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XV LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 58 di martedì 24 ottobre 2006
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI
La seduta comincia alle 10,10.
RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Boato, Bressa, Capodicasa, Folena, Gasparri, Meloni, Migliore, Morrone, Pinotti, Piscitello, Pisicchio, Realacci, Sgobio e Violante sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono sessantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria (A.C. 1750).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria.
Ricordo che nella seduta del 20 ottobre 2006 si è conclusa la discussione sulle linee generali.
(Esame dell'articolo unico - A.C. 1750)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 1750 sezione 2), nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (Vedi l'allegato A - A.C. 1750 sezione 3).
Avverto che le proposte emendative presentate si intendono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (Vedi l'allegato A - A.C. 1750 sezione 4).
Avverto, altresì, che non sono state presentate proposte emendative riferite all'articolo unico del disegno di legge di conversione.
Avverto, inoltre, che la I Commissione (Affari costituzionali) ha espresso il prescritto parere
(Vedi l'allegato A - A.C. 1750 sezione 1).
Ricordo che, a norma dell'articolo 123-bis, comma 3-bis, ultimo periodo, del regolamento, gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi dichiarati inammissibili dalle Commissioni riunite non possono essere ripresentati in Assemblea e, ove ripresentati, non sono pubblicati.
Inoltre, non sono pubblicati, in quanto non ricevibili: gli emendamenti già presentati presso le Commissioni riunite, ma in quella sede ritirati; i nuovi emendamenti, non previamente presentati presso le Commissioni riunite, riferiti a parti del testo non modificate dalle Commissioni stesse.
Avverto, altresì, che la Presidenza non ritiene ammissibili, a norma dell'articoloPag. 2123-bis del regolamento, in quanto recano nuovi o maggiori oneri finanziari privi di idonea quantificazione e copertura, le seguenti proposte emendative riferite a parti del testo modificate dalle Commissioni riunite: gli emendamenti Bertolini 6.18 e Fugatti 6.20, che sopprimono l'articolo 6, in materia di imposte di successione e donazione, senza prevedere alcuna forma di compensazione; l'emendamento Servodio 6.13, che amplia fino alla parentela di terzo grado l'esenzione dall'imposta di successione per i cespiti costituenti azienda agricola; l'emendamento Mantini 47.1, che modifica parzialmente la copertura prevista dall'articolo 47-bis in materia di superalcolici introducendo una copertura in materia di prelievo sul gioco del lotto a cui non sono ascrivibili corrispondenti effetti finanziari.
La Presidenza si riserva di comunicare ulteriori inammissibilità nel prosieguo della seduta.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Ravetto. Ne ha facoltà.
LAURA RAVETTO. Signor Presidente, i primi cento giorni di discussione di questa manovra hanno dimostrato un vero e proprio dilettantismo, da parte della maggioranza. Questa maggioranza, con questo decreto, partendo dal documento programmatico, ha creato una sorta di schizofrenia legislativa, una vera Babele normativa. È stato disorientato il mercato, sono stati disorientati i cittadini e, probabilmente, è stata disorientata la stessa maggioranza. È recente la notizia secondo cui un autorevole esponente di questa maggioranza, l'onorevole Castagnetti, ha detto che, probabilmente, la manovra poteva essere di 25 miliardi e non di 40. Noi ci siamo trovati di fronte a numeri che hanno oscillato da 33,9 miliardi a 34,7 miliardi, fino agli attuali 40 miliardi, considerati gli effetti della sentenza sulla non detraibilità dell'IVA. Noi, fin dall'inizio, avevamo detto che erano sufficienti 15 miliardi per riportare il rapporto deficit/PIL negli standard comunitari. Oggi, ci sentiamo dire da questa stessa maggioranza che forse si era sbagliata e che era sufficiente, forse, una manovra di 25 miliardi. Se questa non è schizofrenia, se questo non è dilettantismo, non riesco a trovare altri termini.
Lo stesso Presidente della Repubblica è stato costretto a convocare il Presidente del Consiglio e il ministro dell'economia per chiedergli se la manovra attualmente in discussione somigli, anche solo vagamente, a quella che è stata da lui sottoscritta.
Quindi, parlare oggi sul complesso degli emendamenti è quanto mai difficile, perché sappiamo tutti che questo decreto è ancora in corso di riscrittura e che è stato cambiato, in modo brutale, sin dall'inizio.
Infatti, nel decreto-legge in esame sono stati introdotti alcuni elementi, poi eliminati senza neppure essere discussi; il testo è stato ulteriormente modificato, a seguito delle proteste della Casa delle libertà, e probabilmente ci troveremo a doverlo rivedere ancora in una versione definitiva differente rispetto a quella discussa nelle Commissioni.
Facciamo alcuni esempi: avevate introdotto nel decreto-legge il divieto di vendita di alcolici e superalcolici ai minorenni, divieto che è stato poi eliminato; avevate previsto un sistema di imposte di registro sugli immobili che, grazie all'intervento nelle Commissioni (che ha smascherato il fatto che si trattasse di una formula per introdurre l'imposta di successione), è stato ancora modificato. A tale proposito, l'articolo 6 è stato modificato, anche se in un senso che non ci soddisfa, perché temiamo che, indipendentemente dagli esoneri, la tassa di successione torni ad essere reintrodotta con tale decreto-legge, disattendendo oltretutto anche le promesse elettorali. Ricordiamo il ministro Rutelli quando affermava che mai e poi mai sarebbe stata reintrodotta tale tassa, che per noi è assolutamente anacronistica e iniqua, che va a tassare redditi già tassati e che soprattutto, indipendentemente dal fatto che colpisce gli immobili, colpisce anche il cardine della nostra economia, cioè l'impresa familiare. Riteniamo che sia una beffa parlare prima di sostegno aiPag. 3giovani, alle imprese, ai giovani imprenditori per poi costringere il giovane imprenditore a pagare una tassa su un'impresa che lui stesso ha contribuito a costruire durante la vita del padre.
Tale modifica legislativa, passata al vaglio e modificata almeno quattro o cinque volte, e che ancora non ci trova soddisfatti, è soltanto un esempio di quello che abbiamo vissuto in queste ultime giornate, cioè una assoluta incertezza, che non è stata percepita soltanto da noi, colleghi, o dai cittadini, ma anche dai mercati; tale incertezza è quello che porta agenzie come Standard & Poor's a dirci che la manovra nel suo complesso rende l'Italia un paese non credibile, sicuramente in futuro meno solvibile, e a cui verranno richiesti maggiori interessi quando si tratterà di emettere bond, perché si dice che si stanno tradendo le promesse fatte nel Documento di programmazione economico-finanziaria, di fatto reintroducendo un indebitamento mascherato mediante il congelamento del trattamento di fine rapporto. Tutte queste sono cose che andremo a «pagare» nei prossimi giorni, quando verificheremo che, a causa di tale comportamento schizofrenico, l'investimento di capitali esteri nel nostro paese sarà sicuramente diminuito.
E mi vengono anche dei dubbi. Di fronte a quelle critiche, mosse dal mercato e dagli operatori, non vorrei che ci vedessimo costretti - come leggo che i nostri ministri hanno detto in questi giorni: attenzione, perché noi intendevamo fare soltanto una legge di bilancio e poi adotteremo provvedimenti ordinamentali e in seguito le liberalizzazioni - a fare una manovra correttiva in primavera! Considerato che avevamo sentito parlare il ministro dell'economia di una nuova dottrina delle liberalizzazioni, visto che di liberalizzazioni nel testo in esame non ne abbiamo viste e che oggi ci viene detto che delle liberalizzazioni se ne parlerà successivamente poiché se ne dovrà parlare in modo serio (come se la discussione della legge finanziaria non fosse una sede seria), non vorrei che ci trovassimo di fronte ad una manovra diversa, magari - lo ripeto - verso la prossima primavera.
Riguardo al complesso degli emendamenti da noi presentati, vorrei dire che essi sono stati fortemente critici, orientati alla soppressione (un esempio è riferibile all'articolo 6): qualcosa si è riusciti ad ottenere, anche se non è tutto quello che avremmo voluto. Abbiamo insistito anche a proposito della eliminazione di norme assurde ed inique, come ad esempio quelle che vanno a colpire gli italiani che operano all'estero, imponendo loro pagamenti di tasse che li renderanno meno concorrenziali rispetto ai loro concorrenti stranieri. Abbiamo insistito su una diminuzione generale della pressione fiscale che, comunque, proviene da molte norme inserite in questo decreto. Abbiamo insistito e insisteremo per la soppressione di misure ridicole, quale l'aumento del 10 per cento delle sanzioni pecuniarie per le dichiarazioni infedeli. Non si capisce perché si debba sanzionare il cittadino laddove non è in grado di orientarsi in questa burocrazia assolutamente incomprensibile in riferimento alla dichiarazione dei redditi e non si persegua, invece, lo Stato quando sbaglia nei confronti del cittadino. Abbiamo, quindi, in generale, mosso delle osservazioni di natura soppressiva.
Abbiamo anche contestato la manovra nel complesso. Se, infatti, la giustificazione di questa pressione fiscale aumentata di due punti percentuali - è ciò che è accaduto - sta nella volontà di una redistribuzione fiscale, così come ci è stato spiegato dalla maggioranza, dimostratelo!
Al riguardo, vi sono state discussioni in Commissione, ma ciò che poi si evince, in realtà, è che, a seguito dell'applicazione del decreto e della finanziaria nel suo complesso, si avrà un gettito di 900 milioni di IRPEF in più: non capiamo dove stia la redistribuzione fiscale! Troviamo, anzi, che ciò sia la chiara dimostrazione del fatto che siamo di fronte ad un mero inasprimento delle tasse. Abbiamo fatto delle simulazioni sugli effetti di questo decreto sulle società, indipendentementePag. 4dalla tassazione del trasferimento societario, e abbiamo verificato che nelle società di capitali con un reddito medio annuale di 100 mila euro, con sei dipendenti (quindi, con un pagamento di stipendi pari a circa 220 mila euro), tra tutte le tasse introdotte in questo decreto e tutti gli inasprimenti previsti nella finanziaria, di fatto, un socio al cento per cento non potrà avere un utile superiore a ventimila euro. Attenzione: parliamo di persone che se poi vogliono garantirsi un trattamento sanitario adeguato, se vogliono garantire ai figli delle integrazioni di natura culturale o scolastica, devono pagare tutto da sole. Quindi, parliamo, in sostanza, di privare il cittadino della liquidità utile e assolutamente necessaria per condurre una vita dignitosa.
D'altro canto, in questo decreto abbiamo visto norme di natura prettamente fiscale e non economica: manca totalmente la visione economica. Non si parla di liberalizzazioni.
In questo decreto, ci sono due articoli relativi alle Poste e alle Ferrovie dove, effettivamente, vi è un timido accenno alla dismissione di immobili, senza poi, peraltro, spiegare come questa verrà realizzata né come il frutto o i proventi di tali dismissioni verranno utilizzati. A nostro avviso, sarebbe servito un atto di coraggio da questo punto di vista.
Inoltre, non c'è una norma specifica dedicata soltanto allo sviluppo. Questo è un decreto omnibus, che non riusciamo a collegare alla manovra finanziaria, semplicemente di natura puramente fiscale e di inasprimento di tasse, che dovrebbe essere collegato ad un progetto di sviluppo che non vediamo: questo è un decreto che appare più semplicemente come un insieme di norme volte a sparare nel mucchio, a tassare dove si può, a fare cassa sulle disponibilità dei cittadini.
La mancanza di liberalizzazioni, di indicazioni per la liberazione di risorse per lo sviluppo economico ci porta ritenere quanto già detto. Riteniamo, insomma, che sarebbe servita una manovra economica in grado prima di liberare le risorse per poi, eventualmente, intervenire su queste ultime con una tassazione. Non si può intervenire aprioristicamente tassando quando le risorse non sono liberate. Ciò determinerà sicuramente una paralisi del mercato.
Ci è stato detto che, di fatto, questo decreto, associato alla manovra finanziaria, non soltanto sosterrà lo sviluppo ma, in qualche modo, creerà una più equa allocazione di risorse anche sul territorio. In realtà, è facilmente dimostrabile che questo decreto, da una parte, tassa il cittadino e, dall'altra, sottrae risorse al territorio, salvo poi porre quelle condizioni per un successivo inasprimento delle tasse nei confronti del cittadino.
Mi riferisco all'addizionale IRPEF, all'ICI e alle misure che, a nostro avviso, i comuni e le regioni saranno costretti a porre in essere. Anche per questo, abbiamo presentato, e presenteremo, alcuni emendamenti. Sia in questo decreto-legge, sia nella vera e propria manovra finanziaria, mancano fondi per la modernizzazione del paese e per le infrastrutture, e sono state tagliate completamente le spese per la ricerca. Ed anche da parte del vostro ministro abbiamo ascoltato le critiche in tal senso, perché centocinquanta milioni sono stati sottratti alla ricerca. Già abbiamo detto delle sanzioni per l'infedeltà nella dichiarazione dei redditi da parte del cittadino. Inoltre, sono state introdotte misure che tendono a inasprire i contributi che dovranno essere versati da parte degli apprendisti. Ci auguriamo che queste norme, anche grazie alla nostra opposizione, siano modificate. Insomma, mi trovo in difficoltà a parlare sul complesso degli emendamenti ad un testo i cui subemendamenti stiamo ancora discutendo, che ancora non sappiamo come sarà definito e del quale ancora non disponiamo in modo completo.
Sulla base di questo testo, sono state effettuate facili mistificazioni. Ho sentito dire, in questi giorni, che finalmente sarà riportata l'equità nella società e che i gioiellieri sono tutti ricchi. Questo mi fa sorridere: non si tratta soltanto di dilettantismo ma mi sembra che in questaPag. 5affermazione ci sia anche una certa estraneità rispetto al mercato. È chiaro, infatti, che il gioielliere è un commerciante come gli altri e non è ricco solo perché il valore del prodotto che commercializza è importante. Il problema è il ricarico e non il valore del bene in sé considerato. È come se si affermasse che i benzinai sono miliardari perché commercializzano petrolio.
A me sembra che questa manovra sia priva di visione e che penalizzi in modo netto alcune classi la cui unica colpa, di fatto, è quella di essere state vicine al nostro schieramento politico. Tra l'altro, non reca beneficio alle classi meno abbienti perché - torno a ripetere - la pressione fiscale aumenta per tutti del 2 per cento e perché l'eventuale aumento dell'ICI da parte degli enti locali vi sarà per tutti, dato che l'80 per cento degli italiani è proprietario di una casa. Anche la tassa di successione sull'impresa familiare riguarderà quasi tutti, poiché il 90,7 per cento delle imprese, in Italia, è di questa natura.
Concludo, insistendo sulla necessità di sopprimere norme che sono non soltanto inique, ma anche irrazionali. Non capiamo, infatti, quale beneficio possano apportare al paese dato che non ridistribuiscono risorse, non ristabiliscono equità fiscale, non creano sviluppo, non liberano risorse e, probabilmente, le tolgono al mercato per ridarle alla politica. Noi crediamo che questo sia anacronistico poiché il trend mondiale è esattamente in senso contrario, cioè nel senso di togliere denaro alla politica per ridarlo al mercato, di tassare il meno possibile i cittadini per consentire la circolazione di liquidità e di ripristinare rapporti di fedeltà con i contribuenti, tassando meno, ampliando lo spettro della detrazione e, senza dubbio, non aumentando le tasse (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Berruti. Ne ha facoltà.
MASSIMO MARIA BERRUTI. Signor Presidente, già nel decreto-legge noto come Visco-Bersani furono introdotte misure di non poco conto che, in qualche maniera, sono rinforzate da questo nuovo provvedimento. Come è a tutti noto, è stato reintrodotto l'obbligo di presentazione degli elenchi dei clienti e dei fornitori. Tale obbligo, è bene ricordarlo, era stato precedentemente soppresso, con tanto di consenso dell'amministrazione finanziaria, perché fu ritenuto, allora, di dubbia utilità. È stata attuata l'anagrafe dei conti bancari, sono stati inaspriti gli obblighi contabili a carico dei professionisti, sono stati introdotti nuovi adempimenti in occasione della compravendita degli immobili - come tutti sanno - e sono stati assegnati nuovi poteri alle agenzie delle entrate ed agli agenti della riscossione. Inoltre, sono state richieste specifiche segnalazioni a carico delle società di assicurazione e dei calciatori professionisti.
Sono state anticipate la date per la presentazione della dichiarazione dei redditi e condizionate ad accertamenti le attribuzioni dei numeri di partita IVA. Infine, sono stati telematizzati obbligatoriamente i pagamenti delle imposte.
Come se ciò non bastasse, arriva un nuovo decreto in nome della lotta all'evasione. Tale lotta non può che trovare consensi anche da questa parte politica, a condizione, però, che si sappia come si intende condurla e che il fine non giustifichi altri e non sempre chiari intendimenti, cosa che - se permettete - purtroppo ci viene in mente nel vedere il metodo punitivo e quasi vendicativo di questo provvedimento. Il problema, comunque, astenendoci da ogni possibilità di retropensiero, va affrontato in termini di efficienza, di efficacia e di economicità tenendo presente, da una parte, il principio costituzionale del buon andamento e dell'imparzialità dell'amministrazione pubblica e, dall'altra, gli oneri scaricati sui contribuenti.
Tra gli emendamenti presentati al decreto-legge in esame vi sono nuove procedure per la trasmissione telematica di dati relativi a prodotti soggetti ad accise; ulteriore acquisizione di contratti di prestazioniPag. 6professionali degli atleti professionisti e dei pagamenti effettuati dalle assicurazioni a titolo di risarcimento di danni; accollo integrale a carico dei contribuenti degli oneri di riscossione; estensione dei poteri tipici della polizia tributaria agli agenti della riscossione; obbligo a carico delle pubbliche amministrazioni e delle società a prevalente partecipazione pubblica di non effettuare pagamenti nei confronti di soggetti che abbiano carichi tributari. Altri oneri si trovano, poi, nel disegno di legge finanziaria che ci apprestiamo a valutare. A titolo di esempio, vorrei citare alcune acquisizioni di dati e documenti e l'attribuzione di funzioni di sostituto d'imposta ai condomini, tanto per rendere loro la vita più facile visto che dovranno occuparsi di una contabilità ben più importante di quella che fino ad oggi avevano dovuto mantenere.
Veniamo agli emendamenti presentati dal Governo e dal relatore, su richiesta del Governo, al provvedimento in esame. All'articolo 1, il Governo propone l'abrogazione del comma 7. Si tratta dell'abrogazione dell'acquisizione di tutti i contratti di una categoria di contribuenti. Credo non si possa assolutamente ammettere che una legge metta una categoria alla gogna e che vengano violate le libertà fondamentali alla base dell'attività economica, a prescindere dall'esistenza di gravi elementi di sospetto che possono sicuramente essere giustificati, ma solo per singoli contribuenti e non certo per masse di contribuenti. Con un altro emendamento del Governo si propone l'abrogazione del comma 8 dell'articolo 1, con riferimento all'applicazione delle sanzioni accessorie che impediscono l'attività nei confronti dei soggetti che hanno l'obbligo di emettere la ricevuta o lo scontrino fiscale. Tali sanzioni verrebbero ora applicate anche in presenza di una singola violazione, mentre con la precedente normativa ne occorrevano almeno tre. È bene ricordare che sanzioni contro la prosecuzione dell'attività economica incidono anche sull'occupazione, e gli inasprimenti, quindi, appaiono sicuramente inopportuni. Con un altro emendamento del Governo, riferito all'articolo 1, si propone l'abrogazione dei commi 14, 15, 16, 17, 18 e 19. I commi di cui si propone l'abrogazione riguardano il presunto rafforzamento dei poteri di accertamento ma, soprattutto, il reperimento di risorse finanziarie per il pagamento dei premi di consulenze anche in funzione della riforma dell'amministrazione finanziaria.
Poiché le disposizioni per incidere sull'accertamento e sulla nuova organizzazione sono disseminate nei vari provvedimenti (il cosiddetto decreto Visco-Bersani, il disegno di legge finanziaria e il decreto-legge in esame), è necessario che tutte le norme abrogate siano riproposte in un apposito disegno di legge delega, allorché sarà chiarito il disegno generale del Governo, che oggi è del tutto confuso.
Con un altro emendamento del Governo, riferito all'articolo 2, si chiede l'abrogazione del comma 3. Con questa norma si propone di abrogare a carico dei contribuenti gli oneri di riscossione. L'attività di riscossione coattiva, attraverso i complessi meccanismi del ruolo e delle procedure relative, risponde ad un'esigenza della pubblica amministrazione, che non può essere ribaltata a carico del contribuente, per giunta sulla base di tariffe che sono state autonomamente determinate.
Ancora, con un altro emendamento del Governo si propone l'abrogazione del comma 7 dell'articolo 2. Con questa norma si tende ad estendere agli agenti della riscossione gli stessi poteri dati alla polizia tributaria, in base alla considerazione che, ormai, tutta la riscossione è in mano pubblica, dato che Riscossione Spa è al 100 per cento di proprietà dello Stato. Ora, la giustificazione è assolutamente inammissibile, non solo perché i poteri di indagine non possono essere trasferiti a tutte le fasi dell'azione amministrativa, per il principio della salvaguardia delle libertà individuali, ma anche perché una società per azioni non è pubblica amministrazione e, quindi, i suoi dipendenti non possono offrire le garanzie che, solitamente, provengono dai più rigorosi criteri di selezione.Pag. 7
Inoltre, sempre con un emendamento del relatore riferito all'articolo 2, si chiede l'abrogazione del comma 8. Con la norma di cui si chiede l'abrogazione si intende legittimare l'inadempimento della pubblica amministrazione e delle società a prevalente capitale pubblico nei confronti dei contribuenti che non sono in regola con i pagamenti delle imposte. Anche questa - come si capisce benissimo - è una norma che influisce sulla vita delle imprese ed appare fortemente irrazionale, perché in molti casi il mancato pagamento delle imposte dipende proprio dai ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni.
Ancora, con riguardo all'articolo 2, si propone l'abrogazione dei commi 15 e 16, sempre da parte del Governo. La norma di cui si propone l'abrogazione tende a portare nell'ambito della riscossione dei tributi anche i contributi sindacali. All'articolo 5, comma 7, sono inserite le seguenti: è pari al maggior gettito derivante agli stessi comuni dalle addizionali comunali per effetto delle nuove aliquote applicabili a decorrere dall'anno 2007.
Si tratta di modificare una norma che incentiverebbe i comuni ad inasprire a livelli inauditi la loro (permettetemi di dire) voracità. In sostanza, con le nuove disposizioni sull'accatastamento dei porti, degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie, i comuni, che prima non potevano accedere con l'ICI a tali aree (lo leggiamo per la prima volta nel testo di una legge finanziaria), potranno farlo, godendo di fortissimi aumenti.
Poiché nella legge finanziaria non sono previsti sostanziali aumenti delle addizionali comunali, per evitare che i contribuenti dei comuni interessati dalla riforma del catasto siano colpiti in maniera troppo grave, riteniamo che sarebbe opportuno, almeno, introdurre una modifica che disincentivi il comune ad esercitare pressioni eccessive. Non avete voluto mettere un tetto all'imposizione che può essere disposta dai sindaci. Sono quegli stessi sindaci dell'Unione che sono scesi in piazza per lamentarsi, dolendosi di quanto fosse stato loro tolto, non hanno però detto che, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, potranno accedere, applicando l'ICI, ad aree aeroportuali, a porti ed a stazioni ferroviarie, traendone un grandissimo beneficio.
Infine, si chiede, sempre da parte del Governo, l'abrogazione dell'articolo 6. Bene, si chiede l'abrogazione di un articolo e si tende quindi a mantenere in vita l'attuale regime delle donazioni e successioni? Si chiede l'abrogazione dell'attuale regime delle donazioni e successioni e, quindi, tra l'altro, la circolazione delle aziende all'interno delle famiglie senza oneri fiscali. L'abrogazione, quindi, risponde ad esigenze di carattere sociale, per non indebolire l'apparato produttivo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gioacchino Alfano. Ne ha facoltà.
GIOACCHINO ALFANO. Signor Presidente, colleghi, ci troviamo ad esaminare il complesso degli emendamenti, una fase indispensabile per migliorare il testo. Per dare maggior valore alle richieste di modifica presentate dagli esponenti dell'opposizione, sia nelle Commissioni sia, qui, in Assemblea, è utile ed opportuno fare un riassunto di quanto avvenuto nelle Commissioni di merito.
Il provvedimento è stato assegnato alle Commissioni riunite V e VI, a conferma del fatto che conteneva, e contiene tuttora, troppe questioni che devono essere ancora risolte. È sufficiente pensare al controsenso presente nel provvedimento. Da una parte, si affrontano le questioni, specialmente per quanto riguarda il settore delle entrate, e dall'altra si rinvia a provvedimenti successivi. La prima richiesta di modifica che ritengo debba essere accolto dal Governo è togliere dal provvedimento quelle norme che non hanno un effetto immediato. Il decreto-legge nasce con urgenza e questa è la base su cui si è costruita la manovra finanziaria.
Un altro elemento utile per dare maggior valore alle richieste di modifica è il fatto che i novanta parlamentari dellePag. 8Commissioni riunite (non è stata utilizzata solo una Commissione per esaminare il provvedimento) hanno avuto a disposizione soltanto otto giorni per valutare le questioni poste. Se consideriamo anche i pareri forniti dalle Commissioni in sede consultiva, è evidente che sia opinione diffusa la necessità di accogliere alcune modifiche. Ad esempio, le Commissioni I, X, XI e XIII hanno fornito un parere con osservazioni e le Commissioni VII, VIII, IX e XIV hanno dato un parere con condizioni. Non parlo, poi, delle audizioni effettuate in questi giorni.
Se le Commissioni riunite hanno svolto un lavoro intenso (su ciò dobbiamo essere d'accordo tutti), la fase attuale è l'occasione buona per recuperare alcune questioni, senza essere troppo generici (ho ascoltato diversi interventi e, sulla stampa, ho letto articoli con riflessioni troppo generiche), né è utile scendere troppo nel dettaglio.
Quando valuteremo emendamento per emendamento, sarà più interessante approfondire le questioni. Quindi, in questa fase, cioè sul complesso degli emendamenti, tentiamo di esprimere le nostre preoccupazioni.
In primo luogo, si tratta di un provvedimento che dimostra una politica fiscale inefficace perché si basa sull'aumento degli adempimenti per i contribuenti. In effetti, alcuni imprenditori, quelli che pagano le tasse, i professionisti, si vedono addossare una serie di adempimenti per loro inutili e, quindi, si cerca di combattere l'evasione fiscale utilizzando uno strumento che è addirittura controproducente. La preoccupazione è che bisogna semplificare gli adempimenti ed utilizzare la politica degli accertamenti come attività autonoma e, in questo senso, ci sono diversi adempimenti.
Nel calcolo dell'entrata c'è poi la tecnica - che sicuramente si rivelerà inefficace - della moltiplicazione matematica irreale. Per esempio, per le autovetture acquistate all'estero, con lo spirito dell'evasione dell'IVA, viene calcolata l'imposta dell'IVA se vengono acquistate in Italia. Inoltre, sussiste la questione centrale del provvedimento - che noi contestiamo ma che, poi, è anche strategica -, quella delle successioni. Dichiariamo la non disponibilità a riproporre questo metodo di accertamento di valutazione delle ricchezze, e in questa fase chiediamo al Governo di approvare gli emendamenti che tendono a far diventare l'imposta di successione almeno efficace, anche se siamo contrari. Infatti, l'imposta tende a tassare patrimoni identici in situazioni differenti, proprio perché bisogna complicare il sistema. Tale scelta sicuramente aumenterà le tendenze all'evasione perché, ad esempio, un soggetto che riesce a realizzare una certa ricchezza personale, la vede tassata diversamente a seconda che il bene lo metta nella sua azienda o se lo tenga personalmente. Quindi, ritorniamo ad una tecnica di imposizione che non solo è inefficace, ma che non porta un vantaggio per lo Stato. Viste le richieste che abbiamo esaminato in Commissione, per non rendere vano il lavoro che abbiamo svolto - ripeto, abbiamo lavorato intensamente in Commissione anche insieme al Governo -, bisognerebbe riproporre le questioni che più volte abbiamo enunciato e che sono riportate nello statuto del contribuente.
Per quanto riguarda lo statuto del contribuente, che sembrerebbe una dichiarazione astratta, sono due i principi che dobbiamo riprendere da questo strumento indispensabile per l'azione di prevenzione e repressione nei confronti del contribuente. Uno è la retroattività: bisogna, una volta per tutte, fare in modo che le norme fiscali non siano retroattive. Sicuramente, si è fatto uno sforzo, ma bisogna immaginare che, per esempio, le aliquote IRPEF devono essere applicate su esercizi successivi a quello della loro individuazione e, quindi, la cosa fondamentale è rendere i provvedimenti non retroattivi.
Signor Presidente, oltre a questo, il tema più importante è rendere efficaci le norme dopo la loro approvazione. L'Italia si sta lamentando non solo per le questioni di merito, non solo per l'effetto che queste norme stanno producendo sui loro comportamenti,Pag. 9ma perché ciò accade subito, addirittura durante l'esame del provvedimento. Questo è un fatto gravissimo, che è stato contestato diverse volte. In campagna elettorale - l'ho detto più volte ai colleghi di maggioranza - tale questione è stata più volte sollecitata e criticata, e loro con i primi provvedimenti emanati hanno riproposto la questione. In altre parole, il decreto-legge viene emanato, pubblicato ed ha effetto; poi alla Camera viene modificato e tali modifiche hanno effetto: quindi, abbiamo contribuenti che in questi giorni si trovano a che fare con norme che non sono applicabili. Allora, ritengo che, aldilà delle questioni di merito - poi valuteremo emendamento per emendamento -, questioni che riteniamo sbagliate per l'obiettivo che si prefiggono, sussiste il problema base dell'effetto, dell'efficacia di un provvedimento. Quindi, il Governo potrebbe fare questo sforzo, riprendendo gli emendamenti che tendono a fare in modo che le norme siano vigenti almeno a partire dal 2007, anche perché quello è l'effetto che si vuole raggiungere.
In effetti, questo decreto deve reperire nel 2007 le risorse che servono a mantenere la legge finanziaria. Quindi, non ha senso fare in modo che alcune norme siano rese immediatamente vigenti (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Verro. Ne ha facoltà.
ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO. Signor Presidente, il provvedimento oggetto del nostro dibattito è fortemente connotato da un'impostazione ideologica; infatti, reca norme eterogenee, ma, soprattutto, è molto spesso in contraddizione rispetto agli obiettivi di equità e di sviluppo che con tanta enfasi sono stati annunciati al momento dell'approvazione del Documento di programmazione economico-finanziaria. Ingannando, anzi continuando ad ingannare così il paese, state perseguendo la politica dei due tempi: chiedete sacrifici - e che sacrifici! - oggi, e promettete crescita e riforme domani.
È la stessa tattica che avete usato in campagna elettorale, quando promettevate: non aumenteremo le tasse e realizzeremo il nostro - corposo: ricordo che si trattava di 281 pagine - programma elettorale.
Gli italiani hanno visto come avete mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale.
Ed è ancora la stessa tattica usata con il Documento di programmazione economico-finanziaria con il quale vi impegnate ad avviare subito riforme, liberalizzazioni ed interventi volti al contenimento della spesa pubblica; ricordo ancora i quattro capitoli indicati dal ministro Padoa Schioppa: sanità, previdenza, enti locali, pubblico impiego. In realtà, la sola liberalizzazione che vi è riuscita è quella delle tasse: chiunque può mettere tributi, di scopo, di soggiorni, addizionali, sulla casa, di successione.
Con il provvedimento oggi al nostro esame, e con la finanziaria che esamineremo nei prossimi giorni, la situazione è radicalmente cambiata; la realtà ha tradito quanto promesso in campagna elettorale. Non potete più negare che questa è una manovra basata per due terzi sulle entrate; in verità, avete provato a negarlo contestando le nostre ripetute denunce in tal senso in sede di Commissione. Poi, di fronte agli stessi rilievi avanzati dal Governatore della Banca d'Italia ed alla Corte dei conti, non potendo più negare l'evidenza, siete stati costretti ad ammettere che questa manovra aumenta - e aggiungo: sensibilmente - il carico fiscale. Dichiara The Economist (stampa estera a voi notoriamente amica): questa finanziaria aumenta le tasse sui redditi, non taglia le spese e comprime una crescita già bassa.
Ancora una volta, dunque, ricorrete alla politica dei due tempi; infatti, mentre riconoscete che oggi aumentate la pressione fiscale, dichiarate, però, che domani farete tutte le riforme fondamentali per lo sviluppo economico di questo paese. Ed è proprio sulla mancanza di tali riforme strutturali, oltre che sull'inconsistente interventoPag. 10sul versante del cosiddetto «taglia-spese», che si è basato il declassamento del rating.
Voi non potete procedere sulla strada delle liberalizzazioni e delle riforme strutturali; il segretario di Rifondazione Comunista, quando si comincia a parlare di tali argomenti, dichiara: non ci faremo mettere all'angolo; questi continui richiami al riformismo rischiano di entrare in una pericolosa sintonia con quegli industriali che provano a condizionare la nostra politica economica e sociale.
Come se ciò non bastasse, il ministro Ferrero, che già votò contro il DPEF giudicato troppo riformista, indulgente con chi occupa abusivamente le case e prodigo sui permessi ai clandestini, dichiara: se toccate le pensioni, è sciopero; a piangere siano i ricchi; la manovra va spalmata in due anni, anzi meglio in un secolo.
Io ritengo che in nessun paese civile è presente, nella maggioranza, un partito che mette manifesti perché sente il bisogno di far piangere i ricchi.
Insomma, Fassino chiede modifiche, Rutelli vuole frenare la sinistra massimalista e rilanciare l'asse riformista, Di Pietro è concentrato esclusivamente nell'opera di demolizione delle concessioni autostradali; questa manovra è, dunque, figlia solo di Prodi, che è sempre più debole e solo nel definirla giusta e seria.
Come dicevo all'inizio, il provvedimento reca numerose disposizioni di inasprimento fiscale che sono state, e saranno ancora di più, dibattute ed analizzate; io però vorrei un attimo soffermarmi su quella parte di tassazione aggiuntiva, recata dal provvedimento, che deriva dall'intensificazione del regime dei controlli e degli accertamenti fiscali. Si tratta di un'intensificazione di attività da cui non deriva solo una quota delle maggiori entrate ascritte al decreto-legge, bensì la quasi totalità delle stesse. Si tratta, infatti, di ben quattro miliardi 360 milioni solo per il 2007, cioè poco meno del 70 per cento della complessiva, per così dire, dote finanziaria che il decreto-legge porta a copertura della manovra finanziaria. Analoga strategia è presente nella finanziaria dove, dal potenziamento degli studi di settore, si attende un maggiore gettito di 3 miliardi 300 milioni di euro (anche in tal caso, solo per il 2007). Insomma, in modo silenzioso, e a mio modo di vedere anche poco trasparente, ci si attende un gettito di circa 7 miliardi 600 milioni di euro ovvero mezzo punto di PIL. Cosa dobbiamo aspettarci: un'intensificazione dell'ordinaria attività fiscale o una vera e propria vessazione? Io credo che, conoscendo Visco, gli italiani non abbiano di che stare tranquilli.
La lotta all'evasione fiscale ed il rispetto delle libertà personali sono entrambi valori fondamentali in una democrazia. È in ogni caso indispensabile un equilibrio nel quale nessuno dei due valori può prevaricare l'altro. Con questo decreto e, più in generale, con il complesso della manovra finanziaria tale equilibrio si sta rompendo per scivolare lentamente verso una deriva autoritaria. Se volete qualche esempio, nei nuovi studi di settori stanno per essere introdotti gli indicatori di normalità economica e di coerenza. Si tratta di strumenti presuntivi di ricavi, messi a disposizione delle agenzie delle entrate. Inoltre, per i lavoratori autonomi e per i professionisti scompare la moneta. Si complica così la vita a tutti senza alcun beneficio per il consumatore. Avete introdotto l'obbligo di trasmettere alle agenzie delle entrate l'elenco dei clienti e dei fornitori, nonché delle relative operazioni finanziarie. Ma non è solo questo, perché gli uffici possono chiedere a ciascun contribuente notizie su soggetti terzi. Diventeremo tutti delatori. Se una pubblica amministrazione deve pagare una fornitura o un servizio ricevuto, del valore di oltre 10 mila euro, deve accertare che il suo fornitore non abbia un debito con lo Stato. Se lo avesse, non dovrebbe pagare, ma intanto la pubblica amministrazione si è presa la fornitura o il servizio.
Queste modalità di lotta all'evasione sono pericolose per la libertà di ciascuno di noi. I poteri degli uffici saranno sempre più vessatori e crescerà la tentazione di un controllo politico sulle persone. VedremoPag. 11quali risultati riuscirete ad ottenere; io ho la sensazione che i risultati attesi dall'attività accertatrice degli uffici siano poco credibili e che, in assenza di un maggior gettito atteso, dovrete finanziarie in deficit gli eventuali interventi per lo sviluppo. Intanto, le novità di Visco, contenute nel decreto Bersani, hanno già prodotto 145 pagine di circolari applicative, ovviamente tutte invasive.
Gli obiettivi di questa manovra non sono il maggior gettito e la crescita, bensì la diretta ed immediata redistribuzione sociale, togliendo, tramite il fisco, a chi ha di più. Insomma, alla base di questa manovra vi è un sentimento politico, un'idea della società che antepone il tema della redistribuzione a quello dello sviluppo. È pura politica, non economia. È politica di chi, orfano del comunismo, ricorre alle alte aliquote per celebrare la centralizzazione dello Stato e la sottomissione ad esso. Così intanto i capitali stanno fuggendo via e sono sempre di più i nostri imprenditori che delocalizzano le loro imprese.
Avete ripristinato una visione classista e conflittuale, vessando preventivamente il ceto medio produttivo e definendolo così come classe sociale nemica. Questo vuol dire demonizzare chi crea ricchezza e lavoro e determinare una politica scellerata che contrappone classi e Stato. Non si tratta più di una questione di destra o di sinistra, ma di evitare un conflitto ed accompagnare il sistema produttivo a far crescere il nostro paese. In questa direzione ed a questa linea politica si ispirano i nostri emendamenti, ed un Governo che nei fatti tiene a cuore il futuro del nostro paese dovrebbe senza pregiudizi preferire l'unica strada possibile, ovvero quella di una manovra che diminuisca le inefficienze, riduca la pressione fiscale, colpisca i privilegi ed abbatta gli sprechi della spesa pubblica improduttiva per restare all'interno dei conti che da noi pretende l'Italia. Tuttavia, temo che la nostra speranza e quella di tutto il paese andrà delusa (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Marras. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARRAS. Signor Presidente, signor sottosegretario, non siamo di fronte ad una sola manovra bensì a tre. Dovendo entrare nel merito degli emendamenti, vorrei descrivere il percorso iniziato con il decreto Bersani-Visco, che prosegue con il decreto fiscale per poi concludersi con il disegno di legge finanziaria, ovvero provvedimenti tra di loro obbligatoriamente collegati.
Quello che salta maggiormente agli occhi della minoranza è il non aver voluto correggere una manovra, partita con una cifra intorno ai 40 miliardi, senza tenere conto che l'ISTAT ha dato cifre diverse, con un rapporto deficit-PIL al 4,6 per cento, diventato poi un 2,9 per cento, mantenendola di fatto assolutamente inalterata. Pur avendo istituito una commissione, presieduta da Faini, che ha lavorato per tirare fuori questi numeri, non si è tenuto conto di una più corposa diminuzione delle uscite, pari a 13 miliardi di euro, con un miglioramento della spesa corrente del 10 per cento. Ciononostante, ci si è prestati ad una brutta figura proseguendo con una finanziaria piena di tasse.
La connessione del decreto-legge n. 262 del 2006 con la manovra finanziaria anticipa numerose disposizioni; il decreto non fa altro che ripercorrere la strada del decreto-legge n. 223 del giugno 2006, una stretta fiscale generalizzata consistente nell'aumento di talune imposte, nell'incremento dei controlli e degli adempimenti, nell'irrigidimento delle procedure, nel crescente numero degli ostacoli burocratici posti ai cittadini e alle imprese.
Il prospetto di copertura allegato alla finanziaria per il 2007 indica che dal decreto-legge ci si attendono maggiori entrate pari a 6,5 miliardi di euro per il 2007, 6,74 miliardi di euro per il 2008 e 6,62 miliardi per il 2009. Per contro, in base all'articolo 47 del decreto-legge, sorgono maggiori spese pari a 27 milioni di euro nel 2006, a 390 nel 2007 ed a 402 nel 2008.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FAUSTO BERTINOTTI (ore 11,10)
GIOVANNI MARRAS. Questi numeri sono stati bocciati dalle agenzie di rating che non credono a questa manovra fiscale. Avete dato le colpe al Governo precedente pur consci e consapevoli che le agenzie di rating avrebbero giudicato la vostra finanziaria irrealizzabile e che le entrate da voi previste sono ipotetiche.
Molti colleghi che mi hanno preceduto sono già entrati nel discorso su alcuni settori, ma per poter parlare realmente di tutti gli articoli di questa finanziaria ci vorrebbero forse tre giorni, perché si tratta di un numero infinito di articoli. Ci sono ben 67 tasse in più in questa vostra manovra fiscale: dovreste spiegare tutto questo agli italiani! Se non lo farete voi lo faremo noi, considerato che alla fine tutti i cittadini italiani pagheranno quelle tasse dal 1o gennaio.
Avete inserito delle norme per salvare i comuni ma con l'altra mano sottraete delle risorse impensabili proprio agli enti locali. Avete pensato bene di ridurre i tagli rendendo contenti i sindaci Dominici, Chiamparino o Veltroni, che alla fine vanno via contenti grazie ad accordi raggiunti nelle stanze segrete e mai nelle aule del Parlamento, che dovrebbero esser le uniche deputate alla risoluzione di questi problemi. Date poi loro la possibilità di aumentare del 25 per cento i tributi riscossi tramite le agenzie di riscossione, vessando i cittadini con cifre incredibili, quasi vi fosse realmente la volontà da parte del singolo di non pagare le tasse (che vorrebbe pagare senza averne la possibilità). Credo vi sia in questo una forte cecità e una conoscenza molto blanda del tessuto sociale e delle piccole e medie imprese.
I commi 12 e 14 dell'articolo 7 riducono l'aliquota d'accisa applicata ai gas di petrolio usati come carburante e al gasolio destinata al medesimo impiego, dispongono in favore degli autotrasportatori il rimborso del maggior onere conseguente all'aumento dell'aliquota dell'accisa. Sempre con riferimento al gasolio, il comma 15 rifinanzia gli interventi di promozione dell'utilizzo del metano e del gas di petrolio per autotrazione, previsti dall'articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 324 del 25 settembre 1997 e successive modifiche, autorizzando a tal fine una spesa di 100 milioni per ciascuno degli anni del triennio 2007-2009.
I commi da 16 a 18 consentono alle regioni di esentare dal pagamento della tassa automobilistica i veicoli a doppia alimentazione, benzina-GPL e benzina-metano, per cinque o sei annualità a seconda che si tratti di veicoli nuovi o convertiti successivamente all'immatricolazione. Si tratta di innovazioni che possono essere corrette - e sono stati presentati emendamenti per correggerle - e che vanno assolutamente corrette, per mille motivi.
Mi permetto di osservare che ci si dimentica sempre di considerare la difficoltà delle imprese che devono operare quotidianamente in alcune regioni. A proposito dei predetti commi, sento di dover difendere la mia Sardegna: avete dimenticato e cancellato dal disegno di legge finanziaria la continuità territoriale delle merci, istituita dal Governo Berlusconi e da questo rifinanziata ogni anno per la Sardegna, per la Sicilia, per Lampedusa e per le isole minori. Voi avete cancellato la misura con grande serenità, proprio come avete fatto con il ponte sullo stretto di Messina (in un altro comma, perché, naturalmente, Fintecna non vi va bene e, in generale, non vi vanno bene le cose fatte in precedenza): è una sorta di gioco al massacro, a non realizzare grandi opere, magari per scegliere di aiutare con grande vigore le grandi imprese di questo paese. L'abbiamo visto ieri sera, quando siete usciti dall'incontro con i sindacati (CGIL CISL e UIL, che sono, a quanto pare, la parte più importante) e con Confindustria, che bada a salvare le grandi imprese, che rispondono ai nomi di FIAT, Merloni e - nuovo ingresso - Technogym. Personalmente, stimo molto quest'ultima, perché si tratta di un'azienda importante: un po' tutti hanno i suoi attrezzi in casa (ora saràPag. 13consentito addirittura, se possibile, di portarli in detrazione). C'è davvero da pensare male. C'è qualcosa che non torna in questo meccanismo.
Ci deve essere sicuramente attenzione verso lo sport, verso i giovani, per favorire una maggiore attività motoria (molti di noi sono una dimostrazione vivente dell'esattezza dell'assunto). Tuttavia, giornate come quella di ieri sono di lutto per l'Italia, non sono certamente giornate in cui ci si può mostrare sorridenti, all'uscita da un incontro, al momento della stretta di mano (come hanno fatto Prodi e Montezemolo). Tutte le aziende con meno di cinquanta dipendenti si troveranno in grande difficoltà: sono le aziende che formano il tessuto produttivo di questo paese. Da qui a breve - ricordatelo - cominceranno i licenziamenti! E voi questo lo sapete! Dicevate di voler togliere ai ricchi per dare molto di più alle classi meno abbienti; state facendo esattamente il contrario! Siete dei Robin Hood alla rovescia!
Credo, quindi, che la manovra vada modificata, approvando gli emendamenti che abbiamo presentato con grande attenzione, a seguito di una concertazione che abbiamo cercato fin dall'inizio dei lavori nelle Commissioni riunite bilancio e finanze: abbiamo cercato il dialogo costantemente! Devo dire che, talvolta, si intravedono alcune aperture, che poi, però, vengono immediatamente bloccate perché arrivano ordini superiori. Purtroppo, lo stato confusionale dell'attuale Governo porta questo o quel ministro a porre veti (ad esempio, a modifiche all'articolo 12, che riguarda l'ANAS, il cui esame nelle Commissioni ha incontrato difficoltà enormi: non c'era intesa nella maggioranza, sebbene ciò bloccasse una manovra considerata così importante).
Anche nell'articolo 4 si nota una concentrazione sulla fiscalità: si vogliono toccare non soltanto i piccoli imprenditori, ma anche il mondo avicolo, già vessato, già in grande difficoltà. Devo dire che, se si ha riguardo ad alcuni punti specifici, c'è veramente da riflettere. Ormai, si arriva a considerare imprenditore agricolo anche chi è sotto i 7 mila euro di volume di affari! Peraltro, a costui si chiede perché ha la casa in campagna: per avere la casa in campagna e per pagare l'ICI ridotta, deve essere conduttore a titolo principale e, quindi, deve svolgere il mestiere di agricoltore. Dimenticate, però, la situazione di alcuni presidenti di regione. Faccio riferimento, ancora una volta, e me ne scuso, alla mia regione, il cui presidente è Soru, un uomo che tutti conoscono. Ebbene, Prodi si ispira a Soru, perché - così ha affermato - vorrebbe che tutte le regioni d'Italia fossero come la Sardegna.
Sono veramente spaventato, perché Soru, mentre Prodi adotta questo provvedimento, ne predispone contemporaneamente un altro, in cui stabilisce che chi è conduttore agricolo in Sardegna deve obbligatoriamente realizzare la casa anche con un appezzamento minimo, ma deve essere agricoltore. Contestualmente, Soru stabilisce che se non ci sono almeno 30 ettari di terreno, non si può attribuire la qualifica di conduttore agricolo. Quindi, c'è qualcosa che non torna e diventa difficile, alla fine, varare un'unica norma nazionale, che faccia capire davvero le intenzioni, indipendentemente dal fatto che si tratti di una regione autonoma. Credo, infatti, che nella programmazione nazionale, in questo gran parlare del sud, che si fa anche in questo provvedimento, si parli sempre di sud assistito. Non si parla, infatti, di sviluppo del sud. Perché non si parla più di sviluppo del Mezzogiorno? Infatti, in questo provvedimento non c'è nulla che parli di sviluppo, e se nulla parla di sviluppo in generale, non può parlarsi nemmeno dell'impegno per il Mezzogiorno.
I commi 2 e 4 dell'articolo 4, prevedono che, a decorrere dal 2007, la richiesta dei contributi agricoli presentata all'Agea e contenente la dichiarazione relativa all'impegno del suolo nelle singole particelle catastali sostituisca la dichiarazione di variante colturale, da rendere al catasto terreni, in base all'articolo 3 del testo unico delle imposte sui redditi. La norma ha l'effetto, secondo la relazione tecnica, di aggiornare il catasto terreni a finiPag. 14IRPEF ed ICI, con maggiori entrate per 95 milioni di euro nel 2007. Questa norma è pericolosa non soltanto per l'agricoltura, ma in generale per tutti i cittadini. Tutti gli amministratori locali, infatti, per compensare la mancanza delle entrate aggiorneranno gli estimi catastali ed aumenteranno l'ICI obbligatoriamente, affinché il «buco» di bilancio - lo dice il provvedimento in discussione - venga colmato con maggiori tasse, sempre pagate dal contribuente. Credo sia un passo veramente pericoloso. Se questa è la vostra politica, per il futuro la vera preoccupazione - personale, ma credo anche del gruppo di Forza Italia e degli altri gruppi di opposizione - è che in questo provvedimento (che non so come riuscirete ad approvare, se con la posizione della questione di fiducia o con la discussione: non si capisce ancora cosa volete fare e sono convinto che nemmeno voi lo sapete) sia contenuto un sistema che vi permetterà, per i prossimi due anni, di non tornare né alla Camera né al Senato. Voi esautorerete per due anni il Parlamento e, quindi, potrete andare avanti con le tasse, con il regime fiscale che meglio vi garba, «saltando» completamente il Parlamento. In tal modo continuerete ad operare, attraverso le deleghe contenute nel disegno di legge finanziaria. Quindi, non volete affrontare il Parlamento ed i motivi li conosciamo molto bene! Noi crediamo che i momenti in cui si discute della manovra finanziaria - e dei provvedimenti fiscali, in generale - siano quelli in cui il Parlamento è chiamato a partecipare, e riteniamo che le leggi debbano essere assolutamente elaborate, emendate e ragionate all'interno dello stesso Parlamento. A tal proposito, mi preme dirlo, mi sorge un dubbio, espresso da molti colleghi prima di me: molti ministri e sottosegretari entrano all'interno di quest'aula con troppi giornali. Vi sono due possibilità: o i giornali sono portati in aula e non vengono letti, ed allora...
PRESIDENTE. Deputato Marras...
GIOVANNI MARRAS. ...ed allora - e concludo, signor Presidente - sarebbe una cosa molto grave, oppure questi giornali vengono letti non credendo a ciò che vi è scritto. Infatti, la realtà dell'Italia, in questo momento, è quella di un paese con grandi difficoltà. Basterebbe che molti esponenti del Governo di sinistra scendessero nelle piazze e nelle strade e parlassero con i rappresentanti della piccola e media impresa, con i professionisti e con la gente comune. Non siete più maggioranza nel paese e per tale motivo vi invitiamo a «tornare a casa», ad essere sereni, a riconsiderare il disegno di legge finanziaria con noi; sarebbe sicuramente meglio per noi e per voi e in tal modo si guadagnerebbe la stima dei cittadini italiani verso il Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
Sul cinquantennale dell'insurrezione d'Ungheria (ore 11,15).
PRESIDENTE
(Si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea ed i membri del Governo). Celebriamo in questo Parlamento - in questa Camera dei deputati -, cinquant'anni dalla rivolta di Budapest, dalla rivolta del popolo ungherese e dalla drammatica repressione operata dall'Unione sovietica. Celebriamo un capitolo di una storia grande e terribile, un accadimento importante e tragico nella storia dell'Europa contemporanea.
In quest'aula siedono rappresentanti del popolo italiano: ci dividono analisi e giudizi politici sul Novecento, sui protagonisti politici e statuali della seconda guerra mondiale e della lotta contro il nazifascismo; ma tutto questo non deve impedirci di condividere la verità storica di quegli avvenimenti. Faremmo così un atto importante anche per noi e per le istituzioni della Repubblica. È importante perché una storia condivisa consolida le istituzioni democratiche; il ricavare dalla lezione della storia contemporanea principi comuni che vengono a costituire un patrimonio che irrobustisce la vitalità della Costituzione e della Repubblica, è un atto politicamente significativo. E tutto questo rende significativo l'omaggio alla memoria delle vittime della repressione.Pag. 15
Quando mi è toccato di depositare i fiori donatimi dal Presidente dell'assemblea del Parlamento ungherese sulla tomba di Imre Nagy, avevo la consapevolezza di poterlo fare a nome dell'intera Camera dei deputati. Gli insorti di Budapest e dell'Ungheria del 1956 sono stati vittime di una repressione ingiustificabile. In primo luogo, il nostro è dunque il ricordo di una immane sofferenza: le uccisioni sulle strade, i processi politici, le impiccagioni, ma anche la diaspora che ha colpito il popolo ungherese.
L'Istituto italiano di cultura a Budapest ha organizzato una mostra fotografica: spero di poterla portare qui alla Camera dei deputati, perché in molti possano vedere quei volti, di operai, di intellettuali, di donne e di giovani; i volti sui quali si legge ora la speranza, ora il dolore, ora l'indignazione per il tradimento subito. Si legge il dramma di un popolo.
Gli insorti del 1956 in Ungheria non sono solo vittime della storia, ma sono anche portatori di futuro della storia, quale che fosse la natura politica di quella rivolta. Si è detto - è una formula che è ritornata spesso -, che quella rivolta è stata per i liberali una rivolta socialista e per i socialisti una rivolta liberale. Io condivido la definizione di Imre Nagy: è stata una rivoluzione nazionale e democratica. Penso che potremmo accordarci su questa definizione.
In realtà, la definizione non è di Imre Nagy, ma di Geza Losoncsy e non lo cito per qualche inutile pignoleria storica, ma per ricordare uno dei tanti leader di quegli insorti, simbolo, attraverso la sua storia personale, di una tragedia che ci aiuta a ricordare che tempi terribili erano questi. Losoncsy entra in carcere sotto il regime reazionario succeduto al crollo della Repubblica del Consiglio; comunista combattente contro il nazismo, entra in carcere sotto il comunista Rakosi, vive l'esperienza del circolo Petofi, che alimenta le speranze che poi saranno raccolte dall'insurrezione; guida gli insorti, torna in carcere dopo la caduta legittima del Governo di Nagy e viene ucciso mentre, con un ultimo tentativo di sciopero della fame, manifesta la sua determinazione per le libertà e per la democrazia.
Non è stata quella solo la storia eccezionale di una persona o dei leader politici e intellettuali, è stata la storia che ha coinvolto un popolo; quel popolo che è diventato protagonista, nel 1956, di una rivoluzione nazionale e democratica a cui noi qui porgiamo l'omaggio più impegnato: una rivoluzione democratica e nazionale che così entra a costruire la storia dell'Europa contemporanea.
La repressione e l'occupazione da parte dell'Unione Sovietica, ordita con l'inganno nei confronti del legittimo rappresentante del popolo ungherese, si è macchiata di una grave ed indelebile colpa storica: ha distrutto la speranza di una riforma democratica, ha calpestato i diritti di un popolo ed i diritti della persona.
Ora, c'è una lezione che io credo valga per tutti, per oggi e per domani: il potere non può essere difeso, per nessuna ragione, senza e contro il consenso popolare. Nessuna civiltà, nessun ordinamento politico può essere esportato con le armi senza tradirne le sue stesse ragioni.
Noi qui celebriamo l'insurrezione del 1956 in Ungheria e credo che possiamo dire, a nome di tutti, che, così, stiamo facendo il migliore omaggio agli insorti e la più dura condanna ai repressori: i vinti di ieri sono i vincitori di oggi.
I vinti di ieri ed i vincitori di oggi sono entrati nella storia dell'Europa, e noi dovremmo prendere l'impegno, per esserne in qualche misura degni, di costruire un'Europa in cui viva il protagonismo dei popoli, la partecipazione e la democrazia, affinché sia sempre viva la lezione degli insorti di Budapest. Grazie (Applausi - Commenti del deputato Rampelli).
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. Il suo sarebbe stato un gestoPag. 16politicamente significativo se avesse detto che avevano ragione Craxi e Nenni! Fu Craxi che chiese la riabilitazione di Imre Nagy (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia) ed ancora oggi non siete capaci di dire chiaramente...
PRESIDENTE. Mi scusi, ma il suo intervento non è sull'ordine dei lavori...!
STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI. ... chi aveva ragione e chi aveva torto a quel tempo!
PRESIDENTE. Vorrei che avesse la cortesia di adeguarsi ad una seduta come questa! Non è un intervento sull'ordine dei lavori!
Ha chiesto di parlare il deputato Ranieri. Vorrei che tutta l'Assemblea dimostrasse un atteggiamento consono ad una celebrazione, grazie!
Prego, deputato Ranieri, ha facoltà di parlare (Commenti dei deputati del gruppo Forza Italia).
SERGIO PIZZOLANTE. L'avete ammazzato voi Nagy!
IGNAZIO LA RUSSA. Troppo tardiva questa indignazione! Troppo tardi!
PRESIDENTE. Il deputato Ranieri ha facoltà di parlare.
UMBERTO RANIERI. Signor Presidente, rendiamo oggi l'omaggio della Camera dei deputati ai caduti per la libertà del 1956 ungherese, ai combattenti e alle vittime di un moto generoso, condannato all'isolamento e alla sconfitta in un mondo percorso dalle tensioni e dalle logiche della guerra fredda.
La sollevazione ungherese contro lo stalinismo fu il segno più grande della resistenza opposta alla pressione del totalitarismo dalla sfera individuale, anche religiosa, e dall'autonomismo della società civile. Si trattò di una resistenza repressa brutalmente in quell'ottobre di cinquant'anni fa, ma che sarebbe riemersa, nel corso dei decenni successivi nella vita dei paesi sottoposti ai regimi dispotici del socialismo reale.
La rivoluzione ungherese rappresenterà il tentativo generoso di scardinare un ordine imposto dall'esterno per riappropriarsi della libertà di scegliere il proprio ordinamento e le proprie istituzioni. Nell'epoca della guerra fredda, per quella rivoluzione non c'era futuro: fu una rivoluzione calunniata e venne bollata come controrivoluzionaria, per più di tre decenni, dal regime imposto a Budapest dai sovietici.
Avrà ragione, invece, Hannah Arendt, quando, riferendosi ai rivoltosi, scriverà che il loro movente era la libertà. La nascita dei consigli, scriverà sempre la Arendt, fu il segno di un insorgere della democrazia contro la dittatura, della libertà contro la tirannide.
Non a caso, il primo obiettivo della sanguinosa repressione furono i consigli. In realtà, quando l'insurrezione, in pochi giorni, giungerà alla richiesta del ritiro delle truppe russe, alla fine del partito unico, e al ripristino del pluralismo, scatterà la repressione spietata e saranno i carri armati sovietici a soffocare, su richiesta di Kàdàr, la rivoluzione popolare.
Quando il tentativo di riconquistare la libertà viene sconfitto, tutto sembra ripiombare nella cupa realtà di un regime dittatoriale, ma il dissenso che si è manifestato in modo così palese nel 1956 non scomparirà, ma tornerà a riproporsi nel 1968 a Praga e, poi, negli anni successivi nei cantieri di Danzica.
L'utopia di un socialismo riconciliato con la democrazia e con la nazione continuerà a tormentare i regimi dispotici fino al 1989, anno in cui crollerà il muro di Berlino, e saranno vere le parole di Francois Furet: « Il comunismo, che non ha mai concepito altro tribunale che la storia, si ritroverà condannato dalla storia alla scomparsa. Cadrà perché non è riuscito ad essere parte della storia democratica».
Non tutti compresero l'autentica natura e la portata della rivoluzione ungherese nel momento in cui veniva sopraffatta dalla violenza dell'intervento sovietico. ChiPag. 17governava l'Italia in quegli anni lo comprese e lo comprese una parte, solo una parte, della sinistra italiana, i socialisti. Un'altra parte, che pure aveva contribuito alla costruzione dello Stato democratico e repubblicano, si rifiutò di intendere, non fu in grado, non volle e giunse, in ritardo, alla revisione delle proprie posizioni e alla comprensione piena del valore di quello storico avvenimento. Pagò, col tempo, un prezzo enorme alla sua cecità.
La riflessione sulla rivoluzione ungherese di cinquant'anni fa ci porta a confermare due impegni solenni: i principi di libertà e giustizia sociale sono inscindibili l'uno dall'altro e l'Europa, l'Europa unita in un contesto democratico e pacifico, costituisce il nostro orizzonte ideale e, per esso, c'è da battersi senza risparmio di energia.
PRESIDENTE. Deputato Ranieri, la prego di concludere.
UMBERTO RANIERI. Questo ritengo sia il modo migliore per rendere onore a un movimento di popolo che anelava all'Europa e che vanamente, cinquant'anni or sono, le chiese aiuto; un movimento che costituisce, in ogni caso, un momento precursore della storica riunificazione del nostro continente, avvenuto cinquant'anni dopo, nello spazio unitario e di civiltà dell'Unione europea (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, l'invasione dell'Ungheria del 1956 non è solo una questione storica, ma rimane tutt'oggi, soprattutto in Italia, una questione politica. Per questo, signor Presidente, mi sarei aspettato che in questo Parlamento venisse riservata maggiore solennità e più tempo per questa, che non è una commemorazione, ma che deve essere una discussione politica (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
È un fatto che gli Accordi di Yalta e l'equilibrio del terrore segnarono il contesto in cui quella splendida rivoluzione democratica e popolare fu stroncata nel sangue, ma è un fatto, soprattutto, che vi furono responsabilità e colpe politiche terribili da parte di chi, nell'Occidente libero, scelse di stare dalla parte della repressione: le colpe e le responsabilità verso gli ungheresi e verso i democratici di tutto il mondo, che gli ungheresi difendevano e che, per questo, venivano denigrati e vilipesi; le colpe e le responsabilità della politica e dei politici per il ruolo che essi, responsabilmente, scelsero di giocare in quella vicenda, a favore o contro i carri armati sovietici, a favore o contro la libertà, a favore o contro la democrazia.
Quello era il momento di scegliere - ha perfettamente ragione Stefania Craxi! -, quello era il momento di scegliere tra chi nella sinistra comunista voleva il comunismo riformato di Nagy e chi invece voleva la repressione sovietica totalitaria e sanguinaria. Scegliere dopo il 1989 non era scegliere, dopo il 1989 era solo una presa d'atto della sconfitta tragica di una storia e di un'utopia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
Io credo, se non si vuole essere stancamente e inutilmente rituali anche in questa sede, che occorra avere il coraggio di guardare a quegli eventi con lo stesso senso della memoria che, giustamente, si esige venga riservato a tutti gli eventi del secolo passato che hanno insanguinato l'Europa; con lo stesso senso della memoria, per essere chiari, con cui guardiamo al nazismo e al fascismo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia). Con un senso della memoria che non può essere solo ricordo, ma che deve essere giudizio, che non guarda solo ai fatti, ma alle ragioni che li hanno prodotti, che valuta gli eventi come frutto delle responsabilità degli uomini e non come prodotto impersonale della storia, che fa carico di una ulteriore e particolare responsabilità politica ai figli e ai discendenti di quelle storie e famiglie politiche che si macchiarono di colpe terribili contro la vita e la libertà.Pag. 18
In Italia, e in gran parte dell'Occidente europeo, continuiamo a guardare al comunismo - perché, Presidente Bertinotti, è di repressione comunista che si trattò - come ad una pagina più o meno gloriosa per alcuni o più o meno vergognosa per altri, ma ormai passata, che sarebbe inutile interrogare e da cui sarebbe inutile essere interrogati: questo è un errore capitale!
So bene, signor Presidente, che rispetto ai fatti di Ungheria nel nostro paese vi è un comprensibile imbarazzo dovuto al fatto che, a parte alcune esemplari testimonianze individuali, la classe dirigente del PCI, compreso chi ora è stato scelto ai vertici della Repubblica, scelse di sostenere l'invasione sovietica e di etichettare i rivoltosi, i democratici popolari di cui ci ha parlato il Presidente Bertinotti, che cadevano sotto il fuoco sovietico come lacchè della rivoluzione borghese.
Ma la questione rimane viva, anzi, ancor più straziante proprio per il fatto che una parte della classe dirigente italiana ritiene di doverla tuttora rimuovere, magari sperando che venga consegnata all'oblio della storia senza un vero, e non reticente, confronto pubblico.
Il presidente dei Democratici di sinistra, Vicepresidente del Consiglio e ministro degli esteri della Repubblica italiana, partendo per l'Ungheria due giorni fa, diceva (cito da la Repubblica): «Vado a Budapest per ricordare i tragici fatti del 1956 e non per chiedere scusa, visto che allora ero bambino». Questo paese non sarà più diviso, ma più unito, più coeso e più pacificato, e meno ostaggio della dialettica delle propagande contrapposte, solo nel momento in cui questa rimozione sarà fatta cessare, solo nel momento in cui un rappresentante della storia comunista, che ancora oggi sentiamo orgogliosamente rivendicata, non importa se una persona di 30, 50 o 80 anni, avrà il coraggio e la dignità di andare a Budapest...
PRESIDENTE. La prego di concludere!
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ... - concludo, signor Presidente - non per fare autocritica o per riconsiderare le scelte allora compiute dai singoli e dal partito, ma, come giustamente ancora si aspettano...
PRESIDENTE. La prego di concludere!
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ... - e concludo - quelli che allora erano studenti e scamparono al massacro, per chiedere scusa e per pronunciare parole analoghe a quelle, certo dolorose ma necessarie, che il presidente Fini pronunciò a Gerusalemme sulle leggi razziali...
PRESIDENTE. La prego!
BENEDETTO DELLA VEDOVA. ... imposte dal fascismo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni)
PRESIDENTE. Insisto: non è una perversione del Presidente quella di richiamare ai tempi regolamentari, ma lo richiede anche la solennità del momento. Mi dispiace di questo, mi dispiace perché, come loro sanno, ad esempio, il minuto di silenzio dura solo un minuto, ma è l'intensità che dà la solennità. Dunque, prego tutti di mantenere il rispetto dei tempi senza bisogno di essere richiamati. Vi ringrazio.
Ha chiesto di parlare il deputato La Russa. Ne ha facoltà.
IGNAZIO LA RUSSA. Presidente, voglio comunque ringraziarla per avere ricordato il cinquantesimo anniversario di quelli che passano con il nome di «fatti di Ungheria», ma che per noi sono qualcosa di più.
Si è trattato di un momento che, per quelli della mia generazione che militavano a destra (anche se all'epoca avevo solo nove anni vissi quei momenti molto intensamente), ha segnato la via alla stregua di un faro, che ci ha aiutato nel nostro impegno politico negli anni a venire, nella consapevolezza che, anche nelle condizioni più difficili, un popolo (uomini, donne, giovani, lavoratori artigiani, operai) può ribellarsi in difesa della libertà e combatterePag. 19una battaglia che ai più sembrava impossibile e che molti, volutamente, ignorarono.
È stata anche una data importante perché segnò la fine di un'illusione, quella secondo cui il comunismo, il marxismo realizzato, reale potesse essere un paradiso: si frantuma, in quell'evento, il mito delle buone coscienze, di un'utopia che si pensava realizzabile.
Un minuto vorrei dedicarlo ai tanti comunisti che in quel giorno soffrirono la fine di una loro visione della vita, che compresero come non era possibile l'edificazione di un paradiso se erano proprio gli operai, gli artigiani e non i borghesi, i preti e i reazionari - così come voleva la vulgata imperante a sinistra - a combattere un regime che, per loro, doveva costituire una svolta, un nuovo inizio.
Oggi, nutro molto rispetto per la sua visita, per le parole del Presidente Napolitano, per la visita del ministro degli esteri e, ancora con maggiore rispetto - se possibile -, accolgo le parole di Pietro Ingrao il quale affermò che si trattò «dell'errore più grande della mia vita» e che ricorda come, andato a trovare Togliatti a casa ed espressogli subito «il mio sgomento per l'invasione dell'Ungheria, Togliatti mi rispose asciuttamente: oggi io, invece, ho bevuto un bicchiere di vino in più». Su L'Unità, Togliatti, scrisse: «si tratta di una controrivoluzione bianca. Militanti non lasciatevi sorprendere né ingannare e sopraffare dall'ondata reazionaria, anticomunista e antisocialista. Siamo di fronte ad una sommossa armata manovrata dai reazionari e dai fascisti». Oggi, grazie a Dio, c'è una diversa consapevolezza e tutta l'Assemblea ha ascoltato in piedi le sue parole, per le quali la ringrazio.
Bisogna avere rispetto per la storia di ciascuno. Certo, se le sue parole, anziché da lei, nel ricordare il comunista che si convinse, fossero state pronunziate da Pansa, probabilmente, avrebbero fatto riferimento ad un revisionismo e qualcuno gli avrebbe anche impedito di parlare. La sua storia le ha consentito di dire ciò che ha detto con l'applauso di tutto il Parlamento: questa è una differenza che a me piace molto sottolineare.
Sarebbe tuttavia troppo comodo, signor Presidente, rifugiarsi nell'accusa di ciò che fecero i comunisti e di ciò che il Partito comunista impose laddove affermava che quando si spara i comunisti stanno da una parte: dalla parte sbagliata!
Accanto all'errore dei comunisti ci fu quello dell'Occidente. Francia e Inghilterra ne approfittarono per fare il loro intervento a Suez, l'America fece finta di non guardare, Yalta imperava e solo migliaia e migliaia di italiani, fra i quali ricordo Mirko Tremaglia, che andò in Ungheria a portare la man forte di tanti giovani che volevano partecipare a quella battaglia di libertà, sfilarono in Italia per testimoniare che c'era qualcuno che non si arrendeva di fronte a quello che chiamavamo il brutale «orso rosso».
Se così è stato, dico che la coerenza di quella battaglia oggi ci fa onore. Nella nostra valutazione di quegli anni abbiamo la soddisfazione - se ce la volete consentire - di non dovere, in questo caso, avere alcun ripensamento. Le sue parole, signor Presidente, sono oggi esattamente le mie.
In questo caso, i vinti di ieri sono i vincitori di oggi. È un segnale importante che mi ripaga di molte e tante amarezze (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e Misto-Movimento per l'Autonomia).
PRESIDENTE. La ringrazio, anche per il rispetto dei tempi. Ha chiesto di parlare il deputato Giordano. Ne ha facoltà.
FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, stiamo ricordando una tragedia, una repressione sanguinosa e terribile che ha sbarrato la strada ad una possibile innovazione democratica. Nessun giustificazionismo storicista può cancellare questa cruda realtà. Quando lavoratrici e lavoratori scendono in piazza e danno vita ad un movimento di massa per chiedere riforme, giustizia sociale e spazi di democrazia, una forza che si richiama agli ideali del socialismo non può non starePag. 20con loro. Lo comprese bene, allora, un sindacalista come Giuseppe Di Vittorio ma sbagliarono, comunisti italiani compresi, tutti coloro che approvarono o, semplicemente, giustificarono quella repressione. Essa ci parla della costruzione di un modello di socialismo che nel suo inveramento statuale si separa e si contrappone ai soggetti che sono stati protagonisti della rivoluzione, soggetti resi muti e deprivati di ogni strumento di partecipazione. Il fine non giustifica mai i mezzi, signor Presidente; anzi, quei mezzi interrogano i fini e ne rovesciano il senso. Quella forma di socialismo reale ci parla di una occupazione del potere che si separa dalla trasformazione sociale e diventa dominio burocratico. Ci siamo costituiti e ci nominiamo comunisti a partire dalla critica di quelle forme di oppressione prive di vitalità democratica con cui si è caratterizzata l'evoluzione nei paesi dell'est. La centralità esponenziale del primato del politico, il partito, la macchina dello Stato, fino al partito-Stato, sono lo snodo teorico e pratico di una parabola di una parte della storia del Novecento: la conquista dell'uguaglianza si è infranta ed è rovinosamente crollata in una drammatica sconfitta, nel suo rovescio. Oggi, sappiamo che il termine «uguaglianza», pur messo a dura prova dalle profonde trasformazioni sociali, mantiene intatta la sua attualità ma non può essere mai disgiunto dalla parola «libertà». Uguaglianza e libertà sono per noi una coppa indissolubile. Libertà intesa come superamento di ogni forma di alienazione, di ogni modalità di asservimento psicofisico delle lavoratrici e dei lavoratori e come pieno dispiegamento e crescita della soggettività; libertà intesa come critica di ogni logica produttivistica e di potenza, come valorizzazione pratica delle differenze. Dopo Budapest, Praga. È paradossale che le celebrazioni di un grande evento di popolo avvengano oggi, a Budapest, senza popolo e con le violenze che sono oggi per le strade della stessa città. La nostra scelta culturale e politica per la non violenza critica esattamente il concentrato autoritario e violento delle forme prevaricanti del potere, cerca di disvelare le forme del dominio e dello sfruttamento attuale della natura dei corpi e delle menti. La tragedia di Budapest e, dopo, quella di Praga, oggi, parlano di noi, signor Presidente, di una idea della trasformazione che è non solo inconciliabile ma nemica di quella come di ogni altra forma di autoritarismo, di dittatura e di repressione. Non si può mai esportare con le armi un modello di società, non c'è mai alternativa alla partecipazione e alla democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Forlani. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, anch'io vorrei associarmi all'apprezzamento dei colleghi per le parole da lei pronunciate e per la celebrazione che si svolge in questa Assemblea. Anch'io intendo sottolineare, inoltre, come si sia trattato di una grande tragedia del Novecento, una di quelle tragedie che, comunque, dobbiamo ricordarlo, ha avuto, come fenomeno scatenante e responsabile, l'ideologia comunista e ciò che è stata la sua traduzione negli ordinamenti statuali in Europa e in tante parti del mondo.
Nel pieno della guerra fredda e della divisione in due blocchi, l'aspirazione alla libertà e ad ordinamenti più rispettosi della dignità dell'uomo e dei diritti dell'uomo prevalse sulle convenzioni internazionali imposte dalla storia e dagli sconvolgimenti mondiali del mondo diviso in due blocchi. Si trattò di un tentativo di liberalizzazione che coinvolgeva vasti strati popolari, come è stato giustamente ricordato, e rappresentanze della stessa classe dirigente ungherese (l'eroe di quella fase fu Imre Nagy), ispirati tutti da valori che prevalsero in quel momento su considerazioni individualistiche legate ai gravi rischi personali che una simile iniziativa allora comportava. Era una grande sfida, la sfida ad un gigante politico-ideologico come l'Unione Sovietica, alla logica della sovranità limitata e dei paesi satellite. Proprio nello stesso anno in cui KruscëvPag. 21denunciava i crimini staliniani al XX congresso del Partito comunista sovietico, quindi in quella fase che sembrava prefigurare un nuovo corso, si consumò questa sanguinosa repressione che rimane una macchia sulla figura del leader politico Nikita Kruscëv e sul suo periodo di potere in Unione Sovietica.
In Italia i partiti di centro, i partiti all'epoca al Governo, difesero gli insorti, difesero quella rivoluzione. Anche nel Partito comunista italiano vi furono rilevanti eccezioni: voglio ricordare Eugenio Reale e Antonio Giolitti, che furono espulsi dal partito, e le critiche dello stesso Di Vittorio. Non per niente proprio quest'anno il Presidente della Repubblica, appena eletto, è andato a rendere omaggio ad Antonio Giolitti. Ricordo anche un altro italiano, Indro Montanelli, che con l'unico film di cui è stato regista documentò i diversi punti di vista con cui venne valutata quella drammatica vicenda in quel periodo.
Oltre dieci anni dopo, la cosiddetta primavera di Praga è un altro episodio che segna in modo rilevante il tentativo delle popolazioni sottomesse di ribellarsi al sistema oppressivo. Questi due episodi - con l'avvento, poi, del Papa polacco e delle sue lotte a sostegno degli aneliti di libertà nella sua patria d'origine ed in tutto l'est europeo - hanno preparato il terreno ai fenomeni di fine anni Ottanta che hanno modificato il mondo e fatto cadere la divisione in due blocchi ed il comunismo europeo.
Allora si sono aperte nuove speranze, nuovi orizzonti. Purtroppo oggi, a distanza di diversi anni, abbiamo ancora di fronte a noi la sfida dell'oppressione e dell'intolleranza in tanta parte del mondo, la volontà da parte di nuovi regimi di minacciare la sicurezza ed i diritti dei popoli e delle etnie. A volte, addirittura, si evidenzia la volontà di cancellare i popoli e le etnie. La stessa Ungheria vive in queste ore momenti drammatici. Credo che rispetto a tali temi la lezione di Budapest del 1956 costituisca ancora per tutti noi un grande richiamo per affrontare le nuove sfide (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, i fatti della rivolta di Ungheria avvenivano quando in Russia governava Kruscëv. In quel periodo vi fu l'illusione nei paesi satellite di poter arrivare ad avere più libertà. In Ungheria vi fu una rivolta antisovietica ad opera di intellettuali, di studenti e di operai. Si formò un Governo di unità nazionale che poi venne sopraffatto dai carri armati sovietici chiamati dai comunisti di quel paese per ripristinare l'ordine prestabilito.
Furono 2.800 i morti assassinati, impiccati e fucilati dai comunisti: donne, uomini, bambini e studenti.
L'Europa in quel periodo - lo ricordava anche il collega La Russa - non mosse un dito. Solo la Chiesa, con Papa Pio XII, prese una posizione chiara. Ricordiamo tutti che le parrocchie del nostro paese e anche quelle austriache accolsero chi fuggiva dal terrore comunista in Ungheria.
A distanza di cinquant'anni, oggi in Ungheria sono al potere gli ex comunisti, che hanno ammesso di aver mentito sullo stato dell'economia per vincere le elezioni in primavera. Ieri il premier ungherese ha annunciato di aver dato alla polizia il permesso di sparare con proiettili di gomma e lacrimogeni sui manifestanti che criticano il Governo ungherese.
La connivenza del Partito comunista sulla repressione in Ungheria è verità storica. La storiografia più recente tende a ribaltare la visione tradizionale imposta dagli storici di centrosinistra, secondo cui Togliatti fu costretto ad adeguarsi alle decisioni di Kruscëv. Si afferma invece, sempre più netto, un ruolo decisivo di Togliatti e di Kruscëv, nonché di Tito su Kruscëv. Esistono telegrammi di Togliatti che esercitano pressioni sul partito comunista russo. Togliatti fu anche complice dell'esecuzione di Nagy. Quando, due anniPag. 22dopo, Kàdàr, che era diventato Presidente dell'Ungheria, lo avvertì della condanna, Togliatti si limitò a chiedere che l'annuncio fosse dato dopo le elezioni in Italia, e gli fu ubbidito.
L'Unità, oggi giornale dei DS, al tempo titolava a favore della repressione sovietica: stava dalla parte dei carnefici contro chi, comunque, manifestava per avere più libertà nel proprio paese. L'Unità bollò la rivolta ungherese come terrore nazista. Tutti ricordano - lo ha rammentato prima anche il collega di Alleanza Nazionale - che Togliatti fece un brindisi, quando arrivarono i carri armati: «vorrà dire che berrò un bicchiere di vino in più» disse.
Tutti noi, oggi, dobbiamo ricordare che molte sezioni di partiti presenti anche in Parlamento sono ancora intitolate al nome di Togliatti. Ed oggi i leader della sinistra del nostro paese riescono a contraddirsi, affermando che ci sono stati errori ma ha ancora un senso dirsi comunisti.
Noi pensiamo che l'ideologia marxista e comunista fu la più nefasta che la storia della nostra Europa ricordi. Ispirata dall'egualitarismo dogmatico teorizzato dalla rivoluzione francese, fu il pretesto per seminare morte nel mondo. Milioni furono i morti trucidati e assassinati dai comunisti in nome del comunismo: in Europa, in Asia, in Africa, in Sudamerica, in tutto il mondo. Ancora oggi, vi sono partiti e movimenti politici che vergognosamente si ispirano e si richiamano a quegli ideali antidemocratici di ingiustizia, di sopraffazione e di morte, anche a casa nostra.
L'unica cosa che possiamo dire oggi a Rifondazione comunista, ai Comunisti italiani, ai DS che si richiamano ancora, in molti casi, a quegli ideali è: vergognatevi, vergognatevi della vostra storia (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia - Commenti dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)!
FRANCESCO GIORDANO. Vergognati tu!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.
DONATELLA DURANTI. Vergognati (Commenti dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)!
MAURIZIO FUGATTI. Nazista sarai tu!
PRESIDENTE. Il deputato Leoluca Orlando ha la parola, e vi prego di consentirgli di svolgere il suo intervento. Prego, deputato Orlando.
LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, lei ha espresso sentimenti e valori al più alto livello possibile e con doveroso rispetto per gli insorti di Budapest. Lei, signor Presidente, ha usato parole che si iscrivono alla storia e al futuro, e tentano di liberare il ricordo da vergogne di ieri e polemiche provinciali di oggi.
Cinquant'anni fa il popolo ungherese ha tentato di rivendicare il diritto di un popolo di costruire la propria strada verso la propria democrazia. La feroce repressione peserà nella storia su quanti la ordinarono con spietatezza. A noi tocca condannare quella repressione ed esprimere il rifiuto del sequestro dei sogni, delle speranze, dei diritti democratici dei popoli.
In Europa, a Budapest e Praga, come in America, in Cile e in Salvador, in Asia, in Vietnam o in Corea, come in Africa, tanti, troppi popoli sono stati sequestrati. Era la logica spietata della divisione in due blocchi. Yalta ha pesato sulle vite, sul diritto al sorriso, sulle speranze dei popoli sino al novembre 1989.
Il peso di Yalta è stato ulteriormente aggravato dalla ferocia dei dirigenti sovietici e dei loro esecutori materiali, ma quel peso, oggi, è dovere di tutti non più riprodurre. È il rifiuto di quel peso e di quel sequestro di popolo il processo d'integrazione europea. È il rifiuto di quel peso e di quel sequestro di popolo la valorizzazione delle istituzioni internazionali dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. È il rifiuto di quel peso e di quel sequestro di popolo il rifiuto della tentazione di perfezione, di quella tentazione di imporre con la forza, come perfetto, il proprio modello di democrazia, come perfettoPag. 23il proprio modello di economia, come perfetto il proprio modello di fede religiosa. È il rifiuto di quel peso e di quel sequestro di popolo l'attivazione di processi di cooperazione allo sviluppo, che aiutino i popoli ad essere liberi e che non vengano utilizzati per mortificare ulteriormente la libertà dei popoli stessi.
Da non comunista mi sento accanto e rispetto chi è stato comunista ma comprende, coglie e denuncia gli errori e le violenze consumate in nome di un'identità, poi degenerata in odiosa e violenta appartenenza. Con la caduta del muro di Berlino può finire il tempo della contrapposizione tra libertà ed uguaglianza, di una libertà a scapito dell'uguaglianza o di un'uguaglianza a scapito della libertà.
Oggi, dopo la contrapposizione in nome di una libertà che mortifica l'uguaglianza o di un'uguaglianza che mortifica la libertà, è giunto il tempo di liberare il valore della fraternità e della politica, di rendere la fraternità azione concreta e non cifra culturale di favola per bambini. È compito della politica, è compito di tutti noi dimostrare che è possibile e doveroso condannare i crimini dell'appartenenza, che è possibile e doveroso rispettare l'identità, che è possibile e doveroso coniugare libertà, uguaglianza e fraternità. Così, solo così, renderemo omaggio agli insorti di Budapest (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Villetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, è molto importante che il Parlamento italiano si ritrovi unito nelle sue parole. Duemila fucilati, ventimila imprigionati, quindicimila condannati ai lavori forzati, diecimila condannati al confino, dodicimila deportati in Unione sovietica. Imre Nagy, Pal Maleter vennero processati e giustizia, in gran segreto, dal Governo di Kàdàr.
Ho apprezzato molto le parole del Presidente della Repubblica, Napolitano, il quale ha riconosciuto apertamente che, allora, avevano avuto ragione Antonio Giolitti, Pietro Nenni e gran parte del PSI. Ricordo che, prima di Pietro Nenni, aveva avuto ragione Giuseppe Saragat.
Gran parte dell'intellettualità liberale s'impegnò con molta forza, per scuotere l'opinione pubblica del paese. Coloro che oggi vanno ricordati, Arrigo Benedetti, Walter Binni, Norberto Bobbio, Federico Chabod, Vittorio De Caprariis, Ennio Flaiano, Enzo Forcella, Jemolo, La Malfa, Montale, Olivetti, Pampaloni, Pannunzio, Romeo, Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, cioè la migliore tradizione del liberalismo riformatore e del socialismo democratico, si mobilitarono tutti per scuotere l'opinione pubblica.
Lombardi, in un intervento pronunciato il 26 ottobre 1956 alla Camera, disse in maniera chiara che non vi era socialismo senza democrazia e libertà. Gaetano Arfè, in una recente intervista per un opuscolo, ha detto che fu l'inizio della fine dello stalinismo. È questa la riflessione che svolgiamo in Assemblea, una riflessione pacata, serena.
Guardi - mi rivolgo all'onorevole La Russa - non si possono fare i conti della storia soltanto a metà. In un articolo su Il Giornale, quindi non su l'Unità, Massimo Teodori ricostruisce le vicende di quell'epoca e ricorda che vi fu un deputato del Movimento sociale, Filippo Anfuso, che gridò: «Viva l'Ungheria libera!».
Qual è il commento di Teodori che ricorda Il Mondo di Pannunzio? Il commento la dovrebbe far riflettere, onorevole La Russa, e anche lei dovrebbe fare i conti con la storia. Gli ungheresi trasecolano al postumo omaggio di chi assolse alle funzioni di ambasciatore fascista sotto il giogo del nazismo. Tutti dobbiamo fare i conti con la storia, con il comunismo, ma anche con il fascismo, con il nazismo e con i regimi di carattere totalitario che si sono avvicendati in Ungheria.
Oggi, però - e lo dico con un sentimento di profondo apprezzamento - abbiamo superato queste frontiere e, quindi, non dobbiamo farne un elemento di speculazione politica. Sono stato ai funerali di Imre Nagy il 16 giugno 1989, ero in una delegazione del PSI guidata da BettinoPag. 24Craxi. Lo voglio dire a Stefania, perché ero testimone e c'era anche Achille Occhetto. In quell'occasione ci fu un colloquio tra Achille Occhetto e Bettino Craxi, che ebbe parole di apprezzamento per il riconoscimento, critico e autocritico, da parte di Occhetto su quella tragica storia. In quel funerale c'era tanto dolore, signor Presidente, ma anche tanta speranza.
Dobbiamo raccogliere e sostenere quella speranza dell'Ungheria, scossa ancora oggi da fatti di sangue, perché possa finalmente avere una democrazia ed una libertà. Quei giovani caduti, i cui nomi furono ripetuti in quel funerale, nei cimiteri e nei vari riti che si alternarono (cristiani, ebraici e civili), non sono morti invano, ma per creare un'Ungheria libera e democratica. Oggi è molto importante che, da destra fino a sinistra, ci sia un Parlamento italiano unito intorno ai valori della libertà. Non accadeva nel 1956, accade oggi e, signor Presidente, questo è un fatto di grande importanza per l'Italia e per il nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno, L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Sgobio. Ne ha facoltà.
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, lascerei alla storia il giudizio sui drammatici fatti di Ungheria. Non li richiamerei in un'aula della politica come questa, dove ricordi anche recenti e posizioni che ancora vivono all'interno di noi stessi ci portano, purtroppo, a parlare in maniera astorica e impropria di quegli avvenimenti.
ELISABETTA GARDINI. La storia dell'ANPI!
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. I drammatici fatti di Ungheria, i morti che vi furono in quella occasione, tutti i morti di Ungheria, ci vedono profondamente uniti e solidali con loro, addolorati per quello che è avvenuto. Presidente, esprimere qui un giudizio sulla storia, senza tener conto che il 1956 fu l'anno del XX Congresso, dell'aggressione colonialista e imperialista a Suez, non è un guardare con occhi limpidi alla storia. Discuterla in un'aula della politica come questa, fa sì che ci tocca sentire, dagli eredi di coloro i quali il sangue l'hanno versato, qui, nel nostro paese...
PAOLA GOISIS. Foibe! Foibe!
IGNAZIO LA RUSSA. Certo che l'hanno versato!
PRESIDENTE. Colleghi, vi prego...
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. ...qui, nel nostro paese, lezioni di democrazia, di libertà e di umanità.
GUGLIELMO ROSITANI. Populista!
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. Ci porta a sentire da quanti affondano le loro radici in quell'ideale che va sotto il nome di fascismo che ha visto morire...
GUGLIELMO ROSITANI. Comunista!
ENZO RAISI. Sei vecchio!
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. ...ha visto morire in questo paese migliaia e migliaia dei difensori della libertà (Commenti del deputato Gardini)...
ENZO RAISI. Presidente!
PRESIDENTE. No, l'interruzione non è ammissibile per nessuno! Qui precedentemente sono stati usati, come avete sentito, giudizi pesantissimi nei confronti di qualcuno; è stato consentito di esprimerli: adesso, per favore, ascoltiamo chi la pensa diversamente! Prego...
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. Dicevo che ci tocca di sentire da coloro i quali affondano le loro radici in quell'idea che è passata sotto il nome di fascismo che ha causato in questo paese, nel nostro paese,Pag. 25migliaia e migliaia di morti (Commenti dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale) tra i quali...
ELISABETTA GARDINI. Pensa al triangolo rosso (Commenti dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)!
ENZO RAISI. Vecchio!
Una voce: Buffone!
PRESIDENTE. Non costringetemi a sospendere la seduta. Finora vi è sempre stato un comportamento corretto. Vi ricordo che in ogni caso stiamo facendo una celebrazione. Vorrei che non arrivassimo ad una conclusione che farebbe disonore a quest'aula e francamente, visto i toni che sono stati usati, chiedo a tutti una autoregolamentazione del proprio comportamento.
IGNAZIO LA RUSSA. Vai avanti, Presidente; non tornare indietro!
PRESIDENTE. In caso contrario, sospenderei la seduta. Prego, collega Sgobio (Scambio di apostrofi tra il deputato Boato e il deputato Barani)... Vogliono prendere posto e sedersi? O devo richiamarli? Vorrei evitare richiami in questa seduta. Per favore, rivolgo un invito a tutti in nome dei temi di cui stiamo parlando. Prego, lei prosegua nel suo intervento; prego tutti di non interrompere: ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione!
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. Non vorrei che i vinti fossero esattamente coloro i quali hanno in spregio la democrazia ed impediscono un dibattito che finora è stato tranquillo e democratico. Dicevo: quell'idea che ha provocato tantissimi morti nel nostro paese, migliaia e migliaia di persone che volevano riconquistare la libertà e che sono state trucidate, sui monti e sulle piazze, tra le quali si annoverano Matteotti e Gramsci, del quale ricorrerà, esattamente l'anno prossimo, il settantesimo anniversario della morte, del suo assassinio e chiederei alla Presidenza della Camera per il 2007 di ricordarlo a memoria di tutti martiri del fascismo che il nostro paese ha dovuto subire...
GUGLIELMO ROSITANI. È fuori tema!
ENZO RAISI. Mettici anche Che Guevara!
Una voce: Basta!
PRESIDENTE. La prego di proseguire; continuo ad invitare sommessamente ad evitare una gazzarra in un momento come questo. Prego, vada avanti.
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. Presidente, non ho molto da aggiungere. Il giudizio definitivo sia la storia a darlo, non i complici, non coloro i quali si rifanno ad idee che hanno funestato l'Italia ed il mondo intero perché, se dovessimo fare distinzioni (Commenti del deputato Raisi)...
PRESIDENTE. Vi prego...
FABIO RAMPELLI. Parla dell'Ungheria!
PRESIDENTE. Colleghi, voi però non potete interrompere, non avete il diritto di intervenire se non chiedete la parola!
COSIMO GIUSEPPE SGOBIO. ...su comunismo o su altro, sarebbero altre le sedi, non certamente la Camera dei deputati e dei rappresentanti del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, i Verdi sono pienamente solidali con questa positiva iniziativa che lei ha assunto. Purtroppo, mi sembra che qualcuno non abbia capito tale iniziativa e abbia anche tentato di strumentalizzarla. Tuttavia, il gruppo dei Verdi si associa totalmente allePag. 26sue parole, in nome dei valori di libertà e democrazia e del giusto diritto a ribellarsi contro il totalitarismo. Così è stato contro il comunismo staliniano e totalitario in Ungheria, ma poi anche in Cecoslovacchia e in Polonia, così com'era stato contro il nazismo e il fascismo in Italia e in Europa e contro i regimi golpisti e militari in America latina e quelli coloniali nel terzo mondo. Ringrazio il mio gruppo per avermi dato l'opportunità di dare personalmente questa testimonianza, se non altro per ragioni di età.
Ho infatti memoria vivissima degli avvenimenti ungheresi del 1956. Allora avevo 12 anni ed ero figlio di genitori antifascisti, appartenuti a Giustizia e Libertà ed al Partito d'Azione. Nel 1956 mio padre militava nel PSDI, proprio perché contrario sia al fascismo che al comunismo sovietico, cui purtroppo fino al 1956 anche il PSI di allora rimase subalterno. Proprio da lì nacque la rottura tra Nenni e Togliatti, giustamente rievocata in questi giorni. Ricordo le drammatiche ed imponenti radiocronache di quella rivolta popolare; ricordo un libro pubblicato con la trascrizione dei documenti, degli eventi ungheresi, dei drammatici ed inutili appelli radiofonici alla libertà ed alla solidarietà; una solidarietà che non venne a causa degli accordi di Yalta, della cinica spartizione dell'Europa e della conseguente guerra fredda. Ricordo, da ragazzo dodicenne, l'incontro con i profughi ungheresi accolti in inverno nelle colonie estive di Iesolo, vicino alla mia Venezia, dove andai a conoscerli.
Non ho più dimenticato quegli eventi e non abbiamo mai dimenticato la straordinaria figura di Imre Nagy e di tutte le altre vittime della rivolta ungherese. Per questo non abbiamo avuto dubbi nel 1968 a solidarizzare non solo con il Vietnam contro i bombardamenti americani, ma anche con Dubcek e con la Primavera di Praga contro l'invasione sovietica. Ricordo, in proposito, la figura di Jan Palach, che sacrificò la propria vita nel gennaio 1969. Per questo non abbiamo avuto dubbi negli anni Ottanta a sostenere non solo quanti lottavano contro i regimi fascisti e golpisti in America latina, ma anche il movimento di Solidarnosc in Polonia e a solidarizzare con tutti coloro che lottarono per la libertà e la giustizia nell'Europa centro-orientale, ben prima della caduta del muro di Berlino del 1989.
Nel 1990, con grande emozione, visitai da parlamentare dei Verdi, allora senatore della Repubblica, Budapest e il suo rinato Parlamento democratico. Un ciclo storico si era chiuso e quella rinata ed ancor oggi difficile democrazia, quella riconquistata libertà, erano anche frutto della rivoluzione democratica e nazionale del 1956, a cui a cinquant'anni di distanza rendiamo omaggio, non solo per celebrare gli eventi e le vittime ungheresi, ma anche per testimoniare quegli stessi valori di giustizia e libertà in Europa e in tutto il mondo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Satta. Ne ha facoltà.
ANTONIO SATTA. Signor Presidente, chi come me è cattolico e democratico ed ispira la sua azione ai valori del cristianesimo, al pari dei miei colleghi, ricorda i tragici fatti di Ungheria con grande angoscia e sgomento, ma è comunque confortato dal fatto che nel 1956 è avvenuta una svolta storica. Tale svolta ha segnato la fine di un comunismo che imponeva la sua ideologia con la forza ed esercitava il suo potere con un sistema dittatoriale che affogava nel sangue ogni anelito di libertà.
Il martirio del 1956 in Ungheria segna un momento indimenticabile della storia d'Europa. Come bene ha detto lei, signor Presidente, i vinti di allora sono i vincitori di oggi. La libertà e la democrazia sono valori inalienabili dell'uomo, che vanno fortificati ogni giorno con il nostro modo di essere nella vita quotidiana e nell'impegno che ciascuno di noi è chiamato a svolgere a seconda del proprio ruolo nella società.
La condanna da parte nostra non è tardiva, ma è stata puntuale e costante nel tempo con una forte difesa e con un convinto sostegno degli insorti. Non ciPag. 27addentriamo oggi nelle diatribe che segnarono l'interno dei partiti comunisti presenti in Europa; abbiamo solo registrato prese di distanza di alcuni e dichiarazioni tiepide da parte di altri.
Presidente, un fatto deve essere chiaro: in questa situazione c'è chi ha torto e chi ha ragione, non esiste certamente una posizione di mezzo. I sistemi dittatoriali, di sinistra e di destra, vanno fermamente condannati senza «se» e senza «ma», per questo ho apprezzato il suo intervento, segno della sua intelligenza politica, che non indulge a violenze di alcun genere. La libertà, Presidente, è invincibile e l'umanità è nata per essere libera, come proclama la solenne Dichiarazione della libertà del 1956 in Ungheria. Lo stesso Pontefice, nel messaggio inviato ieri al Presidente dell'Ungheria, ha ricordato l'impegno forte e fermo di Pio XII che ha sostenuto apertamente gli insorti ungheresi.
Oggi l'Ungheria è un pezzo importante della nostra Europa, quel sangue versato ha aperto una vera speranza per milioni di cittadini, così come la caduta del muro di Berlino ha portato a termine la maturazione delle coscienze libere dell'Europa dell'est.
Presidente, il valore della libertà è sempre stato per noi cattolici democratici il vero scudo del nostro impegno. Liberi e forti, come diceva don Sturzo, è sempre stato il nostro modo di essere. Liberi per essere forti e forti per essere liberi, perché, come bene ha detto il Presidente della Commissione europea Barroso, essere liberi è una fortuna e mantenere la libertà è un fatto grande responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-UDEUR).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, se tutte le storie, come ha detto l'onorevole La Russa, sono rispettabili, la storia del socialismo democratico non è solo rispettabile, è limpida ed apprezzabile, al contrario di altre. Io sono qui per far sentire, alla pari dell'onorevole Villetti, il valore di questa storia, anche perché la tragedia, come certo lei sa, è la fonte della politica autonomista di Pietro Nenni e della maggioranza del PSI, che dopo aver criticato i risultati del XX Congresso del PCUS (che si svolse nel gennaio di quell'anno e che innestò la denuncia dei crimini di Stalin nell'ambito della cosiddetta teoria del culto della personalità) si spinse a manifestare una posizione politica a favore degli insorti ungheresi, mentre Togliatti ed il PCI furono purtroppo dalla parte degli aggressori. Con Togliatti furono anche Ingrao e Napolitano, che hanno riconosciuto il grave errore.
Tuttavia, se la revisione politica è apprezzabile, signor Presidente e colleghi deputati, la coerenza di avere avuto ragione prima credo lo sia ben di più. Da un certo punto di vista, non mi stupisce che in questa Aula riecheggino antiche teorie di giustificazionismo storico da parte del Partito dei Comunisti Italiani, che ci fa intravedere la presenza di una forza politica che non condanna l'aggressione sanguinosa all'Ungheria, di una componente del Governo dell'Italia di oggi e questo credo sia politicamente discutibile se non inaccettabile.
Perché non riconoscere il furore dell'ideologia che si scatenò contro gli eretici e contro gli intellettuali alla Giolitti nel 1956, contro i socialisti nenniani e autonomisti che si staccarono allora dal comunismo e dal PCI rompendo il patto di unità d'azione e di consultazione col congresso di Venezia del gennaio 1957?
Perché non ricordare questo furore ideologico contro i revisionisti di allora ed i revisionisti di poi, contro coloro i quali fecero dell'occasione dell'Ungheria la fonte di una politica protesa al dialogo con i socialdemocratici, per l'unità socialista, e con i cattolici, per la costituzione dei primi Governi di centrosinistra?
Bisogna ricordare che abbiamo dovuto aspettare il 1969 e l'invasione della Cecoslovacchia, per udire i primi, timidi elementi di critica contro il regime sovietico, pronunciati dal Partito Comunista, segretario del quale era, allora, Longo. Lo stesso 1989 ha segnato il superamentoPag. 28dell'identità comunista, da parte del PCI, soltanto dopo che il comunismo era uscito di scena per conto suo.
Penso che avere discusso anche oggi, in quest'aula, di problemi di storia ed anche di identità - e la ringrazio di questo, signor Presidente -, con il contributo di formazioni politiche che, generalmente, o non hanno un passato, perché sono nate ieri o l'altro ieri, o hanno un passato da farsi perdonare, da dimenticare, sia stato un atto di estrema correttezza. La riflessione sul passato della politica italiana è un'occasione per riflettere anche sull'identità delle varie formazioni politiche. Ed io ritengo che, se davvero - è solo una speranza - vuole portare nel proprio cuore e nella propria mente la tradizione del socialismo democratico...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MAURO DEL BUE. ...del socialismo liberale, la sinistra italiana debba cominciare ad intestare le proprie sezioni, i propri simboli, i propri circoli a Imre Nagy, a Pietro Nenni, a Giuseppe Saragat, e non...
PRESIDENTE. Deve concludere.
MAURO DEL BUE. ...agli eredi di quella tradizione che, in buona sostanza, essa stessa ha condannato anche quest'oggi (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Reina, al quale ricordo che dispone di tre minuti. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, anch'io esprimo, sia pure nel brevissimo tempo che mi è stato concesso, il mio compiacimento per la commemorazione che ella ha fatto stamani, in quest'aula, dei fatti di Budapest del 1956.
Tuttavia, nel furore con il quale alcuni degli intervenuti hanno ritenuto, ancora una volta, di far prevalere talune tesi contro altre tesi, ognuno di noi ha dimenticato che Budapest è, innanzitutto, figlia di Yalta, di Atene, di Malta, delle circostanze, cioè, nelle quali i grandi paesi che si apprestavano a vincere il tragico conflitto mondiale avevano pensato di suddividere il mondo in due grandi blocchi. Non possiamo dimenticare che l'Occidente, nel suo complesso, volse lo sguardo dall'altra parte e che soltanto poche persone, pochi illuminati riuscirono ad esprimere fino in fondo un sentimento di avversione per ciò che stava accadendo.
Ma c'è una circostanza che voglio sottolineare: a Praga, così come a Budapest, così come in Polonia, prima ancora di tutte le altre classi sociali, in piazza sono scesi gli studenti: per loro, era molto più importante ristabilire una condizione di libertà rispetto a qualunque altra rivendicazione, anche materiale. Allora, se è vero che i vinti di ieri sono i vincitori di oggi, dobbiamo anche ammettere, carissimi colleghi, caro Presidente, che deve prevalere, dentro di noi, la consapevolezza che gli interessi dell'animo umano prevalgono rispetto ai beni materiali che la persona può ricercare.
Questo è il più grande, decoroso insegnamento storico che dobbiamo preservare dentro noi stessi rispetto all'immane tragedia. Non è stato, infatti, un dramma di poco conto: più di 20 mila persone sono state trucidate o, comunque, costrette ad un silenzio barbaro, e molte di più sono seguite poi, nelle vicende di Praga e, successivamente ancora, in quelle della Polonia. È bene, quindi, che ricordiamo tutto questo con un silenzio attento, ma con diversa consapevolezza rispetto anche ai fatti che ancora oggi - e concludo, signor Presidente - sono frutto di quegli schemi, di cui non ci si riesce a liberare, che a Yalta vennero adottati...
PRESIDENTE. La prego, per favore...
GIUSEPPE MARIA REINA. Grazie, signor Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia).
PRESIDENTE. Grazie a lei.
Ha chiesto di parlare il ministro Santagata. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. E la cravatta, ministro?
GIULIO SANTAGATA, Ministro per l'attuazione del programma di Governo. Ho il busto e non posso portarla; chiedo scusa per il mio abbigliamento, ma non sono in condizione di vestirmi in maniera diversa.
Intervengo brevemente, signor Presidente, solo per dire che il Governo condivide ed apprezza l'iniziativa che lei ha assunto di ricordare le vittime della repressione di Ungheria. Condivide anche la lettura e la valutazione di quel tragico episodio. L'Ungheria rappresentò davvero la rivolta di un popolo e di un'intera nazione. Condivido particolarmente l'invito a leggere quei fatti con la lente del futuro, non per tacere le responsabilità, ma per rendere un vero omaggio a chi allora fu sconfitto, ma cui la storia ha reso giustamente la vittoria.
È per i valori della libertà e della democrazia che gli ungheresi si sono battuti nel 1956. È su quegli stessi valori che si fondano la nostra Repubblica e la nostra Europa. Attorno a quei valori dobbiamo rafforzare le motivazioni di un paese più coeso, in un'Europa di nuovo unita. Credo che questo sia il messaggio che dobbiamo consegnare oggi ai molti giovani che ci chiedono di sapere e di capire e ritengo che, nonostante alcune asprezze, questo dibattito e la sua iniziativa non siano stati inutili, da questo punto di vista (Applausi).
PRESIDENTE. Alcuni deputati hanno chiesto di parlare a titolo personale. Do la parola alla deputata Gardini, per un minuto...
GIORGIO LA MALFA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, non comprendo per quale ragione il dibattito venga organizzato in questa maniera: intervengono prima i gruppi, poi il Governo, poi i deputati a titolo personale. Il Governo dovrebbe intervenire alla fine o all'inizio. Non capisco per quale ragione il Parlamento debba stabilire un'assurda regola in base alla quale alcuni deputati - io intervengo a titolo di rappresentante del partito repubblicano - debbano parlare dopo che il Governo ha svolto le sue considerazioni. Questa è una regola completamente priva di senso e che, secondo me, limita la democrazia di queste dichiarazioni di voto.
PRESIDENTE. Poiché non si tratta di dichiarazioni di voto, non c'è alcuna ragione per la quale il Governo debba parlare prima, dopo o durante. Viene scelto un ordine che mi pare razionale, essendo gli altri interventi a titolo personale.
Ribadisco: può ora intervenire la deputata Gardini, a titolo personale, per un minuto.
ELISABETTA GARDINI. Signor Presidente, vorrei precisare che ciò che divide il Parlamento non è il giudizio diverso sulla lotta al nazi-comunismo. Su ciò, fortunatamente, siamo tutti d'accordo. Credo che ciò che divide il Parlamento è il giudizio sulla lotta all'anticomunismo e, al riguardo, vi sono ancora moltissimi passi da fare, tant'è che sui nostri libri di storia pochissime righe si dedicano al patto Molotov-Von Ribbentrop, che ha visto, per quasi due anni, nazismo e comunismo alleati, e sappiamo come è iniziata la storia, proprio dall'invasione della Polonia.
Avrei voluto sentire parlare in quest'aula anche del ruolo attivo che hanno avuto i partiti occidentali comunisti. La lettera di Togliatti forse dovrebbe essere esposta nella mostra fotografica in arrivo dall'Ungheria, per capire bene i fatti.
Vorrei ricordare che un testimone dell'epoca come Zagrebelsky ci dice che il comportamento dei partiti comunisti occidentali segnò una generazione, tanto che questa è chiamata la generazione del '56, perché speravano fino a quel momento di avere un aiuto dai fratelli comunisti...
PRESIDENTE. Mi scusi, deve concludere.
Pag. 30ELISABETTA GARDINI. ...e poi invece si resero conto che i partiti comunisti occidentali erano complici della loro tragedia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, a titolo personale, il deputato Pedrizzi. Ne ha facoltà.
RICCARDO PEDRIZZI. La ringrazio, signor Presidente, non solamente per il minuto che mi ha accordato, ma anche per le parole che lei ha pronunciato in quest'aula a nome di tutti noi. Tuttavia, mi lasci dire che il ricordo di questa ricorrenza e di questo anniversario meritava di più e di meglio, quanto meno più tempo in quest'aula perché potesse diventare per le giovani generazioni un insegnamento vero ed un ammonimento.
Avremmo voluto indicare chi sbagliò allora per cecità ideologica (i comunisti) e chi sbagliò per viltà (l'Occidente e l'Europa). Oggi sappiamo che solo la consapevolezza di quell'eredità che ci ha lasciato la rivolta d'Ungheria ci consente di riconoscere chi furono e chi sono i nemici della libertà e permette di fronteggiarli. Abbiamo visto che, ancora oggi e in quest'aula, ci sono dei nemici della libertà.
PRESIDENTE. La prego, deve concludere.
RICCARDO PEDRIZZI. Allora stemmo dalla parte del popolo di Ungheria; anche oggi siamo dalla parte dei popoli e dalla parte della libertà.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare, a titolo personale, il deputato La Malfa. Ne ha facoltà.
GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, il problema politico posto dal giusto ricordo dei fatti di Ungheria del 1956 a cui, ovviamente, ho solo il tempo di accennare - e che questo dibattito non ha toccato -, non è tanto l'autocritica per l'errore commesso, come lei ha fatto con parole che, se mi consente la franchezza, mi sono apparse molto circospette, o come hanno fatto l'onorevole Fassino e lo stesso Presidente della Repubblica. Il problema non è ammettere o meno l'errore di un tempo, ma sviluppare una riflessione, che qui possiamo solo iniziare, su quali conseguenze abbia avuto per la storia d'Italia e per gli sviluppi della vita e della lotta politica in Italia il fatto che un grande partito e molti uomini politici importanti abbiano commesso quell'errore.
L'eredità di quell'errore e non l'errore commesso: è questo il tema su cui interrogo la sinistra italiana. Nel 1957 essa votò contro il Mercato comune europeo, nel 1978 votò contro il Sistema monetario europeo, nel 1989 votò contro i missili europei, trent'anni sono seguiti a quell'errore (Applausi del deputato Landolfi)!
Ecco la questione che lei non mi consente di sviluppare...
PRESIDENTE. È il regolamento che non glielo consente. Comunque lei ha molti altri luoghi per sviluppare la questione.
Ha chiesto di parlare, a titolo personale, il deputato Spini. Ne ha facoltà.
VALDO SPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho chiesto di parlare perché sono in quest'aula ininterrottamente dal 1979 e vorrei esprimerle il consenso per aver voluto una celebrazione, che è altra cosa dal dibattito, che ha tutte le sue modalità per svilupparsi.
Ella, signor Presidente, ha avuto parole inequivocabili e credo che, da questo punto di vista, ella abbiamo anche voluto dare un contributo al rafforzamento in Italia di una democrazia compiuta. Mi dispiace che non tutti gli intervenuti abbiano capito questo fatto.
Ma oltre che essere in questo Parlamento dal 1979, nel 1962 ho preso la tessera della federazione giovanile socialistaPag. 31ed ho militato allora con Nenni e Lombardi nella componente autonomista. Dunque, credo che sia giusto che quest'Assemblea sottolinei particolarmente che non era facile nella sinistra italiana, per un partito che era nelle giunte di sinistra, nei sindacati di sinistra e in tutte le organizzazioni, assumere la posizione che Nenni allora prese, in quanto essa fu una posizione coerente con l'analisi che aveva fatto del XX Congresso del PCUS e con l'analisi dello stalinismo.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, se democrazia compiuta vogliamo e ha da essere, questo grande filone della storia politica vi è a pieno diritto e con tutta la sua dignità (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, titolo personale il deputato Tondo. Ne ha facoltà.
RENZO TONDO. Signor Presidente, sarò breve, perché desidero solamente che in quest'aula e in questo momento suoni alto e forte il nome ed il ricordo del socialista Loris Fortuna. Si è trattato di un uomo libero, che ha dato un grande contributo in questo Parlamento. È stato un uomo coraggioso, poiché nel 1956, vale a dire cinquant'anni fa, non esitò ad abbandonare il Partito comunista italiano (di cui fino ad allora aveva fatto parte) per condannare, con il suo abbandono e con il suo ingresso nel Partito socialista italiano (un partito di uomini liberi), un intervento armato, autoritario ed assassino.
Loris Fortuna, signor Presidente, ha dimostrato il coraggio che tanti, all'epoca, non hanno avuto, ed ha avuto, altresì, la forza morale che troppi, ancora oggi, non possiedono.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, a titolo personale, per un minuto, il deputato Garagnani. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, dal momento che sono stati citati diversi protagonisti della rivoluzione ungherese, intervengo semplicemente per ricordare in questa sede, oltre a Pio XII - il quale, come rammentato da alcuni colleghi, impegnò la Chiesa cattolica a difesa degli ideali della rivoluzione d'Ungheria -, quella figura luminosa, che è stata trascurata e vilipesa, rappresentata dal cardinale Mindszenty. Primate d'Ungheria, condannato all'ergastolo e torturato, egli è stato artefice degli ideali che hanno poi coinvolto tutto il popolo ungherese.
Mi si consenta in una sede come questa, avendolo conosciuto personalmente a metà degli anni Settanta, di testimoniare la fede indiscussa e l'aspirazione agli ideali di libertà che tale intrepido cardinale significò per il suo popolo. Una celebrazione dei fatti d'Ungheria, infatti, non può prescindere dal ruolo svolto da questa figura...
PRESIDENTE. La prego di concludere...
FABIO GARAGNANI. Basti ricordare le foto degli insorti armati che sono a fianco del cardinale liberato dalla prigione!
PRESIDENTE. Grazie...
FABIO GARAGNANI. Desidero, pertanto, dare atto a questa figura luminosa del suo impegno a favore degli ideali di libertà e di giustizia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, a titolo personale, per un minuto, il deputato Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ella, nel suo intervento, ha fatto riferimento a quanto sia sbagliato esportare con le armi un modello politico; tuttavia, è chiaro che esiste una differenza sostanziale tra chi con le armi (e, certamente, senza grande piacere nell'utilizzarle) esporta libertà e democrazia contro l'oppressione ed il terrore e chi con le armi, invece, diffonde il terrore ed un'utopia che porta nel mondo fame, morte e povertà.
Nell'ambito di questo dibattito, mi premeva ricordare a chi, di fronte a fatti delPag. 32genere, sostiene che ad esprimere il giudizio finale sarà la storia, come il collega Sgobio, che sui fatti di Ungheria - così come, per altro verso, sul nazifascismo - la storia ha già emesso la propria condanna inappellabile.
PRESIDENTE. È così concluso il dibattito sul cinquantennale dell'insurrezione in Ungheria.
Si riprende la discussione (ore 12,40).
(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 1750)
PRESIDENTE. Riprendiamo gli interventi sul complesso degli emendamenti.
Ha chiesto di parlare il deputato Reina. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE MARIA REINA. Signor Presidente, anche se mi appresto a pronunciare in quest'aula il mio intervento sul decreto-legge collegato al disegno di legge finanziaria, per la verità mi auguro che i colleghi avvertano che il timbro della mia voce è lontano almeno quanto lo sono le colonie di questo nostro moderno paese, ovvero i territori della Sicilia e della Calabria!
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 12,42)
GIUSEPPE MARIA REINA. Ciò perché esiste un elemento che, comunque vadano le cose, caratterizzerà, nel futuro, il ricordo e la memoria delle popolazioni meridionali, segnatamente siciliane e calabresi, in ordine al decreto-legge in esame. Si tratta del ricordo della vergogna che si è consumata con l'articolo 14 di tale provvedimento.
Si tratta del modo in cui questo Governo, che ha voluto prendere le distanze, in occasione del dibattito su quanto era avvenuto a proposito di Telecom, da un modo dirigista di intervenire rispetto alle vicende economiche del paese, si accanisce invece, ogni giorno di più, a dimostrare esattamente il contrario, ovvero che le critiche di dirigismo sono vere, compiute, definite e puntuali.
Penso alla vicenda del ponte sullo Stretto, che qualcuno frettolosamente, in quest'aula, ha ritenuto di cancellare attraverso l'approvazione di un documento avvenuta semplicemente con una maggioranza aritmetica (perché credo che molti che hanno votato quel documento, dietro le quinte, abbiano fatto il mea culpa); questo Parlamento ha ritenuto di cancellare, a maggioranza, ma non solo nella maggioranza, quel tema che noi abbiamo posto nel paese, nelle strade, nella comunità e nel popolo meridionale.
Se qualcuno ha pensato che questo tema potesse essere cancellato semplicemente con lo stratagemma di quegli ordini del giorno, si sbaglia, perché noi non solo non arretriamo, ma non ci incaponiamo più di tanto rispetto a ciò che è avvenuto, perché sappiamo che, comunque, nella coscienza del nostro popolo sono vivi l'attenzione, l'anelito e la speranza che questa opera si realizzi.
Il ponte sullo Stretto di Messina, oltre a fungere da leva per una strategia capace di «allungare» l'Italia nel Mediterraneo, fa della Sicilia meridionale e, in particolare, della fascia ionica, una grande piattaforma logistica, capace di dare al nostro paese un ruolo significativo per la linea di frontiera che collega l'Europa al continente africano settentrionale. Lo abbiamo evidenziato anche in altre circostanze, in occasione dello svolgimento delle interrogazioni che durante il question time abbiamo rivolto al Governo.
Chi guarda al ponte sullo Stretto con la lente di ingrandimento, come fanno i più e come, purtroppo, ha ritenuto una certa parte di questo Parlamento, commette un errore imperdonabile, perché dimostra di avere una miope visione del sistema economico mondiale dei prossimi anni. Quando si sarà esaurita la spinta della Cina e dell'India, per una reale necessità di soddisfare innanzitutto i bisogni interni, l'area di produzione e di consumo e,Pag. 33soprattutto, di libero scambio commerciale sarà inevitabilmente il continente africano. Nei prossimi anni, se diamo corso alla realizzazione del ponte, avremo dato alle future generazioni siciliane la leva per capovolgere realmente questo paese.
Ebbene, rispetto a tale questione, mi rivolgo soprattutto ai tanti parlamentari che occupano quest'aula e che provengono proprio dalla Sicilia e dalla Calabria, chiedendo loro se non si rendano conto, al di là dello schieramento al quale appartengono, che ancora una volta, l'ennesima, è stato perpetrato ai danni del nostro popolo un orrendo crimine.
Qualcuno, rispetto al DPEF, ha tenuto a precisare e ad evidenziare come questo Governo, rispetto al Governo Berlusconi, voglia invertire la rotta. Il Governo stesso, infatti, ha denunciato che oltre l'80 per cento degli interventi infrastrutturali del Governo Berlusconi era rivolto al centro-nord. Cosa fa questo Governo per ripagare il meridione? Ci deruba di una delle poche cose concrete che avevamo ottenuto, ovvero lo stanziamento di somme, che non erano esaustive, ma sicuramente importanti, che potevano essere ben utilizzate per avviare i lavori del ponte sullo Stretto. Non ci dà le risorse aggiuntive distraendole da altri parti del territorio nazionale che sono ricche e sulle quali si è appuntata la logica del precedente Governo: no, ci toglie quei soldi che già avevamo e formalmente li redistribuisce ai siciliani. In questa direzione va anche un emendamento approvato dalle Commissioni, relativo al decreto-legge collegato. Vi rendete conto che si tratta di una testimonianza di una gravità assoluta, di una gravità unica? Colonia siamo e colonia dobbiamo restare!
I siciliani ogni giorno di più hanno questa consapevolezza; non ce l'hanno solo quando ci vengono a scaricare i rifiuti o quando continua a perpetuarsi la politica di distruzione delle nostre coste, quella del malessere, della distruzione ambientale, come a Siracusa, a Gela e a Milazzo, nelle cui zone pure non odo le voci dei Verdi, mentre altrove in questo paese sollevano clamore rispetto a vicende simili.
Rispetto a tutto questo, ci rendiamo conto che il decreto-legge fiscale vuole rappresentare una pietra tombale relativamente alle aspirazioni legittime, lontane, annose del popolo siciliano per le quali vi sono, certo, responsabilità dei passati governi nazionali e regionali, ma rispetto alle quali non possiamo sempre cullarci richiamando solo tali responsabilità senza invece avere il senso pieno della nostra attuale responsabilità circa l'evento che si deve determinare.
Per questo motivo, e soprattutto per questo, noi vogliamo, anzi dobbiamo votare contro il provvedimento fiscale in esame, perché, al di là di tutto ciò che porta o non porta, ha perpetrato questo danno enorme nei confronti del nostro popolo, e noi non abbiamo il diritto di tradire i siciliani, assommando il nostro voto a quello di tutti coloro che, dimenticando di rappresentare la volontà popolare, si apprestano invece a rappresentare la volontà delle segreterie e degli «inciuci» che in questo Parlamento purtroppo insistono, dalla maggioranza fino all'opposizione, e rispetto ad una determinata opposizione.
Se qualcuno, quindi, crede di avere definitivamente chiuso tale materia - lo ribadisco - si sbaglia: noi combatteremo la nostra battaglia, anche più in là, attraverso ulteriori elementi. Se oggi diciamo «no» al decreto-legge fiscale, se le condizioni ci porteranno a discuterne in quest'aula, se il Governo non assumerà provvedimenti e iniziative estreme, anche in ordine al disegno di legge finanziaria dimostreremo, attraverso la presentazione di una serie di emendamenti precisi e mirati, come si difendono veramente gli interessi del meridione, dei siciliani, dei territori del sud, che per tanto tempo sono stati vessati e che comunque continuano ad esserlo, qualunque sia la logica formale a cui si richiamano i governi in carica che via via si succedono.
Signor Presidente, in queste motivazioni ho riassunto quale sia la posizione del Movimento per l'autonomia. Sappiamo che non è una posizione comoda. Qualcuno ci deride, qualcun altro, che conoscePag. 34bene la realtà del nostro territorio, invece nell'ombra si preoccupa, perché sa che in avvenire verrà il momento in cui le nostre posizioni dovranno confrontarsi con il consenso popolare. In quel momento saremo tutti chiamati a rendere conto del nostro operato svolto in quest'aula e saremo chiamati dal nostro popolo che vorrà capire se abbiamo tentato di difendere i suoi interessi o se ci siamo invece legati agli interessi codini delle segreterie dei partiti o di chissà quali anguste e oscure strategie, che ancora devono percorrere i meandri di questa legislatura e di questo Parlamento.
Per questo, al di là dell'esito della nostra denuncia, della speranza che ci possa essere un sano e opportuno ravvedimento, non solo nell'interesse dei siciliani, per le cose che ho detto nell'interesse dell'intero paese, del sistema Italia, speriamo che questo ravvedimento vi sia. Se ciò non dovesse avvenire, sappiamo che il nostro compito consisterà nel combattere la nostra battaglia fino in fondo, anche con altre iniziative.
Voglio sorpassare, a piè pari, le tante, diverse ragioni che ci spingerebbero a dire di no a tanti passaggi di questo decreto collegato. Non intendo togliere nulla alla denuncia pubblica che ho fatto in questa sede, oggi, a proposito di quanto perpetrato all'articolo 14, perché voglio che rimanga nella memoria di tutti che questa è la ragione per cui noi bolliamo il decreto fiscale collegato alla finanziaria: chi ha da vedere, vedrà nei prossimi mesi (Applausi dei deputati del gruppo Misto Movimento per l'Autonomia)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole D'Agrò. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento che stiamo discutendo, e al quale sono stati apportati numerosi emendamenti, si collega al progetto di finanziaria che questo Governo ha presentato. A dire la verità, parlare di emendamenti ad un progetto che, in qualche modo, non trova padri, è difficile perché se è vero che il centro destra ha contestato, fin dalle origini, tutta la filosofia che ha generato la manovra del Governo, è altrettanto vero - mi pare - che dalla stessa maggioranza emerge la volontà di staccarsi dal contenuto essenziale dell'intera manovra. Certamente, ci troviamo di fronte ad un decreto-legge e, quindi, dovremmo attenerci scrupolosamente al contenuto in esso previsto. Tuttavia, se non guardiamo quest'ultimo nel contesto generale commetteremmo un errore essenziale nel giudicare i primi passi, importanti, che il Governo Prodi compie in quest'aula. Parlo di primi passi importanti perché la prima manovra finanziaria di questa legislatura dovrebbe rappresentare, in qualche modo, una svolta, certificare la cultura del cambiamento che il Governo Prodi ha immaginato durante la campagna elettorale, ha programmato abbondantemente nella prima fase della legislatura e, poi, partorito con il primo decreto Visco-Bersani: oggi, con questo decreto, domani con la manovra finanziaria nel suo complesso.
Devo dire subito che il progetto è deludente, non tanto perché in sé la manovra non abbia significato. Conosciamo perfettamente e profondamente lo stato del paese. Conosciamo anche le difficoltà che qualsiasi maggioranza ha nel proporre al Parlamento e, quindi, all'intero paese, una finanziaria che sia compatibile, purtroppo, con il grave debito che abbiamo.
Tuttavia, questa non è una finanziaria compatibile con una stagione di grande rinnovamento. Questo decreto non tiene conto dell'eccezionalità che dobbiamo affrontare. Signor sottosegretario, mi sembrava che il problema da affrontare fosse ben delineato nel DPEF ed abbiamo esaminato con grande attenzione quanto era lì previsto.
Nel DPEF il Governo aveva individuato le quattro aree entro le quali giocare la partita dei tagli, nel tentativo di rivoluzionare un sistema che era stato burocraticamente gestito in questi anni con una tradizionale, legittima logica tesa a verificare quanto ogni comparto spendeva e che cosa quindi si poteva assegnargli, piuttosto che razionalizzando dall'interno l'interaPag. 35manovra di spesa. Sapevamo che questo era il sistema delle pensioni, il sistema degli enti locali, il sistema della pubblica amministrazione e il sistema della pubblica istruzione. Entro questi ambiti, avrebbe dovuto canalizzarsi, in qualche modo, una iniziativa del Governo che fosse, però, una iniziativa di riforma del sistema. Tuttavia, una riforma del sistema non può non partire dal primo disegno di legge finanziaria che il Governo propone al Parlamento nella legislatura. In essa, infatti, si incardina tutto il progetto, il programma, il percorso che, in qualche modo, deve andare a compimento nell'arco di tempo assegnato al Governo per realizzare fino in fondo una vera trasformazione. Non c'è alcunché di tutto questo, signor sottosegretario. Il progetto che, anche con questo decreto-legge, ci è stato oggi presentato dimostra, invece, una inversione sostanziale di tendenza. Si tratta di un prelievo piuttosto che di un taglio, si tratta di una contabilizzazione normale di poste in bilancio piuttosto che di una effettiva razionalizzazione della spesa. Anziché tagliare i centri di spesa, signor sottosegretario, si diminuisce l'apporto di denaro ad essi. Oggi, possiamo farlo ma domani, di fronte alla protesta o, peggio ancora, di fronte all'eventualità di nuove elezioni, rimpingueremo immediatamente le poste in bilancio, ritornando, quindi, a quella mediocre logica di cui siamo stati protagonisti, da destra o da sinistra, in questo paese. Mi riferisco alla logica secondo la quale negli ultimi due anni della legislatura si riaprono i cordoni della borsa per realizzare manovre di carattere soprattutto elettoralistico. Allora, avendo la sensazione che questo decreto-legge non abbia padri e che ci sia una fuga dalle responsabilità vere da parte di chi l'ha confezionato, probabilmente c'è la necessità, oggi, di domandarsi su quali emendamenti effettivamente puntare, su quali realtà cercare di concentrare l'attenzione perché qualcosa che pare inemendabile risulti il meno disastroso possibile per la nostra economia.
Questo decreto-legge intende sollecitare la fantasia piuttosto che l'attenzione su un tema che era a caro al ministro Padoa Schioppa, quando parlava del progetto del disegno di legge finanziaria. Anche il provvedimento che stiamo esaminando, infatti, mi pare che dovrebbe inquadrarsi con quelle tre parole d'ordine: equità, sviluppo e risanamento. Ebbene, mi sembra che di sviluppo ne contenga ben poco. Allora, potrebbe essere collegato ai principi dell'equità e del risanamento. Parto dal primo presupposto, quello dell'equità. Signor sottosegretario, se l'equità consiste nel chiedere ad un'impresa, a regime, un prelievo di risorse pari al 60 per cento del prodotto realizzato, le chiedo se non si tratti, piuttosto, di un attentato allo sviluppo. Nel corso di un precedente intervento, affermavo che coniugare equità e sviluppo è molto difficile.
Vi è la necessità di stare molto attenti perché tali ambizioni rischiano di far emergere una contraddizione in termini che, alla fine, bloccano l'uno e peggiorano l'altro. Ho la sensazione che, sotto il profilo del contrasto di interessi - che in questa manovra per la parte essenzialmente fiscale manca - il prelievo, così com'è stato spalmato dal centro alla periferia, si traduca in un disastro per l'economia del nostro paese. Il principio dell'equità è quello di togliere a chi più ha: da questo punto di vista non siamo assolutamente indifferenti, anzi siamo potenzialmente d'accordo. Tuttavia, sviluppato in quel modo porta ad una tassazione differita anche a regime locale e colpisce tutte le persone di ceto medio e le aziende di media consistenza, che sono il nerbo essenziale della nostra economia. Dunque, pare che accentuando il principio di equità fiscale sia stato realizzato un grande attentato allo sviluppo del nostro paese.
Signor sottosegretario, rammento quando dai banchi dell'opposizione con molta oculatezza ci ricordava che questo paese ha difficoltà a crescere ed è ad uno degli ultimi posti nella crescita del PIL. Noi non le abbiamo mai dato torto perché guardavamo i dati con preoccupazione tanto quanto lei. Tuttavia, proprio perché lei ha sempre guardato i dati senza strumentalizzarli,Pag. 36dovrebbe anche ammettere che oggi - essendo ancora in quella situazione e sapendo che strutturalmente abbiamo gli stessi problemi non della precedente legislatura, ma degli ultimi 10-15 anni - un'operazione di questo genere, invece che incentivare la rincorsa allo sviluppo, lo frena e lo deprime: questo è il nocciolo essenziale del problema.
Signor sottosegretario, vi sono problemi che riguardano complessivamente alcuni aspetti attinenti agli emendamenti. Ad esempio, vorrei riferirmi alla tassa di successione, e non sto a guardare se questa si reintroduce. Il Vicepresidente del Consiglio non si era nemmeno accorto che era stata reintrodotta, poi ha dovuto constatare che era stata posta e che viene emendata. Capiamo perfettamente che si tratta di un labirinto di ideologismi, piuttosto che di vera qualità di prodotto. Il collega Capezzone, presidente della Commissione attività produttive, dice che mettere insieme il centro di raccolta del denaro della tassa di successione costa più di quanto si raccoglie. Probabilmente ha ragione, e ricordo che il Governo Berlusconi, quando l'ha tolta, non l'ha fatto con la logica di essere salvifico nei confronti di alcuni ceti o dell'intero sistema. L'ha fatto proprio perché sapeva perfettamente che introitare la tassa di successione per alcuni ceti - perché gli altri sanno perfettamente come farlo - costava più di quanta fosse la resa. Dunque, reintrodurre tale tassa mi dà tanto la sensazione che bisogna riprendersi quanto di buono aveva fatto il precedente Governo. Ciò è estremamente negativo, perché un Governo che vuole cambiare a tutti i costi le riforme del Governo precedente, rischia di far rimanere fermo al palo un paese. Infatti, se ad ogni maggioranza che subentra non si risconosce valore alla legislazione precedentemente approvata, è chiaro che il paese rimane fermo. Dobbiamo toglierci dalla testa questa voglia di rivincita postuma. Dobbiamo mettere in moto un principio molto più sereno per guardare ai problemi del paese e non volere rivincite di poco conto. Quando, poi, con riferimento ai patti territoriali, si legge che questo Governo revocherà gli incentivi, mi chiedo cosa significhi tutto ciò. Peraltro, un articolo del disegno di legge finanziaria stabilisce che, a far tempo dall'entrata in vigore della legge finanziaria, vengono annullati tutti i consigli di amministrazione delle società partecipate, statali ed anche periferiche. Allora, mi domando: è un altro spoils system generato attraverso un provvedimento legislativo così brutale?
È questo che cos'è? Togliamo i soldi che sono già stati stanziati in corso d'opera, facendo uno spoils system anche degli aiuti e degli incentivi? È una domanda che, a questo punto, necessita di una risposta da parte del Governo.
Infine, si afferma che in questo decreto-legge è prevista una riforma del turismo, ma accade qualcosa di molto strano: vi è una riforma di governance del turismo, fatto salvo che, poi, nel disegno di legge finanziaria si impone la tassa di soggiorno. Ciò non ha senso, ancora una volta: bene la governance, male la tassa di soggiorno!
Se è vero che quella che lascia tutti scontenti è una buona legge finanziaria, signor sottosegretario, tuttavia devo constatare che questo malcontento riguarda anche coloro che siedono al banco del Governo. Allora, vi chiedo una cortesia: non so chi possa difenderla. Certamente, con pochi emendamenti, peraltro difficilmente recepibili da parte vostra, è difficile riuscire a modificarla. Dovete compiere un atto di coraggio, facendo qualcosa di più e meglio nelle prossime ore (Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Caparini. Ne ha facoltà.
DAVIDE CAPARINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il DPEF, il decreto-legge Visco-Bersani, il decreto-legge in esame, nonché il disegno di legge finanziaria certificano la volontà punitiva da parte di questo Governo e delle sinistre nei confronti dei ceti produttivi, dei lavoratori, degli artigiani, dei commercianti e deiPag. 37liberi professionisti. Tutti saranno costretti a subire i vostri soprusi e saranno costretti a cedere un altro pezzo della loro libertà.
Qui vi sono due visioni del mondo e della società, vi sono due visioni dell'economia che si radicalizzano in posizioni che vedono profondamente diverse le strutture sociali su cui fondano le proprie economie.
In un insolito momento di sincerità il ministro Padoa Schioppa, in Commissione, nel corso delle audizioni, ha avuto modo di confessare che la legge finanziaria predisposta dal ministro Tremonti, in particolar modo l'ultima legge finanziaria, è un'ottima base di partenza su cui costruire il progetto di risanamento del paese. Purtroppo, nei fatti, questa intenzione viene smentita.
C'è un altro dato che vorrei consegnare a testimonianza di questo dibattito, ossia il fatto che il ministro e gli atti ufficiali del Governo testimoniano che il Governo del centrodestra, negli ultimi cinque anni, ha aumentato la spesa sociale dal 22 al 23,7 per cento, la spesa sanitaria, dal 5,8 al 6,7 per cento del prodotto interno lordo, e che il modello cui fare riferimento è quello di gestione della Lombardia e del Veneto, con buona pace dei colleghi che in quelle regioni contrastano in ogni modo la nostra azione riformatrice.
La spesa per l'istruzione e per l'università è nella media europea. Anche questo è un dato molto importante su cui riflettere, come del resto bisogna riflettere che non è la quantità ma la qualità della spesa a fare la differenza, e il nostro sistema scolastico, purtroppo, paga il fatto di essere antiquato, inadeguato a rispondere alle esigenze della modernità e, quindi, necessita di riforme. Non si capisce, allora, la presa di posizione delle sinistre verso la riforma Moratti, che è stata sospesa.
Nel comparto della sicurezza abbiamo un rapporto addetti cittadini più alto d'Europa. Gli investimenti al sud sono aumentati negli ultimi cinque anni, come sono aumentati gli investimenti nella ricerca.
Tutti i punti su cui si concentrava l'obiezione dell'allora opposizione di centrosinistra alle nostre manovre sono stati smentiti dalle dichiarazioni del ministro Padoa Schioppa e dai dati ufficiali consegnati alla nostra attenzione.
Da questa analisi si evidenzia il fatto che siamo di fronte ad una vera e propria lotta di classe, che, ormai cancellata dalla storia, viene forzosamente portata all'interno di queste aule e reintrodotta per mezzo di leggi. State pagando pegno (è evidente) verso coloro che hanno sostenuto la vostra campagna elettorale, le cooperative, i poteri forti, gli appartenenti alla grande finanza che traggono il maggior profitto dalle vostre operazioni fiscali, imprenditori che non sanno intraprendere. Ne cito uno fra tutti, Luca Cordero di Montezemolo, che più che imprenditore è un abile politico ed un sapiente utilizzatore delle risorse dello Stato.
Ricordo che il nostro Governo non ha aperto, in cinque anni, il portafoglio per sovvenzionare la FIAT, cosa che voi vi siete affrettati a fare con la prima misura utile, dando oltre un milione di euro in quattro anni a coloro che, come sempre, sono disposti a suddividere le perdite, ma mai gli utili con i cittadini.
In questa manovra finanziaria, vi è la traccia del vostro DNA, della vostra componente massimalista, che vi induce a prendere decisioni economiche fuori dal tempo. Aumentate di due punti la pressione fiscale, quando il vostro intento era di intervenire solo sui ceti produttivi (professionisti, artigiani e commercianti). Avete fatto una manovra - anche queste sono dichiarazioni ed atti alla nostra attenzione - che colpisce il 90 per cento dei lavoratori e dei ceti produttivi. State allestendo uno spettacolo tragicomico, inscenando «dilettanti allo sbaraglio». Questo è ciò che siete e che testimoniano gli atti portati alla nostra attenzione, un «balletto» di cifre caotico e controverso che sta insinuando nei cittadini un senso di insicurezza e d'improvvisazione. Altro che serietà al Governo, come avete sbandierato sui manifesti in campagna elettorale.Pag. 38
Non intervenite con i tagli necessari, i tagli agli sprechi di uno Stato che resta centralista e che voi rafforzate nella sua inefficienza, nel suo peso elefantiaco, nella sua burocratizzazione. E mai potreste farlo; è nella vostra natura, nel vostro DNA, nel vostro modo di concepire il mondo e l'economia, è nella vostra necessità di mantenere lo status quo, di garantire il «vecchio» che vi ha portato al Governo. Non c'è rilancio; non c'è crescita; non ci sono i tagli, ma solo centralizzazione.
Vorrei porre l'attenzione su un dato che trovo inquietante: i tagli che avete preparato per gli enti locali, regioni, province e comuni. Parliamo di circa 4,2 miliardi per il 2007, 4,9 miliardi per il 2008 e 5,6 miliardi per il 2009. Ai cittadini che chiederanno alle loro amministrazioni l'acqua potabile, i servizi per i loro figli, le scuole aperte e riscaldate, l'assistenza sociale, i sindaci dovranno dare risposte, che saranno inevitabilmente costituite da nuove imposte. Noi abbiamo fatto un patto di stabilità, in cui era insito il contenimento della spesa pubblica e il taglio degli sprechi, voi avete fatto ben altro, avete dato la possibilità agli enti locali di istituire nuove imposte. Creerete una dinamica per cui gli enti locali si vedranno costretti ad aumentare le imposte avvalendosi della possibilità di aumentare l'imposta di registro e gli estimi catastali. Conseguentemente, aumenteranno le imposte sulla casa, l'ICI, la tassa sui rifiuti, l'IRPEF ed altri balzelli, tra cui quello medievale della tassa di soggiorno.
Quanto costerà questa manovra ai cittadini? L'avete certificato e scritto voi perché, dando la possibilità agli enti locali di istituire nuove imposte, automaticamente potremmo prevedere per i prossimi tre anni un incremento di 13 milioni di miliardi di euro. Inoltre, penalizzate - questo è un fatto molto grave e anche dal punto vista culturale tradisce le vostre origini - le amministrazioni che hanno investito, soprattutto in opere pubbliche. Insomma, le nuove tasse che avete introdotto in questa manovra sono sessantasette. Tutti hanno motivo di essere scontenti, tranne il sindaco di Roma, Walter Veltroni, che ancora una volta è stato beneficiato perché gli avete dato 1,2 miliardi di euro in tre anni. Mentre il sindaco del mio paese non saprà dove trovare le risorse per pagare l'assistenza domiciliare agli anziani, Walter Veltroni con i soldi delle nostre tasse potrà tranquillamente finanziare il nuovo palazzo dello sport e il museo del XXI secolo - di cui, sinceramente, non ne sentivamo proprio bisogno -, le solite operazioni elettoralistiche che, ovviamente, servono a dare lustro a quella che per voi è l'amministrazione fiore all'occhiello da mostrare agli italiani.
Dopo aver criticato per anni la nostra legge sulle grandi opere, il piano Marshall dell'infrastrutturazione del paese - finalmente eravamo riusciti a far ripartire, laddove molti altri Governi avevano fallito, il sistema di infrastrutturazione nel nostro paese -, avete accettato l'impianto che avevamo costruito, però non l'avete finanziato: quindi, ci troveremo con la cronica mancanza di infrastrutture. Abbiamo visto il pietoso spettacolo che i due ministri Bianchi e Di Pietro hanno dato in aula e, a distanza di qualche mese, non abbiamo ancora capito chi si occupa di cosa, in questo proliferare di poltrone ministeriali e di posti di sottosegretariato. Comunque sia, chiunque abbia vinto, il fatto è che hanno perso i cittadini.
Il dato che consegniamo è che è stato sospeso, di fatto, l'iter di realizzazione del corridoio n. 5; corridoio di collegamento est-ovest, che riporterebbe la Padania e il nord del nostro paese nella Mitteleuropa (luogo che gli spetta di diritto) e non, come voi cercate di fare, a nord dell'Africa.
Secondo i presupposti della vostra visione, il nostro paese dovrebbe spostare il proprio baricentro verso il Mediterraneo anziché dove, invece, dovrebbe posizionarsi. Il mio intervento su questo provvedimento, del resto, non può prescindere dalle valutazioni negative del rating che, di questa visione, fa una critica molto profonda: l'Italia è oggi al livello della Grecia. E noi ve l'avevamo detto, già dieci anni fa, quando Romano Prodi svendette la nostraPag. 39economia per entrare in Europa. Quando svendette il nostro sistema produttivo, noi vi avevamo avvisati sottolineando che si dovevano fare le riforme strutturali, si doveva cambiare il paese, riformarlo prima di una qualsiasi prospettiva di ingresso alla pari con gli altri competitor europei.
Così non avete voluto fare; è stata una scelta politica, dettata da ragioni politiche e non economiche. Oggi, i nodi vengono al pettine e noi siamo allo stesso livello della Grecia che, allora, invece, optò per una strada completamente diversa. Noi, in Padania, continuiamo a pagare il peso dell'inefficienza, continuiamo a pagare l'assistenzialismo ...
PRESIDENTE. Deve concludere...
DAVIDE CAPARINI. Mi avvio alla conclusione, Presidente. Continuiamo ogni anno ad essere costretti a pagare le pensioni non coperte dai versamenti; continuiamo a pagare le vostre politiche di privatizzazioni senza libero mercato che ci hanno consegnato tariffe inefficienti; continuiamo a pagare un carico fiscale di uno Stato onnipresente che deve mantenere la sua burocrazia. È affrontando tali questioni che avreste dovuto iniziare a riformare il paese, ma è proprio da tutto ciò che voi non sarete mai in grado di iniziare perché non volete intervenire, non è nella vostra natura, non è nelle vostre intenzioni. Ed è per questo che la storia vi vedrà sconfitti (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pini. Ne ha facoltà.
GIANLUCA PINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, può essere superfluo parlare di questa manovra finanziaria - probabilmente, la peggiore che la storia repubblicana ricordi - dichiarando che è illiberale e fa giochi di prestigio; giochi che, certe volte, come lei, Presidente, ricorda bene, le sono stati in qualche modo affibbiati con l'espressione «finanza creativa», ma anziché di finanza creativa si trattava di tutt'altro, visti i risultati del bilancio di cassa dello Stato negli ultimi mesi, i quali hanno evidenziato un notevole incremento delle entrate anche in funzione di quella scelta coraggiosa che il Governo Berlusconi fece nell'utilizzare i condoni, ma costringendo per tale via all'emersione dal nero tantissime situazioni irregolari. Si tratta di situazioni che adesso fruttano continuamente - quindi in maniera strutturale - maggiori entrate per le casse dello Stato. Ebbene, parlare di questa finanziaria dicendone tutto il peggio possibile sembra quasi superfluo, tant'è che al nostro grido di allarme sulla pericolosità di queste scelte finanziarie e fiscali si sono poi associati tutta una serie di economisti, di autorevoli quotidiani economici e finanziari, non solo italiani ma internazionali. Mi riferisco al Financial Times di oggi e di ieri e al Wall Street Journal e a tutta una serie di analisi che hanno portato, poi, di fatto, per forza di cose, all'abbassamento del rating. Certo, si vuole in qualche modo far passare tale declassamento in maniera silenziosa ma, in realtà, esso evidenzia un problema strutturale di questa finanziaria: non vi sono interventi concreti per quanto concerne il taglio della spesa pubblica, il che non significa, caro sottosegretario, taglio alla spesa previdenziale o alle spese correnti dei comuni che erogano servizi fondamentali ai cittadini. Vuol dire, infatti, tagliare tutte le prebende che non vanno assolutamente a vantaggio dei cittadini, ma riferibili a alcune logiche clientelari di cui siete pesantemente schiavi, come dimostrate con provvedimenti quali il decreto-legge in oggetto, collegato alla legge finanziaria, il decreto Bersani e il DPEF. Io - ma non sono il solo, ascoltando la gente comune per strada - ritengo che il decreto-legge collegato alla legge finanziaria, la finanziaria stessa e tutti gli altri provvedimenti di natura economica che abbiamo avuto la sfortuna di dover discutere nel corso della nuova legislatura del Governo Prodi, contengano un mix pericolosissimo di demagogia e dilettantismo.
Vi è demagogia perché si parla di redistribuzione del reddito e di aiuti concretiPag. 40alle famiglie e allo sviluppo economico, ma si ci si ritrova con tagli pesantissimi ai danni dei comuni, ovvero di chi eroga di fatto servizi fondamentali come quelli sociali ai cittadini e alle famiglie. Allo stesso tempo, si dice di aver fatto aggiustamenti sull'IRPEF che però sono ridicoli perché si tratta di 40 euro in più all'anno su uno stipendio medio di 18-22 mila euro. Dovete scusarmi se non cito le cifre esatte, ma questa finanziaria ha anche un'altra pecca grave perché siamo costretti continuamente a parlare di qualcosa di così fluido da modificare le cifre, passate da 30 a 33 e poi a 40 miliardi di euro, sperando che non si vada oltre. Date la sensazione di incompetenza ed è ciò che state dimostrando al paese, ovvero incompetenza nel gestire problemi strutturali come lo sviluppo economico e il sostegno per le famiglie.
Ripeto che si tratta di anche di demagogia perché si parla di taglio del cuneo fiscale per poi rapinare letteralmente sei miliardi di euro dalle casse delle aziende, dicendo che il TFR verrà gestito dall'INPS. Tuttavia, dalla relazione si legge chiaramente che il TFR non sarà gestito dall'INPS, ma solo erogato in futuro perché finirà nelle casse dello Stato tramite il Tesoro. Allora è demagogia perché non state aiutando le aziende, bensì le affossate.
Non so se ve ne siate resi conto dall'alto della vostra scienza, ma cosa faranno le aziende con 53, 60 o 70 dipendenti immediatamente dopo che sarà stato varato il provvedimento che prevede il tetto delle 50 unità? Li divideranno a metà o addirittura licenzieranno i dipendenti in esubero rispetto al numero di 50. È questo il grande risultato che siete riusciti ad ottenere: non garantire più il trattamento di fine rapporto per i lavori dipendenti e creare una tale confusione all'interno delle aziende che esse non sanno più, al momento, se proseguire con un minimo di investimenti per essere competitive. Vi siete infatti completamente dimenticati della competitività. Vogliamo ricordare inoltre il dilettantismo, contenuto nel decreto-legge collegato, riguardo all'evasione fiscale? Esiste una regola molto semplice che il Presidente potrebbe spiegare meglio di me, essendo un noto economista. La pressione fiscale è direttamente proporzionale all'evasione fiscale, quindi più aumentate le tasse, come state facendo, e più costringerete la gente, che per poter campare dovrà arrabattarsi, a pagare il meno possibile. In questo momento le aziende, con tutte le vessazioni che avete posto in essere, non ce la fanno più a competere non solo sul piano internazionale, ma anche su quella nazionale. Infatti, esiste la concorrenza sleale dei paesi emergenti dove non vi sono garanzie per il lavoro, con buona pace della maggioranza di centrosinistra e, in particolare, della sinistra radicale. Essa difende i lavoratori solo a parole, ma non si muove quando devono essere messi in campo provvedimenti urgenti a tutela del made in Italy.
In maniera timida, anche perché il problema era piuttosto semplice da risolvere, avete messo mano al problema delle frodi intracomunitarie sull'IVA nelle transazioni delle autovetture.
Non avete capito, però, che si tratta di un palliativo, perché in quel meccanismo vizioso che si instaura negli scambi intracomunitari e nelle frodi «a carosello» si troverà un sistema per aggirarlo. Non avete avuto, invece, il coraggio di seguire la strada intrapresa dalla Gran Bretagna, che due settimane fa ha approvato una legge che mette in capo al business to business, cioè agli scambi commerciali all'ingrosso, l'esenzione totale dell'IVA. In questa maniera avreste eliminato veramente le frodi «a carosello», non facendo - permettetemi di dirlo - figure da dilettanti. La Gran Bretagna si è adeguata ad una sentenza della Corte di giustizia europea e ha compreso qual è il meccanismo per evitare frodi che costano miliardi di euro allo Stato.
Visto che si sta intervenendo sul complesso degli emendamenti, voglio ricordare al sottosegretario che ho predisposto un emendamento volto ad introdurre un altro meccanismo che potrebbe tranquillamente evitare frodi all'interno del sistema paese: quello dei depositi IVA. Concedere l'utilizzoPag. 41del deposito IVA a chiunque, anche ad un'azienda neonata, visti anche i labili controlli da parte della Guardia di finanza - 140 mila dipendenti in grado di controllare di fatto soltanto l'1 per cento dei contribuenti - senza fare in modo che le aziende che utilizzano tali depositi esistano veramente, siano in regola con i versamenti F24, dimostrino di essere veramente operative sul territorio, provocherà buchi di bilancio enormi. Nelle more del caos causato dalla sentenza europea sull'IVA nei confronti dell'Italia, molte aziende cartiere si stanno adoperando per utilizzare i depositi IVA in questa maniera. Invito pertanto il Governo a valutare attentamente perlomeno questo emendamento, visto che non mi pare vi sia stata attenzione nei riguardi degli emendamenti di merito dell'opposizione. Attenzione, questo emendamento potrebbe determinare un gettito stimato, calcolato sulla base dei dati forniti dal Ministero dell'economia, di circa 300 milioni di euro. Non vogliamo, però, che questa somma venga destinata a favore di cooperative o simili. Visto che si parla di sviluppo, noi abbiamo già indicato chiaramente che questo gettito dovrà essere impiegato per sviluppare la banda larga nelle zone montane. Parliamo di 7 milioni di cittadini, di 77 mila aziende e 3 mila comuni montani, che ancora nel 2006 non sono serviti da una rete Internet decente e viaggiano ancora con il doppino telefonico.
Come vede, signor sottosegretario, noi siamo anche capaci di dialogare su questioni di merito, adesso sta a voi dimostrare se volete realizzare veramente lo sviluppo o se volete fare della semplice demagogia. Questa è la questione di fondo. Purtroppo, a noi sembra che sulla stragrande maggioranza del provvedimento vi sia solo un tentativo di fare della demagogia, non di risolvere strutturalmente i problemi del paese.
Dicevo prima che sostanzialmente non avete introdotto tagli alla spesa pubblica. Le cito un esempio: 100 e passa milioni di euro spesi per studi di ricostruzione dei Balcani, quando la guerra è finita da almeno dieci anni! Magari questi soldi andassero in qualche modo alle imprese italiane che mirano a prendere delle commesse per costruire ospedali o quant'altro! Questi soldi vanno ai soliti noti: parlo di ICE, di SIMEST e di tutti gli enti dello Stato che non fanno altro che spartirsi in maniera clientelare dei fondi. Di questi esempi ce ne sarebbero altri centomila. Nel momento in cui avrete il coraggio di metter mano a questo tipo di spesa, allora probabilmente il rating di questo paese potrà anche essere rialzato, ma voi siete schiavi ideologicamente e state pagando delle cambiali alla sinistra ideologica. Parlo dell'estrema sinistra che vuole far pagare in qualche modo, pesantemente, alle piccole e medie imprese, ai liberi professionisti e quindi alla Padania e al Nord lo scotto di essersi fatto scippare le elezioni con dei brogli che stiamo sistematicamente provando. Non vedo quale sia la possibilità per questo Governo di progredire.
Forse non vi state rendendo conto che il paese reale, quello che sta fuori di quest'aula - non si tratta soltanto delle 25 o 30 mila persone che erano a Vicenza l'altro giorno, ma di milioni di persone veramente arrabbiate (non voglio usare altri termini per rispetto del decoro di quest'aula) -, vi seppellirà dopo che sarà stato approvato il disegno di legge finanziaria. I primi provvedimenti che avete adottato vanno a disintegrare totalmente il tessuto economico e produttivo, il motore economico del paese, il nord, la Padania! Vi criticano gli stessi vostri sindaci: Cacciari, tanto per citarne uno, anche oggi spara a zero sul disegno di legge finanziaria dalle colonne di un quotidiano nazionale (e Cacciari non è l'unico).
Concludo, signor Presidente, invitando il Governo a ragionare anche su un altro problema fondamentale, che riguarda, in parte, la finanza, ma che sta a cuore alle aziende che ancora hanno il coraggio di essere produttive e di cercare la competizione anche sui mercati internazionali. Non avete previsto nulla per il contrasto alla concorrenza sleale dei mercati cinese, indiano, vietnamita, e via dicendo. Forse, signor sottosegretario, lei non sa (ma miPag. 42auguro lo sappia) che, al momento, riusciamo a controllare meno dell'1 per cento della merce in ingresso nei nostri porti. Riusciamo a controllare 42 mila container sui 4,8 milioni in transito: questo riusciamo a fare; tutto il resto, non si sa. Facciamo tutto su base documentale e poi ci lamentiamo che arriva la concorrenza sleale! Ebbene, per recuperare competitività, vanno realizzati interventi strutturali anche in questo campo.
Signor sottosegretario, la invito a leggere un articolo (forse, l'ha già fatto) pubblicato da Il Sole 24 Ore di oggi: in esso si parla di un signore che ha messo in piedi una struttura tale da riuscire sistematicamente, anche corrompendo alcuni funzionari (lo afferma tranquillamente, e spero che la magistratura indaghi al riguardo), a fare entrare merce contraffatta in Italia; questo signore parla del porto di Napoli come del porto migliore per farlo. Cominciate a guardare a questi problemi reali del paese, non pensate sempre e soltanto alle cooperative (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Grimoldi. Ne ha facoltà.
PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, vengo da una terra che ha il grandissimo onore di essere citata espressamente nel disegno di legge finanziaria: nel testo che il Governo ha intenzione di varare vi è, infatti, un richiamo alla provincia di Monza e della Brianza, istituita nella passata legislatura, con legge dello Stato, insieme alle province di Fermo e Barletta. Abbiamo il grande onore di essere citati nel disegno di legge finanziaria perché è vostra ferma intenzione, al di là delle alchimie che state mettendo in campo nel territorio, di far scomparire la provincia.
Innanzitutto, va fatta un'osservazione di carattere procedurale. La provincia di Monza e della Brianza è nata a seguito dell'azione di diversi comitati che, già dieci anni fa, hanno lavorato per creare una certa sensibilità ai fini della sua istituzione. Dopo che, all'inizio degli anni Novanta, Umberto Bossi, per primo, ha depositato un progetto di legge per l'istituzione della provincia di Monza e della Brianza, si sono espressi tutti i consigli comunali, che hanno votato il più delle volte all'unanimità per aderire alla provincia, si sono espressi la regione Lombardia ed il consiglio regionale, il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati. Infine, la provincia è stata istituita, tanto che nella provincia di Milano vi è un assessorato apposito per la provincia di Monza e della Brianza.
Ebbene, nel disegno di legge finanziaria, così, d'amblais, la fate scomparire! Vi siete accorti, probabilmente, che in Brianza non vi votano neanche più i vostri tesserati e, allora, che cosa avete fatto? Avete cercato di camuffare, di modificare in fretta e furia la scomparsa di queste nuove province, stabilendo che sarà istituito un comitato che dovrà aggregare le costituende province, prendendo in considerazione, però, soltanto quelle sotto i duecentomila abitanti.
La provincia di Monza e della Brianza è la ventiduesima provincia del paese per numero di abitanti e, quindi, sicuramente non si annovera tra le predette, ma leggendo tra le righe del disegno di legge finanziaria ci si accorge che anche qualora foste così magnanimi da lasciarci la nostra provincia, essa sarebbe comunque una provincia «a metà», nel senso che non avete previsto, nella terza città della Lombardia, il comando provinciale dei carabinieri, il comando provinciale dei vigili del fuoco, la questura. È, quindi - come detto - una provincia sostanzialmente «a metà». Tanto per essere chiari, a Monza, terza città della Lombardia per numero di abitanti, i vigili del fuoco hanno un'autopompa con scala di 15 metri; ciò significa che quando brucia una palazzina alta 16 metri, devono telefonare a Milano e chiedere un'autopompa che abbia una scala alta più di 15 metri. Questa è la situazione di una città che paga - solo Monza, non il resto della provincia, di cui non dispongo i dati - 2 mila miliardi di vecchie lire allo Stato centrale: non ha neanchePag. 43una scala per i vigili del fuoco superiore a 15 metri, e voi pensate bene di togliere il comando provinciale!
Tra l'altro, mi viene in mente che nel vostro provvedimento e nel vostro disegno di legge finanziaria non vi è traccia di infrastrutture, di grandi opere, e nemmeno di piccole opere, nel senso che, ad esempio, iniziando a spaziare oltre il mio ambito territoriale, vi è un viale a Monza che si chiama viale Lombardia ed è famoso, perché è la strada che collega Monza a Milano, ossia collega la terza alla prima città della Lombardia per numero di abitanti. Ebbene, nonostante vi siano progetti definitivi, sono undici anni che la città di Monza, che - da sola - paga i 2 mila miliardi di cui parlavo in precedenza, aspetta l'interramento di viale Lombardia. Dunque, vorremmo vedere fatti concreti, una volta tanto, ma vorremmo vederli per quanto concerne tutto il sistema delle infrastrutture che, nel disegno di legge finanziaria, viene invece assolutamente dimenticato. Infatti, a parte i soldi stanziati per la Salerno-Reggio Calabria, a me delle paroline che usate per dire che vi è l'impegno per realizzare la Pedemontana interessa fino ad certo punto. Noi, in Brianza - e, più in generale, in Lombardia - vorremmo vedere fatti concreti per la viabilità, per le opere e per le infrastrutture. Confindustria - quindi, non il sottoscritto - continua a ripetere che in Lombardia - è la regione, consentitemi, che contribuisce maggiormente al PIL del paese e tiene in piedi tutta la baracca, compresi i nostri stipendi - le merci viaggiano a 24 chilometri orari, e nonostante ciò non vi è traccia di investimenti nelle grandi opere nel disegno di legge finanziaria. Della Brescia-Bergamo-Milano non si sa nulla. Per la Pedemontana vi è un impegno, ma diteci quanti soldi avete intenzione di stanziare! Diteci se volete realizzarla tagliando a metà le città - così come avete intenzione - o se volete fare un'opera decente, che passa sottoterra, con - finalmente - quegli investimenti cospicui che un territorio dinamico e produttivo come il nostro meriterebbe!
Di tutte le altre opere, nel resto del nord non ve n'è proprio traccia. Infatti, al di là di 150 milioni di euro stanziati per il MOSE, cifra che lei, signor rappresentante del Governo, sa bene essere piuttosto ridicola, non vi è traccia, ad esempio, della Asti-Cuneo o della Cremona-Mantova. Sulla TAV credo abbiate anche alcuni piccoli problemi di carattere politico al vostro interno. La sostanza è che non solo la vostra finanziaria, come hanno detto molti altri colleghi, aumenta la tassazione, ma soprattutto non ha alcuna progettualità per migliorare il sistema paese e per svilupparlo.
Passando ad una visione più globale del provvedimento e del disegno di legge finanziaria, si può dire che essi hanno condotto al declassamento dei conti pubblici, qualche giorno fa, portando così il paese allo stesso livello della Grecia. Per me, ciò è abbastanza triste e strano, soprattutto perché noi veniamo dalla cosiddetta Padania, che è economicamente «un piccolo Giappone, a sud della Germania», come diceva il professor Miglio. La Padania è una delle regioni più produttive d'Europa ed ha al proprio interno una tra le quattro aree europee maggiormente produttive per PIL, quindi, con la più alta ricchezza prodotta; le altre tre aree sono la Ruhr, l'Ile de France e Londra. Nonostante ciò, la Padania, che da sempre è un po' il cuore dell'Europa, ora si trova, secondo alcune agenzie internazionali di rating, allo stesso livello del Botswana! Restiamo, quantomeno, attoniti perché non riusciamo a capirne le motivazioni, anche se leggendo il vostro provvedimento ed il vostro disegno di legge finanziaria le motivazioni effettivamente ci sono tutte. L'effetto sicuro e scontato di questi provvedimenti è - e non sarà - l'incremento dei tassi di interesse. Tale incremento porta sostanzialmente a tre conseguenze: la prima riguarda il settore produttivo che subisce, inevitabilmente, una riduzione degli investimenti a causa del maggior costo per l'accesso al credito. La seconda concerne il settore della spesa pubblica, che registrerà, a causa dei tassi di interessi più elevati, l'incremento del costo del debitoPag. 44pubblico. La terza - e sarà un dato di fatto - è che vi saranno interessi bancari più onerosi e più costosi per chi ha un mutuo a tasso variabile o per chi ne aprirà uno nuovo.
I mutui vengono accollati da chi magari vuole comprarsi la casa o l'automobile per andare a lavorare, dai cosiddetti «più poveri» che tanto si dichiara di voler difendere. Qualcuno dovrebbe dire ai «più poveri» che adesso, quando andranno a chiedere un mutuo, magari per comprarsi la casa o per andare a lavorare, dovranno pagare più interessi per colpa di questa manovra finanziaria e di questo decreto. L'effetto congiunto dell'incremento dei tassi di interesse e della tassazione è il contenimento dei consumi e, quindi, la conseguente riduzione del PIL e della ricchezza del sistema paese. Come al solito, vi è una componente politica che ama così tanto i poveri che fa di tutto - e probabilmente non dorme neanche la notte - per pensare come riuscire a crearne di nuovi.
Tutti i provvedimenti adottati dal Governo, prima con la Visco-Bersani, poi con il decreto-legge n. 262 del 2006 e infine con la legge finanziaria, non contengono nulla di nulla - assolutamente niente di niente -, per favorire gli investimenti nel settore produttivo o per limitare l'incremento della tassazione.
Si propone di rubare il TFR alle aziende. Ebbene, esso verrebbe rubato alle aziende ma anche ai lavoratori! Non so se vi è la piena consapevolezza che, in questo paese, il 90 per cento delle imprese hanno meno di 10 dipendenti. Togliere il TFR significa sostanzialmente privare queste aziende di liquidità a buon mercato, perché pagherebbero una rivalutazione del 3 per cento. Infatti, queste imprese dovrebbero andare in banca, chiedere un prestito e quindi pagherebbero degli interessi sicuramente superiori. Non devo poi essere io ad insegnare che, oltre agli interessi, vi sono in questo caso anche le spese bancarie che, il più delle volte, incidono non poco anche rispetto agli interessi. In più, non è ben chiaro chi pagherà la rivalutazione del 3 per cento. Infatti, questo TFR andrà alle casse dell'INPS, ma questo istituto pagherà tale rivalutazione? Non sappiamo neanche se il capitale tornerà mai! Pertanto, vorremmo sperare di avere qualche garanzia in più.
Non sono un ragioniere ma, nonostante questo, so bene che se prendo a prestito dei soldi che non sono miei, a bilancio, devo mettere non un incasso, ma un debito. Non si capisce perché, nonostante vi siate accaniti così tanto in passato sul falso in bilancio pur con tante ragioni, oggi vi sia un falso in bilancio nella legge finanziaria.
Infatti, il TFR che voi andrete ad incassare non è denaro fresco per lo Stato, ma è un debito, a meno che non vogliate dirci che non vi è alcuna intenzione di rendere poi questi soldi al lavoratore. Un piccolo imprenditore, una piccola e media impresa che rappresenta il 90 per cento della produttività del sistema paese, se non possiede un capannone da ipotecare non ottiene i soldi dalle banche. La scorsa settimana si sono svolte le audizioni con i rappresentanti delle banche che hanno confermato ciò che vi stiamo dicendo: non vi è nessuna strategia per favorire l'accesso al credito delle piccole e medie imprese, qualora venga rubato loro il TFR, così come ai lavoratori.
I piccoli e piccolissimi imprenditori, artigiani o commercianti, arrivano addirittura ad ipotecare la propria casa per poter accedere al credito bancario e poter continuare a fare una cosa che in questi palazzi è così strana: lavorare!
Qualcuno di questi la casa rischia persino di perderla, per colpa di queste manovre finanziarie e del decreto-legge in esame! Se sottraiamo il TFR alle piccole imprese, togliamo loro il fiato e la linfa vitale, ed esse non possono continuare, evidentemente, a lavorare!
Vi sono componenti minoritarie di questa maggioranza che, comunque, bisogna riconoscere essere dotate di buonsenso, poiché hanno espresso alcuni dubbi ed hanno sottolineato questi timori; magari hanno usato toni diversi dai nostri, maPag. 45hanno manifestato, sostanzialmente, le stesse opinioni, e di ciò va dato loro atto.
Desidero sottolineare, quindi, la buona fede e le buone intenzioni di una parte della maggioranza, ma il problema è che questo «scippo» del trattamento di fine rapporto, che avete o avevate in mente di compiere nei confronti anche delle piccole e medie imprese, rappresenta comunque un errore di fondo. Infatti, ciò ha lanciato segnali negativi che purtroppo restano, a prescindere dall'esito definitivo della manovra finanziaria. Adesso, infatti, la gente porta i soldi all'estero e non investe più, perché è diventato troppo rischioso! Con questi segnali, voi invogliate la fuga degli imprenditori! Non è lanciando tali messaggi, infatti, che si può creare un clima favorevole agli investimenti e tentare di garantire maggior lavoro per i giovani.
A proposito, in quanto giovane voglio aprire una piccola parentesi, visto che avete innalzato anche i contributi sociali per gli apprendisti: bel modo per aiutare i giovani! Anche su tale aspetto farete sicuramente marcia indietro, poiché state indietreggiando su tutto, ed allora vorremmo capire quale sarà la versione finale della manovra finanziaria!
Vi è, inoltre, la questione della riduzione del cuneo fiscale. Si tratta di una bandiera che è stata tanto sventolata...
PRESIDENTE. La prego di concludere!
PAOLO GRIMOLDI. Concludo, signor Presidente. Vorrei formulare un'unica osservazione di fondo sul cosiddetto cuneo fiscale.
Tale misura è stata sbandierata da una parte della maggioranza e, soprattutto, da alcuni giornali che, guarda caso, sono di proprietà delle stesse grandi imprese che otterranno i benefici maggiori. Vorrei osservare che destinando i due terzi della riduzione del cuneo fiscale alle aziende, ne trarranno giovamento soltanto quelle settecento - ribadisco: settecento, sette volte cento! - imprese che occupano un numero cospicuo di dipendenti. Al lavoratore (che avrà 20 euro in più in busta paga) o alle piccole aziende (che potranno risparmiare 100 o 150 euro), invece, tale intervento non gioverà sicuramente per nulla, a fronte delle sessantasette imposte che introducete con questa manovra finanziaria!
Duole constatare che anche quel poco che state tentando di fare per contrastare l'evasione fiscale sarà concentrato esclusivamente su chi le tasse, comunque, già le paga, vale a dire la gente del nord. Infatti, non serve la tracciabilità bancaria per chi non possiede neanche un conto corrente, poiché vive nel sommerso più totale, come fanno giù al sud! Purtroppo, per tali situazioni non avete assolutamente previsto alcun provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato al prosieguo della seduta.
Sull'ordine dei lavori.
PAOLA BALDUCCI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, intervengo solo per una precisazione. Nella seduta di ieri, a causa di un disguido tecnico, non è stato possibile consegnare agli uffici il testo della mia dichiarazione di voto finale sul disegno di legge n. 1780.
Nel confermare la posizione favorevole del gruppo Verdi sul provvedimento, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione del testo della mia dichiarazione di voto in calce al resoconto della seduta odierna. La ringrazio anticipatamente, Presidente.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,30.
La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 15,35.Pag. 46
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Bimbi, Capezzone e Lucà sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta. Pertanto i deputati complessivamente in missione sono sessantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Si riprende la discussione.
(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 1750)
PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono iniziati gli interventi sul complesso degli emendamenti.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Bodega. Ne ha facoltà.
LORENZO BODEGA. Signor Presidente, nell'intervenire sul complesso degli emendamenti presentati al decreto-legge n. 262 del 2006, non si può fare a meno di spaziare, facendo riferimento al disegno di legge finanziaria che ci apprestiamo ad esaminare. Nel merito, il decreto-legge in esame contiene nuove disposizioni in materia di accertamento, riscossione, contrasto all'evasione ed elusione fiscale, prevedendo il potenziamento dell'amministrazione economico-finanziaria con disposizioni in materia di base imponibile agricola e di catasto e via seguitando. Anche in questo caso, si può osservare nella stessa maggioranza una carenza di collegialità nella preparazione degli interventi, nonché un certo dissenso sulla linea del ministro Padoa Schioppa e del suo viceministro Visco.
Il Premier Prodi ha affermato che non si riscontrano difficoltà insormontabili e che si sta procedendo più veloci e più spediti rispetto al passato, ma così come sta operando questa maggioranza, non si sta facendo il bene del paese: non si stanno facendo gli interessi dei cittadini, colpendo e tartassando solo alcune categorie ed utilizzando metodi polizieschi e di controllo sui cittadini onesti, come dire che i furbi la faranno sempre franca e gli onesti pagheranno sempre! Siamo in una fase della discussione parlamentare che non ci consente di sapere quali disposizioni di questo provvedimento e della prossima finanziaria saranno definitivamente approvate: sono state fatte tante marce indietro e tante modifiche alla manovra.
Sono letteralmente stupito dalla mancanza di richiami significativi alle riforme che dovrebbero risolvere le questioni aperte sui conti pubblici, specie se si procederà con la riforma fiscale che completerebbe il processo di valorizzazione delle autonomie locali che la Lega nord rivendica come sua battaglia prioritaria.
Dopo aver ascoltato con attenzione gli interventi che mi hanno preceduto, devo rilevare che la musica è diventata ritornello: alcune osservazioni in parte si possono anche condividere, ma ciò che non approvo è il tono, lo spirito, la mancanza di prospettiva.
Il deficit pesantissimo del nostro paese viene da lontano.
Sgombriamo il campo da equivoci: non è colpa dei Governi della seconda Repubblica, è un debito ricevuto in eredità da gestioni che certamente precedevano l'ingresso della Lega nella vita politica prima del nord e poi dell'intero paese.
I titoli di alcuni giornali forniscono la giusta definizione di questa manovra finanziaria, evidenziando che si tratta di una finanziaria che mortifica le imprese, di una manovra contro la crescita economica. Tuttavia, i sindacati sono soddisfatti, affermando che si tratta di una vittoria di pensionati ed operai.
Il provvedimento in esame non trova il consenso dell'opposizione. Si sarebbero dovute compiere scelte più coraggiose, ad esempio sui contributi previdenziali in agricoltura, settore che ha subito gravi danni a seguito dei timori causati daPag. 47ultimo dalle notizie allarmistiche sull'influenza aviaria. Scelte che si sarebbero dovute fare anche riguardo alla formazione dei pubblici dipendenti e alla contraddittorietà della limitata razionalizzazione della spesa, con il tentativo di valorizzare un istituto anziché le competenze delle regioni, secondo quanto previsto dal Titolo V della Costituzione. Vi è delusione per una manovra che non ha nulla di europeo o di riformista, che prevede poco o nulla per l'innovazione e la competitività di sistema, che penalizza le piccole imprese sottraendo loro risorse per gli investimenti.
Queste proposte hanno il sapore amaro della ricerca del consenso ad ogni costo. Senza contare poi i tagli agli enti locali che, oltre a bloccare gli investimenti per le infrastrutture, li obbligheranno ad inasprire la pressione fiscale. La maggioranza, in campagna elettorale, si era presentata con la garanzia che avrebbe seguito una politica di sviluppo, ma finora non si è visto nulla di strutturale che possa migliorare la competitività.
Sono forti le preoccupazioni che tutte le associazioni di categoria nutrono su questa manovra finanziaria. Colpite i piccoli imprenditori con un impatto elevato; infatti, se si considerano soltanto la revisione degli studi di settore e gli interventi sulle pensioni, gli artigiani pagheranno il 40 per cento del totale dei sacrifici imposti alle imprese.
Non posso non evidenziare come lo spirito della manovra mortifichi i positivi segnali di ripresa che, in questi mesi, l'economia ha manifestato, con il rischio che si freni sul nascere un processo virtuoso che sembrava essersi innescato. L'inasprimento del regime fiscale drena risorse che avrebbero potuto essere ulteriormente investite.
Tornando sulla riduzione di trasferimenti agli enti locali, si finirà, da un lato, per togliere risorse agli interventi sul territorio da parte di comuni, province e regioni e, dall'altro, si registrerà un inasprimento delle tasse e dei tributi locali. D'altra parte, non si rinvengono provvedimenti dai quali emerga l'intenzione del Governo di provvedere al potenziamento delle infrastrutture. Ciò determinerà inevitabilmente un danno, soprattutto per una regione come la Lombardia, la cui rete stradale ed autostradale è inadeguata a sostenere il volume attuale di traffico. Ci auguriamo che opere come la Brescia-Bergamo-Milano, la pedemontana e la tangenziale esterna di Milano, oltre alla Lecco-Bergamo, possano ricevere l'atteso finanziamento. Il rischio è quello di una paralisi dei trasporti lombardi, con gravi danni per il tessuto imprenditoriale della regione, che contribuisce per un quarto al PIL complessivo del paese. I sindaci delle nostre città e dei nostri paesi non sanno più che pesci pigliare! Fra patti di stabilità e tagli dei trasferimenti da parte dello Stato, sono alle prese con la formazione dei bilanci di previsione 2007 e dovranno preparare una stretta fiscale sui propri cittadini, con l'aumento della pressione fiscale e magari anche come una diminuzione dei servizi.
Vorrei far rilevare un «piccolo» argomento: il prezzo del greggio sta allegramente viaggiando verso gli ottanta dollari al barile (Una voce: Cinquanta, ieri!). Cinquanta! Esperti prevedono che, se si dovesse toccare una quota più alta, il rischio di collasso dell'intera economia mondiale sarebbe paurosamente realistico. Tuttavia, ciò che tocca direttamente il nostro piccolo orizzonte è sempre quel numerino, che compare sul display della pompa di benzina, quando facciamo rifornimento. L'immediato interrogativo è se davvero quel numerino rappresenta il costo di ciò che ci viene versato nel serbatoio, ma la risposta è: certamente no! Visto che oltre il 70 per cento del prezzo alla pompa è rappresentato da tasse, imposte, balzelli e una tantum, che, per interessata ignoranza della lingua latina, sono diventate una semper! In proposito, sarà bene ricordare che, quando riempiamo il serbatoio dell'auto, noi paghiamo i costi della conquista dell'Abissinia del 1935, la crisi della chiusura del Canale di Suez del 1956, il disastro del Vajont del 1963, l'alluvione di Firenze del 1966, il terremoto del Belice del 1968, quello delPag. 48Friuli del 1976, quello dell'Irpinia del 1980, le missioni militari in Libano del 1983, in Bosnia del 1986 e, dulcis in fundo, il rinnovo del contratto degli autisti di bus e tram del 2004: il tutto in percentuale, ragione per cui l'aumento del costo della benzina può irritare molti, ma non disturba certo chi deve far quadrare i conti del bilancio dello Stato!
Insomma, questo è solo uno dei tanti esempi che si possono fare, per dimostrare come questo complesso di proposte emendative, presentate dalla Lega e dall'opposizione, vadano nel senso di modificare una prospettiva generale, che è quella che ha rinunciato a tagliare gli sprechi e le spese improduttive ed ha finito per colpire i piccoli imprenditori sia sul fronte fiscale, sia su quello previdenziale. Ebbene, non credo sia questa la strada migliore per favorire la ripresa (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pottino. Ne ha facoltà.
MARCO POTTINO. Signor Presidente, non è certamente facile intervenire in quest'aula e la ringrazio per la cortesia, se non altro per la desolazione che c'è tra i banchi del Governo in questo momento, che immagino sia la stessa desolazione, che i cittadini di questo paese stanno provando per la manovra economica, che questo Governo Prodi di centrosinistra sta portando avanti.
Credo che il giudizio sul decreto fiscale e più in generale sulla manovra finanziaria non possa prescindere dalle valutazioni riguardanti il rating del debito pubblico italiano. Il declassamento dei conti pubblici pone il nostro paese al livello della Grecia: un fatto che noi giudichiamo grave e preoccupante. In campagna elettorale, Prodi come tutto il centrosinistra, prese impegni precisi, al fine di rendere maggiormente competitivo a livello europeo il nostro paese. Oggi invece ci troviamo con un declassamento, che come dicevo, ci porta ai livelli della Grecia.
Ricordo che nella passata legislatura venne fatta una pesante opposizione nei confronti della politica economica del Governo della Casa delle Libertà e, in particolare, dell'allora ministro dell'economia, Tremonti; fu duramente attaccata la cosiddetta finanza creativa. Forse è bene ricordare che quella finanza sarà stata anche creativa, però ci ha permesso di tenere i conti pubblici in ordine, in un momento economico non certamente facile per il nostro paese, per l'Europa e per il mondo intero e ci ha permesso anche di acquisire una visibilità a livello europeo, che pare non esserci più, stando a quello che si dice dell'operato di Prodi e del centrosinistra in questo periodo.
Allora, se il buongiorno si vede dal mattino, il Governo non ha impiegato molto a dimostrare ai cittadini di questo paese la sua totale inefficienza ed incapacità. Se a ciò aggiungiamo un altro elemento sfavorevole, vale a dire l'aumento dei tassi di interesse, credo si completi il quadro negativo. Occorre ricordare che tale incremento comporta per il settore produttivo una riduzione degli investimenti a causa del maggior costo per l'accesso al credito e per il settore della spesa pubblica, un incremento del costo del debito, con l'automatico effetto di un incremento della tassazione. L'effetto congiunto nel settore privato dell'incremento dei tassi di interesse e della tassazione è quello del contenimento dei consumi e la conseguente riduzione del PIL e della ricchezza del nostro paese. Questo dato, di fatto, è sotto gli occhi di tutti.
Credo che oggi sia necessario stigmatizzare con forza tutte le falsità raccontate in campagna elettorale da Prodi e dal centrosinistra e penso che dovremmo partire proprio dal tema della pressione fiscale che, secondo le affermazioni di Prodi nel corso della campagna elettorale, non sarebbe dovuta aumentare.
Al riguardo, è stata avanzata dal Governo una proposta, vale a dire la grande redistribuzione dell'IRPEF. Appare evidente che c'è una totale confusione da parte del Governo. Nessuno, infatti, ha capito quali siano gli effetti di questo provvedimento sulle singole posizioni contributive. Le tabelle di simulazione si baPag. 49sano sulla famiglia tipo così composta: padre, madre e figli a carico. Pare siano previsti benefici per le famiglie di questo tipo, con reddito sotto i 40 mila euro.
Il problema è che stiamo parlando di situazioni che non sono assolutamente reali. Non esiste questo tipo di realtà (lo dice anche l'ISTAT). Sarebbe opportuno che Prodi, il Governo ed il ministro Padoa Schioppa facessero un giro per il nord per rendersi conto dei problemi delle nostre famiglie, che fanno fatica a tirare avanti fino alla fine del mese e che devono stringere la cinghia. La nostra famiglia è composta di solito da un padre, che è anche un capofamiglia, che ha a carico una moglie e dei figli. Questa è la vera famiglia. Questo è il vero spaccato della nostra società.
Dunque, se entrambi i genitori non riescono a lavorare, diventa difficile tirare avanti fino alla fine del mese, pagare l'affitto e le spese economiche per la casa di proprietà. Evidentemente, il Governo di centrosinistra, il Presidente del Consiglio Prodi e il ministro dell'economia Padoa Schioppa non nutrono alcun interesse verso le nostre famiglie, verso il paese reale che non è certamente il paese che loro sognano o che vorrebbero sognare.
Inoltre, non possiamo accettare che il paese vada avanti in questa situazione di totale caos. Una cosa è certa, ossia che la manovra che sta attuando il Governo, con la rimodulazione dell'IRPEF, consentirà un recupero di circa 400 milioni di euro, che significa più tasse per tutti i cittadini di questo paese. L'altro dato che emerge in modo sostanziale è il consistente incremento della pressione fiscale, che si assesta al di sopra del 42 per cento. Se a questo aggiungiamo il dato preoccupante dell'economia sommersa, dobbiamo considerare almeno altri 7 punti percentuali.
Credo che il problema del sommerso sia un dato certo che si evince dalle situazioni di fatturato non dichiarato e, a tal riguardo, sono già stati elaborati gli studi di settore. Il problema reale è quello del lavoro nero. Penso che i dati siano in possesso anche del Governo e del viceministro, che continua imperterrito nella sua conversazione telefonica, senza alcun rispetto dei deputati dell'opposizione, che sono qui a svolgere il loro intervento. Ma non importa, noi andiamo avanti lo stesso, perché i cittadini si stanno rendendo conto del tipo di classe politica che, in questo momento, governa il paese.
Allora, i dati li avete anche voi: in alcune regioni del meridione, ad esempio, per 100 euro di fatturato dichiarato, ve ne sono almeno 100 di sommerso.
È una situazione non più sostenibile, certamente per il nord. Non si tratta di fatturato non dichiarato, ma di lavoro nero. Dobbiamo ricordare che chi lavora in nero ruba tre volte, perché non paga le tasse e i contributi, che evidentemente non versa, e perché riceverà una pensione senza aver versato nemmeno un euro. Inoltre, costui pratica una concorrenza sleale nei confronti di chi fa le cose perbene, pagando fino all'ultimo centesimo.
Credo che il Governo non abbia previsto nulla nel decreto fiscale, né nella finanziaria, contro questo tipo di evasione. È grave che il Governo non abbia previsto alcun tipo di intervento. Il risultato è che una pressione fiscale che tocca la soglia del 50 per cento è inaccettabile soprattutto per il nord del paese, dove si pagano le tasse.
Vedo che il sottosegretario Grandi è sparito dai banchi del Governo. Non so con chi dovrei parlare, perché non c'è più nessun rappresentante del Governo... Capisco, signor sottosegretario, che lei, durante l'intervento di un deputato dell'opposizione, possa fare una conversazione telefonica, ma che lei sparisca addirittura dai banchi del Governo, mi sembra un po' troppo da sopportare! Ma, ormai, abbiamo imparato il metodo che adottate, quando il Governo riferisce al Parlamento, con i sorrisini e le facce di circostanza del ministro Padoa Schioppa e del Primo ministro Prodi, che ricordiamo tutti. È il vostro modo di operare!
Come dicevo, è un peso troppo forte per il nord, perché è al nord che si paganoPag. 50le tasse, dalla prima all'ultima, ed è un comportamento assolutamente non corretto da parte dello Stato.
Penso che il vaso sia veramente colmo e che la pazienza delle imprese e dei lavoratori del nord non è infinita, anzi, è giunta al termine. Non si può andare oltre: dal nord arriva un grido di dolore che, ad avviso mio e della Lega, può trovare un'unica risposta, ossia il federalismo fiscale, che voi dite a parole di voler adottare, ma nei fatti non siete assolutamente conseguenti.
Si deve modificare il sistema. Con quello attuale, non vi è responsabilità diretta: tutto arriva a Roma, nel calderone romano, e poi si perde. La responsabilità diretta si attua soltanto quando le risorse economiche si gestiscono autonomamente.
Signor Presidente, penso che, finché non ci sarà un ribaltamento di questa situazione, non sarà possibile risolvere il problema della spesa pubblica e nemmeno della pressione fiscale, che aumenterà sempre di più e che grava su quella parte del paese economicamente produttiva e trainante, ossia il nord.
Avviandomi alla conclusione del mio intervento, credo sia importante ricordare ciò che Prodi, in pochi mesi di Governo di centrosinistra, ci ha lasciato in eredità: l'indulto, il decreto Visco-Bersani e questa manovra finanziaria. Certamente si tratta di una eredità pesante per le spalle dei cittadini di questo paese, che si troveranno a pagare maggiori tasse e che si sentiranno meno sicuri, visto che, dopo quel provvedimento vergognoso che voi avete approvato, purtroppo, anche con la collaborazione di qualche settore della Casa delle libertà, avete fatto uscire di galera tanti delinquenti, che renderanno meno sicure le nostre strade e le nostre città.
Signor rappresentante del Governo, il mio partito conferma che sulla finanziaria non faremo sconti. Faremo un'opposizione dura, che mi pare in questo momento altri non stiamo facendo. La Lega è pronta a difendere gli interessi del Nord, poiché lì si trova il sistema produttivo del paese che noi difenderemo fino in fondo, consapevoli che in questo modo faremo anche gli interessi della restante parte del nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Taglialatela. Ne ha facoltà.
MARCELLO TAGLIALATELA. Onorevoli colleghi, onorevole Presidente, rappresentante del Governo, siamo alle fasi iniziali di una lunga discussione, che tratterà, prima nel decreto fiscale e, poi, nella finanziaria, i temi economici delle prossime settimane e delle prossime giornate di lavoro parlamentare.
Questo dibattito non inizia nel modo migliore: chi fa parte delle Commissioni bilancio e finanze ha avuto già prova di quanto sta per accadere. Il decreto-legge n. 262, così come era stato presentato dal Consiglio dei ministri, ha già subito notevoli cambiamenti. Sono ben 254 gli emendamenti presentati dal Governo stesso al testo iniziale e ciò a dimostrazione di una grande imperizia e superficialità, di enormi contraddizioni che sono all'interno del testo oggi in esame, nonostante i tentativi di correzione fatti dai singoli ministri, qualche volta senza neanche sapere che sullo stesso emendamento vi fossero evidenti sovrapposizioni. Tutto ciò ha creato e continua a creare problemi alla capacità di equilibrio di un provvedimento che ha la presunzione di affrontare mille questioni e che verrà portato in aula con la volontà di non accettare alcun dialogo, alcuna possibilità di cambiamento, di modifiche ed emendamenti, visto che è il Governo stesso che pensa a presentarli.
Siamo in presenza di un dialogo che vede il Parlamento di fronte ad un attore principale, il Governo, che ha scelto di essere sordo a qualsiasi possibilità di accogliere valutazioni che arrivano in modo trasversale da tutte le parti politiche.
Non sappiamo ancora ciò che accadrà nelle prossime ore, se vi sarà la possibilità di discutere nel dettaglio gli emendamenti presentati dalle forze sia di opposizione sia di maggioranza; non sappiamo se il Governo porrà, come ha minacciato, laPag. 51questione di fiducia per evitare i possibili inconvenienti in sede di conversione del decreto-legge o se presenterà ulteriori emendamenti rispetto agli oltre 250 già presentati dal Governo stesso nelle Commissioni.
Tutto questo accade in presenza di un testo che sembra scontentare tutti, che sembra non avere né padre e madre, disconosciuto e preso come pretesto per iniziare una discussione che ovviamente vedrà la sua conclusione nell'ambito dell'approvazione delle leggi di bilancio e finanziaria.
Del resto, in questo decreto-legge vi sono argomenti che potevano certamente essere trattati nella legge di bilancio e nella legge finanziaria, così come non vi sono argomenti che saranno affrontati in quella legge e che sarebbe stato più opportuno inserire nel provvedimento in esame, che si occupa principalmente di modifiche di norme fiscali e tributarie.
È una discussione che avviene nel momento stesso in cui già si preannuncia un ulteriore intervento del Governo sulle pensioni del quale si indica semplicemente l'oggetto, senza conoscere non dico nel dettaglio, ma nemmeno per grandi linee le possibilità di intervento e le correzioni necessarie. La sensazione è che ognuno prenda la solita coperta, cerchi di spostarla da una parte e dall'altra a seconda delle circostanze, delle giornate e degli interruttori.
È uno spettacolo certamente non positivo e ritengo che anche questo abbia inciso profondamente sulle valutazioni che i mercati internazionali hanno espresso in questi giorni nei confronti dell'economia italiana. Ciò comporta anche la potenziale responsabilità in negativo di congelare l'economia, di creare condizioni di insicurezza, sostanzialmente di rimandare gli investimenti dei privati, che costituiscono all'interno della nostra economia ancora il polmone necessario perché possano crescere il prodotto interno lordo, l'occupazione e, complessivamente, le aspettative di una vita migliore, che sono poi l'elemento di fiducia essenziale per mettere in moto l'economia.
Non abbiamo gli interlocutori necessari. Durante tutto l'esame che si è svolto in sede di Commissioni bilancio e finanze, nonostante la grande disponibilità e la grande cortesia del presidente Duilio, gli emendamenti del Governo, di fatto, sono stati quasi catapultati nella discussione, senza nemmeno fornire spiegazioni plausibili. Il rischio che ognuno di noi paventa è che la stessa cosa possa accadere in Assemblea, non soltanto nella fase di conversione in legge del decreto-legge in esame, ma anche quando inizierà la discussione sui disegni di legge di bilancio e finanziaria 2007.
Rispetto a questi temi, l'impossibilità di un confronto indubbiamente peggiora la qualità del nostro lavoro, del lavoro parlamentare. Se fosse stato un altro Governo, in un'altra situazione, con una divisione così sottile anche dal punto di vista della rappresentanza politica, ad intervenire su materie che certamente non hanno il carattere dell'urgenza, e, quindi, non avrebbero dovuto essere trattate in un decreto-legge, e se la maggioranza, su impulso dello stesso Governo e non dei gruppi parlamentari che lo sostengono, avesse proposto ed imposto tante correzioni attraverso formule emendative, ci sarebbe stato, un atteggiamento diverso; ci sarebbe stata una sollevazione, non dico popolare, ma di coloro i quali rappresentano i partiti e i gruppi parlamentari.
Viceversa, noi ci troviamo in questa Assemblea per discutere e chiedere che la discussione possa proseguire. Del resto, non è certamente per colpa del Parlamento se questo decreto-legge, che riguarda la materia fiscale e tributaria, ha la pretesa di occupare tanti spazi e di occuparsi di tanti argomenti e non è certamente per colpa dell'Assemblea della Camera dei deputati se lo stesso Governo ha introdotto numerose modifiche al suo decreto, tanto da snaturarne sostanzialmente il contenuto. Non è per colpa del Parlamento, non è per colpa dell'opposizione e non è per colpa dei parlamentari se le discussioni che avvengono in quest'Assemblea - lo ripeto - hanno un interlocutore sordo, cioè il Governo.Pag. 52
Credo che tutto questo rappresenti un pessimo inizio della stagione delle riforme che tutti auspichiamo e di cui tutti parlano ma rispetto alla quale, fino a questo momento, vi è stata una totale assenza di proposizione. Rivendichiamo la possibilità di affrontare il tema in Assemblea con i nostri emendamenti e le nostre proposte migliorative. Siamo convinti che lo stesso diritto e lo stesso desiderio li abbiano i colleghi della maggioranza. Affrontare tali argomenti ancora una volta con l'imposizione di un eventuale voto di fiducia sarebbe un ulteriore tradimento nei confronti di chi ha votato per eleggere un Parlamento che abbia la possibilità di discutere e non soltanto di deliberare (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pili. Ne ha facoltà.
MAURO PILI. Signor Presidente, se fosse stato presente il Presidente Bertinotti, mi sarei rivolto a lui; mi sarei rivolto anche al ministro dell'economia e delle finanze, il quale, tuttavia, non ci ha degnato della sua presenza in questa Assemblea neppure per qualche minuto. In queste ore, nella maggioranza di Governo vi state ponendo una domanda, cioè se porre o meno la questione di fiducia sul disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame.
È una scelta che avete affidato ai vertici della vostra coalizione, ben sapendo il rischio che correte nella eventualità che venga posta la questione di fiducia. Non l'avete sinora posta, non tanto per evitare di soffocare il dibattito in quest'aula, ma perché sapete quali insidie nasconda.
Vorrei rivolgere alcune domande all'Assemblea, alla maggioranza, ma soprattutto a noi stessi: dove sono finiti i sostenitori di questa manovra finanziaria? Dove sono finiti coloro che hanno, sino ad avantieri, sostenuto la bontà di questa proposta, che mette le radici della futura manovra finanziaria? I prodi di Prodi sono spariti. Siete tutti nascosti, sapendo che vi è un bersaglio che la società sta prendendo di mira, e lo lascerete ancora una volta solo, così com'è successo prima con D'Alema e poi con Amato.
Ma il vero quesito è un altro: la strategia o, meglio, la tattica che avete seguito di una nuova ondata di tasse riuscirà a sortire l'effetto sperato nell'economia del paese? E siete certi che questo decreto fiscale non blocchi la già tenue e difficile ripresa economica?
Credo che queste siano domande che incombono come macigni, non sulla vostra maggioranza e nemmeno sulla nostra opposizione. Sono quesiti che impongono a noi tutti, davvero, una riflessione sulla crescita economica del nostro paese, sulla sua potenzialità di cogliere quel segnale venuto dall'attività e dall'economia della nostra nazione.
Possiamo essere di parte quanto vogliamo, ma vi è una macroscopica verità sulla quale occorre ragionare. Nel 2001 il Governo Berlusconi ha ereditato il governo del paese con un buco di 35 mila miliardi di vecchie lire: un paese senza credibilità internazionale, un paese debilitato in tutti i consessi economici che contano a livello nazionale e internazionale.
È qui, colleghi, la prima sostanziale grande differenza tra il centrosinistra e il centrodestra: voi avete lasciato il paese con un buco di 35 miliardi di vecchie lire e noi vi abbiamo solo temporaneamente lasciato il governo del paese con un gettito fiscale incrementato di un punto percentuale sul PIL, pari a 37 miliardi delle vecchie lire. Credo non sia utile a nessuno negare questa macroscopica, evidente verità.
Guardando alla sintesi di questo processo - che avete valutato con criticità nei confronti del ministro Tremonti, quando si sosteneva una tesi ritenuta valida non solo dai ministri del centrodestra, ma anche da coloro che oggi siedono al Governo - emerge che il principio «meno tasse» significa più capacità del paese di incrementare il processo economico.
Abbiamo l'obiettivo di difendere quella grande stagione di riforme strutturali: dalle pensioni alla scuola, dal mercato del lavoro alla grande svolta infrastrutturalePag. 53messa in campo nel paese dal Governo Berlusconi. Ciò per riaffermare un principio fondamentale dell'economia: la libertà dei mercati, la libertà d'impresa, la libertà di circolazione dei capitali stessi. E abbiamo dato come traccia fondamentale un'equazione: più economia ha significato nel paese più occupazione...
PRESIDENTE. Chiedo una cortesia: se il rappresentante del Governo - l'unico - facesse un uso meno ostentato e insistito del mezzo telefonico, credo che gliene saremmo grati (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale, UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Lega Nord Padania).
ANTONIO LEONE. Può fare segnali di fumo, se vuole!
MAURO PILI. La ringrazio, signor Presidente, ma - come lei sa - il Governo con i telefonini ha molta dimestichezza (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania)!
Colleghi, la manovra finanziaria si caratterizza per un agire, l'agire della punizione. È nata per punire quelli che non hanno votato centrosinistra; è nata per punire coloro che producono; è nata per punire quelli che creano sviluppo ed occupazione. Il risultato finale, però, colleghi, è drammatico per voi, perché in questo modo punite proprio quelli che vi hanno votato.
La finanziaria ha con la Sardegna (permettetemi questo richiamo regionale) un caso emblematico, se vogliamo, propedeutico a quanto sta avvenendo oggi in Parlamento e nel paese. Per mesi, le cronache dei giornali nazionali hanno parlato di Robin Hood, che toglie ai ricchi per dare ai poveri. Anche voi del Governo l'avete chiamata «tassa sul lusso» ed è stato detto di tutto e di più sulla bontà di questa tassa che colpisce i ricchi. Si è cercato di convincerci e Prodi è stato magnanimo di condivisione, dicendo che con quella tassa sul lusso si sarebbe tolto ai ricchi per ridistribuire ai poveri. Anzi, Prodi è venuto all'assunto finale, dicendo che in Italia si farà come si sta facendo in Sardegna. Più che una promessa, colleghi, è una minaccia per il paese. Infatti, non vi è giorno che le strade della Sardegna non brulichino di manifestazioni di lavoratori e di operai, di molti disoccupati e di migliaia di nuovi licenziati, frutto delle tasse sul lusso, che hanno bloccato l'economia e, conseguentemente, hanno impedito di creare economia capace di dare futuro alla nostra terra.
Per colpire i cosiddetti ricchi, alla fine, si sono colpiti i ceti deboli del paese. Avete messo davanti l'ideologia rispetto alla necessità d'intervenire con armi fondamentali per l'economia del paese, cioè il buon senso e la buona amministrazione. Avete scelto la ridistribuzione e la punizione, ma entrambi gli obiettivi rappresentano un passaggio nel tragico verso il fallimento.
Non vi è, colleghi, crescita economica capace di fondarsi sulla redistribuzione del reddito e sulla punizione del ceto medio. Vi è, semmai, un'involuzione della crescita economica e dello sviluppo.
Colleghi, non intendo parlare di ciò che sostiene il centrodestra o Forza Italia. Vorrei richiamare quanto dice, con parole più posate e con savoir faire istituzionale, il Governatore della Banca d'Italia durante l'audizione in Commissione bilancio. Draghi afferma che occorre evitare che l'ampio ricorso a misure d'incremento del prelievo fiscale influisca - sottolineo la parola - negativamente sugli incentivi e sulle aspettative degli operatori economici. Più che tre righe, quelle di Draghi sono un trattato di economia. Vi sta dicendo che più tasse mettete, più bloccate l'economia e coloro che vogliono creare sviluppo.
Sono ancora più decisive e più incisive le parole del presidente della Corte dei conti, il quale sostiene che la pressione fiscale, secondo le stesse stime governative, potrebbe aumentare ancora per più di un punto percentuale nel 2007. Questa scelta, dice la Corte dei conti, determina due implicazioni di segno - sottolineo - molto, molto negativo. È un processo che rischia di creare un andamento maggiormente depressivo della crescita economica.Pag. 54
Avete scelto la strada di più tasse uguale blocco dello sviluppo, meno sviluppo uguale meno entrate, meno entrate uguale più spesa per il paese e meno occupazione. Con il decreto-legge in esame mettete le fondamenta di questo consequenziale fallimento economico-finanziario della più complessiva manovra, da voi già sottoposta all'attenzione del Parlamento.
Colleghi, avete voluto perseguire la strada che i compagni del Presidente Bertinotti vi hanno imposto, hanno imposto alla Margherita, all'Ulivo, creando le condizioni per imboccare la via più ripida verso il burrone. È davvero emblematico e cito tre aspetti del decreto-legge.
Avete parlato di remunerazione dell'attività di riscossione, cioè più soldi agli esattori ovvero più soldi sottratti ai cittadini per pagare le tasse ma anche per pagare l'acqua. Mi rivolgo ai «compagni» di Rifondazione Comunista, coloro che nelle piazze si agitano chiedendo, nello stesso tempo, l'acqua pubblica cara e gratis per tutti: chiedete di incrementare del 25 per cento l'aggio a favore degli esattori. Voi non siete coloro che vogliono l'acqua pubblica: voi volete che i cittadini italiani, anche le classi meno abbienti, la paghino di più a favore degli esattori. Poi, vi sono anche i poteri di indagine dei dipendenti di riscossione. Avete scelto la strada più becera, non uno Stato di polizia - come ha detto il Presidente Berlusconi -, non una polizia fiscale, ma uno Stato che sfonda a calci la porta delle nostre case, degli uffici e degli studi professionali; uno Stato che sfonda, contro tutti i principi, la privacy e la riservatezza della vita degli italiani.
Uno Stato che ricorre a questi mezzi è uno Stato che non governa ma che si impone, che vuole sopraffare i cittadini, che non persegue un controllo virtuoso della propria fiscalità, ma che davvero rischia di generare un effetto contrario rispetto all'obiettivo prefissato. Colleghi, l'articolo 8 è l'esempio dei tagli allo sviluppo economico, che il Governo Berlusconi aveva impresso con la programmazione negoziata; tutti tagli riferiti al Mezzogiorno d'Italia, alle regioni più deboli, che avevano trovato con le forze sindacali proprio su questo tema un grande sostegno.
Colleghi, concludo citando il caso di Ottana: un accordo di programma difficile e sofferto che verrà cancellato con mesi di sciopero e di occupazioni dei lavoratori. Con questa scelta avete dimostrato che l'alba della legge finanziaria vi accompagnerà presto anche al tramonto (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Marinello. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo ancora una volta di fronte ad un decreto-legge che non risponde assolutamente ai requisiti costituzionali dell'urgenza e dell'omogeneità di materia. Ritengo che, dal punto vista politico, esso risponda fondamentalmente ad una vostra coerenza di ragionamento, che è assolutamente incoerente con le ragioni del paese e degli italiani. Inevitabilmente, il decreto-legge Visco-Bersani, il decreto-legge n. 262 del 2006 e, successivamente, la legge finanziaria rispondono essenzialmente al vostro disegno di destrutturare la società italiana, colpendo ed aggredendo in maniera assolutamente violenta, scevra da ogni logica, proprio quelle categorie della nazione che si sono sempre contraddistinte per essere - e, quindi, rappresentare - la parte più viva del tessuto sociale ed economico del nostro paese; tutto ciò con una serie di danni notevoli, che rischiano addirittura di essere irreversibili, al tessuto socio-economico complessivo del nostro paese.
Scendendo nel dettaglio del decreto-legge n. 262 del 2006, vorrei richiamare prevalentemente alcuni aspetti che riguardano specifiche parti del nostro sistema economico e produttivo, quali, ad esempio il comparto agricolo. Durante i lavori in Commissione, in sede di audizione, abbiamo più volte incontrato il ministro De Castro - in verità, l'abbiamo incontrato nel mese di luglio, quando è venuto aPag. 55presentarsi in Commissione - ed abbiamo ascoltato una serie di sue argomentazioni che, in parte, ci avevano anche convinto sulle buone intenzioni che rappresentava in favore del comparto. Evidentemente erano soltanto delle buone intenzioni, di chi parla bene ma razzola male, anzi peggio, perché proprio nel comparto agricolo abbiamo assistito ad un tentativo notevole di depauperamento delle risorse degli imprenditori.
Dal combinato delle norme del decreto fiscale con quelle recate dalla finanziaria si evince un'assoluta mancanza di razionalità e di strategie; al riguardo, Presidente, per non tediare l'Assemblea, voglio citare solo alcune disposizioni. Ad esempio, consideriamo assolutamente pernicioso quanto stabilito dall'articolo 4, primo comma, in materia di IVA; a tale proposito, abbiamo più volte denunciato - a dire la verità, rimanendo assolutamente inascoltati (non soltanto in Commissione agricoltura ma anche e soprattutto in sede di Commissioni riunite bilancio e finanze) quando ci siamo rivolti sia alla presidenza delle Commissioni sia, soprattutto, ai funzionari - quanto la norma contenuta nel decreto-legge n. 262 fosse mancante dei requisiti di adeguata copertura. Di ciò siamo convinti e lo abbiamo denunziato più volte; abbiamo richiesto anche ampia facoltà di prova. Ma evidentemente gli uffici della Camera, su input della Presidenza - ed è per tale ragione che mi rivolgo al Presidente di turno -, hanno ritenuto di fare orecchio da mercante.
Ci troviamo dinanzi ad una norma coperta soltanto con uno stanziamento di 2 milioni di euro, mentre siamo convinti che essa, per essere adeguatamente e sufficientemente coperta, necessiti di almeno 40 o 50 volte quella posta di bilancio. Questa è la prova, evidentemente, di un uso assolutamente prepotente delle istituzioni; istituzioni, in questo caso, non a garanzia della bontà delle scelte ma assolutamente asservite ad una logica di sistema.
Al di là dell'aspetto tecnico riguardante la copertura, siamo altresì convinti che proprio la norma in sé rappresenti un tentativo assolutamente pernicioso di destrutturare l'agricoltura italiana, avviandola, anziché verso una maggiore crescita - e quindi verso un sistema maggiormente atto a confrontarsi nel processo di globalizzazione -, verso una notevole marginalizzazione.
Ancora una volta abbiamo denunziato gli aumenti degli estimi catastali; il maggior sforzo contributivo che si richiede al sistema agricolo, quantificato in un maggiore esborso di oltre un miliardo di euro, rappresenta un ulteriore prezzo chiesto ad un comparto già in gravi difficoltà.
Tra l'altro, abbiamo pure denunziato che le norme recate dal decreto fiscale, in combinato con quelle contenute nella finanziaria, comportano, nel bilanciamento tra il dare e l'avere, saldi negativi che il nostro sistema non può assolutamente sopportare.
Abbiamo inoltre censurato le norme contenute nell'articolo 6 che, seppure migliorato durante l'iter svoltosi in sede di Commissioni riunite, reca tutta una serie di norme in materia di successioni e donazioni le quali rappresentano, per il sistema agricolo, un ulteriore appesantimento, soprattutto in considerazione del fatto che la proprietà fondiaria non è né un furto né, tantomeno, un optional, ma è il presupposto per la continuazione dell'attività imprenditoriale; un'attività imprenditoriale oggi sempre più difficile e sempre più caratterizzata da maggiori oneri.
Abbiamo altresì censurato una serie di norme recate dagli articoli 7 e 23, che non ci convincono; cosa dire, inoltre, dell'articolo 8, recante le norme sui contratti di programma? Abbiamo compreso cosa esse significhino: quelle disposizioni, di fatto, congelano tutti quei contratti di programma messi in cantiere dal precedente Governo. Mi riferisco soprattutto alla mia regione, la Sicilia, per la quale sono a conoscenza dei dati. Grazie a tale articolo contenuto nel provvedimento all'esame, ben sei contratti di programma - di cui quattro nel settore turistico; uno nel settore agricolo; un altro, infine, nel settore industriale (riguardante, in particolare,Pag. 56una delle più prestigiose aziende che esistano in Italia, la STM Electronics) - corrono il rischio di essere non solo rallentati ma addirittura persi. Sarebbe una perdita secca per l'economia siciliana, di ben 800 milioni di euro di investimenti; noi siamo fortemente preoccupati che tali somme verranno perse definitivamente per la nostra regione.
Cosa dire, poi, dell'articolo 41 che, in materia di incarichi dirigenziali, rappresenta qualcosa di assolutamente aberrante? Altro che legge Frattini! Ricordo le vostre critiche e quanto da voi sostenuto in aula nella scorsa legislatura, quando proponemmo ed approvammo la legge Frattini. Tuttavia, quello che prevedete all'articolo 41 del decreto in esame è sicuramente molto più incisivo e violento. Si tratta di una vera e propria occupazione dello Stato e delle istituzioni. La verità è che vi comportate con la logica di sempre, quella di asservire gli uomini dello Stato e delle istituzioni ai vostri fini politici. La verità è che tutto nasce da un vostro pregiudizio e dalla vostra sovrastruttura ideologica di considerare i vostri partiti - o meglio, il vostro partito unico dominante - quasi assimilato allo Stato. Ciò proviene da un'antica cultura in cui partito e Stato erano la stessa cosa.
Ci state portando in una direzione assolutamente disastrosa, utilizzando queste misure economiche e normative, verso uno Stato sempre più presente, invasivo, pervasivo ed oppressivo che porterà alla limitazione delle libertà individuali. È il contrario di ciò di cui ha bisogno un Paese che deve essere libero e democratico; è il contrario di quello per cui i nostri padri ed i nostri nonni hanno combattuto la guerra di liberazione che ha portato alla Carta costituzionale, da tutti apprezzata e condivisa.
Le norme contenute in questo decreto fiscale sono assolutamente funzionali e coerenti a quanto da voi realizzato con il decreto-legge Visco-Bersani e che realizzerete con la legge finanziaria. Ma il Paese ha compreso tutto questo. Abbiamo presentato una serie di emendamenti che tendono ad incidere profondamente sulla vostra strategia. Queste proposte emendative sono frutto non di una nostra speculazione teorica, ma di input e di segnalazioni pervenuteci dalle associazioni di categoria, dal mondo del lavoro e del volontariato, dagli enti locali e dalla società tutta.
Oggi la società tutta guarda a quanto sta accadendo in Parlamento, nelle Commissioni parlamentari ed in Assemblea. È il Paese tutto che si sta mobilitando contro la legge finanziaria e contro questo decreto fiscale. Quindi, cerchiamo di incontrarci su questi temi. Pertanto, invito il rappresentante del Governo e la maggioranza a farsi carico di queste proposte e di un confronto serio e leale. Sono convinto che il Governo Prodi sia arrivato al capolinea e che bisogna ritirare la manovra finanziaria, nelle prossime settimane all'esame di quest'aula. Inoltre, sono convinto che questo decreto fiscale debba essere profondamente emendato.
Noi siamo pronti a fare il nostro dovere e sottolineiamo la necessità che non chiediate il voto di fiducia. Confrontiamoci sui temi concreti e sulle idee per verificare chi davvero ha interesse a migliorare ed a procedere per il bene assoluto del nostro Paese e chi, invece, ancora una volta è affetto da quei pregiudizi ideologici finora prevalenti nella vostra maggioranza, che hanno dettato l'agenda del vostro Governo e il vostro comportamento.
Con questo appello mi rivolgo alle forze del centrosinistra che si dicono moderate; esse non devono soltanto definirsi moderate, ma dimostrare di esserlo e di essere pronte al confronto ed al dialogo. Su di voi ricade in misura maggiore tale responsabilità; se vi farete carico di queste richieste e risponderete all'appello, sono sicuro che da questa parte politica vi saranno comprensione, dialogo, serenità, confronto e proposta. Soltanto in questo modo avremo fatto l'interesse del Paese e del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.
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PAOLA GOISIS. Signor Presidente, siamo in quest'aula per discutere di un provvedimento che voi, colleghi della maggioranza, avete elaborato, spinti dall'intenzione di far piangere i ricchi, inaugurando una campagna di informazione ed un Governo classisti. Di ciò si è parlato sulla stampa, sugli altri media ed in quest'aula, i vari argomenti sono stati già sviscerati in profondità. Voglio evidenziare soltanto alcune «perle» di questo provvedimento.
Mi riferisco, in modo particolare, all'articolo 1, comma 8, relativo allo scontrino fiscale; se per caso anche un solo scontrino non venisse emesso, ciò sarebbe sufficiente per far chiudere - ascoltate bene, chiudere! - l'attività da quindici giorni a due mesi. Se, poi, l'importo superasse i 200 milioni di vecchie lire, l'attività dovrebbe chiudere per due mesi, il che significherebbe destinare a morte sicura l'azienda. È chiaro che si sta parlando di Stato poliziesco o, come dicevo in precedenza, di lotta di classe.
Purtroppo ci stiamo accorgendo, ancora una volta, che voi volete colpire gli artigiani, le piccole e medie imprese, quell'esercito di padri di famiglia, di operatori, di piccoli e medi imprenditori che, con il loro lavoro e con il sacrificio di una vita, si sono costruiti un'attività, senza attendere aiuti dallo Stato. Purtroppo, stiamo constatando che queste categorie, per il Governo, per l'amministrazione di centrosinistra sono il vero pericolo pubblico dell'Italia, sono i potenziali delinquenti della nuova società «rossa» che ha deciso di stravolgere il paese, di cambiare completamente la penisola. In pochi mesi, nemmeno sei, avete cambiato il sistema.
Purtroppo, abbiamo constatato, e ne abbiamo parlato anche ieri, che con l'indulto, mossi da tanta compassione, da tanta pietas, avete liberato stupratori, assassini, delinquenti. Adesso potete essere contenti perché le carceri, finalmente, sono vuote, sono liberate; probabilmente ora le riempirete con quel pericoloso esercito di lavoratori autonomi, di artigiani, di piccoli imprenditori, di padri di famiglia che, caso vuole, sono cittadini del nord, cittadini della Padania. Finalmente, una volta che avrete esaurita e completata questa «pulizia etnica», tutti gli altri potranno tornare a dormire sonni tranquilli.
Pare che non vi accorgiate, che facciate fatica a capire che le piazze del nord, tutte le piazze si stanno riempiendo, anche a Roma, e forse è stata una novità vedere imprenditori e professionisti manifestare nelle piazze di Roma. Avete visto tutti in televisione, sabato scorso, anche nel mio Veneto, Piazza dei Signori a Vicenza pullulare, gremita di tutti questi padri di famiglia, di imprenditori che per voi sono delinquenti o potenziali delinquenti!
E cosa dire dell'articolo 6 sulla tassa di successione? Anche questo veramente è un gioiello, una «perla». A me piacciono molto i gioielli; come a tutte noi, donne, le perle, ma più splendenti di queste non le potevate fare!
Avete inserito nel vostro decreto una tassa sull'eredità da applicare ai patrimoni di 250 mila euro, per quanto riguarda le famiglie, e di 100 mila euro per quanto riguarda le aziende, costringendo i figli e gli eredi a pagare per ereditare ciò che i loro genitori hanno conquistato con la fatica e con il lavoro, con anni e anni di sacrifici e di oppressioni da parte di uno Stato che è sempre più - come usiamo dire, e qui voglio riproporre il termine - «ladrone».
Avete ripristinato una tassa che il Governo Berlusconi aveva soppresso, nella logica prima evidenziata. Ma ciò che mi fa ancora più paura è tutta la filosofia che sottende alla vostra manovra, un incentivo a non produrre e a non risparmiare. È chiaro che il vostro progetto è quello di distruggere le famiglie del nord. Probabilmente non ci avete pensato, ma con questa politica di tasse e di imposizioni, otterremo questo risultato.
D'altra parte, voi non dovete preoccuparvi, perché tanto avete le famiglie sostitutive, quelle che prenderanno il posto delle famiglie del nord. Purtroppo stiamo assistendo al cambiamento del volto dell'Italia. La nostra è una società in via di estinzione. Dicevo che state preparando la sostituzione: evidentemente con questo vostro tipo di politica i nostri giovani nonPag. 58hanno più prospettive, non possono nemmeno ereditare l'azienda o l'appartamento di famiglia, che è costato sacrifici ed una vita di lavoro. Ora essi dovranno lavorare di più per comprarsi nuovamente un appartamento o un'azienda.
D'altra parte, però, i loro genitori oltre ad essersi costruiti un'attività lavorativa o la casa di famiglia, hanno anche pagato le tasse per trenta o quarant'anni. A che cosa sono servite? A costruire quelle case popolari a cui i nostri figli non hanno diritto, perché vi sono altri che vengono da altri paesi e che hanno sicuramente emergenze. Purtroppo, questi ultimi, secondo la vostra politica, vengono sempre prima dei nostri figli.
La nostra è una società in via di estinzione. Cosa andranno a fare i giovani? Forse preferite che vadano ad ingrossare le file dei lavoratori socialmente utili, oppure nelle cliniche con le stanze del buco per intontirsi ulteriormente e incrementare le fasce dei non produttivi, di coloro che non daranno aiuto allo Stato e all'Italia, ma che saranno soltanto di peso.
Purtroppo, noi della Lega Nord lo sappiamo e sono dieci o vent'anni che ormai lo diciamo: voi volete un'Italia meticciata, non l'Italia del nord, ma dei cittadini sempre più color cioccolatino - che probabilmente vi piace molto - magari con il burqa o con il velo o anche con il tappetino sotto il braccio per potersi distendere ed inginocchiare, orientati verso la Mecca. Noi questo non lo vogliamo! C'è poco da ridere - ho sentito una sghignazzata -; se avete letto i giornali o visto la televisione, proprio ieri il presidente dell'Iran ha lanciato una minaccia all'Occidente e, quindi, anche all'Italia. Non è tanto il pericolo di una bomba nucleare, ma ve n'è un altro molto più grave e pericoloso, vale a dire la bomba demografica!
Da noi, purtroppo, di figli non se ne fanno o sono molto pochi: uno o uno e mezzo in media, dicono le statistiche. Infatti, la società e il Governo non permettono ai nostri giovani di avviare una vita produttiva e di farsi una famiglia, di avere più di un figlio. Invece, coloro che vengono dal sud, dall'Africa o da altri paesi avanzano tutti i diritti possibili.
Costoro sono coloro che, come dicevo prima, verranno a sostituire i nostri figli. Non faremo nemmeno in tempo a vedere i nostri nipoti, mentre vedremo, invece, tanti nipoti molto «abbronzati»: naturalmente, non si tratterà di un'abbronzatura presa al mare (Commenti dei deputati del gruppo Comunisti Italiani)!
Tornando al decreto-legge in esame, vorrei evidenziare un aspetto molto grave: al di là dell'aumento delle imposte dirette, da parte di questo Governo e di questa maggioranza c'è un atteggiamento ancora più viscido, direi da persone vili! Vi sono, infatti, numerose tasse indirette e subdole, causate dai tagli effettuati ai trasferimenti agli enti locali, in particolare ai comuni.
Come dicevamo anche l'altro giorno, i nostri sono da sempre comuni virtuosi. Quanto più sono virtuosi e rispettano il patto di stabilità interno, tanto più vengono penalizzati, ed allora saranno costretti ad inasprire ulteriormente le tasse e le imposte cittadine. La scelta di far aumentare le rendite catastali, naturalmente, condurrà indirettamente all'aumento dell'ICI, anche se i nostri sindaci non vogliono farlo. Abbiamo visto che l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) è stata la prima a denunciare, in questa sede, la questione. Infatti, voi costringete i nostri sindaci del nord ad imporre nuove tasse ai propri cittadini: così essi, magari quelli che hanno votato per la sinistra, se la prenderanno non con il Governo, ma con i nostri sindaci, magari con quelli leghisti!
Come dicevo prima, i nostri figli non potranno entrare in possesso di quelle case per le quali noi genitori abbiamo pagato le tasse per trenta o quarant'anni. Tra le imposte che aumenteranno (come, ad esempio, l'IRAP) vorrei aggiungere anche la TARSU.
Ricordo che la settimana scorsa si è discusso del problema dei rifiuti. Il sud, purtroppo, ha speso miliardi senza mai giungere ad una soluzione. Nei nostri paesi del nord, invece, la soluzione è stata trovata, poiché si realizzano le discariche.Pag. 59Oltre ad eliminare i rifiuti, tali discariche producono compost, energia elettrica (che viene successivamente venduta all'ENEL), gas e acqua calda per riscaldare gli ospedali, i quartieri cittadini e le case più povere. Naturalmente, però, per realizzare tutto ciò bisognerà aumentare la TARSU, poiché i tagli operati da questo Governo costringeranno i nostri sindaci ad agire in tal senso.
Abbiamo già detto che, purtroppo, si tratta di una maggioranza «matrigna», soprattutto con i paesi del nord, se è vero come è vero che sono stati operati tagli enormi soprattutto ai trasferimenti ad essi destinati. Chi potrà essere contento, come ha detto precedentemente qualche mio collega, sarà, ancora una volta, il sindaco Veltroni, per il quale sembra che non vi sia mai crisi, perché il Governo centrale è sempre in grado di trovare finanziamenti. Non importa, poi, se tali risorse servono per dei doppioni, oppure per fare la sagra del cinema, magari volendo togliere forza, vitalità e prestigio al festival del cinema di Venezia!
Per Roma i soldi ci sono sempre (si parlava di 150 milioni di euro per il 2007, il 2008 e il 2009)...
PRESIDENTE. La invito a concludere!
PAOLA GOISIS. ...mentre per Venezia si riescono a trovare soltanto le briciole! Venezia è la capitale del nord, ha duemila anni di storia, vanta una tradizione molto importante e prestigiosa ed ha consentito all'Italia di ottenere prestigio, importanza e riconoscimenti in tutto il mondo.
Non intendo parlare ancora del TFR, poiché lo hanno già fatto tutti, tuttavia vorrei dire che si tratta di un altro furto.
Questa volta pensiamo sia un furto non tanto ai danni dei ricchi, ma ai danni dei lavoratori, dei dipendenti, degli operai! Come farà questa sinistra a giustificarsi?
Anche il ministro Padoa Schioppa si è permesso di dire che, laddove vi sono imprenditori che lavorano, sicuramente vi è evasione e furto! Probabilmente, è per questo motivo che pensa di prevedere il carcere per i nostri imprenditori. Infatti, nella vostra manovra si prevede addirittura il carcere, qualora si dovesse in qualche modo evadere qualche obbligo fiscale.
Abbiamo capito, allora, perché avete approvato l'indulto (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Frassinetti. Ne ha facoltà.
PAOLA FRASSINETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'intervenire sulla complessità di questo decreto-legge, tratterò brevemente alcuni punti di carattere generale. È difficile cercare di capire e di cogliere l'elemento di maggiore difficoltà in un insieme di criticità diffuse.
La filosofia di questo decreto fiscale è sicuramente aberrante, in quanto erroneamente pare regolata dal criterio della redistribuzione del reddito. In realtà, come è già stato affermato in quest'aula (è mio dovere ripeterlo, perché questo credo sia il cuore del problema), la pressione fiscale riguarda tutti i cittadini, senza distinzioni. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: alcuni eclatanti, altri meno. Altri, forse, camuffati da interventi degli enti locali.
Si costituisce così un sistema di scatole cinesi, nel quale l'ente più vicino al territorio tenta di sopportare gli oneri attribuiti dal potere centrale. Sicuramente, la rivolta dei primi giorni anche da parte di sindaci del centrosinistra non è da sottovalutare, anzi, è un elemento di allarme molto preoccupante. Certo, si è cercato in corso d'opera di porvi rimedio, ma rimangono ancora tante situazioni da risolvere e tante emergenze che i comuni e le province dovranno affrontare in seguito a questa manovra dalla quale il cittadino viene penalizzato anche in alcuni ambiti rimasti un po' a margine. Mi riferisco all'articolo 35, che concerne disposizioni sull'istruzione, sul mondo della ricerca e dell'università. Con il precedente Governo tante erano state le contestazioni sui tagli alla ricerca, ma mai, come in questo caso, il mondo universitario, della ricerca, delle eccellenze hanno lanciato un grido di allarme! Credo che, con riferimento all'istruzione,Pag. 60vi sia stata una penalizzazione a 360 gradi che pagheranno gli studenti, i giovani, i docenti per l'innalzamento del rapporto docenti-alunni. Questo aspetto, in un'ottica generale, sicuramente non troverà soluzioni. Si spera almeno che vi sia al riguardo un dibattito parlamentare e che verranno accolte proposte emendative, anche di merito, presentate nel campo dell'istruzione.
Ritengo che il provvedimento in esame contenga disposizioni che penalizzano il Nord. Non ho sicuramente la cultura della Lega in merito a ciò, ma città come Milano sono state fortemente penalizzate: mi riferisco, in particolare allo sviluppo delle piccole e medie imprese, alla viabilità, alle infrastrutture, in una zona che economicamente è sempre il motore di questo paese. La filosofia che sottende a questa manovra pare essere la difesa dei lavoratori dipendenti d'intesa con i grandi gruppi economici e finanziari, ma in ciò si rinviene l'errore di questo Governo. Infatti, l'esecutivo pensa di tagliare fuori i ceti medi, effettuando un incredibile errore di valutazione, senza ragionare sul fatto che il ceto medio è cambiato, non è più quello di una volta. Esiste un ceto medio mobile, mentre non esiste più un proletariato. Proprio attraverso questa nuova mobilità, attraverso questo blocco sociale, ritengo sia possibile superare queste contraddizioni.
Pertanto, attraverso un interclassismo che da sempre ci appartiene, credo sia importante riuscire a mettere in difficoltà il Governo, in quest'aula e se necessario anche attraverso proteste più diffuse, facendo leva sull'interesse della nostra nazione, superando una logica di classe ormai desueta (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole D'Ulizia. Ne ha facoltà.
LUCIANO D'ULIZIA. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, vorrei svolgere una precisazione, in quanto qui se ne sentono di tutti i colori: sembra che ci si trovi ancora in campagna elettorale.
Ricordo ai colleghi che con il Governo Berlusconi il debito pubblico sfiorava i 1.200 miliardi; questo è il dato della Banca d'Italia. Quando, alla fine della XIV legislatura, il Governo Berlusconi è venuto meno, avendo perso le elezioni, il debito pubblico era esattamente di 1.537 miliardi. Se la matematica non è un'opinione - cari amici della destra -, il Governo Berlusconi, solo in termini di debito pubblico consolidato, ha creato 300 miliardi di nuovo debito pubblico. Ed è anche poco; infatti il Governo Berlusconi ha portato l'avanzo primario da 5 punti a 0,4 punti. Pertanto, se facciamo un conto in difetto, ci accorgiamo che le prediche provenienti dalla destra sul fatto che il Governo precedente a quello Prodi ha svolto una buona amministrazione non corrispondono al vero.
Non voglio svolgere una difesa d'ufficio del centrosinistra sic et simpliciter ma, se guardiamo a quanto accaduto l'altro ieri, vale a dire il fatto che la Confindustria e i sindacati confederali hanno sottoscritto con il Governo un patto sul TFR, emerge che il Governo e la maggioranza non sono isolati. Le imprese più significative che a vostro dire fanno l'economia di questo paese - a mio avviso ve ne sono di altre più significative, come le cooperative - hanno firmato un patto d'acciaio con il Governo Prodi.
Quindi, come vedete, non si può predicare bene e razzolare male, né si può parlare di un Governo allo sbando! Probabilmente, diciamolo pure con molti dubbi e molte incertezze - perché c'è la questione politica che bisogna sempre nascondere, senza poter dire le cose come realmente stanno -, bisogna rettificare il metodo politico. Il Governo ha delle difficoltà, perché la situazione che abbiamo ereditato è obiettivamente difficile. Se pensate che veniamo da un anno in cui la crescita del PIL è pari allo zero, avere una tendenza di crescita all'1,6 - 1,7, a mio avviso, è già un miracolo.
Vorrei dire ai colleghi della destra, ma anche della sinistra, che benchè queste cose siano amplificate e quindi usate in termini di propaganda politica, tuttaviaPag. 61abbiamo anche un dovere verso chi ci ha eletti e dovremmo produrre insieme un risultato, anche con l'apporto dell'opposizione. Non mi vergogno di dire che, per esempio, quando l'onorevole Lussana ha parlato dell'indulto, io l'ho applaudita, perché ha fatto delle affermazioni giuste. Questo significa essere obiettivi e non portare la testa allo sfascio e all'ammasso! Abbiamo bisogno di un nuovo modo di fare politica: una politica di servizio, che risolva i problemi, che stia dalla parte del cittadino!
Questo decreto-legge, che ci apprestiamo a convertire in legge, è un provvedimento lacunoso, come ho già detto in discussione sulle linee generali. È inutile che difendiamo ad oltranza un decreto-legge che ha delle lacune. Non mi ripeterò rispetto a quanto detto in discussione generale, tuttavia credo che bisognerebbe precisare che, ad esempio, non è che l'agricoltura, caro onorevole Marinello, tirerà fuori un miliardo di euro grazie agli estimi! Non è così, ma non ho il tempo per precisarne il motivo. È vero invece che, con la nuova classificazione del catasto, chi si farà la villa su un terreno agricolo, senza che su questo si svolga un'attività produttiva agricola, pagherà le tasse per l'uso diverso, e quindi, giustamente, non più secondo un uso agricolo.
Vengo al tema delle imprese cooperative agricole, e la prego, signor sottosegretario, di seguirmi. In questo decreto-legge si è insistito nel fare la differenziazione fra impresa agricola (cioè produttore agricolo) e impresa cooperativa agricola. Mi devo ripetere, signor sottosegretario, però la invito a riflettere. Noi abbiamo una Costituzione ancora vigente grazie al referendum. Non dimentichiamoci mai che il popolo italiano ha voluto questa Costituzione e non altre. Ebbene, l'articolo 25 della Costituzione tutela, incoraggia, controlla i fini mutualistici delle imprese cooperative. Non capisco quindi come sia possibile che ad una grande impresa agroalimentare, che produce uva e la trasforma in vino, possa essere garantita l'esenzione dall'ICI, in quanto essa svolge tutta l'attività all'interno del settore primario. Cosa facciamo, invece, caro sottosegretario, quando degli agricoltori si associano in un'impresa cooperativa, raggiungendo magari la dimensione dell'impresa singola - non posso fare nomi, perché siamo in Parlamento e non voglio fare pubblicità a case vitivinicole che ne avrebbero giovamento -, per svolgere le stesse attività che avrebbero potuto svolgere da soli, in modo però non economico e non funzionale? Imponiamo l'ICI a quell'impresa cooperativa agricola o agroalimentare!
La proposta che vorrei avanzare è, dunque, la seguente: il gruppo dell'Italia dei Valori presenterà un ordine del giorno che segnalerà questa «distrofia»; tuttavia, invitiamo il Governo ad emendare quella parte del provvedimento. Purtroppo, il nostro emendamento è stato dichiarato inammissibile per mancanza di copertura finanziaria.
Signor Presidente, siamo schierati non solo per partito preso, ma anche perché siamo convinti che questo Governo e questa maggioranza possano svolgere per il paese un buon lavoro. Come vede, rileviamo puntualmente gli errori, le discrasie e chiediamo che il Governo provveda a sanarle. È questo il nostro modo di lavorare e per questo chiedo nuovamente al Governo di tenerne conto.
ILARIO FLORESTA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ILARIO FLORESTA. Signor presidente, constato con sorpresa quanto sia interessato a questo dibattito il rappresentante del Governo. Stiamo discutendo di un decreto fiscale che colpisce nelle tasche di tutti gli italiani e molti colleghi hanno sviluppato le loro osservazioni. Il sottosegretario Grandi mostra grande attenzione nei confronti del dibattito. Anzi, vorrei chiedergli se abbia voglia di ripetere qualche parola dell'intervento svolto dall'amico leghista poc'anzi (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania).Pag. 62Il sottosegretario Grandi, infatti, ha letto tutto il tempo Il Corriere della sera e poi ha telefonato!
Crediamo, dunque, che non vi sia la necessaria serietà - come, del resto, si evince dal decreto fiscale adottato dopo qualche giorno di attività del Governo - rispetto al dibattito in corso (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Onorevole Floresta, il Governo, nella sua autonomia, potrà valutare le parole da lei pronunciate.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Patarino. Ne ha facoltà.
CARMINE SANTO PATARINO. Signor Presidente, credo non sia superfluo richiamare alla nostra memoria ed a quella di tutti gli italiani le risposte, le reazioni sdegnate e le categoriche smentite da parte dell'intero centrosinistra quando, nel corso della campagna elettorale, tentavamo di mettere in guardia i cittadini italiani da una sinistra che, in caso di vittoria alle elezioni, avrebbe concepito, come aveva sempre fatto in passato, la gestione del Governo come un continuo ed indiscriminato tartassamento.
Quando il popolo italiano ha dimostrato di condividere i nostri timori, garantendoci comunque una straordinaria rimonta elettorale, avemmo ragione nel pensare che voi tutti del centrosinistra avreste saputo comprendere la lezione e regolarvi di conseguenza. Francamente, non immaginavamo che le nostre pur fosche previsioni si sarebbero avverate tanto presto ed in termini ancora più pesanti di quanto noi stessi potessimo ipotizzare.
Non si era mai verificato nella storia del nostro paese, né si verifica oggi in alcuna nazione europea, che un Governo ed una maggioranza si accanissero nei confronti dei propri cittadini con una tale cattiveria, con tanto disprezzo, dando chiaramente l'impressione di non avere alcuna considerazione della gente, dei contribuenti, che sono considerati tutti come fossero degli incalliti evasori, dei delinquenti, peggiori dei tanti criminali che avete fatto uscire dal carcere con l'indulto.
Quello che voi date con questo decreto agli italiani è solo un piccolo assaggio.
Questo decreto, infatti, che contiene finte liberalizzazioni, che, in realtà, costituiscono un mezzo per instaurare un regime poliziesco, serve solo a preparare il terreno ad una finanziaria che sarà una stangata tremenda nei confronti sia delle imprese, sia delle famiglie sia delle istituzioni locali.
Ci sarà un inasprimento dell'IRPEF, con riferimento al quale Prodi afferma che scatterà per i redditi superiori ai 40 mila euro, mentre Cofferati, giustamente, afferma che pagheranno di più anche coloro il cui reddito è inferiore ai 30 e ai 25 mila euro.
Non credo che vi sia alcuno in Italia e nel resto del mondo che non abbia capito che nel nostro paese le cose sono davvero cambiate. È evidente, è scoperta la natura di questo Governo e di questa maggioranza, che, data l'essenza fortemente ideologizzata, per cui le scelte sono fortemente condizionate dall'ideologia, ci portano indietro, molto indietro nel tempo, ossia ad un periodo che noi ritenevamo ormai alle nostre spalle, concluso e non più ripetibile: il periodo della lotta di classe.
Infatti, quando nella propaganda della maggioranza si ricorre a manifesti che riportano la figura di bastimenti con la scritta «Anche i ricchi piangano», abbiamo l'esatta dimostrazione che questo Governo e questa maggioranza di centrosinistra non hanno per niente a cuore gli interessi della collettività, ma hanno un solo obiettivo. Non si tratta dell'obiettivo che si pongono tutte le altre nazioni del mondo, ossia di fare in modo che le classi meno abbienti vivano in condizioni migliori e si avvicinino sempre di più alle classi più abbienti. In nessuna parte del mondo si fa la lotta alla ricchezza, anziché fare la guerra alla povertà; lo si fa soltanto in Italia.
Noi siamo certi, amici della maggioranza, che questi espedienti che avete usato, che state usando e che utilizzerete anche nella finanziaria vi daranno forsePag. 63un po' di respiro, un po' di ossigeno, ma ormai il giudizio degli italiani non può modificarsi. Non c'è cittadino in Italia e non c'è settore dell'economia che non siano stati scontentati dai vostri sistemi e dalle vostre rapine.
Voi siete abituati - lo avete sempre dimostrato quando siete andati al Governo - a mettere le mani nelle tasche degli italiani. Avete tentato in tutti i modi di criminalizzare in passato il Governo di centrodestra, il Governo Berlusconi, che, secondo voi, pensava esclusivamente - o così avete voluto fare intendere - ad interessi personali, senza preoccuparsi degli interessi della collettività. Leggete ogni tanto anche i giornali stranieri per sapere cosa pensano di voi e dell'Italia, che è ridotta nelle condizioni che voi avete voluto!
A questo vostro modo di pensare, forse, vi darà un po' di tranquillità e riuscirà a farvi mettere d'accordo, perché avete soltanto una preoccupazione, quella di continuare a sopravvivere e a galleggiare. Ma questo galleggiamento non potrà durare in eterno. Siamo certi che gli italiani sono stanchi e stufi, nonostante siano trascorsi soltanto alcuni mesi! Immaginiamo cosa potrebbe accadere se, invece di qualche mese, il vostro Governo durasse in carica addirittura qualche anno! Quanti disastri vi sarebbero soprattutto per il popolo italiano!
Per queste ragioni, noi respingiamo il vostro modo di pensare e questo provvedimento, così come respingeremo con forza la finanziaria, non soltanto nelle aule parlamentari, ma anche in piazza, dove la gente ci sta invitando a scendere, perché è stufa e non ce la fa più e, insieme a tutti quanti noi, vuole protestare contro la vostra cattiveria e la vostra arroganza (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.
LUCIO BARANI. Signor Presidente, anche noi vogliamo portare il contributo del gruppo della Democrazia cristiana-Partito Socialista a questo dibattito.
A differenza di molti colleghi parlamentari, non ci scandalizziamo. Il Governo ha fatto l'unica legge finanziaria che era in grado di fare: era già tutto scritto! Era un epilogo che dovevamo sopportare e lo stiamo sopportando. Non ci scandalizzeremmo neppure se fosse posta la questione di fiducia, perché sappiamo che sarà appunto la fiducia l'unico collante a tenere assieme questa maggioranza eterogenea.
Dunque, è già tutto scritto, come è già scritto che dopo l'approvazione della legge finanziaria questa maggioranza, che non si regge su solide basi, si frantumerà e forse si arriverà dal «governissimo» ad un nuovo Governo più attinente alle realtà del paese. A tale proposito, si parla già di date e si indica, in particolare, la fine di gennaio.
Credo siano 28 anni - ormai se ne sono accorti tutti ed è per questo che nessuno di noi se ne meraviglia - che il Presidente del Consiglio Romano Prodi porta sfortuna a qualunque cosa tocchi. Ha toccato questa maggioranza e questo Governo ed è riuscito a distruggere il consenso che in effetti i cittadini - e mi dissocio su questo punto dagli interventi di molta parte della minoranza - dal 2005 stanno accordando all'Unione e all'Ulivo. La Casa delle libertà, quando ha governato, non è riuscita a far capire la sua concretezza politica, oppure non ha avuto la forza di uscire da quel «monopolismo», da quella politica fatta in modo superficiale e dilettantistico, che il paese non è riuscito a recepire. Quindi, ve n'è per l'una e per l'altra parte. Il paese sta regredendo da dodici anni a questa parte e mancano statisti di qualità che riescano, come è accaduto in altre realtà, a portare il paese fuori dalle secche in cui si trova la nostra economia.
Ho detto che questo Presidente del Consiglio porta sfortuna dal tempo dell'onorevole Moro, da quella famosissima - non finirò mai di ricordarla - seduta spiritica che ha decretato la fine ingloriosa di quel grande statista. Ma ha portato sfortuna anche al partito democratico, che sicuramente non si costituirà più; ha portato sfortuna all'IRI, alla Telecom, che èPag. 64l'erede dell'IRI, a Nomisma per le ferrovie, alle ferrovie stesse quando l'amico e compianto Necci gli aveva affidato gli studi sul settore. Peraltro, cari colleghi, il ministro Padoa Schioppa sarà ricordato sicuramente come uno dei peggiori ministri dell'economia che abbia mai avuto la Repubblica italiana.
In questa situazione di sfiducia del paese ci si è messo di traverso anche il Servizio studi della Camera! Infatti, i nostri tecnici dicono che l'importo complessivo «non coincide con quello indicato dal Governo (34,7 miliardi)», anzi che ben presto supereremo i 40 miliardi di euro, in quanto l'esecutivo ha ritenuto «di non considerare nella manovra le misure che limitano la deducibilità delle spese per gli autoveicoli, contenute nel decreto legge collegato, finalizzato a compensare le minori entrate dell'IVA derivanti dalla sentenza della Corte europea».
Nel dossier si legge che, secondo la relazione al decreto, «queste maggiori entrate sono già state incluse nelle previsioni di bilancio a legislazione vigente per il 2007, proprio in quanto destinate a compensare le minori entrate della sentenza della Corte di giustizia (...). Non appare chiaro come sia stato possibile inserire nel bilancio a legislazione vigente, presentato alla Camera il 1o ottobre, una parte delle maggiori entrate derivanti da un decreto-legge che è entrato in vigore il 3 ottobre». Diciamo la verità: ormai è una legge finanziaria «rimbambita».
Gli stessi ministri che l'hanno approvata intendono presentare - anche perché sono ministri dilettanti - ben 254 emendamenti. Essi stessi non l'hanno capita e mi sarei meravigliato se l'avessero fatto. Mi sarei meravigliato se uno come Antonio Di Pietro avesse capito che cosa stava approvando.
Tuttavia, i dati più significativi e preoccupanti li stanno fornendo i cittadini italiani. Vi leggo i veri dati del disegno di legge finanziaria, quelli che tutti possono verificare nelle piazze, nei negozi, in tram, sul posto di lavoro e nelle case dei cittadini: secondo l'autorevole sondaggio di la Repubblica - cito la Repubblica e non Libero o Il Giornale - e secondo molti altri sondaggi apparsi sui giornali e riferiti dalla televisione, la sfiducia degli italiani nei confronti del Governo appare evidente. Possiamo dire che si stanno provocando danni gravissimi e, temo, difficilmente riparabili nel rapporto con ampi settori dell'opinione pubblica. Emerge dai risultati del sondaggio che il consenso verso il Governo, nel periodo da luglio a ottobre, è sceso di ben 18 punti percentuali e quello nei confronti del Premier Romano Prodi è sceso di quasi dieci punti percentuali; inoltre, per il ministro dell'economia e delle finanze il crollo è stato verticale, dato che la fiducia nei suoi confronti è scesa di 20 punti percentuali, mentre la stessa fiducia nei confronti di Bersani è diminuita di 15 punti; nei confronti di Gentiloni si è ridotta di 13 punti; nei riguardi di Rutelli è diminuita di 9 punti e nei confronti del ministro Melandri è scesa di 11 punti percentuali. Insomma, una débacle al gran completo. Questi dati sono apparsi, lo ripeto, su quotidiani come la Repubblica e il Corriere della sera, non certo su Libero o su Il Giornale. Prodi raggiunge percentuali negative da capogiro rispetto alle definizioni di lento, statico e condizionato.
In questo momento, il Governo non ha la fiducia degli italiani, è minoranza assoluta nel paese e sta governando contro la volontà del popolo sovrano. Sta imponendo metodi autoritari, da «repubblica delle banane». Riconosco a Daniele Capezzone il nobile tentativo di salvare la barca con il «tavolo dei volenterosi», fallito per volontà dei capi manipoli della maggioranza, e concordo sul fatto che il disegno di legge finanziaria sia da riscrivere, almeno tenendo conto delle molte indicazioni fornite anche dal Governatore Draghi e dalla Corte dei conti. Sono necessarie più riforme coraggiose e meno spesa pubblica reale. È necessario, cioè, eliminare i «carrozzoni» pubblici che stanno soffocando l'Italia e che questo Governo confonde con i comuni, specialmente con i piccoli comuni, che sono rimasti l'ultimo cordone ombelicale tra le istituzioni e i cittadini. Basta con il ricattoPag. 65sindacale nei confronti di questo Governo, soprattutto da parte della CGIL di Epifani! Basta con i ricatti delle cooperative rosse che, forse, hanno investito troppo su questo Governo! Credo che gli interessi li debbano riscuotere piano piano, non tutti in una volta. Basta con la grande distribuzione e con le grandi società di investimenti che dettano legge ai ministri dei trasporti e delle infrastrutture su che cosa si debba o non si debba fare e su cosa sia maggiormente remunerativo! È ora di smetterla! Ci sono programmi che devono essere rispettati! Però, Daniele Capezzone e molti altri della maggioranza che si sono espressi come lui devono dimostrare la loro coerenza fino in fondo. Che cosa faranno se il Governo porrà la questione di fiducia sul disegno di legge finanziaria? Approveranno il più grande pasticcio economico nella storia della Repubblica italiana? Queste sono esigenze di coerenza, cari compagni! Mi rivolgo ai compagni riformisti, a quelli della Rosa nel Pugno, ai riformatori di sinistra - perché noi continuiamo ad essere di sinistra e riformisti - e mi riferisco ai tanti socialisti che siedono nei banchi del centro e del centrodestra, perché i socialisti sono sempre di sinistra e vogliono portare avanti politiche riformiste e di sinistra: non possiamo buttare via il bambino con l'acqua sporca ma lo dobbiamo lavare e dobbiamo tenerlo. Dopo, infatti, per chiunque andrà a guidare il Governo di unità nazionale o il «governissimo» (Marini, si dice) sarà difficile risalire la china in cui questo Governo, fatto da dilettanti, sta spingendo, anche con superficialità, il nostro paese, in tutti i campi. Siamo in ritardo in Europa: gli altri stanno andando avanti e noi stiamo andando indietro!
Su queste esigenze di coerenza si misurerà la capacità di avviare quelle politiche riformiste che noi stiamo invano aspettando e alle quali vorremmo tanto dare il nostro appoggio sincero. Non siamo qui per dire un «no», a prescindere da tutto.
Siamo qui a dire che, ad esempio, con la legge finanziaria per i piccoli comuni qualcosa di buono è stato fatto: si è previsto di eliminare il patto di stabilità, si è istituito il fondo perequativo. Allora, perché non andare avanti su questa strada? Perché non impedire, con riferimento ai piccoli comuni, quelli sotto i 5 mila abitanti, di ridurre la spesa per il personale dell'1 per cento? Sono piccoli comuni: a volte qualcuno va in maternità e resta un solo dipendente, anche part-time; e allora si vedono costretti a chiudere gli uffici. Quello è lo Stato sociale: non lo possiamo smantellare! Dobbiamo pensarci!
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 17,30)
LUCIO BARANI. Non possiamo continuamente far sì che i comuni siano i nostri esattori, i nostri sceriffi. E mi riferisco all'addizionale IRPEF, all'ICI, all'aumento dello 0,5 per cento per cinque anni per le opere pubbliche, alla rivisitazione degli estimi catastali e, ancora, alla questione dei rifiuti che tanto attanaglia i nostri comuni.
Per un falso perbenismo, per un falso massimalismo, per un falso ecologismo non si vogliono trovare soluzioni. Vogliamo centrali nucleari, vogliamo discariche, vogliamo inceneritori, perché in questo modo li sottraiamo alla mafia ed alla malavita. Perché continuate a impedire che l'Italia sia autosufficiente anche in questo campo? Non abbiamo materie prime e i prodotti della nostra trasformazione, nella peggiore delle ipotesi, li dobbiamo mandare in Germania e, nella migliore, in Sicilia (e, giustamente, i siciliani non sono d'accordo). Dobbiamo pur raggiungere un'autonomia, anche con la legge finanziaria! Ciò affinché l'ambiente sia di tutti e non di questi pseudo ecologisti che stanno distruggendo l'ambiente in cui viviamo.
Tra qualche giorno, il Presidente Bertinotti ci riceverà: noi ringrazieremo per ciò che di buono è stato fatto, ma protesteremo, sostenendo che dobbiamo fare di più. Non sono i piccoli comuni la vera burocrazia, la vera fonte di spesa. Sono tutti quegli enti inutili che vanno dallePag. 66pseudo comunità montane, alle ATO delle acque e dei rifiuti, alle agenzie e ai consorzi che elargiscono migliaia (ne abbiamo contati oltre 200 mila!) di bende e prebende per sistemare funzionari di partito che, altrimenti, sarebbero disoccupati. Essi hanno trovato la pubblica amministrazione come punto di riferimento. Ci vorrebbe ancora più coraggio: ridurre le giunte, i consigli comunali. Questa sarebbe una buona scelta. Ma va fatta anche con le regioni, che rappresentano la vera sperequazione italiana in tutti i campi, compresa la sanità. Vi sono direttori generali che fanno fare carriera solamente a professionisti con la loro tessera e assumono solo in base a ciò che politicamente conviene loro. Questa è la situazione che porta al disastro! Ecco perché diciamo «no» alla tassa sul pronto soccorso ed al ticket sulla ricetta medica.
Dal 2 al 4 novembre, in Italia, a Roma, si riuniranno tutti i Capi di Stato e di Governo per discutere dei problemi dell'obesità e della fame nel mondo. Le vergogne del mondo: chi tanto e chi niente! L'obesità, in Italia, viene a costare 23 miliardi di euro all'anno e non si fa niente al riguardo; non ci si prepara. Il nostro ministro della sanità non è adatto ad affrontare queste tematiche, non riesce a capire, vuole introdurre i livelli minimi di assistenza. Dobbiamo fare di più!
In Italia abbiamo bisogno di portare lavoro ben retribuito ai livelli nazionali. Vorrei portare un esempio per tutti: il Governo ha affermato che in Italia con 75 mila euro si è ricchi. In Germania 75 mila euro li guadagna un operaio specializzato! Allora, se in Italia è considerato ricco chi guadagna 75 mila euro, vuol dire che l'Italia è un paese di serie B. Significa che in serie A vi sono Stati come la Germania, che hanno avuto politici capaci, i quali hanno saputo far fronte alle emergenze e alle necessità del loro paese. Per concludere....
PRESIDENTE. Onorevole Barani, deve concludere.
LUCIO BARANI. La ringrazio per avermelo ricordato, signor Presidente. Le agenzie di rating con le loro osservazioni non ci dicono niente di più e niente di meno di ciò che già sapevamo. Qui c'è stato un assalto alla diligenza di vecchia memoria ed abbiamo bisogno...
PRESIDENTE. Onorevole, il tempo a sua disposizione è terminato. Grazie.
Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori il deputato Crosetto. Ne ha facoltà.
GUIDO CROSETTO. Vorrei avere «lumi» dalla Presidenza, altrimenti potrebbe sembrare che vi sia ostruzionismo da parte dell'opposizione. Invece, sta succedendo qualcosa di incomprensibile dal nostro punto di vista.
Tre ore fa, il Governo, in Commissione bilancio, ha illustrato alcuni emendamenti che avrebbero dovuto già essere presentati in Assemblea. Il sottosegretario Sartor ha presentato sette emendamenti, su cinque dei quali sembrava vi fosse l'accordo dell'intera maggioranza. Ad ora, non risultano pervenuti all'Assemblea. Come lei, signor Presidente, sa, l'eventuale presentazione di emendamenti prevede la concessione di tempo per la presentazione di subemendamenti.
Volevo sottolineare che, a parte la presenza dello stakanovista Di Gioia, a parte la lettura terminata de Il Corriere della Sera da parte del sottosegretario Grandi, non è presente nessun membro della Commissione, gli emendamenti non sono pervenuti e vorrei far capire (anche per spiegare la reale situazione in cui si trova la maggioranza) ai nostri colleghi che, quanto sta avvenendo, in realtà, non è ostruzionismo da parte dell'opposizione. Anzi, l'opposizione in qualche modo, intervenendo, sta coprendo un «buco» creato dalla maggioranza, che aveva formalmente affermato che erano stati presentati emendamenti, ora scomparsi.
Con i nostri interventi, colleghi dell'opposizione, stiamo coprendo la difficoltà della maggioranza di formalizzare sette emendamenti che, in tre ore, sono scomparsi nel tragitto dal quarto al primo piano del Palazzo (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania).Pag. 67
È un dato politico da sottolineare. Inoltre, signor Presidente, poiché nell'Assemblea e nel Palazzo, la forma è sostanza, quando il Governo comunica ai deputati, in Commissione, di aver presentato emendamenti, nella prassi si intende che gli emendamenti siano stati presentati in Assemblea. Vorremmo sapere cosa è successo in queste tre ore ai «famosi» emendamenti del Governo, così potremmo capire qualcosa sul nostro immediato futuro (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Alfiero Grandi. Ne ha facoltà.
ALFIERO GRANDI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Ringrazio l'onorevole Crosetto che sapevo avrebbe aiutato il Governo e la maggioranza. Il Governo ha presentato il testo degli emendamenti nel Comitato ristretto e, a breve...
ANTONIO LEONE. No! Non era il Comitato ristretto!
ALFIERO GRANDI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Era il Comitato ristretto.
ANTONIO LEONE. Non può presentarli al Comitato ristretto!
ALFIERO GRANDI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Li ha presentati al Comitato ristretto e li presenterà formalmente, tra qualche minuto, quando saranno tutti corredati dalla relazione tecnica.
ANDREA GIBELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, intervenire dopo il rappresentante del Governo mi aiuta a rivolgerle una richiesta. Abbiamo la necessità di sospendere i lavori in Assemblea, per capire, in Commissione, quali siano le reali intenzioni del Governo.
Siamo di fronte ad un libro di buone intenzioni, presentato questa mattina, alle 9,30, durante la riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, su una sorta di disponibilità (che non comprendiamo fino in fondo) ad un confronto parlamentare sulla materia. Abbiamo atteso, senza credere a tale disponibilità, un elemento concreto e, dopo otto ore, il Governo ci informa che, forse, si inizierà a discutere in maniera puntuale sulle sue proposte che saranno presentate tra qualche minuto.
È abbastanza irrituale che l'Assemblea occupi una giornata intera dei propri lavori in attesa di emendamenti del Governo. Ciò dimostra l'esistenza di un problema all'interno della maggioranza, con o senza ostruzionismo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
È necessario avere chiarezza da parte del Governo. Abbiamo bisogno di capire in quale direzione vuole andare la maggioranza nei confronti di un decreto-legge che è già stato giudicato negativamente dalle piazze. Speriamo che non sia l'ennesima «pezza» tardiva, che non modifica la sostanza di un provvedimento, che è stato analizzato in Commissione, e che non sia solo un modo per portare avanti i lavori così da addossare all'opposizione la responsabilità della posizione della questione di fiducia.
La responsabilità, se verrà posta la questione di fiducia, sarà del Governo Prodi perché non si perde una giornata e si attendono le 17,30 per dire che, forse, ci saranno degli emendamenti (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia).
ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, vorrei dire all'onorevole Gibelli che tutto il pomeriggio abbiamo ascoltato lePag. 68considerazioni e le valutazioni dei deputati della Lega. Quindi, se c'è qualcuno che giustamente sta parlando ampiamente sono i deputati della Lega e questo non può che rincuorarci. Vorrei dire al collega Crosetto e a tutti quanti che non capisco di che cosa stiamo parlando. Come è giusto che sia, in Comitato ristretto il Governo ha annunciato ed ha illustrato una proposta emendativa, se non sbaglio, composta da sette emendamenti, che, affinché siano formalmente presentati, come ha spiegato il rappresentante del Governo, devono essere corredati dalle schede tecniche; e saranno, a minuti, presentati. Ovviamente, ciò non toglie minimamente la possibilità, ci mancherebbe altro, di osservare secondo il regolamento i tempi necessari per la presentazione dei subemendamenti. Stiamo facendo esattamente quello che è accaduto in tante altre situazioni: ciò rientra nella totale e ordinaria amministrazione dei nostri lavori e non capisco per quale ragione non possiamo proseguire. Quando il Governo avrà presentato gli emendamenti, ci sarà il tempo per presentare i subemendamenti; gli emendamenti, nel corso regolare della nostra seduta, saranno valutati e votati dall'aula, esattamente come previsto e come stiamo in qualche modo facendo. Quindi, non vedo quale sia la grande novità. Possiamo tranquillamente proseguire nei nostri lavori e credo vi siano altri iscritti a parlare. Nel frattempo, il Governo presenterà i propri emendamenti, ci sarà il tempo per i subemendamenti, ci saranno le valutazioni da parte della Presidenza e procederemo con i voti. Quindi, non capisco quale sia il problema.
PRESIDENTE. Colleghi, a questo punto la situazione mi sembra abbastanza chiara. Il Governo, come ha ricordato lo stesso onorevole Crosetto all'inizio del suo intervento, ha illustrato in Commissione il contenuto di alcuni emendamenti ed ora il suo rappresentante è intervenuto in aula dicendo che fra pochi minuti saranno formalmente depositati. Io non mi sento di dire, perché non faremmo onore ai colleghi che sono qui da questa mattina ad intervenire, che nel corso della giornata si è perso tempo, si sta perdendo tempo o si sta occupando il tempo in attesa di qualche evento. Sono stati già depositati oltre 460 emendamenti e, quindi, c'è materia per svolgere, come da regolamento e da prassi, la discussione sul loro complesso. Ci sono ancora dei colleghi iscritti a parlare e, quindi, non vi è ragione per alcuna sospensione della seduta.
Ha chiesto di parlare il deputato Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, credo che sarebbe stato più corretto da parte sua mettere ai voti la possibilità di sospendere la seduta. È vero che abbiamo presentato diversi emendamenti e che stiamo discutendo sul loro complesso, ma è anche vero che quelli che presenterà il Governo andranno a modificare il testo. Di fatto, saranno poi presentati altri subemendamenti e, dunque, quello che stiamo facendo in questo momento non è un intervento completo sulla manovra al nostro esame. Quindi, sarebbe un comportamento più corretto da parte della Presidenza mettere ai voti la richiesta di sospendere la seduta ed attendere, visto che è imminente, la presentazione delle proposte emendative, per poi procedere con la discussione sul complesso degli emendamenti.
Di conseguenza, la invito a riflettere su questa proposta. Visto che gli emendamenti sono stati presentati, svolgerò il mio intervento e, comunque, le saremmo grati se al termine volesse rispondere cortesemente a questa richiesta.
I vari provvedimenti adottati dal Governo in materia economica - prima con il decreto-legge Visco-Bersani, tanto osteggiato dai tassisti, e poi con questo decreto-legge e con la manovra finanziaria - non contengono nulla per favorire gli investimenti nel settore produttivo o per limitare l'incremento della tassazione. Cosa si è fatto per favorire gli investimenti nel settore produttivo? Si propone di «scippare» il TFR: siamo veramente alla follia più pura. Chi non sa che le nostre imprese sono quasi tutte medio-piccole? Il 90 perPag. 69cento delle imprese nel nostro paese ha meno di dieci dipendenti. Il problema non è la disponibilità o meno di liquidità da parte del settore bancario; anzi, purtroppo, le banche in un momento di crisi - e sostanzialmente ci troviamo in una fase di crescita bassa - hanno disponibilità di liquidità.
Il problema è trovare chi utilizza questi quattrini. Quindi, il problema per il settore produttivo, in particolare per le tantissime microimprese ed anche per quelle medie, è la garanzia nell'accesso al credito. Chi non sa che un piccolo imprenditore, se non possiede un capannone da ipotecare, non ottiene i soldi dalle banche? Si tratta di cosa risaputa. Se ad una piccola impresa sottraiamo il TFR, le togliamo il fiato ed essa non può più continuare a lavorare.
Ovviamente, la situazione non è ancora definita e probabilmente si apporteranno modifiche, considerata anche l'attività che stiamo portando avanti in Parlamento, non con l'ostruzionismo, ma cercando di contribuire a migliorare il testo del decreto-legge. Il problema resta quello del segnale che si dà al mercato perché non si possono sempre spaventare gli imprenditori, in quanto possono fuggire dal nostro paese. Molte aziende stanno già delocalizzando nell'Europa dell'est o in Cina; si tratta di una situazione destinata ad aggravarsi anche grazie all'azione della finanziaria. Pertanto bisogna procedere prima che sia troppo tardi.
Abbiamo chiesto al presidente dell'Associazione bancaria italiana se la sua associazione avesse in animo di fare qualcosa di concreto per favorire l'accesso al credito alle piccole e medie imprese, proprio per le garanzie che mancano. La risposta è stata un secco «no»; quindi, un provvedimento come quello che sta portando avanti il Governo di centrosinistra è demenziale e folle e faremo di tutto per contrastarlo. In proposito, speriamo che la maggioranza, non tutta priva di buonsenso - considerati gli emendamenti che sono stati presentati da alcuni colleghi -, capisca che si tratta di un provvedimento sbagliato e che quindi occorre modificarlo seriamente.
In merito ad una politica che dovrebbe favorire gli investimenti delle piccole e medie imprese, si è parlato diffusamente del cuneo fiscale, bandiera sventolata da un certo tipo di propaganda e favorita da alcuni giornali interessati. Ebbene, il cuneo fiscale è sostanzialmente una «bufala» perché favorisce soltanto poche imprese. Il 25 per cento del denaro che rientra alle imprese con il provvedimento sul cuneo fiscale favorisce soltanto settecento aziende. È sotto gli occhi di tutti che si tratta di una conseguenza scorretta e sbagliata. L'effetto congiunto del cuneo fiscale e dell'incremento dei contributi per le imprese con meno di dieci dipendenti, allo stato attuale, fa sì che il costo del lavoro incrementi dell'1 per cento o, più precisamente, dello 0,9 per cento; per le imprese con meno di cinquanta dipendenti incrementa dello 0,2 per cento. Quindi, è soltanto sopra i cinquanta dipendenti che l'effetto sul costo del lavoro comincia ad essere positivo. Siamo di fronte a chiacchiere e a politiche che hanno un effetto contrario a quello perseguito: favorire gli investimenti nel settore produttivo.
Vorrei ora passare all'aspetto fiscale. All'inizio si diceva che si sarebbe dovuto fare in modo di contenere l'incremento della pressione fiscale, che altrimenti sarebbe automatico, considerata la situazione dei conti pubblici italiani ed il contesto internazionale. Vi è stata quindi la proposta di una grande manovra di redistribuzione dell'IRPEF. Intanto, su questo punto c'è il caos totale, visto che ancora nessuno ha ben compreso gli effetti della manovra sulle singole posizioni contributive. Infatti, le tabelle di simulazione si basano su una famiglia tipo composta da un padre che lavora con moglie e figli a carico. Ebbene, pare che vi siano benefici per famiglie di questo tipo con redditi sotto i 40 mila euro, almeno secondo le tabelle fatte circolare dal viceministro Visco. Tuttavia, questa famiglia tipo non è quella che esiste nella realtà; infatti, l'ISTAT considera famiglia tipo quella conPag. 70almeno un figlio, con padre e madre che lavorano. Quanto meno al nord si riscontra questa situazione: se il padre o la madre non lavora, una famiglia con figlio a carico non riesce a pagare l'affitto e le spese di gestione della casa. Quindi, la famiglia tipo non è quella considerata da Visco e dal Governo, perché la realtà è tutt'altra.
Pertanto, rappresentanti del Governo presenti in aula - visto che i ministri non si degnano di venire ad assistere al dibattito parlamentare -, è chiaro che bisognerà cambiare rotta. Ed è su questo tipo di famiglia che bisogna fare la simulazione. Le altre sono situazioni particolari, per le quali occorre prevedere aiuti diversi. Una misura intelligente sarebbe applicare nuovamente, o quanto meno riportare in auge, il quoziente familiare. Comunque, la famiglia tipo - lo ribadisco - è costituita da padre e madre che lavorano entrambi; al nord è così. Evidentemente, girate poco nel paese; siete chiusi nei palazzi del potere romano e non vi confrontate più con la gente. L'altro giorno a Vicenza migliaia di persone, tra cui artigiani, piccoli imprenditori e liberi professionisti, sono scese in piazza, per dare sostegno alle forze della Casa delle Libertà, che manifestavano contro questa manovra finanziaria. Ovunque, in tutte le città del nord ed in Padania, le associazioni di categoria hanno già tenuto conferenze stampa e stanno protestando contro questa finanziaria che penalizza l'economia del nord.
Al viceministro Visco è stato chiesto cosa accadrà alla famiglia tipo, vale a dire quella in cui entrambi i genitori lavorano. La risposta è che occorre sviluppare ulteriori simulazioni ed apportare alcune modifiche. Evidentemente, anche lo stesso viceministro non sa e non capisce l'entità della manovra né chi essa andrà a colpire. Non potete pensare che il Paese possa andare avanti in una situazione di caos totale, senza alcuna certezza su una manovra così importante. L'unica certezza, infatti, è che questa grande redistribuzione dell'IRPEF farà recuperare 400 milioni di euro, dunque si tratta di nuove tasse in più. I cittadini di questo paese saranno tassati con nuove imposizioni; vi saranno tagli agli enti locali e i sindaci, anche quelli «rossi» delle vostre città, saranno costretti ad aumentare l'ICI e l'addizionale IRPEF. Verranno introdotti ticket nella sanità; i cittadini onesti che pagano le tasse saranno costretti a pagare anche le prestazioni negli ospedali e nel pronto soccorso, misure che con il Governo della Casa delle Libertà non esistevano.
Voi che dite di voler aiutare i più deboli, li state invece penalizzando. Le imprese chiuderanno e saranno licenziati i lavoratori, che dite di voler difendere. Volete espropriare loro il TFR; volete darlo allo Stato ed essi non lo rivedranno mai più. Sono queste le politiche economiche portate avanti dal Governo, che penalizzano sia le imprese che i lavoratori.
È un problema che si avverte soprattutto al nord, dove generalmente le tasse - ed è giusto dirlo - si pagano. Infatti, al nord la gente le tasse le paga. Per chi paga e dimostra di avere un comportamento corretto nei confronti dello Stato, vi sembra forse giusto superare il 50 per cento della pressione fiscale? È davvero un atteggiamento che non accettiamo. È una finanziaria inaccettabile e faremo di tutto, non solo in Parlamento, ma anche nelle piazze, per ribellarci a tale manovra fiscale.
Il livello della burocrazia viene aumentato da questo provvedimento. Non è vero che i settori produttivi, le piccole e medie imprese e gli artigiani non vogliono confrontarsi con lo Stato sulle tasse da pagare; essi sono invece preoccupati dell'entità della nuova burocrazia che penalizzerà la loro attività lavorativa. Con il provvedimento in esame, anziché procedere nella direzione della semplificazione, sono stati introdotti ulteriore burocrazia e nuovi adempimenti. Si va verso un regime di polizia tributaria. Addirittura verranno colpiti e multati da Visco i cittadini che non faranno la spia e non denunceranno - se per caso mangeranno una pizza o avranno bisogno a casa loro di un idraulico - il commerciante o l'artigiano che non rilascerà scontrino o fattura. SonoPag. 71misure degne di un Governo di polizia fiscale, che assolutamente non vogliamo veder applicate nel nostro Paese.
Riguardo agli aspetti macroeconomici, le motivazioni adottate dalle agenzie di rating, che hanno declassato il nostro Paese, sono arrivate con un Governo di centrosinistra operativo ormai da diversi mesi. Ebbene, il provvedimento immediato deciso dall'Esecutivo, a fronte di tale declassamento, è quello di aumentare le tasse. Si tratta di una pazzia assoluta che penalizzerà ancora di più lo sviluppo dell'Italia.
Un'altra norma da prendere in considerazione è l'articolo 12, dove si rivedono tutte le concessioni statali volute dal ministro Di Pietro. In questo caso, oltre ai dubbi di copertura finanziaria emersi durante l'esame in sede referente, si giungerà a contenziosi per indennizzi e quant'altro. Al di là del fatto che si tratta di provvedimenti non coperti e che quindi comporteranno maggiori risorse pubbliche perché lo Stato dovrà intervenire per sostenere tali misure, esiste un problema di fondo incredibile ed impressionante, che non avete visto o che volete far finta di non vedere.
Insinuare, in questo particolare momento storico, un dubbio così forte nei confronti dell'intero sistema delle concessioni produrrà l'unico risultato di bloccare i lavori, anche quelli già autorizzati. E questo è evidente, vi sono lavori pronti per essere cantierati, lavori per centinaia e centinaia di miliardi di opere pubbliche nel paese, soprattutto al nord, in Padania, che verranno bloccati a causa dei contenziosi che nasceranno quando sarà introdotto l'articolo 12, voluto dal ministro Di Pietro, un ministro che evidentemente di lavori pubblici capisce ben poco - l'abbiamo già detto più volte in Parlamento -, ma che è talmente arrogante da voler imporre, con la legge del ricatto attraverso i voti parlamentari, la sua linea al Governo.
È inevitabile che l'unico provvedimento per risollevare le sorti economiche del paese sia l'introduzione del federalismo fiscale, che da sempre la Lega ha auspicato e perseguito, un federalismo fiscale che non vuol dire concedere ai comuni la possibilità di introdurre nuove tasse o di aumentare quelle già esistenti, ma permettere di mantenere i soldi che si pagano in tasse sul territorio. Il Veneto paga troppi soldi in tasse e ne vede troppo pochi tornare indietro, vede troppi sprechi di Roma fatti con i soldi dei contribuenti del Veneto, della Lombardia, del Piemonte, della Liguria, del Friuli-Venezia Giulia e delle regioni del nord in generale.
Ancora, in questa manovra finanziaria vi sono i tagli agli enti locali, ai comuni ed alle province del paese, eppure Roma capitale si vede attribuire un finanziamento straordinario di 144 milioni di euro. Ancora una volta, con questo provvedimento, si vanno a sostenere migliaia di forestali calabresi che sono stati assunti per il voto di scambio dei partiti del centrosinistra in Calabria. Ancora una volta, da questo Governo viene introdotto un fondo a sostegno non delle persone meno abbienti, ma degli extracomunitari, per poterli inserire. Si tratta, dunque, di soldi che andranno ai tanti extracomunitari, soprattutto clandestini, che voi non state mandando via dal paese, perché non state più applicando la cosiddetta Bossi-Fini, ma che volete mantenere per dare poi loro la cittadinanza, per ricevere successivamente dai medesimi un voto. Si tratta di un provvedimento, anche questo, che sicuramente si può definire di voto di scambio.
Non esiste alcuna categoria (penso agli artigiani, ai commercianti, alle categorie imprenditoriali) che non abbia contestato questa manovra finanziaria. Gli stessi economisti di sinistra la contestano e nella stessa maggioranza ci sono ministri pronti a dimettersi a causa dei tagli fatti ai ministeri, nella ricerca e nell'università.
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole...
FEDERICO BRICOLO. Concludo, signor Presidente. Credo che l'unica cosa che possa fare questo Governo è togliere il disturbo e «andare a casa», prima che ciPag. 72pensi la maggioranza dei cittadini di questo paese a «mandarli a casa», a calci nel sedere (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
PRESIDENTE. All'inizio del suo intervento, onorevole Bricolo, lei aveva chiesto per quale ragione la Presidenza non intendesse mettere ai voti la proposta, che era stata avanzata, di una sospensione della seduta. Mettere o no ai voti una proposta del genere è facoltà della Presidenza stessa. Le ragioni per le quali abbiamo deciso di proseguire i lavori le ho illustrate in precedenza.
Ha chiesto di parlare il deputato Baldelli. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, comprendo la decisione, che è facoltà della Presidenza, di mettere o meno in votazione la proposta di sospendere i lavori, ma prendo atto che stiamo discutendo del complesso degli emendamenti purtroppo senza conoscere il testo degli emendamenti del Governo. A parte i colleghi che sono membri del comitato ristretto, che almeno hanno avuto la «fortuna» - fortuna relativa - di assistere all'illustrazione di tali emendamenti, i colleghi che sono in aula e che prendono la parola in sede di discussione sul complesso degli emendamenti non conoscono il testo degli emendamenti del Governo. Vorrei che ciò fosse puntualizzato e rimanesse agli atti.
Oltre a ciò, vi è una valutazione generale sul disegno di legge di conversione del decreto-legge fiscale collegato alla manovra finanziaria e, più in generale, sulla manovra finanziaria stessa, che abbiamo giudicato essere sproporzionata in termini di volume e non condivisibile in termini di valutazione politica del contenuto. Non è una valutazione fatta solo da noi che apparteniamo all'opposizione e alla minoranza parlamentare, che ogni giorno di più diventa maggioranza nel paese, ma è una considerazione espressa da categorie, associazioni, società civile. Vediamo che si continua nella pessima direzione del decreto Visco e, per conoscenza, Bersani, che va nel segno della costituzione e del rafforzamento di tutti quei meccanismi e di quelle dinamiche che sottendono alla costruzione di uno Stato di polizia tributaria.
Abbiamo registrato tra il decreto fiscale e la legge finanziaria, tra aumenti di tasse già esistenti ed introduzione di nuove gabelle, circa settanta elementi fiscali in più. Questo segnale politico non accoglie certo le esigenze di sviluppo e di competitività del nostro sistema paese. Abbiamo valutato - lo abbiamo già detto - per tanti anni quali potessero essere le sfide della globalizzazione, quali i meccanismi per dare agio, spazio e competitività alle nostre imprese. Ci riferiamo, ad esempio, alla riduzione dei costi indiretti relativi al lavoro. Vediamo un decreto fiscale, in questo momento, e una legge finanziaria poi - ammesso e non concesso che riusciamo ad avere una formulazione finalmente chiara e definitiva anche di quella -, che vanno nel segno opposto, vale a dire verso l'aumento del costo del lavoro, della contribuzione indiretta, non solo per i lavoratori parasubordinati in generale. Ciò rappresenta già un delitto, visto che il lavoro parasubordinato è quello che dovrebbe costituire la soglia di accesso dalla disoccupazione all'occupazione, o meglio ancora se lo si preferisce, dal sommerso all'emerso.
Addirittura vi sono provvedimenti - e abbiamo avuto modo di affrontare la questione in Commissione lavoro - che riguardano l'aumento della contribuzione per l'apprendistato e, in particolar modo, per l'apprendistato artigiano che, nella maggior parte dei casi, diventa lavoro stabile.
Allora qual è la ratio che ispira queste scelte e l'aumento sistematico della tassazione fiscale? Evidentemente è una concezione oppressiva, invasiva, che fa sì che lo Stato consideri in maniera già pregiudiziale, come un evasore e un colpevole in partenza, il cittadino, l'imprenditore, il commerciante e il datore di lavoro, colui che mette a rischio se stesso e le proprie capacità imprenditoriali, il proprio capitale di base. In questo senso, si va a costruire con le agenzie di riscossione, con i nuovi poteri a questi agenti, una macchinaPag. 73di polizia tributaria implacabile. Con il controllo dei dati si va a violare la privacy! Non ci sono bastate le esperienze di ciò che abbiamo letto sui giornali o visto sul caso Telecom? Non è altrettanto evidente che, forse, non è opportuno incrociare o riunire nelle mani di chiunque dati sensibili riservati? Forse, c'è una possibilità di accesso troppo semplice a certi dati e questo può costituire un elemento di pericolo sensibile per la privacy e anche per la stabilità di tante situazioni in un paese civile e democratico. Credo che questo non sia difficile da comprendere.
Crediamo profondamente che un sistema economico che intenda essere competitivo e voglia svilupparsi debba partire da un presupposto: intanto le tasse devono essere eque e commisurate ai servizi erogati al cittadino contribuente, sia esso persona fisica o giuridica, ma è vero anche il fatto che meno tasse vengono imposte e più diventa facile che tutti le paghino. In questo senso, le settantanove nuove tasse rappresentano un vulnus ed un freno a mano tirato per l'economia. Non è un caso che l'Europa abbia detto di guardare con attenzione alla manovra finanziaria italiana e che soltanto dopo che Prodi ha annunciato la riforma delle pensioni abbia espresso un giudizio favorevole.
Non è un caso che le agenzie internazionali di rating collochino l'Italia assieme alla Malaysia ed al Botswana nella categoria «A+». Non è un caso, inoltre, che l'impostazione del Governo in carica venga considerata fallimentare, poiché questa è la scelta di fondo che è stata compiuta allora con il cosiddetto decreto Bersani, che è proseguita con il documento di programmazione economico-finanziaria, che continua con il decreto-legge fiscale al nostro esame e che si suggella, in maniera alta e nobile - ed è chiaramente con ironia che lo dico -, nel disegno di legge finanziaria!
In più, in questi giorni sono emersi due elementi di novità: l'accordo sul trattamento di fine rapporto e l'annuncio del «lieto evento». Mi riferisco al fatto che Romano Prodi ci ha informato, direttamente dai giornali e senza prima passare per il Parlamento, che, una volta approvata la manovra finanziaria (se mai dovesse essere approvata), a gennaio il Governo affronterà la riforma del sistema previdenziale. Allora affrontiamoli questi due temi, colleghi.
L'operazione relativa al trattamento di fine rapporto è stata definita una «rapina concertata». Ebbene, alcuni colleghi della maggioranza parlamentare sostengono e ripetono ad ogni piè sospinto che il trattamento di fine rapporto è finanziato con risorse di proprietà dei lavoratori. Se questi denari sono proprietà dei lavoratori, è altrettanto evidente che essi non sono proprietà né del sindacato, né di Confindustria, né tantomeno del Governo. Non sono neanche uno strumento politico nelle mani dell'Esecutivo per fare cassa, o per ricattare le categorie (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia), così come è accaduto quando il ministro dell'economia e delle finanze ha affermato che avrebbe prelevato il TFR offrendo in cambio della riduzione del cuneo fiscale: e l'uno e l'altro! Invece, ciò non è accaduto, perché l'Esecutivo è stato ricondotto a più miti consigli.
L'altro aspetto dell'accordo sul trattamento di fine rapporto che intendo evidenziare è che si tratta di un azzardo. Sei miliardi di euro all'anno, infatti, sono una previsione che, dal punto di vista fiscale, ha la stessa certezza di quello che qualcuno ha definito un falso in bilancio. E non si può neanche affermare che si tratti di un'operazione finalizzata al rilancio della previdenza integrativa.
Onorevoli colleghi, siccome il destino del decollo dei fondi pensione è inversamente correlato alla costituzione del fondo di raccolta del trattamento di fine rapporto inoptato presso il Tesoro, delle due l'una: o decollano i fondi pensione, o il Governo fa cassa! L'interesse dell'Esecutivo è fare cassa, a differenza dei lavoratori, che hanno interesse a far decollare la previdenza integrativa. Su questo aspetto, quindi, esiste un conflitto di interessi talmente palese ed evidente da mettere in piena luce tutte le contraddizioni di tale operazione!Pag. 74
Questa misura, peraltro, conserva in sé lo stesso limite strutturale che ha condotto la sinistra ed il sindacato ad ingaggiare una battaglia stupida ed inutile sulla sperimentazione della riforma dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, vale a dire il voler fissare, sempre e comunque, soglie di crescita per le imprese, nel caso di specie quella di cinquanta dipendenti. Anche così, infatti, si crea una discriminazione per quelle imprese che occupano già cinquanta dipendenti, vorrebbero assumerne uno a tempo indeterminato ma sanno che, così facendo, si vedrebbero applicata la disciplina che stabilisce che l'intero trattamento di fine rapporto venga conferito all'INPS, e dunque non godrebbero più dell'esenzione.
L'altra questione che intendo affrontare riguarda la riforma previdenziale, annunciata oggi da Prodi e prima ancora dal ministro dell'economia e delle finanze, Padoa Schioppa, attraverso un'intervista rilasciata ai giornali. Tale tema è stato ripreso da esponenti della maggioranza parlamentare, alcuni dei quali assai autorevoli, come ad esempio il presidente del gruppo parlamentare de L'Ulivo alla Camera dei deputati, Franceschini. Essi, infatti, hanno preannunciato al Parlamento, alla Commissione lavoro, a tutti noi e credo anche a tutti voi che il Governo, dopo l'approvazione definitiva della manovra finanziaria, affronterà finalmente il tema così importante della riforma previdenziale, e lo farà assieme al sindacato.
Vorrei innanzitutto rilevare che il metodo concertativo viene utilizzato dal Governo «a targhe alterne», poiché vi si ricorre quando c'è da far incassare al sindacato qualcosa di importante. Nell'ambito del decreto fiscale al nostro esame, infatti, è previsto un meccanismo di compensazione relativo alle quote degli iscritti al sindacato, e ritengo si tratti di un'istituzionalizzazione completamente fuori luogo. Quando c'è da regalare al sindacato più potere e più controllo per quanto riguarda la gestione della vita dei lavoratori e la loro rappresentanza, non c'è problema, ma quando arriva il momento delle riforme strutturali lo considerate un aspetto secondario da rinviare.
Allora, delle due l'una: o è vero che il Presidente Prodi dice che metterà mano alla riforma delle pensioni per accontentare le giuste richieste del commissario Almunia (ha pertanto «bleffato» nei confronti dell'Europa, ha mentito all'Europa e all'Italia, ma poi si sarà prodigato a rassicurare i membri del Governo, la maggioranza e le parti sindacali, facendo affermazioni del tipo: cari amici, lo abbiamo dovuto dire, ma non lo faremo mai!) oppure il Presidente del Consiglio dice la verità.
Forse in questo si avverte da subito una crisi aperta nella maggioranza! Colleghi, cominciate a prepararvi alla campagna elettorale, perché i numeri del Senato parlano chiaro! Al riguardo, si sono espressi i rappresentanti dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Verdi e dei Comunisti italiani che hanno detto al Presidente del Consiglio: caro Prodi, noi su questa riforma non ci stiamo! L'età pensionabile dei lavoratori non si alza e di riforma delle pensioni non se ne parla, oppure se ne parla prima all'interno della maggioranza!
Si tratta quindi di una smentita forte e chiara. Si tratta di una smentita di una linea politica che, peraltro, continua inesorabilmente a non passare per le aule di questo Parlamento, per l'aula della Commissione lavoro o per quella dell'Assemblea di Montecitorio.
È evidente che vi è una crisi all'interno della maggioranza parlamentare; e continuo a chiamarla maggioranza parlamentare perché non si tratta della maggioranza del paese.
È impensabile che oggi siamo qui a discutere sul decreto fiscale connesso alla manovra finanziaria senza aver contezza degli emendamenti che il Governo presenterà in aula, così come non abbiamo contezza della versione definitiva del disegno di legge finanziaria; sappiamo già, invece, che il Governo affronterà la riforma delle pensioni da gennaio a marzo, e che, in questo momento, la maggioranza è in crisiPag. 75e, ancora, che i rappresentanti dei gruppi di maggioranza hanno annunciato guerra al Governo su questo tema.
Allora, signor Presidente, è paradossale discutere su tali provvedimenti con una maggioranza in crisi che probabilmente, in questo momento, sta riflettendo sull'ipotesi di porre o meno la questione di fiducia sul provvedimento in esame mentre già nell'altro ramo del Parlamento la fiducia non ce l'ha più, perché non ha più i numeri per andare avanti.
Si poteva fare un'altra scelta. Avremmo compreso di più se la maggioranza avesse affrontato con coraggio l'esigenza della riforma strutturale delle pensioni nella finanziaria nel solco, peraltro, di quanto già fatto, in maniera virtuosa, dal Governo Berlusconi; vorrei ricordare infatti che la riforma delle pensioni è stata realizzata dal Governo Berlusconi. Mi riferisco alla riforma Maroni, in particolare alla questione dello scalone previdenziale su cui si è tanto discusso. Forse, la soluzione sarebbe stata quella di anticipare la riforma, non di posticiparla!
Vi è una questione politica di fondo: questa maggioranza alla Camera è tanto impegnata a lavorare sugli emendamenti da presentare a questo testo, a discutere sull'ipotesi di porre o meno la questione di fiducia ed a capire dove si sono persi, fra il quarto ed il primo piano, gli emendamenti del Governo! Farebbe bene l'isolato rappresentante del Governo presente in aula ad informarsi non sugli emendamenti che si perdono tra il quarto ed il primo piano, ma sulla maggioranza che si perde tra questa e l'altra Camera. Farebbe bene a soffermarsi sui numeri del Senato e sul fatto che questa maggioranza non c'è più (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
PRESIDENTE. Avverto che il Governo ha testè presentato alcune proposte emendative, il cui testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A - A.C. 1750 sezione 4). Il termine per la presentazione di eventuali subemendamenti è fissato per le 19,15.
Ha chiesto di parlare la deputata Lussana. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, ancora una volta dobbiamo rilevare che stiamo discutendo di un provvedimento importante - un decreto fiscale collegato alla finanziaria, un provvedimento omnibus -, sotto il ricatto della maggioranza. Una maggioranza che vorrebbe limitarci nel nostro ruolo di opposizione, che stiamo svolgendo in maniera responsabile, attenta, sicuramente rigida, che non fa sconti e quindi scomoda e da zittire attraverso la minaccia della posizione della questione di fiducia.
È una settimana che volete giustificare la posizione della questione di fiducia, cercando di scaricarne la responsabilità sull'opposizione. State dicendo ovunque che l'opposizione non è ragionevole, che presenta troppi emendamenti. La Lega ha presentato 300 emendamenti; in questo modo ha forse creato un vulnus? Insomma, ci volete bacchettare perché stiamo semplicemente svolgendo il nostro dovere, stiamo facendo quello per cui i cittadini ci hanno votato.
Allora, minacciate di blindare tutto, minacciate il ricorso al voto di fiducia. Per fortuna, la settimana scorsa, vi è stato il richiamo del Presidente della Repubblica che, pur non appartenendo evidentemente alla nostra parte politica, vi ha richiamato a non blindare la discussione in Parlamento su questioni così importanti che riguardano la vita di tutti i cittadini ed a discuterne apertamente senza colpi di mano.
Abbiamo visto l'arroganza di questa maggioranza. Da quando siete stati eletti state blindando le discussioni: lo avete fatto anche ieri nel corso dell'esame del provvedimento sull'ordinamento giudiziario. Ieri, abbiamo votato un provvedimento, che presenta un palese errore, solo perché vi era fretta di accontentare gli interessi dei magistrati, vostri amici, riuniti nelle associazioni sindacali.
Da quando siete al Governo di questo paese - perché vi hanno eletto dei cittadini italiani che già se ne sono pentiti - state procedendo attraverso il metodo della decretazione d'urgenza. Avete approvato 13 leggi, di cui 8 sono provvedimentiPag. 76d'urgenza. Insomma, si vuole continuamente blindare il Parlamento, scaricando ancora una volta sull'opposizione la responsabilità della fiducia.
Non siamo sciocchi; è un po' che facciamo questo mestiere e abbiamo capito che la fiducia serve a voi, perché avete l'esigenza di blindare la vostra maggioranza, le vostre pesanti contraddizioni.
Il Presidente Prodi mostra una faccia rassicurante di fronte al paese: per lui va sempre tutto bene! Tuttavia, in realtà, siete preoccupati perché fate fatica a conciliare le contraddizioni esistenti all'interno del vostro schieramento; fate fatica a conciliare i radicalismi delle forze comuniste - quelle dei manifesti con scritto «Anche i ricchi piangono» o di Diliberto, che vorrebbe entrare al Billionaire imbottito di tritolo - con le posizioni delle forze più moderate, quali la Margherita e i Democratici di sinistra, anche se ultimamente stento a chiamarle moderate!
Ebbene, state alimentando un clima pericoloso nel paese. State facendo crescere un odio sociale nei confronti di alcune categorie di cittadini e in questo modo vi state assumendo una responsabilità gravissima. Volete criminalizzare alcune categorie. I lavoratori autonomi, i commercianti, gli artigiani, i piccoli imprenditori: coloro che portano avanti l'economia di questo paese e che ne sono l'asse più vivo e più fluido, voi li volete criminalizzare! E volete farlo perché magari riescono ancora a sopravvivere in un sistema mondializzato con la concorrenza della Cina! Magari, visto che riescono a portare avanti l'azienda di famiglia, sono evasori e per questo devono essere puniti con le tasse del viceministro Visco e compagni!
Ebbene, noi non possiamo accettare questo atteggiamento di odio sociale, di odio di classe, che tra l'altro colpisce intere categorie localizzate soprattutto al nord del paese, quel nord che noi rappresentiamo. Ma noi rappresentiamo anche i lavoratori dipendenti del nord, le categorie più deboli, che voi state prendendo in giro, perché per criminalizzare il lavoro autonomo e le piccole imprese vi siete anche inventati la favoletta di Robin Hood! Vi siete travestiti da Robin Hood! Devo dire che Robin Hood è un personaggio che personalmente mi è molto simpatico. Però, signori, chi vi crede?
Voi non state togliendo ai ricchi per dare ai poveri, in un concetto di equa redistribuzione sociale, che potrebbe anche affascinarci. Voi state togliendo a tutti! Voi state facendo una manovra fiscale e finanziaria di sole tasse, che colpirà tutti, indistintamente, i cittadini! Basta fare quattro conti. Potremmo parlare della revisione degli estimi catastali, che verrà affidata ai comuni; poi, al nord sicuramente i comuni faranno in fretta ad adeguare gli estimi catastali, al sud invece ci sarà la solita inerzia. Dunque, voi colpirete tutti. Colpirete magari i proprietari di una piccola casa: in quanto proprietari, subiranno questa vessazione nella revisione degli estimi. Però a voi cosa importa? Non resterà colpita, forse, l'unica categoria che difendete in questo momento: gli extracomunitari nullatenenti. Sono loro il faro e l'interesse del vostro modo di fare politica (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
Ma andiamo avanti. Quali ricchi colpirete? Coloro che andranno al pronto soccorso di un ospedale, visto che ripristinate il ticket sul pronto soccorso! Certo, se una persona ha una patologia grave e deve essere ricoverata, allora non lo pagherà, ma tutti gli altri saranno sottoposti a questa vessazione. E poi parliamo di prevenzione per quanto riguarda la salute! Questa è un'autentica vergogna!
Ma vediamo quali altre categorie di ricchi colpirete. Pensiamo al pensionato, che ha messo da parte qualche risparmio, magari facendo fatica per arrivare a fine mese - d'altronde, il nostro è un paese che ha la cultura del risparmio -: ebbene voi metterete le mani nelle tasche di queste persone, perché innalzerete, dicendo di dover redistribuire, la tassazione su BOT, CCT e rendite dal 12,5 per cento al 20 per cento. Ma anche in questo caso avete una scusa, come per tutto il resto: dite che riequilibrerete tutto con una minore tassazione sui conti correnti. Ma, signori, chiPag. 77è che oggi tiene i pochi risparmi sul conto corrente? Smettetela di prenderci in giro! Siamo veramente stufi. State passando da una cultura dell'esproprio proletario - di cui probabilmente l'onorevole Caruso, che siede nelle fila della vostra maggioranza, va anche orgoglioso - ad una politica di esproprio ai proletari! Voi questo state facendo!
Ma continuiamo con gli esempi. I tagli agli enti locali: anche in questo caso operate tagli in danno degli enti locali, costringendoli ad aumentare la pressione fiscale sui cittadini. Certo, aumentate la loro autonomia impositiva, però non diminuite la pressione centrale: tutto il contrario di quello che vuole la Lega, tutto il contrario del federalismo fiscale! Anche su questo siete, purtroppo, falsi e bugiardi. Quando si è svolto il referendum costituzionale avete fatto una campagna, soprattutto nel nord del paese, dicendo che il vostro era un «no-sì»: un «no» per cassare una riforma che non vi piaceva, ma anche un «sì» per fare al più presto una riforma costituzionale che desse più potere, un potere esclusivo alle regioni, che realizzasse il federalismo fiscale e che diminuisse il numero dei parlamentari.
L'onorevole Rutelli l'ha promesso, l'ha sbandierato durante la campagna referendaria! Non abbiamo ancora visto l'approvazione di questo importante provvedimento! Forse, eravate più preoccupati di approvare, in fretta e in furia, l'indulto, e questa è un'autentica vergogna!
Dunque, il modo per ridurre gli sprechi c'era: realizzare il federalismo. Ma anche qui, purtroppo - torno a dirlo -, siete bugiardi! Noi della Lega abbiamo un'idea chiara: non ci deve essere una fiscalità aggiuntiva degli enti locali, non ci interessano le quote, le addizionali IRPEF aggiuntive per le regioni o quant'altro. Noi vogliamo una fiscalità locale sostitutiva! Vogliamo che le tasse dei cittadini vengano pagate al comune in via prioritaria, e poi devolute in parte, a salire, agli altri enti locali e anche allo Stato per l'esercizio delle sue competenze!
Noi dobbiamo avere il coraggio di realizzare tutto questo, ma con l'attuale maggioranza penso che, purtroppo, anche sotto il profilo delle riforme istituzionali, si sia persa un'occasione, si sia messa la pietra tombale sul cambiamento. E questo è gravissimo, perché continuiamo a parlare di diminuzione degli sprechi, di tagli alla spesa, ma se non avremo il coraggio di affrontare le riforme strutturali, se non avremo il coraggio di trasformarci in uno Stato federale, questi tagli li faremo solo a scapito della sanità e della scuola, signor ministro Fioroni! Ricordiamoci questo!
Poi, certo, ci sono sempre i fortunati, perché ai comuni del nord si chiede di stringere la cinghia. Vi leggo alcuni dati: il comune di Cambiago ha una riduzione del 37 per cento dei finanziamenti. Poi c'è la solita regalia a Roma, che prende in conto corrente 150 milioni di euro, sine die fra l'altro, e questo perché deve esercitare la sua funzione di capitale!
Tutto questo è vergognoso e noi non mancheremo di denunciarlo ai vari sindaci che arrivano a Roma con il cappello in mano e che non hanno i soldi per realizzare le strade per i loro cittadini! Ed è ancora una vergogna il fatto che non vi siate occupati né nel decreto fiscale né nel disegno di legge finanziaria degli interessi del nord del paese, di tutti quei cittadini - sono di Bergamo - che si immettono magari sulla famigerata A4, sulla Brescia-Bergamo-Milano! Quelle persone non sono ricche: sono manovali! Tante volte, si tratta di persone che si svegliano alle 4 del mattino e che non fanno ritorno a casa prima delle 10 di sera, perché non hanno la BreBeMi (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania - Commenti dei deputati del gruppo L'Ulivo)! Perché parlare di Pedemontana è ancora un tabù in quest'aula! Questa è una vergogna e lo dico ai colleghi del nord! Vergognatevi di approvare un disegno di legge finanziaria che non prevede infrastrutture non solo per le nostre imprese, ma anche per i nostri cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania - Commenti dei deputati del gruppo L'Ulivo)!
EMANUELE FIANO. Cinque anni di cantieri fermi!
Pag. 78PRESIDENTE. Colleghi, lasciate concludere!
CAROLINA LUSSANA. Presidente, la verità fa male, lo capisco, ma le chiedo di richiamarli al rispetto delle regole civili di quest'aula (Commenti dei deputati del gruppo L'Ulivo)! La verità fa male, lo capisco...
PRESIDENTE. Onorevole Lussana, si rivolga alla Presidenza.
CAROLINA LUSSANA. Veniamo alle altre bugie che ci avete raccontato.
Voi ora chiedete sacrifici al paese. Vi siete presentati come i moralisti, come coloro che dovevano innovare rispetto agli sprechi del passato. Ebbene, vi ricordate lo «spacchettamento»? Vi ricordate i 102 membri di Governo, signori? Siete andati oltre la carica dei 101!
Queste sono spese aggiuntive, perché anche nel decreto fiscale che oggi stiamo esaminando abbiamo trovato che per lo scorporo del Ministero per i beni e le attività culturali - si vede che Rutelli conta nella vostra maggioranza - è stata operata una deroga al divieto di assunzione dei dipendenti pubblici e addirittura consentite l'assunzione di nuovi dipendenti per i beni culturali sostenendo la necessità di questa assunzione, perché in futuro porterà risparmi. Vergogna (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia - Commenti dei deputati del gruppo L'Ulivo)!
PRESIDENTE. La prego...
CAROLINA LUSSANA. In campagna elettorale vi siete riempiti la bocca di sicurezza. Tra i primi vostri atti avete approvato l'indulto ed ora mi fanno ridere le lacrime di coccodrillo di Fassino: «Abbiamo sbagliato»! Doveva pensarci prima!
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Lussana.
CAROLINA LUSSANA. Doveva avere maggiore rispetto per i cittadini, per le vittime dei reati e per tutti coloro che, in questo paese, vogliono la certezza del diritto e la certezza della pena (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia)!
SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, il termine da lei fissato per la presentazione dei subemendamenti agli emendamenti del Governo mi sembra piuttosto incongruo, da un lato perché si tratta di emendamenti di sostanza, che meritano un approfondimento, e, dall'altro, perché, anche rispetto al percorso che abbiamo di fronte, sono emendamenti riferiti non all'articolo 1, bensì all'articolo 3 e seguenti.
A nome del mio gruppo, le chiedo quindi di differire da una a tre ore il termine per la presentazione dei subemendamenti.
PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, sicuramente possiamo differire il termine per la presentazione di eventuali subemendamenti, prevedendo un tempo aggiuntivo di mezzora. Pertanto, il termine è fissato non più alle 19,15, ma alle 19,45.
Ha chiesto di parlare il deputato Pedrizzi. Ne ha facoltà.
RICCARDO PEDRIZZI. Signor Presidente, è veramente paradossale, se non inusuale, che il Governo presenti i suoi emendamenti alle 18,15, quando la discussione sulle linee generali è ormai conclusa da tempo e mentre stiamo terminando l'illustrazione del complesso degli emendamenti. Del resto, è un film già visto: anche in Commissione le cose non sono andate diversamente. Ma tant'è! Ormai questo Governo ci sta abituando a tutto, anche allo stravolgimento del regolamento.
Vorrei cominciare il mio ragionamento esaminando il quadro macroeconomico. Il primo dato che occorre evidenziare è che,Pag. 79nonostante le catastrofiche previsioni, prima e dopo le elezioni e, recentemente, nel periodo della presentazione del DPEF, del ministro dell'economia Padoa Schioppa, che aveva parlato di conti allo sfascio, affermando che si era tornati alla situazione del 1992 e alla grande manovra del Presidente Amato, il prodotto interno lordo è cresciuto, le entrate fiscali sono maggiori e, soprattutto, lo sono in maniera strutturale. Ciò significa che quelle misure dispiegheranno i loro effetti anche negli anni prossimi.
Come emerge anche dalla nota di aggiornamento, infatti, risultano 6 miliardi di euro di entrate tributarie aggiuntive solo per il 2006, che si proietteranno per 5 miliardi di euro anche sul gettito del 2007.
Le maggiori entrate di tipo strutturale insieme all'andamento particolarmente favorevole del fabbisogno sono la prova dell'efficacia delle misure, sia dal lato delle entrate, sia da quello delle spese, poste in essere dal precedente Governo di centrodestra proprio per garantire il rispetto dei saldi di finanza pubblica, nonostante ci fosse una congiuntura economica sicuramente non favorevole.
Ora, dopo un ignobile balletto di cifre (si era partiti da un DPEF di 35 miliardi, poi si era passati a 34 e, dopo l'incontro con i rappresentanti degli enti locali, a 33,5, mentre ora si è tornati a 40 miliardi, a seguito della sentenza sull'IVA), questa manovra presenta 15 miliardi di euro a correzione del deficit tendenziale, mentre i restanti miliardi sono finalizzati, apparentemente, solamente come specchietto per le allodole, allo sviluppo.
Su questa manovra si sono già appuntati i rilievi critici formulati da diverse istituzioni indipendenti. La Corte dei conti ha detto chiaramente che la pressione fiscale aumenterà di un punto, come mai si era verificato negli ultimi 20 anni. La Banca d'Italia ha certificato che non ci sono riforme strutturali e che i tagli si tramuteranno in nuove tasse per il contribuente.
La composizione della manovra lorda quindi è sbilanciata sul lato delle entrate, con possibili evidenti effetti di freno della crescita economica, avviata ma non ancora consolidata, e con l'ulteriore rinvio degli interventi strutturali proprio sul lato delle spese. È proprio per questo che le agenzie di rating, Fitch e Standard & Poor's, nei giorni scorsi hanno declassato d'Italia, perché la manovra di Prodi - hanno affermato chiaramente e testualmente - tradisce le attese del Documento di programmazione economico-finanziaria e manca completamente di riforma. In parole povere, i provvedimenti non sono credibili a livello di comunità internazionale.
La manovra dell'anno scorso, invece, aveva incontrato l'approvazione del Fondo monetario internazionale proprio perché basata sostanzialmente su tagli di spesa concentrati sulle amministrazioni centrali e sugli enti locali e sui trasferimenti agli enti autonomi, alle società autonome di servizi.
Per quanto riguarda il contenuto sociale della manovra, va rilevato, innanzitutto, che il previsto aumento degli assegni familiari appare sostanzialmente vanificato dalla modifica delle aliquote e degli scaglioni dell'IRPEF, nonché dall'eliminazione del sistema delle deduzioni e dalla facoltà attribuita agli enti territoriali di agire sulle addizionali. Avevamo introdotto, come Governo di centrodestra, il sistema delle deduzioni proprio per avviarci verso quello dello spread o del quoziente familiare, invocato e richiesto da tutte le associazioni familiari e, soprattutto, già vigente in molti tra i paesi più avanzati d'Europa.
Il saldo della sola operazione di revisione delle aliquote e degli scaglioni dell'IRPEF non è pertanto pari a zero; piuttosto sono evidenti, e lo attesta la relazione tecnica, gli effetti, che saranno e sono reali, di maggiore aggravio, pari a oltre un miliardo di euro, certificati sempre nella relazione tecnica medesima.
Pertanto, si tratta di una operazione non meramente redistributiva, come si vuole sostenere da parte del centrosinistra, ma di vero e proprio aumento della pressione fiscale, peraltro con reale aggravioPag. 80del prelievo solo su possessori di alcuni redditi, ovverosia, tanto per intenderci, il ceto medio.
Ulteriore aggravio fiscale per le famiglie deriverà anche dall'istituzione di imposte di scopo da parte degli enti locali e di una tassa di soggiorno fino ad un massimo di 5 euro pro capite e pro die e dal possibile aggravio della tassazione sugli immobili e sugli autoveicoli.
In materia previdenziale, poi, la riduzione del cuneo fiscale sarà destinata solo in parte ai lavoratori e va valutata, comunque, congiuntamente al cospicuo e generalizzato aumento delle aliquote contributive, che, sia pure marginalmente - lo 0,3 per cento - coinvolgerà persino il mondo del lavoro dipendente, mentre tutto sommato trascurabile appare l'effetto dell'aumento delle tutele per malattia e maternità in favore dei lavoratori parasubordinati.
Anche per quanto riguarda le politiche per la famiglia, queste non presentano un sufficiente grado di organicità e sono stati sollevati dubbi circa la congruità delle risorse stanziate rispetto ai fini perseguiti e, oltretutto, si tratta, di fatto, di misure già adottate nell'ultima legge finanziaria: si pensi, ad esempio, agli stanziamenti annui che erano stati previsti per il fondo per il sostegno delle adozioni internazionali. Questo Governo, e il centrosinistra, continua a rifiutare la logica del quoziente familiare, richiesto ormai da anni dalle famiglie italiane.
Va sottolineata, poi, anche la mancata previsione per il 2007 della possibilità di destinare una quota del 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, possibilità che era stata introdotta, e salutata con soddisfazione da tutto il terzo settore del mondo no profit, dal Governo Berlusconi-Fini, in base alle scelte del contribuente per il finanziamento della ricerca, del volontariato, delle attività sociali, svolte anche dal comune di residenza. Si ricordi che il precedente Governo aveva stanziato oltre un miliardo di euro per interventi a sostegno delle famiglie e della solidarietà, concretizzatisi in misure a sostegno della natalità, delle famiglie con figli iscritti alle scuole paritarie, alle scuole materne ed agli asili privati, delle famiglie con un figlio minore portatore di handicap e delle giovani coppie, per l'acquisto della prima casa.
Quali conclusioni, dunque, trarre dal complesso degli interventi? Una considerazione è semplice: le maggiori entrate finanziano una manovra che ha una visione classista e punitiva dell'Italia e del popolo italiano. Basta vedere il ruolo che è stato affidato al fisco, diventato un vero e proprio «grande fratello» che ci controllerà persino per le spese di 100 euro. Tutti, indistintamente, dovranno utilizzare il conto corrente o assegni bancari o carte di credito. In pratica, si calcola che un milione e ottocentomila professionisti saranno costretti ad aprire un secondo conto corrente e milioni di pensionati e di anziani saranno costretti ad aprire un conto corrente per pagare il medico o il dentista. Le maggiori entrate finanziano una manovra che ha una visione ideologica di tipo giacobino. Si vuole imporre una manovra finanziaria di oltre 40 miliardi di euro, asserendo che occorre per risanare i conti pubblici. Ma, per risanarli nella misura di quello 0,8 per cento che è necessario, sarebbe stata sufficiente una manovra di importo compreso tra i 10 e i 15 miliardi di euro e molti esponenti del centrosinistra stanno chiedendo con forza di ridurne l'entità a questa cifra. Il trucco è svelato, il trucco è evidente. Le maggiori entrate si realizzeranno, purtroppo, quasi tutte; i tagli alla spesa, invece, nella migliore delle ipotesi, non si attueranno o saranno presto rivisti.
Signor Presidente, la manovra essenzialmente è costruita sull'inasprimento della pressione fiscale tramite l'IRPEF, sull'aumento dei contributi previdenziali per i lavoratori autonomi e, come abbiamo visto anche per i lavoratori dipendenti, nonché sulle tasse occulte o striscianti di cui è disseminato il testo, dai maggiori accertamenti tributari alle minori detrazioni per i farmaci, dai ticket per il pronto soccorso al bollo sull'auto, dai giochi ai tabacchi, dall'ICI in dichiarazione dei redditi alla vera e propria confisca del trattamentoPag. 81di fine rapporto, pur se limitata alle imprese con oltre cinquanta dipendenti. In questo modo, si andrà a colpire un segmento strategico di tutta la nostra imprenditoria e di tutto il nostro apparato produttivo. Si tratta di una vera e propria pioggia di nuove o maggiori tasse. Ad aggravare tutto ciò vi è il fatto che le entrate fiscali, in buona parte, si perdono in un lungo elenco di interventi microsettoriali e improduttivi. Così, si rischia di tarpare le ali allo sviluppo del paese, proprio in questa fase di avvio della crescita. Per tutti questi motivi, Alleanza Nazionale è contraria a questa manovra di bilancio (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Lupi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO ENZO LUPI. Signor Presidente, abbiamo assistito ad un lungo dibattito, in questa giornata, riguardo al decreto-legge in esame. Molte considerazioni sono da me condivise ma vorrei affrontare, in maniera, speriamo, il meno ideologica possibile, la questione di fondo che, a mio avviso, è presente in questo decreto-legge. È evidente che ci sono contrapposizioni tra maggioranza e opposizione, ma credo che il problema di questo provvedimento e del disegno di legge finanziaria ad esso collegato (problema che, in nuce, si intravedeva anche nel decreto detto Visco-Bersani, anche se era «coperto» dal titolo che si era voluto dare, e che inseriva il cittadino-consumatore al centro), sia stato evidenziato delle stesse dichiarazioni rese oggi dai leader dell'attuale maggioranza. Il segretario dei Democratici di sinistra, Fassino, come riportano tutti i giornali, ha affermato che è necessario un cambio di passo, che non è solo una questione di comunicazione e che il vero tema è quale missione dare a questa finanziaria. Rutelli è più esplicito perché ha affermato che bisogna smettere di parlare di tasse e che bisogna parlare di crescita.
D'Alema, addirittura, approfondisce ancora questo tema e dice: è mancata l'idea di un grande disegno riformatore di cui la finanziaria è il primo passo. Al di là delle osservazioni dei leader della maggioranza, ciò che emerge in maniera chiara - e che noi in campagna elettorale avevamo detto con chiarezza - è che in questo decreto-legge e nel disegno di legge finanziaria non esiste un disegno riformatore.
Vorrei portare un esempio ai colleghi, forse distratti dalle diverse attività nelle Commissioni, e al relatore Di Gioia che, tra l'altro, fa anche parte della Commissione ambiente. Mi riferisco ad una delle proposte emendative presentate oggi dal Governo, concernente l'articolo 13 del decreto-legge in esame. Dal titolo potrebbe sembrare che tale norma riguardi una questione molto tecnica e specialistica, che interessa solo gli addetti ai lavori: si parla di dragaggio. Il Governo aveva inserito nell'articolo 13 un contenuto molto importante e il ministro Di Pietro aveva addirittura difeso questa disposizione. Tale norma, infatti, sebbene in un modo da me non condiviso, poneva una questione seria. Il ragionamento era il seguente: vi è un problema infrastrutturale, in campagna elettorale ci siamo riempiti la bocca, nel confronto tra maggioranza e opposizione, sulla TAV e sulle autostrade del mare. Se non permettiamo ad alcuni porti strategici del nostro paese di abbassare i fondali, possiamo continuare a dire di voler sviluppare le autostrade del mare e di trasportare le merci passando dalla gomma alla nave, ma ciò nel nostro paese non avverrà mai e tutto il traffico merci si sposterà verso altri paesi.
Con l'articolo 13, recante una soluzione ancora molto restrittiva, dal nostro punto di vista (noi avevamo approvato la legge obiettivo, che prevedeva un percorso molto celere), si cercava di risolvere questo problema concreto.
Ebbene, cosa accade a proposito di riformismo, di D'Alema, Rutelli e Fassino? Poiché una parte di questa maggioranza ha il problema ideologico di dimostrare di contare qualcosa all'interno della maggioranza stessa e difende alcuni contenuti ambientalisti, si discute, quasi come fossePag. 82una questione strategica, il ritiro di questo emendamento. In altri termini, si decreta l'impossibilità di agire. Ogni volta che in un decreto-legge, in un disegno di legge, in una qualsiasi proposta di legge si affronta, finalmente, il problema dello sviluppo, si decreta l'impossibilità, da parte vostra, di agire: in altri termini, si conferma la paralisi!
Facciamo un altro esempio, poiché le conseguenze che ne sono derivate riguardano proprio questo aspetto. All'articolo 7 del decreto-legge, che è in vigore nel nostro paese, si stabilisce che, per incentivare il rinnovo del parco mezzi italiano, si concederà un incentivo fiscale, un'esenzione dal bollo, a coloro che acquisteranno automezzi immatricolati come «euro 4» o «euro 5». Se vogliamo discutere, tra riformisti di maggioranza e opposizione, tra coloro che vogliono lo sviluppo, la questione banale che esiste dietro questo articolo è la seguente: come si combatte un problema serio come l'inquinamento atmosferico? Attraverso la repressione o attraverso gli incentivi concessi per rinnovare il parco macchine? Ebbene, questo semplice emendamento non andava nella direzione della repressione, ma degli incentivi; era totalmente condiviso. Tuttavia, il tema di fondo che tiene insieme la maggioranza e che ispira, purtroppo, drammaticamente il disegno di legge finanziaria e il decreto-legge in esame non è il riformismo né la possibilità di sviluppo, ma l'essere contro qualcuno. I Verdi osservano che ciò porterà ad un incremento del parco macchine circolanti nel nostro paese e chiedono l'abolizione dell'articolo.
Siamo di fronte ad una schizofrenia che, se appartenesse ad un ruolo di opposizione, potrebbe essere contrastata, condivisa o meno, ma non produrrebbe danni. Ma vi è stato chiesto di assumere una responsabilità. Purtroppo, molti si sono già pentiti; avete battuto un record: in tre mesi avete perso il 18 per cento di consensi! Credo sia un record mai stabilito nella storia di questa Repubblica. Vi è stato chiesto di governare: o ci si confronta o la legge finanziaria sarà esattamente su questo livello. Vi si chiede di fare delle scelte chiare, oppure il paese sarà paralizzato.
L'unica strada che avete davanti, per un progetto di rilancio del paese che vi metta insieme, è affermare che tutto viene concepito e concentrato nello Stato e che l'unica cosa è realizzare un prelievo indiscriminato ai danni di una determinata classe sociale.
Vorrei fare altri due esempi. Le questioni di fondo che emergono, in nuce, nel decreto-legge, sono due. La prima, che alcuni di voi hanno avuto il coraggio di affermare con chiarezza (penso ai colleghi di Rifondazione Comunista), è il problema della redistribuzione del reddito.
È un tema su cui si dibatte da anni. Fortunatamente, non è mai appartenuto alla cultura del nostro paese il concetto di conflitto sociale, la divisione tra ricchi e poveri, poiché il concetto di fondo su cui paragonarci era quello di liberare le risorse, permettere a tutti di essere messi in grado di fare, di costruire, di agire, di scalare, di avere la possibilità di raggiungere una meta diversa. Voi, invece, affermate (è il punto di fondo del provvedimento al nostro esame) che una redistribuzione del reddito permette una maggiore eguaglianza. Purtroppo, è un concetto al di fuori della storia.
Nel lungo periodo - è evidente a chiunque abbia letto o vissuto o si interessi di ciò - una pura e semplice redistribuzione del reddito non permetterà, come non ha mai permesso, l'uguaglianza, perché l'uguaglianza, cioè la possibilità per tutti di stare meglio e giocare liberamente le proprie risorse, è data solo se si interviene su altri fattori, come l'educazione, l'investimento in capitale umano, l'investimento nel lavoro e l'investimento nel liberare le risorse.
Se la concezione del decreto-legge è criminalizzare ciò che è diverso dallo Stato, è evidente che non si prenderà l'unica strada percorribile, quella di liberare le risorse e valorizzare ciò che di positivo vi è nel paese, e non rimarrà altro che percorrere una strada ideologica che,Pag. 83purtroppo, non darà risultati, perché non li ha mai dati. Anzi, aumenterà il conflitto sociale.
Vi è una seconda concezione che emerge in maniera drammatica ed è anche un'esemplificazione chiara, (altro che il riformismo su cui possiamo confrontarci), una concezione dirigista, statalista ed illiberale dello Stato. È di questi giorni la discussione sulla concertazione. Come ha inteso il Governo la concertazione? Non come un possibile momento di arricchimento e ricchezza tra lo Stato, il potere, il Governo, che dà gli indirizzi e ne controlla l'attuazione, e le parti sociali in un confronto serio, ma come una situazione in cui lo Stato, il Governo, il potere decide e la concertazione avviene solo a condizione che ci si adegui a quanto deciso.
Oggi, Montezemolo (facendo un gravissimo errore, a mio avviso, perché non capisce che sul TFR vi è una questione di fondo, su cui si gioca lo sviluppo dell'impresa del paese) rilascia una dichiarazione incredibile. Dice di aver dovuto digerire un boccone amaro, perché non aveva alternative, avendo di fronte questa unica strada. Ditemi se una dichiarazione di questo genere possa essere accettata in un paese con un Governo democratico, liberale, che pensa al paese, alle sue classi sociali ed alla società civile come una ricchezza. Non è possibile costringere a dire che non vi fossero altre strade.
Esiste un altro esempio clamoroso, che anche il relatore Di Gioia conosce bene, dato che ne abbiamo discusso in Commissione, che riguarda l'articolo 12, relativo alle concessioni autostradali. Nella maggioranza e nell'opposizione, penso che tutti ritengano necessario (avevamo già affrontato la questione tre anni fa, quando eravamo al Governo) una revisione, un confronto serio sui concessionari. Evolvendosi la situazione, è giusto confrontarsi e fornire linee di indirizzo che permettano di migliorare la gestione autostradale, di essere più attenti agli utenti e di verificare - cosa importante, - che gli investimenti siano realizzati. Nessuno mette in discussione ciò.
Il problema è come il Governo affronta e risponde a tale questione, perché lo fa in una maniera inconcepibile e inaccettabile. Stiamo parlando di contratti privati, di concessioni in essere, di rapporti tra soggetti, giusti o sbagliati che siano. Se volessimo entrare nel merito, potremmo dire, cari amici, che le convenzioni e le concessioni le avete fatte voi nel 1996, ma oggi ci sono contratti in essere tra soggetti privati che, per decreto-legge, vengono messi in discussione. Non prendiamoci in giro, il problema dell'affidabilità di questo paese si gioca esattamente su questo punto. La perdita di affidabilità sta nel fatto che, se neanche il diritto privato, cioè i contratti e i patti che vengono stabiliti, è una certezza, chi verrà ad investire in questo paese?
C'era un percorso molto tranquillo, lo hanno ammesso anche quelli della maggioranza: bastava che si aprisse un confronto, non attraverso un decreto-legge, con le concessionarie nel Parlamento e negli ambiti preposti, e si sarebbe trovata una soluzione attraverso un metodo concertativo e non con un'imposizione. Peccato che il problema non sia l'arricchimento di qualcuno o di qualcun altro. In questo caso, sono in gioco - forse qualcuno di voi non lo sa, colleghi - 4,4 miliardi di euro di investimenti infrastrutturali, che non sono soldi dello Stato, dei soggetti privati concessionari delle autostrade che devono investire per realizzare e migliorare le infrastrutture. Controlliamo che facciano questi investimenti, ma nel paese non si può mettere a rischio tale questione. C'è un'altra strada, ma dovete affrontarla seriamente. Volete la nazionalizzazione; volete affermare che non vi è un soggetto privato che possa gestire un servizio pubblico? Allora avete una strada diretta sulla quale confrontarvi.
Ho cercato di fare esempi molto concreti, ho parlato di questo decreto-legge, di questioni che oggi interessano il paese proprio per farvi capire che sono in gioco il bene e il futuro dell'Italia, secondo una concezione che pone al centro dello Stato non il potere che lo gestisce, ma le grandi risorse che abbiamo sul nostro territorio,Pag. 84nella nostra patria, nel nostro paese, cioè i cittadini, le ricchezze che essi producono, la società civile, le tante facce e persone, cuore e braccia, che rendono ancora vivo e grande questo paese.
Caro Presidente del Consiglio, a me spiace molto che lei, nel giudicare questo dibattito, abbia dichiarato: «Una finanziaria che scontenta tutti è una buona finanziaria». Non so, caro Presidente, chi glielo abbia suggerito e sono abbastanza convinto che nessuno dei presenti condivida questa affermazione. So solo che un Governo che scontenta tutti è un Governo che va casa, che non fa buone finanziarie. In democrazia questa normalmente è la regola ed io, se governassi, sarei preoccupato di non scontentare tutti.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MAURIZIO ENZO LUPI. In ogni caso, visto il modo con cui il Presidente Prodi gestisce accordi delicati o questioni così importanti per il paese, come quella del TFR, forse non pensava ad una democrazia, ma a regimi diversi da quelli democratici (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
MASSIMO GARAVAGLIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MASSIMO GARAVAGLIA. Signor Presidente, vorrei rilevare un fatto che è abbastanza emblematico in questa situazione di confusione totale. Alle 18 scadeva il termine per presentare gli emendamenti alla finanziaria. Giustamente, gli uffici, come è ovvio in una situazione del genere, sono impegnati in una difficile opera di collazione di tutti gli emendamenti. L'aver stabilito, al tempo stesso, il termine per la presentazione dei subemendamenti agli emendamenti del Governo complica ulteriormente la faccenda perché è materialmente impossibile, anzi dà anche fastidio, chiedere lumi circa la copertura dei subemendamenti.
Noi vorremmo rilevare, da un lato, la situazione di totale confusione nella quale avete posto gli uffici, che pure assolvono egregiamente al loro compito; dall'altro, la necessità oggettiva di differire il termine per la presentazione dei subemendamenti in quanto, evidentemente, non è possibile trovare il tempo e la serenità giusta per svolgere il nostro lavoro in una situazione del genere.
PRESIDENTE. Abbiamo stabilito questi termini e gli uffici, come lei ha riconosciuto, stanno lavorando nell'ambito dei termini fissati; abbiamo pertanto fiducia che il tutto possa svolgersi nel migliore dei modi sia per i colleghi delle Commissioni sia per gli uffici stessi.
Ha chiesto di parlare il deputato Alessandri. Ne ha facoltà.
ANGELO ALESSANDRI. Signor Presidente, colleghi, membri del Governo - uno -, oggi siamo dinanzi al punto di partenza di questa maratona che ci vedrà impegnati sulla manovra finanziaria; all'esame è il primo decreto collegato, che reca «disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria». Si tratta di un provvedimento nel quale già si intravede una prima avvisaglia di quello che sarà l'esame in aula della manovra finanziaria, esame che ritengo rappresenterà una sorta di flipper. A forza di scossoni da sinistra - da sinistra, da sinistra, da sinistra -, ritengo che, come faceva rilevare poc'anzi l'onorevole Garavaglia, siano davvero andati in tilt. È una sorta di flipper con il quale non è più possibile giocare; non è più possibile neanche comprendere quale sia la partita che ci aspetta.
Ha dichiarato questa mattina il ministro Lanzillotta, in Padania - pensando, a Lecco, di non essere ascoltata, forse -, che questa finanziaria darà credibilità nei paesi esteri: me lo auguro, che almeno all'estero qualcuno ci creda; sicuramente, però, in Padania nessuno crede più a questa finanziaria (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! È davvero così sconvolgente che qualcuno, di notte, non dorme più; mi riferisco a chiPag. 85lavora - a qualche artigiano, a qualche commerciante, a qualche piccolo imprenditore - e non a chi vive facendo il funzionario di qualche cooperativa, di qualche partito, di qualche ente sovvenzionato, il quale, forse, invece dorme bene.
Il decreto reca misure alquanto importanti: interviene sulla disciplina degli scontrini fiscali - al riguardo, vi è una proposta di esenzione per la grande distribuzione mentre, invece, il piccolo commerciante, non rilasciando lo scontrino, si vedrebbe chiudere «baracca e burattini» -; introduce la tassa mascherata sulle successioni - si incide sui patrimoni, sugli averi, sulla produttività della gente comune, di quei poveri che voi dovreste anche un po' difendere -; interviene sulle norme riguardanti l'ANAS. Soprattutto, il provvedimento rappresenta l'inizio di quanto ci aspetta con la discussione del disegno di legge finanziaria.
Tra l'altro, prima di soffermarsi sulla manovra finanziaria, va osservato che qualcuno ha cominciato a parlare di pensioni; è un altro flipper cui abbiamo già assistito nelle ultime ore. Da un lato interviene Almunia, commissario europeo, e dichiara: dovete fare la riforma sulle pensioni - ricordo che i diktat europei fanno seguito a quelli recenti di Draghi -; dall'altro, Prodi dichiara che l'Europa ha ragione e che dopo la finanziaria si metterà mano alle pensioni. Poi, la sinistra, stranamente, fa da mediatore con Pagliarini che butta acqua sul fuoco.
È una situazione veramente difficile perché state mettendo all'interno della finanziaria tutto ed il contrario di tutto. Qualcuno ha osservato che adopererete il metodo del bastone e della carota: la carota, non la vedo più e non so e non voglio sapere dove sia finita; sicuramente, vedo il bastone. E con quel bastone state davvero bastonando tutti; state bastonando gli artigiani.
Mi rivolgo ai parlamentari, a quanti scrivono questa finanziaria: non so se qualcuno di voi sia abituato ad alzarsi alle 5 del mattino per fare l'artigiano; non so quanti di voi davvero affrontino i rischi dell'attività di impresa tutti i giorni senza, per così dire, avere santi in paradiso e sperando che non manchi il lavoro e che venga pagato e che le cose vadano bene, nonostante la politica. Lo dico da artigiano, forse uno dei pochi presenti in questa Assemblea; ma lo dico anche parlando a nome dei piccoli e medi commercianti, della piccola e media industria, di quanti ancora credono sia possibile alzarsi la mattina e fare come il proprio padre ed il proprio nonno, poter consegnare ai propri figli ed ai propri nipoti qualcosa di importante costruito con il sacrificio e con il lavoro.
Voi non sapete bene cosa vuol dire; i calli sulle mani vengono a forza di rischiare e di lavorare, non a scrivere e modificare leggi finanziarie! Non è questo il modo!
È importante rilevare che all'interno della classi produttive, ovvero le piccole e medie imprese, l'84 per cento boccia la vostra manovra. La bocciano gli operai, i lavoratori dipendenti, i pensionati, la povera gente, la Lega ed anche la Padania. Di solito, quando qualcuno viene bocciato smette di andare a scuola, perché le bocciature sono tante, oppure si nasconde dietro la lavagna con il cappello da somaro o quantomeno comprende di essere un somaro e smette di sostenere una finanziaria di questo tipo, insostenibile da qualsiasi punto di vista la si guardi. Essa ha effetti che davvero toccheranno la povera gente; non possiamo uscire come fanno i colleghi di sinistra a raccontare di avere aiutato le classi meno abbienti. Non è possibile che da un lato mostriate risparmi di imposta fatti pagare ai più ricchi, mentre dall'altro operate tagli nei confronti degli enti locali con un aumento sostanzioso, anzi piuttosto elevato, che toccherà soprattutto le fasce più deboli. Infatti, un piccolo aumento delle tasse comunali, provinciali e regionali toccherà poco il più ricco, ma molto il più debole perché una piccola cifra per lui fa la differenza. Infatti, significa poter fare la spesa una volta in più o in meno ed avere i soldi per pagare la benzina ed andare a lavorare. SiPag. 86tratta di conseguenze importanti che bisogna «tastare con mano» in mezzo alla gente.
È la stessa gente che va in piazza. Avete fatto «terrorismo» per cinque anni; avevate detto di essere «pacifinti», ma adesso le bandiere della pace sono sparite. Qualcuno racconta di averle messe a lavare perché erano sporche. Mi auguro che si abbia prima o poi di nuovo il coraggio di riportare fuori le bandiere della pace, perché in Libano non c'è pace, ma missili puntati e tremila nostri ragazzi. Ci vuole l'ipocrisia di chi non ha il coraggio di ammettere di aver fatto cinque anni di «terrorismo» in maniera subdola, ipocrita e sbagliata ed oggi, in maniera altezzosa ed arrogante, pretende di poter insegnare agli altri cosa è la pace e quali sono i valori.
Ci sono anche le buffonate. Avevate detto di voler combattere gli incidenti stradali, come intendiamo fare anche noi; evitiamo i superalcolici con la «supertassa» ma poi la togliete per aumentare il bollo sulla moto. Magari si combattono gli incidenti per strada evitando che i ragazzi utilizzino la moto.
Evitate di aiutare le classi produttive agricole della Padania, tutte in sofferenza ed in difficoltà, ma non vi scordate di portare la solita pioggia di miliardi ai forestali della Calabria, ancora una volta foraggiati, o di cancellare i contributi agricoli SCAU inevasi per sessant'anni. È una vergogna di cui la Padania non si scorderà. Forse non avete ancora capito ed in Veneto e Lombardia avete preso due batoste, guardandovi bene dal nominare ministri veneti o lombardi.
La gente padana vuole lavorare e spesso se ne frega della politica; vuole andare avanti nonostante la politica. Ma non potete tirare la corda in eterno, perché la gente padana, quando è davvero stanca, si ribella. Lo fa politicamente e mi auguro che lo faccia anche nella regione della Padania che ancora dorme - si chiama Emilia-Romagna - perché credo che sia ora che inizi a svegliarsi. Tanto più che dalle proiezioni pubblicate la settimana scorsa da Il Sole 24 Ore sulla finanziaria che ci state propinando, sembrerebbe che a Reggio Emilia - così i reggiani imparano a darvi il voto - vi sarebbero circa 10 milioni di euro di tagli a fronte dell'arrivo di 5 mila euro. Secondo il quotidiano, dopo Milano e Roma, si tratterebbe della provincia in assoluto più «bastonata» d'Italia. Per certi versi, lo trovo anche giusto, perché così sarà la volta buona che i reggiani si rendano conto di chi hanno votato. Ma soprattutto non dimentichiamo che Reggio Emilia ha espresso un Presidente del Consiglio non all'altezza di gestire una maggioranza così sfaldata, eterogenea e divisa su tutto come quella attuale.
La tassa di successione è vergognosa perché spesso va a toccare la casa e il lavoro ereditati dalla propria famiglia. Altrettanto vergognoso è l'aumento dal 12,5 al 20 per cento della tassazione su BOT e CCT perché si toccano i risparmi della gente. Del TFR qualcuno ha già parlato.
Della pace ho detto. Poi c'è l'ICI, la casa, altro bene che dovete andare a toccare, così come l'altro bene che tutti hanno, ossia la macchina, in ordine al quale si aumentano le accise sul gasolio. Se si va, inoltre, a mettere le mani in tasca e se si prova a fare due conti, si capirà quanto una famiglia ci rimetterà da questa schifosissima finanziaria. Io sono sfortunato; è la prima volta che affronto una finanziaria, che è una sorta di «carta d'identità» del lavoro che si deve fare durante l'anno, e mi capita una finanziaria così schifosa, così improponibile che passa davvero la voglia di esaminarla e, a questo punto, viene davvero la voglia di promettere che opposizione ci sarà, e sarà davvero dura.
E, poi, vi è l'altra grossa buffonata: da un lato, lo scontrino per il commerciante, dall'altro l'esenzione fiscale per chi non emette lo scontrino per la grande distribuzione. Ho una specie di paura di ciò che sta accadendo, considerando il DPEF, il decreto Bersani, il collegato e, poi, la finanziaria, e che vogliate fare in modo che tutti i lavoratori autonomi smettano di fare, domani, i lavoratori autonomi e siano controllati, gestiti, impossibilitati a lavorarePag. 87(pensate a Basilea 2, a quando entrerà in vigore, dal 1o gennaio 2007). Di fatto, dovremmo metterci tutti in consorzi o cooperative e fare i soci lavoratori, non più i lavoratori autonomi. Ma se questo è il vostro sistema, ossia da un lato distruggere con il terrore dell'economia la gente che lavora, dall'altro lato distruggere l'identità dei popoli, con l'immigrazione e, alla fine, gestirli tutti alla sovietica, guardate che non ci stiamo! Se pensate che la gente tacerà e ve lo lascerà fare, avete sbagliato di grosso. Vi ho detto che la gente della Padania porta pazienza, però sto cominciando a sentire la gente che, in Padania, si è stufata di voi; ed allora i fischi dell'altro giorno a Vicenza avevano anche un significato: la gente non si riconosce nello Stato quando lo Stato la tratta a bastonate e contro la Roma di Prodi ladrona la Padania non perdona! Ricordatevelo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania - Commenti e applausi ironici dei deputati del gruppo L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cota. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la legge di bilancio ed il provvedimento che stiamo esaminando sono due documenti fondamentali, che non soltanto esprimono la linea politica del Governo e della maggioranza, ma, per loro natura, incidono pesantemente sulle scelte dei prossimi mesi. Dunque, questo è il primo punto che va sottolineato: fino ad oggi, questo Governo non è riuscito a gestire i dibattiti parlamentari. Ha ridotto il Parlamento ad un semplice organo che doveva ratificare, spesso con difficoltà, decisioni prese altrove. Oggi si corre il rischio, sempre più fondato, che anche su questi documenti si proceda sempre allo stesso modo, ossia ponendo la questione di fiducia, blindando il dibattito parlamentare ed impedendo al Parlamento di discutere, di integrare e modificare provvedimenti così importanti.
Richiamo anche la Presidenza della Camera ed i colleghi del Governo, ancora una volta, a valutare questo modo di procedere. Anche il Presidente della Repubblica l'ha evidenziato, ma evidentemente tutti i segnali che giungono non vengono assolutamente colti dal Governo. Direi che oggi più che mai, a furia di colpi di fiducia, voi state rischiando che «tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino». Attenzione, a furia di mettere le fiducie, poi, vi è il rischio che chi di fiducia colpisce, di fiducia perisce (Commenti dei deputati del gruppo L'Ulivo): al Senato, infatti, non siete in una situazione tanto vantaggiosa.
La seconda riflessione è correlata all'impostazione che hanno sia il provvedimento all'esame dell'Assemblea sia la legge finanziaria. In questo momento, c'era bisogno di fare due cose, ossia ridurre la spesa pubblica e dare un impulso, un rilancio alla produttività.
Con questi due provvedimenti siete riusciti a fare l'esatto contrario: avete aumentato la spesa pubblica, non diminuendo assolutamente le spese inutili bensì tagliando le spese necessarie, come i trasferimenti ai comuni, la spesa sanitaria e gli investimenti in infrastrutture. Avete tagliato le spese necessarie, mentre le spese inutili dell'apparato dello Stato le avete non solo mantenute, ma anzi aumentate. In più, non avete realizzato alcun rilancio della produttività perché questi due provvedimenti, il decreto e la legge finanziaria, determinano un forte inasprimento fiscale. Certo, si dice che tale inasprimento sia finalizzato a colpire una determinata categoria sociale, il cosiddetto ceto medio, ma se poi andiamo ad esaminare le singole disposizioni ci rendiamo conto che non è colpito solo il ceto medio, ma anche i ceti più bassi e direttamente anche i lavoratori che, a parole, dite di voler difendere.
Se andiamo ad esaminare alcune delle disposizioni che intendiamo denunciare perché le consideriamo assolutamente sbagliate, possiamo cominciare dalla questione del condono fiscale, che qui introduco in quanto collegata al provvedimento in esame. Voi dite di aver rilanciato il sistema delle imprese, riducendo il costo del lavoro e quindi il cosiddetto cuneoPag. 88fiscale. Però, la verità va detta perché le bugie hanno le gambe corte. Se facciamo l'esempio di una microimpresa con pochi dipendenti, voi dite di ridurre il cuneo fiscale quando poi aumentate, per esempio, la contribuzione in capo agli apprendisti. Pensate che i piccoli imprenditori della Padania e anche del resto del paese siano tutti degli imbecilli e non sappiano fare il calcolo se, alla fine del mese, il costo del lavoro aumenta anziché diminuire? Infatti, i dati dimostrano che, per quanto riguarda le piccole aziende, il costo del lavoro non diminuisce, ma aumenta. Quindi, quella del cuneo fiscale che va a beneficio dei lavoratori è un'emerita bugia, perché il costo del lavoro si incrementa, senza contare l'inasprimento della pressione fiscale che, evidentemente, colpisce tutti cittadini e anche gli imprenditori.
Se parliamo del TFR, poi, analizziamo un altro aspetto molto interessante in quanto è tale anche l'evoluzione relativa a questa misura. Una delle caratteristiche di questa finanziaria e di questo decreto - direi la seconda caratteristica principale - è che, oltre a non realizzare ciò che invece bisognerebbe attuare, vale a dire la riduzione della spesa e l'incentivo alla produttività, essa non presenta né capo né coda. Infatti, si potrebbe anche impostare una politica economica sbagliata e sostenere che invece questa, nel lungo periodo, darà dei frutti e poi la realtà smentirà o dirà che invece avevate ragione. Non si capisce l'obiettivo di questa legge finanziaria, a parte quello di massacrare i cittadini attraverso l'inasprimento fiscale.
Con una conferenza stampa, ieri, avete annunciato di aver modificato i termini del «saccheggio» del TFR, in quanto il prelevamento del TFR è un vero e proprio furto. Peraltro, va detto che avete su di voi la spada di Damocle dell'Europa che non vi «passerà» questa misura, in quanto non potete contabilizzare nel bilancio dello Stato dei soldi che non sono vostri (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania), vale a dire i soldi dei lavoratori, anche se avete la CGIL che, in maniera strumentale, invece di fare gli interessi di questi ultimi, sembra collocata al Governo, mentre il segretario generale del CGIL si comporta come il ministro dell'economia!
Ma questo lo sappiamo molto bene, perché conosciamo come funziona la rappresentanza sindacale! Questa è la realtà: l'Unione europea non farà passare tale misura, perché voi non potete disporre dei soldi dei lavoratori!
L'accordo che è stato siglato ieri ha veramente dell'incredibile, poiché esenta dal prelevamento forzoso del trattamento di fine rapporto le imprese che occupano meno di cinquanta dipendenti. Abbiamo dimostrato che le piccole aziende non ricevono un beneficio dall'operazione di riduzione del cuneo fiscale, perché, al contempo, avete aumentato il prelievo contributivo per una serie di fattispecie.
Ebbene, tale intervento non procurerà loro alcun beneficio e colpirà ancora più duramente le imprese con più di cinquanta dipendenti, poiché avete stabilito che tutto il TFR inoptato dovrà essere versato forzosamente all'INPS!
Vorrei svolgere un'ulteriore riflessione. Voi sostenete che le piccole imprese devono crescere per poter affrontare il mercato; voi affermate che la concorrenza della Cina e dell'India si combatte non facendo rispettare loro le regole, bensì facendo crescere le nostre aziende affinché siano più forti, ma poi gli tarpate le ali! Quale imprenditore che occupa quaranta dipendenti si attiverà per accrescere le dimensioni della sua azienda? Nessuno: resteranno tutti, scientificamente, sotto i cinquanta dipendenti! Si tratta di un esempio concreto di come voi, anziché incentivare lo sviluppo, vogliate in realtà fermarlo!
Vorrei dirvi, inoltre, che non solo i piccoli imprenditori non potenzieranno la loro struttura aziendale, ma vi è anche il rischio che essi delocalizzeranno! Essi, infatti, non aumenteranno i posti di lavoro qui, ma apriranno sedi nei paesi con manodopera a basso costo, perché non si fidano più di questo Stato il quale tratta come delinquenti non soltanto loro, ma anche le altre categorie che sono state prese di mira dal provvedimento in esame!Pag. 89
Voi lo sapete che nelle banche svizzere, a Lugano e dintorni, la mattina vi sono file di gente che porta fuori i soldi, perché non si fida di tenerli qui nel nostro paese? In altri termini, si è tornati indietro ai bui anni Settanta, quando c'era la fuga di capitali! Si tratta di un segnale che voi non avete assolutamente colto, ma andate avanti imperterriti! Il Presidente del Consiglio va avanti imperterrito, facendo la faccia del curato di campagna, quando invece la realtà gli sta esplodendo in mano!
Dopo gli interventi relativi al cuneo fiscale ed al trattamento di fine rapporto, ve ne sono altri che consideriamo molto negativamente. Pensiamo, ad esempio, alle misure adottate contro i professionisti, attraverso gli studi di settore. Voi volete colpire i professionisti e gli imprenditori, ma dovete tener conto del fatto che tali categorie occupano, a loro volta, dei dipendenti, vale a dire gente che lavora. Se la gente che lavora perde il proprio posto, alla fine del mese non percepisce lo stipendio: è bene che facciate queste riflessioni una volta per tutte!
Vorrei anche dirvi che, poiché questa manovra finanziaria non ha, sostanzialmente, né capo né coda, voi siete bugiardi, dal momento che raccontate ai cittadini una cosa per un'altra! Siete certamente bugiardi quando non spiegate come il trattamento di fine rapporto venga sottratto alla disponibilità dei lavoratori! Ma siete dei bugiardi neanche troppo intelligenti, perché un giorno dite una cosa ed un giorno ne affermate un'altra, creando nel paese una situazione di incertezza!
Penso, per esempio, alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Prodi. In campagna elettorale ha detto: volete sapere l'unica cosa positiva che ha fatto il Governo Berlusconi? L'introduzione del «bonus bebè». Bene, il bonus bebè viene abolito. Se era l'unica cosa intelligente, avreste potuto certamente mantenerla!
Il Presidente del Consiglio, alla fine di un lungo e tortuoso percorso, con dichiarazioni rilasciate a destra e a manca, aveva detto che non avrebbe introdotto la tassa di successione; invece, ci ritroviamo puntualmente la tassa di successione all'interno del decreto fiscale che andremo ad approvare.
Non si taglia la spesa e non si incentiva la produttività. Come non leggere in maniera assolutamente negativa la mancanza dei fondi per realizzare le infrastrutture? Novecento milioni di euro per la TAV! Come è possibile farli bastare? È evidente che non volete finire la TAV! È evidente che non volete realizzare le infrastrutture e mi riferisco alla disposizione contenuta nell'articolo 14 del decreto fiscale, alla mancata realizzazione del ponte sullo stretto!
A tale riguardo, abbiamo sempre avuto una posizione critica, ma voi risparmiate i soldi che erano già stanziati e non decidete di destinare queste risorse al completamento delle infrastrutture dove ve ne è bisogno, vale a dire al nord. Non volete completare le infrastrutture del nord. Decidete di lasciare i soldi in Calabria ed in Sicilia per obiettivi che ancora oggi risultano fumosi (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia), e per noi è assolutamente inaccettabile!
Colleghi, rappresentante del Governo, state andando avanti perseguendo evidentemente una strada che forse neanche voi sapete dove porterà.
È una strada che sicuramente va in una direzione opposta agli interessi del nord, che noi ci proponiamo tutti i giorni di tutelare. Quando siamo in Parlamento, ci poniamo questo specifico obiettivo. Siamo qui per tutelare gli interessi del nord e voi non avete colto i segnali che il nord vi manda. Non avete colto il segnale che arriva da Vicenza! Non avete colto il disagio crescente del nord! Vi siete isolati nel Palazzo. Avete aumentato la distanza che c'è tra il Palazzo e la gente.
PRESIDENTE. Onorevole Cota, la prego di concludere.
ROBERTO COTA. Tutta questa distanza alla fine verrà fuori come un elemento negativo e sarà la gente a mandarvi a casa! Non tanto una congiura di palazzo ma...
Pag. 90PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Cota.
ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, vorrei constatare che alle 19,30 di oggi non abbiamo ancora iniziato l'esame degli emendamenti. Penso che il collega che è appena intervenuto abbia la coda di paglia, perché ha evocato la questione di fiducia. Quando il mio partito ha voluto fare ostruzionismo sull'indulto ha iscritto tutti i parlamentari a parlare; abbiamo trascorso la giornata ad ascoltarvi, mentre ripetevate tutti le stesse cose.
PRESIDENTE. Onorevole Borghesi, non è un intervento sull'ordine dei lavori.
ANTONIO BORGHESI. Se questo non è ostruzionismo, non so che cosa ...
PRESIDENTE Ha chiesto di parlare il deputato Di Virgilio.
DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli ultimi avvenimenti politici ed in particolare la preannunciata legge finanziaria, che, certo, peggio non poteva essere concepita, hanno allarmato gran parte dell'opinione pubblica, dai vertici dell'economia, dell'industria sino a tutti i cittadini.
In pochi mesi, avete gettato finalmente la maschera ed i vostri elettori sono delusi, preoccupati ed esterrefatti. Ci domandiamo: non eravate voi che durante la campagna elettorale dicevate che non avreste aumentato le tasse? Non eravate voi quelli che promettevano un futuro roseo? Ma quale futuro? Non vi accorgete per nulla di ciò che sta succedendo nel paese? Se non siete in grado di vedere, evidentemente avete tutti bisogno di una urgente visita oculistica che vi apra gli occhi! Le menzogne raccontate da Prodi in campagna elettorale sono state smascherate e l'opinione pubblica è in fermento. Accorgetevene! Forse siete ancora in tempo per cambiare rotta.
Non solo i cittadini che hanno votato noi, ma anche una parte considerevole del vostro elettorato è deluso e certamente non ripeterebbe l'errore fatto, dandovi la fiducia!
L'Italia - lo sapete bene - ha un problema di spesa pubblica eccessiva. Il vostro Governo ne era ben conscio e lo aveva indicato nel DPEF, ma nella finanziaria varata dal Consiglio dei ministri, con un rapido dietro-frónt e in modo sfacciato, vengono aumentate le entrate anziché le spese. Quindi, questa finanziaria è completamente sbilanciata a favore delle entrate. La manovra per il 2007 - che ancora non sappiamo a quanto ammonterà, perché ogni giorno assistiamo ad un balletto delle cifre - per quasi l'80 per cento sarà costituita esclusivamente da entrate.
Il DPEF, la legge Visco-Bersani, il decreto-legge in esame e la finanziaria sono di fatto un tutt'uno, con la conseguenza che è difficile parlare dell'uno senza accennare all'altro.
Con questi due provvedimenti il Governo ha ideato un perverso sistema di controllo sulla vita di tutti i cittadini, una specie di Stato di polizia nel quale ciascuno sarebbe spiato, controllato e sottoposto ad una serie infinita di verifiche burocratiche e di assoggettamenti fiscali.
Quando in quest'aula abbiamo esaminato il DPEF, nel confronto tra maggioranza e opposizione sono emerse due visioni di politica economica e sociale, che peraltro erano già emerse con forza durante la campagna elettorale: la vostra, che è perdente, e la nostra. Sia nelle aule parlamentari sia nei luoghi che ormai sono divenuti le aule vere del confronto - i giornali e i salotti televisivi -, sono emerse le forti contraddizioni esistenti al vostro interno.
Eppure, in un'audizione in Commissione bilancio, il ministro Padoa Schioppa, forse in un momento di sincerità, aveva affermato che l'ultima finanziaria predisposta dal ministro Tremonti costituiva unPag. 91buon punto di partenza. Mi domando come ciò possa conciliarsi con le critiche che la maggioranza oggi esprime in difesa di se stessa affermando, ad esempio, che il declassamento così eclatante da parte delle maggiori agenzie di rating sulla situazione economica italiana prodotta da questa legge finanziaria e le critiche mosse alla manovra dal Governatore della Banca d'Italia e dalla Corte dei conti deriverebbero dalle azioni compiute precedentemente dal Governo Berlusconi. In questo modo, peccate di ingenuità, in quanto le agenzie di rating fotografano l'attuale situazione economica e non certamente il passato, anche se recente.
Occorre ricordare al Governo attuale che l'eredità che avete ricevuto dal nostro Governo di centrodestra ha portato non poche entrate nelle casse dello Stato. Dunque, finitela di addossare agli altri gli effetti negativi che le vostre azioni e i vostri comportamenti causano e causeranno sempre di più se questa legge finanziaria venisse approvata nell'attuale formulazione.
Davvero non riesco a comprendere come si concili la valutazione del ministro resa in Commissione con queste nuove considerazioni! Il ministro, sempre nelle sue dichiarazioni in Commissione e negli atti formali depositati, ha riconosciuto, dopo anni di mistificazioni, che nei nostri cinque anni di Governo abbiano aumentato la spesa sociale dal 22 al 23 per cento e che la spesa sanitaria è passata dal 5,8 per cento al 6,7 per cento del PIL. Ricordo inoltre un passaggio nel quale il ministro ha messo in difficoltà alcuni colleghi della maggioranza, affermando che il modello da seguire per la sanità è quello delle regioni del nord, come il Veneto e la Lombardia.
Un aspetto fondante di questo decreto e della legge finanziaria è quello di una ristatalizzazione del nostro paese, attraverso una fortissima imposizione fiscale. In questo modo sbagliate, perché l'aumento della pressione fiscale di due punti, che nel vostro intento dovrebbe colpire i professionisti, gli artigiani e i commercianti, in realtà colpisce oltre l'80 per cento degli italiani. Evidentemente, avete fatto male i conti o avete ingannato gli italiani!
Si registra la definitiva rottura del rapporto di fiducia tra fisco e contribuente, con l'ossessiva preoccupazione di assicurare ogni più minuziosa forma di controllo nel segno della più pura oppressione fiscale.
Il decreto-legge al nostro esame, così come il provvedimento Visco-Bersani, è imperniato su una sola cosa: tasse, tasse, tasse!
Con una mano date uno e con l'altra prendete quattro! A voi piacciono le tasche dei cittadini! Vi ricordate le promesse elettorali, quando dicevate a tutti quanti che non avreste aumentato le tasse? Ecco la vostra risposta: aumentate le imposte ipotecarie, le imposte di registro, gli estimi catastali (quindi le imposte sulla casa, dirette e indirette). E ovviamente aumenterà l'ICI per tutti, così come la tassa sui rifiuti. Reintroducete la tassa di successione e quella sulle donazioni, obbligando tutti i cittadini a stipulare l'assicurazione sugli immobili contro le calamità naturali, quasi fosse colpa loro nel caso si verificassero tali eventi! Aumentate l'IRES e l'IRPEF per tutti, così come aumentano le tasse per le piccole imprese e per l'agricoltura!
Avete visto, nei giorni passati, che sono scesi in piazza - mai era avvenuto - migliaia di professionisti, che mai avevano manifestato in questo modo. Nel corso delle audizioni, tutti gli auditi hanno pesantemente contestato i vostri provvedimenti di bilancio. Le categorie sono in agitazione e voi cercate di accontentarle modificando giorno per giorno la versione iniziale della finanziaria; ma credo che non riuscirete in questo obiettivo. Gli enti locali, i sindaci e i presidenti di provincia - salvo due o tre vicini a voi - minacciano di portare le chiavi del municipio qui in Parlamento! Il Governatore della Banca d'Italia vi ha detto che nulla di strutturale è contenuto in questo disegno di legge finanziaria. I cittadini non sono più con voi! Riscrivetela questa finanziaria, fate ancora in tempo!Pag. 92
La lettura quotidiana dei giornali è sconcertante e, forse, dovrebbe spingervi a riflettere su ciò che state attuando. Così hanno titolato i giornali; La Stampa: Bocciata l'Italia, troppi sprechi; la Repubblica: Conti, Italia declassata; il Corriere della Sera: L'Italia declassata per i conti pubblici; la Repubblica di oggi: Contributi più alti, busta paga più leggera.
Dovete veramente assumervi la responsabilità. Non raccontate finte storie, dicendo che è colpa degli altri. I conti pubblici vengono bocciati. Questi conti pubblici, questa finanziaria, questo decreto, questi provvedimenti hanno portato al declassamento: siamo veramente classificati come una delle ultime nazioni al mondo!
Il partito che qui rappresento, Forza Italia, è un movimento autenticamente liberale, che opera per una società dinamica, liberata davvero da vincoli, capace di produrre e distribuire nuova ricchezza, mentre voi con questa finanziaria non lo fate ed impoverirete tutti! In quanto tale, Forza Italia si oppone con determinazione alle forze illiberali dell'Unione, che vogliono imbrigliare le attività economiche con norme invasive senza precedenti e predisporre le condizioni per una diffusa tassazione patrimoniale, nascondendo tutto ciò con la promessa di piccole ma fasulle liberalizzazioni di alcuni servizi del tutto marginali.
Non solo non avete più i numeri per governare, ma non avete più neppure la fiducia dei cittadini, nemmeno di quella metà che vi ha votato! Tutte le associazioni, le categorie professionali e i cittadini sono oggi contro di voi! Allora, abbiate coraggio e fate spazio a chi ha dimostrato, attraverso le riforme, di volere un'Italia moderna, dinamica e meritocratica, non colpendo i cittadini con tasse insensate e ingiuste. Per tutto ciò, noi voteremo convintamente contro questo decreto e contro la vostra finanziaria (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Fava. Ne ha facoltà.
GIOVANNI FAVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, considerato anche l'orario credo che la discussione si sia un po' protratta in questa lunga giornata per chi è rimasto in aula ad assistere anche un po' sconcertato a tutte queste ore di «bivacco» da parte di pochi superstiti e rappresentanti del Parlamento, i quali evidentemente sono presi da questioni che attengono dinamiche politiche esterne all'aula parlamentare. I richiami all'attenzione da parte dei colleghi che mi hanno preceduto si sono succeduti direi con sistematicità, ma vediamo che l'effetto sortito - ahimè! - lascia un po' il tempo che trova!
Vorrei esprimere una riflessione pacata sui punti fondanti di questa manovra e del decreto-legge n. 262, che stiamo esaminando, ed alcune osservazioni che attengono al complesso delle proposte emendative e alla necessità che ha indotto i gruppi parlamentari, in particolare quello della Lega Nord, alla presentazione di un cospicuo pacchetto di proposte emendative, che puntano con una certa decisione e con grande sincerità a scardinare l'impianto generale del provvedimento stesso.
Nella discussione odierna, più volte abbiamo ascoltato argomentazioni assolutamente valide e condivisibili per quanto riguarda gli aspetti più emblematici del provvedimento. Mi riferisco alla famigerata questione dello scontrino fiscale, al problema della tassa di successione, al grande tema delle attività di riscossione, alle modifiche degli estimi catastali, a tutto l'universo che gravita attorno a questo provvedimento che, in sé, cela un intento vessatorio, non condiviso o meglio non compreso da quella parte di territorio che cerchiamo e soprattutto vogliamo rappresentare.
Vorrei partire dalla misura più sentita, al di là delle questioni che toccano più direttamente il portafoglio, ma più sgradita dalle mie parti. Ieri ho partecipato ad una serata in un grande centro della provincia di Cremona, nel corso della quale si è discusso di un annoso problema viabilistico che attanaglia quel territorio ormai da oltre trent'anni e che sembrava risolto, in virtù della deliberazione delPag. 93CIPE del maggio di quest'anno, ma che - ahimè! - è tornato di grande attualità, stante il fatto che, proprio all'articolo 12 del decreto, si rimette in discussione il meccanismo delle concessioni autostradali.
Il tema, che prima di me è stato affrontato dall'onorevole Lupi (quindi, non vorrei riproporlo), sta molto a cuore. In un paese come il nostro, dove si incontrano grandissime difficoltà nel reperire le risorse per realizzare le opere pubbliche, in particolare nella zona del paese dalla quale provengo, la Lombardia e, più in generale, nel settentrione, attanagliato da un problema endemico riguardante le infrastrutture ed i trasporti, questo tipo di impostazione ha spaventato tutti. Alla serata erano presenti centinaia di sindaci, praticamente quasi la totalità delle amministrazioni, a prescindere dal colore e dall'appartenenza politica; erano presenti i rappresentanti di questa assemblea e tutti, a gran voce, si sono chiesti se veramente vi fosse una seria intenzione di procedere in tale direzione.
Ieri sera, per la prima volta dalle mie parti, anche tra gli esponenti di forze politiche che si richiamano ai partiti che sono espressione di questo Governo, è tornato in auge un tema a noi molto caro, la cosiddetta questione settentrionale. Crediamo che il pacchetto di provvedimenti contenuti in questo decreto-legge, così come i provvedimenti conseguenti che attengono, più in generale, a tutta la costituzione del meccanismo della finanziaria, pecchino in un punto fondamentale, vale a dire la scarsa attenzione per quella parte di territorio che - lo ripeto - vorremmo rappresentare.
Esiste una questione settentrionale aperta. C'è una parte del paese che, da sola, si è fatta carico delle responsabilità politiche, amministrative, industriali e di sviluppo e tutta questa parte del paese è sistematicamente ignorata da un Governo che evidentemente è lontano dalle categorie produttive, che è chiuso nelle stanze del palazzo attiguo al nostro e che, da quella posizione, continua a guardare dall'alto al basso tutti quelli che arrivano a lanciare grida di allarme e di dolore. La situazione è molto grave. È ovvio che la sensibilità di chi, come il sottoscritto, viene da un'attività imprenditoriale propria sarà diversa da quella che si può riscontrare nella maggior parte dei parlamentari di questa maggioranza che, francamente, di esperienze lavorative ne hanno avute poche.
Non abbiamo la pretesa che vi sia la medesima sensibilità, ma ricordatevi che c'è una vecchia regola secondo cui, quando una parte produce e tutto il resto non produce nulla, se si taglia la parte che produce, la metastasi diventa un problema generale.
Ho sentito, nel lungo dibattito di oggi, l'intervento del collega dell'Italia dei Valori, D'Ulizia, che ad un certo punto ha parlato di distrofia. Ha usato questo termine, che mi ha un po' incuriosito, perché non mi sembrava esattamente coerente con la sua probabile intenzione. Poi ci ho pensato bene e, forse, quel termine potrebbe essere appropriato, perché la distrofia è una malformazione, fino a prova contraria, e, quindi, ciò vuol dire che in questo momento stiamo parlando di qualcosa che è nato male oppure, nella fase della sua evoluzione, è maturato peggio.
Qualcuno dei miei colleghi veneti direbbe «ha pesca' el buso», perché siamo in una situazione per la quale si modifica qualcosa che ormai è impresentabile e lo si fa oltre ogni tempo limite, attraverso un meccanismo irrituale, ossia la presentazione di un certo numero di emendamenti del Governo. Penso che non serva un politologo scafato per capire che quando un Governo, all'ultimo momento, è costretto a presentare emendamenti a un suo decreto, prima che venga approvato dal Parlamento, è ovvio che ci devono essere dei problemi politici veri.
Per un attimo ho avuto la percezione, forse l'illusione - mi auguro non sia tale - che qualcuno si sia reso conto che, procedendo in questa direzione, qualcosa si sta sbagliando. Forse, qualcuno si è reso conto che il nostro paese non ha più laPag. 94forza, la voglia e l'entusiasmo per accettare passivamente tutto quello che viene, perché non è più tempo per questo.
Il paese è cambiato in questi anni, è cambiato molto. La situazione economica generale e la congiuntura internazionale pesano non più solo sulle parti deboli del paese, ma anche su quelle più sviluppate ed evolute. Questo elemento deve essere un punto fermo dal quale far scaturire le priorità dell'attuale Governo, che, fino a questo momento, non ci ha dimostrato di essere allineato con le necessità del paese e, soprattutto, con le necessità del nord, che, da un po' di tempo a questa parte, tira la carretta.
Mi sembra che sostanzialmente ci sia una sorta di vendetta politica nei confronti dei territori che sicuramente prima non hanno dimostrato di gradire o di apprezzare il programma del Governo Prodi e, successivamente, stanno dimostrando, in questi giorni, con le manifestazioni di piazza, di continuare a non gradire neanche l'operato del Governo Prodi.
Parlo agli esponenti del Governo, se qualcuno avesse la gentilezza di dedicarsi meno alle faccende personali...! Credo sia una forma di rispetto nei confronti del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Possiamo continuare a bivaccare tutti insieme! Se volete offrirci un tè, un caffettino...
PRESIDENTE. Onorevole Fava, lei ha il diritto di essere ascoltato...
GIOVANNI FAVA. Presidente, è dalle 14 che sono qui e vedo sistematicamente...
PRESIDENTE. ...ma non può essere lei a richiamare gli altri deputati sul modo in cui devono comportarsi.
Concluda il suo intervento.
GIOVANNI FAVA. Ho il diritto di lamentarmi! Noi siamo qui oggi perché vogliamo dare voce ai cittadini che rappresentiamo. Se lo ricordi! Sarebbe ora che quei signori cominciassero ad ascoltarci con un po' di rispetto (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Io parlavo in modo pacato, ma adesso mi sono stancato! È la seconda volta che richiamo il sottosegretario. Ha passato l'intero pomeriggio a leggere il giornale! Ma dove siamo?
PRESIDENTE. La prego di rivolgersi in una maniera più appropriata al rappresentante del Governo.
GIOVANNI FAVA. Avete nominato 102 membri del Governo, ma non ne abbiamo visti più di due o tre. Siete ridicoli! Siete ridicoli (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia - Commenti dei deputati del gruppo L'Ulivo)! Siete in grande difficoltà, lo capisco. Guardate le vostre difficoltà!
Avete nominato 102 membri in questo benedetto Governo; ce ne deve essere solo uno che legge il giornale, risponde al telefono e parla con gli amici che viene ad ascoltarci? Siete convinti che questo sia il rispetto nei confronti dell'Assemblea?
Io stavo parlando assolutamente in modo civile. Ho richiamato l'attenzione anche prima.
Vorrei proseguire il mio intervento per dire che chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Mi permetta, onorevole Borghesi: che lei venga a farci la morale su quali siano i meccanismi al cui interno si distingue l'ostruzionismo da qualcosa di diverso, sinceramente fa sorridere. Noi siamo qui a discutere oggi di temi che stanno a cuore al paese e che dovrebbero stare a cuore anche a lei. Onorevole Borghesi, lei è stato presidente della provincia di Verona, fino a prova contraria, in una giunta in cui rappresentava anche il mio partito.
Mi chiedo quindi con quale coraggio oggi si venga qui a dimostrare scarsa sensibilità nei confronti di quel territorio che avete cercato o voluto rappresentare negli anni passati: qualcuno sta voltando le spalle al nord! In questa sede lancio un appello ai parlamentari del nord, affinché, in modo sereno, pacifico e con grande capacità e senso costruttivo, si discuta nei prossimi giorni su quella che sarà laPag. 95seconda fase, perché ormai abbiamo capito che metterete la fiducia e lo hanno capito tutti, anche i bambini. Non avete più argomenti, basta guardare il livello numerico dei presenti in aula per capire che siete già affaccendati in tutt'altre faccende.
Dico ai parlamentari del nord: sediamoci intorno a un tavolo e andiamo a discutere nelle prossime settimane gli emendamenti che presenteremo anche al disegno di legge finanziaria, che hanno tutti un significato non ostruzionistico. Abbiamo lavorato perché in questa legge finanziaria si potessero introdurre alcune modifiche che vanno nella direzione della realizzazione di opere che interessano una parte del nostro paese e che tengono al benessere dei nostri cittadini.
È ora di finirla con questo servilismo romano per il quale, quando si arriva qui, ci si dimentica dei territori dai quali si proviene. Se questo è l'andazzo, vi dico che non so quali saranno le reazioni, non sono in grado di prevederne. Qualcuno prima di me, sicuramente con qualche certezza in più, ha usato anche toni diversi.
Credo che, in ogni caso, le reazioni che troverete nelle piazze, quelle che avete frequentato poco, ad onor del vero, da qualche mese a questa parte, ma che noi abbiamo continuato a frequentare, saranno sempre più ostili, perché la gente sente sempre più la distanza di questo Parlamento e di questo Governo dalle proprie istanze e necessità.
Stiamo parlando di un decreto fiscale - e torno al discorso iniziale - che si articola sostanzialmente in un impianto generale assolutamente vessatorio: i cittadini sono esausti. In questo momento, non vi è più la disponibilità da parte nostra ad affrontare con serenità alcun tipo di discussione, che non somigli a qualcosa di ostruzionistico - rispondo a Borghesi - perché, se per ostruzionistico viene scambiato l'atteggiamento di chi cerca in tutti i modi di modificare norme contenute in un documento che non ha più né capo né coda, ben venga l'ostruzionismo! Noi continueremo a farlo dentro l'aula, ma, soprattutto, fra qualche giorno, in mezzo ai cittadini, alla gente, nelle piazze (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
In morte dell'onorevole Raffaele Marotta.
PRESIDENTE. Comunico che il giorno 14 ottobre è deceduto l'onorevole Raffaele Marotta, già membro della Camera dei deputati nella XIII legislatura.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.
Si riprende la discussione.
(Ripresa esame articolo unico - A.C. 1750)
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare sul complesso degli emendamenti, invito il relatore per la V Commissione ad esprimere il parere.
LELLO DI GIOIA, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, i relatori esprimono parere contrario su tutti gli emendamenti riferiti all'articolo 1 del decreto-legge.
PRESIDENTE. Il Governo?
ALFIERO GRANDI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore per la V Commissione.
PRESIDENTE. Sta bene.
Secondo le intese intercorse, il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di domani.
Ordine del giorno della seduta di domani.
Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Mercoledì 25 ottobre 2006, alle 9,30:
Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria (1750-A).
- Relatori: Di Gioia, per la V Commissione e Fincato, per la VI Commissione.
La seduta termina alle 19,50.
CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO RICCARDO PEDRIZZI SUL CINQUANTENNALE DELL'INSURREZIONE D'UNGHERIA
RICCARDO PEDRIZZI. Gli anniversari non sono tutti uguali e neanche uguali sono i modi con cui vengono celebrati. Ci sono quelli non dichiarati, non formalizzati, che la coscienza civile ha già fatto propri e la politica non istituzionalizza; ci sono però anche quelli che hanno perso ormai del tutto la loro valenza simbolica e si trascinano solo come rituale, privo di qualunque contenuto.
Sono quelli «formalizzati» ma snobbati, o perché vissuti come un peso o perché paradossalmente troppo impegnativi.
La vita pubblica italiana conosce esempi di tutte le categorie descritte e lasciamo ad ognuno il gioco di incasellarli nelle categorie sopra menzionate; noi siamo convinti che la celebrazione, il rito della memoria, se affidato alle regole del politicamente corretto, diventa un inutile e vuoto esercizio retorico mentre il suo valore risiede proprio nella possibilità di saldare nella coscienza della comunità il giudizio storico-politico con quello etico-morale, senza assoluzioni o sconti per nessuno.
Siamo davvero curiosi di scoprire, allora, come si collocherà quello che stiamo vivendo del cinquantesimo anniversario della rivolta d'Ungheria, di come lo sta vivendo quel paese ma soprattutto di come lo stanno vivendo la società italiana, quella pubblica, i partiti, le istituzioni e soprattutto la nostra coscienza civile.
Perché è anniversario di quelli scomodi, duri da digerire troppe essendo le implicazioni che derivano da una sua coerente lettura e soprattutto troppo scomode e politicamente assai poche ortodosse le conseguenze che il dibattito pubblico dovrebbe trarne.
Abbiamo il timore che, proprio in questa occasione, il ricordo possa assumere i contorni di una recita ipocrita, di un puro e semplice ossequio allo spirito conformista del nostro tempo, in un trionfo di quel politicamente corretto che, come ricordavamo, paradossalmente contribuisce ad assopire la memoria collettiva, piuttosto che risvegliarla.
La destra politica e culturale è la sola ad avere da questo punto di vista tutte le carte in regola per offrire il proprio contributo al rito della memoria, perché coerente con la sua memoria storica e con la sua identità. Proprio a quel periodo, infatti, risalgono le sue prime - e grandi - prove di mobilitazione collettiva e di piazza.
È sulla miscela Trieste italiana ed Ungheria libera che la destra italiana sperimenta nel dopoguerra la sua capacità di mobilitazione. Coerente con se stessa perché per prima traduce in protesta di piazza ed in mobilitazione una lettura critica non solo, per quanto ovvio, della dinamica mostruosa del comunismo internazionale ma anche del primo sinistro scricchiolio della buona coscienza occidentale che in nome della «realpolitik» si costringe ad ignorare il grido di dolore dell'Est europeo.
Se è vero che il rispetto della memoria storica si gioca in primo luogo sulla coerenza di un disegno interpretativo, sul nonPag. 97dover ripensare un giudizio storico in termini assoluti, allora questo merito la destra può rivendicarlo. Perché per larga parte di quella buona coscienza europea, il 1956 è davvero il tempo della fine dell'innocenza.
È la fine dell'innocenza per l'universo comunista, in primo luogo e soprattutto. Quel mondo aveva vissuto il dopoguerra in larga parte immerso nel mito della rivoluzione compiuta e nel sogno della rivoluzione da compiere. Eppure la realtà dei paesi europei schiacciati dall'Armata rossa era già ben visibile. Ad una mostruosa tirannia ne era succeduta un'altra, erano cambiati i guardiani, ma i campi erano rimasti gli stessi.
A tutti i gesti di riparazione postuma verso i martiri della rivoluzione del 1956, compreso quello compiuto in Ungheria dal Presidente Napolitano, va riconosciuto il valore alto e forte di una riconciliazione con la verità storica, ma questo valore non può che essere fondato sulla seria, netta ed inequivocabile presa di coscienza di un'incontrovertibile verità.
Ovvero la consapevolezza che allora erano loro in errore, erano loro i complici dei massacratori e non gli altri. Diciamo questo perché oggi, e non solo da chi ancora esprime nell'orizzonte del comunismo la propria idealità, sentiamo troppo spesso far ricorso a ragionamenti che pongono nella guerra fredda, nella esigenza di schierarsi comunque contro il nemico capitalista la sola e vera ragione dell'adesione entusiasta di larga e prevalente parte di quel mondo non solo alla repressione ma, prima ancora, alla costruzione di quei regimi totalitari. Come se libertà e dittatura fossero comparabili e come se calcoli basati sul realismo politico oppure fondati sull'utopia di costruire un comunismo diverso potessero giustificare il volgere lo sguardo dalla tragedia dell'Est europeo. Ancora una volta di fronte alle dure repliche della storia quel mondo sente l'esigenza di sottrarsi alla consapevolezza dell'errore in nome delle proprie buone intenzioni.
La fine di quell'innocenza trascina con sé il credere che il comunismo potesse esprimere al suo interno una capacità riformatrice che gli avrebbe permesso di condurre ad una transizione democratica, con l'innocenza di credere che i partiti comunisti europei, in nome di una supposta via nazionale al comunismo, avrebbero davvero potuto far accettare alla casa madre sovietica esperimenti riformatori o fuori linea.
È vero che questo sogno ha bruciato una generazione di comunisti ma è anche vero che pochi ne hanno tratto la sola ed unica conseguenza sul piano delle scelte politiche, rappresentata dalla fuoriuscita prima e dalla denuncia di quell'orrore poi. A quella parte del mondo comunista che ha saputo ripartire da quelle tragedie è giusto guardare con il rispetto dovuto a chi di fronte alla crude repliche della storia ha preferito non abdicare alle ragioni della coscienza individuale piuttosto che obbedire alla coscienza collettiva imposta dal partito.
Come però è altrettanto giusto ricordare l'ignavia dei più, di quelli che compresero e si adeguarono, di quelli che su una scommessa di riformabilità del comunismo hanno costruito una rendita di posizione e di credibilità politica ed ancora oggi, di fronte agli ultimi detriti della guerra fredda (il comunismo cubano valga come esempio per tutti) non si schierano con le ragioni della libertà ma con quelle dei tiranni.
Ma il 1956 non rappresenta solo la fine dell'utopia di un comunismo diverso, rappresenta anche la dimostrazione che con la tirannia non si può mai pensare di venire a patti e che i nodi, le contraddizioni di un comportamento ambiguo e di tentennamento, prima o poi vengono tutti al pettine.
L'atteggiamento dell'Occidente, delle sue classi politiche ed intellettuali fu davvero coerente con i suoi valori fondativi? Davvero l'Europa fece tutto il possibile per evitare la tragedia di quel popolo? Poteva la comunità internazionale esprimere in forme più dure la sua condanna? Esiste, in ultima analisi, una macchia oscura anche nella coscienza occidentale?Pag. 98
Sono domande che esigono risposte anche da parte di chi non ha mai dovuto dubitare di essere stato dalla parte giusta perché una memoria collettiva ricompone le lacerazioni solo quando è in grado di leggere nella propria coscienza quello che scorge nella coscienza altrui.
Oggi possiamo dire che se c'è un lascito davvero importante che il Novecento ha lasciato alle nostre coscienze individuali e collettive è costituito proprio dalla consapevolezza che nella difesa della libertà non possiamo mai abbassare la guardia, non possiamo mai considerare la sua difesa come una battaglia da non combattere in nome di chissà quale convenienza.
Allora se questa va considerata come una, seppure elementare, verità anche per l'Occidente quella fu vera tragedia, politica e culturale.
Fu tragedia politica perché l'Europa seppure non ancora soggetto in grado di esprimere una politica autonoma, ancora alle prese con la ricostruzione post-bellica e con i sogni «imperiali» di qualche suo Stato, non fu mai in grado di far sentire e pesare la propria voce e la propria influenza, anche materiale, nel sostegno agli insorti.
Sono stati ripubblicati in questi giorni di memoria e di rievocazione, gli appelli che la radio libera ungherese non ha mai cessato di lanciare ai fratelli europei, nei giorni della speranza e nei giorni della repressione.
Quelle voci condannano ancora anche quell'Occidente che non volle reagire, che in nome della propria sicurezza lasciò che quella tragedia si compisse. Complici se non materiali quantomeno morali di quella tragedia ce ne furono anche nel campo della libertà e oggi non potremmo rendere omaggio ai martiri se non partissimo da questa consapevolezza.
Quell'Occidente lasciò soli quei popoli, allora e quando su di essi calò la normalizzazione comunista, lasciando alla sola Chiesa il compito ed il ruolo di testimonianza di libertà. È giusto ricordare le migliaia di morti nelle strade ma è anche doveroso non spezzare il filo della memoria omettendo di ricordare i caduti silenziosi degli anni che seguirono, quelli che pagarono senza clamore per continuare a sperare o anche solo per non smettere di credere.
Fu tragedia culturale perché è da allora che è nata, oltre che la cattiva coscienza, anche quella odiosa forma di debolezza culturale, quel complesso d'inferiorità dell'Occidente che rende più difficile misurarsi con i nemici della libertà se dubbiosi, quando non addirittura privati della consapevolezza della propria identità. Oggi misuriamo quanto sia difficile il confronto con chi ha costruito in modo forte, orgoglioso, e non necessariamente in forma polemica, la propria identità culturale e religiosa - come il mondo islamico - perché siamo afflitti ancora da quel male morale che è la scarsa consapevolezza di sé, delle proprie ragioni e dei propri fondamenti.
Questa idea che solo un'identità debole dal punto di vista culturale, solo la scarsa consapevolezza dei propri fondamenti possa permettere di fronteggiare il tuo nemico irriducibile data da allora, è l'idea che l'identità debole di un'Europa che sembrava quasi dover scontare il peccato originale di essere stata culla dei totalitarismi, poteva solo consentire alle sue classi dirigenti, comprese quelle dei paesi che pure erano stati culla della libertà, di fare da cuscinetto tra i due blocchi. Un'idea debole di sé portava l'Europa non solo a teorizzare, ma addirittura ad organizzare la propria subalternità nel suo ridursi a mera camera di compensazione tra i due blocchi.
Oggi sappiamo che solo la consapevolezza di quella eredità consente di riconoscere i nemici della libertà e permette di fronteggiarli, e può consentirci di essere speranza per quei tanti, troppi popoli, ancora sotto il giogo delle dittature, di qualunque segno e colore esse siano. Se la storia del Novecento si è tragicamente consumata anche nelle storie dei complici dei nemici della libertà e nelle storie di quella zona d'ombra di chi non volle scegliere, oggi possiamo scegliere. Di stare sempre e comunque dalla parte dei popoli e della libertà.
DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE DEL DEPUTATO PAOLA BALDUCCI SUL DISEGNO DI LEGGE N. 1780
PAOLA BALDUCCI. Nel ribadire il voto favorevole del gruppo dei Verdi, vorrei richiamare, sia pure in sintesi, le ragioni della nostra posizione, peraltro già illustrate nel dettaglio nel corso della discussione sulle linee generali.
L'ordinamento giudiziario, come è noto, risale al 1941, ossia ad un periodo precedente all'entrata in vigore della Costituzione repubblicana. La necessità di una riforma è stata sollecitata da tempo non solo dagli operatori della giustizia ma anche dalla dottrina costituzionalista e non.
Va tuttavia considerato che le riforme finalizzate ad incidere profondamente sul sistema della giustizia e, conseguentemente, sul diritto del cittadino ad avere un sistema giudiziario garantito, efficiente e imparziale, esigono - ripeto: esigono - un clima sereno, non caratterizzato da contrasti e contrapposizioni.
In questo quadro, la scelta di sospendere l'efficacia di alcuni decreti attuativi è una scelta indispensabile al fine di porre rimedio ai danni nefasti di una riforma che, nel passaggio tra le due Camere nella precedente legislatura, si era trasformata in un ibrido.
Basta consultare gli atti dei lavori parlamentari per constatare come anche all'interno dell'attuale opposizione vi siano state prese di posizione di segno diverso (mi riferisco ad esempio al maxiemendamento Bobbio). Eppure quell'opposizione oggi ci viene a dare insegnamenti di garantismo o ci accusa di appiattimento sulla magistratura! Non accettiamo queste accuse, e rivendichiamo la nostra impostazione garantista e la nostra posizione autonoma da questo o quel potere. Noi siamo per una giustizia che sia vicina ai cittadini, non che li allontani. Per i più l'ordinamento giudiziario rappresenta un tema estraneo, lontano, inaccessibile. Diventa pertanto ancor più intollerabile, proprio in ragione della peculiarità dell'argomento, che l'opposizione lo snaturi e sventoli altre bandiere.
La verità è una sola: la riforma dell'ordinamento giudiziario così come voluta dal centrodestra non ci piace. Aderiamo quindi alla proposta del ministro Mastella perché essa consente in extremis di rivederne gli aspetti più delicati e centrali (mi riferisco all'accesso, alla progressione in carriera ed alla separazione delle funzioni), in modo finalmente e realmente condiviso dagli operatori della giustizia tutti, in primis avvocati e magistrati.
La validità di una riforma sta nella condivisione a monte del progetto. Una riforma non condivisa come quella proposta dal ministro Castelli e che ha avuto molti padri, è inevitabilmente destinata a fallire perché non ha superato la «prova di resistenza».
Concludo, esprimendo fiducia sul fatto che i tempi di cui disporremo saranno proficui, per un costruttivo dialogo anche con l'opposizione, se quest'ultima vorrà farlo. Apriamo alla stagione delle riforme, consapevoli che oltre l'ordinamento giudiziario, molti codici, come quello penale, attendono da troppo tempo di essere adeguati alle esigenze dei cittadini del terzo millennio.