Rapporti Stato-autonomie territoriali

Il nuovo Titolo V e la sua attuazione

L’8 novembre 2001 entrava in vigore la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante Modificazioni del titolo V della parte seconda della Costituzione, sulla quale il 7 ottobre si era svolto con esito favorevole il referendum previsto dall’art. 138 Cost..

Tra gli aspetti più innovativi della complessa riforma costituzionale si possono ricordare, per limitarsi a quelli riguardanti più da vicino il riparto delle competenze tra Stato e autonomie territoriali:

§         l’attribuzione allo Stato, alle Regioni e agli enti locali di una “pari dignità” quali enti costitutivi della Repubblica (art. 114 Cost.);

§         l'inversione del criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, con la doppia elencazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato e di quelle in cui la potestà legislativa è esercitata in modo concorrente dallo Stato (che detta i soli “princìpi fondamentali”) e dalle Regioni, e con l’attribuzione a queste di una competenza legislativa piena (“residuale”) su tutte le altre materie (art. 117, co. 2°-4°, Cost.);

§         la riduzione della potestà regolamentare dello Stato alle sole materie di sua legislazione esclusiva, ampliandosi quella delle Regioni e degli enti locali (art. 117, co. 6°, Cost.);

§         l’attribuzione delle competenze amministrative in via generale ai comuni, salvo conferimento ad altri livelli di governo sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, superandosi con ciò il principio del parallelismo tra competenze legislative e amministrative (art. 118 Cost.);

§         l’attribuzione a Regioni ed enti locali dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119 Cost);

§         la soppressione del visto sulle leggi regionali e dei controlli preventivi sugli atti delle Regioni e degli enti locali prevedendosi tuttavia – a date condizioni – un generale potere sostitutivo del Governo, nonché la possibilità per lo Stato e le Regioni di ricorrere alla Corte costituzionale avverso leggi, rispettivamente, regionali e statali (artt. 120, co. 2°, e 127 Cost.).

L’entrata in vigore del nuovo Titolo V ha posto, sin dall’inizio della legislatura, la pressante esigenza – accentuata dall’assenza di una disciplina transitoria – di introdurre norme e prassi che adeguassero l’ordinamento della Repubblica al nuovo quadro costituzionale e ne rendessero in concreto applicabili le disposizioni, anche sciogliendo alcuni nodi interpretativi di immediata evidenza.

Per quanto invece riguarda le iniziative di rango costituzionale volte a modificare le linee della riforma o ad inserirla in un più ampio disegno di revisione in senso “federalista” – iniziative che hanno trovato esito nelle rilevanti innovazioni introdotte dalla legge di riforma della Parte II della Costituzione – si rinvia al capitolo Riforma dell’ordinamento della Repubblica.

Sul piano della legislazione ordinaria, all’esigenza di “attuare e chiarire” si è inteso far fronte, principalmente, attraverso la L. 131/2003[1] (c.d. legge “La Loggia”: v. scheda Titolo V e norme di attuazione). La legge reca disposizioni concernenti:

§      l’esercizio della potestà legislativa regionale e della potestà normativa degli enti locali;

§      la partecipazione delle Regioni in materia comunitaria[2] e l’attività internazionale delle Regioni;

§      le procedure per il conferimento delle competenze amministrative ai diversi livelli di governo e il loro esercizio;

§      l’esercizio del potere sostitutivo del Governo ex art. 120, co. 2°, Cost.;

§      l’adeguamento delle norme di procedura dei giudizi di legittimità costituzionale alle previsioni di cui ai nuovi artt. 123, co. 2°, e 127 Cost.;

§      l’istituzione, in luogo del Commissario di Governo, di un Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie;

§      l’applicazione della riforma alle Regioni a statuto speciale.

La legge delega, tra l’altro, il Governo ad operare (entro l’11 giugno 2006) una ricognizione dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni (art. 1, co. 4). La delega legislativa (sulla quale ha inciso la Corte costituzionale che, nella sent. 280/2004, ne ha sottolineato la natura meramente ricognitiva), è stata sinora esercitata con riguardo alle materie:

§         “professioni” (D.Lgs. 30/2006);

§         “armonizzazione dei bilanci pubblici” (D.Lgs. 170/2006);

§         “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale” (D.Lgs. 171/2006).

Risulta in corso di adozione il decreto legislativo concernente la materia “governo del territorio”.

Un’altra delega legislativa, avente ad oggetto l’individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane ai sensi dell’art. 117, co. 2°, lett. p), Cost., nonché l’adeguamento al nuovo Titolo V delle disposizioni vigenti in materia di enti locali, non ha trovato attuazione entro il termine per l’esercizio, fissato da ultimo al 31 dicembre 2005.

Non ha sinora trovato piena attuazione legislativa nemmeno l’art. 119 Cost., concernente l’autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni e delle autonomie locali (v. capitoli Art. 119 Cost.: il federalismo fiscale e Verso il federalismo fiscale).

Sul piano della procedura parlamentare, le due Camere hanno da subito affrontato l’esigenza di dare immediata attuazione al nuovo disposto costituzionale, che esige una verifica in itinere del fondamento costituzionale di tutti i progetti di legge al proprio esame. La Giunta per il regolamento della Camera ha affidato tale compito alla Commissione affari costituzionali, nell’esercizio della sua funzione consultiva che ha esteso, in via sperimentale, anche agli emendamenti presentati in Assemblea; analogo orientamento ha assunto la Giunta per il regolamento del Senato.

Non ha invece trovato attuazione – malgrado l’attività istruttoria svolta in tale direzione su iniziativa delle Giunte per il Regolamento delle due Camere – l’art. 11 della legge costituzionale di riforma, che avrebbe consentito l’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle autonomie regionali e locali e l’attribuzione a tale Commissione del potere di incidere significativamente, con i propri pareri, sull’iter di approvazione delle leggi statali riguardanti le materie di competenza legislativa concorrente e l’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali.

Gli orientamenti della Corte costituzionale

Un ruolo determinante, nella prima stagione dell’attività legislativa di Stato e Regioni susseguente all’entrata in vigore del nuovo Titolo V, ha esercitato la giurisprudenza della Corte costituzionale (v. scheda Titolo V e giurisprudenza costituzionale). Va infatti ricordato come le questioni interpretative aperte dalla nuova disciplina costituzionale abbiano determinato un considerevole contenzioso tra Stato e Regioni, soprattutto con riferimento al numero dei ricorsi in via d’azione dell’uno o delle altre contro leggi, rispettivamente, regionali o statali. In tale contesto le pronunce della Corte, oltre a sciogliere alcuni nodi cruciali – definendo i termini e i limiti della legittimità costituzionale di provvedimenti importanti per l’attuazione dell’indirizzo politico-legislativo del Governo, quali ad es. la “legge-obiettivo” o le disposizioni sul condono edilizio – hanno introdotto princìpi e criteri interpretativi, a volte innovativi, utili a consentire una lettura coerente e sistematica della riforma costituzionale; princìpi e criteri che l’attività consultiva delle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato ha a volte anticipato, a volte fatto propri successivamente.

Ci si riferisce, a titolo d’esempio:

§         all’esistenza, nell’attuale art. 117 Cost., di profili di “trasversalità” propri di alcune materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, che la Corte ha a volte chiamato “materie-funzioni” o “non materie” (come la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”; la “tutela della concorrenza”; la “tutela dell’ambiente”): si tratta di profili che possono rilevare – anche solo sotto l’aspetto delle finalità degli interventi – in ambiti materiali affidati alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle Regioni; con riguardo ad essi, dunque, pur in ambiti devoluti alla competenza regionale si legittimerebbe l’intervento legislativo dello Stato;

§         all’esigenza di non considerare meccanicamente ascrivibile alla potestà residuale delle Regioni ogni ambito di intervento legislativo non testualmente compreso negli elenchi di cui all’art. 117 Cost.;

§         all’applicazione del principio di sussidiarietà al riparto delle competenze legislative, oltre che amministrative, tra Stato e Regioni: in base a tale orientamento, chiaramente definito a partire dalla nota sent. 303/2003, la legge statale – a determinate condizioni – può attribuire allo Stato funzioni amministrative anche in materie di competenza regionale e, in ossequio al principio di legalità, è in tal caso abilitata a organizzarle e regolarle;

§         all’opportunità comunque di introdurre strumenti e procedure di cooperazione e concertazione, atti a valorizzare la leale collaborazione tra Stato e Regioni ed il concorso di queste ultime alle decisioni centrali, anche per evitare o superare i problemi che potrebbero nascere da una troppo astrattamente rigida ripartizione delle competenze legislative; tale opportunità diviene per lo Stato un obbligo nell’ipotesi (illustrata al punto precedente) di deroga di riparto di competenze sulla base del principio di sussidiarietà[3], ovvero quando un determinato ambito di intervento legislativo evidenzi una inscindibile “concorrenza di competenze” (esclusive, concorrenti, residuali) di Stato e Regioni (cfr. sent. 50/2005) tale da non consentire la soluzione delle questioni di competenza sulla base di criteri rigidi[4].

Interventi rilevanti della giurisprudenza costituzionale hanno poi riguardato anche l’applicazione del principio di autonomia finanziaria delle Regioni di cui all’art. 119 Cost., sotto il duplice profilo dell’autonomia di entrata e di spesa.

Sotto il primo profilo, e in attesa dell’attuazione dell’art. 119 Cost., al legislatore statale, nel disciplinare i tributi regionali e locali, è fatto comunque divieto di “procedere in senso inverso” sopprimendo, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti dall’ordinamento vigente alle Regioni e agli enti locali (sent. 37/2004). Quanto al secondo profilo, la Corte non ha ritenuto ammissibili gli interventi finanziari a destinazione vincolata per Regioni ed enti locali, se afferenti a materie di competenza regionale, salvo che rientrino tra gli speciali interventi in favore di enti determinati, consentiti dall’art. 119, co. 5°, Cost. (sent. 16/2004); analogamente si è espressa per le misure finanziarie destinate a soggetti privati.

Per altro verso, secondo la Corte (sent. 417/2005) il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, ma solo con “disciplina di principio” e “per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari”; di converso, l’imposizione con legge statale di limiti all’entità di una singola voce di spesa si risolve “in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area […] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali”.

Con riguardo alla potestà legislativa concorrente, la Corte costituzionale sembra limitare la possibilità per lo Stato di adottare nelle materie concorrenti anche la disciplina di dettaglio derogabile (“cedevole”) da parte del legislatore regionale e, confermando la propria giurisprudenza precedente, ribadisce che, in assenza di leggi cornice, la Regione può desumere i princìpi fondamentali dal complesso della legislazione statale vigente in materia[5]. La Corte ha poi precisato che la nozione di “principio fondamentale” non può avere carattere di rigidità e di universalità, poiché le “materie” hanno diversi livelli di definizione che possono mutare nel tempo. Spetta quindi al legislatore operare le scelte che ritiene opportune, regolando ciascuna materia sulla base di criteri normativi essenziali che l’interprete deve valutare nella loro obiettività, senza essere condizionato in modo decisivo da eventuali autoqualificazioni (sent. 50/2005).

Altri interventi

Va ricordato come, nei cinque anni della legislatura, le Regioni a statuto ordinario abbiano proseguito – ma solo una parte di esse ha portato a compimento[6] – il processo di riscrittura dello statuto regionale e di ridefinizione della forma di governo e del sistema elettorale regionale, secondo quanto previsto dalla riforma costituzionale approvata con L.Cost. 1/1999[7].

Il legislatore statale è intervenuto in tale processo con la L. 165/2004[8], nella quale, dando attuazione all’art. 122, co. 1° Cost., nel testo modificato dalla riforma del 1999, individua i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le Regioni sono chiamate a definire con propria legge il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali. La stessa L. 165/2004 fissa in cinque anni la durata degli organi elettivi regionali.

Tra le altre misure legislative concernenti le autonomie locali, assumono particolare rilievo:

§         le tre leggi istitutive delle nuove province di Monza e della Brianza (L. 146/2004), di Fermo (L. 147/2004) e di Barletta-Andria-Trani (L. 148/2004);

§         l’art. 7 del D.L. 80/2004[9], che reca varie modifiche al testo unico sugli enti locali concernenti le ipotesi di esclusione dall’elettorato passivo, la sospensione di diritto dalle cariche elettive e i casi di ineleggibilità ed incompatibilità per le cariche di sindaco, di presidente di provincia e di assessore;

§         la nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali (v. capitolo Disciplina dei servizi pubblici locali);

§         l’esame (non giunto a conclusione) di progetti di legge volti a consentire lo svolgimento di un terzo mandato consecutivo ai sindaci[10], modificando in tal senso l’art. 51 del testo unico sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000), e di progetti di legge che, modificando la legge 25 maggio 1970, n. 352, intendevano ridisciplinare lo svolgimento del referendum previsto dall’art. 132 Cost. per il distacco di comuni e province da una Regione e l’aggregazione ad altra Regione[11].



[1]     Legge 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

[2]     Ulteriori disposizioni in materia sono state introdotte dalla legge 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari (v. scheda La legge n. 11 del 2005).

[3]     In più occasioni la Corte, censurando la disposizione di legge statale che non prevedeva adeguate sedi di concertazione o di cooperazione con le regioni, è giunta a individuare la forma di coinvolgimento (della Conferenza Stato-Regioni o della Regione interessata) più idonea a garantire, nel caso specifico, il rispetto del quadro costituzionale delle competenze, manifestando spesso una preferenza per l’“intesa”, in luogo del semplice “parere” (v. in particolare le sent. 423/2004 e 285/2005).

[4]     In presenza di una “concorrenza di competenze”, la Corte ricorre innanzitutto al criterio della “prevalenza”; qualora tale criterio non risulti applicabile, fa ricorso al “canone della ‘leale collaborazione’, che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze” (sentt. 50 e 219 del 2005).

[5]     Tali princìpi sono stati fatti propri, nella sostanza, dall’art. 1 della citata L. 131/2003.

[6]     Sinora, nove delle quindici Regioni a statuto ordinario si sono dotate di un nuovo statuto ai sensi dell’art. 123 Cost., come modificato dalla L.Cost. 1/1999. Per sei Regioni (Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Molise, Veneto) l’iter statutario è ancora in corso.

[7]     L.Cost. 22 novembre 1999, n. 1, Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni.

[8]     L. 2 luglio 2004, n. 165, Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione.

[9]     D.L. 29 marzo 2004, n. 80, Disposizioni urgenti in materia di enti locali, conv. con mod. in L. 28 maggio 2004, n. 140.

[10]    Il relativo testo unificato (A.S. 132 e abb.), approvato dal Senato, è stato oggetto di esame presso la I Commissione della Camera tra il 6 aprile e il 21 ottobre 2004, congiuntamente ad altri 16 progetti di legge.

[11]    Il testo unificato (A.C. 1852 e abb.), approvato dalla Camera, è stato licenziato per l’Assemblea, con modifiche, dalla 1ª Commissione del Senato il 6 luglio 2005. L’Assemblea non ne ha iniziato l’esame.