La legge n. 11 del 2005

La legge 4 febbraio 2005, n. 11 è volta a modificare le procedure per la partecipazione dell’Italia al processo di formazione e di attuazione della normativa comunitaria previste dalla legge “La Pergola” (legge 9 marzo 1989, n. 86) - che viene integralmente sostituita ed abrogata - rafforzando la partecipazione del nostro Paese al processo normativo comunitario, sia nella fase di formazione (ascendente) che in quella di attuazione (discendente).

La fase ascendente

In particolare, la legge ridisegna la disciplina della partecipazione del Parlamento, delle Regioni e province autonome, degli enti locali, delle parti sociali e delle categorie produttive al processo di formazione delle decisioni comunitarie e dell’Unione europea (cosiddetta “fase ascendente”), prevedendo espressamente tra le finalità della legge la disciplina del processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea (articolo 1).

Dal momento che il ruolo di coordinamento nel processo di definizione della posizione italiana è affidato al Governo, la legge ha istituito – presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), con il compito di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione della posizione italiana nella fase di fase di predisposizione degli atti comunitari e dell’Unione europea e adempiere ai compiti previsti dalla legge (articolo 2) (v. scheda Strutture governative).

La partecipazione del Parlamento

Per quanto riguarda il versante parlamentare, la legge n. 11 rafforza, rispetto alla “legge La Pergola”, il ruolo del Parlamento nella fase ascendente, dotandolo di incisivi mezzi di intervento.

Ad esempio, l’articolo 3 (Partecipazione del Parlamento al processo di formazione delle decisioni comunitarie e dell’Unione europea) delinea una gamma molto ampia di atti che il Governo è tenuto a trasmettere alle Camere: progetti di atti comunitari e dell’Unione europea, gli atti preordinati alla formulazione degli stessi, e le loro modificazioni, ivi compresi i documenti di consultazione, quali libri verdi, libri bianchi e comunicazioni[1]. La norma stabilisce, inoltre, che essi vengano comunicati dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per le politiche comunitarie, contestualmente alla loro ricezione e che sia indicata la data presumibile in cui verranno discussi o adottati dagli organi comunitari. Gli atti e i progetti di atti in tal modo trasmessi vengono assegnati ai competenti organi parlamentari, che possono formulare osservazioni e adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo. La trasmissione non esaurisce però i compiti dell’esecutivo, che deve altresì:

-               assicurare al Parlamento un’informazione qualificata e tempestiva sui progetti e sugli atti trasmessi, curandone il costante aggiornamento;

-               informare tempestivamente i competenti organi parlamentari sulle proposte e sulle materie che risultano inserite all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea;

-               illustrare alle Camere la posizione che intende assumere, in vista dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo (eventualmente riferendo ai competenti organi parlamentari prima delle riunioni del Consiglio);

-               riferire semestralmente al Parlamento illustrando i temi di maggiore interesse decisi o in discussione in ambito comunitario, informando gli organi parlamentari competenze in ordine ai risultati delle riunioni dei Consigli europei;

-               fornire, su richiesta degli organi parlamentari competenti, una relazione tecnica che dia conto dello stato dei negoziati, dell’impatto sull’ordinamento, sull’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sull’attività dei cittadini e delle imprese in relazione ai vari progetti di atti comunitari all’esame.

 

Nell’ambito degli obblighi di informazione che fanno capo al Governo, occorre menzionare anche la relazione annuale al Parlamento sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea. Larticolo 15 - riprendendo una disposizione già contenuta nella legge “La Pergola” (art. 7) - prevede che il Governo presenti entro il 31 gennaio di ogni anno una relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, nella quale siano chiaramente distinti la parte a consuntivo, contenente i resoconti delle attività svolte, da quella a preventivo, relativa agli orientamenti che il Governo intende assumere per l’anno in corso.

La legge 11/2005 introduce due novità per quanta riguarda il contenuto della relazione.

Tali modifiche hanno lo scopo di soddisfare l’esigenza di “creare procedure che consentano l’analisi e l’approvazione della Relazione sulla partecipazione dell’Italia alla Unione europea in tempi certi e brevi e di riservare una sempre maggiore attenzione alle risoluzioni adottate dal Parlamento, così da rendere possibile il confronto tra intendimenti ed indirizzi, da un lato, e dei risultati conseguiti, dall’altro”, come si  legge nella relazione al testo unificato della riforma della legge La Pergola, proposto dalla XIV Commissione all’Aula della Camera dei Deputati, ed in alcuni atti d’indirizzo parlamentare approvati nel recente passato, in occasione dell’esame della relazione sulla partecipazione dell’Italia all’UE.

Infatti, tra i temi  della relazione sono stati inseriti:

Ø    i pareri, le osservazioni e gli atti di indirizzo delle Camere, nonché le osservazioni della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, con l’indicazione delle iniziative assunte e dei provvedimenti conseguentemente adottati;

Ø    l’elenco e i motivi delle eventuali impugnazioni di decisioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea o della Commissione europea destinate alla Repubblica italiana.

La prima disposizione, in particolare, è volta a fornire uno strumento informativo e di controllo sulla rispondenza dell’attività del Governo in sede comunitaria agli indirizzi formulati dalle Camere e dalle regioni e province autonome.

Gli altri temi, già previsti dalla legge La Pergola, sui quali incentrare la relazione annuale sono:

Ø     gli sviluppi del processo di integrazione europea, con particolare riferimento alle attività del Consiglio europeo e del Consiglio dei ministri dell’Unione europea; alle questioni istituzionali; alle relazioni esterne dell’Unione europea; alla cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni e agli orientamenti generali delle politiche dell’Unione;

Ø     la partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario con l’esposizione dei princìpi e delle linee caratterizzanti della politica italiana nei lavori preparatori in vista dell’emanazione degli atti normativi comunitari e, in particolare, degli indirizzi del Governo su ciascuna politica comunitaria, sui gruppi di atti normativi riguardanti la stessa materia e su singoli atti normativi che rivestono rilievo di politica generale;

Ø     l’attuazione in Italia delle politiche di coesione economica e sociale, l’andamento dei flussi finanziari verso l’Italia e la loro utilizzazione, con riferimento anche alle relazioni della Corte dei conti delle Comunità europee per ciò che concerne l’Italia.

 

Inoltre, l’articolo 4 della legge n. 11 ha introdotto la riserva di esame parlamentare, che può essere attivata su iniziativa di una delle Camere o del Governo, in relazione agli atti comunitari per i quali vi sia obbligo di trasmissione ai sensi dell’articolo 3. In particolare, la norma stabilisce che qualora le Camere abbiano iniziato l’esame di progetti di atti comunitari e dell’Unione europea trasmessi dal Governo, quest’ultimo sia tenuto ad apporre la riserva di esame parlamentare in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, potendo pertanto procedere alle relative attività di propria competenza, una volta terminato l’esame delle Camere. La riserva può essere altresì apposta dallo stesso Esecutivo di propria iniziativa, in relazione a fattispecie di particolare importanza, inviando al Parlamento il testo in questione ai fini della pronuncia dei competenti organi parlamentari in merito[2]. Comunque, decorsi venti giorni dalla comunicazione alle Camere, il Governo può procedere anche in mancanza della pronuncia parlamentare.

Questo istituto è ampiamente consolidato nelle procedure di ordinamenti di altri Stati membri (in particolare Danimarca, Finlandia e Regno Unito), nei quali ha consentito lo sviluppo delle capacità dei Parlamenti nazionali di esaminare i progetti di atti dell’Unione europea in tempo utile per orientare l’attività del rispettivo Governo in sede di Consiglio dei ministri dell’Unione europea.

Partecipazione delle regioni, delle province autonome, degli enti locali, delle parti sociali e delle categorie produttive

La legge n. 11 prevede la partecipazione delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano al processo di formazione delle decisioni comunitarie e dell’Unione europea - in relazione alle materie di loro competenza  - con modalità simili a quelle previste per il Parlamento e, in particolare, per quanto riguarda: la trasmissione di atti e progetti di atti; la possibilità di chiedere al Governo di apporre una riserva d’esame presso il Consiglio dei ministri dell’Unione europea; gli obblighi posti a carico del Governo di riferire in via preventiva e in via consuntiva sull’attività del Consiglio dei ministri dell’Unione europea e del Consiglio europeo.

L’art. 117, quinto comma, della Costituzione dispone che le Regioni e le province autonome, nelle materie di loro competenza, partecipino alle decisioni dirette alla formazione di atti normativi comunitari (v. scheda Titolo V e norme di attuazione). L’art. 5 della legge 131/2003, in attuazione di tale articolo della Costituzione, ha previsto che le Regioni e le Province autonome concorrano direttamente, nelle materie di loro competenza legislativa, alla formazione degli atti comunitari, partecipando, nell'ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della Commissione europea, secondo modalità che garantiscano comunque l'unitarietà della rappresentazione della posizione italiana da parte del Capo delegazione designato dal Governo.  A tal fine, nelle delegazioni del Governo è prevista la partecipazione di almeno un rappresentante delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano. Il Capo delegazione, nelle materie che spettano alle Regioni ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, può essere anche un Presidente di Giunta regionale o di Provincia autonoma. Al riguardo, si ricorda che l’art. 2 dell’accordo generale di cooperazione Stato/regioni per la partecipazione delle regioni alla formazione degli atti comunitari – sancito il 16 marzo 2006, in base al disposto dell’art. 5 della l. n. 131, e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 75 del 30 marzo 2003 – stabilisce che le regioni sono rappresentate dal Presidente della regione o da un delegato da esso designato, mentre l’art. 4 prevede che nelle materie ex art. 117, IV comma, il capo delegazione sia il Governo, salva diversa determinazione assunta d’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, su istanza delle Regioni o della pubblica amministrazione.

In particolare, l’articolo 5 della legge n. 11 prevede la trasmissione da parte del Governo dei progetti di atti comunitari e dell’Unione europea e gli atti preordinati alla formulazione degli stessi alla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e alla Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, ai fini dell’inoltro alle Giunte ed ai Consigli regionali e delle province autonome, assicurando un’informazione qualificata e tempestiva sui progetti e sugli atti trasmessi, che rientrano nelle materie di loro competenza, e curandone il costante aggiornamento.

La trasmissione, a carico del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie, deve essere contestuale alla loro ricezione da parte del Governo e deve essere accompagnata dalla data presunta della loro discussione o adozione.

In relazione agli atti in tal modo trasmessi, le regioni e le province autonome, nelle materie di loro competenza, possono:

-               entro venti giorni dalla data del ricevimento degli atti, trasmettere osservazioni al Governo ai fini della formazione della posizione italiana, ma nel caso in cui tali osservazioni non siano pervenute al Governo entro la data indicata all’atto di trasmissione dei progetti o, in mancanza, entro il giorno precedente quello della discussione in sede comunitaria, il Governo può comunque procedere;

-               richiedere che il Governo convochi la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini del raggiungimento dell’intesa[3] entro il termine di venti giorni. Decorso tale termine, ovvero nei casi di urgenza motivata sopravvenuta, il Governo può procedere anche in mancanza dell’intesa.

-               richiedere, attraverso la Conferenza Stato-Regioni, che il Governo ponga una riserva di esame in sede di Consiglio dei ministri dell’Unione europea, ma decorso il termine di venti giorni l’esecutivo può procedere anche in mancanza della pronuncia della Conferenza.

 

Anche nei confronti delle regioni e delle province autonome, incombono al Governo specifici obblighi informativi. Esso, infatti, è tenuto a:

-               informare tempestivamente le regioni e le province autonome - per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome - delle proposte e delle materie di loro competenza che risultino inserite all’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea;

-               riferire alla Conferenza Stato-Regioni sulle proposte e sulle materie di competenza delle regioni e delle province autonome che risultano inserite all’ordine del giorno del Consiglio europeo, prima del suo svolgimento ed illustrando la posizione che intende assumere. Su richiesta della Conferenza, il Governo riferisce inoltre sulle proposte e sulle materie di competenza delle regioni e delle province autonome che risultano inserite all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri dell’Unione europea, illustrando la posizione che il Governo intende assumere.

-               informare - per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano - le regioni e le province autonome delle risultanze delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea e del Consiglio europeo con riferimento alle materie di loro competenza, entro quindici giorni dallo svolgimento delle stesse.

Analogamente a quanto avviene per le Regioni, l’articolo 6 prevede la trasmissione alla Conferenza Stato, città e autonomie locali ed alle associazioni rappresentative degli enti locali dei progetti di atti comunitari e dell’Unione europea e degli atti preordinati alla formulazione degli stessi, qualora riguardino questioni di particolare rilevanza negli ambiti di competenza degli enti locali. Su tali atti le associazioni rappresentative degli enti locali, per il tramite della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, possono trasmettere osservazioni al Governo e possono richiedere che gli stessi siano sottoposti all’esame della Conferenza stessa, ma il Governo può comunque procedere, qualora le osservazioni degli enti locali non gli siano pervenute entro la data indicata all’atto di trasmissione dei progetti o degli atti o, in mancanza, entro il giorno precedente quello della discussione in sede comunitaria.

Infine, l’articolo 7 prevede la trasmissione al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) dei progetti di atti comunitari e dell’Unione europea riguardanti materie di particolare interesse economico e sociale. Il CNEL può fare pervenire alle Camere e al Governo le valutazioni e i contributi che ritiene opportuni, istituendo a tale fine uno o più comitati per l’esame degli atti comunitari.

La fase discendente

La legge n. 11 del 2005 reca rilevanti novità anche per quanto riguarda la c.d. fase discendete, relativa all’attuazione degli obblighi comunitari nel nostro ordinamento.

Innanzi tutto, l’articolo 1 afferma, tra l’altro, che la legge è volta a  garantire l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, di proporzionalità, di efficienza, di trasparenza e di partecipazione democratica.

In particolare, la norma chiarisce che tali obblighi derivano:

·         dall’emanazione di ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione;

·         dall’accertamento giurisdizionale, con sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, della incompatibilità di norme legislative e regolamentari dell’ordinamento giuridico nazionale con le disposizioni dell’ordinamento comunitario;

·         dall’emanazione di decisioni-quadro e di decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

Si segnala, quindi, che le innovazioni più significative, relative alla fase discendente, consistono essenzialmente in:

v      ampliamento del contenuto proprio della legge comunitaria;

v      ridefinizione del recepimento delle direttive attraverso la via regolamentare ed amministrativa;

v      disciplina delle modalità di recepimento del diritto comunitario anche al di fuori della legge comunitaria;

v      definizione dei rapporti tra fonti statali e regionali di attuazione del diritto comunitario, in linea con la riforma del Titolo V della Costituzione, con particolare riguardo al tema dei poteri sostitutivi.

 

Per il resto, il provvedimento conferma sostanzialmente l’impianto della legge “La Pergola”, alcune disposizioni della quale sono confluite nella nuova disciplina legislativa.

La legge comunitaria

La legge comunitaria annuale è uno strumento normativo - introdotto per la prima volta dalla legge “La Pergola” - volto ad assicurare il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario. Alla legge comunitaria annuale, la nuova disciplina dedica gli articoli 8 e 9, il primo dei quali afferma solennemente che lo Stato, le regioni e le province autonome, nelle materie di propria competenza legislativa, sono tenuti a dare tempestiva attuazione alle direttive comunitarie.

In particolare, l’articolo 8 definisce la procedura preparatoria alla predisposizione del disegno di legge comunitaria, che vede il coinvolgimento non solo delle Camere, come in precedenza (art. 2, comma 1, l. n. 86/1989), ma anche delle regioni, ai fini della realizzazione della verifica sullo stato di conformità dell’ordinamento interno a quello comunitario[4].

In base alla verifica compiuta[5], il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per le politiche comunitarie presentano il disegno di legge comunitaria annuale entro il 31 gennaio di ogni anno, confermando in tal modo quanto già previsto dalla legge “La Pergola” (comma 4).

L’articolo 8, comma 5, ha, inoltre, ampliato il contenuto della relazione governativa di accompagnamento del ddl comunitaria, che dovrà, pertanto, indicare:

a)      i dati sullo stato di conformità dell'ordinamento interno al diritto comunitario e sullo stato delle eventuali procedure di infrazione dando conto, in particolare, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee relativa alle eventuali inadempienze e violazioni degli obblighi comunitari da parte della Repubblica italiana (analogo a lett. a) dell’articolo 2, comma 3, della legge La Pergola).  

b)      l'elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa (analogo a lett. b) dell’articolo 2, comma 3, della legge La Pergola)[6]. 

c)       l’indicazione dell’eventuale omissione dell’inserimento di direttive il cui termine di recepimento sia scaduto o scada nel periodo di riferimento, in relazione ai tempi previsti per l’esercizio della delega legislativa (analogo a lett. c) dell’articolo 2, comma 3, della legge La Pergola).

d)      l’elenco delle direttive attuate con regolamento ai sensi dell’art. 11 della legge n. 11/2005, nonché gli estremi degli eventuali regolamenti d’attuazione già adottati (si tratta di una novità introdotta dalla legge n. 11).

e)      l’elenco degli atti normativi regionali e delle province autonome  attuativi delle direttive comunitarie. Più precisamente, la disposizione prevede che relazione fornisca “l’elenco degli atti normativi con i quali nelle singole regioni e province autonome si è provveduto a dare attuazione alle direttive nelle materie di loro competenza, anche con riferimento a leggi annuali di recepimento eventualmente approvate dalle regioni e dalle province autonome” (la legge La Pergola conteneva una norma analoga, ma l’articolo in esame ha riformulato in modo più preciso il contenuto).

Il contenuto proprio della legge comunitaria è, invece, disciplinato dall’articolo 9, che ha ampliato gli elementi indicati dalla legge “La Pergola”. Nell’ambito del ddl comunitaria, pertanto, dovranno essere inserite:

·       disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi di attuazione degli atti comunitari (cfr. lett. a), comma 1, art. 3 l. n. 86);

·       disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure di infrazione (cfr. lett. a-bis), comma 1, art. 3 l. n. 86);

·       disposizioni occorrenti per dare attuazione, anche mediante il conferimento al Governo di delega legislativa, a: ogni atto comunitario e dell’Unione europea che vincoli la Repubblica italiana ad adottare provvedimenti di attuazione (cfr. lett. b), comma 1, art. 3 l. n. 86); decisioni-quadro e decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale previste dall’articolo 34 del Trattato UE (si tratta di una novità rispetto alla previgente disciplina);

La tipica modalità di recepimento del diritto comunitario rimane dunque quella che passa attraverso la delega legislativa. Il modello di legge comunitaria, che si è andato delineando negli anni, individua – come è noto – il conferimento di una delega generale al Governo, con la fissazione di principi e criteri direttivi generali, che vanno ad affiancarsi a quelli specifici eventualmente previsti per le singole direttive. In particolare, le direttive da recepire attraverso questa modalità sono inserite in due distinti allegati (A e B), a seconda che sugli schemi di decreto legislativo ad esse relativi non sia necessario acquisire il parere delle competenti Commissioni parlamentari o sia invece necessario. L’intenzione di mutare, invece, impostazione emergeva dalla proposta di legge di iniziativa parlamentare Bova ed altri (A.C. 3310) - alla base del testo unificato di riforma della legge La Pergola, elaborato dalla XIV Commissione della Camera -, che era finalizzata sia a limitare considerevolmente il ricorso alle deleghe sia a renderne i contenuti maggiormente rispettosi del disposto dell’art. 76 Cost. Essa, infatti, oltre a circoscrivere il campo di intervento delle deleghe ai soli casi di scelte tecniche di notevole complessità, prevedeva anche la necessità di indicare espressamente i principi e criteri specifici per ogni singola direttiva da recepire attraverso questa modalità.

·       disposizioni che autorizzano il Governo ad attuare in via regolamentare le direttive, sulla base di quanto previsto dall’articolo 11 (cfr. lett. c), comma 1, art. 3 l. n. 86);

le direttive da recepire con regolamento erano in passato contenute nell’allegato C;

·       disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea (si tratta di una novità introdotta dalla nuova legge);

·       disposizioni che individuano i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per dare attuazione o assicurare l’applicazione di atti comunitari nelle materie di competenza concorrente (si tratta di una novità rispetto alla previgente disciplina);

·       disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni comunitarie recepite dalle regioni e dalle province autonome (si tratta di una innovazione introdotta dalla nuova legge);

·       disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, in conformità ai princìpi e nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 16, comma 3 (si tratta di una novità rispetto alla previgente disciplina).

Il comma 2 reca una disposizione relativa alla copertura degli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni comunitarie allorché gli uffici pubblici siano chiamati a prestazioni e controlli. Si tratta di una disposizione, tesa ad evitare aggravi delle finanze pubbliche, che riprende formule già utilizzate dal legislatore nell’ambito delle ultime leggi comunitarie annuali[7].

Attuazione in via regolamentare ed amministrativa

La possibilità di procedere al recepimento degli atti comunitari anche attraverso i regolamenti governativi era già prevista dalla legge n. 86 del 1989. Peraltro, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, sono emersi alcuni problemi applicativi, soprattutto in relazione all’art. 117, VI comma, che limita alle materie di potestà legislativa statale esclusiva l’ambito di intervento dei regolamenti. Nelle leggi comunitarie successive alla riforma – in particolare, a partire dalla legge n. 39 del 2002 – non è stata pertanto più utilizzata tale modalità di recepimento.

La legge in esame interviene quindi per adeguare al nuovo dettato costituzionale le modalità di attuazione delle direttive in via regolamentare.

Innanzi tutto, l’art. 11 stabilisce che l’attuazione in via regolamentare possa avvenire solo nelle materie di competenza statale esclusiva. In secondo luogo, la norma prevede una differente disciplina (a differenza della legge “La Pergola”, che prevedeva un'unica tipologia di intervento regolamentare) a seconda che l’attuazione venga effettuata attraverso:

·       regolamenti governativi (commi 1-4);

·       regolamenti ministeriali o interministeriali (comma 5).

 

In merito alla prima tipologia, l’art. 11 pone dei requisiti stringenti, in quanto tali regolamenti possono essere adottati solo nelle materie:

-          già disciplinate con legge;

-          non coperte da riserva assoluta di legge.

In secondo luogo, si stabilisce che i regolamenti siano adottati ai sensi dell’articolo 17, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia di concerto con gli altri ministri interessati.

Si ricorda che l’art. 17 della legge n. 400 del 1988 prevede, al comma 1, l’adozione di regolamenti governativi esecutivi, attuativi-integrativi, indipendenti e di organizzazione. Tali regolamenti vengono adottati attraverso decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato. Il comma  2 prevede poi i regolamenti di delegificazione, che disciplinano materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi, autorizzando il Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

Sugli schemi dei regolamenti devono essere acquisiti determinati pareri e in particolare:

-          sempre il parere del Consiglio di Stato, che deve esprimersi nei 45 giorni successivi alla richiesta.

-          il parere dei competenti organi parlamentari solo ove la legge comunitaria disponga in tal senso entro il termine di quaranta giorni dall’assegnazione, decorso il quale il Governo può procedere anche in assenza del parere. 

Al riguardo, si ricorda che il regolamento della Camera, a seguito delle modifiche apportate nel luglio del 1999, ha previsto la possibilità per le Commissioni di applicare all’esame di tali atti, in quanto compatibili, le disposizioni relative all’esame in sede referente dei progetti di legge, prevedendo altresì la possibilità di trasmetterli al Comitato per la legislazione (art. 96-ter).

Si ricorda che la procedura appena descritta può essere utilizzata anche per recepire (ovviamente con fonte di rango regolamentare) le modifiche delle direttive attuate in via regolamentare ai sensi dell’articolo in esame, se così dispone la legge comunitaria (art. 12), analogamente a quanto già previsto dall’art. 5 della legge n. 86 del 1989.

I regolamenti in esame devono conformarsi a principi generali espressamente individuati dal comma 3, nel rispetto dei principi e delle disposizioni posti dalle direttive da attuare, e tenendo comunque conto delle eventuali modificazioni della disciplina comunitaria intervenute sino al momento della loro adozione[8].

Si osserva come la tipologia regolamentare delineata dalla legge in esame si discosti parzialmente dal modello definito dalla legge n. 400 del 1988. Infatti, pur richiamando la procedura di adozione dei regolamenti prevista dalla legge n. 400, l’articolo 11 aggiunge l’ulteriore requisito del rispetto delle norme generali da esso poste da parte degli emanandi regolamenti governativi. In tal modo, si mira a guidare il futuro intervento del Governo ponendo dei principi generali, sulla falsariga di quanto avviene per la delega legislativa. Tale impostazione riflette la più generale tendenza emersa in materia di regolamenti di delegificazione, secondo la quale le relative disposizioni di autorizzazione anziché individuare le norme generali regolatrici della materia e le norme, che si intendono abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore dei regolamenti, pongono dei principi e criteri direttivi cui dovrà attenersi il Governo ai fini della predisposizione dei regolamenti. La disciplina posta dalla norma in esame – richiedendo sia il rispetto dell’art. 17 della legge n. 400, sia delle norme generali espressamente individuate – sembra pertanto rappresentare un ibrido tra il modello tradizionale, delineato dall’articolo 17 della legge n. 400, e quello affermatosi nella legislazione successiva.

In merito alla seconda tipologia, il comma 5 dell’art. 11 pone ulteriori requisiti, in quanto i regolamenti ministeriali o interministeriali, nonché gli atti amministrativi generali possono intervenire nelle materie:

-          non disciplinate dalla legge;

-          non disciplinate dai regolamenti governativi;

-          non coperte da riserva di legge.

I regolamenti in esame sono adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988.

Si ricorda che quest’ultima norma prevede l’adozione di regolamenti ministeriali o interministeriali (rispettivamente con decreto ministeriale o interministeriale), nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo e debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.

Nelle stesse materie, la disciplina di attuazione può essere posta anche a mezzo di atto amministrativo generale adottato dal Ministro con competenza prevalente per materia, di concerto con gli altri Ministri interessati.

Si ricorda che la possibilità di attuazione in via amministrativa delle direttive comunitarie è stata introdotta dall’articolo 11 della L. 16 aprile 1987, n. 183, cosiddetta “legge Fabbri” e altresì prevista dall’art. 4, comma 7, della legge “La Pergola”: l’art. 11 della legge Fabbri, oltre all’intera legge n. 86 del 1989, sono stati abrogati dall’art. 22 della legge n. 11 del 2005.

In ogni caso, analogamente a quanto già previsto dall’articolo 4, commi 3 e 6, della legge n. 86 del 1989, in relazione ad entrambe le tipologie di regolamenti, è sempre necessario l’intervento della legge comunitaria (o di altra legge)[9]:

·       laddove le direttive lascino spazio alla discrezionalità del legislatore nazionale quanto alle modalità della attuazione, per l’individuazione di principi e criteri direttivi;

·       per l’adozione delle disposizioni atte a prevedere sanzioni penali od amministrative, nonché quelle necessarie per individuare le autorità pubbliche alle quali affidare le funzioni amministrative attinenti all’applicazione della nuova disciplina;

·       ove l’attuazione delle direttive comporti l’istituzione di nuovi organi o strutture amministrative;

·       ove l’attuazione delle direttive comporti la previsione di nuove spese o minori entrate.

I descritti regolamenti possono essere utilizzati anche per porre rimedio all’eventuale inerzia delle regioni nell’attuazione del diritto CE (comma 8 dell’art. 11), disciplinando l’esercizio di poteri sostitutivi statali (su cui si veda infra).

Infine, si ricorda che l’articolo 13 prevede anche la possibilità di procedere ad un’attuazione per così dire semplificata, relativa agli adeguamenti tecnici, stabilendo - analogamente all’art. 20 della legge n. 183 del 1987 - che il Governo, nelle materie di legislazione esclusiva, dia attuazione in via amministrativa - con decreto del Ministro competente - alle norme comunitarie non autonomamente applicabili, che modifichino caratteristiche di ordine tecnico e modalità esecutive di direttive già recepite nell’ordinamento nazionale. Circa l’attuazione da parte delle regioni, è previsto un potere sostitutivo dello Stato nel caso di inerzia (su cui si veda infra).

Misure urgenti di attuazione

L’articolo 10 definisce gli strumenti giuridici, diversi dalla legge comunitaria annuale, con i quali è possibile ottemperare agli obblighi comunitari di adeguamento del nostro ordinamento, siano essi relativi ad atti normativi da recepire, che conseguenti a sentenze di organi giurisdizionali delle Comunità o dell’Unione europea. La condizione per poter usufruire di questo canale ulteriore rispetto allo strumento tradizionale della legge comunitaria annuale è che il termine di adempimento degli obblighi comunitari in questione scada anteriormente alla data presunta di entrata in vigore della legge comunitaria relativa all’anno in corso.

Per quanto riguarda la tipologia di atti, l’articolo 10 prevede che siano provvedimenti, anche urgenti, adottati dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento dovranno altresì assumere le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare di tali atti.

Al riguardo, si segnala che la formulazione utilizzata pone dei problemi in ordine all’esatta individuazione del tipo di atti che il Governo può adottare in base alla norma in esame. In primo luogo, dall’espressione letterale della disposizione si evince che non si tratta necessariamente di provvedimenti urgenti ma anche di atti ordinari. Rimane peraltro incerta, attesa la genericità del termine “provvedimento”, la natura degli atti adottabili, risultando dubbio se essi possano essere anche normativi oltre che amministrativi. Inoltre, nel caso in cui si ritenessero ammissibili atti normativi, non appare chiaro se possa trattarsi di fonti di rango primario ovvero esclusivamente secondario. In ogni caso, per quanto riguarda le fonti primarie adottabili dal Governo, si ricorda che i decreti legislativi possono essere emanati solo previa delegazione delle Camere, mentre per i decreti legge è comunque necessaria la ricorrenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza e, a tal fine, non sembra peraltro sufficiente l’imminenza della scadenza del termine di recepimento della direttiva. Si potrebbe, infine, ipotizzare che il termine provvedimenti possa alludere anche a disegni di legge da presentare al Parlamento ed in questa chiave si spiegherebbe anche la previsione in base alla quale il Governo deve assumere le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare dei provvedimenti in tal modo adottati.

 

Qualora gli “obblighi di adeguamento” tocchino materie rientranti nella competenza legislativa o amministrativa delle regioni e province autonome, il comma 3 prevede una procedura particolare, secondo la quale il Governo informa gli enti titolari del potere-dovere di provvedere, assegnando un termine per l’adempimento, eventualmente sottoponendo la questione alla Conferenza permanente Stato-Regioni. In caso di mancato adempimento nei termini da parte dell’ente interessato, il Presidente del Consiglio dei ministri o il ministro per le politiche comunitarie propongono al Consiglio dei ministri di assumere iniziative volte all’esercizio dei poteri sostitutivi (vedi infra).

Il comma 4, infine, recentemente modificato dalla legge comunitaria per il 2005 (legge n. 29 del 2006, art. 2), prevede che i decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative, emanati sulla base di deleghe contenute in leggi diverse dalla comunitaria, debbano comunque essere rispettosi dei principi e dei criteri direttivi generali posti dalla stessa legge comunitaria per il periodo di riferimento. Tale norma è applicabile anche per l’emanazione di testi unici di riordino ed armonizzazione, nel rispetto delle competenze di regioni e province autonome.

L’attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome

L’articolo 16 disciplina le competenze delle regioni e delle province autonome nel dare attuazione alle direttive comunitarie, tema affrontato in precedenza nell’articolo 9 della legge La Pergola.

Si segnala, peraltro, che il successivo articolo 20, in riferimento alle disposizioni dell’intera legge in commento, provvede a fare salve le norme previste negli statuti delle regioni ad autonomia differenziata e le relative norme di attuazione. Si tratta della formula di norma utilizzata a salvaguardia dell’autonomia delle regioni a statuto speciale e delle province autonome. La disposizione non esclude i suddetti enti dall’applicazione della legge in esame, nelle parti in cui gli statuti e le norme di attuazione non disciplinino diversamente la materia.

Il comma 1 dell’art. 16, riprendendo nel contenuto l’analoga disposizione della legge La Pergola, attribuisce a tutte le regioni nonché alle province autonome di Trento e di Bolzano nelle materie di propria competenza la facoltà di dare immediata attuazione alle direttive comunitarie. Peraltro, nelle materie oggetto di potestà legislativa concorrente, il secondo periodo del comma 1 (come pure l’articolo 9, comma 1, lett. f) chiarisce che la legge comunitaria dovrà indicare i princìpi fondamentali cui le regioni e le province autonome sono tenute a conformarsi: tali principi sono qualificati come inderogabili dalla legge regionale o provinciale.

Si ricorda che la legge ordinaria di attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione (Legge n. 131 del 2003 – la cosiddetta legge La Loggia) prevede che “nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti” (articolo 1, comma 3).

I provvedimenti regionali (e provinciali), rientranti nelle materie di propria competenza legislativa, dovranno indicare nel titolo il numero identificativo della direttiva attuata ed essere trasmessi immediatamente in copia conforme alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie.

Il comma 3 disciplina l’ipotesi dell’intervento statale anticipato e cedevole  nell’ipotesi di inerzia regionale (sul quale si veda infra il paragrafo successivo).

Infine, per le direttive che ricadano in materie di legislazione esclusiva dello Stato, il comma 4 prevede che il Governo indichi i criteri e formuli le direttive alle quali si devono attenere le regioni e le province autonome ai fini del soddisfacimento di esigenze di carattere unitario, del perseguimento degli obiettivi della programmazione economica e del rispetto degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali.

Tale indicazione può avvenire con varie modalità. Il Governo infatti è libero di utilizzare uno dei seguenti strumenti:

-          la legge o un atto avente forza di legge;

-          i regolamenti governativi sulla base della legge comunitaria;

-          una semplice deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro per le politiche comunitarie, d'intesa con i Ministri competenti, secondo le modalità stabilite dall’articolo 8 della legge n. 59 del 1997[10]. Quest’ultima formula ricalca quella relativa agli atti di indirizzo e coordinamento, disciplinati, appunto dal citato articolo 8 della legge n. 59.

I poteri statali sostitutivi

La disciplina dei poteri statali sostitutivi è contenuta – nell’ambito della legge n. 11 del 2005 – in vari articoli, che riprendono sostanzialmente quanto già previsto in materia nelle leggi comunitarie approvate dopo l’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Costituzione (v. scheda Titolo V e norme di attuazione).

Si ricorda, infatti, che a partire dalla legge n. 39 del 2002, all’articolo 1, comma 5 (o comma 6), è stata inserita una norma che prevede un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell’attuazione delle direttive, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dei princìpi fondamentali stabiliti dalla legislazione dello Stato.

Si tratta, in particolare, degli articoli 11, comma 8, relativo all’attuazione in via regolamentare, 13, comma 2, relativo agli adeguamenti tecnici, e 16, comma 3, in materia di attuazione regionale.

La disciplina è sostanzialmente quella prevista dall’art. 11, comma 8, volto a dare attuazione all’art. 117, V comma, Cost.: in base ad esso spetta allo Stato, secondo modalità da stabilirsi con legge, un potere sostitutivo delle regioni e province autonome per i casi di loro inadempienza agli obblighi di attuazione degli atti normativi dell’Unione europea.

La norma prevede una triplice garanzia per le regioni e province autonome:

§         gli atti statali attuativi di direttive comunitarie, che intervengono su materie rimesse alla competenza legislativa – concorrente o residuale generale – delle regioni o delle province autonome, entrano in vigore solo alla data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa comunitaria;

§         esclusivamente nelle regioni e province autonome che non abbiano ancora adottato la propria normativa di attuazione;

§         gli atti statali perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore della normativa regionale (o provinciale) di attuazione delle direttive comunitarie, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma e devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e cedevole del potere esercitato e delle disposizioni in essi contenute.

La norma in oggetto persegue la duplice finalità di rispettare, da un lato, il riparto di competenze legislative delineato dal nuovo art. 117 Cost. nonché le competenze in materia di attuazione degli atti comunitari attribuite alle regioni dal quinto comma dell’art. 117 medesimo; dall’altro, di garantire allo Stato – attraverso l’esercizio del potere sostitutivo previsto espressamente dal medesimo quinto comma – uno strumento per evitare l’insorgere di una responsabilità nei confronti dell’Unione europea a seguito dell’eventuale mancata attuazione delle direttive da parte delle regioni e conseguentemente del verificarsi di ritardi tali da esporre l’Italia a procedure di infrazione. La natura cedevole delle norme statali – secondo uno schema normativo già noto prima della modifica della Costituzione – consente in ogni caso alle regioni di esercitare la propria potestà legislativa.

Tale meccanismo appare in linea con la pregressa giurisprudenza della Corte costituzionale, alla stregua della quale, in caso di inerzia delle regioni e province autonome nella attuazione delle direttive comunitarie “si fa necessariamente strada il potere-dovere dello Stato di assicurare l'adempimento degli obblighi comunitari, ciò di cui, unitariamente e per tutto il territorio nazionale, lo Stato stesso è responsabile. (…) Allo Stato, dunque, il compito di supplire all'eventuale inerzia con proprie norme, colmando la lacuna; alle Regioni e alle Province autonome il potere di far uso in qualunque momento delle proprie competenze, rendendo di conseguenza inapplicabile la normativa statale” (sentenza n. 425/1999).

Si ricorda peraltro che l’art. 117, VI comma, Cost. stabilisce che la potestà regolamentare spetta allo Stato solamente nelle materie di legislazione esclusiva. In ogni caso, la possibilità che regolamenti statali intervengano temporaneamente a disciplinare materie di competenza regionale rappresenta una deroga che trova una proprio fondamento costituzionale nell’art. 117, V comma, Cost., anche secondo quanto evidenziato dalla più recente dottrina (Anzon) e dal Consiglio di Stato.

Si ricorda, infatti, che l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato si è recentemente (dopo la riforma del titolo V) pronunciata sul punto, rilevando come all’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle Regioni o alle Province autonome in via esclusiva o concorrente, siano competenti le Regioni e le Province autonome, ma se queste non dovessero provvedere, sussiste il potere dovere dello Stato di attuare, attraverso proprie fonti normative, anche regolamentari, tali direttive, al fine di rispettare i vincoli comunitari; le norme poste dallo Stato in via sostitutiva risultano applicabili solo nell’ambito dei territori delle Regioni e Province autonome che non abbiano provveduto e siano cedevoli. Ai fini dell’attuazione in via sostitutiva, è necessario sentire previamente la Conferenza Stato-Regioni nel rispetto del principio di leale collaborazione. Inoltre, dal momento che l’art. 117, V comma, Cost. prevede il potere sostitutivo in caso di inadempienza, la norma statale, se emanata anteriormente, avrà effetto soltanto dalla scadenza dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole Regioni inadempienti. E’ necessario che l’atto normativo dello Stato in funzione sostitutiva contenga la clausola di cedevolezza, in virtù della natura esclusivamente collaborativa dell’intervento dello Stato in materie di competenza regionale. (Adunanza Generale 25 febbraio 2002).

Analogamente, l’art. 13, comma 2, sempre in attuazione dell’art. 117, V comma, stabilisce che i provvedimenti in materia di adeguamenti tecnici possono essere adottati nelle materie di competenza legislativa regionale in caso di inerzia delle regioni e province autonome. In tale caso, i provvedimenti statali adottati si applicano secondo modalità identiche a quelle definite dall’articolo 11, comma 8.

Infine, l’art. 16, comma 3, in riferimento all’attuazione regionale delle direttive comunitarie, chiarisce che le disposizioni legislative adottate dallo Stato per l’adempimento degli obblighi comunitari in materie di competenza regionale si applicano “alle condizioni e secondo la procedura di cui all’art. 11, comma 8”. La disciplina applicabile in questi casi è quindi desumibile dalla norma citata, che viene richiamata esclusivamente per quanto riguarda le condizioni e la procedura di attuazione, non anche per il tipo di atti statali sostitutivi che essa presuppone (v. scheda Le leggi comunitarie regionali).

La disciplina dei poteri sostitutivi, dettata dagli articoli in esame, si aggiunge a quanto previsto dall’art. 8 della legge n. 131 del 2003 (c.d. Legge La Loggia), che è volto a regolare l’esercizio del diverso potere sostitutivo previsto dall’articolo 120 della Costituzione.

La norma stabilisce, in via generale, che i provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati alle finalità perseguite e, in particolare, il comma 1:

·       l’assegnazione di un congruo termine all’ente interessato per provvedere;

·       l’adozione dell’atto sostitutivo, di natura anche normativa, da parte del Consiglio dei ministri solo a seguito dell’infruttuoso decorso del termine, sentito l’organo interessato.

Peraltro, il comma 2 dispone che qualora l’esercizio del potere sostitutivo si renda necessario al fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro competente per materia, abrogando l’articolo 11 della legge La Pergola, che dettava la disciplina relativa all’esercizio di poteri statali sostitutivi in caso di inerzia regionale (e delle province autonome)[11].

Accanto a questa forma di sostituzione, l’articolo 8 ne disciplina un’altra, attivabile nei casi di assoluta urgenza (comma 4): qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, che possono chiederne il riesame.

Per quanto riguarda i rapporti tra la sostituzione delineata dagli articoli in esame della legge n. 11 e quella disciplinata dalla legge La Loggia, si evidenzia che, in effetti, le due leggi fanno riferimento a diversi articoli della Costituzione: le disposizioni della legge n. 11 si pongono in attuazione dell’art. 117, V comma, Cost., mentre l’art. 8 della legge n. 131 richiama l’art. 120, II comma, Cost.

Si ricorda che l’art. 117, V comma, Cost. prevede che le regioni e le province autonome provvedono all’attuazione degli obblighi comunitari, “nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”, mentre l’art. 120, II comma, Cost., stabilisce che il Governo può sostituirsi a organi delle regioni, città metropolitane, province e comuni, in caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o economica e la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni. La norma prevede altresì che la legge definisce le procedure idonee a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione.

Si segnala, comunque, che la più recente dottrina (Rescigno, Anzon, D’Atena, Caretti, Gianfrancesco, Scaccia, Marazzita) è divisa circa l’interpretazione da attribuire ai due diversi disposti costituzionali: alcuni ritengono che le due norme facciano sistema, andando a configurare un’unica fattispecie di intervento sostitutivo, che ricorrerebbe in caso di inerzia regionale e si esplicherebbe attraverso un intervento governativo. Altri sostengono, invece, che mentre l’art. 117, V comma, Cost. riguarderebbe i poteri sostitutivi di natura legislativa, che presuppongono l’inadempimento regionale, l’art. 120, II comma, Cost., disciplinerebbe i poteri sostitutivi di natura amministrativa, che non presuppongono l’inadempimento delle regioni e devono essere esercitati esclusivamente dal Governo. Infine, vi è chi ricostruisce il rapporto tra le due norme costituzionali in termini di sostituzione ordinaria e straordinaria. Il dettato costituzionale configurerebbe, quindi, una sostituzione ordinaria, che può essere tanto legislativa (art. 117, V comma) quanto amministrativa (art. 118), ed una sostituzione straordinaria (art. 120, II comma), cui ricorrere a fronte di emergenze istituzionali di particolare gravità. Si tratterebbe in questo caso di una norma di chiusura, che svolge il ruolo residuale di estrema ratio, attivabile dal Governo in relazione all’esercizio di funzioni amministrative e normative, ma non legislative.

Si ricorda, infine, che la Corte costituzionale ha esaminato il tema dei poteri sostitutivi, in riferimento alla disciplina regionale della sostituzione di organi comunali da parte della regione. In tale circostanza, la Corte ha delineato l’art. 120, II comma, Cost., come norma di chiusura, volta ad assicurare comunque – in un sistema di più largo decentramento delle funzioni – taluni interessi essenziali. Configurandosi come estrema ratio la norma non esaurisce le possibilità di esercizio di poteri sostitutivi, dal momento che essa ”prevede solo un potere sostitutivo straordinario in capo al Governo”, da esercitarsi in casi tassativamente indicati (si vedano, in particolare, la sentenza n. 43 del 2004 – che si è occupata della questione per prima – e le successive sentenze nn. 69, 74, 112 e 173 del 2004).

Ulteriori disposizioni

La legge in commento disciplina anche le sessioni comunitarie della Conferenza Stato-regioni e della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, stabilendo rispettivamente che il Presidente del Consiglio convochi:

-          almeno ogni sei mesi - anche su richiesta delle regioni e delle province autonome - una sessione speciale della Conferenza Stato-regioni, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse regionale e provinciale (articolo 17, che riproduce sostanzialmente quanto già  previsto dall’articolo 10 della legge La Pergola);

-          almeno una volta all'anno - anche su richiesta delle associazioni rappresentative degli enti locali o degli enti locali interessati - una sessione speciale della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche comunitarie di interesse degli enti locali (articolo 18).

Dei risultati emersi in tali sedi il Governo è tenuto ad informare tempestivamente le Camere.

 

Infine, si ricorda l’articolo 14, che detta la disciplina per l’attuazione delle decisioni adottate dal Consiglio o dalla Commissione delle Comunità europee.

L’articolo riproduce in modo pressoché identico il contenuto dei tre commi del precedente articolo 6 della legge La Pergola, ma aggiunge un nuovo comma 4, che dispone l‘obbligo di trasmissione alle Camere delle decisioni del Consiglio e della Commissione europea, nonché la loro trasmissione alle Regioni ed alle province autonome qualora le decisioni stesse ricadano nella competenza di tali enti. La nuova procedura è quindi volta a consentire l’espressione del Parlamento (in ogni caso) e delle regioni e province autonome (solo nelle materie di loro competenza) anche in tema di attuazione delle decisioni comunitarie[12].

Per quanto riguarda il meccanismo di esame, si prevede che, a seguito della notificazione, sulle decisioni destinate alla Repubblica italiana il Ministro per le politiche comunitarie, consultati il Ministro per gli affari esteri e quelli interessati e d’intesa con essi, debba riferire al Consiglio dei ministri, qualora, alternativamente: esse rivestano particolare importanza per gli interessi nazionali; esse comportino rilevanti oneri di esecuzione. In tali casi, il Consiglio dei ministri[13] è tenuto a:

1) deliberare l’impugnazione della decisione innanzi alla Corte di Giustizia della Comunità europea;

2) emanare le direttive opportune per la esecuzione della decisione a cura delle autorità competenti.



[1]     Il riferimento delle disposizioni della legge 11/2005 agli “atti e progetti di atti comunitari e dell’Unione europea” implica che rientrano nel campo di applicazione della legge le attività relative alla predisposizione non solo degli atti propriamente comunitari (I° pilastro), ma anche degli atti adottati nell’ambito delle disposizioni contenute nel Trattato sull’Unione europea relative politica estera e di sicurezza comune (II° pilastro) ed alla cooperazione di polizia e giudiziaria nel settore penale (III° pilastro).

[2]     La riserva di esame parlamentare può essere apposta su di un testo ovvero su una o più parti di esso.

[3]     Come previsto ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

[4]     Infatti, la norma prevede che il Presidente del Consiglio o il Ministro per le politiche comunitarie informino tempestivamente le Camere e le regioni e province autonome sugli atti normativi e di indirizzo emanati dalla Unione europea e dalle Comunità europee. L’informazione di regioni e province autonome deve avvenire per il tramite della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome e della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome. La previsione del doppio tramite pare sottendere la volontà di coinvolgere nella fase discendente  tanto il livello esecutivo, quanto quello assembleare di regioni e province autonome.

[5]     Per quanto riguarda lo Stato, il Presidente del Consiglio ovvero il Ministro per le politiche comunitarie verificano, con la collaborazione delle amministrazioni interessate, la conformità sia dell’ordinamento interno sia degli indirizzi politici del Governo, trasmettendo le risultanze di tale controllo, con cadenza almeno quadrimestrale, agli organi parlamentari competenti nonché alla Conferenza Stato-Regioni e a quella dei Presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, che possono formulare ogni opportuna osservazione. Il Governo indica, inoltre, le eventuali misure necessarie per l’adeguamento;

      Per quanto riguarda le regioni e le province autonome, esse - verificato lo stato di conformità dei rispettivi ordinamenti - trasmettono le risultanze del controllo alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per le politiche comunitarie, indicando anche le misure da intraprendere.

[6]     Si ricorda altresì che, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 10, comma 3-quater, del Testo unico sulla promulgazione delle leggi (DPR n. 1092/1985), introdotto dall’art. 4 della legge comunitaria 1999, non è stato rispettato, in sede di pubblicazione delle leggi comunitarie del 2000, del 2001, del 2002, del 2003 e del 2004, l’obbligo di riportare a titolo informativo nella Gazzetta Ufficiale, unitamente alla legge comunitaria annuale, l’elenco delle direttive attuate o da attuare in via amministrativa. Tale obbligo era invece stato rispettato in sede di pubblicazione della legge comunitaria per il 1999.

[7]     Può citarsi, al riguardo, l’articolo 4 della legge comunitaria per il 2004 (legge 27/4/2005, n. 62), che riprende a sua volta il disposto dell’articolo 4 delle precedenti leggi comunitarie.

[8]   In particolare, le norme generali consistono in:

-        individuazione della responsabilità e delle funzioni attuative delle amministrazioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà;

-        esercizio dei controlli da parte degli organismi già operanti nel settore e secondo modalità che assicurino efficacia, efficienza, sicurezza e celerità;

-        esercizio delle opzioni previste dalle direttive in conformità alle peculiarità socio-economiche nazionali e locali e alla normativa di settore;

-       fissazione di termini e procedure, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 20, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59[8], e successive modificazioni (a tale proposito si segnala che i termini e le procedure cui riferirsi sono ora contenute nel comma 4, anziché nel comma 5 dell’art. 20 della legge n. 59/1997, a seguito della sostituzione dell’art. 20 stesso ad opera dell’art. 1 della legge 29 luglio 2003, n. 229).

[9]     In realtà, è richiesta esclusivamente la legge comunitaria per gli ultimi due punti, mentre per il primo la legge comunitaria o altra legge statale e per il secondo una qualsiasi legge statale.

[10]    Così dispone la norma citata: 1. Gli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative regionali, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive relative all'esercizio delle funzioni delegate, sono adottati previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, o con la singola regione interessata. 2. Qualora nel termine di quarantacinque giorni dalla prima consultazione l'intesa non sia stata raggiunta, gli atti di cui al comma 1 sono adottati con deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta. 3. In caso di urgenza il Consiglio dei ministri può provvedere senza l'osservanza delle procedure di cui ai commi 1 e 2. I provvedimenti in tal modo adottati sono sottoposti all'esame degli organi di cui ai commi 1 e 2 entro i successivi quindici giorni. Il Consiglio dei ministri è tenuto a riesaminare i provvedimenti in ordine ai quali siano stati espressi pareri negativi. 4. Gli atti di indirizzo e coordinamento, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive adottate con deliberazione del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alle competenti Commissioni parlamentari.

[11]    In particolare, la norma stabiliva che in caso di inadempimento delle regioni (e province autonome) il Governo, ai sensi dell’art. 6, III comma, del d.p.r. n. 616, poteva prescrivere con deliberazione del Consiglio dei Ministri, su parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali e sentita la regione interessata, un congruo termine per provvedere, decorso il quale era possibile adottare i provvedimenti necessari in sostituzione dell'amministrazione regionale. In particolare, il Consiglio dei Ministri disponeva l'intervento sostitutivo dello Stato, eventualmente attraverso il conferimento dei poteri necessari ad un’apposita commissione.

[12]    Il meccanismo prevede la trasmissione alle Regioni per il tramite della Conferenza dei presidenti delle stesse regioni e province autonome, nonché della Conferenza dei presidenti dell’Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome, con la possibilità per questi soggetti di formulare osservazioni.

[13]    Al Consiglio dei ministri, nei casi in cui l’esecuzione della decisione investa profili di competenza regionale, è chiamato ad intervenire, con voto consultivo, il presidente della regione o provincia autonoma, salvo quanto stabilito dagli statuti speciali.