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TESTO INTEGRALE DELLA DICHIARAZIONE DI VOTO DEL DEPUTATO ROBERTO GIACHETTI SULLA MOZIONE D'ELIA ED ALTRI N. 1-00016
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, la mozione a prima firma del deputato D'Elia a favore della moratoria universale per la pena di morte offre l'opportunità di fare un piccolo bilancio della situazione attuale su quello che considero uno strumento antitetico al valore della dignità umana ed in tutto contrario al rispetto dei diritti civili fondamentali.
A conferma del fatto che l'argomento di cui trattiamo è fortemente sentito tanto dalle forze politiche che da un'ampia fascia della società civile va detto che siamo sempre riusciti in questa sede a raggiungere un larghissimo consenso sul tema, ed in alcuni casi abbiamo votato unanimemente perché ritenevamo, e continuiamo a ritenere questa scelta non solo condivisibile ma notevolmente giusta.
Come infatti ricordato, per storia e per tradizione il nostro paese è da sempre impegnato in prima fila nelle battaglie in difesa dei diritti umani fondamentali, ed in particolare si è giustamente sottolineato il fatto che l'Italia abbia più di chiunque, in termini di impegno e di intervento diretto sui paesi mantenitori, operato in questi anni affinché venga abolita universalmente l'applicazione della pena capitale.
Il nostro paese, ed è senza dubbio una nota di merito, a prescindere dalle maggioranze che si sono succedute, si è mantenuto su queste posizioni con grande linearità e coerenza, e fu proprio per l'iniziativa dei Governi italiani, prima con Berlusconi nel 1994 e poi con Prodi nel 1997, che l'argomento moratoria universalePag. 119ebbe la sua centralità attraverso la presentazione e la votazione di una risoluzione in sede di Assemblea generale dell'ONU (battuta per pochi voti e, tra gli astenuti, vi furono 15 paesi europei che fecero la differenza) e successivamente con una ulteriore risoluzione del 1997 approvata a maggioranza assoluta, con la quale si richiedeva la moratoria per la pena capitale come procedura fortemente propedeutica alla completa abolizione.
Il valore fattivo della moratoria, ed i suoi immediati riflessi, risiede nella possibilità che si offre ai paesi ritenzionisti di guadagnare il tempo necessario affinché si affermi una nuova consapevolezza ed un nuovo diritto umano: e cioè che nessuno venga ucciso a seguito di una sentenza o misura giudiziaria.
Se infatti l'abolizione non può essere imposta per decreto, la moratoria può essere invece il luogo di incontro, il minimo comune denominatore tra i paesi mantenitori ed i paesi abolizionisti, ed i risultati non vanno sottovalutati.
Nel 1994, quando la risoluzione presentata dall'Italia fu sconfitta per soli 8 voti, i paesi ONU mantenitori della pena di morte erano 97 mentre oggi sono 52, ed è un dato significativo.
Ciò testimonia che il recepimento di uno strumento come la moratoria ha consentito a molti paesi mantenitori, in via legale o comunque attraverso un opportuno intervento, di risparmiare migliaia di vite, ed è un trend questo che va assolutamente supportato attraverso il rinnovo continuo di proposte ed iniziative in sede ONU, tanto più in un momento in cui i calcoli ci dicono che una eventuale nuova risoluzione avrebbe la possibilità di essere approvata in sede di asse generale.
Il fatto che non si possa raggiungere l'unanimità di voto nulla toglie al valore indicativo e di indirizzo di una risoluzione che rafforzerebbe in maniera evidente una battaglia sacrosanta e di civiltà, ma anzi, la sua approvazione avrebbe l'effetto di orientare maggiormente l'opinione mondiale su un tema che è centrale e cruciale rispetto al miglioramento del sistema dei diritti umani e del progresso civile.
Dal rapporto di Nessuno tocchi Caino e dal sito Internet omonimo si possono confrontare le cifre relative al numero di esecuzioni capitali avvenute nel passato, oltre a poter constatare che vi è stato negli ultimi anni un consistente passo in avanti sulla via dell'abolizione. Cito testualmente, per quanto concerne la situazione attuale su questo punto: «i paesi o i territori che hanno deciso di abolire per legge o in pratica sono oggi 142. Di questi, i paesi totalmente abolizionisti sono 90; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 10; un paese, la Russia, in quanto membro del Consiglio d'Europa è impegnato ad abolirla e, nel frattempo, attua una moratoria delle esecuzioni; quelli che hanno introdotto una moratoria delle esecuzioni sono 5; i paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono cioè sentenze capitali da oltre dieci anni, sono 37. I paesi mantenitori della pena di morte sono 54, a fronte dei 60 del 2004 e dei 61 del 2003. La tendenza a un abbandono della pena di morte trova conferma anche nel fatto che diminuisce ogni anno non solo il numero dei paesi mantenitori, ma tra questi anche quello di coloro che la praticano effettivamente».
Se contiamo che il continente in cui si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo è l'Asia (la Cina e l'Iran occupano il primo e il secondo posto) e che nel continente americano non si avrebbero in buona sostanza paesi in cui si applica la pena capitale (pensiamo che il Messico nel dicembre 2005 l'ha abolita anche dalla Costituzione) ad eccezione degli Stati Uniti, unico ad aver giustiziato detenuti nell'anno 2005, forse dovremmo trovare il modo per fare una ulteriore riflessione.
In fondo la continuazione ed il consolidamento di un percorso mirato all'abolizione universale della pena di morte è per noi tutti quanto di più rispondente al senso profondo della dignità umana e della inviolabilità della persona, elemento centrale nell'orizzonte del progresso civile, che a sua volta costituisce l'essenza ed il motore stesso del concetto di modernità.
Se per noi la pena capitale è una forma di vendetta, una società civile ha il doverePag. 120di fare in modo che la vendetta non prenda il posto della giustizia; il rispetto della vita umana deve essere al centro dello sviluppo sociale, altrimenti è impensabile che i componenti di una società che ha in spregio il valore della vita a sua volta la rispettino.
Ecco perché ciò che stride maggiormente è la constatazione che permanga (e venga puntualmente applicata) la pena capitale non solo in quei territori in cui vigono regimi illiberali ed autoritari come la Cina, l'Iran e l'Arabia Saudita, ma ahimè in una nazione largamente considerata portavoce di valori di libertà, democrazia e progresso come sono gli Stati Uniti.
E tuttavia, mi è capitato anche di parlarne qui in altre occasioni, persino in un paese così fortemente mantenitore della pena capitale come gli Usa si stanno cominciando a vedere dei segnali incoraggianti che, a differenza di altre occasioni, non concernono esclusivamente movimenti e associazioni e piu in generale l'opinione pubblica, ma sono l'effetto di alcune precise scelte politiche, come quella che riguarda l'ex governatore dell'Illinois, George Ryan, che per la prima volta nella storia americana ha scelto la moratoria per il suo Stato, e sta anche lottando per l'adozione della moratoria nel suo paese.
Ryan ha deciso di essere il testimonial della campagna per la moratoria ONU delle esecuzioni capitali, e le sue riflessioni dimostrano come in realtà la pena di morte negli Stati Uniti non costituisca soltanto una questione di coscienza, ma anche e soprattutto un problema che investe l'intero funzionamento della macchina giudiziaria, spesso coinvolta nella lesione dei più elementari diritti civili e politici.
Non parliamo di regimi dittatoriali e sanguinari in cui la giustizia è di fatto sommaria. A questo proposito vorrei fare un brevissimo inciso: è quasi ovvio, perché crediamo in un principio cardine che è il valore inestimabile della persona, che la nostra contrarietà assoluta all'applicazione della pena di morte ha effetto su qualunque persona, anche su colui o colei che si è macchiato dei crimini piu efferati, di stermini o genocidi.
Per questa ragione il discorso vale, per fare un esempio, anche nel caso di Saddam Hussein, su cui pure pesano crimini e responsabilità gravissime. Ma la risposta però non può e non deve trovarsi nella legge del taglione. Saddam ha diritto ad un processo equo, e meglio sarebbe stato se tale processo si fosse svolto nel quadro di una giurisdizione internazionale, che potesse fare giustizia nel pieno rispetto dei diritti dell'imputato e senza prevedere la pena di morte.
Ma tornando al punto: esistono invece società che producono diseguaglianze intollerabili, nelle quali le inevitabili manifestazioni della piccola criminalità e dei comportamenti sociali e politici considerati deviati non vengono risolti riducendo le difformità, ma aumentando le discriminazioni, a partire da un sistema giudiziario che condanna in modo esemplare i soggetti sociali non degni di tutela giuridica.
Il fatto che in un paese democratico e moderno come gli Stati Uniti vengano condannati a morte (e in seguito giustiziati) imputati minori d'età e ritardati mentali, che studi universitari recenti abbiano identificato frequenti errori nei procedimenti di giudizio per pena capitale, dal 1976 ad oggi, che gli stessi cittadini americani riconoscano che sono state giustiziate persone innocenti, sono tutti ulteriori elementi a sostegno di qualunque iniziativa volta a far sì che l'impegno da parte nostra continui, e che l'Italia si adoperi in tutte le sedi preposte ad allacciare contatti con i paesi mantenitori ed anche con quelli che potrebbero cosponsorizzare una risoluzione per la moratoria.
La parola d'ordine della moratoria è stata e continua ad essere efficace, avendo aperto porte apparentemente inaccessibili sulla pena di morte. Pensiamo infatti a quanto è successo in quasi tutti i paesi della ex Unione Sovietica, che hanno abolito la pena capitale proprio passandoPag. 121attraverso una moratoria delle esecuzioni; ma lo stesso percorso è avvenuto anche in Sudafrica.
Abbiamo dunque la possibilità di rafforzare in termini concreti la battaglia che il nostro paese conduce da sempre per l'abolizione della pena capitale; abbiamo - credo - il dovere, per quanto sinora abbiamo fatto, di garantire l'approvazione di una nostra proposta attraverso la pianificazione di iniziative che «sondino» il clima in sede di Assemblea generale ONU, individuino e persuadano quei paesi che potrebbero affiancarci positivamente o per lo meno che possano astenersi al momento del voto. Non dobbiamo perdere questa occasione, avendo tutte le carte in regola per compiere questo ulteriore passo. Per questo dichiaro il voto favorevole sulla mozione in oggetto.