L’assetto degli organi, delle funzioni e delle strutture amministrative
coinvolte nella partecipazione al processo normativo comunitario risulta
piuttosto complesso in quanto si caratterizza per la compartecipazione di più
soggetti[1]: il Presidente del Consiglio, che si avvale del Dipartimento per le politiche comunitarie; il Ministro per le politiche comunitarie, delegato dal Presidente del
Consiglio al coordinamento delle politiche comunitarie; le strutture interne ai
singoli ministeri ed il Ministero degli
affari esteri.
Le riforme relative all'organizzazione del
Governo ed all'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri
intervenute nella XIII legislatura (decreto
legislativo 30 luglio 1999 n. 303), hanno avviato un’evoluzione
dell’assetto delle competenze in materia comunitaria: l’esigenza di assicurare
l'unità di indirizzo politico ed amministrativo con riferimento alle politiche
comunitarie è stata allora realizzata tramite il potenziamento del ruolo di
impulso, indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio nella
partecipazione al processo di integrazione europea. Egli infatti “promuove e coordina
l'azione del Governo diretta ad assicurare la piena partecipazione dell'Italia
all'Unione europea e lo sviluppo del processo di integrazione europea”[2]. Compete al Presidente del Consiglio la responsabilità
per l'attuazione degli impegni assunti nell'ambito dell'Unione europea: a tal
fine, il Presidente si avvale di un apposito Dipartimento della Presidenza del
Consiglio, individuato nel Dipartimento
per il coordinamento delle politiche comunitarie.
La partecipazione del nostro Paese
al processo normativo dell'Unione Europea è ora recentemente ridisciplinata
dalla legge 4 febbraio 2005, n. 11 "Norme generali sulla
partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione Europea e sulle
procedure di esecuzione degli obblighi comunitari", che ha sostituito
integralmente la precedente legge 9 marzo 1989, n. 86 (v. scheda La legge n. 11 del 2005).
In base alla nuova legge n.
11/2005, il ruolo di coordinamento
nel processo di definizione della
posizione italiana in sede europea è stato affidato al Governo. La legge ha
pertanto disposto l’istituzione - presso la Presidenza del Consiglio dei
ministri - del Comitato
interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), con il compito
di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della
posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e
dell’Unione europea e adempiere ai compiti previsti dalla legge stessa.
Il
Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie è la struttura di supporto di cui il Presidente del
Consiglio dei Ministri si avvale per l'attività inerente all'attuazione degli
impegni assunti nell'ambito dell'Unione europea e per le azioni di
coordinamento nelle fasi di predisposizione della normativa comunitaria, ai
fini della definizione della posizione italiana da sostenere, d'intesa con il
Ministero degli affari esteri, in sede di Unione europea.
L’organizzazione
interna del Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie è
stata definita inizialmente con il decreto ministeriale 19 settembre 2000 e
successivamente con il decreto del
Ministro delle politiche comunitarie del 10 febbraio 2004[3], con il quale è stata ridefinita l’organizzazione
interna del Dipartimento per le politiche comunitarie, visto anche il D.P.C.M.
23 luglio 2002, recante “Ordinamento delle strutture generali della Presidenza
del Consiglio dei Ministri”, il cui art. 10 aveva provveduto ad individuare gli
uffici ed i servizi del Dipartimento per le politiche comunitarie.
L'attuale organizzazione interna del Dipartimento
è stabilita dal decreto
del Ministro delle politiche
comunitarie 9 febbraio 2006, che ha provveduto ad aggiornare
alle modifiche apportate dalla legge n. 11/2005 – principalmente l’istituzione
del CIACE – il precedente decreto di organizzazione del 10 febbraio 2004, ora
abrogato.
Il Dipartimento cura e segue
la predisposizione, l'iter
parlamentare e l'attuazione della legge comunitaria annuale; assicura, durante
il procedimento normativo comunitario, il monitoraggio del processo
decisionale; segue il contenzioso comunitario, promuove l'informazione
sull'attività dell'Unione europea e coordina, in materia, le iniziative di
formazione.
Il
Dipartimento è articolato in quattro
uffici e in tredici servizi. Gli uffici sono i seguenti:
§ Ufficio di segreteria del Comitato interministeriale,
per gli affari comunitari europei (CIACE);
§ Ufficio per la strategia del mercato interno, per gli
affari sociali, per la comunicazione, la formazione e l'innovazione tecnologica;
§ Ufficio per le politiche economiche, finanziarie e di
struttura;
§ Ufficio per la concorrenza e le politiche di coesione.
Alle
dirette dipendenze del Capo del Dipartimento opera inoltre il Servizio affari
generali, amministrativi, contabili e gestione del personale. Dipende poi
funzionalmente dal Capo del Dipartimento il Nucleo della Guardia di Finanza per
la repressione delle frodi comunitarie[4].
Gli
Uffici, secondo quanto previsto dall'art. 5 del decreto 9 febbraio 2006:
§ coordinano, nelle materie di propria competenza,
amministrazioni dello Stato, regioni, parti sociali e operatori privati nella
fase di predisposizione della normativa comunitaria e curano, altresì, d'intesa
con il settore legislativo e in collaborazione con le amministrazioni centrali
e regionali interessate, le attività dirette al recepimento e all'attuazione
delle direttive comunitarie;
§ procedono, sempre nelle materie di propria competenza,
in supporto e coordinamento con il settore legislativo, al monitoraggio dello
stato di attuazione delle direttive comunitarie, i cui risultati vengono
sottoposti mensilmente alle valutazioni del Consiglio dei Ministri e provvedono
all'azione di monitoraggio dell'attuazione della normativa comunitaria in
ambito regionale;
§ collaborano con il settore legislativo al fine di
prevenire il contenzioso comunitario, curando in particolare la fase
pre-contenziosa, partecipando agli incontri periodici promossi dal settore
legislativo con i rappresentanti della Commissione europea, nonché attraverso
il coordinamento delle amministrazioni competenti ai fini della definizione
della posizione da assumere;
§ collaborano con il settore legislativo alle attività
relative al contenzioso comunitario e alla preparazione, per gli aspetti di
competenza, delle riunioni del Consiglio dei Ministri e a quelle del
pre-Consiglio;
§ provvedono, sempre in collaborazione con il settore
legislativo, agli adempimenti istruttori e a quelli strumentali necessari alla
presentazione della legge comunitaria annuale, il cui iter parlamentare è
seguito dal settore legislativo.
Come sopra ricordato, la legge
n. 11/2005 ha disposto l’istituzione - presso la Presidenza del Consiglio dei
ministri - del Comitato
interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), con il compito
di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della
posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari.
In particolare, l’articolo 2 della legge n. 11 prevede che il CIACE sia convocato e
presieduto dal Presidente del Consiglio
dei ministri o dal Ministro per le politiche comunitarie anche su richiesta del comitato tecnico. Ad esso
partecipano il Ministro degli affari esteri, il Ministro per gli affari
regionali e gli altri Ministri aventi competenza nelle materie oggetto dei
provvedimenti e delle tematiche inseriti all’ordine del giorno. Alle riunioni
del CIACE, quando si trattano questioni
che interessano anche le regioni e le province autonome, possono chiedere
di partecipare il Presidente della
Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento
e di Bolzano o un Presidente di regione
o di provincia autonoma da lui delegato e, per gli ambiti di competenza
degli enti locali, i Presidenti delle associazioni rappresentative degli enti
locali.
La norma
prevede, altresì, che il CIACE svolga i propri compiti nel rispetto delle
competenze attribuite dalla Costituzione e dalla legge al Parlamento, al
Consiglio dei Ministri e alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Il
comma 4 dell’articolo 2 stabilisce che per la preparazione delle proprie
riunioni, il CIACE si avvale di un comitato
tecnico permanente, istituito presso il Dipartimento per le politiche
comunitarie. Il comitato è coordinato e presieduto dal Ministro per le politiche comunitarie o
da un suo delegato e di esso fanno parte direttori generali o alti funzionari
con qualificata specializzazione in materia, designati da ognuna delle
amministrazioni del Governo. Qualora si trattino questioni che interessano anche le regioni e le province autonome,
il comitato tecnico è integrato dagli
assessori regionali competenti per le materie in trattazione o loro
delegati. In tal caso il comitato tecnico, presieduto dal Ministro per le
politiche comunitarie, in accordo con il Ministro per gli affari regionali, è
convocato presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Il funzionamento del CIACE e del comitato tecnico
permanente sono disciplinati, rispettivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e con decreto del Ministro per le politiche
comunitarie.
In attuazione di tale disposizione, con DPCM
9 gennaio 2006 è stato adottato il
Regolamento per il funzionamento del
Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE). Con
riguardo alle funzioni del CIACE, si tratta di una sede nella quale potranno
confluire le diverse istanze ed interessi che andranno di volta in volta a
costituire la posizione italiana presso le Istituzioni comunitarie e, in
particolare, presso il Consiglio dei ministri dell’UE: tramite questo organismo
si cercherà di assicurare
una maggiore unità di indirizzo alle questioni di interesse del nostro paese in
sede europea e di consentire una maggiore e più coordinata rappresentanza delle
istanze dei diversi soggetti interessati (regioni, consumatori etc.) ai
provvedimenti in discussione nelle sedi comunitarie.
Il
CIACE procede infatti all'esame ed al coordinamento degli orientamenti delle
amministrazioni e degli altri soggetti interessati, anche sulla base delle
osservazioni e degli atti adottati dal Parlamento e dagli organi parlamentari, nonché delle osservazioni trasmesse
dalle regioni e dalle province autonome e dagli enti locali.
Oltre a questa generale
funzione di coordinamento degli orientamenti delle amministrazioni e degli altri soggetti
interessati, si segnala che tra gli ulteriori compiti il DPCM individua quelle
di :
§ potersi esprimere in merito all'opportunità di apporre
in sede di Consiglio dei Ministri dell'Unione europea una riserva di esame parlamentare
ai sensi dell'art. 4, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11;
§ esaminare, su richiesta del Ministro per le politiche comunitarie,
questioni di particolare rilievo emerse nel corso della Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, convocata dal Governo a norma dell'art. 5, comma 4, della legge 4
febbraio 2005, n. 11;
§ proporre al Ministro per gli affari regionali le
questioni relative all'elaborazione degli atti comunitari e dell'Unione europea
da sottoporre alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, anche ai fini della
convocazione della sessione comunitaria a norma dell'art. 17 della legge 4
febbraio 2005, n. 11;
§ esaminare, su richiesta del Ministro per le politiche comunitarie,
questioni di particolare rilievo emerse nel corso della Conferenza Stato-citta'
ed autonomie locali, convocata ai sensi dell'art. 6, comma 1, della legge 4
febbraio 2005, n. 11, e proporre al Ministro per le politiche comunitarie le
questioni di particolare rilevanza negli ambiti di competenza degli enti locali
da sottoporre alla Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali ai fini della convocazione della sessione
comunitaria a norma dell'art. 18 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.
Si
ricorda, infine, che con DM 9
gennaio 2006 è stato altresì adottato il Regolamento per il funzionamento del Comitato tecnico permanente, mentre
nell’ambito del decreto ministeriale 9 febbraio 2006, di organizzazione del
Dipartimento per le politiche comunitarie, è stata definita l’articolazione
interna dell’Ufficio di segreteria del CIACE e del Comitato tecnico permanente.
Il 29 marzo 2006 si è svolta la prima
riunione del Comitato tecnico del CIACE a cui hanno partecipato tutte le amministrazioni
del governo, rappresentate dai capi dipartimento e dai direttori generali per
le tematiche europee.
In base all’art. 3
del decreto legislativo n. 303 del 1999, Il Presidente del Consiglio si avvale
delle amministrazioni dello Stato competenti per settore, delle regioni, degli
operatori privati e delle parti sociali interessate, ai fini della definizione
della posizione italiana da sostenere, di intesa con il Ministero degli affari
esteri, in sede di Unione europea.
Al Ministero degli Affari
Esteri (v. capitolo Ministero degli Affari esteri)
sono in particolare attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in
materia di rappresentanza della posizione italiana in ordine all'attuazione
delle disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune previste
dal Trattato dell'Unione europea e di rapporti attinenti alle relazioni
politiche ed economiche esterne dell'Unione europea nonché la cura delle
attività di integrazione europea in relazione alle istanze ed ai processi
negoziali riguardanti i trattati dell'Unione europea, della Comunità europea,
della CECA, dell'EURATOM. Tali attività sono curate dalla Direzione Generale
per l’Integrazione Europea.
Il Governo – nell’ambito
dell’elaborazione degli indirizzi da assumere in ordine alla fase ascendete e
discendente dei processi comunitari – è tenuto altresì a collaborare con le Regioni
e gli Enti locali. Le sedi in cui si svolge l’attività di concertazione sono la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome e la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, nell’ambito di
apposite sessioni comunitarie, la cui disciplina è ora contenuta negli articoli
17 e 18 della legge n. 11 del 2005 (v. scheda La
legge n. 11 del 2005).
In
particolare, la Conferenza Stato-Regioni,
istituita in via amministrativa nel 1983 (D.P.C.M. 12 ottobre 1983), ha avuto
la prima organica disciplina legislativa con l’articolo 12 della legge n. 400
del 1988, che ha regolamentato l’attività del Governo e l’ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’articolo 10 della legge n. 86 del
1989, e successive modificazioni, ha disciplinato una specifica sessione “comunitaria” della
Conferenza, per assicurare il raccordo delle linee della politica nazionale
relative all’elaborazione degli atti comunitari con le esigenze delle Regioni,
nelle materie di loro competenza, e per acquisire il loro parere sullo schema
di disegno di legge comunitaria. Nel 1997 con il decreto legislativo n. 281, emanato
in attuazione della legge delega n. 59, sono state ridefinite e ampliate le
attribuzioni della Conferenza e ne è stata potenziata la funzione consultiva,
rendendola obbligatoria per tutti gli schemi di disegni di legge, regolamenti e
schemi di decreti legislativi in materia di competenza regionale adottati dal
Governo.
Circa le competenze della Conferenza Stato regioni in relazione all’Unione europea, si ricorda che l’articolo 5 del decreto legislativo n. 281 del 1997 prevede che la Conferenza Stato-regioni, anche su richiesta delle regioni e delle province autonome, si riunisce in apposita sessione almeno due volte all'anno al fine di raccordare le linee della politica nazionale, relativa all'elaborazione degli atti comunitari con le esigenze rappresentate dalle regioni e dalle province autonome, nelle materie di competenza di queste ultime, e di esprimere il parere sullo schema di disegno di legge comunitaria. La Conferenza inoltre:
1)
designa i componenti regionali in seno alla
rappresentanza permanente italiana presso l'Unione europea;
2)
esprime parere – su richiesta dei Presidenti
delle regioni e delle province autonome e con il consenso del Governo – sugli
schemi di atti amministrativi dello Stato che, nelle materie di competenza
delle regioni o delle province autonome, danno attuazione alle direttive
comunitarie ed alle sentenze della Corte di giustizia delle comunità europee.
In base all’articolo 17 della legge n. 11 del 2005
il Presidente del Consiglio convoca almeno ogni sei mesi - anche su richiesta
delle regioni e delle province autonome - una sessione speciale della Conferenza
Stato-regioni, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche
comunitarie di interesse regionale e provinciale. Dei risultati emersi in tale
sede il Governo è tenuto ad informare tempestivamente le Camere.
La Conferenza Stato-regioni
in sessione comunitaria può infatti esprimere il proprio parere sulle seguenti questioni:
§ sugli indirizzi generali relativi all'elaborazione e
all'attuazione degli atti comunitari che riguardano le competenze regionali;
§ sui criteri e le modalità per conformare l'esercizio
delle funzioni regionali all'osservanza ed all'adempimento degli obblighi
derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea;
§ sullo schema del disegno di legge comunitaria, sulla
base di quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto
legislativo n. 281/1997. Tale norma
dispone che la Conferenza Stato-regioni in sessione comunitaria, esprima parere
sullo schema di disegno di legge comunitaria e che decorso il termine di venti
giorni dalla richiesta del parere, il disegno di legge sia presentato al
Parlamento anche in mancanza di tale parere.
La Conferenza Stato-città ed autonomie locali, è un organo collegiale con funzioni consultive e decisionali, sede istituzionale permanente di confronto e raccordo tra lo Stato e gli enti locali. Fu istituita con DPCM 2 luglio 1996 ed è disciplinata dal D.Lgs n. 281 del 1997 e successive modificazioni. In particolare, l’art. 8 del decreto legislativo n. 281 prevede che essa sia presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri (o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali) e ne facciano parte oltre a vari Ministri (economia, infrastrutture e sanità), il presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia – ANCI, il presidente dell'Unione province d'Italia – UPI ed il presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani – UNCEM, nonché, su designazione delle rispettive associazioni, sei presidenti di provincia e quattordici sindaci, di cui cinque sindaci di città che siano aree metropolitane[5].
L’articolo 18 della legge n.
11 del 2005 ha introdotto altresì la Sessione
comunitaria della Conferenza, prevedendone
la convocazione obbligata, almeno
una volta all'anno, da parte del Presidente del Consiglio o del Ministro per le
politiche comunitarie. La convocazione può altresì avvenire su richiesta delle
associazioni rappresentative degli enti locali o su semplice richiesta degli
enti locali interessati. La conferenza tratta gli aspetti delle politiche
comunitarie di interesse degli enti locali, esprimendo genericamente parere sui criteri e le
modalità per conformare l'esercizio delle funzioni di interesse degli enti
locali all'osservanza e all'adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza
dell’Italia all’UE.
Il Governo è tenuto ad informare
tempestivamente sia le Camere che la Conferenza dei presidenti delle regioni e
delle province autonome sui risultati emersi durante tale sessione.
[1] Nel corso dell’indagine conoscitiva sulla qualità ed i modelli di recepimento delle direttive comunitarie, svolta sul finire della XIII Legislatura e conclusa nell’ottobre 2000, era stata evidenziata, rispetto all’interazione dei soggetti coinvolti nel recepimento, la necessità di una più razionale definizione delle competenze tra i vari soggetti e di un loro maggiore coordinamento. In particolare, nel documento conclusivo, dopo aver valutato positivamente la direzione intrapresa con il decreto legislativo n. 303 del 1999, era stata evidenziata la necessità di definire con più evidenza il ruolo ed il reciproco rapporto del Dipartimento per le politiche comunitarie e del Ministero degli affari esteri, ed in particolare della Rappresentanza permanente.
[2] Articolo 3 del D.Lgs. n. 303 del 1999
[3] Pubblicato in GU 28/4/2004 e che ha provveduto ad abrogare il precedente decreto di organizzazione del Dipartimento del 19 settembre 2000.
[4] Con compiti di supporto del Comitato omologo istituito ai sensi dell'art. 76 della legge 19 febbraio 1992, n. 142.
[5] La legge 5 giugno 2003, n. 131 di
adeguamento dell'ordinamento alla riforma del Titolo V della Costituzione, ha
attribuito nuovi compiti alla Conferenza (si veda, in particolare, l’art. 120,
comma 4).