Il Fondo per le politiche sociali

Le novità legislative

La legge n. 289 del 2002, art. 46 (legge finanziaria per il 2003) ha introdotto significative modifiche alla disciplina del Fondo per le politiche sociali, anche al fine di adeguare la legislazione alle novità introdotte con la riforma del titolo V della Costituzione ed ai poteri attribuiti alle Regioni nel campo della assistenza sociale.

Innanzitutto è soppresso, almeno tendenzialmente, il “vincolo di destinazione” delle risorse progressivamente confluite nel Fondo nel corso degli anni. La stessa norma, peraltro, fa espressa eccezione per gli stanziamenti destinati a soddisfare diritti soggettivi, la cui gestione è affidata all’INPS (assegni ai nuclei familiari; assegni di maternità; agevolazioni per portatori di handicap etc). Inoltre, la legge destina contestualmente almeno il 10 per cento delle risorse “a sostegno delle politiche della famiglia di nuova costituzione” attraverso, in particolare, misure volte a favorire l’acquisto della prima casa e la natalità.

La ripartizione per le diverse finalità avviene con decreto annuale del Ministro del Lavoro, di concerto con il Ministero dell’economia, d’intesa con la Conferenza unificata Stato regioni ed autonomie locali.

La legge n. 289 del 2002 ha introdotto un’ulteriore novità, concernente la determinazione con DPCM dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, attraverso i quali garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale le prestazioni nel campo sociale, con una procedura analoga al modello definito con i livelli essenziali di assistenza nel comparto sanitario (LEA). Tale disposizione, peraltro, non ha poi trovato attuazione.

 

Negli anni successivi, nell’ambito di alcuni provvedimenti normativi statali, sono stati reintrodotti nuovi vincoli di destinazione per una parte delle risorse del Fondo.

In particolare, la legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003) ha previsto finalizzazioni per una rilevante quota del Fondo, destinate a misure a favore della famiglia e, in particolare, degli anziani e disabili; all’abbattimento barriere architettoniche; all’integrazione scolastica dei soggetti portatori di handicap; ai servizi per la prima infanzia e scuola d’infanzia; al concorso delle spese sostenute per l’educazione presso scuole paritarie; al finanziamento del “reddito di ultima istanza”[1]).

 

E’ opportuno segnalare anche il decreto legge n. 269 del 2003[2], che ha posto a carico del Fondo il finanziamento relativo all’assegnazione alle donne residenti in Italia della somma di 1.000 euro per ogni figlio, successivo al primo, nato o adottato nel periodo tra il 1° dicembre 2003 e il 31 dicembre 2004, prevedendo un contestuale incremento delle risorse del Fondo medesimo.

 

Per un’analisi più approfondita dell’evoluzione del Fondo e delle risorse ad esso afferenti cfr. la scheda Fondo per le politiche sociali – I più recenti provvedimenti.

La giurisprudenza della Corte costituzionale

Con la sentenza n. 423/2004 la Corte Costituzionale affronta in modo organico la problematica del sistema di disciplina e finanziamento del Fondo per le politiche sociali, nella fase attuale di transizione al nuovo modello di federalismo fiscale delineato articolo 119 della Costituzione[3].

La Corte sottolinea che l'art. 119 della Cost. pone, sin da ora (in attesa cioè della sua compiuta attuazione) precisi limiti al legislatore statale nella disciplina delle modalità di finanziamento delle funzioni spettanti al sistema delle autonomie, quali, nel caso di specie, quelle rientranti nel campo dell’assistenza sociale.

La Corte afferma, da un lato, la discrezionalità dello Stato nella determinazione delle risorse complessive del Fondo, ferma restando la copertura degli oneri relativi a diritti soggettivi garantiti da singole leggi, legittimando così anche alcune disposizioni di legge che pongono a carico del Fondo interventi non inerenti le politiche sociali ma rientranti invece nella competenza esclusiva dello Stato. In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità inerente le disposizioni della legge finanziaria per il 2004 volte ad utilizzare una quota delle risorse del fondo per finanziare interventi nel campo della ricerca scientifica, in quanto rientranti nell’ambito di specifiche competenze statali[4].

Al tempo stesso, la Corte evidenzia la piena autonomia delle Regioni nella decisione in merito alla finalizzazione delle risorse del Fondo ad esse destinate, nel caso in cui il legislatore statale non individui le prestazioni erogabili in concreto e, pertanto, non si possano richiamare i “livelli essenziali delle prestazioni” di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione. Conseguentemente, la Corte ha dichiarato l’illegittimità di alcuni dei vincoli, sopra richiamati, stabiliti dalla legge n. 289 del 2002 (la destinazione di almeno il 10% delle risorse “a sostegno delle politiche della famiglia di nuova costituzione”) e dalla legge finanziaria per il 2004 (“politiche a favore della famiglia ed altri interventi di natura assistenziale).

 

Con la recente sentenza n. 118 del 2006, è stata affermata l’illegittimità costituzionale di una disposizione della legge finanziaria per il 2005 (art. 1, comma 153 della legge n. 311 del 2004) con la quale una quota, ancorchè limitata, del Fondo nazionale per le politiche sociali veniva utilizzata per promuovere politiche giovanili finalizzate a favorire la partecipazione dei giovani sul piano culturale e sociale. La Corte, ribadendo la sua giurisprudenza in materia, sottolinea che la disposizione viola l’autonomia delle regioni in materia non rientrante nell’ambito delle competenze esclusive dello Stato, impegnando risorse rientranti nella disponibilità delle regioni medesime.

Temi di riflessione emersi dal dibattito politico

Ferma restando la discrezionalità dello Stato nella determinazione delle risorse complessive del Fondo, affermata dalla Corte costituzionale nel corso degli ultimo periodo della legislatura è stata a lungo dibattuta la problematica della congruità delle risorse assegnate al Fondo.

Regioni ed autonomie locali hanno contestato in più occasioni la notevole riduzione delle risorse ad esse direttamente assegnate nel corso del 2005, in contrasto con il trend di crescita registrato negli anni precedenti. In tale anno sono state infatti oggetto del decreto di riparto 518 milioni di euro a fronte dei 1.000 milioni di euro dell’anno precedente (che però contemplavano anche 150 milioni di euro dell’ex Fondo per gli asili nido, che - in seguito alla sentenza della Corte costituzionale e della successiva legge n. 311 del 2004, analizzate nel capitolo seguente - rientrano ora nell’ambito dei trasferimenti ordinari alle regioni a statuto ordinario).

 

Un tema più volte emerso concerne la confluenza in un unico Fondo di risorse finanziarie destinate a essere gestite da soggetti diversi, in quanto connesse a finalità molto differenti.

Le risorse gestite direttamente dal Ministero del lavoro costituiscono solo una minima parte del Fondo; analogamente sono ridotte le risorse destinate direttamente ai comuni per la promozione dei diritti dell’infanzia. La quota più consistente è assegnata, da un lato, all’INPS per far fronte a veri e propri diritti soggettivi previsti dalla legge; dall’altro, alle Regioni, che decidono autonomamente la destinazione delle risorse finanziarie.

E’ stato pertanto ipotizzato sia dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali che dalla Conferenza delle Regioni il superamento di tale impostazione, operando una divisione tra le risorse destinate all’INPS e quelle gestite da regioni ed enti locali.

 

Indipendentemente dai soggetti chiamati a gestire in concreto le risorse finanziarie, un aspetto di particolare rilevo, ai fini dell’evoluzione del Fondo per le politiche sociali, è rappresentato in ogni caso dalla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale.

Come già ricordato, l’art. 46 della legge n. 289 del 2002 ha previsto che i livelli delle prestazioni nel campo dell’assistenza (cosiddetti LEP o LEAS ovvero LIVEAS) fossero definiti con Decreto del Presidente del consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza unificata Stato e autonomie locali, al fine di un accordo dei diversi livelli istituzionali nella individuazione delle diverse forme di assistenza erogabili e delle risorse finanziarie necessarie a tale finalità.

Tale decreto non è stato ancora emanato. Il dibattito avviato in sede di Conferenza unificata Stato e autonomie locali ha evidenziato innanzitutto la specificità del settore dell’assistenza rispetto, ad esempio, a quello della sanità, nel quale l’elaborazione dei LEA  si è giovata della più agevole standardizzazione delle prestazioni, ormai codificate da tempo e con costi determinabili con maggiore previsione.

Nel settore dell’assistenza, invece, tale standardizzazione si scontra con la peculiarità della condizione personale dei singoli individui, cui va garantita in molti casi una prestazione strettamente correlata ai propri bisogni specifici.

 

La soluzione, magari caratterizzata da una fase di necessaria sperimentazione, relativa ai nuovi livelli di assistenza, può favorire anche la soluzione dei problemi posti dalla previsione di vincoli per una quota delle risorse del Fondo nazionale delle politiche sociali, sopra analizzati, nonché dalla istituzione di ulteriori fondi statali, a destinazione vincolata, nel campo delle politiche sociali: anche su tali fondi si è pronunciata in più occasioni la Corte costituzionale (cfr. il capitolo Spesa sociale: i fondi settoriali).



[1]     Cfr. art. 3, commi 101, 116 e 117. Il comma 101 prevede che una quota delle risorse sia destinata al finanziamento del reddito di ultima istanza.

[2]     Art. 21.

[3]     Sull’art. 119 Cost. vedi tra le altre le sentenze n. 37/2004 e n. 320/2004.

[4]     Cfr. l’art. 4, comma 159, della legge n. 350 del 2003.