Le Autorità portuali

Le Autorità portuali, istituite dalla legge n. 84 del 1994[1] sono chiamate, ai sensi dell'articolo 6 della legge medesima, a svolgere attività di indirizzo, programmazione, coordinamento e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali e industriali esercitate nei porti, con poteri di regolamentazione e ordinanza anche in riferimento alla sicurezza; spettano alle autorità inoltre la manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni, l'affidamento e il controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti di servizi di interesse generale.

Nella XIV legislatura il dibattito relativo al settore portuale si è concentrato sulla problematica relativa alla nomina dei presidenti e degli organi delle Autorità portuali e su quella concernente l’autonomia finanziaria delle stesse e gli investimenti nel settore portuale (v. capitolo Il settore portuale)[2].

La nomina dei presidenti delle Autorità portuali

La disciplina del procedimento di nomina dei presidenti delle Autorità portuali[3] è dettata dall’articolo 8 della legge 84/94, modificato dall'articolo 6 del decreto-legge n. 136/2004.

Il comma 1 dell’articolo 8 prevede che il presidente dell’Autorità portuale debba essere nominato, previa intesa con la regione interessata, con decreto ministeriale, nell’ambito di una terna di esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell’economia dei trasporti e portuale, designati rispettivamente dalla provincia, dai comuni e dalle camere di commercio competenti sul territorio. La terna è comunicata al Ministro dei trasporti tre mesi prima della scadenza del mandato. Il Ministro, con atto motivato, può chiedere di comunicare entro trenta giorni dalla richiesta una seconda terna di candidati nell’ambito della quale effettuare la nomina. Qualora non pervenga nei termini alcuna designazione, il Ministro nomina il presidente, previa intesa con la regione interessata, comunque tra personalità che risultano esperte e di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale.

 

Prima dell’emanazione del DL 136/2004[4] che ha introdotto il comma 1-bis (vedi infra), la regione Friuli-Venezia Giulia ha approvato una legge (legge regionale 24 maggio 2004, n. 17, recante Riordino normativo dell'anno 2004 per il settore degli affari istituzionali, entrata in vigore in data 26 maggio 2004) inserendo in essa una disposizione che ha ridefinito la procedura di nomina del presidente dell’Autorità portuale di Trieste, attribuendo sostanzialmente al presidente della regione, che tra l’altro promuove l’intesa con il Ministro, il potere di nomina del Presidente dell'Autorità portuale (sia pure a seguito di una procedura di concertazione più ampia, che coinvolge anche gli enti locali)[5].

Il comma 1-bis dell’articolo 8 della legge n. 84/94 – introdotto dall’articolo 6 del DL 136/2004 - prevede espressamente una procedura volta a superare il mancato raggiungimento dell’intesa con la regione interessata attraverso una disposizione volta ad evitare il ricorso alla nomina di commissari straordinari nel caso in cui l’intesa non venga raggiunta. La disposizione è stata oggetto di approfondito esame da parte delle Commissioni parlamentari, che hanno proposto modifiche al testo originario dell’articolo 6 del decreto-legge n. 136, in particolare affidando un ruolo rilevante al presidente della Giunta regionale.

Secondo il testo originario del decreto legge, una volta esperite le procedure già stabilite dall’articolo 8, comma 1, della legge n. 84 del 94 “qualora entro trenta giorni non si raggiunga l'intesa con la regione interessata, il ministro può chiedere al Presidente del Consiglio dei ministri di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri, che provvede con deliberazione motivata”.

La formulazione infine approvata del comma 1-bis dell'articolo 8 prevede che esperite “le procedure di cui al comma 1, qualora entro trenta giorni non si raggiunga l'intesa con la regione interessata, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti indica il prescelto nell'àmbito di una terna formulata a tale fine dal presidente della giunta regionale, tenendo conto anche delle indicazioni degli enti locali e delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura interessati. Ove il presidente della giunta regionale non provveda alla indicazione della terna entro trenta giorni dalla richiesta allo scopo indirizzatagli dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, questi chiede al Presidente del Consiglio dei Ministri di sottoporre la questione al Consiglio dei Ministri, che provvede con deliberazione motivata”[6].

Il testo originario del decreto legge 136/2004 sopra riportato ha trovato concreta applicazione unicamente per la nomina del presidente dell'Autorità portuale di Trieste, avvenuta nel corso dei lavori parlamentari di conversione dello stesso decreto legge.

Al riguardo, la regione Friuli Venezia Giulia ha presentato alla Corte costituzionale sia un ricorso in via principale avverso l'art. 6 del decreto-legge n. 136 del 2004 e la legge di conversione n. 186 del 2004 sia un ricorso per conflitto di attribuzioni avverso il decreto 15 luglio 2004 di nomina del Presidente dell'Autorità portuale di Trieste, adottato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti con deliberazione 3 giugno 2004 del Consiglio dei ministri.

Sul ricorso in via principale[7] – riunito all’analogo ricorso presentato dal Consiglio dei ministri avverso la citata legge regionale del Friuli Venezia Giulia n. 17/2004 (vedi supra) – la Corte costituzionale si è pronunciata con sentenza n. 378 del 28 settembre - 7ottobre 2005. In tale pronuncia la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della sopra citata legge regionale del Friuli Venezia Giulia nonché dell’articolo 6 del decreto-legge n. 136 del 2004 nel testo precedente alle modifiche intervenute in sede di conversione, nonché dell’articolo 1, comma 2, della relativa legge di conversione (n. 186 del 2004) che ha fatto salvi gli atti compiuti ai sensi dell’articolo 6 del decreto-legge (tra i quali la nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste, disposta – come evidenziato - in pendenza di conversione del decreto-legge).

Nella motivazione della sentenza, la Corte Costituzionale evidenzia, in particolare, come nella fattispecie contemplata dall’articolo 6 del decreto-legge “il meccanismo escogitato per superare la situazione di paralisi determinata dal mancato raggiungimento dell’intesa è tale da svilire il potere di codeterminazione riconosciuto alla Regione, dal momento che la mera previsione della possibilità per il Ministro di far prevalere il suo punto di vista, ottenendone l’avallo dal Consiglio dei Ministri, è tale da rendere quanto mai debole, fin dall’inizio del procedimento, la posizione della Regione che non condivide l’opinione del Ministro e da incidere sull’effettività del potere di codeterminazione”.

Occorre, comunque, precisare che la Corte  nella stessa sentenza n. 378 del 2005 ha inoltre dichiarato “non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, come modificato dalla legge n. 186 del 2004, sollevata in riferimento agli articoli 117, comma terzo, e 118 della Costituzione dalla regione Friuli Venezia Giulia con proprio ricorso”. Sul punto, la Consulta – richiamando le argomentazioni addotte per dichiarare l’illegittimità costituzionale della sopra citata legge regionale del Friuli Venezia Giulia -  ha in primo luogo precisato che “l'esigenza di leale cooperazione, insita nell'intesa, non esclude a priori la possibilità di meccanismi idonei a superare l'ostacolo che, alla conclusione del procedimento, oppone il mancato raggiungimento di un accordo sul contenuto del provvedimento da adottare; […..] Tali meccanismi, quale che ne sia la concreta configurazione, debbono in ogni caso essere rispettosi delle esigenze insite nella scelta, operata dal legislatore costituzionale, con il disciplinare la competenza legislativa in quella data materia: e pertanto deve trattarsi di meccanismi che non stravolgano il criterio per cui alla legge statale compete fissare i principî fondamentali della materia; che non declassino l'attività di codeterminazione connessa all'intesa in una mera attività consultiva; che prevedano l'allocazione delle funzioni amministrative nel rispetto dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all'art. 118 Cost”. Sulla base di tali premesse la Corte ha specificato che “la scelta, operata dal legislatore statale nel 1994, di coinvolgere la Regione nel procedimento di nomina del Presidente costituisce riconoscimento del ruolo del porto nell'economia regionale e, prima ancora, locale (…..)” e che “ la scelta del legislatore costituente del 2001 - di inserire la materia "porti e aeroporti civili" nel terzo comma dell'art. 117 Cost. - non può essere intesa quale "declassamento" degli interessi dell'intera comunità nazionale connessi all'attività dei più importanti porti: interessi, anche questi, la cui cura è, con la vastità dei compiti assegnatigli ed il ruolo riconosciutogli, affidata in primo luogo al Presidente, e pertanto la sua nomina, come era attribuita al Ministro dalla legge generale del 1994, così resta a lui attribuita dalla medesima legge-quadro che ancora oggi governa la materia”. La Corte conclude precisando che “l'originaria previsione in tema di potere di nomina si coordina con l'insieme della legge contribuendo, quale sua organica articolazione, all'equilibrio che essa realizza tra istanze centrali, regionali e locali; sicché tale previsione continua a costituire principio fondamentale della materia, alla pari delle altre sulla composizione degli organi e sui loro compiti e poteri”.

Sulla procedura di nomina dei presidenti delle autorità portuali è intervenuto, da ultimo, l’articolo 24 del DL 4/2006[8] - successivamente soppresso dalla legge di conversione del decreto medesimo – che ha introdotto all’articolo 8 della legge 84/94 un comma prima del comma 1-bis, a norma del quale il Governo promuove, in sede di Conferenza unificata, un’intesa con le regioni, le province autonome e le autonomie locali, finalizzata a definire le procedure di individuazione dei candidati da inserire nella terna degli esperti prevista al comma 1, nonché ad individuare un iter procedimentale per il raggiungimento dell’intesa tra il Ministro e la regione interessata necessaria per la nomina del Presidente, in un ottica di leale collaborazione tra organi dello Stato.

Autonomia finanziaria e investimenti

Nel dibattito parlamentare ha avuto particolare attenzione anche il tema del riconoscimento in capo alle autorità portuali di una piena ed effettiva autonomia finanziaria.

Attualmente, le autorità portuali hanno entrate proprie costituite dalle tasse portuali (corrispettivo dei servizi generali prestati all'utenza), nonché dai canoni dovuti dalle imprese per le autorizzazioni e le concessioni demaniali loro rilasciate (le autorità hanno piena discrezionalità nel graduare e stabilire l'entità di questi canoni).

A tale disponibilità le Autorità chiedono di poter aggiungere una piena, diretta ed effettiva partecipazione alle entrate tributarie di ogni natura (diritti doganali, IVA, eccetera) che maturano in ciascun porto, considerando tale forma di autonomia finanziaria come il solo strumento adeguato per completare il processo di riforma avviato con la legge n. 84 del 1994.[9].

Ampia attenzione è stata dedicata al tema dell'autonomia finanziaria delle Autorità portuali anche nel corso dell’indagine conoscitiva sull’assetto del settore portuale svolta dalla IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) (vedi capitolo Il settore portuale) da cui è emerso come la piena responsabilizzazione per la gestione delle risorse sia da ritenere elemento determinante per una più rapida realizzazione degli interventi infrastrutturali: l'autonomia finanziaria consentirebbe a ciascuna autorità portuale, anche nel medio-lungo periodo, di contare sulla certezza e sulla continuità dei flussi finanziari e, quindi, di calibrare la programmazione degli investimenti infrastrutturali.

Quanto a quest’ultimi, si ricorda che l'articolo 9 della legge n. 413 del 1998, al fine di una concreta riqualificazione del sistema portuale italiano, aveva previsto la predisposizione da parte del Ministro dei trasporti e della navigazione (ora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) di un programma straordinario di investimenti[10], attuato dalle autorità portuali che hanno provveduto alla progettazione ed all'affidamento dei relativi lavori definiti prioritari con decreto del Ministro dei trasporti sulla base delle indicazioni fornite da un'apposita commissione interministeriale formata da rappresentati dei ministeri dei Trasporti e della navigazione, dei Lavori pubblici, del Tesoro, nonché da rappresentanti delle regioni.

Il programma è stato successivamente rifinanziato dalle leggi finanziarie per il 2000 e per il 2001[11] e, da ultimo, dall’articolo 36 della legge 166/2002 (collegato infrastrutture)[12].

Un impatto di rilievo sulle investimenti delle Autorità portuali hanno avuto da ultimo le previsioni dell'articolo 1, comma 57 ,della legge finanziaria per il 2005[13], che hanno introdotto specifici limiti di spesa per tutti gli enti pubblici non territoriali, ivi incluse le Autorità portuali. La disposizione ha previsto infatti che gli enti pubblici non territoriali possano incrementare per l'anno 2005 le proprie spese, al netto delle spese di personale, in misura non superiore all'ammontare delle spese dell'anno 2003 incrementato del 4,5 per cento; per gli anni 2006 e 2007 è stata prevista la percentuale di incremento del 2 per cento alle corrispondenti spese determinate per l'anno precedente.

A parziale revisione della disposizione introdotta dalla legge finanziaria per il 2005, sono intervenute due disposizioni. L'articolo 14-ter del DL 115/2005[14] ha disposto - per l’anno 2005  - l'esclusione dalla citata limitazione dell’incremento di spesa, delle spese di investimento effettuate dalle Autorità portuali istituite a decorrere dall'anno 2001 e i cui organi rappresentativi siano stati nominati a decorrere dall'anno 2003. Successivamente, l’articolo 34-septies del DL 4/2006[15] ha esteso agli anni 2006 e 2007 – nei limiti di 30 milioni di euro per ciascun anno  - la deroga  alla limitazione dell’incremento di spesa per le Autorità portuali istituite ai sensi della legge 84/94.



[1]     Recante Riordino della legislazione in materia portuale. La legge ha previsto l'istituzione delle Autorità portuali negli scali già sede di ente o consorzio portuale (Bari, Brindisi, Civitavecchia, Genova, Napoli, Palermo, Savona, Trieste e Venezia), nonché nei porti di Ancona, Cagliari, Catania, La Spezia, Livorno, Marina di Carrara, Messina, Ravenna e Taranto. La legge ha inoltre previsto la possibilità di istituire nuove Autorità in porti con un significativo traffico di merci, nonché nei porti di Olbia, Piombino e Salerno (a decorrere dal 1° gennaio 1995).

Successivamente sono state istituite le autorità portuali di Piombino (DPR 20 marzo 1996), di Gioia Tauro (D.P.R. 18 luglio 1998), di Salerno (DPR 23 giugno 2000), di Olbia e Golfo Aranci (D.P.R. 29 dicembre 2000), di Augusta (D.P.R. 12 aprile 2001), di Trapani (D.P.R. 2 aprile 2003), di Manfredonia (articolo 4, comma 65 della legge 350/2003).

Circa l’impostazione generale della legge n. 84 del 1994, v. capitolo Il settore portuale

[2]     La IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera è intervenuta – in sede di parere al Governo - sulla nomina dei presidenti delle Autorità portuali di Bari, Civitavecchia, Gioia Tauro, Brindisi, Cagliari, Messina, Augusta, Marina di Carrara, Ravenna, Genova, Catania, Venezia, Trieste, Savona, Palermo, Ancona, Napoli, La Spezia, Salerno, Taranto, Olbia e Golfo Aranci, Piombino, Livorno, Trapani. Tra tali Autorità, risultano commissariate quelle di Bari, Civitavecchia, Livorno e Taranto. Sull’autorità portuale di Trieste, vedi infra.

[3]     Il presidente dell'Autorità portuale – ai sensi dei commi 2, 2-bis e 3 dell'articolo 8 – è titolare di funzioni quali la predisposizione del piano operativo triennale, del piano regolatore portuale, il coordinamento delle attività svolte nel porto dalle pubbliche amministrazioni, nonché il coordinamento e il controllo delle attività soggette ad autorizzazione e concessione, e dei servizi portuali; l’amministrazione delle aree e dei beni del demanio marittimo compresi nell'ambito della circoscrizione territoriale, sulla base delle disposizioni di legge in materia.

[4]     Decreto legge 28 maggio 2004, n. 136 recante Disposizioni urgenti per garantire la funzionalità di taluni settori della pubblica amministrazione, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 27 luglio 2004, n. 186.

[5]     Contro la legge regionale del Friuli-Venezia Giulia è stato deliberato un ricorso per legittimità costituzionale dal Consiglio dei ministri in data 3 giugno 2004, con il quale si lamentava che la disposizione di cui all’art. 9, co. 2 e 3 della legge eccedesse la competenza legislativa regionale, poiché la materia dei porti non è attribuita dallo Statuto alla potestà legislativa regionale e l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione - applicabile alla Regione Friuli-Venezia Giulia in base all’articolo 10 della legge costituzionale n. 3/2001 (v. capitolo Rapporti Stato-autonomie territoriali)  - attribuisce alla regione la competenza legislativa concorrente; pertanto, in tale contesto l’art. 8 della legge 84/1994 doveva considerarsi norma di principio, non derogabile dalla regione. Su tale ricorso, la Corte costituzionale ha deciso con sentenza n. 378 del 2005 (vedi infra).

[6]     Nella fase successiva all’approvazione del decreto-legge, la riflessione si è concentrata per lo più sulla corretta applicazione della nuova disciplina, e su eventuali elementi di ambiguità che ancora possono presentare le relative norme.

A tale riguardo, si ricorda che il Consiglio di Stato – con parere n. 89/2005 - ha segnalato che, sia nel caso in cui la regione sia rimasta silente, sia nel caso in cui la stessa regione abbia provveduto ad esternare la propria terna, il Ministro, nell'esercizio del suo potere di nomina, potrà discrezionalmente avvalersi anche («tenendo conto») delle proposte degli enti locali; nel caso di terna regionale le indicazioni degli enti locali potranno costituire parametro, seppure non vincolante, di scelta ministeriale. Il Consiglio di Stato ha altresì precisato, in primo luogo, che dall’evidente finalità acceleratoria perseguita dalla novella del 2004 sembra potersi desumere la preclusione della facoltà di chiedere una seconda terna di candidati, anche laddove il Ministro non ritenga alcuno dei tre designati dalla regione idoneo a ricoprire l'incarico, in secondo luogo, che il potere di investire della “questione” il Consiglio dei ministri presuppone solo l'ipotesi omissiva, non anche quella di dissenso tra Ministro e regione.

Peraltro, con riferimento all’ipotesi in cui alcuni dei soggetti della terna indicati dal Presidente della Giunta regionale risultino soggetti a situazioni di incompatibilità “non rimovibili”, il Consiglio di Stato nel parere n. 302 espresso nell’adunanza della II sezione del 16 marzo 2005 ha precisato che la questione della possibilità di integrazione della terna mediante la sostituzione dei nominativi ritenuti incompatibili dal Ministero con altri candidati deve essere risolta alla stregua del superiore principio di leale collaborazione. Il Consiglio di Stato ha così chiarito che “In presenza di tale adempimento (comunicazione della terna da parte del Presidente della Giunta regionale) ben potrebbe il Ministro, ispirandosi al principio di leale collaborazione (nonché a quello della conservazione degli atti solo parzialmente invalidi), scegliere all’interno degli altri due nomi della terna che non presentino preclusioni, ovvero richiedere egli stesso modificazioni della terna per motivate ragioni di evidente e non rimovibile incompatibilità” e che “In caso di assenza di richieste da parte del Ministro, ove l’irregolarità dovesse essere riscontrata dalla Regione proponente, l’attuazione del principio di leale collaborazione dovrebbe poter giustificare, dietro ampia e in presenza di circostanze oggettive, anche un intervento correttivo diretto da parte della Regione”.

[7]      Sul ricorso per conflitto di attribuzione avverso il decreto di nomina del Presidente dell’Autorità portuale di Trieste, la Corte costituzionale si è pronunciata con sentenza n. 386 del 2005, dichiarandone l’inammissibilità. La Corte muove dal presupposto oggettivo che le modalità di esercizio del potere di nomina, ritenute lesive delle attribuzioni regionali, sono prescritte dalla norma censurata di illegittimità costituzionale, in via principale, e pertanto, a tale norma – e non già, autonomamente, al provvedimento di nomina – è imputabile, come effetto derivato dalla sua illegittimità costituzionale, la lamentata menomazione delle attribuzioni regionali: donde l'inammissibilità del conflitto in quanto sollevato nei confronti di provvedimento meramente attuativo di una norma assoggettabile, e di fatto assoggettata, a giudizio di legittimità costituzionale in via principale.

[8]     Decreto legge 10 gennaio 2006 n. 4 recante Misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge  9 marzo 2006, n. 80 (

[9]     Si ricorda che il tema era stato affrontato del Parlamento già con l'articolo 100 della legge 21 novembre 2000, n. 342 – peraltro mai attuato – con cui si autorizzava il Governo ad emanare un regolamento volto a riformare il sistema delle tasse e dei diritti marittimi, sulla base di criteri direttivi tra cui la  definizione della quota da attribuire al bilancio delle autorità portuali anche al fine di fare fronte ai compiti di manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni nell'àmbito portuale, ivi compresa quella per il mantenimento dei fondali  e l’individuazione di un sistema di autonomia finanziaria delle autorità portuali, fermi restando i controlli contabili e amministrativi previsti dall'ordinamento vigente per il finanziamento delle opere infrastrutturali contenute nei piani regolatori e nei piani operativi triennali approvati dai Ministri vigilanti.

[10]    Il citato articolo 9 della legge n. 413 del 1998 ha previsto per le predette finalità uno stanziamento di 1.500 miliardi (cento miliardi in limiti di impegno quindicennali)

[11]    Leggi 23 dicembre 1999, n. 488 (legge finanziaria per il 2000) e 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001). Le due leggi hanno rifinanziato l’ articolo 9 della legge n. 413 del 1998, rispettivamente per 1.290 miliardi di lire (86 miliardi in limiti di impegno quindicennali di cui quota parte da riservare alle autostrade del mare) e per 1.125 miliardi di lire (75 miliardi sempre in limiti di impegno quindicennali). La ripartizione dei fondi è avvenuta (DM 2 maggio 2001) sotto forma di finanziamento da parte del Ministero dei piani triennali delle opere da realizzare a cura delle autorità portuali, previsti dalla legge quadro sui lavori pubblici (v. capitolo La riforma della “legge Merloni”), e non già con la indicazione delle singole opere.

[12]    L’ articolo 36, comma 2. ha autorizzato ulteriori limiti di impegno quindicennali di 34.000.000 di euro per l'anno 2003 e di 64.000.000 di euro per l'anno 2004 finalizzate prevalentemente al proseguimento del programma di ammodernamento e riqualificazione delle infrastrutture portuali di cui all'articolo 9, comma 1, della legge 413/1998.

[13]    Legge 30 dicembre 2004, n. 311

[14]    D.L. 30 giugno 2005, n. 115 recante Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione

[15]    D.L. 10 gennaio 2006, n. 4 recante Misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione , convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80.