La legge
4 febbraio 2005, n. 11 è volta a modificare le procedure per la
partecipazione dell’Italia al processo di formazione e di attuazione della normativa
comunitaria previste dalla legge “La Pergola” (legge 9 marzo 1989, n. 86) - che
viene integralmente sostituita ed abrogata -
rafforzando la partecipazione del nostro Paese al processo normativo
comunitario, sia nella fase di formazione (ascendente) che in quella di
attuazione (discendente).
In particolare, la
legge ridisegna la disciplina della
partecipazione del Parlamento, delle
Regioni e province autonome, degli enti locali, delle parti sociali e delle
categorie produttive al processo di
formazione delle decisioni
comunitarie e dell’Unione europea (cosiddetta “fase ascendente”), prevedendo
espressamente tra le finalità della legge la disciplina del processo di formazione della
posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e
dell’Unione europea (articolo 1).
Dal momento che il ruolo di coordinamento nel processo di
definizione della posizione italiana è affidato al Governo, la legge ha
istituito – presso la Presidenza
del Consiglio dei ministri – il Comitato
interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), con il compito
di concordare le linee politiche del
Governo nel processo di formazione della posizione italiana nella fase di fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione
europea e adempiere ai compiti previsti dalla legge (articolo 2) (v. scheda Strutture
governative).
Per quanto riguarda
il versante parlamentare, la legge n. 11 rafforza, rispetto alla “legge La
Pergola”, il ruolo del Parlamento nella fase ascendente, dotandolo di incisivi
mezzi di intervento.
Ad esempio, l’articolo 3 (Partecipazione del
Parlamento al processo di formazione delle decisioni comunitarie e dell’Unione
europea) delinea una gamma molto ampia
di atti che il Governo è tenuto a trasmettere alle Camere: progetti di atti
comunitari e dell’Unione europea, gli atti preordinati alla formulazione degli
stessi, e le loro modificazioni, ivi compresi i documenti di consultazione,
quali libri verdi, libri bianchi e comunicazioni[1].
La norma stabilisce, inoltre, che essi vengano comunicati dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro
per le politiche comunitarie, contestualmente
alla loro ricezione e che sia indicata
la data presumibile in cui verranno discussi
o adottati dagli organi comunitari. Gli atti e i progetti di atti in tal
modo trasmessi vengono assegnati ai competenti organi parlamentari, che possono
formulare osservazioni e adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo.
La trasmissione non esaurisce però i compiti dell’esecutivo, che deve altresì:
-
assicurare
al Parlamento un’informazione qualificata e tempestiva sui progetti e sugli
atti trasmessi, curandone il costante aggiornamento;
-
informare
tempestivamente i competenti organi parlamentari sulle proposte e sulle materie
che risultano inserite all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei
ministri dell’Unione europea;
-
illustrare
alle Camere la posizione che intende assumere, in vista dello svolgimento delle
riunioni del Consiglio europeo (eventualmente riferendo ai competenti organi
parlamentari prima delle riunioni del Consiglio);
-
riferire
semestralmente al Parlamento illustrando i temi di maggiore interesse decisi o
in discussione in ambito comunitario, informando gli organi parlamentari
competenze in ordine ai risultati delle riunioni dei Consigli europei;
-
fornire,
su richiesta degli organi parlamentari competenti, una relazione tecnica che
dia conto dello stato dei negoziati, dell’impatto sull’ordinamento,
sull’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sull’attività dei
cittadini e delle imprese in relazione ai vari progetti di atti comunitari
all’esame.
Nell’ambito
degli obblighi di informazione che fanno capo al Governo, occorre menzionare
anche la relazione annuale al
Parlamento sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea. L’articolo
15 - riprendendo una disposizione già contenuta nella legge “La Pergola”
(art. 7) - prevede che il Governo
presenti entro il 31 gennaio di ogni
anno una relazione sulla
partecipazione dell’Italia all’Unione europea, nella
quale siano chiaramente distinti la
parte a consuntivo, contenente i resoconti
delle attività svolte, da quella a preventivo, relativa agli orientamenti che il Governo intende
assumere per l’anno in corso.
La legge 11/2005 introduce due
novità per quanta riguarda il contenuto della relazione.
Tali
modifiche hanno lo scopo di soddisfare l’esigenza di “creare procedure che
consentano l’analisi e l’approvazione della Relazione sulla partecipazione
dell’Italia alla Unione europea in tempi certi e brevi e di riservare una
sempre maggiore attenzione alle risoluzioni adottate dal Parlamento, così da
rendere possibile il confronto tra intendimenti ed indirizzi, da un lato, e dei
risultati conseguiti, dall’altro”, come si
legge nella relazione al testo unificato della riforma della legge La
Pergola, proposto dalla XIV Commissione all’Aula della Camera dei Deputati, ed
in alcuni atti d’indirizzo parlamentare approvati nel recente passato, in
occasione dell’esame della relazione sulla partecipazione dell’Italia all’UE.
Infatti, tra i temi della relazione sono stati inseriti:
Ø i pareri,
le osservazioni e gli atti di indirizzo delle Camere, nonché le
osservazioni della Conferenza dei
presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano,
della Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano e della Conferenza dei
presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome,
con l’indicazione delle iniziative assunte e dei provvedimenti conseguentemente
adottati;
Ø l’elenco
e i motivi delle eventuali
impugnazioni di decisioni del
Consiglio dei ministri dell’Unione europea o della Commissione europea
destinate alla Repubblica italiana.
La prima disposizione, in particolare, è volta a fornire uno strumento
informativo e di controllo sulla rispondenza dell’attività del Governo in sede
comunitaria agli indirizzi formulati dalle Camere e dalle regioni e province
autonome.
Gli
altri temi, già previsti dalla legge La Pergola, sui quali incentrare la
relazione annuale sono:
Ø gli sviluppi
del processo di integrazione europea, con particolare riferimento alle
attività del Consiglio europeo e del Consiglio dei ministri dell’Unione
europea; alle questioni istituzionali; alle relazioni esterne dell’Unione
europea; alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni e
agli orientamenti generali delle politiche dell’Unione;
Ø la partecipazione
dell’Italia al processo normativo comunitario con l’esposizione dei
princìpi e delle linee caratterizzanti della politica italiana nei lavori
preparatori in vista dell’emanazione degli atti normativi comunitari e, in
particolare, degli indirizzi del Governo su ciascuna politica comunitaria, sui
gruppi di atti normativi riguardanti la stessa materia e su singoli atti
normativi che rivestono rilievo di politica generale;
Ø l’attuazione
in Italia delle politiche di coesione economica e sociale, l’andamento dei flussi
finanziari verso l’Italia e la loro utilizzazione, con riferimento anche
alle relazioni della Corte dei conti delle Comunità europee per ciò che
concerne l’Italia.
Inoltre, l’articolo 4 della legge n. 11 ha
introdotto la riserva di esame
parlamentare, che può essere attivata su iniziativa di una delle Camere o
del Governo, in relazione agli atti comunitari per i quali vi sia obbligo di
trasmissione ai sensi dell’articolo 3. In particolare, la norma stabilisce che
qualora le Camere abbiano iniziato l’esame di progetti di atti comunitari e
dell’Unione europea trasmessi dal Governo, quest’ultimo sia tenuto ad apporre
la riserva di esame parlamentare in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione
europea, potendo pertanto procedere alle relative attività di propria
competenza, una volta terminato l’esame delle Camere. La riserva può essere
altresì apposta dallo stesso Esecutivo di propria iniziativa, in relazione a
fattispecie di particolare importanza, inviando al Parlamento il testo in
questione ai fini della pronuncia dei competenti organi parlamentari in merito[2].
Comunque, decorsi venti giorni dalla comunicazione alle Camere, il Governo può
procedere anche in mancanza della pronuncia parlamentare.
Questo istituto è ampiamente consolidato nelle
procedure di ordinamenti di altri Stati membri (in particolare Danimarca,
Finlandia e Regno Unito), nei quali ha consentito lo sviluppo delle capacità
dei Parlamenti nazionali di esaminare i progetti di atti dell’Unione europea in
tempo utile per orientare l’attività del rispettivo Governo in sede di
Consiglio dei ministri dell’Unione europea.
La legge n. 11 prevede la partecipazione delle regioni e delle province
autonome di Trento e Bolzano al processo di formazione delle decisioni
comunitarie e dell’Unione europea - in relazione alle materie di loro
competenza - con modalità simili a
quelle previste per il Parlamento e, in particolare, per quanto riguarda: la trasmissione di atti e progetti di
atti; la possibilità di chiedere al Governo di apporre una riserva d’esame presso il Consiglio dei ministri dell’Unione
europea; gli obblighi posti a carico del Governo di riferire in via preventiva e in via consuntiva sull’attività del Consiglio dei ministri dell’Unione
europea e del Consiglio europeo.
L’art.
117, quinto comma, della Costituzione
dispone che le Regioni e le province autonome, nelle materie di loro
competenza, partecipino alle decisioni dirette alla formazione di atti
normativi comunitari (v. scheda Titolo V e norme di attuazione).
L’art. 5 della legge 131/2003, in
attuazione di tale articolo della
Costituzione, ha previsto che le Regioni e le Province autonome
concorrano direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla
formazione degli atti comunitari, partecipando, nell'ambito delle delegazioni
del Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati
del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità che garantiscano comunque
l'unitarietà della rappresentazione della posizione italiana da parte del Capo
delegazione designato dal Governo. A tal
fine, nelle delegazioni del Governo è prevista la partecipazione di almeno un
rappresentante delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di
Trento e di Bolzano. Il Capo delegazione, nelle materie che spettano alle
Regioni ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, può
essere anche un Presidente di Giunta regionale o di Provincia autonoma. Al
riguardo, si ricorda che l’art. 2 dell’accordo generale di cooperazione
Stato/regioni per la partecipazione delle regioni alla formazione degli atti
comunitari – sancito il 16 marzo 2006, in base al disposto dell’art. 5 della l.
n. 131, e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 75 del 30 marzo 2003 – stabilisce
che le regioni sono rappresentate dal Presidente della regione o da un delegato
da esso designato, mentre l’art. 4 prevede che nelle materie ex art. 117, IV
comma, il capo delegazione sia il Governo, salva diversa determinazione assunta
d’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, su istanza delle Regioni o della
pubblica amministrazione.
In particolare, l’articolo 5 della
legge n. 11 prevede la trasmissione
da parte del Governo dei progetti di atti comunitari e dell’Unione
europea e gli atti preordinati alla formulazione degli stessi alla Conferenza dei presidenti delle regioni
e delle province autonome e alla Conferenza
dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province
autonome, ai fini dell’inoltro alle Giunte ed ai Consigli regionali e delle
province autonome, assicurando un’informazione qualificata e tempestiva
sui progetti e sugli atti trasmessi, che rientrano nelle materie di loro
competenza, e curandone il costante aggiornamento.
La trasmissione, a carico del Presidente
del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie, deve
essere contestuale alla loro
ricezione da parte del Governo e deve essere accompagnata dalla data presunta della loro discussione o adozione.
In relazione agli atti in tal modo trasmessi, le regioni e le province autonome, nelle materie di loro competenza, possono:
-
entro
venti giorni dalla data del ricevimento degli atti, trasmettere osservazioni al Governo ai fini della
formazione della posizione italiana, ma nel caso in cui tali osservazioni non siano pervenute al Governo entro la
data indicata all’atto di trasmissione dei progetti o, in mancanza, entro il
giorno precedente quello della discussione in sede comunitaria, il Governo può comunque procedere;
-
richiedere
che il Governo convochi la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, ai fini del raggiungimento
dell’intesa[3] entro il termine di venti giorni.
Decorso tale termine, ovvero nei casi di urgenza motivata sopravvenuta, il
Governo può procedere anche in mancanza dell’intesa.
-
richiedere,
attraverso la Conferenza Stato-Regioni, che il Governo ponga una riserva di
esame in sede di Consiglio dei
ministri dell’Unione europea, ma decorso il termine di venti giorni
l’esecutivo può procedere anche in
mancanza della pronuncia della Conferenza.
Anche nei confronti
delle regioni e delle province autonome, incombono al Governo specifici
obblighi informativi. Esso, infatti, è tenuto a:
-
informare tempestivamente le regioni e le
province autonome - per il tramite della Conferenza dei presidenti delle
regioni e delle province autonome - delle proposte
e delle materie di loro competenza
che risultino inserite all’ordine del
giorno delle riunioni del Consiglio
dei ministri dell’Unione europea;
-
riferire alla Conferenza Stato-Regioni sulle proposte e sulle materie
di competenza delle regioni e delle province autonome che risultano inserite all’ordine del giorno del
Consiglio europeo, prima del suo svolgimento ed illustrando la posizione
che intende assumere. Su richiesta della Conferenza, il Governo riferisce
inoltre sulle proposte e sulle materie di competenza delle regioni e delle
province autonome che risultano inserite all’ordine del giorno del Consiglio
dei ministri dell’Unione europea, illustrando la posizione che il Governo
intende assumere.
-
informare
- per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province
autonome di Trento e di Bolzano - le regioni e le province autonome delle risultanze delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea
e del Consiglio europeo con
riferimento alle materie di loro competenza, entro quindici giorni dallo
svolgimento delle stesse.
Analogamente a quanto avviene per le Regioni, l’articolo 6 prevede la trasmissione alla
Conferenza Stato, città e autonomie locali ed alle associazioni rappresentative degli enti locali dei progetti
di atti comunitari e dell’Unione europea e degli atti preordinati alla
formulazione degli stessi, qualora riguardino
questioni di particolare rilevanza negli ambiti di competenza degli enti
locali. Su tali atti le associazioni rappresentative degli enti locali, per il
tramite della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, possono trasmettere osservazioni al Governo e possono
richiedere che gli stessi siano sottoposti all’esame della Conferenza stessa,
ma il Governo può comunque procedere,
qualora le osservazioni degli enti
locali non gli siano pervenute entro
la data indicata all’atto di trasmissione dei progetti o degli atti o, in
mancanza, entro il giorno precedente quello della discussione in sede
comunitaria.
Infine, l’articolo 7 prevede
la trasmissione al Consiglio
nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL)
dei progetti di atti comunitari e dell’Unione
europea riguardanti materie di particolare
interesse economico e sociale. Il CNEL può fare pervenire alle Camere e al
Governo le valutazioni e i contributi che ritiene opportuni, istituendo a tale
fine uno o più comitati per l’esame degli atti comunitari.
La legge n. 11 del
2005 reca rilevanti novità anche per quanto riguarda la c.d. fase discendete,
relativa all’attuazione degli obblighi comunitari nel nostro ordinamento.
Innanzi tutto, l’articolo 1
afferma, tra l’altro, che la legge è volta a
garantire l’adempimento degli
obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, di proporzionalità, di efficienza, di
trasparenza e di partecipazione democratica.
In
particolare, la norma chiarisce che tali obblighi
derivano:
·
dall’emanazione di ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica
italiana ad adottare provvedimenti di attuazione;
·
dall’accertamento giurisdizionale, con
sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, della incompatibilità
di norme legislative e regolamentari dell’ordinamento giuridico nazionale con
le disposizioni dell’ordinamento comunitario;
·
dall’emanazione di decisioni-quadro e di decisioni adottate nell’ambito della cooperazione
di polizia e giudiziaria in materia penale.
Si segnala, quindi, che le innovazioni
più significative, relative alla fase discendente, consistono
essenzialmente in:
v
ampliamento
del contenuto proprio della legge comunitaria;
v
ridefinizione
del recepimento delle direttive
attraverso la via regolamentare ed
amministrativa;
v
disciplina
delle modalità di recepimento del
diritto comunitario anche al di fuori
della legge comunitaria;
v
definizione
dei rapporti tra fonti statali e
regionali di attuazione del diritto comunitario, in linea con la riforma
del Titolo V della Costituzione, con particolare riguardo al tema dei poteri sostitutivi.
Per il resto, il
provvedimento conferma sostanzialmente l’impianto della legge “La Pergola”,
alcune disposizioni della quale sono confluite nella nuova disciplina
legislativa.
La legge comunitaria annuale è uno
strumento normativo - introdotto per la prima volta dalla legge “La Pergola” - volto ad assicurare il periodico adeguamento
dell’ordinamento nazionale a quello comunitario. Alla legge comunitaria
annuale, la nuova disciplina dedica gli articoli 8 e 9, il primo dei quali
afferma solennemente che lo Stato, le
regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza
legislativa, sono tenuti a dare
tempestiva attuazione alle direttive comunitarie.
In particolare, l’articolo 8 definisce la procedura preparatoria alla
predisposizione del disegno di legge comunitaria, che vede il coinvolgimento
non solo delle Camere, come in precedenza (art. 2, comma 1, l. n. 86/1989), ma
anche delle regioni, ai fini della realizzazione della verifica sullo stato di conformità dell’ordinamento interno a quello
comunitario[4].
In
base alla verifica compiuta[5], il Presidente del Consiglio dei ministri o il
Ministro per le politiche comunitarie presentano il disegno di legge comunitaria annuale entro il 31 gennaio di ogni anno, confermando in tal modo quanto
già previsto dalla legge “La Pergola” (comma
4).
L’articolo
8, comma 5, ha, inoltre, ampliato il contenuto della relazione
governativa di accompagnamento del ddl comunitaria, che dovrà, pertanto,
indicare:
a)
i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento
interno al diritto comunitario e
sullo stato delle eventuali procedure di
infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di
giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e
violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana (analogo a lett. a) dell’articolo 2, comma 3,
della legge La Pergola).
b)
l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via
amministrativa (analogo a lett. b) dell’articolo 2, comma 3, della legge La Pergola)[6].
c)
l’indicazione dell’eventuale omissione
dell’inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada
nel periodo di riferimento, in
relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa (analogo a lett. c) dell’articolo 2, comma 3,
della legge La Pergola).
d)
l’elenco delle direttive attuate con regolamento ai
sensi dell’art. 11 della legge n. 11/2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d’attuazione già
adottati (si tratta di una novità
introdotta dalla legge n. 11).
e)
l’elenco degli atti normativi regionali e delle
province autonome attuativi delle
direttive comunitarie. Più precisamente,
la disposizione prevede che relazione fornisca “l’elenco degli atti normativi
con i quali nelle singole regioni e province autonome si è provveduto a dare
attuazione alle direttive nelle materie di loro competenza, anche con riferimento a leggi annuali di
recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome”
(la legge La Pergola conteneva una norma
analoga, ma l’articolo in esame ha riformulato in modo più preciso il contenuto).
Il contenuto proprio della legge comunitaria è, invece, disciplinato
dall’articolo 9, che ha ampliato gli
elementi indicati dalla legge “La Pergola”. Nell’ambito del ddl comunitaria,
pertanto, dovranno essere inserite:
·
disposizioni modificative o abrogative di
disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi di attuazione degli atti comunitari (cfr. lett. a), comma 1,
art. 3 l. n. 86);
·
disposizioni modificative o abrogative di
disposizioni statali vigenti oggetto di procedure di infrazione (cfr. lett. a-bis), comma 1, art. 3 l. n.
86);
·
disposizioni
occorrenti per dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, a: ogni atto
comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad
adottare provvedimenti di attuazione (cfr. lett. b), comma 1, art. 3 l. n. 86);
decisioni-quadro e decisioni adottate
nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale
previste dall’articolo 34 del Trattato UE (si tratta di una novità rispetto
alla previgente disciplina);
La tipica
modalità di recepimento del diritto comunitario rimane dunque quella che
passa attraverso la delega legislativa.
Il modello di legge comunitaria, che si è andato delineando negli anni,
individua – come è noto – il conferimento di una delega generale al Governo,
con la fissazione di principi e criteri direttivi generali, che vanno ad
affiancarsi a quelli specifici eventualmente previsti per le singole direttive.
In particolare, le direttive da recepire attraverso questa modalità sono
inserite in due distinti allegati (A e
B), a seconda che sugli schemi di decreto legislativo ad esse relativi non
sia necessario acquisire il parere delle
competenti Commissioni parlamentari o sia invece necessario. L’intenzione
di mutare, invece, impostazione emergeva dalla proposta di legge di iniziativa
parlamentare Bova ed altri (A.C. 3310)
- alla base del testo unificato di riforma della legge La Pergola, elaborato
dalla XIV Commissione della Camera -, che era finalizzata sia a limitare considerevolmente il ricorso alle
deleghe sia a renderne i contenuti maggiormente rispettosi del disposto
dell’art. 76 Cost. Essa, infatti, oltre a circoscrivere il campo di intervento
delle deleghe ai soli casi di scelte tecniche di notevole complessità,
prevedeva anche la necessità di indicare espressamente i principi e criteri
specifici per ogni singola direttiva da recepire attraverso questa modalità.
·
disposizioni
che autorizzano il Governo ad attuare in
via regolamentare le direttive, sulla base di quanto previsto dall’articolo
11 (cfr. lett. c), comma 1, art. 3 l. n. 86);
le direttive da recepire con regolamento erano in
passato contenute nell’allegato C;
·
disposizioni occorrenti per dare esecuzione
ai trattati internazionali conclusi
nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea (si tratta di una novità introdotta dalla nuova legge);
·
disposizioni che individuano i princìpi
fondamentali nel rispetto
dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza
normativa per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti comunitari
nelle materie di competenza concorrente
(si tratta di una novità rispetto alla previgente disciplina);
·
disposizioni che, nelle materie di competenza
legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al
Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni
comunitarie recepite dalle regioni e dalle province autonome (si tratta di una innovazione introdotta
dalla nuova legge);
·
disposizioni emanate nell’esercizio del
potere sostitutivo di cui
all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, in conformità ai princìpi e
nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 16, comma 3 (si tratta di una novità rispetto alla previgente disciplina).
Il comma
2 reca una disposizione relativa alla copertura degli oneri derivanti
dall’attuazione delle disposizioni comunitarie allorché gli uffici pubblici
siano chiamati a prestazioni e controlli.
Si tratta di una disposizione, tesa ad evitare aggravi delle finanze
pubbliche, che riprende formule già utilizzate dal legislatore nell’ambito
delle ultime leggi comunitarie annuali[7].
La possibilità di
procedere al recepimento degli atti comunitari anche attraverso i regolamenti governativi era già prevista
dalla legge n. 86 del 1989. Peraltro, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, sono emersi alcuni problemi applicativi, soprattutto in
relazione all’art. 117, VI comma, che
limita alle materie di potestà legislativa statale esclusiva l’ambito di
intervento dei regolamenti. Nelle leggi comunitarie successive alla riforma
– in particolare, a partire dalla legge n. 39 del 2002 – non è stata pertanto
più utilizzata tale modalità di recepimento.
La legge in esame
interviene quindi per adeguare al nuovo dettato costituzionale le modalità di
attuazione delle direttive in via regolamentare.
Innanzi tutto, l’art. 11
stabilisce che l’attuazione in via regolamentare possa avvenire solo nelle materie di competenza statale
esclusiva. In secondo luogo, la norma prevede una differente disciplina (a differenza della legge “La Pergola”, che
prevedeva un'unica tipologia di intervento regolamentare) a seconda che
l’attuazione venga effettuata attraverso:
·
regolamenti governativi (commi
1-4);
·
regolamenti ministeriali o interministeriali (comma
5).
In merito alla prima tipologia, l’art. 11 pone dei
requisiti stringenti, in quanto tali regolamenti possono essere adottati solo
nelle materie:
-
già disciplinate con legge;
-
non coperte da riserva assoluta di legge.
In secondo luogo, si stabilisce che i regolamenti siano adottati ai sensi dell’articolo 17, commi 1
e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del
Consiglio dei ministri o del Ministro
per le politiche comunitarie e del
Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia di concerto con gli altri ministri
interessati.
Si
ricorda che l’art. 17 della legge n. 400 del 1988 prevede, al comma 1,
l’adozione di regolamenti governativi esecutivi, attuativi-integrativi, indipendenti
e di organizzazione. Tali regolamenti vengono adottati attraverso decreti del
Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri,
sentito il parere del Consiglio di Stato. Il comma 2 prevede poi i regolamenti di delegificazione,
che disciplinano materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista
dalla Costituzione, per le quali le leggi, autorizzando il Governo, determinano
le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle
norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.
Sugli schemi dei regolamenti devono essere acquisiti determinati pareri
e in particolare:
-
sempre il parere del Consiglio di Stato,
che deve esprimersi nei 45 giorni successivi alla richiesta.
-
il parere
dei competenti organi parlamentari
solo ove la legge comunitaria disponga in
tal senso entro il termine di quaranta giorni dall’assegnazione, decorso il quale il Governo può procedere anche
in assenza del parere.
Al riguardo, si ricorda che il regolamento della
Camera, a seguito delle modifiche apportate nel luglio del 1999, ha previsto la
possibilità per le Commissioni di applicare all’esame di tali atti, in quanto
compatibili, le disposizioni relative all’esame in sede referente dei progetti
di legge, prevedendo altresì la possibilità di trasmetterli al Comitato per la
legislazione (art. 96-ter).
Si ricorda che la procedura appena descritta può essere utilizzata anche per recepire (ovviamente con
fonte di rango regolamentare) le modifiche
delle direttive attuate in via regolamentare ai sensi dell’articolo in
esame, se così dispone la legge comunitaria (art. 12), analogamente a
quanto già previsto dall’art. 5 della legge n. 86 del 1989.
I regolamenti in esame devono conformarsi
a principi generali espressamente individuati dal comma 3, nel rispetto dei
principi e delle disposizioni posti dalle direttive da attuare, e tenendo
comunque conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria
intervenute sino al momento della loro adozione[8].
Si osserva come la
tipologia regolamentare delineata dalla legge in esame si discosti parzialmente
dal modello definito dalla legge n. 400 del 1988. Infatti, pur richiamando la
procedura di adozione dei regolamenti prevista dalla legge n. 400, l’articolo
11 aggiunge l’ulteriore requisito del rispetto delle norme generali da esso
poste da parte degli emanandi regolamenti governativi. In tal modo, si mira a
guidare il futuro intervento del Governo ponendo dei principi generali, sulla
falsariga di quanto avviene per la delega legislativa. Tale impostazione
riflette la più generale tendenza emersa in materia di regolamenti di
delegificazione, secondo la quale le relative disposizioni di autorizzazione
anziché individuare le norme generali regolatrici della materia e le norme, che
si intendono abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore dei
regolamenti, pongono dei principi e criteri direttivi cui dovrà attenersi il
Governo ai fini della predisposizione dei regolamenti. La disciplina posta
dalla norma in esame – richiedendo sia il rispetto dell’art. 17 della legge n.
400, sia delle norme generali espressamente individuate – sembra pertanto
rappresentare un ibrido tra il modello tradizionale, delineato dall’articolo 17
della legge n. 400, e quello affermatosi nella legislazione successiva.
In merito alla seconda tipologia, il comma 5 dell’art. 11 pone ulteriori
requisiti, in quanto i regolamenti ministeriali o interministeriali, nonché gli
atti amministrativi generali possono intervenire nelle materie:
-
non
disciplinate dalla legge;
-
non
disciplinate dai regolamenti governativi;
-
non
coperte da riserva di legge.
I regolamenti in esame sono adottati
ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988.
Si
ricorda che quest’ultima norma prevede l’adozione di regolamenti ministeriali o
interministeriali (rispettivamente con decreto ministeriale o
interministeriale), nelle materie di competenza del ministro o di autorità
sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere.
Tali regolamenti non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti
emanati dal Governo e debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei
ministri prima della loro emanazione.
Nelle stesse
materie, la disciplina di attuazione può essere posta anche a mezzo di atto amministrativo generale adottato
dal Ministro con competenza prevalente per materia, di concerto con gli altri
Ministri interessati.
Si
ricorda che la possibilità di attuazione in via amministrativa delle direttive
comunitarie è stata introdotta dall’articolo 11 della L. 16 aprile 1987, n.
183, cosiddetta “legge Fabbri” e altresì prevista dall’art. 4, comma 7, della
legge “La Pergola”: l’art. 11 della legge Fabbri, oltre all’intera legge n. 86
del 1989, sono stati abrogati dall’art. 22 della legge n. 11 del 2005.
In ogni caso, analogamente a
quanto già previsto dall’articolo 4, commi 3 e 6, della legge n. 86 del 1989, in
relazione ad entrambe le tipologie di regolamenti, è sempre necessario l’intervento della legge comunitaria (o di altra
legge)[9]:
·
laddove le direttive lascino spazio alla
discrezionalità del legislatore nazionale quanto alle modalità della
attuazione, per l’individuazione di principi e criteri direttivi;
·
per
l’adozione delle disposizioni atte a
prevedere sanzioni penali od amministrative, nonché quelle necessarie per
individuare le autorità pubbliche alle quali affidare le funzioni
amministrative attinenti all’applicazione della nuova disciplina;
·
ove
l’attuazione delle direttive comporti l’istituzione
di nuovi organi o strutture amministrative;
·
ove
l’attuazione delle direttive comporti la previsione
di nuove spese o minori entrate.
I descritti regolamenti possono essere utilizzati anche per porre
rimedio all’eventuale inerzia delle regioni nell’attuazione del diritto CE (comma 8 dell’art. 11), disciplinando
l’esercizio di poteri sostitutivi
statali (su cui si veda infra).
Infine, si ricorda
che l’articolo 13 prevede anche la
possibilità di procedere ad un’attuazione per così dire semplificata, relativa
agli adeguamenti tecnici, stabilendo
- analogamente all’art. 20 della legge n.
183 del 1987 - che il Governo, nelle materie
di legislazione esclusiva, dia attuazione in via amministrativa - con decreto
del Ministro competente - alle norme
comunitarie non autonomamente applicabili, che modifichino caratteristiche di ordine tecnico e
modalità esecutive di direttive già recepite nell’ordinamento nazionale.
Circa l’attuazione da parte delle regioni, è previsto un potere sostitutivo dello Stato nel caso di inerzia (su cui si veda infra).
L’articolo 10 definisce gli strumenti giuridici, diversi dalla legge comunitaria annuale, con i quali è possibile
ottemperare agli obblighi comunitari di adeguamento del nostro ordinamento,
siano essi relativi ad atti normativi da recepire, che conseguenti a sentenze
di organi giurisdizionali delle Comunità o dell’Unione europea. La condizione per poter usufruire di
questo canale ulteriore rispetto allo strumento tradizionale della legge
comunitaria annuale è che il termine di
adempimento degli obblighi comunitari in questione scada anteriormente alla data presunta di entrata in vigore della legge
comunitaria relativa all’anno in
corso.
Per quanto riguarda la tipologia di atti, l’articolo 10 prevede che
siano provvedimenti, anche urgenti, adottati
dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei
ministri o del Ministro per le
politiche comunitarie. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro
per i rapporti con il Parlamento dovranno altresì assumere le iniziative
necessarie per favorire un tempestivo
esame parlamentare di tali atti.
Al riguardo, si segnala che la formulazione
utilizzata pone dei problemi in ordine all’esatta individuazione del tipo di
atti che il Governo può adottare in base alla norma in esame. In primo luogo,
dall’espressione letterale della disposizione si evince che non si tratta
necessariamente di provvedimenti urgenti ma anche di atti ordinari. Rimane
peraltro incerta, attesa la genericità del termine “provvedimento”, la natura
degli atti adottabili, risultando dubbio se essi possano essere anche normativi oltre che amministrativi. Inoltre, nel caso in cui si ritenessero
ammissibili atti normativi, non appare chiaro se possa trattarsi di fonti di
rango primario ovvero esclusivamente secondario. In ogni caso, per quanto
riguarda le fonti primarie adottabili dal Governo, si ricorda che i decreti
legislativi possono essere emanati solo previa delegazione delle Camere, mentre
per i decreti legge è comunque necessaria la ricorrenza dei presupposti di
straordinaria necessità ed urgenza e, a tal fine, non sembra peraltro
sufficiente l’imminenza della scadenza del termine di recepimento della
direttiva. Si potrebbe, infine, ipotizzare che il termine provvedimenti possa
alludere anche a disegni di legge da
presentare al Parlamento ed in questa chiave si spiegherebbe anche la
previsione in base alla quale il Governo deve assumere le iniziative necessarie
per favorire un tempestivo esame parlamentare dei provvedimenti in tal modo
adottati.
Qualora gli “obblighi di adeguamento”
tocchino materie rientranti nella
competenza legislativa o
amministrativa delle regioni e
province autonome, il comma 3
prevede una procedura particolare,
secondo la quale il Governo informa gli enti titolari del potere-dovere di
provvedere, assegnando un termine per l’adempimento, eventualmente sottoponendo
la questione alla Conferenza permanente Stato-Regioni. In caso di mancato
adempimento nei termini da parte dell’ente interessato, il Presidente del
Consiglio dei ministri o il ministro
per le politiche comunitarie propongono al Consiglio dei ministri di assumere
iniziative volte all’esercizio dei poteri sostitutivi (vedi infra).
Il comma 4, infine, recentemente modificato dalla legge comunitaria
per il 2005 (legge n. 29 del 2006, art. 2), prevede che i decreti legislativi
di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative,
emanati sulla base di deleghe contenute in leggi diverse dalla comunitaria,
debbano comunque essere rispettosi dei principi e dei criteri direttivi generali posti dalla stessa legge
comunitaria per il periodo di riferimento. Tale norma è applicabile anche per l’emanazione di testi unici di
riordino ed armonizzazione, nel rispetto delle competenze di regioni e province
autonome.
L’articolo 16 disciplina le competenze delle regioni e
delle province autonome nel dare attuazione alle direttive comunitarie, tema
affrontato in precedenza nell’articolo 9 della legge La Pergola.
Si
segnala, peraltro, che il successivo articolo
20, in riferimento alle disposizioni dell’intera legge in commento,
provvede a fare salve le norme previste
negli statuti delle regioni ad autonomia differenziata e le relative norme
di attuazione. Si tratta della formula di norma utilizzata a salvaguardia
dell’autonomia delle regioni a statuto speciale e delle province autonome. La
disposizione non esclude i suddetti enti dall’applicazione della legge in
esame, nelle parti in cui gli statuti e le norme di attuazione non disciplinino
diversamente la materia.
Il comma 1 dell’art. 16,
riprendendo nel contenuto l’analoga
disposizione della legge La Pergola, attribuisce a tutte le regioni nonché
alle province autonome di Trento e di Bolzano nelle materie di propria
competenza la facoltà di dare immediata
attuazione alle direttive comunitarie. Peraltro, nelle materie oggetto di potestà
legislativa concorrente, il secondo periodo del comma 1 (come pure
l’articolo 9, comma 1, lett. f) chiarisce che la legge comunitaria dovrà indicare i princìpi fondamentali cui le
regioni e le province autonome sono tenute a conformarsi: tali principi
sono qualificati come inderogabili dalla legge regionale o provinciale.
Si ricorda che la legge ordinaria di attuazione del nuovo Titolo V
della Costituzione (Legge n. 131 del 2003 – la cosiddetta legge La Loggia)
prevede che “nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le
Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali
espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle
leggi statali vigenti” (articolo 1, comma 3).
I provvedimenti regionali (e provinciali), rientranti nelle materie di
propria competenza legislativa, dovranno indicare nel titolo il numero
identificativo della direttiva attuata ed essere trasmessi immediatamente in
copia conforme alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le
politiche comunitarie.
Il comma 3 disciplina l’ipotesi dell’intervento statale anticipato e
cedevole nell’ipotesi di inerzia
regionale (sul quale si veda infra
il paragrafo successivo).
Infine, per le
direttive che ricadano in materie di
legislazione esclusiva dello Stato, il comma
4 prevede che il Governo indichi i
criteri e formuli le direttive alle quali si devono attenere le regioni e
le province autonome ai fini del soddisfacimento di esigenze di carattere
unitario, del perseguimento degli obiettivi della programmazione economica e
del rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali.
Tale
indicazione può avvenire con varie modalità. Il Governo infatti è libero di
utilizzare uno dei seguenti strumenti:
-
la legge o un
atto avente forza di legge;
-
i regolamenti
governativi sulla base della legge comunitaria;
-
una semplice
deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del Presidente del
Consiglio dei ministri, o del Ministro per le politiche comunitarie, d'intesa
con i Ministri competenti, secondo le modalità stabilite dall’articolo 8 della
legge n. 59 del 1997[10].
Quest’ultima formula ricalca quella relativa agli atti di indirizzo e
coordinamento, disciplinati, appunto dal citato articolo 8 della legge n. 59.
La disciplina dei
poteri statali sostitutivi è contenuta – nell’ambito della legge n. 11 del 2005
– in vari articoli, che riprendono sostanzialmente quanto già previsto in
materia nelle leggi comunitarie approvate dopo l’entrata in vigore della riforma
del Titolo V della Costituzione (v. scheda Titolo
V e norme di attuazione).
Si
ricorda, infatti, che a partire dalla legge n. 39 del 2002, all’articolo 1,
comma 5 (o comma 6), è stata inserita una norma che prevede un intervento
suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza
delle Regioni nell’attuazione delle direttive, nel rispetto dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dei princìpi fondamentali stabiliti
dalla legislazione dello Stato.
Si tratta, in particolare, degli articoli
11, comma 8, relativo all’attuazione in via regolamentare, 13, comma 2, relativo agli adeguamenti
tecnici, e 16, comma 3, in materia
di attuazione regionale.
La disciplina è
sostanzialmente quella prevista dall’art.
11, comma 8, volto a dare attuazione all’art. 117, V comma, Cost.: in base
ad esso spetta allo Stato, secondo modalità da stabilirsi con legge, un potere
sostitutivo delle regioni e province autonome per i casi di loro inadempienza
agli obblighi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea.
La norma prevede una triplice garanzia per le regioni e province
autonome:
§
gli atti statali attuativi di direttive
comunitarie, che intervengono su materie
rimesse alla competenza legislativa
– concorrente o residuale generale – delle regioni
o delle province autonome, entrano in
vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione
della normativa comunitaria;
§
esclusivamente
nelle regioni e province autonome che
non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;
§
gli atti statali perdono comunque efficacia
dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale)
di attuazione delle direttive comunitarie, adottata da ciascuna regione e
provincia autonoma e devono recare l’esplicita
indicazione della natura sostitutiva e cedevole del potere esercitato e
delle disposizioni in essi contenute.
La norma in oggetto persegue la duplice finalità di rispettare, da un
lato, il riparto di competenze legislative delineato dal nuovo art. 117 Cost.
nonché le competenze in materia di attuazione degli atti comunitari attribuite
alle regioni dal quinto comma dell’art. 117 medesimo; dall’altro, di garantire
allo Stato – attraverso l’esercizio del potere sostitutivo previsto
espressamente dal medesimo quinto comma – uno strumento per evitare l’insorgere
di una responsabilità nei confronti dell’Unione europea a seguito
dell’eventuale mancata attuazione delle direttive da parte delle regioni e
conseguentemente del verificarsi di ritardi tali da esporre l’Italia a
procedure di infrazione. La natura cedevole delle norme statali – secondo uno schema
normativo già noto prima della modifica della Costituzione – consente in ogni
caso alle regioni di esercitare la propria potestà legislativa.
Tale
meccanismo appare in linea con la pregressa giurisprudenza della Corte costituzionale, alla stregua della
quale, in caso di inerzia delle regioni e province autonome nella attuazione
delle direttive comunitarie “si fa necessariamente strada il potere-dovere
dello Stato di assicurare l'adempimento degli obblighi comunitari, ciò di cui,
unitariamente e per tutto il territorio nazionale, lo Stato stesso è
responsabile. (…) Allo Stato, dunque, il compito di supplire all'eventuale
inerzia con proprie norme, colmando
la lacuna; alle Regioni e alle Province autonome il potere di far uso in
qualunque momento delle proprie competenze, rendendo di conseguenza
inapplicabile la normativa statale” (sentenza n. 425/1999).
Si ricorda peraltro che l’art.
117, VI comma, Cost. stabilisce che la potestà regolamentare spetta allo
Stato solamente nelle materie di legislazione esclusiva. In ogni caso, la
possibilità che regolamenti statali intervengano temporaneamente a disciplinare
materie di competenza regionale rappresenta una deroga che trova una proprio
fondamento costituzionale nell’art. 117, V comma, Cost., anche secondo quanto
evidenziato dalla più recente dottrina (Anzon) e dal Consiglio di Stato.
Si ricorda, infatti, che l’Adunanza
Generale del Consiglio di Stato si è recentemente (dopo la riforma del titolo V) pronunciata sul punto, rilevando come
all’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle
Regioni o alle Province autonome in via esclusiva o concorrente, siano
competenti le Regioni e le Province autonome, ma se queste non dovessero
provvedere, sussiste il potere dovere dello Stato di attuare, attraverso
proprie fonti normative, anche
regolamentari, tali direttive, al fine di rispettare i vincoli comunitari;
le norme poste dallo Stato in via sostitutiva risultano applicabili solo
nell’ambito dei territori delle Regioni e Province autonome che non abbiano
provveduto e siano cedevoli. Ai fini dell’attuazione in via sostitutiva, è
necessario sentire previamente la Conferenza Stato-Regioni nel rispetto del
principio di leale collaborazione. Inoltre, dal momento che l’art. 117, V
comma, Cost. prevede il potere sostitutivo in caso di inadempienza, la norma
statale, se emanata anteriormente, avrà effetto soltanto dalla scadenza
dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole
Regioni inadempienti. E’ necessario che l’atto normativo dello Stato in
funzione sostitutiva contenga la clausola di cedevolezza, in virtù della natura
esclusivamente collaborativa dell’intervento dello Stato in materie di
competenza regionale. (Adunanza Generale 25 febbraio 2002).
Analogamente, l’art. 13, comma 2, sempre in attuazione dell’art. 117, V comma,
stabilisce che i provvedimenti in materia di adeguamenti tecnici possono essere adottati nelle materie di
competenza legislativa regionale in caso di inerzia delle regioni e province
autonome. In tale caso, i provvedimenti
statali adottati si applicano secondo modalità identiche a quelle definite
dall’articolo 11, comma 8.
Infine, l’art. 16, comma 3, in riferimento all’attuazione regionale delle direttive comunitarie, chiarisce che le
disposizioni legislative adottate dallo Stato per l’adempimento degli obblighi
comunitari in materie di competenza regionale si applicano “alle condizioni e
secondo la procedura di cui all’art. 11, comma 8”. La disciplina applicabile in
questi casi è quindi desumibile dalla norma citata, che viene richiamata
esclusivamente per quanto riguarda le condizioni e la procedura di attuazione,
non anche per il tipo di atti statali sostitutivi che essa presuppone (v.
scheda Le leggi comunitarie regionali).
La disciplina dei poteri sostitutivi, dettata dagli articoli in esame,
si aggiunge a quanto previsto dall’art.
8 della legge n. 131 del 2003
(c.d. Legge La Loggia), che è volto a regolare l’esercizio del diverso potere sostitutivo previsto dall’articolo
120 della Costituzione.
La norma stabilisce, in via
generale, che i provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati alle
finalità perseguite e, in particolare, il comma
1:
· l’assegnazione di un congruo termine all’ente interessato per provvedere;
· l’adozione
dell’atto sostitutivo, di natura anche normativa, da parte del Consiglio
dei ministri solo a seguito dell’infruttuoso decorso del termine, sentito
l’organo interessato.
Peraltro, il comma 2
dispone che qualora l’esercizio del potere sostitutivo si renda necessario al
fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti ed
i provvedimenti sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei
ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro competente
per materia, abrogando l’articolo 11
della legge La Pergola, che dettava la disciplina relativa all’esercizio di
poteri statali sostitutivi in caso di inerzia regionale (e delle province
autonome)[11].
Accanto a questa forma di sostituzione, l’articolo 8 ne
disciplina un’altra, attivabile nei casi
di assoluta urgenza (comma 4):
qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in
pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione, il
Consiglio dei ministri, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali,
adotta i provvedimenti necessari, comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o
alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, che possono chiederne il
riesame.
Per quanto riguarda i rapporti tra la sostituzione delineata dagli
articoli in esame della legge n. 11 e quella disciplinata dalla legge La
Loggia, si evidenzia che, in effetti, le due leggi fanno riferimento a diversi
articoli della Costituzione: le disposizioni della legge n. 11 si pongono in
attuazione dell’art. 117, V comma, Cost., mentre l’art. 8 della legge n. 131
richiama l’art. 120, II comma, Cost.
Si
ricorda che l’art. 117, V comma, Cost.
prevede che le regioni e le province autonome provvedono all’attuazione degli
obblighi comunitari, “nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge
dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in
caso di inadempienza”, mentre l’art.
120, II comma, Cost., stabilisce che il Governo può sostituirsi a organi
delle regioni, città metropolitane, province e comuni, in caso di mancato
rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria
oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero
quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o economica e la tutela dei
livelli essenziali delle prestazioni. La norma prevede altresì che la legge
definisce le procedure idonee a garantire che i poteri sostitutivi siano
esercitati nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione.
Si segnala, comunque, che la più recente dottrina (Rescigno, Anzon, D’Atena, Caretti, Gianfrancesco,
Scaccia, Marazzita) è divisa circa l’interpretazione da attribuire ai due
diversi disposti costituzionali: alcuni ritengono che le due norme facciano
sistema, andando a configurare un’unica fattispecie di intervento sostitutivo,
che ricorrerebbe in caso di inerzia regionale e si esplicherebbe attraverso un
intervento governativo. Altri sostengono, invece, che mentre l’art. 117, V
comma, Cost. riguarderebbe i poteri sostitutivi di natura legislativa, che
presuppongono l’inadempimento regionale, l’art. 120, II comma, Cost.,
disciplinerebbe i poteri sostitutivi di natura amministrativa, che non
presuppongono l’inadempimento delle regioni e devono essere esercitati
esclusivamente dal Governo. Infine, vi è chi ricostruisce il rapporto tra le
due norme costituzionali in termini di sostituzione ordinaria e straordinaria.
Il dettato costituzionale configurerebbe, quindi, una sostituzione ordinaria,
che può essere tanto legislativa (art. 117, V comma) quanto amministrativa
(art. 118), ed una sostituzione straordinaria (art. 120, II comma), cui
ricorrere a fronte di emergenze istituzionali di particolare gravità. Si
tratterebbe in questo caso di una norma di chiusura, che svolge il ruolo
residuale di estrema ratio,
attivabile dal Governo in relazione all’esercizio di funzioni amministrative e
normative, ma non legislative.
Si ricorda, infine, che la Corte
costituzionale ha esaminato il tema dei poteri sostitutivi, in riferimento
alla disciplina regionale della sostituzione di organi comunali da parte della
regione. In tale circostanza, la Corte ha delineato l’art. 120, II comma,
Cost., come norma di chiusura, volta ad assicurare comunque – in un sistema di
più largo decentramento delle funzioni – taluni interessi essenziali.
Configurandosi come estrema ratio la
norma non esaurisce le possibilità di esercizio di poteri sostitutivi, dal
momento che essa ”prevede solo un potere sostitutivo straordinario in capo al
Governo”, da esercitarsi in casi tassativamente indicati (si vedano, in
particolare, la sentenza n. 43 del 2004 – che si è occupata della questione per
prima – e le successive sentenze nn. 69, 74, 112 e 173 del 2004).
La legge in commento
disciplina anche le sessioni comunitarie della Conferenza Stato-regioni e della
Conferenza Stato-città ed autonomie locali, stabilendo rispettivamente che il
Presidente del Consiglio convochi:
-
almeno ogni sei mesi - anche su richiesta
delle regioni e delle province autonome - una sessione speciale della
Conferenza Stato-regioni, dedicata alla trattazione
degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse regionale e provinciale
(articolo 17, che riproduce
sostanzialmente quanto già previsto
dall’articolo 10 della legge La Pergola);
-
almeno una volta all'anno - anche su richiesta
delle associazioni rappresentative degli enti locali o degli enti locali
interessati - una sessione speciale della Conferenza Stato-città ed autonomie
locali, dedicata alla trattazione degli
aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali (articolo
18).
Dei risultati emersi in tali sedi il Governo è tenuto ad informare
tempestivamente le Camere.
Infine, si ricorda l’articolo 14, che detta la disciplina
per l’attuazione delle decisioni
adottate dal Consiglio o dalla Commissione delle Comunità europee.
L’articolo riproduce in modo pressoché identico il contenuto dei tre
commi del precedente articolo 6 della legge La Pergola, ma aggiunge un nuovo comma 4, che dispone l‘obbligo di
trasmissione alle Camere delle decisioni
del Consiglio e della Commissione europea, nonché la loro trasmissione alle
Regioni ed alle province autonome qualora le decisioni stesse ricadano
nella competenza di tali enti. La nuova procedura è quindi volta a consentire
l’espressione del Parlamento (in ogni caso) e delle regioni e province autonome
(solo nelle materie di loro competenza) anche in tema di attuazione delle
decisioni comunitarie[12].
Per quanto riguarda
il meccanismo di esame, si prevede
che, a seguito della notificazione, sulle decisioni destinate alla Repubblica
italiana il Ministro per le politiche comunitarie, consultati il Ministro per
gli affari esteri e quelli interessati e d’intesa con essi, debba riferire al
Consiglio dei ministri, qualora, alternativamente: esse rivestano particolare
importanza per gli interessi nazionali; esse comportino rilevanti oneri di
esecuzione. In tali casi, il Consiglio dei ministri[13]
è tenuto a:
1)
deliberare l’impugnazione della decisione innanzi alla Corte di Giustizia della
Comunità europea;
2) emanare le
direttive opportune per la esecuzione della decisione a cura delle autorità
competenti.
[1] Il riferimento delle disposizioni della
legge 11/2005 agli “atti e progetti di atti comunitari e dell’Unione europea”
implica che rientrano nel campo di applicazione della legge le attività
relative alla predisposizione non solo degli atti propriamente comunitari (I°
pilastro), ma anche degli atti adottati nell’ambito delle disposizioni
contenute nel Trattato sull’Unione europea relative politica estera e di
sicurezza comune (II° pilastro) ed alla cooperazione di polizia e giudiziaria
nel settore penale (III° pilastro).
[2]
La riserva di esame parlamentare può
essere apposta su di un testo ovvero su una o più parti di esso.
[3] Come previsto ai sensi dell’articolo 3 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
[4] Infatti, la norma prevede che il Presidente
del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie informino
tempestivamente le Camere e le regioni e province autonome sugli atti normativi
e di indirizzo emanati dalla Unione europea e dalle Comunità europee. L’informazione
di regioni e province autonome deve avvenire per il tramite della Conferenza
dei presidenti delle regioni e delle province autonome e della Conferenza dei
presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome. La
previsione del doppio tramite pare sottendere la volontà di coinvolgere nella
fase discendente tanto il livello
esecutivo, quanto quello assembleare di regioni e province autonome.
[5] Per quanto riguarda lo Stato, il Presidente del Consiglio ovvero il Ministro per le politiche comunitarie verificano, con la collaborazione delle amministrazioni interessate, la conformità sia dell’ordinamento interno sia degli indirizzi politici del Governo, trasmettendo le risultanze di tale controllo, con cadenza almeno quadrimestrale, agli organi parlamentari competenti nonché alla Conferenza Stato-Regioni e a quella dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, che possono formulare ogni opportuna osservazione. Il Governo indica, inoltre, le eventuali misure necessarie per l’adeguamento;
Per quanto riguarda le regioni e le province autonome, esse - verificato lo stato di conformità dei rispettivi ordinamenti - trasmettono le risultanze del controllo alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per le politiche comunitarie, indicando anche le misure da intraprendere.
[6] Si ricorda altresì che, contrariamente a
quanto previsto dall’articolo 10, comma 3-quater, del Testo unico sulla
promulgazione delle leggi (DPR n. 1092/1985), introdotto dall’art. 4 della
legge comunitaria 1999, non è stato rispettato, in sede di pubblicazione delle
leggi comunitarie del 2000, del 2001, del 2002, del 2003 e del 2004, l’obbligo
di riportare a titolo informativo nella Gazzetta Ufficiale, unitamente alla
legge comunitaria annuale, l’elenco delle direttive attuate o da attuare in via
amministrativa. Tale obbligo era invece stato rispettato in sede di pubblicazione
della legge comunitaria per il 1999.
[7] Può citarsi, al riguardo, l’articolo 4
della legge comunitaria per il 2004 (legge 27/4/2005, n. 62), che riprende a
sua volta il disposto dell’articolo 4 delle precedenti leggi comunitarie.
[8] In particolare, le norme generali
consistono in:
-
individuazione della responsabilità e delle funzioni
attuative delle amministrazioni, nel
rispetto del principio di sussidiarietà;
-
esercizio dei controlli da parte degli organismi già
operanti nel settore e secondo
modalità che assicurino efficacia,
efficienza, sicurezza e celerità;
-
esercizio delle
opzioni previste dalle direttive in conformità alle peculiarità socio-economiche nazionali e locali e alla normativa di
settore;
- fissazione di termini e procedure, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 20, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59[8], e successive modificazioni (a tale proposito si segnala che i termini e le procedure cui riferirsi sono ora contenute nel comma 4, anziché nel comma 5 dell’art. 20 della legge n. 59/1997, a seguito della sostituzione dell’art. 20 stesso ad opera dell’art. 1 della legge 29 luglio 2003, n. 229).
[9] In realtà, è richiesta esclusivamente la legge comunitaria per gli ultimi due punti, mentre per il primo la legge comunitaria o altra legge statale e per il secondo una qualsiasi legge statale.
[10] Così dispone la norma citata: 1. Gli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative regionali, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive relative all'esercizio delle funzioni delegate, sono adottati previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, o con la singola regione interessata. 2. Qualora nel termine di quarantacinque giorni dalla prima consultazione l'intesa non sia stata raggiunta, gli atti di cui al comma 1 sono adottati con deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta. 3. In caso di urgenza il Consiglio dei ministri può provvedere senza l'osservanza delle procedure di cui ai commi 1 e 2. I provvedimenti in tal modo adottati sono sottoposti all'esame degli organi di cui ai commi 1 e 2 entro i successivi quindici giorni. Il Consiglio dei ministri è tenuto a riesaminare i provvedimenti in ordine ai quali siano stati espressi pareri negativi. 4. Gli atti di indirizzo e coordinamento, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive adottate con deliberazione del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alle competenti Commissioni parlamentari.
[11] In particolare, la norma stabiliva che in
caso di inadempimento delle regioni (e province autonome) il Governo, ai sensi
dell’art. 6, III comma, del d.p.r. n. 616, poteva prescrivere con deliberazione
del Consiglio dei Ministri, su parere della Commissione parlamentare per le
questioni regionali e sentita la regione interessata, un congruo termine per
provvedere, decorso il quale era possibile adottare i provvedimenti necessari in
sostituzione dell'amministrazione regionale. In particolare, il Consiglio dei
Ministri disponeva l'intervento sostitutivo dello Stato, eventualmente
attraverso il conferimento dei poteri necessari ad un’apposita commissione.
[12] Il meccanismo prevede la trasmissione alle
Regioni per il tramite della Conferenza dei presidenti delle stesse regioni e
province autonome, nonché della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei
Consigli regionali e delle province autonome, con la possibilità per questi
soggetti di formulare osservazioni.
[13] Al Consiglio dei ministri, nei casi in cui
l’esecuzione della decisione investa profili di competenza regionale, è
chiamato ad intervenire, con voto consultivo, il presidente della regione o
provincia autonoma, salvo quanto stabilito dagli statuti speciali.