).
e delle abbinate proposte di legge: JANNONE; BOATO; BOATO; FORLANI ed altri; GIORDANO ed altri; CAPOTOSTI ed altri; CRAPOLICCHIO ed altri; BALDUCCI e ZANELLA (372-662/bis-663/bis-665/bis-1122/bis-1266/bis-1323/bis-1333/bis).
- Relatore: Buemi.
3. - Dimissioni del deputato Cacciari.
4. - Discussione congiunta del disegno di legge e del documento (per la discussione sulle linee generali):
Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2006 (1042-A).
- Relatore: Ottone.
Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Doc. LXXXVII, n. 1).
- Relatore: Gozi.
La seduta termina alle 20,15.
TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO GASPARE GIUDICE IN SEDE DI DISCUSSIONE DEL DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA
GASPARE GIUDICE. Desidero richiamare l'attenzione del Governo e dei colleghi su un tema che ritengo della massima importanza e che non può non trovare nella discussione del DPEF una occasione di approfondimento.
Mi riferisco ai temi relativi alle politiche per il Mezzogiorno e, più in generale, per le aree sottoutilizzate.
Non si tratta di un argomento equiparabile ad altri che pure sono stati evocati nel corso dell'esame presso la Commissione bilancio così come nelle altre Commissioni e che attengono alle politiche di settore.
Il divario dei livelli di sviluppo tra le diverse aree del paese costituisce il primo vero problema strutturale dell'economia italiana.
Il recupero di più elevati tassi di crescita nel sud e nelle altre aree svantaggiate dovrebbe rappresentare la priorità assoluta nelle linee di indirizzo di politica economica soprattutto quando, come si afferma nel Documento al nostro esame, si vorrebbe privilegiare, accanto alla prosecuzione del processo di risanamento della finanza pubblica, l'obiettivo della crescita.
Sembrerà banale, ma occorre anche in questa sede sottolineare che se riuscissimo finalmente a recuperare il divario tra il centro nord ed il Mezzogiorno registreremmo sicuramente notevoli progressi.
Un più elevato livello del PIL, e quindi dei consumi e degli investimenti, in quella parte del paese che coincide con il territorio di Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Pag. 91Sicilia e Sardegna, assicurerebbe a tutta l'economia nazionale una spinta decisiva derivante da una domanda aggiuntiva in grado di permetterle di recuperare il ritardo rispetto alle economie più avanzate.
L'esame del DPEF rappresenta un'occasione imprescindibile poiché nell'attività parlamentare non vi sono altre occasioni istituzionalmente dedicate al tema.
Dovremmo pertanto valutare se provvedere alla individuazione, almeno nell'ambito della Commissione bilancio, che costituisce la sede specializzata, all'interno del Parlamento, in cui affrontare le problematiche relative alla politica economica, di una sede di approfondimento che potrebbe essere costituita da un apposito Comitato che monitorizzi ed analizzi le problematiche del Mezzogiorno.
In ogni caso, va denunciata con preoccupazione la superficialità e il vero e proprio disinteresse che traspare chiaramente dal DPEF su queste tematiche.
L'ultimo capitolo del Documento, quello che, appunto, si occupa del Mezzogiorno e delle aree sottoutilizzate, si segnala per l'assoluta pochezza dell'analisi ma, soprattutto, per la totale mancanza di indicazioni.
Sembra quasi che coloro i quali, nell'ambito del Governo, si sono occupati di questo tema si siano limitati, peraltro maldestramente, a recuperare frasi e concetti dai documenti degli, scorsi anni, a prescindere da una strategia coerente e da una visione organica.
Quanto all'analisi, il Documento non manca di riconoscere, con una certa onestà intellettuale, che nella precedente legislatura le politiche per il Mezzogiorno hanno consentito di conseguire, pur in presenza di una fase stagnante dell'economia nazionale, un incremento dell'occupazione.
In effetti, nel corso della precedente legislatura il Governo ed il Parlamento hanno dedicato una attenzione costante al tema.
La Commissione bilancio, in particolare, ha svolto due indagini conoscitive, la prima sull'utilizzo delle risorse dei fondi strutturali e la seconda sulle prospettive finanziarie dell'Unione europea e delle politiche di coesione.
L'attività svolta in Parlamento andava di pari passo all'impegno manifestato dal Governo, nella comune consapevolezza che su questi temi è indispensabile procedere coerentemente, sia sul versante interno che su quello comunitario.
Si pone, infatti, un duplice problema: quello delle risorse da destinare allo sviluppo delle aree sottoutilizzate e quello degli strumenti di intervento.
Quanto al primo problema, la Commissione bilancio nella scorsa legislatura ha inteso sollecitare e supportare l'azione del Governo perché l'allargamento dell'Unione europea e l'ingresso di numerosi Stati membri, intervenendo proprio quando, per la responsabilità di alcuni dei maggiori partner, le risorse destinate al bilancio comunitario sono state ridimensionate, non comportasse un grave pregiudizio di tipo economico per le politiche di coesione.
Sappiamo che nei prossimi anni due regioni del sud (Sardegna e Basilicata) usciranno dall'Obiettivo 1. Questo è un danno molto grave che comporterà una contrazione delle risorse complessivamente destinate al Mezzogiorno italiano.
Proprio l'impegno del Governo e del Parlamento ha impedito che si determinasse una danno più grave.
Occorre tuttavia, come la Commissione bilancio ha già avuto modo di segnalare in ripetute occasioni, che le autorità comunitarie si facciano carico del danno che potrà subire il Mezzogiorno d'Italia, riconoscendo più ampi spazi di intervento nell'ambito della riforma degli aiuti di Stato.
È proprio di questi giorni la notizia per cui l'Unione europea ha concesso il via libera su una misura importante di sostegno al rafforzamento patrimoniale delle imprese che investono nel sud.
Si discute sul recupero del credito di imposta come strumento per favorire l'incremento dell'occupazione e i nuovi investimenti. Si tratta di segnali importantissimi che confermano la bontà della politica Pag. 92del precedente Governo ed il fondamento delle azioni sostenute dalla precedente maggioranza anche nel senso di ammettere misure di fiscalità di vantaggio a favore del Mezzogiorno.
Queste proposte erano guardate con scetticismo dallo schieramento che ora sostiene il Governo e ritenute impraticabili in quanto palesemente in contrasto con la normativa comunitaria.
I più recenti orientamenti delle autorità europee e le apertura manifestate su questo tema dimostrano a tutti noi che un lavoro convinto e costante per sostenere le tesi che si ritengono meritorie può produrre risultati concreti.
Nel DPEF sul tema delle risorse non si dice nulla, limitandosi a rinviare al prossimo Quadro strategico nazionale relativo al periodo 2007-2013. Si sostiene poi l'intenzione di aumentare l'incidenza della spesa in conto capitale destinata al Mezzogiorno. Non si dice tuttavia nulla sulle modalità attraverso le quali si intenderebbe finanziarie la quota aggiuntiva di spesa in conto capitale, sulle finalità e sulle priorità che si intendono perseguire.
Quanto agli strumenti, il Documento è totalmente privo di indicazioni; non sappiamo se il Governo intende mantenere il Fondo unico per le aree sottoutilizzate, strumento rilevatosi utilissimo per una più flessibile gestione delle risorse, mentre a seguito del cosiddetto spacchettamento, vale a dire della revisione dell'assetto del Governo disposta con il decreto legge n. 181 del 2006, il quadro delle competenze e delle funzioni in materia si è fatto particolarmente complicato.
Gradirei anzi che cogliessimo l'occasione per un chiarimento da parte del Governo, posto che, se non ho capito male, il CIPE sarebbe ricondotto direttamente alla responsabilità della Presidenza del Consiglio mentre le politiche di intervento sarebbero affidate al neo costituito Ministero per lo sviluppo, fermo restando che non è chiaro a quale dei sottosegretari sarà attribuita la delega in materia, e gli indirizzi generali di politica economica, presumibilmente comprensivi delle politiche per le aree sottoutilizzate, resterebbero in capo al Ministero dell'economia e delle finanze.
Mi domando se la pochezza del DPEF per quanto concerne le aree sottoutilizzate non sia il primo ma probabilmente non più grave effetto di questa frammentazione di funzioni e competenze.
Nel corso dell'esame in Commissione, il Governo non ci ha fornito alcun elemento aggiuntivo di informazione su questo tema che, ripeto, assume carattere strategico e non può essere equiparato alle problematiche settoriali, avendo per sua natura carattere trasversale.
Nel Mezzogiorno trovano infatti espressione più acuta tutti i problemi e i fattori di criticità del sistema produttivo italiano. Lo stesso Mezzogiorno dispone tuttavia di risorse e potenzialità inespresse che potrebbero, ove sostenute ed incoraggiate, segnare la svolta nel senso di una netta inversione di tendenza del tasso di crescita non soltanto per il sud ma per l'intero paese.
ERRATA CORRIGE
Nel resoconto stenografico del 20 luglio 2006:
a pagina 23, dopo lo schema relativo all'organizzazione dei tempi di esame della PDL n. 17-B, è inserito il seguente:
Mozione n. 1-00016 - Iniziative per la moratoria universale delle esecuzioni capitali
Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).
Governo | 25 minuti |
Richiami al regolamento | 10 minuti |
Tempi tecnici | 5 minuti |
Interventi a titolo personale | 1 ora (con il limite massimo di 5 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato) |
Gruppi | 4 ore e 20 minuti |
L'Ulivo | 55 minuti |
Forza Italia | 38 minuti |
Alleanza Nazionale | 25 minuti |
Rifondazione Comunista-Sinistra Europea | 19 minuti |
UDC-Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro | 18 minuti |
Lega Nord Padania | 15 minuti |
Italia dei Valori | 14 minuti |
La Rosa nel Pugno | 14 minuti |
Comunisti Italiani | 13 minuti |
Verdi | 13 minuti |
Popolari-Udeur | 13 minuti |
Democrazia Cristiana-Partito Socialista | 11 minuti |
Misto | 12 minuti (Minoranze linguistiche: 6 minuti; Movimento per l'Autonomia: 6 minuti) |
(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione della mozione.
Conseguentemente:
a pagina 22, alla prima riga, dopo le parole "E 17-B" inserire le seguenti: "E DELLA MOZIONE N. 1-00016";
a pag. II dell'indice, ultima riga, dopo le parole "e 17-B" inserire le seguenti: "e della mozione n. 1-00016".